Giustizia. Il peso delle circolari sulle leggi che verranno di Caterina Malavenda Corriere della Sera, 21 ottobre 2017 Potrebbero diventare col tempo un’erosione inaccettabile del potere legislativo. Unanime plauso ha raccolto la circolare del Procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, sulla “osservanza delle disposizioni relative all’iscrizione delle notizie di reato”, con la quale - i giornali hanno semplificato - egli ha inteso porre un freno all’iscrizione frettolosa dei nomi degli indagati, nell’apposito registro, evitando così le spiacevoli conseguenze che ne possono derivare. Solo l’avv. Beniamino Migliucci, presidente dell’Unione camere penali, ha mosso qualche obiezione, temendo che la circolare possa diventare “un modo per eludere la necessità di una data certa di inizio delle indagini”. Se, infatti, la circolare si è resa necessaria, si legge, a seguito dell’integrazione dei compiti dei Procuratori della Repubblica, cui spetta ora anche quello di assicurare l’osservanza delle disposizioni, relative a quella iscrizione, non possono sfuggire le conseguenze che il momento in cui viene fatta possono avere sull’obbligo per il pm, anch’esso appena introdotto, di formulare le sue richieste, entro tre mesi dalla chiusura delle indagini, la cui durata è prevista dal codice, ma il cui termine iniziale coincide appunto con quello dell’iscrizione. Sarà il tempo a dire se quelle linee guida, cogenti per i magistrati romani, saranno adottate anche da altre Procure e se, alle auspicate conseguenze positive, non si aggiungeranno quelle temute dagli avvocati - ad esempio - atti di indagine irripetibili, senza la partecipazione del soggetto, che verrà indagato solo successivamente, ma contro cui, come la circolare ricorda, potranno ugualmente essere usati. Intanto proliferano le circolari delle singole Procure, generate da casi particolari che inducono regole generali ed escono dal chiuso del palazzo di giustizia per finire sui giornali. Ma perché mai degli atti amministrativi, interni agli uffici e, perciò, indirizzati solo ai loro componenti, attirano l’attenzione dei mass media se, per loro natura, si limitano a sollecitare l’applicazione della legge, così da risultare privi di interesse per chiunque, tranne che per gli addetti ai lavori? La ragione più ovvia è il peso che analoghe circolari hanno avuto e potranno avere, in futuro, non sulla migliore applicazione della legge vigente, bensì sulla formazione di quella futura, finendo per orientare e agevolare, forse anche oltre le intenzioni degli estensori - pur sempre una delle parti processuali che dovrà applicarle - la formulazione di norme, spesso controverse e che forte dibattito generano nell’opinione pubblica. Basti pensare al recente schema del decreto sulla disciplina delle intercettazioni e al circuito virtuoso che ne ha preceduto la presentazione. Per differenti e contingenti ragioni, infatti, nel giro di alcuni mesi, autorevoli Procuratori sono intervenuti formalmente sulle norme vigenti, per dettare regole applicative interne, ma tutti con uno scopo dichiarato, apparentemente estraneo alla stessa ratio di una circolare: evitare la diffusione - non sempre illecita - di conversazioni irrilevanti per le indagini o inutilizzabili, condotta questa sanzionata, ove penalmente rilevante, ma la cui prevenzione, in via generale, non spetta certo a chi indaga. Quelle circolari sono state prima recepite dal Csm, per definire linee guida nazionali e realizzare un’autoregolamentazione uniforme e cogente; e poi fatte proprie dal ministro, nella stesura del testo provvisorio di quel decreto, che così appare all’opinione pubblica corredato da una sorta di bollino di qualità, una garanzia contro la quale diventa più difficile sollevare obiezioni. Quando il decreto entrerà in vigore, i magistrati potranno agire esattamente come si ripromettevano di fare, con l’imprimatur del governo e con una singolare conseguenza: se le circolari applicano le norme vigenti, come scrivono gli estensori, allora non ne servono altre e il decreto è palesemente superfluo. Alcuni commentatori hanno parlato persino di una “riforma fai da te” delle Procure, per sopperire a ritardi e lacune e tutelare le parti più deboli, un fine nobile, certo, ma che rasenta l’invasione di campo, una prassi che rischia di diventare, se dovesse consolidarsi, anche per l’ignavia e l’impotenza della politica, una raffinata, ma pericolosa forma alternativa di tecnica legislativa e, col tempo, un’erosione inaccettabile del potere legislativo. La giustizia malata e il perverso fascino dell’atto dovuto di Massimo Krogh Il Mattino, 21 ottobre 2017 Il Procuratore della Repubblica di Roma, per evitare ingiustificate messe alla gogna, ma, in effetti, anche in aderenza all’attuale stato di intasamento della giustizia, ha prescritto ai sostituti del suo ufficio di evitare l’iscrizione di soggetti nel registro degli indagati sulla semplice logica del “cosiddetto atto dovuto”, occorrendo invece “elementi indizianti di carattere specifico”. Il dottor Pignatone merita un grande plauso ed è sperabile che sia seguito da tutti i Procuratori italiani. “Atto dovuto” è divenuta quasi un’espressione magica, in effetti poco comprensibile, ma che ha portato all’ingiusta sofferenza di chi affrettatamente è registrato come indagato, e m definitiva al crollo della giustizia nel Paese. La spina che fa del processo un martirio, infatti, è la durata, divenuta intollerabile; purtroppo, nelle riforme m atto non si vedono spiragli di luce. Credo non sia superfluo notare che i farraginosi meccanismi processuali, connessi alla piovra della burocrazia che tormenta l’Italia, le carenze materiali di personale, di autoveicoli, persino di La giustizia malata e il perverso fascino dell’”atto dovuto” carta, non sono la causa prima e profonda del disastro (perché di questo si tratta) giustizia. Difatti, si tratta di carenze da sempre esistite, eppure prima della riforma dell’88 (che ha introdotto il rito semi-accusatorio) i processi penali si esaurivano in termini abbastanza ragionevoli. È certo che la giustizia debba essere potenziata quanto a mezzi nonché snellita nei passaggi, mail cancro da battere è lo squilibrio che con la riforma dell’88 si è creato nel rapporto fra la sanzione penale e la concentrazione di poteri penali rilasciati con una delega in bianco all’ordine giudiziario e per esso all’ufficio del pubblico ministero che esercita l’azione penale piegandosi, appunto, all’incredibile “fascino” dell’atto dovuto. La gente è stanca di politici che parlano alla luna, non ne può più di istituzioni che non funzionano e guarda alla magistratura come ³³ solo anticorpo alla decadenza etico-funzionale delPaese. Dunque l’espansione del rimedio penale dilaga senza limiti, ma diffondendosi perde nel contempo una reale efficacia proprio per l’impropria eccessiva diffusione. Forse andrebbe attenuato il principio di obbligatorietà dell’azione penale, il quale produce un intasamento proibitivo, che incide gravemente sul corso dei processi; altrove, in Europa, vige il principio di “opportunità”, i cui parametri so no apprezzati dai vertici dell’ufficio di accusa. In Inghilterra, l’esercizio dell’azione penale è discrezionale, come in tutti i paesi di cultura anglosassone. Vi è poi da dire che abbiamo e manteniamo un regime di notificazioni antiquato. Ritarda la “cartolina di ritorno” e il processo si rinvia, per chi frequenta le aule giudiziarie sono quotidiani i rinvii dei processi per “difetto di notifica”. È diffuso l’uso della “inammissibilità” per ridurre i ricorsi in Cassazione, dove la valutazione di chiusura dei giudici spesso interviene anche impropriamente per rimediare ai vizi del sistema. Sono troppe le cose che hanno portato al crollo della giustizia penale, ma soprattutto ha gravemente nociuto una cultura improvvisata che ha messo nelle mani del pubblico ministero la giustizia “attiva”, quella cioè che si muove, si sente e si vede, relegando il giudice, vale a dire l’organo che deve giudicare le persone e pronunciarsi sui fatti, in un’area “passiva”, ed aspetta di apparire nella mare delle permanenti disfunzioni. La riforma dell’88, il cui giudizio è affidato alla storia, mette un enorme potere nelle mani del pubblico ministero ma ha trascurato che lo stesso da noi è in carriera unica con il giudice, donde le naturali perplessità su una effettiva terzietà di giudicante. La giustizia, per sopravvivere quale valore costituente la porta d’ingresso della democrazia, siccome custode del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, dovrebbe sempre apparire come in servizio di grande chiarezza e ragionevole moderazione. Non so se ciò avvenga in Italia, dove l’unico processo che vede l’opinione pubblica è quello delle Procure mentre cadono nella “dimenticanza” i passaggi senza fine attraverso le aule dei Tribunali. Albamonte (Anm): domanda di giustizia ingovernabile, urge depenalizzazione di Vittorio Nuti Il Sole 24 Ore, 21 ottobre 2017 Per velocizzare i processi, davanti a una domanda di giustizia “ingovernabile” e che grava solo sui tribunali, “un ridimensionamento del penalmente rilevante attraverso una seria depenalizzazione è inevitabile”, trasferendo la tutela “sul piano delle sanzioni amministrative”. La prospettiva di un ridimensionamento urgente dell’azione penale arriva dal presidente dell’Anm Eugenio Albamonte. Aprendo i lavori del 33esimo congresso nazionale della magistratura associata in corso a Siena alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella - accolto da una standing ovation dei delegati al suo arrivo al teatro dei Rinnovati - Albamonte ha criticato anche “la sovrabbondante criminalizzazione delle condotte illegali attuata attraverso la sovra produzione di norme che individuano reati”. Solo il 38% dei cittadini ha fiducia nei magistrati - Il ripensamento degli spazi della giustizia penale auspicato dal leader dell’Associazione nazionale magistrati arriva in un momento non facile per i nostri giudici, che soffrono in particolare il calo di fiducia da parte degli italiani: per Albamonte, “solo il 38% dei cittadini ripone un elevato grado di fiducia nella magistratura”, con una flessione del 12% dal 2010 ad oggi. Ad accrescere il problema contribuiscono anche i media, che “talvolta per mancanza di preparazione, più spesso per strategie comunicative e di marketing, alimentano la distorsione e cavalcano la protesta sociale contro decisioni talvolta inappuntabili e talaltra opinabili, ma certamente ancorate a una solida ragione giuridica”, ha spiegato Albamonte. Ritardi giustizia causa di “frustrazione e avvilimento” tra toghe - Un “circuito comunicativo vizioso”, quello denunciato da Albamonte, che “quando il merito della decisione investe temi sui quali è più acuita la sensibilità dell’opinione pubblica” determina “lacerazioni gravi e immotivate nella fiducia che i cittadini devono riporre nella magistratura”. Ma “una scarsa fiducia nella magistratura, come in ogni altra istituzione del Paese, indebolisce la democrazia”, ha messo in guardia il leader delle toghe italiane, che individua una delle cause della distanza della categoria dai cittadini negli “inaccettabili ritardi” nella definizione dei processi civili e penali, ritardi dovuti “in larghissima parte” all’enorme contenzioso e che assai poco dipendono dai giudici che vivono questa situazione con “frustrazione e avvilimento”. “Non confondere le indagini con le “guerre sante” - Nel suo intervento, il presidente dell’Anm non ha risparmiato critiche ai suoi colleghi, in particolare nel rapporto con la politica, esortandoli a rimanere ancorati “al profilo della responsabilità giudiziaria, che è sempre personale, senza indulgere nella tentazione di adire tribunali morali e sociali”. La magistratura inoltre “deve rifuggire da visioni sistemiche e fenomenologiche che non trovino riscontro nella serialità delle decisioni giudiziarie, evitando di confondere le indagini con le “guerre sante”, secondo l’insegnamento di Giovanni Falcone”. Soltanto se si interrompe il “vortice” di accuse e strumentalizzazioni reciproche, si potrà “restituire fiducia alla magistratura e alla politica”, ha sottolineato Albamonte. Carrierismo all’eccesso, rischio emergenza tra i giovani - L’esercizio di autocritica chiesto da Albamonte non risparmia il profilo correntizio e “politico” che da sempre caratterizza le progressioni di carriera tra i magistrati. Un problema antico, che la riforma dell’ordinamento giudiziario - con valutazione periodica della professionalità e la raccolta di titoli che per il curriculum - ha finito per acuire, “distogliendo energie dalle funzioni quotidiane per dislocarle sulla costruzione di titoli fondati su attività extracurricolari, che a loro volta diventano ambite in una logica che privilegia l’acquisizione del titolo allo spirito di servizio”. Completa il quadro “la mancata trasparenza nell’attribuzione di alcuni titoli rilevanti per la carriera”, che a tratti “rischia di acquisire connotati di carrierismo, burocratismo, acquiescenza ai vertici degli uffici e ricerca della loro approvazione e protezione”. Questo fenomeno, ha concluso Albamonte, “è ancora marginale ma visibilmente percepibile” e se fare carriera aveva “uno scarsissimo appeal” per la “magistratura più anziana e strutturata”, il pericolo del carrierismo “rispetto alle nuove generazioni può diventare emergenza”. Albamonte (Anm): “rischio di carrierismo delle toghe e sfiducia nella magistratura” Il Messaggero, 21 ottobre 2017 Si è aperto con una standing ovation per il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a Siena, il 33° congresso dell’Associazione nazionale magistrati. Il leader delle toghe Eugenio Albamonte, in carica dallo scorso aprile, ha toccato molti temi nel suo intervento, dalla sfiducia nella magistratura al rischio di carrierismo da parte delle toghe più giovani. Sul punto, Albamonte ha fatto un vero affondo, sottolineando quello che rischia di essere il nuovo “male” della magistratura. Il fenomeno, secondo presidente, “è ancora marginale ma visibilmente percepibile”, e se fare carriera aveva “uno scarsissimo appeal” per la “magistratura più anziana e strutturata - dice - rispetto alle nuove generazione può diventare emergenza”. Si è arrivati a questo punto a seguito della riforma dell’ordinamento giudiziario che ha modificato l’accesso alla carriera dirigenziale delle toghe lanciandole in una raccolta di titoli per il curriculum che in certi casi ha distolto “energie dalle funzioni quotidiane per dislocarle sulla costruzione di titoli”, in una “logica che privilegia l’acquisizione del titolo allo spirito di servizio”. Su questa strada l’ambizione a ricoprire incarichi “rischia di acquisire connotati di carrierismo, burocratismo, acquiescenza ai vertici degli uffici e ricerca della loro approvazione e protezione”, ha ammonito Albamonte. L’argomento, secondo il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, intervenuto anche lui al congresso dell’Anm, “merita una riflessione e una particolare attenzione”. Secondo il Guardasigilli, per la delicatezza del tema, è meglio andarci piano e lasciare che se ne occupi il Csm. “Ogni intervento esterno alla magistratura, su questo fronte, rischia di compromettere il dibattito stesso”, ha concluso il ministro. Albamonte - che ha invitato i magistrati ad “evitare di ‘confondere le indagini con le guerre sante, secondo l’insegnamento di Giovanni Falcone” - ha toccato poi un’altra nota dolente, quella del calo della fiducia dei cittadini nella magistratura. In base a uno studio recente dal 2010 ad oggi è calata del 12% e adesso “solo il 38% dei cittadini ripone un elevato grado di fiducia” nei giudici. A questo si è arrivato anche per la lentezza dei processi, e per “l’ingovernabile domanda di giustizia” che sale dai cittadini. Non fa bene nemmeno il clima di “turbolenza” che a volte caratterizza i rapporti “tra giustizia, politica e informazione”. E i media “talvolta per mancanza di preparazione, più spesso per strategie comunicative e di marketing alimentano la distorsione e cavalcano la protesta sociale” contro certe decisioni dei giudici. Come quelle sui temi eticamente più sensibili come il fine vita e la stepchild adoption. Terreni questi sui quali la politica continua a latitare “nell’inerzia” caricando i giudici di un “ruolo di supplenza”. Sì a permesso di necessità all’ergastolano per la nascita del figlio Il Sole 24 Ore, 21 ottobre 2017 La condanna all’ergastolo non può impedire al reo di stare accanto alla moglie in occasione della nascita del figlio. A chiarirlo la Cassazione con la sentenza n. 48424/17. La Corte, a tal proposito, ha ricordato come l’articolo 30, comma 2, del ordinamento penitenziario prevede la possibilità eccezionale di concedere ai detenuti il permesso di uscire dal carcere (cosiddetto ‘permesso di necessita”) con le necessarie cautele esecutive, per eventi familiari di particolare gravità. Quest’ultima condizione - si legge nella decisione - non sussiste solo in occasione di eventi luttuosi o drammatici. Anche in ragione della funzione rieducativa della pena, infatti, occorre analizzare con attenzione gli eventi familiari e la nascita di un figlio è un momento particolarmente importante per il detenuto. È stata, quindi, bocciata la tesi del Tribunale di sorveglianza secondo cui la nascita di un figlio non avrebbe rappresentato un evento unico e irripetibile in quanto il detenuto avrebbe potuto vedere moglie e figlio in occasione degli incontri programmati. Secondo i Supremi giudici, invece, la nascita di un figlio rappresenta un evento che normalmente implica una notevole intensità emotiva che nella normalità caratterizza la partecipazione del padre alla nascita di un figlio, anche sotto il profilo della preoccupazione contestuale per la salute di madre e figlio. Cassazione: il padre può assistere al parto della moglie anche se in regime di 41bis Quotidiano di Puglia, 21 ottobre 2017 Per un genitore “la nascita di un figlio rappresenta un evento emozionale di natura eccezionale e insostituibile, tale da realizzare un unicum indelebile nella sua esperienza di vita”. In ragione di questo è possibile il permesso anche per il detenuto all’ergastolo con il regime del 4 bis, che prevede il divieto dei benefici, e si applica per alcuni reati, come quelli di mafia. Lo ha stabilito la Cassazione, accogliendo il ricorso di un detenuto (originario di Lecce, condannato per reati di criminalità organizzata) cui il tribunale di sorveglianza di Roma aveva, invece, detto no al permesso. La Suprema Corte ha quindi disposto una nuova pronuncia da parte del giudice, che tenga conto di questo principio. Ma ormai, da quanto emerge dalle date dell’iter giudiziario, è troppo tardi: la data prevista per il parto è già passata. Il detenuto aveva chiesto un permesso di necessità per stare vicino alla moglie in occasione della nascita del figlio, a seguito della fecondazione assistita. Il tribunale di sorveglianza aveva negato il permesso, rilevando che la nascita di un figlio non costituiva un evento irripetibile della vita familiare, dal momento che il detenuto avrebbe potuto incontrare la moglie e il figlio neonato durante i colloqui. Non è così, secondo la prima sezione penale della Cassazione (sentenza n. 48424): “Non può negarsi la natura fortemente coinvolgente dell’evento-parto in sé”, sotto il profilo “della intensità emotiva che normalmente caratterizza la partecipazione del padre alla nascita del figlio e anche sotto il profilo della preoccupazione contestuale per la salute tanto della madre quanto del bambino, concorrendo a conferire quel carattere di eccezionalità e di inusualità” che giustifica la concessione di un permesso. Per la Cassazione il tribunale di sorveglianza di Roma non ha tenuto conto di tale “fondamentale elemento di valutazione” escludendo “l’importanza, nell’esperienza umana del genitore detenuto, della partecipazione personale e diretta all’evento della nascita del figlio, che non appare surrogabile dalla possibilità assicurata dall’ordinamento penitenziario di ricevere la visita in carcere del neonato e della madre in un momento successivo”. Dalla sentenza non si evince se il padre abbia poi potuto assistere al parto, ma le date lo escludono: la decisione del tribunale che ha negato il permesso è infatti di oltre un anno fa, il 23 settembre 2016, e la sentenza della Cassazione - emessa il 26 maggio scorso - è stata depositata solo oggi e, dunque, la nuova decisione del giudice non c’è ancora stata. Corte costituzionale: patrocini gratis, vale solo il reddito di Valerio Stroppa Italia Oggi, 21 ottobre 2017 Il limite di reddito è l’unico parametro che conta per l’ammissione al gratuito patrocinio. Nel calcolo vanno inclusi anche i redditi conseguiti dal coniuge o dagli altri familiari conviventi. Andare a valutare ulteriori fattori “qualitativi”, come le uscite finanziarie sostenute in ragione del numero, dell’età e delle condizioni di salute dei familiari “rimetterebbe la concessione del beneficio alla discrezionale determinazione del singolo giudice, quando invece la determinazione dei presupposti di accesso a tale provvidenza è riservata alla competenza del legislatore”. Così ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza n. 219/2017, depositata ieri, che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Verona. Secondo il giudice del rinvio, l’articolo 76 del Dpr n. 115/2002, ossia la norma che regola le condizioni per l’accesso al patrocinio a spese dello stato nei processi, sarebbe risultato in contrasto con gli articoli 2, 3, 24 e 31 della Costituzione, con violazione del principio di uguaglianza, del diritto alla difesa e del diritto alle agevolazioni in favore delle famiglie numerose. La norma impugnata fissa a 9.296 euro annui il reddito imponibile ai fini Irpef, come risultante dall’ultima dichiarazione, al di sotto del quale un cittadino ha diritto al patrocinio. Per la verifica della soglia vanno considerati anche i redditi dei familiari conviventi, nonché eventuali redditi esenti (come gli assegni dell’ex coniuge per il mantenimento dei figli o le pensioni di guerra) oppure tassati alla fonte a titolo di imposta (quali per esempio proventi finanziari e capital gain). Il tribunale di Verona sosteneva che il solo limite quantitativo fosse contrario ai doveri di solidarietà sociale e familiare, non tenendo conto di altri aspetti peculiari riguardo alle effettive esigenze dei nuclei familiari. Negativo però il responso della Consulta. Che tuttavia, nel giudicare inammissibile la questione, sottolinea “l’esigenza di un intervento normativo volto a sanare l’evidente inadeguatezza dell’attuale disciplina, dando la dovuta rilevanza agli elementi idonei a incidere sul livello reddituale richiesto per l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello stato”. Corte europea dei diritti umani: diritto all’oblio “gli archivi online sono fonti storiche” di Matteo Rizzi Italia Oggi, 21 ottobre 2017 Se una notizia crea un dibattito di pubblico interesse non può essere censurata e quindi non è possibile richiederne la rimozione dagli archivi online dei quotidiani, perché importanti fonti di ricerca dal valore educativo e storico. Non solo, devono essere considerati: la celebrità dell’individuo, il metodo per ottenere le informazioni e la propria veridicità, il contenuto e le conseguenze della pubblicazione, al fine di richiedere il diritto all’oblio. Lo afferma la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Fuchsmann v. Germany numero 71233/13 depositata il 19 ottobre a Strasburgo. Il caso riguarda un uomo d’affari ucraino, Boris Fuchsmann, residente in Germania, amministratore di società televisive. Il 12 giugno 2001, il New York Times aveva pubblicato un articolo riguardante Fuchsmann e il suo coinvolgimento in attività di corruzione, per ottenere licenze televisive in Ucraina. L’uomo aveva presentato richiesta della rimozione del contenuto online alla corte regionale di Düsseldorf. In seguito a vicende interne sulla giurisdizione territoriale del caso, la corte di appello sentenzia che non era ravvisabile una censura dell’articolo, visto che la diffusione di notizie di reato riguarda l’interesse pubblico, per di più di un soggetto influente all’interno della società tedesca. A questo punto, gli avvocati di Fuchsmann hanno chiesto ricorso per violazione, da parte delle autorità tedesche, dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’articolo che tutela il “Diritto al rispetto della vita privata e familiare” non è stato violato. La Corte di Strasburgo, infatti, indica che “il bilanciamento del diritto della vita privata con il diritto della libertà di espressione” della corte tedesca non viola le libertà sancite dalla convenzione. Campania: presentazione del programma di attività del neo Garante dei detenuti di Annalisa Cocco linkabile.it, 21 ottobre 2017 Il Garante Regionale delle persone sottoposte a misure restrittive, Samuele Ciambriello, insieme al Presidente del Consiglio Regionale della Campania, Rosa D’Amelio nel presentare il programma di attività da svolgere nelle carceri campane, hanno fatto centro su temi importanti, che dovrebbero fare da impalcatura in ogni sistema carcerario italiano. Ad introdurre la conferenza e quindi ad iniziare la presentazione è stata la Presidente D’Amelio, che ha sancito così:” Ciò che preme è l’impegno a lavorare per i minori. Dobbiamo lavorare sul terreno, anche della presa in carico del recupero dei tanti minori, e quindi io sono sicura che lo faremo, lo faremo con il sostegno di tutto il Consiglio. Poi dobbiamo tenere la barra ferma sul fatto che le carceri sono un luogo dove si deve scontare la pena. È quindi giusto che chi ha sbagliato, sconti la sua pena, però abbiamo al centro del nostro impegno un valore fondamentale, si sconta la pena nelle condizioni umane e si lavora per il reinserimento nella società, è questa la sfida che abbiamo, perché il problema più drammatico è quello delle recidive di questo sistema e sicuramente dobbiamo molto lavorare per recuperare più persone possibili. Dobbiamo avere un ruolo anche nel coordinamento del livello nazionale per lavorare in stretta sinergia, con il Ministro di Grazia e Giustizia, sulle pratiche che riguardano, le carceri e anche i lavoratori delle stesse: persone che spesso vivono, in condizioni drammatiche rispetto al fatto che vi è bisogno di tanti operatori e quindi bisogna pensare anche all’inserimento di nuovi concorsi, e bisogna pensare sempre di più all’associazionismo, al volontariato a persone che possono lavorare perché leghiamo al disegno che mette al centro tutti gli interventi di tipo sociale che bisogna attuare in questa politica”. In seguito è intervenuto il neo Garante dei detenuti, Samuele Ciambriello, che ha sviscerato così il programma di attività che si vuole portare a termine:” Ringrazio il Consiglio Regionale per questa scelta che ha maturato nei miei confronti, da quattro settimane sono ufficialmente Garante e l’attenzione, in queste prime quattro settimane, è stata su diversi punti. Innanzitutto tra Poggioreale e Secondigliano con i miei collaboratori, abbiamo, già effettuato “sopraluoghi” a Poggioreale con 15 detenuti, mentre a Secondigliano con 10 detenuti. Ho fatto un primo incontro con le Organizzazioni Sindacali, perché credo che sia il comparto di sicurezza della Polizia Penitenziaria, che il comparto Amministrativo e Pedagogico sia importante, vi do per l’appunto un dato: in Campania abbiamo 4.100 poliziotti della Penitenziaria, e ne mancano altri 400, molti dei problemi che esistono, sono legati, al sovraffollamento e alla mancanza di personale penitenziario, infatti è all’interno di Poggioreale, carcere campano soggetto al sovraffollamento, che mancano 200 poliziotti. Sono 7.219 detenuti in Campania a fronte di 6.120 posti, ciò significa che mille novantanove perone sono messe vicino all’altro, sopra l’altro con qualche materasso per terra perché alcune volte non vi è lo spazio, pensate che la media a Poggioreale è di 15/18 ingressi al giorno, quando ci sono i bliz ci sono 40/50 ingressi al giorno. Ringrazio la Presidente per il riferimento ai minori perché io ho iniziato proprio nel 89, mi occupavo di minori, a Nisida per esempio, abbiamo 57 detenuti in questo momento e tutti quelli che lavorano su Nisida o dentro Nisida, intorno a Nisida si devono ricordare che a 200 metri dall’ingresso vi è l’altro carcere con 6 donne detenute. Ma il dato allarmante è che nel 2016, 5.000 minori hanno ricevuto una denuncia amministrativa, un fermo, una denuncia penale. Cinquemila persone”. Poi il Garante dei detenuti, si è soffermato sulle condizioni delle carceri in Campania, dichiarando che: “Nelle mie due visite, ho potuto riscontare anche nella visita ufficiale fatta a Secondigliano, poi un’altra visita la farò ancora a Poggioreale, e un’altra visita ufficiale la farò martedi a Sant’Angelo dei Lombardi, le tre criticità sono queste: quelle che riguardano la Regione Campania, sono la Sanità, la Sanità è regionale, poi la formazione professionale che anche è regionale, io vi faccio un solo esempio per dire come dobbiamo evitare lo spreco e parlare di questi detenuti che aspettano 6 mesi, 8 mesi anche 9 mesi per una visita cardiologica: se noi invece di prendere 4 o 5 poliziotti che accompagnano con 9 mesi di ritardo al Cardarelli, prendiamo un medico che in una giornata va in carcere e fa visita a 10 o 15 persone, noi come collettività risparmiamo dei soldi. Se poi addirittura compriamo una attrezzatura cardiologica ci costa meno rispetto a quello che produce invece il costo di un trasferimento in queste strutture. Ho parlato della Sanità perché, la Sanità poi riguarda soprattutto un altro tema importante ovvero che si entra in carcere perché ci sono delle psicologie, delle malattie mentali. Voi sapete che le strutture sanitarie adatte a queste problematiche sono piene, quindi 80 posti di salute mentale con malati gravi, mentre gli altri stanno ancora dentro le carceri, pensiamo a Secondigliano, si chiama articolazione psichiatrica, ci sono infatti 17 malati di mente a Secondigliano, poi c’è un’articolazione psichiatrica a Pozzuoli, poi ve ne un’altra a Sant’Angelo, poi ve ne una in ogni Asl, quindi il tunnel della Salute Mentale relativa anche al carcere non è stato superato, per cui questo tema bisogna trattarlo e trattarlo anche bene. L’altro tema scandaloso è la territorialità della pena, migliaia di persone arrestate in Campania vengono trasferiti in tutte le carceri, in tutte le Regioni D’Italia, vi sono anche problemi di natura tecnico- giuridica per essere assistiti dagli avvocati, a parte che è una questione di natura anche sociale ed affettiva per i familiari, per andare un po’ in tutta Italia. Ma c’è un appoggio democratico, vi è l’articolo 42 dell’Ordinamento Penitenziario che prevede l’allontanamento di 200 km. Non bisogna costruire fuori per aumentare il dolore e il rancore di queste persone, ma costruire in Campania. Mentre l’ultimo caso che volevo segnalare è che da tutti i colloqui in carcere, penso ad Ariano Irpino, vi è un solo educatore, una ventina a Poggioreale, uno o due educatori in altre carceri, e spesso il detenuto entra in carcere e per un mese non riesce a parlare con nessuno, se non con dei volontari che sono la prima struttura, la prima ancora di salvezza, la prima zattera. Quindi noi avremo bisogno di figure sociali nelle carceri che facciano da sostegno, da interazione fra i detenuti, abbiamo bisogno di persone che sono esperte, di psicologi, di supporto dalle Asl, quindi se non vi è questo il detenuto fa tre passi in avanti e tre passi indietro per 20, 22 ore al giorno. Un’altra novità è che ho incontrato insieme al Garante dei detenuti della provincia di Avellino la Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, la Dottoressa Adriana Pancia, e all’incontro erano presenti anche tre magistrati per discutere dei problemi dei permessi che rischiano di non esserci per i detenuti, oppure qualcuno che non riceve il permesso per andare al funerale del proprio padre, queste disfunzioni le dobbiamo evidenziare perché questi sono i temi reali delle persone. L’ultima considerazione: ho firmato un accordo di collaborazione con il Garante Nazionale per il monitoraggio dei rimpatri forzati, voi sapete che anche su questo come Garanti dei detenuti, private della libertà personale abbiamo una responsabilità. Questo protocollo serve a rafforzare la tutela dei diritti umani e il rispetto della dignità delle persone nelle operazioni di rimpatrio che fa il Ministero tra Interni ed Estero, ma i Garanti devono comunque verificare che vengano tutelati i diritti umani e rispettata la dignità delle persone”. Le persone che sono condannate a scontare una pena, che hanno commesso un errore, spesso sono pensate come diverse, lontane dal terreno comune quando invece bisognerebbe pensarle come uguali solo con una vita che è stata meno fortunata, e che le carceri sono delle trincee in cui non bisogna avere timore di calarsi, fino in fondo perché nessuna guerra ha né ragione e né potere di esistere in questa terra. Campania: il nuovo Garante “controlli medici, per i detenuti due mesi di attesa” di Carlo Porcaro Il Mattino, 21 ottobre 2017 Allarme sanitario nelle carceri campane. Lo ha sollevato Samuele Ciambriello, nuovo Garante regionale dei Detenuti eletto dopo la morte di Adriana Tocco. “In alcuni casi aspettano dai 6 ai 10 mesi per una visita cardiologica e fino a due anni per un intervento chirurgico, gran parte di questi ritardi dipendono dalla difficoltà di garantire il personale per l’accompagnamento in ospedale e dalla disponibilità degli specialisti ospedalieri. Sarebbe opportuno attivare le cure in carcere e dotare le strutture di strumentazioni mediche”. La difficoltà dipende anche dalla carenza cronica di agenti: “In Campania abbiamo 4100 poliziotti penitenziari: ne mancano 400, il problema è gravissimo, così come quello del sovraffollamento. In Campania ci sono 7219 detenuti a fronte di 6120 posti, 1190 persone in sovrannumero”, ha evidenziato. Sui minorenni, Ciambriello ha ricordato a Nisida ci sono 57 detenuti minori e che, a 200 metri a Pozzuoli, c’è un altro carcere che ospita sei giovani detenute e, nel carcere minorile di Airola ce ne sono 32. Nel 2016 sono stati 5mila i minori in Campania denunciati, la cifra choc. Il presidente del Consiglio Regionale Rosetta D’Amelio ha chiesto “impegno per i minori”. “Occorre - ha aggiunto - sinergia con il ministero della Giustizia e con le associazioni di volontariato”. Santa Maria Capua Vetere (Ce): si uccide in cella il “re” dei falsi matrimoni di Mary Liguori Il Mattino, 21 ottobre 2017 Testa dentro una busta e gas aperto. Il compagno si sveglia e dà l’allarme. L’ironia di una sorte a volte davvero beffarda vuole che Gaetano Della Monica, 45 anni, in carcere per avere organizzato decine di falsi matrimoni per far ottenere la cittadinanza a stranieri clandestini, si sia ucciso per amore: ha lasciato un biglietto in cui parla della fine del suo matrimonio. Poche righe che, al momento, fanno propendere le indagini verso l’ipotesi del suicidio anche se saranno autopsia e esami calligrafici a chiarire definitivamente la vicenda. Della Monica è stato trovato con la testa dentro una busta vicino al tubo del gas del fornellino portatile della cella. Era già cadavere quando il suo compagno si è svegliato e ha dato l’allarme. Si è suicidato, almeno questo è ciò che emerge da quanto raccolto finora dai carabinieri della stazione di Santa Maria Capua Vetere, diretti dal maresciallo Mario Iodice che, allertati nella notte dalla direzione del penitenziario, sono arrivati all’”Uccella” di San Tammaro per chiarire cosa era accaduto al 44enne. Come detto, fu arrestato nel 2015 per avere organizzato decine di matrimoni civili a Pozzuoli, Giugliano, Miano e sul Litorale Domizio. Il re delle nozze per il permesso di soggiorno a quanto pare gestiva l’affare insieme alle sorelle, alla convivente ed altri complici. Prendevano soldi anche settemila euro - dagli stranieri e pagavano le donne (dai 25 ai 35 anni) disposte a convolare a finte nozze. Il meccanismo messo insieme dai Della Monica aveva innescato un flusso anomalo di arrivi dall’Iran e dall’Ucraina tanto da insospettire la polizia greca. Da qui le indagini, e la retata, nella quale Della Monica finì in carcere e con lui le sue sorelle. La sua morte sconvolge il penitenziario casertano dove, per dirla tutta, negli ultimi tempi si sono registrati numerosi casi di tensione, peraltro puntualmente denunciati dai sindacati di polizia penitenziaria. L’elenco di tutto ciò che è accaduto dall’estate scorsa ad oggi tra le mura della casa circondariale casertana inizia ad assumere le preoccupanti sembianze di un bollettino di guerra. Il 9 agosto, nel reparto Tevere, un detenuto italiano aggredisce con la mazza di una scopa il poliziotto di ronda. In quel momento, faranno poi sapere i sindacati, “l’agente è solo con 150 carcerati”. A innescare la furia del detenuto, la mancata autorizzazione a effettuare una telefonata ai familiari. Non passa neanche un mese e l’Uccella torna alla ribalta delle cronache. È il 5 settembre quando un georgiano cerca di dar fuoco alla sua cella. Otto giorni dopo, e siamo al 13 settembre, l’episodio forse più grave di tutti. Un 30enne del reparto “Nilo” accusato di omicidio e camorra, aggredisce due agenti. L’uomo, spiegheranno i sindacati, “voleva impedire che la sua cella venisse ispezionata: l’episodio è allarmante perché accaduto in un reparto difficile dove sono recluse 300 persone, alcune con problemi psichiatrici, altri ex tossicodipendenti. Un settore del carcere in cui ai detenuti viene lasciato molto tempo libero, una libertà che probabilmente ha innescato nel detenuto autore dell’aggressione l’idea che la perquisizione di cella, prevista dall’ordinamento, fosse un abuso”. È cronaca recentissima, invece, quella del tentativo di evasione messo in atto da un detenuto appena un mese fa. Il 26 settembre uno dei reclusi dell’Uccella tenta di scappare dal carcere di San Tammaro. Il piano di fuga fallisce grazie al tempestivo intervento degli agenti: l’uomo viene bloccato quando ha già scavalcato la cinta del cortile. Le criticità dell’Uccella non sono però un caso isolato. “In Campania ci sono 4.100 agenti di penitenziaria, ne mancano 400”, ha detto infatti, Samuele Ciambriello, nuovo garante in Campania “7.219 reclusi, ma i posti disponibili sono 6.120”. Napoli: “pochi controlli, quindi niente domiciliari”. Il Gip lascia in cella tre cingalesi di Leandro Del Gaudio Il Mattino, 21 ottobre 2017 Restano in carcere, non ottengono il beneficio degli arresti domiciliari, per un ragionamento fin troppo chiaro: “Vivono a Napoli, città ad alta densità criminale, nella quale il carattere saltuario dei controlli di polizia non sarebbe idoneo ad evitare il concreto pericolo di evasione, considerata anche l’elevata abilità degli indagati nel celare la propria reale identità”. Parole che non vengono scritte da un sociologo alle prese con gli stereotipi di sempre su Napoli e sulle tante forme di illegalità diffusa, ma da un giudice del Tribunale di Firenze. Parole messe nero su bianco, nell’ambito di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere da parte del gip fiorentino Paola Belsito, che ha firmato gli arresti di tre cittadini dello Sri Lanka, residenti in pieno centro storico e indagati per un reato che avrebbero commesso nel capoluogo toscano. Incensurati ma accusati di ricettazione di carte di credito e documenti di identità, con cui i tre cingalesi avrebbero provato ad acquistare in un negozio di telefonia due smart-phone di ultima generazione, attraverso un giochetto anche abbastanza elementare nel suo genere: avrebbero - secondo l’accusa - provato a cambiare documenti e carte di credito tra il primo e il secondo acquisto in modo da portare a casa un telefonino di ultima generazione. Parliamo di oltre mille euro. Un reato di quelli che ne vedi a decine in un’aula di Tribunale, tra direttissime e sezioni ordinarie, che finisce al centro di una storia che diventa degna di nota proprio per le parole usate dal giudice nel motivare l’ineluttabilità degli arresti. Fossero vissuti a Bolzano, a Treviso, magari a Siena o nella verde Umbria, quei tre presunti malviventi di basso profilo oggi avrebbero ottenuto gli arresti domiciliari o un meno grave obbligo di dimora. E invece no, c’è Napoli con la sua “alta densità criminale” conosciuta in tutto il mondo, ma anche il “carattere saltuario dei controlli di polizia” che per la verità è un argomento decisamente più opinabile: espressione che difficilmente potrà suonare come lusinghiera alle orecchie del Questore e del comandante provinciale dei carabinieri, frase tutt’altro che gratificante per chi quotidianamente è alle prese con la cattura di boss, killer, affiliati alla camorra o semplici delinquenti seriali. Fatto sta che ieri mattina, le motivazioni del Giudice delle Indagini Preliminari di Firenze hanno creato non poche perplessità all’interno del carcere di Poggioreale, dove il caso è stato affrontato per rogatoria da un giudice napoletano che in questa città ci vive, ci lavora ed è chiamato anche a valutare il lavoro riversato agli atti da polizia e forze dell’ordine. Spiega l’avvocato partenopeo Riccardo Ferone, difensore dei tre cittadini extracomunitari naturalizzati napoletani: “Cosa ne penso del ragionamento fatto dal gip del Tribunale di Firenzè Mi sono offeso come cittadino napoletano e sono esterrefatto come operatore del diritto”. Cagliari: istituita la figura del Garante comunale per i diritti dei detenuti sardegnaoggi.it, 21 ottobre 2017 Nella Città Metropolitana la figura del Garante per i diritti delle persone detenute o private della libertà personale. La Città Metropolitana di Cagliari, con deliberazione del suo Consiglio, si è dotata del Garante per i diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Considerata la presenza nel territorio metropolitano di due importanti istituti di penali come quello per i minori di Quartucciu e la Casa Circondariale di Uta, il Consiglio ha ritenuta opportuna l’istituzione della figura del Garante. Sarà il Sindaco Metropolitano a scegliere, tra le persone di indiscusso prestigio e di notoria fama nel campo delle scienze giuridiche, dei diritti umani delle attività sociali negli istituti di prevenzione e di pena e nei centri di servizio sociale, l’incaricato di assumere questo ruolo. L’incarico, che sarà svolto a titolo gratuito, avrà la durata del Consiglio Metropolitano. Pescara: una branda, uno sgabello e le sbarre. “Il mondo degli altri” in piazza Sacro Cuore di Janira Pacione pescara.cq24.it, 21 ottobre 2017 È un’iniziativa promossa dall’Associazione “Voci di Dentro” a Piazza Sacro Cuore per sensibilizzare la popolazione verso il grande problema della vita carceraria e le difficoltà del reinserimento sociale Oggi, sabato 21 ottobre, sia mattina che pomeriggio, una vera e propria cella, completa dell’umilissimo arredo di cui solitamente è dotata, una branda e un materasso, forse un tavolino o una semplice sedia, rimarrà esposta al pubblico. L’iniziativa sorge sulla base del grande problema legato alla vita carceraria, alle restrizioni, alla rieducazione che dovrebbe essere d’obbligo e che invece, troppo spesso manca; ragione per la quale spesso i detenuti, non percepiscono il disvalore delle azioni compiute che continuano per loro ad essere la normalità e l’unico problema per il futuro diventa quello di eludere la legge ed essere più bravi a non farsi cogliere sul fatto. Altre volte invece, la percezione c’è ed è forte, spesso spontanea ma troppo spesso, la fuori, una volta scontata la pena, la vita è ancora più spietata di quella che si svolge all’interno del carcere e l’unica via di fuga, è rappresentata dal tornare alla vecchia vita a volte anche non volendo. Altre, ma troppo poche invece, la possibilità del reinserimento sociale, normale, tanto auspicato, si concretizza. Questa terza chance, dovrebbe essere l’unica per eliminare le due precedenti in una società civile che si rispetti perché l’uomo, spesso posto di fronte al dramma del bivio, perde la stima di se stesso, la voglia di vivere, la voglia di rimettersi in carreggiata e allora la pena non è più un deterrente, ma la causa di un’apatia senza ritorno, di una rabbia depressiva distruttiva verso se stessi o verso gli altri. Attualmente il progetto sperimentale ed educativo “La Città”, realizzato con la collaborazione dell’amministrazione penitenziaria e il personale educativo, fa si che ogni giorno studenti e volontari possano trovarsi a contatto con i detenuti all’interno di un capannone nell’area del carcere ma fuori dalla zona delle celle e delle aree di interdizione, per far sì che coloro che partecipano a laboratori formativi e professionali che vanno dalla fotografia alla musica alle realizzazioni attinenti l’hobbistica, dalla sartoria al cinema e tanto altro, possano essere rieducati e sentirsi utili. Il progetto è finalizzato all’apprendimento di un’attività onesta e al rispetto degli altri per dare loro una nuova chance evitando di ripetere condotte atte a riproporre l’esperienza carceraria. Cosenza: presentato “Controluce”, libro con i racconti di 40 detenuti csvcosenza.it, 21 ottobre 2017 Come un fiore, da bambino, avevo un grande sole: mia madre. Ho cercato di tenere in vita il mio giardino fino a quando il mio sole si è spento. Dopo la morte di mia madre ho cominciato a distruggere il giardino fino a quando non ho trovato l’amore, ma, il terreno non era fertile. Ora, dopo tanto tempo, ho ritrovato il mio giardino e cerco di curarlo, di far crescere fiori e sogni, pormi degli obiettivi, anche se sono consapevole che ci sono e ci saranno degli ostacoli. Salvatore sta scontando la sua pena in carcere. Ha affidato a carta e penna pensieri ed emozioni. Questo suo breve racconto è stato inserito nel libro “Controluce” a cura della giornalista Rosalba Baldino, edito da Dignità del Lavoro. Il volume è stato presentato ieri all’istituto penitenziario di Cosenza alla presenza di rappresentanti delle istituzioni, studenti universitari e volontari e racchiude i racconti di altri 39 detenuti di alta e media sicurezza delle case circondariali di Paola e Cosenza che hanno partecipato al laboratorio di scrittura creativa realizzato nell’ambito del progetto Liberi di Leggere, promosso dall’associazione di volontariato LiberaMente e finanziato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con il bando Direttiva 266/91, annualità 2014. Il progetto ha visto l’implementazione della biblioteca del carcere di Cosenza con arredi e libri, la realizzazione di reading e incontri con gli autori ed il coinvolgimento della cittadinanza tramite la possibilità di lasciare un “libro sospeso” per la biblioteca. Il libro è stato consegnato ai detenuti da personaggi autorevoli del mondo delle istituzioni, del volontariato e della cultura tra cui il prefetto di Cosenza, Gianfranco Tomao, il presidente della Provincia, Francesco Iacucci, il consigliere regionale Giuseppe Aieta, il delegato al welfare del Comune di Cosenza, Alessandra De Rosa, il presidente di LiberaMente, Francesco Cosentini e il presidente del CSV Cosenza, Gianni Romeo. L’occasione è stata utile anche per lanciare una riflessione sul dopo carcere. “Le istituzioni dovrebbero pensare a creare un’agenzia per l’inclusione sociale” - ha dichiarato Cosentini. Intanto, proprio grazie al progetto, è nato un punto di lettura e studio all’interno delle mura carcerarie. “Si aprono nuove prospettive per la realizzazione di un polo universitario - afferma il direttore della casa circondariale, Filiberto Benevento - che consentirebbe ai detenuti di avviare e proseguire gli studi”. Al progetto Liberi di Leggere è stato assegnato il Premio Antonio Proviero Città di Trenta e il Premio persona e comunità del Centro studi cultura e società di Torino. Roma: il film “Non è un paese per giovani” premiato dai detenuti di Rebibbia news.cinecitta.com, 21 ottobre 2017 “Non è un paese per giovani”, di Giovanni Veronesi vince la prima edizione del Premio “Altri Sguardi - Cinema e solidarietà in carcere”. Il premio è stato assegnato da una giuria composta da 20 detenuti della sezione maschile del carcere di Rebibbia a Roma perché: “Attraverso una tematica attuale come quella della difficoltà delle giovani generazioni a inserirsi nel mondo del lavoro, il regista riesce a far riflettere su argomenti molto più profondi, quali la vita, l’amicizia, la malattia psichica e anche la morte, raccontando il tutto con una filosofia molto personale. Si parla anche del rischio che ognuno di noi può correre al giorno d’oggi nel perdersi nel nulla, specie quando la vita stessa non ci riserva quello che avremmo voluto”. A Sara Serraiocco, per la semplicità e bravura con cui ha interpretato un personaggio particolarmente complesso, è stata assegnata una Menzione Speciale. La giuria ha inoltre conferito un premio speciale a Tutto quello che vuoi di Francesco Bruni perché:” Con grande coraggio e maestria il regista trasmette emozioni importanti che fanno riflettere moltissimo lo spettatore, mettendo davanti alla macchina da presa un ragazzo molto giovane, con poca esperienza d’attore ma bravissimo proprio perché vero, insieme ad un non attore, ma sicuramente uno dei più grandi registi italiani che interpreta benissimo un anziano signore malato di Alzheimer, immerso nei ricordi tra amore e cultura di una vita passata. Forse la più bella storia raccontata in questa rassegna”. Come evento di chiusura, a sorpresa, è stato presentato Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti e sono intervenuti il regista e gli interpreti del film Claudio Santamaria e Ilenia Pastorelli. Non è la prima volta che i detenuti affrontano, anche attraverso un confronto e un dibattito sui temi proposti dai film selezionati, un’esperienza che nasce dalle suggestioni e dagli spunti di riflessione del racconto cinematografico. È senza dubbio l’occasione di un confronto speciale, però, la formula che Altri sguardi, ideata e promossa dall’Associazione Mètide, ha messo in campo - con il sostegno del Mibact, Direzione Generale per il Cinema - costruendo un confronto d’opinione sugli spunti suggeriti dalle sceneggiature dei film scelti per questa prima esperienza. Con questa rassegna l’Istituto ha accolto un progetto articolato, oltre i film, sulla creazione di uno sportello di counseling, un supporto per il personale al lavoro nell’Istituto, e un laboratorio che seguirà la rassegna - esclusivamente destinato alle detenute - con un’esperienza formativa attraverso la sceneggiatura. Siena: inaugurata mostra di dipinti dei detenuti al policlinico di Santa Maria alle Scotte ilcittadinoonline.it, 21 ottobre 2017 L’impegno e la sensibilità dei detenuti del carcere Santo Spirito di Siena rendono più confortevole e accogliente il reparto di Pediatria Neonatale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, diretto dal professor Giuseppe Buonocore. È il risultato del progetto della Casa Circondariale di Siena e del policlinico Santa Maria alle Scotte, in collaborazione con Croce Rossa Italiana, denominato “Accoglienza colorata-dipingo la Pin”, grazie al quale sono stati donati al reparto dipinti realizzati dai detenuti sul tema della maternità e paesaggi toscani. All’inaugurazione dei quadri hanno partecipato il direttore generale dell’Aou Senese, Valtere Giovannini, che ha ringraziato la Casa Circondariale per la grande sensibilità e generosità dimostrata, l’assessore alla Salute del Comune di Siena, Anna Ferretti, il direttore della Casa Circondariale di Siena Sergio La Montagna, l’educatrice del carcere Maria Josè Massafra e l’insegnante d’arte per i detenuti Monica Minucci. Nel marzo del 2016 il progetto “Arte in carcere” aveva già portato ad una prima donazione di 17 quadri, rappresentanti le Contrade. “Siamo molto grati ai detenuti del carcere senese - afferma il professor Buonocore - che abbelliscono notevolmente il reparto con vere opere d’arte. Questo progetto rappresenta una bella opportunità per i detenuti e permette di rendere il reparto sempre più accogliente”. “Anche l’arte può essere uno strumento di rieducazione - ha detto il dottor Sergio La Montagna - Ringrazio tutto lo staff che ha portato alla realizzazione e installazione dei quadri e, in particolare, ringrazio la Polizia Penitenziaria che svolge un ruolo delicato e ci aiuta a portare avanti queste iniziative”. “L’idea del progetto - ha concluso la dottoressa Lucia Rappuoli, assistente sociale referente del gruppo ascolto in Pediatria Neonatale - è quella di rendere sempre più ospitali questi spazi offrendo immagini piacevoli sia ai genitori, sia ai professionisti della nostra azienda. Con il nostro gruppo di ascolto abbiamo raccolto i suggerimenti delle mamme dei piccoli ricoverati, e la collaborazione con la Casa Circondariale di Siena è stata proficua e ricca di soddisfazioni reciproche”. “Giustizia, pace e accoglienza”, il popolo dei movimenti in piazza contro il razzismo di Marino Bisso La Repubblica, 21 ottobre 2017 Il corteo, da piazza della Repubblica all’Esquilino, sabato 21 ottobre, con rifugiati o richiedenti asilo, centinaia di associazioni, studenti, sindacati e partiti. “Manifestiamo l’umanità che ci unisce”, la lettera appello firmata da monsignor Nogaro, don Ciotti, Camilleri, Ovadia, Servillo, Massafra, Castellina, Petrini. “Contro il razzismo, per la giustizia e l’uguaglianza”. È lo slogan del manifesto che aprirà il corteo di sabato 21 ottobre, sarà tenuto dalle ragazze e ragazzi rifugiati o richiedenti asilo che formeranno il primo spezzone. Subito dopo lo striscione di #italiani senza cittadinanza e a seguire centinaia di associazioni, gli studenti, i sindacati e infine i partiti che hanno aderito. Torna in piazza il popolo dei movimenti, della protesta “no wall” e della pace per dire “no alla xenofobia e all’intolleranza” e per ribadire invece i valori di una società civile e inclusiva basata sulla solidarietà, accoglienza, rispetto dei diritti e non violenza. La giornata di mobilitazione inizia al mattino con un torneo di calcio tra squadre multietniche - formate da ragazzi degli Sprar e ragazzi italiani - di diverse città nel campo sportivo XXV aprile a Pietralata. Cominceranno gli atleti della Rfc Lions di Caserta che incontreranno l’atletico San Lorenzo. Tutti poi si uniranno al corteo. Al pomeriggio alle 15 il corteo che partirà da piazza della Repubblica e percorrerà, viale Einaudi, piazza dei Cinquecento, via Cavour, piazza dell’Esquilino, via Liberiana, piazza S. Maria Maggiore, via Merulana, viale Manzoni, via Emanuele Filiberto fino ad arrivare in piazza Vittorio Emanuele. Qui, si alterneranno interventi e testimonianze di giovani di origine straniera a brani musicali. La conduzione è affidata a Francesca Fornario: “In tante e tanti sabato ribadiremo la volontà di vivere in un paese diverso, inclusivo e in un continente che non resti fortezza inespugnabile per chi aspira ad una vita migliore”. “Vogliamo attraversare insieme le strade di Roma e renderci visibili con una marea di uomini, donne e bambini che chiedono eguaglianza, giustizia sociale e che rifiutano ogni forma di discriminazione e razzismo - spiegano gli organizzatori - Migranti, richiedenti asilo e rifugiati che rivendicano il diritto a vivere con dignità insieme a uomini e donne stanchi di pagare le scelte sbagliate di governi che erodono ogni giorno diritti e conquiste sociali, rendendoci poveri, insicuri e precari. Associazioni, movimenti, forze politiche e sociali, che costruiscono ogni giorno dal basso percorsi di accoglienza e inclusione e che praticano solidarietà insieme a migranti e richiedenti asilo, convinti che muri e confini di ogni tipo siano la negazione del futuro per tutti. Ong che praticano il soccorso in mare e la solidarietà internazionale. Persone nate o cresciute in Italia, che esigono l’approvazione definitiva della riforma sulla cittadinanza. Giornalisti che tentano di fare con onestà il proprio mestiere, raccontando la complessità delle migrazioni e prestando attenzione anche alle tante esperienze positive di accoglienza. Costruttori di pace mediante la nonviolenza, il dialogo, la difesa civile, l’affermazione dei diritti umani inderogabili in ogni angolo del pianeta e che credono nella libertà di movimento”. Una società dell’accoglienza. Alla base della manifestazione l’analisi delle tensioni e contraddizioni che segnano la vita di tutti i giorni. “In un momento difficile della storia del paese e del pianeta intero, dobbiamo decidere fra due modelli di società. Quello includente, con le sue contraddizioni e quello che si chiude dentro ai privilegi di pochi. Sembriamo condannati a vivere in una società basata su una solitudine incattivita e rancorosa, in cui prendersela con chi vive nelle nostre stesse condizioni, se non peggiori, prevale sulla necessità di opporsi a chi di tale infelicità è causa - sostengono i promotori della giornata no-razzismo - Una società che pretende di spazzare via i soggetti più fragili a partire da chi ha la “colpa” di provenire da un altro paese, rievocando un nazionalismo regressivo ed erigendo muri culturali, normativi e materiali. Una società in cui il prevalere di un patriarcato violento e criminale è l’emblema evidente di un modello tradizionale che sottopone le donne alla tutela maschile e ne nega la libertà. Disagio e senso d’insicurezza diffuso sono strumentalizzati dalla politica, dai media e da chi ha responsabilità di governo. Si fomentano odi e divisioni per non affrontare le cause reali di tale dramma: la riduzione di diritti, precarietà delle condizioni di vita, mancanza di lavoro e servizi”. Le politiche sull’immigrazione - Il movimenti chiedono l’eliminazione della legge Bossi-Fini, del decreto Minniti Orlando e nuove politiche nazionali ed europee sull’immigrazione: “Eppure sperimentiamo quotidianamente, nei nostri luoghi di vita sociale, solidarietà e convivenza, intrecciando relazioni di eguaglianza, parità, reciproca contaminazione, partendo dal fatto che i diritti riguardano tutte e tutti e non solo alcuni. Chiediamo la cancellazione della Bossi-Fini che ha fatto crescere irregolarità, lavoro nero e sommerso, sfruttamento e dumping socio-lavorativo. Denunciamo l’uso strumentale della cooperazione e le politiche di esternalizzazione delle frontiere e del diritto d’asilo. Gli accordi, quasi sempre illegittimi, con paesi retti da dittature o attraversati da conflitti; le conseguenze nefaste delle leggi approvate dal parlamento su immigrazione e sicurezza urbana che restringono i diritti di migranti e autoctoni (decreti Minniti Orlando) di cui chiediamo l’abrogazione; le violazioni commesse nei centri di detenzione in Italia come nei paesi a sud del Mediterraneo finanziati dall’UE. Veri e propri lager, dove i migranti ammassati sono oggetto di ogni violenza. Esigiamo che delegazioni del parlamento europeo e di quelli nazionali si attivino per visitarli senza alcun vincolo o limitazione. Chiediamo canali di ingresso sicuri e regolari in Europa per chi fugge da guerre, persecuzioni, povertà, disastri ambientali. Occorrono politiche di accoglienza diffusa che vedano al centro la dignità di chi è accolto e la cura delle comunità che accolgono. Politiche locali che antepongano l’inclusione alle operazioni di polizia urbana. E occorre un sistema di asilo europeo che non imprigioni chi fugge nel primo paese di arrivo. Il 21 ottobre uniamo le voci di tutte le donne e gli uomini che guardano dalla parte giusta, cercano pace e giustizia sociale, sono disponibili a lottare contro ogni forma di discriminazione e razzismo. “Manifestiamo L’umanità che ci unisce”, la lettera appello per la manifestazione vede tra i primi firmatari: monsignor Raffaele Nogaro, don Luigi Ciotti, Andrea Camilleri, Moni Ovadia, Toni Servillo, Giuseppe Massafra, Luciana Castellina e Carlo Petrini. “Condividiamo le ragioni della manifestazione del 21 ottobre contro il razzismo a Roma, testimoniamo l’umanità che ci unisce - si legge nella lettera - Rifiutiamo le distinzioni e le etichette con le quali si classificano gli sventurati che attraversano l’Africa e il Medio Oriente sperando nell’accoglienza dell’Italia e dell’Europa. I rifugiati come i cosiddetti migranti economici tentano tutti di sfuggire alla morte: morte per guerra o morte per fame. Ma la risposta europea è stata la chiusura della rotta balcanica prima e della rotta libica poi, e il Mediterraneo è diventato il cimitero di oltre cinquantamila migranti. La strada degli accordi con i regimi dei paesi dell’altra sponda non solo implica aiuti economici a governi opachi dalla democrazia malconcia, ma il prezzo dell’alleanza con le milizie libiche vuol dire costruire un inferno dove i migranti sono torturati, stuprati o mandati a morire di sete nel deserto, come ha denunciato l’Onu. Noi non vediamo, non sappiamo o fingiamo di non vedere e non sapere? Siamo consapevoli di avere una parte di responsabilità in questo disastro? Il surriscaldamento del globo terrestre correlato al nostro sistema di vita aggraverà i problemi climatici, e la crisi alimentare in Etiopia, Somalia, Sud Sudan, Nord Kenya e Lago Ciad creerà altra fame. Le armi vendute in Sudan, Somalia, Eritrea, Centro Africa, Mali contribuiscono ad incrementare guerre sempre più feroci. E non si dica “Aiutiamoli a casa loro” perché - colmo di ipocrisia - la politica economica verso l’Africa è un saccheggio di materie prime e, in seguito ad accordi a svantaggio dei paesi africani, sarà causa di ulteriore impoverimento. Se questo si tace, non si capisce perché tanta gente fugge e si diffonde la paranoia dell’ invasione. Da qui alla xenofobia e al razzismo il passo è breve. Quando criminalizziamo i migranti definendoli clandestini, neghiamo l’umanità delle persone. Calpestiamo quei diritti sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, per cui si ha diritto ad una vita sicura, alla libertà di movimento e ad una esistenza dignitosa. Svalutiamo quanto abbiamo raggiunto, dopo il buio delle guerre mondiali che hanno devastato l’Europa, mentre invece la Convenzione di Ginevra vieta il respingimento se vita e libertà sono minacciate. Ma non sono queste le prospettive peggiori: negando l’uguaglianza e la libertà delle persone, diventando discriminanti di fronte alla diversità e alla povertà, rischiamo di distruggere quei valori che i nostri padri hanno difeso creando l’Europa patria dei diritti. Il danno potrebbe essere enorme ed imprevedibile, e potrebbe ricadere anche su di noi. Non siamo di fronte a nessuna invasione, invenzione mediatica, e di altro invece ci si dovrebbe preoccupare. Non solo le nascite sono scarse, ma l’Italia è tornata ad essere un paese di emigranti: giovani soprattutto che espatriano deprivando il paese di energie vitali. Per il momento, ancora nessuno osa dirgli che vanno a rubare il lavoro all’estero. Abbiamo bisogno di giovani, ragazze e ragazzi italiani e nuovi cittadini, per costruire il futuro di questo paese; abbiamo bisogno di accoglienza, solidarietà e speranza. Di responsabilità e lealtà nel servizio della politica, dell’informazione e della creazione di coscienza pubblica contro chi semina odio, paure e violenza. Per questo ci appelliamo alle persone di buona volontà. Senza timore di testimoniare, manifestiamo l’umanità che ci unisce”. Le adesioni alla manifestazione A Buon Diritto, A MM-Archivio delle memorie migranti, A.C.S.E. (Associazione Comboniana Servizio Emigrati e Profughi), Action Aid, ADIF (Associazione Diritti e Frontiere), Africa Unite, Agenzia Habeshia, Alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza - Bologna, Altramente, Amnesty International Italia, Antigone, AOI, Arci, Arcigay Napoli, Arcs, ARS (Associazione per il rinnovamento della sinistra), Articolo 3 Osservatorio sulle discriminazioni, ASGI, ASI (Associazione solidarietà internazionale), Asinitas Onlus, Assemblea Antirazzista Antifascista - Vicofaro/Pistoia, Associazione “Joy e gli altri”, Associazione PAPANGO, Associazione “Con...Officine Gomitoli”, Associazione “CittàVisibili” Firenze, Associazione A Sud, Associazione Chi rom e...chi no, Associazione CIAC onlus di Parma, Associazione Cultura è Libertà, Associazione culturale LA COORTE di Campi Salentina (LE), Associazione culturale la festa dei folli, Associazione Dhuumcatu, Associazione d’iniziativa politica e culturale “In comune”, Associazione Gylania di Perugia, Associazione Insieme Onlus di Vicchio Firenze, Associazione Italia - Nicaragua, Associazione K_Alma, Associazione Laboratorio 53 Onlus, Associazione Laura Lombardo Radice, Associazione Le Mafalde Prato, Associazione Linearmente Onlus, Associazione Marco Mascagni, Associazione Maschile Plurale, Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba, Associazione nazionale di solidarietà con il popolo Sahrawi (ANSPS), Associazione Nazionale Giuristi Democratici, Associazione per la Pace Nazionale, Associazione Spazio Libero, Associazione Sucar Drom, Associazione Transglobal, Associazione Voci della Terra, Associazione Welcome in Val di Cecina Onlus, AssoPacePalestina, Attac Italia, Baobab Experience, Bottega Equosolidale “Tutta n’ata storia” - Nocera Inferiore (SA), Camera del Lavoro CGIL Rieti Roma Est Valle dell’Aniene, Campagna LasciateCIEntrare, Campo Progressista, Casa Internazionale delle Donne, Casetta Rossa, Centro Riforma dello Stato, Cesv (Centro di Servizio per il Volontariato), Cild, CIPSI, Circolo culturale cerco...piteco di Roma, Circolo culturale left / Vibra di Modena, Cittadinanza e Minoranze, Cittadinanzattiva, Cnca, Coalizione Civica di Bologna, Coalizione Sociale - L’Aquila, Cobas, Comitato 3e32 - L’Aquila, Comitato Accoglienza Solidale, Castelnuovo di Val di Cecina, Comitato Aqcua pubblica Nocera Inferiore, Comitato Fiorentino Fermiamo la Guerra, Comitato Organizzatore “Convegno Libertà delle donne 21 sec. “, Comitato per gli Immigrati e contro ogni forma di discriminazione, Comitato Popolare Antirazzista “Milet Tesfamariam” - Genova, Comitato Popolare Antirazzista Milet Tesfamariam Genova, Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos, Comune-info.net, Comunità Cristiana di Via Caldieri, Coop. Agorà Kroton, Coop. Gea Irpina Impresa Sociale Fattoria Sociale Onlus, Cooperativa Be free, Cooperativa Sociale Dedalus, Cooperativa Sociale La Nuova Arca, Coordinamento Basta morti nel Mediterrraneo - Firenze, Coordinamento genitori democratici di Roma, Coordinamento nord sud del mondo, Coordinamento per la democrazia Costituzionale, Coordinamento per la Democrazia Costituzionale di Roma, COSPE, Cotrad Cooperativa Sociale - Onlus, Cultura è libertà, Donne in rete per la rivoluzione gentile, E Zezi gruppo operaio, Emergency, Emmaus Italia, Ex Opg - Je So Pazzo, Filef (Federazione Italiana Lavoratori Emigranti e Famiglie), Fiom-Cgil, Flc Cgil, Focus-Casa dei Diritti Sociali, Fondazione Cercare Ancora, Forum Droghe onlus, Forum Permanente del Sostegno a Distanza - Forumsad Onlus, ForumSad Italia, Gesco, Giornale “Il Bolscevico”, Giuristi Democratici di Roma, Greenpeace Italia, Gruppo Abele, gruppo Murga Sincontrullo, Gruppo PaLaDe (sez. Roma nordovest Alleanza per la Democrazia e l’Uguaglianza), Gruppo promotore della DIP (Dichiariamo Illegale la Povertà), il manifesto, Italiani senza cittadinanza, Kumpania impresa sociale, l’Altra Europa con Tsipras, LegaCoopSociali Nazionale, Legambiente, Libera, Libertà e Giustizia, Link Coordinamento Universitario, Lunaria, Medici Senza Frontiere, MEDU, Movimento Consumatori, Movimento Nonviolento, Nelpaese.it, Noi Siamo Chiesa, movimento per la riforma della Chiesa cattolica, Osservatorio Migranti di Basilicata, Pmli, Possibile, Prc S.E, Progetto Diritti, Progetto Ubuntu Firenze, Radicali italiani, Redazione periodico Lavoro e Salute, Reorient Onlus, Rete Antirazzista Fiorentina, Rete degli Operatori e delle Operatrici Sociali, Rete degli Studenti Medi, Rete della Conoscenza, Rete della Pace, Rete delle Città in Comune, Rete ECO - Ebrei contro l’occupazione, Rete italiana delle Donne in Nero, Rete nazionale “Educare alle differenze”, Rete #NOBAVAGLIO pressing - Liberi di essere informati, Rete Primo Marzo, Rete Radiè Resch, Rete Scuole Migranti, ReteRomana Palestina, S.E.I. Sindacato Emigranti e Immigrati, Senzaconfine, Servizio Civile Internazionale, Sinistra Italiana, SOS Razzismo Italia, Sprar “Valeria Solesin” (AV), Sud Pontino Social Forum, Train to Roots, Uds, Udu, Uisp, Un ponte per..., Una città in comune Pisa, Unione Sindacale Italiana fondata nel 1912, UsACLI, WILPF Italia. Migranti. Ius soli, “il caffè” corretto all’omologazione anti immigrati di Patrizio Gonnella Il Manifesto, 21 ottobre 2017 Gentile Massimo Gramellini, lei scrive nel suo caffè mattutino che: “Una bambina di Modena iscritta alla seconda elementare si ritrova in classe, unica italiana, con diciotto bimbi di altre etnie che la isolano durante la ricreazione, parlano altre lingue, non vanno alle sue feste e non la invitano alle loro. È la realtà di certi quartieri-ghetto poco frequentati dai radical chic, dove si sperimenta la sgradevole sensazione di sentirsi ospiti a casa propria e di subire quelle discriminazioni che in ogni parte del mondo insidiano le minoranze. La scuola della discordia si difende ricordando che la metà dei bambini di quella classe è nata in Italia. Un particolare che soddisferà uno dei requisiti del futuro ius soli, ma che di per sé non significa nulla, se le famiglie di provenienza degli alunni continuano a educarli secondo i loro pregiudizi. Infatti, secondo le accuse, a fare precipitare la situazione sarebbe stata la mamma marocchina di una di queste bimbe, che avrebbe istigato la figlia a maltrattare la piccola modenese. L’integrazione resta l’unica carta per una civiltà che ha smesso di fare figli e si ritrova a condividere i suoi spazi con chi invece di figli ne fa ancora. Ma come non la si favorisce erigendo muri, così non la si aiuta calando le braghe. E cioè creando ghetti in cui i pochi di origine italiana sono costretti a recitare la parte degli intrusi”. Lei ha a disposizione platee televisive, media di massa, giornali mainstream e quindi le sue parole pesano nella formazione delle coscienze. Premetto che non sono radical-chic. Non amo il cinema radical-chic minimalista italiano. Mio padre aveva conseguito a Bari la licenza elementare giusto per poter essere assunto come impiegato alle Poste. Era socialista. Credeva nell’uguaglianza. Dunque le mie origini non sono radical-chic. Mi piace il calcio, cosa che i radical-chic non amano. Spero che il Napoli vinca lo scudetto. Diego Armando Maradona è stato l’antitesi del radical-chic. Ascolto a palla Bruce Springsteen e potrei cliccare dieci volte di seguito sul brano At Folsom Prison di Johnny Cash, che per storia e caratteristiche è l’opposto degli artisti radical-chic. Non penso che mio padre, Bruce Springsteen, Johnny Cash e forse anche Diego Armando Maradona sarebbero d’accordo con lei. Hanno tutti una visione non radical-chic ma autentica, a tratti profonda, personale, dei rapporti sociali. Non basta fotografare una vicenda per commentarla. Bisogna rendersi conto degli effetti indiretti delle proprie parole, soprattutto in un momento storico dove il razzismo è sdoganato e i populismi urlano trionfanti e ci minacciano anche personalmente. È certo che il problema della scuola modenese è quello che lei racconta e non invece una ghettizzazione dei migranti con cui nessun vuole avere a che fare per pregiudizi diffusi? Può essere mai che tutto nasca da una mamma marocchina che istiga sua figlia a maltrattare un’amichetta? Perché non sentire in profondità quello che raccontano le insegnanti, ossia che metà dei bambini sarebbero italiani se solo gli avessimo dato la cittadinanza. Non essendo radical-chic ho una famiglia numerosa e tre figli piccoli. Le dico per cognizione di causa che i muri li ergono i grandi, come noi e come lei, e non i bambini, disposti sempre a divertirsi con tutti, a prescindere da nazionalità, religioni e culture. Lo ius soli è una norma di civiltà. La presenza nelle scuole di figli di stranieri immigrati non è segno di uno Stato che si cala le braghe ma di uno Stato aperto, sereno e democratico. Le forze politiche e gli opinionisti hanno oramai da tempo rinunciato a svolgere una funzione pedagogica di massa, invece prevale il pensiero omologato anti-immigrati, che usa le sue stesse parole come ad esempio “casa propria”. L’idea di Stato come casa propria è poco lungimirante. Io vorrei sentirmi a casa mia anche a Londra, anche se hanno votato la Brexit. Nel sud siamo abituati a dire “fai come se stai a casa tua”, per far sì che una persona sia a proprio agio. Detto questo, uno, dieci, cento, mille radical-chic se sono disposti a integrare i loro figli in scuole dove per caso o per scelta vi sia una prevalenza di ragazzini immigrati. E soprattutto viva la scuola pubblica universalista. Migranti. Vittime della tratta e sfruttatori insieme nei centri di accoglienza di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 21 ottobre 2017 La denuncia del responsabile immigrazione della Caritas in un convegno a roma. Sfruttamento della prostituzione, soprattutto nigeriana, e caporalato sono stati più volte evidenziati dalle associazioni che vigilano sui diritti all’interno delle strutture. Prostituzione, sfruttamento lavorativo e accattonaggio nei centri di accoglienza per gli immigrati. Una denuncia che è arrivata direttamente da un convegno organizzato dal Dipartimento Pari opportunità che si è tenuto a Roma. Nel corso del convegno, il responsabile immigrazione della Caritas, Oliviero Forti, ha dichiarato: “Nei centri di accoglienza straordinaria, le vittime di tratta vivono accanto ai propri sfruttatori. È una realtà nota, alla quale finora non si è riusciti a dare alternativa”. Più volte, varie associazioni che vigilano sui diritti umani come LasciateCIEntrare, hanno denunciato le criticità dei centri di accoglienza. Gli staff risultano spesso impreparati a gestire il fenomeno complesso dell’accoglienza: operatori che non conoscono neppure l’inglese, sprovvisti di formazione in materia di protezione internazionale; molte delle strutture presenti in Campania, in particolare lungo il litorale Domizio, sono dotate di un unico operatore per la mediazione, accompagnamento in questura, presso la Asl e in ospedale, distribuzione dei pasti e gestione di eventuali situazioni di malcontento degli ospiti. Diversi i casi di operatori impegnati di fatto a tempo pieno, a fronte di contratti di lavoro part-time, sia casi di lavoratori non retribuiti che, pertanto, abbandonano il centro dopo poche settimane. Una situazione che determina un turn- over continuo, a discapito delle attività di accoglienza ed assistenza, che vengono ridotte al minino indispensabile. Ed è proprio questa assistenza inadeguata e l’assenza di percorsi di inclusione è fonte di frequenti casi di depressione o di ingresso dei migranti nei circuiti del caporalato, del lavoro nero, dello spaccio e della prostituzione. La tratta delle prostitute, in so- stanza, passa anche attraverso i centri di accoglienza. Le vittime principali sono soprattutto le nigeriane. Gli sfruttatori non devono più inventarsi, come un tempo, nomi e passaporti falsi, per imbarcare le loro prede su un aereo. Ora usano i canali ufficiali dell’accoglienza organizzata. Le schiave vengono mandate a compiere lo stesso esodo dei migranti in fuga: nel deserto, su un gommone in mezzo al Mediterraneo, finché non arrivano a destinazione in un centro di accoglienza italiano, come un pacco postale spedito dalla Nigeria. Poi c’è il caporalato, una piaga che coinvolge anche gli immigrati ospiti nei centri di accoglienza. L’ultimo episodio di cronaca risale a un mese fa, in Calabria. Due fratelli erano stati arrestati e posti ai domiciliari dai carabinieri della Compagnia di Paola nell’ambito di un’operazione contro il caporalato: sono stati accusati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, aggravati dalla discriminazione razziale. Da quanto accertato i 2 avrebbero fatto lavorare in nero nella loro azienda agricola migranti africani, oltre a romeni e indiani, e la paga variava in base al colore della pelle. I “bianchi”, infatti, prendevano 10 euro in più degli altri, 35 euro contro 25 al giorno. Quelli “neri”, principalmente provenienti dalla Nigeria, Gambia, Senegal e Guinea Bissau, venivano solitamente prelevati in una parallela del centro di accoglienza “Ninfa Marina” e portati a lavorare nell’azienda agricola dei due fratelli. Zimbabwe. Cinquanta candidati per un posto di boia di Giampaolo Cadalanu La Repubblica, 21 ottobre 2017 Dal 2005 il Paese africano non porta a termine un’esecuzione, applicando una moratoria de facto. Ora però la Corte Costituzionale ha bocciato il ricorso di un gruppo di condannati, che contestano l’eccessiva permanenza nel braccio della morte. È un posto di lavoro pubblico, disponibile da oltre dieci anni, e ragionevolmente sicuro, almeno fino a quando la legge cambierà. Questo devono aver pensato gli oltre cinquanta aspiranti che si sono candidati al ruolo di boia nello Zimbabwe. Nel Paese africano l’ultima esecuzione è stata portata a termine nel 2005: dopo di che le condanne capitali sono andate avanti, ma il governo di Harare ha applicato una specie di moratoria de facto. Ora però qualcosa si muove: la Corte costituzionale ha bocciato il ricorso presentato da quattordici detenuti che volevano far commutare la condanna per il prolungamento della loro presenza nel braccio della morte, che a seconda dei casi va da quattro fino a 18 anni. La sentenza della suprema Corte ha costretto il ministero della Giustizia a valutare le candidature, anche se per ora non c’è una data indicata per l’inizio del lavoro. La gente è molto interessata, ha detto al giornale locale Newsday Virginia Mabhiza, sottosegretaria alla Giustizia. Nel “braccio” dello Zimbabwe sono detenute 92 persone: secondo il ministero potranno essere portate a termine le esecuzioni solo per i condannati maschi fra i 18 e i 69 anni, gli altri sono protetti da una nuova norma. In realtà la moratoria de facto è considerata un passo - sia pure non ammesso pubblicamente - verso l’abolizione della pena capitale, con aperta soddisfazione dei gruppi abrogazionisti. L’ex ministro della Giustizia, Emmerson Mnangagwa, oggi vicepresidente, aveva più volte dichiarato che sotto il suo controllo il Paese non avrebbe mai applicato la pena di morte. Anche il successore, Happyton Bonyongwe, ex capo dei servizi di intelligence, in passato si è dichiarato favorevole alla scomparsa dei boia. Per una volta, forse, l’assunzione di personale pubblico destinato a non fare niente può essere considerata una buona notizia.