Mai più Opg. La parola a Montecitorio di Stefano Cecconi Il Manifesto, 3 maggio 2017 Sono usciti ieri dall’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto gli ultimi due internati, per essere ricoverati nella Rems di Barete (Aq), che in via eccezionale e provvisoria ha accolto persone da fuori regione proprio per far chiudere l’ultimo dei sei Opg italiani. Finisce così finalmente la storia dell’estremo baluardo del manicomio, rimasto aperto anche dopo la riforma Basaglia. Ma non finisce la nostra battaglia: ora dobbiamo fare in modo che l’alternativa alla logica manicomiale dell’Opg non si riduca alle sole Rems (Residenze per le misure di sicurezza), strutture sanitarie certamente migliori ma pur sempre detentive. La vera sfida, come prescrive la riforma, la legge 81/2014, è offrire percorsi di cura e riabilitazione con misure alternative alla detenzione. Perché ciò sia possibile bisogna dare forza ai servizi di salute mentale nel territorio e al welfare locale. E sostenere una collaborazione fra Magistratura, Regione, Asl e Dipartimenti di Salute Mentale (Dsm). Nel frattempo bisogna rendere le Rems soluzioni di passaggio, attraversabili, aperte, parte integrante delle comunità. E soprattutto non devono riprodurre, come ci è capitato a volte di vedere, visitandole, caratteristiche così marcatamente custodiali da farle sembrare dei "miniOpg". O peggio, come nel caso di Castiglione delle Stiviere, restare Opg. Ci incoraggia però aver incontrato in queste strutture tanti operatori seri e motivati. Per questo abbiamo deciso di sostenere la costruzione, dal basso, di un coordinamento nazionale Rems e il primo atto sarà il 18 maggio prossimo a Bologna. Intanto, a pochi giorni dalla chiusura degli Opg, siamo stati costretti ad aprire una nuova mobilitazione. Un comma del Disegno di Legge "Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario", approvato al Senato e ora in discussione alla Camera, ripristina le vecchie norme, disponendo il ricovero nelle Rems anche di detenuti, come accadeva nei manicomi giudiziari. Se non si pone rimedio, le Rems rischiano di diventare a tutti gli effetti i nuovi Opg. Sarebbe smentita non solo la riforma che ha chiuso gli Opg, la legge 81, ma anche il lavoro degli operatori che ha portato in pochi mesi a dimettere dalle Rems più di cinquecento persone. Se il problema che si vuol risolvere con l’emendamento è garantire l’assistenza sanitaria ai detenuti, troppo spesso impedita dalle drammatiche condizioni delle carceri, la soluzione è ben altra. Occorre che il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria istituisca le sezioni di osservazione psichiatrica e le previste articolazioni psichiatriche nelle carceri stesse (con strutture e personale adeguato e formato), riqualificando i programmi di tutela della salute mentale. Ma soprattutto servono misure alternative alla detenzione. Così invece le Rems diventerebbero il contenitore unico per i "folli rei e per i rei folli", riproducendo all’nfinito la logica manicomiale. Ora la responsabilità è affidata alla Commissione Giustizia e poi all’Aula di Montecitorio e al ministro Orlando. Per cancellare una norma così distruttiva, stopOpg ha lanciato un digiuno a staffetta, proprio durante la discussione del Disegno di Legge alla Camera. Alla staffetta avviata dall’ex Commissario per il superamento degli Opg Franco Corleone, partecipano in primo luogo i rappresentanti di stopOpg, tra cui don Luigi Ciotti, ma anche operatori della salute e della giustizia, associazioni di utenti e familiari. Un piccolo atto per una grande impresa: garantire dignità e piena cittadinanza a tutte le persone, senza discriminazioni, come vuole la nostra Costituzione. Ddl penale, oggi il presidente dell’Anm Albamonte chiede modifiche a Orlando di Errico Novi Il Dubbio, 3 maggio 2017 Primo vertice tra il leader Anm (ieri da Mattarella) e il ministro. Tutto si poteva immaginare ma non che la riforma del processo facesse registrare convergenze tra Associazione magistrati e avvocatura penale. Da entrambi i fronti continua a levarsi l’appello a "riaprire" il ddl. Lo chiede da settimane ormai l’Unione Camere penali, continua a sollecitarlo anche il "sindacato" dei giudici: proprio oggi il nuovo presidente Eugenio Albamonte incontrerà per la prima volta il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Un appuntamento atteso, che segue al colloquio che i vertici dell’Anm hanno avuto ieri con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Così come avvenuto al Quirinale - seppur in un contesto completamente diverso - Albamonte e il segretario Edoardo Cilenti segnaleranno al guardasigilli le critiche alla riforma. L’auspicio dei magistrati è che il governo si convinca a promuovere in extremis alla Camera almeno un paio di interventi correttivi: in particolare su avocazione obbligatoria e limiti (considerati dalle toghe inopportuni) all’uso dei trojan. Difficilmente Orlando accoglierà la richiesta: teme che riaprire il dossier faccia saltare il via libera finale al provvedimento. Ma se a fine maggio Montecitorio riprendesse l’esame senza lasciare spazio a modifiche, non mancherà di esprimere il proprio disappunto, oltre all’Anm, anche l’avvocatura penale. I punti contestati dall’Ucpi sono diversi, in particolare prescrizione e processo a distanza per i detenuti. Ma il curioso incrocio tra i due dissensi, pur diversamente orientati, trova anche il modo di segnalarsi "plasticamente" in qualche occasione comune. Da ultima, al convegno promosso venerdì dall’Associazione giovani avvocati a Brindisi, dove proprio Albamonte è intervenuto insieme con diversi esponenti di Camere penali, associazioni e Organismo congressuale forense. Il fatto che in quella stessa circostanza siano arrivate obiezioni alla riforma sia dai magistrati che dagli avvocati non vuol dire che il ddl possa diventare terreno per un’alleanza. Ma che con la presidenza Albamonte si sia aperta una pagina nuova nei rapporti tra giudici e avvocatura se n’è avuta prova, sempre venerdì scorso, in mattinata, quando il nuovo leader dell’Anm e la componente di giunta Silvia Albano sono intervenuti al "plenum" del Consiglio nazionale forense. Il "sindacato" dei magistrati per la prima volta è stato presente a una riunione dell’organismo di rappresentanza istituzionale degli avvocati. Segno che, a prescindere dalla riforma del processo, nel sistema giustizia qualcosa comincia a cambiare. Legittima difesa e "licenza" di sparare: Alfano con la Lega contro il Pd di Liana Milella La Repubblica, 3 maggio 2017 Alla Camera la legge che amplia la non punibilità di chi reagisce ai ladri in casa. Il nodo dell’articolo 52 che spacca la maggioranza. E il paradosso della norma attuale che già garantisce il diritto all’autodifesa. Ladri e pistole. Rapine violente in casa e autodifesa. Sicurezza scarsamente o per nulla garantita dallo Stato e illusione dell’auto-protezione. Il mito dell’arma con cui difendersi da soli. C’è tutto questo dietro l’illusione salvifica di una nuova formula dell’articolo del codice penale sulla legittima difesa, che porta il numero 52. Modificato dal governo Berlusconi nel 2006, quand’era Guardasigilli il leghista Roberto Castelli, in questi anni è stato costantemente "nel mirino" perché tutta la destra, Lega, Forza Italia, ma anche i centristi di Alfano, chiedono una formula più dura che escluda del tutto l’intervento del giudice su chi spara per difendersi. In Aula alla Camera. Se ne riparla mercoledì alla Camera, con l’intenzione, da parte del Pd, di licenziare un testo che è, per i Dem, l’unico compromesso possibile. Una formula pensata dal renziano David Ermini che suona così: la colpa di chi spara è sempre esclusa quando "l’errore è conseguenza di un grave turbamento psichico" perché la vittima ha visto in pericolo la sua incolumità fisica oppure i suoi beni. Il relatore Walter Verini aggiunge anche la garanzia, per chi viene indagato e deve affrontare un processo, del rimborso delle spese legali da parte dello Stato in caso di assoluzione. Scontro in maggioranza. Ma a Montecitorio è assicurato lo scontro all’interno della maggioranza, con gli alfaniani e in particolare il ministro della Famiglia Enrico Costa che chiedono un cambiamento della norma molto più radicale. Una presunzione di non colpevolezza sempre garantita se chi spara lo fa per effetto di un’aggressione esterna che mette in pericolo se stesso, la propria famiglia, i figli piccoli, ma anche i suoi beni. Scontata una forte conflittualità con le opposizioni, in particolare la Lega, che propone di escludere del tutto "la colpa" di chi spara in quanto vittima. Cosa dice oggi il Codice Penale. Bisogna partire dal testo attuale dell’articolo 52 per capire che in realtà, come sostiene il Guardasigilli Andrea Orlando, si potrebbe tranquillamente lasciare tutto così com’è. Dice l’articolo 52: "Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa. Sussiste il rapporto di proporzione se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o la altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione. La disposizione si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale". Licenza di uccidere. In questa norma c’è già tutto. Ovviamente non c’è, né potrebbe esserci, il divieto per il giudice e per la polizia di occuparsi di una sparatoria in cui c’è un morto per terra. La garanzia di una sorta di "licenza di uccidere" senza processo. La promessa del tutto impossibile alle vittime, una vera chimera acchiappa-voti, è che la vittima possa sparare al ladro, in qualsiasi condizione avvenga il conflitto, e riceva pure un elogio per la sua auto difesa. La Lega la chiama "presunzione assoluta" di non colpevolezza. Ma su una posizione quasi identica sta l’Idv di Ignazio Messina che ha raccolto oltre due milioni di firme certificate con la formula "non sussiste eccesso colposo di legittima difesa quando la condotta è diretta alla salvaguardia della propria o altrui incolumità o dei beni propri". Proposta che Alfano e Costa hanno rilanciato facendola propria, visto che alla Camera l’Idv non ha la forza parlamentare per farlo. Nessuna indagine quindi, né soprattutto la certezza di finire indagato, per consentire al magistrato di ricostruire che cosa è successo. Il destino della legge. I numeri del Pd dovrebbero consentirgli di far passare comunque la proposta Ermini. Ma una volta giunta in Senato, e conoscendo come lavora l’attuale commissione Giustizia, ulteriori modifiche sono garantite. Con una nuova navetta alla Camera. Il rischio, se si dovesse votare prima del 2018, è che sulla legittima difesa si giochi un pezzo di campagna elettorale. Una prospettiva grottesca perché il vero problema non sono le sfumature della legge, ma il controllo del territorio da parte dello Stato. Che soprattutto in alcune zone non c’è. Legittima difesa, Pd spaccato. Renzi spinge per la linea dura di Alessandro Di Matteo La Stampa, 3 maggio 2017 Oggi battaglia in aula alla Camera, compromesso ancora lontano. È la prima prova di tenuta del Pd dopo le primarie, la legge sulla legittima difesa arriva in aula oggi e dentro al partito di Matteo Renzi il clima è tutt’altro che tranquillo. Il tema è di quelli che scaldano le campagne elettorali e per tutta la giornata di ieri si sono susseguite riunioni e telefonate tra il relatore Pd del provvedimento, Davide Ermini, il governo e i membri della commissione Giustizia per evitare una spaccatura che attraverserebbe innanzitutto il partito. Renzi infatti chiede di tutelare di più chi si difende in casa propria mentre Andrea Orlando, ma non solo, frena rispetto a ipotesi troppo generose con chi usa le armi per difendersi. Fratelli d’Italia, ieri, probabilmente proprio per giocare sulle divisioni della maggioranza, aveva chiesto di iniziare subito l’esame del ddl in aula, ma la proposta è stata bocciata e solo oggi la Camera affronterà la questione. La scorsa settimana era stato proprio il neo-segretario Pd, durante il confronto su Sky, a chiedere di più: "Un passo è stato fatto, ma dobbiamo fare altro. Il problema sicurezza dobbiamo porcelo, la legge sulla legittima difesa va fatta molto più seria di come è adesso", aveva spiegato Renzi. Peraltro Angelino Alfano aveva già detto chiaro e tondo che il testo Pd così com’è, i centristi al Senato, dove sono determinanti, non lo avrebbero votato. In sintesi, il testo Ermini prevede l’errore indotto da "turbamento grave" come attenuante per chi spara per difendersi in casa propria. Verrebbe però affidata al giudice la valutazione del "turbamento" che, appunto, deve essere anche "grave". Il giorno dopo le parole di Renzi, la scorsa settimana, sono arrivati gli emendamenti di Franco Vazio, renziano, che andavano proprio nella direzione indicata dal leader del partito: "Non possiamo gravare il giudice di una valutazione circa il grado del turbamento. Il giudice non può e non deve stabilire ex post se e quanto sia necessario e giusto avere paura per difendersi legittimamente". L’accordo non è facile e ieri sera Ermini ha lavorato a lungo con la presidente della Commissione Ferranti, con gli esponenti di Ap e con il ministro Anna Finocchiaro per arrivare a una sintesi che non faccia saltare i nervi all’ala più garantista del partito. Il ministro Enrico Costa, di Alternativa popolare, spiega: "È importante che cambi questa legge, non c’è più il topo di appartamento, c’è una criminalità che entra in casa armata, consapevole della presenza dei proprietari". Walter Verini, capogruppo Pd in commissione, è uno di quelli che lavorano alla mediazione. Ha presentato un emendamento che pone a carico dello Stato le spese legali per chi deve affrontare un processo per eccesso di legittima difesa e poi viene riconosciuto innocente. Ma agli emendamenti di Vazio anche Verini aveva reagito con freddezza la scorsa settimana: "Lasciamo la demagogia delle armi e le strumentalizzazioni di paure - in parte vere, in buona parte percepite, in tanta parte indotte - a politici come Salvini". Critiche che Vazio non accetta: "Io voglio una legittima difesa, non una legittima vendetta. È il modello che è in vigore in Francia". Al compromesso che dovrebbe essere presentato questa mattina prima dell’inizio dell’esame in aula si è lavorato fino a tarda serata. Il tentativo è quello di rafforzare il concetto di "presunzione di legittima difesa", come chiedono i centristi, mantenendo comunque il potere del giudice di valutare se si è verificato invece un eccesso di reazione: "Dobbiamo tutelare chi si difende, senza abdicare ai principi di civiltà giuridica del nostro ordinamento", spiega Verini. Anche perché senza la sintesi il Pd tornerebbe a spaccarsi e ne risentirebbe pure la maggioranza di governo. Nasce il "Tribunale delle Libertà Marco Pannella" di Valentina Stella Il Dubbio, 3 maggio 2017 L’obiettivo è quello di difendere gli esclusi. Sarà formato da esponenti del mondo giuridico, culturale, sociale e politico che vogliono impegnarsi contro ogni forma di ingiustizia. "Un dono di tutto il Partito Radicale a Marco Pannella": così la radicale storica Laura Arconti ha annunciato ieri la nascita del "Tribunale delle Libertà Marco Pannella", istituito dal Partito Radicale, e di cui sarà la presidente. Nel giorno in cui il leader radicale avrebbe compiuto 87 anni, Radicali - e non - si sono ritrovati numerosi nella sede di Torre Argentina per "dare gambe al futuro" - spiega Maurizio Turco della presidenza del Partito "per mettere in campo iniziative che toccano da vicino i cittadini ma che sono state espunte dall’agenda politica nazionale ed europea". Gli organizzatori ci tengono a precisare che dar corpo a un tribunale "non significa fare i giustizialisti ma porsi a difesa di coloro di cui nessuno si occupa" : e cioè "dell’universo sociale di esclusi", delle circa 2.800.000 persone con disabilità, dei circa 4.500.000 poveri assoluti e dei 6.000 poveri relativi, secondo i dati Istat. "Numeri che gridano vendetta - sottolinea il segretario del Tribunale, Loris Facchinetti, presidente vicario del Tribunale Dreyfus - e a questi si somma il fatto che ogni giorno le libertà dei cittadini vengono sempre più ristrette, mentre crescono nuove forme di schiavitù. Perciò, grazie alla grande e unica capacità di accoglienza del Partito Radicale, stiamo dando vita ad una comunità di cittadini provenienti dal mondo giuridico, culturale, sociale e politico che vogliono impegnarsi contro ogni forma di ingiustizia. Non daremo pene, né commineremo sanzioni, ma individueremo i responsabili delle violazioni e proporremo delle soluzioni", attraverso l’istituzione di "Corti di Giustizia", affidate soprattutto al mondo dell’avvocatura e ai magistrati in pensione. Non si tratta però di mettersi in competizione con chi già opera nel sistema giustizia: "non ci deve essere concorrenza - precisa l’avvocato Elisabetta Rampelli, presidente vicario del Tribunale - tra i soggetti che hanno gli stessi obiettivi. Per troppo tempo il protagonismo di molti avvocati ha indebolito la categoria. Il Tribunale delle Libertà Marco Pannella ha bisogno dell’aiuto di tutti per impegnarsi sui vari fronti", tra cui: processo ai responsabili dei mancati aiuti alle popolazioni vittime del terremoto in Abruzzo, Lazio, Umbria ed Emilia Romagna; processo ai responsabili delle violazioni dei diritti umani nelle carceri; processo ai casi di malagiustizia; riesame e revisione dei principali processi per terrorismo e indagini su attività coperte dal segreto di Stato; processo ai responsabili degli eccidi di Aleppo; processo all’Onu per insufficienza di interventi contro la fame; processo alla Commissione Europea per la mancanza di interventi contro le povertà in Europa. Nel Comitato scientifico del Tribunale troviamo: i radicali noti Rita Bernardini, Deborah Cianfanelli, Sergio D’Elia, Maria Antonietta Farina Coscioni, Maurizio Turco, Valter Vecellio, Elisabetta Zamparutti, la regista Liliana Cavani, Lucia Ercoli (responsabile sanitario dell’associazione Medicina Solidale Roma), l’economista Enea Faenza, il medico israeliano Aharon Mairov, Giulio Maria Terzi di Sant’Agata, Presidente del "Global Committee for the Rule of Law" che chiude così: "Noi radicali siamo in un cono d’ombra, come lo sono spesso le voci del buon senso, dell’onestà, di quelle persone che non accettano un sistema globale e nazionale di potere basato sull’esasperazione dell’interesse privato e su una finanza rapace". Di qui l’appello di Laura Arconti e Maurizio Turco ad avere "la stampa vicino a noi, quella stampa che da una vita ci cancella e ci ignora". I Radicali lanciano il "Tribunale delle libertà". La battaglia dei diritti, auguri Pannella di Dimitri Buffa Il Tempo, 3 maggio 2017 Affronterà tutti quei casi per i quali non è mai stata fatta vera giustizia. Presieduto dai leader del Partito, porterà avanti le storiche battaglie di Marco Pannella. Ieri Marco Pannella avrebbe compiuto 87 anni. L’Italia il 19 maggio del 2016 ha però dovuto imparare a fare a meno di quello che sicuramente è stato il politico che più ha dato ai cittadini del nostro paese. E non solo in termini di battaglie di libertà e per i diritti civili (non violenza, giustizia-giusta, carceri, divorzio, aborto, voto ai diciottenni, antiproibizionismo sulle droghe e non criminalizzazione dei consumatori, preveggenza sul dramma della fame nel terzo mondo e dell’immigrazione che di lì a poco sarebbe diventata il primo problema per l’Europa ecc.). Ma proprio come maniera di porsi in mezzo alla gente. Un uomo profondo e allo stesso tempo a disposizione di tutti. Ieri in una conferenza stampa (presente anche il nostro direttore) tenutasi nella sede del Partito radicale transnazionale è stato presentato il progetto di un Tribunale delle libertà e dei diritti civili e umani. Che porterà il suo nome. Si è ricordato, nell’introduzione, che "se la campagna contro i morti per fame nell’Africa fosse stata presa sul serio ne11983 dai governi europei", oggi forse non faremmo i conti con l’immigrazione gestita dalle mafie. E con la nemesi per la quale i paesi un tempo colonizzati adesso determinano i futuri governi degli ex paesi colonizzatori. Davanti a tutto lo stato maggiore del Prnt, da Laura Arconti e Rita Bernardini, a Maurizio Turco e Sergio d’Elia, sono state anche illustrate le linee guida della futura azione del tribunale e del partito. Che cerca di arrivare ai tremila iscritti annui con lotte di partecipazione politica. E non elettorale. Prioritaria in Italia quella per le carceri e per la giustizia giusta che comprende una possibile azione legale per riaprire i processi finiti con sentenze da ragion di stato, tipici della stagione del terrorismo. Gli esempi che vengono alla mente? Il caso Sofri-Calabresi e quello della strage di Bologna, con le relative responsabilità addossate assurdamente agli ex Nar Mambro, Fioravanti e Ciavardini. Ma anche quelli con evidenti violazioni del diritto della difesa. Chi ricorda le condanne contro Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro per l’omicidio di Marta Russo (i19 maggio si commemora il ventennale)? Il Tribunale, che sarà presieduto proprio dalla decana radicale LauraArconti e di cui sarà segretario Loris Facchinetti e presidente vicario Elisabetta Rampelli, avrà anche un comitato scientifico. Fatto di personalità della galassia che fu pannelliana. Come Rita Bernardini, Liliana Cavani, Deborah Cianfanelli, Sergio D’Elia, Lucia Ercoli, Maria Antonietta Farina Coscioni, Enea Franza, Aharon Mairov, Giulio Terzi di Sant’Agata, Maurizio Turco, Valter Vecellio ed Elisabetta Zamparutti. Negli ideali fascicoli del futuro tribunale Pannella c’è di tutto. Dal "processo alla Commissione Europea per la mancanza di interventi contro le povertà in Europa e per l’usura di Stato con proposta di negoziazione dei tassi di interesse sui debiti contratti" al "processo all’Onu per l’insufficienza di interventi contro la fame e proposta per la realizzazione di un piano straordinario per lo sviluppo scolastico e formativo nei Paesi poveri". Magari passando attraverso il "processo ai responsabili degli eccidi di Aleppo". Senza dimenticare, rispetto ai problemi nazionali, un "processo ai responsabili dei mancati aiuti alle popolazioni vittime del terremoto nei comuni dell’Abruzzo, del Lazio, dell’Umbria e dell’Emilia Romagna". Nonché un’istruttoria "contro i responsabili delle violazioni dei diritti umani nelle carceri". L’eredità di Pannella, appunto. Antiriciclaggio, linea dura sulle frodi di Marco Mobili e Giovanni Parente Il Sole 24 Ore, 3 maggio 2017 Nessuno sconto, anzi, mano pesante sulle frodi nel caso di riciclaggio. E sanzioni amministrative solo in caso di violazioni gravi, ripetute o sistematiche "ovvero plurime". Passa così la linea dura contro i comportamenti dolosi e l’alleggerimento di oneri e adempimenti nei casi meno gravi o che non possono essere classificati sotto la voce "riciclaggio". Una linea scelta dalla presidente e relatrice della commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti (Pd), e da Sergio Boccadutri (Pd) relatore per la commissione Finanze di Montecitorio. Nella bozza di parere favorevole sullo schema di Dlgs di recepimento della quarta direttiva che sarà discusso già oggi e votato molto verosimilmente domani, questa impostazione si materializza con 23 condizioni che per il Governo diventano più stringenti e vincolanti. A queste si aggiungono circa 70 osservazioni (comprese quelle formali) che lasceranno più margini all’Esecutivo nella stesura finale del provvedimento. In particolare, la Camera chiede al Governo di punire con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 10mila a 30mila euro anche la violazione degli obblighi di adeguata verifica e conservazione dei documenti perpetrata attraverso attività fraudolenta o anche attraverso la "condotta di colui che utilizza i dati falsi o le informazioni non veritiere relative al cliente". Altre tre osservazioni, invece, mirano a puntualizzare l’applicazione per inosservanza degli obblighi di adeguata verifica e dell’obbligo di astensione: in questo modo si circoscrive il raggio d’azione, come anticipato, agli illeciti più gravi e ripetuti nel tempo. L’identikit di questo tipo di violazioni andrà tracciato da Mef e autorità vigilanti tenendo conto dei rischi di utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, ma anche della complessiva organizzazione del soggetto obbligato. Confermata la richiesta dei deputati di sopprimere le cosiddette segnalazioni tardive, ossia quelle inviate entro il termine perentorio dei 30 giorni. Una modifica che Ferranti e Boccadutri motivano nel loro parere sia con l’"esigenza di evitare un’eccessiva enfasi sull’obbligo di astensione dall’effettuare l’operazione" sia con la considerazione che "non appare corretto considerare automaticamente tardiva la segnalazione di un’operazione per il solo fatto che essa sia stata effettuata successivamente all’avvio di un’ispezione da parte delle autorità competenti, ovvero, in ogni caso, quando siano decorsi 30 giorni" dall’operazione. In termini di maggiore circolazione delle informazioni la Camera chiede che le autorità competenti segnalino le situazioni a più alto rischio non solo all’Uif ma anche alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. Inoltre l’adeguata verifica sulle transazioni con moneta elettronica sotto i 15mila euro andrà limitata alle operazioni effettuate da agenti in attività finanziaria o soggetti che rientrano nella categoria "soggetti convenzionati e agenti". A chiudere le condizioni poste al Governo la gestione della fase transitoria: nuove regole con decorrenza solo dopo il completamento di tutte le disposizioni attuative comprese quelle a carico delle autorità vigilanti di settore. Troppo generiche le prescrizioni della sorveglianza speciale di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 3 maggio 2017 Corte di cassazione, Sezioni unite penali, informazione provvisoria n. 10 del 2017. Troppo generiche le prescrizioni di "vivere onestamente" e "rispettare le leggi" per sanzionare chi, colpito dalla sorveglianza speciale, le infrange. Lo hanno stabilito le Sezioni unite penali con una decisione, sintetizzata per ora solo nell’ informazione provvisoria n. 10 del 2017. Le Sezioni unite erano state chiamate in causa in via preventiva dal presidente della Corte, Giovanni Canzio, con l’obiettivo di evitare un più che probabile contrasto all’interno della stessa giurisprudenza di legittimità. A rendere di estrema attualità la questione c’è stata, peraltro, ed è tra le ragioni principali dell’intervento di Canzio, la recentissima pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, De Tommaso contro Italia del 23 febbraio. Sentenza con la quale la Grande Camera ha riscontrato un deficit di precisione e prevedibilità delle condotte suscettibili di essere prese in considerazione per la valutazione della pericolosità sociale. Nel mirino, in particolare, il Codice antimafia sul fronte delle misure di prevenzione, proprio quando al Senato tornano in discussione le modifiche che dovrebbero estendere quanto previsto contro la criminalità organizzata ai principali reati contro la pubblica amministrazione. In discussione davanti ai giudici europei erano finiti innanzitutto i presupposti della misura di prevenzione; presupposti che il Codice antimafia individua in una condotta abitualmente dedita a traffici criminali e in un tenore di vita fondato sui proventi di attività delittuose. Ma sotto la lente della Corte europea erano finiti anche i contenuti della misura di prevenzione personale stessa, quelli oggetto adesso dell’intervento delle Sezioni unite, quel "vivere onestamente e rispettare le leggi". La sentenza della Corte europea concludeva prima nel senso dell’insufficiente prevedibilità delle conseguenze della propria condotta per il soggetto colpito dalla misura di prevenzione personale in parola. Per corroborare le sue conclusioni, la Corte dei diritti dell’uomo metteva in evidenza che né la legge né la Corte costituzionale "hanno chiaramente identificato gli elementi fattuali né le specifiche tipologie di condotta che devono essere prese in considerazione per valutare la pericolosità sociale dall’individuo", pericolosità che rappresenta il presupposto per l’applicazione di una misura che va a limitare una libertà garantita dalla convenzione come quella di circolazione. E sui contenuti della sorveglianza speciale, la Corte osservava che questi erano troppo vaghi e e indeterminati e, alla fine, rischiavano di risolversi in un illimitato richiamo all’intero ordinamento giuridico italiano. Nelle scorse settimane i tribunali italiani hanno cominciato a fare i conti con le conseguenze della sentenza. Prendendo peraltro strade diverse. Milano e Palermo hanno provato a sterilizzare gli effetti della pronuncia, mettendo in evidenza come sul piano formale questa non sia espressione di un orientamento giurisprudenziale consolidato da parte dei giudici di Strasburgo, malgrado la provenienza dalla Grande Camera. La sezione misure di prevenzione della Corte d’appello di Napoli ha invece sollevato questione di legittimità costituzionale, comprendendo oltretutto anche le misure di prevenzione patrimoniali come la confisca. Ora le Sezioni unite, in attesa di leggere le motivazioni, hanno comunque escluso che possa essere colpito con la sanzione prevista dal Codice antimafia (arresto da tre mesi a un anno) chi infrange le (troppo generiche) prescrizioni in questione. Niente destrezza per il furto al "distratto" di Patrizia Maciocchi Il Sole 24 Ore, 3 maggio 2017 Corte di cassazione - Sezioni unite - Informazione provvisoria n. 8 del 27 aprile 2017. Esclusa l’aggravante della destrezza per chi commette un furto, approfittando del momento di distrazione della persona offesa. Con l’informazione provvisoria n.8, le Sezioni unite della Cassazione rendono nota la decisione presa nella pubblica udienza del 27 aprile scorso. La Corte, con l’ordinanza 7696 del 17 febbraio scorso, aveva chiesto alle Sezioni unite di chiarire se, per chi "coglie l’attimo" e ruba un bene quando il possessore o il detentore si allontana o è occupato a fare altro, sia configurabile l’aggravante della destrezza prevista dall’articolo 625 del Codice penale. I giudici del rinvio avevano esaminato l’appello di un imputato condannato per furto (articolo 624 del Codice penale) con le aggravanti della destrezza e della recidiva. L’uomo si era impossessato di un computer portatile sottraendolo alla proprietaria del bar, che lo teneva sul bancone, mentre questa si era distratta. Ad incastrare il responsabile era stata la video camera installata all’interno dell’esercizio. Per la Corte d’appello, che aveva confermato la decisione del Tribunale, il fatto che l’imputato aveva approfittato della disattenzione della proprietaria dimostrava "lo spessore della maggiore criminalità del soggetto". Secondo il difensore, invece, la destrezza non c’era, perché non era stato il suo assistito a creare le condizioni per il furto. Il legale ricorda a supporto della sua tesi il contrasto sul tema. Per parte della Cassazione l’aggravante della destrezza si configura comunque, anche quando il ladro coglie l’occasione propizia : "l’agente approfitta di una condizione contingente favorevole, o di una frazione di tempo in cui la parte offesa ha momentaneamente sospeso la vigilanza sul bene, in quanto impegnata nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo, o a curare attività di vita o di lavoro". Con la sentenza 20954 del 2015, la Suprema corte aveva deciso per l’aggravante in un caso in cui l’imputato aveva rubato una bicicletta mentre il proprietario era impegnato con una telefonata. Destrezza (sentenza 46977 del 2015) anche nel caso di un pescatore che aveva nascosto male il suo marsupio tra gli scogli ed era tornato a casa con i pesci ma senza il portafogli. Non mancano però le decisioni secondo le quali perché scatti l’aggravante della destrezza il ladro deve fare qualcosa di più che afferrare l’"occasione" al volo, l’agente deve infatti, mettere in atto un’attività che per astuzia e rapidità sia tale da superare l’attenzione e la vigilanza dell’uomo medio. Per questo non c’è la destrezza per chi ruba la macchina lasciata incustodita (sentenza 22164 del 2016) quando il conducente è sceso a chiudere il cancello. Le Sezioni unite prendono le distanze dall’orientamento secondo il quale per la destrezza non serve una particolare abilità ma basta saper approfittare di qualunque situazione oggettiva o soggettiva favorevole ad eludere la vigilanza. Secondo il Supremo consesso invece, serve una "marcia" in più del ladro che non si deve limitare a prendere cose incustodite o a sfruttare l’occasione ma deve crearla con astuzia e abilità. Processo da rifare se l’udienza è notificata alla Pec errata di Francesco Machina Grifeo Il Sole 24 Ore, 3 maggio 2017 Corte di cassazione - Sezione III penale - Sentenza 2 maggio 2017 n. 20854. Va annullata la sentenza di condanna emessa dalla Corte di appello se la notifica di fissazione dell’udienza al difensore è stata inviata ad un indirizzo Pec errato. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con lasentenza 2 maggio 2017 n. 20854, accogliendo il ricorso di un uomo condannato a 4 mesi di reclusione, poi convertiti in 30mila euro di pena pecuniaria, perché con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, ed in tempi diversi, aveva omesso di versare le ritenute previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni dei dipendenti per circa 83.204 euro, nei periodi da giugno a luglio 2009, da settembre a dicembre 2009 e da maggio a giugno 2010. Con il primo motivo, l’imputata lamentava l’omessa notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza al difensore, almeno 20 giorni prima della data fissata per il giudizio di appello. Precisando che la notifica a mezzo Pec non era stata correttamente effettuata, come da attestazione informatica di mancata consegna, perché tentata all’indirizzo sbagliato, ragion per cui doveva ritenersi irregolare anche la conseguente notifica a mezzo deposito in cancelleria. Con il secondo motivo lamentava la mancata citazione a giudizio anche dell’imputato in quanto il deposito presso la casa comunale era possibile soltanto nell’impossibilità di effettuare la consegna nelle forme regolarmente previste. Infine, non era stato rispettato il termine di 20 giorni. Né i vizi paventati potevano essere ricondotti "a mere irregolarità formali", avendo di fatto privato la parte del contraddittorio "relativo ad un intero grado di giudizio". Infatti, la duplice omessa notifica, all’imputata ed al difensore, avevano in concreto inibito la partecipazione al processo celebratosi innanzi alla Corte d’Appello di Napoli. Per la Suprema corte il ricorso è fondato in quanto agli atti risulta che la Pec inviata al difensore di fiducia non era stata regolarmente recapitata per erronea indicazione dell’indirizzo del destinatario e che la notifica all’imputato non si era perfezionata per mancato rispetto delle formalità di cui all’articolo 157del Cpp ed in ultimo per assenza dell’avviso di ricevimento della raccomandata inviata dall’ufficiale giudiziario. Secondo le Sezioni unite (n. 24630/15), prosegue la decisione "l’omesso avviso dell’udienza al difensore di fiducia tempestivamente nominato dall’imputato o dal condannato, integra una nullità assoluta (ai sensi degli artt. 178, co. 1° lett. c) e 179, co. 1° c.p.p.), quando di esso è obbligatoria la presenza, a nulla rilevando che la notifica sia stata effettuata al difensore d’ufficio e che in udienza sia stato presente un sostituto" (nominato ex articolo 97 del Cpp). Infatti, ove, in presenza di una rituale e tempestiva nomina fiduciaria effettuata dall’interessato, il giudice proceda irritualmente alla designazione di un difensore d’ufficio, viene ad essere leso il diritto dell’imputato "ad avere un difensore di sua scelta", come riconosciuto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Quanto all’imputato, conclude la Corte, è vero che la giurisprudenza qualifica la notifica irregolare come una nullità di ordine generale, a regime intermedio, la quale, ove non ritualmente dedotta in primo grado, risulta sanata se sussiste in concreto la prova della conoscenza del processo da parte dell’imputato (n. 52078/14), ma nella fattispecie "tale prova non sussiste e quindi appaiono fondati sia il secondo che il terzo motivo di ricorso, perché giammai un difensore d’ufficio irregolarmente nominato avrebbe potuto disporre di siffatta eccezione dell’imputato". Per cui siccome il processo non è stato "correttamente introdotto" gli atti sono stati rinviati al giudice di secondo grado. Appropriazione indebita: diritto di querela anche al soggetto diverso dal proprietario Il Sole 24 Ore, 3 maggio 2017 Appropriazione indebita - Merce ritirata e non consegnata al destinatario - Diritto di querela in capo alla società deputata al trasporto - Sussistente. Il diritto di querela per il reato di appropriazione indebita spetta anche al soggetto diverso dal proprietario che, detenendo legittimamente ed autonomamente la cosa, ne abbia fatto consegna a colui che se ne è appropriato illegittimamente.(Nel caso di specie la Suprema Corte riconosce in capo all’ impresa di trasporto il diritto di querela per il reato di appropriazione indebita compiuto dai ricorrenti: ciò in quanto la società proprietaria della merce aveva conferito alla suddetta impresa l’incarico di curare il trasporto dei propri prodotti, a tal fine affidandole anche il compito di detenzione presso una propria sede, dalla quale, poi, i danneggianti avevano preso in carico la merce stessa senza consegnarla al destinatario). • Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4 aprile 2017 n. 16632. Appropriazione indebita - Delitto che non riguarda solo la violazione del diritto di proprietà - Tutela di tutti i diritti ricadenti nell’articolo 646 c.p. - Diritto di querela - Legittimazione anche di soggetto diverso dal proprietario. Il diritto di querela per il reato di appropriazione indebita spetta anche al soggetto diverso dal proprietario poiché tale delitto non riguarda soltanto la violazione del diritto di proprietà, commesso mediante l’abusiva interversione del titolo del possesso: la condotta criminosa viene in considerazione anche in quanto realizza la violazione di un interesse, di un diritto diverso, compreso pur esso nella tutela penale dell’articolo 646 c.p., nell’ipotesi in cui la consegna della cosa a colui che se ne appropri illegittimamente sia eseguita da persona, diversa dal proprietario, che detenga legittimamente e autonomamente la cosa stessa. La violazione riguarda anche il rapporto personale e obbligatorio intercorso fra colui che affida la cosa e colui che se ne appropria illegittimamente; in tal caso, titolare del rapporto è colui che esegue la consegna, il quale è anche titolare dell’interesse giuridico e del diritto all’uso predeterminato e alla restituzione della cosa. • Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 19 maggio 2016 n. 20776. Reati contro il patrimonio - Appropriazione indebita - Fattispecie relativa a furto nel supermercato - Possesso - Bene giuridico protetto dal reato di furto - Responsabile dell’esercizio commerciale - Diritto alla querela - Sussistente. Il bene giuridico protetto dal reato di furto è costituito non solo dalla proprietà e dai diritti reali e personali di godimento, ma anche dal possesso, inteso nella peculiare accezione propria della fattispecie, costituito da una detenzione qualificata, cioè da una autonoma relazione di fatto con la cosa, che implica il potere di utilizzarla, gestirla o disporne. Tale relazione di fatto con il bene non ne richiede necessariamente la diretta, fisica disponibilità e si può configurare anche in assenza di un titolo giuridico, nonché quando si costituisce in modo clandestino o illecito. Ne discende che, in caso di furto di una cosa esistente in un esercizio commerciale, persona offesa legittimata alla proposizione della querela è anche il responsabile dell’esercizio stesso, quando abbia l’autonomo potere di custodire, gestire e alienare la merce. • Corte di Cassazione, sezioni Unite, sentenza 30 settembre 2013 n. 40354. Reati contro il patrimonio - Appropriazione indebita - Direttore di un esercizio commerciale - Legittimazione - Esclusione. Il direttore di un esercizio commerciale non ha la legittimazione a proporre querela contro l’autore di un furto compiuto nell’esercizio salvo, ovviamente, i casi in cui il relativo potere gli sia conferito dallo statuto o da atto negoziale. • Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 21 dicembre 2010 n. 44842. Reati contro il patrimonio - Appropriazione indebita - Fattispecie relativa a noleggio di camper - Mancata restituzione - Diritto di querela del noleggiatore - Riconoscimento - Abuso del rapporto fiduciario. Il delitto di appropriazione indebita non tutela semplicemente il diritto di proprietà, ma colpisce tutti i comportamenti conformi alla condotta materiale descritta nella fattispecie incriminatrice che comportino un abuso all’interno di un rapporto fiduciario tra due soggetti. Il bene protetto dalla norma è proprio quel rapporto fiduciario, sicché non rileva, ai fini dell’identificazione del soggetto passivo del reato (e quindi del titolare del diritto di querela) che egli sia il proprietario del bene appropriato, ma solo che sia uno dei protagonisti del pactum fiduciae attraverso la cui rottura si consuma l’appropriazione. In tali casi la condotta criminosa viene in considerazione anche in quanto realizza la violazione di un interesse, di un diritto diverso, compreso pur esso nella tutela penale dell’articolo 646 c.p. nell’ipotesi in cui la consegna della cosa a colui che se ne appropri illegittimamente sia eseguita da persona, diversa dal proprietario, che detenga legittimamente e autonomamente la cosa stessa e che, quindi, non si limiti all’esecuzione materiale di un ordine o di un incarico ricevuto dal proprietario. (Nel caso di specie il ricorrente era stato condannato per il reato di appropriazione indebita di un camper preso in locazione e non restituito al termine del concordato periodo d’uso: la Suprema Corte ha ritenuto non potersi individuare il titolare del diritto di querela avendo riguardo alla sola proprietà del camper, occorrendo considerare il rapporto instaurato dal ricorrente con la società noleggiatrice. L’abuso del rapporto fiduciario si è verificato precisamente in danno del noleggiatore, la cui querela correttamente è stata considerata sufficiente a configurare la condizione di procedibilità richiesta dalla legge). • Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 16 aprile 2009 n. 26805. 25 anni fa nasceva l’Oasi del Preval Max Kramar di Don Alberto De Nadai Ristretti Orizzonti, 3 maggio 2017 25 aprile: festa della liberazione; primo maggio: festa del lavoro; 25 aprile 1989 nasceva l’esperienza psichiatrica al Preval di Mossa (Go): ricorrenze che a tanti interessano poco, molto poco, anche se ne siamo a conoscenza. Vado a cercarle in quelle persone che hanno vissuto certe vicende da protagonisti e mi chiedo che cosa li ha spinti. Qui sta la questione: ritrovare uomini mossi da un ideale di cui oggi è bello raccontare la storia. La mattina del 25 aprile 1989 accoglieva al Preval (Mossa) tanta gente e tante autorità per l’inaugurazione di una casa colonica voluta e sostenuta dai familiari per i loro figli sofferenti psichici, guidati dal responsabile dell’Associazione Regionale Strutture Intermedie (Arsi), don Alberto De Nadai; una casa che doveva accogliere giovani che, causa la malattia psichica, avrebbero trovato in quella struttura un momento terapeutico invece che il ricovero all’ospedale psichiatrico. L’anima di quell’iniziativa era Max Kramar, entusiasta allievo di Franco Basaglia, il quale ha trovato una tragica morte sul ponte IX Agosto mentre portava aiuto ad un giovane in difficoltà la notte piovosa tra il 30 aprile e il primo maggio 1992. L’Arsi si è così trovata più povera perché ci sono uomini la cui assenza rende tutti più poveri, anche coloro che non li hanno conosciuti. Gli incontri con i familiari che Max faceva il mercoledì con don Alberto, avevano come obbiettivo di rendere possibile l’impossibile, cioè che i genitori rompessero lo schema della delega e dell’abbandono affidando totalmente i loro figli agli psichiatri. Bisognava che tutti si rimboccassero le maniche, dando ai sofferenti dignità e risposte vere. "Diamoci una mossa!" era il motto usato per sensibilizzare le persone al problema. La giornata del 25 aprile dava un futuro non solo ai familiari, ma anche al territorio perché il problema psichiatrico è parte integrante della comunità, ed è un problema di tutti, come dovrebbe essere il problema del carcere di via Barzellini. L’utopia di una città senza manicomio e senza carcere comincia a configurarsi come una necessità cui ogni persona civile deve tendere e alla quale si può trovare una risposta. Con la tragica morte di Max alla struttura di Mossa è stato dato il nome di "Oasi del Preval Max Kramar" oggi non c’è più quella scritta, e a quel luogo è stato dato un altro nome " Locanda Mora del Gelso". Pare che, anche a quelli che sanno, poco importa di quella data lontana di 25 anni fa. Eppure su quell’evento la psichiatria ha iniziato a muoversi per chiudere l’ospedale psichiatrico. Ma il tempo corrode la memoria degli uomini. Col passare degli anni non solo la festa della liberazione, la festa del lavoro ma anche quel luogo del Preval diventerà per i nostri nipoti un astrazione, privato come sarà della memoria viva di chi c’era. Ciò che conta è che crescano ancora persone mosse da un ideale. È questa la drammatica necessità che oggi si pone: quanti vivono ancora per un ideale? L’insegna "Oasi del Preval Max Kramar" non c’è più. Bisogna ricordarsi di quel momento. Ricordarsi di un uomo che ha creduto fino in fondo al sogno degli "ultimi della terra", e ai suoi, ai nostri sogni. Ivrea (To): "botte ai detenuti"; indagine della procura, indagati sette agenti di Giampiero Maggio La Stampa, 3 maggio 2017 Le violenze sarebbero avvenute fino a due anni fa. Inchiesta anche su presunti nuovi casi a ottobre. Svolta nelle indagini sui maltrattamenti in carcere a Ivrea. La procura Eporediese ha messo sotto inchiesta sette agenti della polizia penitenziaria: i reati ipotizzati sono di lesioni nei confronti di alcuni detenuti. Gli episodi sono relativi a fatti accaduti tra il 2015 e lo scorso autunno. Restano aperti, intanto, altri fascicoli (in tutto sono oltre una dozzina gli esposti in procura) sempre per i maltrattamenti. Al momento, questi fatti, riferiti ad una sommossa avvenuta il 25 ottobre dello scorso anno, sono definiti "atti relativi" e quindi a carico di ignoti. La procura, poi, ha indagato per lesioni e resistenza anche cinque detenuti. L’indagine, come conferma il procuratore capo di Ivrea, Giuseppe Ferrando, "è complessa e delicata". Tutti i casi, insomma, sono soppesati e valutati con la massima attenzione. Sul tavolo del magistrato ci sono faldoni relativi a numerosi episodi accaduti nella casa circondariale: rivolte e sommosse da parte di detenuti, ma anche reazioni, oggetto degli esposti, definite violente da parte di alcuni agenti, alcuni dei quali, ora, sotto inchiesta. Fatti già denunciati nel 2015 dal Garante per il carcere di Ivrea, Armando Michelizza, da sempre attento a quanto accade all’interno del penitenziario. "Le segnalazioni relative ai maltrattamenti - aveva sottolineato mesi fa Michelizza al procuratore - sono purtroppo frequenti". I riflettori sul carcere si erano accesi dopo una lettera aperta pubblicata da un detenuto, Marco Palo, sul sito "Infoaut". Riferendosi ad una rivolta accaduta la notte tra il 25 ed il 26 ottobre, poi sedata dalla polizia penitenziaria, Palo scriveva di "una protesta stroncata con un pestaggio ai limiti della sopportazione". "Le guardie - scriveva il detenuto - hanno usato violenza indiscriminata". Ancora: "Chiamata la squadra di supporto da Vercelli e riuniti in forza armati di idranti e manganelli hanno distrutto dei compagni detenuti riducendone due quasi in fin di vita". E faceva l’elenco dei detenuti picchiati, con nomi e cognomi. Subito dopo il caso emerso attraverso il blog "Infoaut", del carcere di Ivrea si erano occupate anche varie forze politiche, a cominciare dai Radicali e dalla Sinistra italiana. Anche il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute aveva pubblicato, alcuni mesi fa, un rapporto choc: "Siamo in presenza di una situazione di preoccupante conflittualità - scriveva in riferimento al carcere di Ivrea, con celle lisce, strutture decadenti e al di sotto della dignità umana". Il rapporto, pubblicato dopo il sopralluogo compiuto da Emilia Rossi, componente del Collegio del Garante, assieme a Bruno Mellano, Garante Regionale del Piemonte citava due aspetti definiti inquietanti: la presenza di due celle di contenimento, una denominata "cella liscia" dallo stesso personale dell’Istituto, l’altra chiamata "acquario" dai detenuti. Ed è in questi due spazi, ora eliminati, che sarebbero state consumate alcune delle violenze denunciate. Savona: il Sappe "nuovo carcere di fondamentale per il sistema ligure" ivg.it, 3 maggio 2017 Dati preoccupanti dall’analisi del sistema carcerario: "La nuova struttura penitenziaria savonese sembra lettera morta". Dopo la chiusura del carcere Sant’Agostino di Savona aumenta il problema del sovraffollamento carceri in Liguria. A denunciarlo è il Sappe, il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, che analizzato la situazione carceraria ligure: "Ne esce fuori un quadro negativo da non sottovalutare" afferma il segretario regionale Michele Lorenzo. "I problemi liguri oggi si raccontano principalmente con un affollamento carcerario che, con i suoi circa 1400 detenuti (la Liguria ha una capienza di 1100 posti) la colloca al 5° posto nazionale con indice 130 (113 nel 2015), tra gli istituti della Regione è quello di Imperia ad essere maggiormente sovraffollato con un indice pari a 137 mentre Genova tocca indice 127. Ma ciò che ci preoccupa - aggiunge il Sappe - è il silenzio che è calato sul carcere di Savona, soppresso il 28 dicembre del 2015 ed attualmente rimosso anche dalla memoria dell’interesse pubblico". Per il Sappe ligure la realizzazione del nuovo carcere a Savona è invece indispensabile perché incide sulla quotidianità dell’attività giudiziaria, sulle forze di Polizia che effettuano l’arresto, sulla Polizia Penitenziaria. "Le carceri liguri sono sempre coinvolte nella gestione di quei fenomeni malavitosi che contraddistinguono il territorio, come oggi sul terrorismo internazionale i dati in nostro possesso dicono che sono stati 5 i casi di detenuti con comportamenti sospetti quindi monitorati, mentre sono state 61 le perquisizioni effettuate nelle celle liguri conseguenti a sospetto di affiliazioni o comunque riconducibili a terrorismo internazionale, dando così alla Polizia Penitenziaria un importante ruolo". "Anche gli eventi critici che inficiano la quotidianità operativa del poliziotto penitenziario e della sua incolumità sono da analizzare; nel 2016 sono stati 1830 ai quali sommiamo i quasi 500 casi di infortuni in carcere. In totale sono stati 2698 i casi più o meno importanti che hanno visto intervenire la Polizia Penitenziaria ligure". "Nel 2016 gli "angeli del carcere" nonché Polizia Penitenziaria, in Liguria hanno sventato ben 36 tentativi di suicidio, sintomatico per riconoscere al Poliziotto penitenziario un determinante ruolo sociale ed umanitario nonché determinante per la sicurezza. I tentati suicidi sono in aumento e bisogna collegare questo dato anche alla detenzione di soggetti con disagio mentale i quali dovrebbero essere ospitati nelle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza denominate REMS delle quali la Liguria purtroppo è sprovvista". "Restando il ambito della sanità penitenziaria, registriamo la presenza di un elevato numero di detenuti affetti da patologie infettive, sono 45 detenuti affetti da hiv e 173 con epatite C e sono 453 i tossicodipendenti. Detenuti che richiedono di continua assistenza sanitaria. La sanità penitenziaria è di competenza delle Regioni, all’assessore regionale va il nostro invito affinché negli istituti si potenzi la presenza di medici specialisti, oggi insufficienti. In tutta la Liguria sono 13 specialisti e 33 i medici generici" aggiunge ancora il Sappe. "Le criticità del sistema penitenziario ligure si connotano per un elevata percentuale di detenuti stranieri stimati in 718 mentre 678 sono italiani. Gli istituti di Imperia, Marassi e La Spezia si contendono il primato di maggiore concentrazione di stranieri, è necessario che venga agevolata la possibilità di far scontare la loro pena nei loro Paesi d’origine". "Emerge anche il dato della presenza di detenuti di età dai 18 ai 24 anni che al 31 dicembre sono stati 112, di questi 65 solo a Marassi. Un dato che non dovrebbe comparire nelle statistiche penitenziarie perché a questi soggetti non serve il carcere, dovrebbero essere affidati a strutture alternative, competenza questa che richiama l’attenzione della magistratura di sorveglianza, delle associazioni e di tutti gli Enti pubblici competenti" evidenzia il segretario del sindacato ligure. Il quadro degli eventi critici registrati nella carceri liguri nel 2016 si raccontano in questi dati: 167 atti di aggressione con 8 ferimenti, 538 azioni di autolesionismo, 103 casi di danneggiamenti, 12 incendi dolosi, 441 invii urgenti al pronto soccorso, 152 scioperi della fame e sete, 7 atti turbativi la sicurezza e poi il dramma di 1 suicidio e 3 decessi e ripeto i 36 detenuti che hanno tentato il suicidio in carcere salvati dalla Polizia Penitenziaria quale unico punto di riferimento a garanzia della sicurezza penitenziaria La Polizia Penitenziaria ha intercettato e bloccato 23 telefonini, 7 coltelli ed in 13 casi, sostanze stupefacenti. "Questa mole di "criticità" viene contrastata solo dalla tenacia e professionalità della Polizia Penitenziaria spesso non valorizzata e sempre in una forte carenza d’organico, un dato su tutto, la carenza si conta in quasi 300 unità di Polizia Penitenziaria". "È ovvio - conclude Lorenzo - che la Liguria non può reggere tale ritmo, quindi è indispensabile che il Ministro Orlando richieda l’attenzione dei responsabili dell’amministrazione penitenziaria, ma soprattutto come Sappe richiamiamo l’attenzione dei politici liguri, perché il combinato aumento popolazione detenuta, eventi critici e carenza della Polizia Penitenziaria, potrebbe compromettere seriamente tutto l’assetto sicurezza delle carceri liguri e ciò che ne è collegato. Milano: detenuti in strada con gli operatori per assistere i senza dimora Redattore Sociale, 3 maggio 2017 Sei detenuti delle carceri di Bollate e Opera: tre sere alla settimana gireranno per la città insieme ai volontari delle unità di strada della Croce rossa. "Per la prima volta nella loro vita da detenuti, avranno la possibilità di mettersi al servizio degli altri". Sarà un mese di maggio particolare per sei detenuti delle carceri di Bollate e Opera: tre sere alla settimana gireranno per la città insieme ai volontari delle unità di strada della Croce rossa italiana che assistono i senza dimora. "Hanno prima frequentato il nostro corso per operatore sociale in qualità di uditori - racconta Raffealla Menini, vicepresidente della Cri di Milano. Per la prima volta nella loro vita da detenuti, avranno la possibilità di mettersi al servizio degli altri. Si dovranno confrontare con la povertà e il bisogno di aiuto di persone emarginate". Si tratta di detenuti che devono scontare condanne molto lunghe: "Quello che cerchiamo di offrire loro con questo progetto è un percorso di risocializzazione e solidarietà - aggiunge. Finora si sono impegnati molto, si sono messi in gioco". La unità di strada della Croce rossa portano genere di prima necessità alle persone che vivono in strada: dalle bevande calde alle coperte e sacchi a pelo. Milano: incendio al carcere minorile, il detenuto aveva tentato suicidio lo stesso giorno milanotoday.it, 3 maggio 2017 Incendio al carcere minorile Beccaria di Milano. Il fuoco è stato appiccato da un detenuto all’interno della cella in cui era ristretto, come forma di protesta. Il detenuto, dopo avere mandato in distruzione ciò che c’era nella cella, ha minacciato gli agenti di polizia penitenziaria con un coltello rudimentale e ha tentato il suicidio. Il giovane aveva tentato l’estremo gesto anche quella stessa mattina, alle otto. Eppure il Sappe, sindacato autonomo di Polizia penitenziaria, che dà la notizia dell’incendio, parla di "protesta sconsiderata e incomprensibile di un detenuto". Forse, visto che aveva già dato segno di forte disagio nella mattinata, non pare incomprensibile. Le carceri italiane, anche quelle minorili, soffrono di gravissime carenze. Strutturali, di sicurezza, ma anche di percorsi di riabilitazione e ascolto, che pure sarebbero ovvi visto il dettato costituzionale. "Il tempestivo intervento dei poliziotti ha permesso di evitare conseguenze gravi e tragiche", scrive in una nota Alfonso Greco, che del Sappe è segretario regionale; mentre Donato Capece, segretario nazionale, torna a chiedere più forze dell’ordine nei penitenziari italiani e, da mesi, un’ispezione ministeriale proprio al Beccaria di Milano, dove la situazione è - se possibile - ancor più precaria che nella media delle carceri del Paese. Civitavecchia: l’Asl Roma 4 promuove un convegno in carcere sul tema della privacy terzobinario.it, 3 maggio 2017 Si svolgerà oggi, 3 maggio 2017, un evento formativo presso la Direzione degli Istituti penitenziari di Civitavecchia denominato "Istituti penitenziari e riservatezza dei dati: applicazione delle norme sulla privacy". L’evento si pone l’obiettivo di affrontare in maniera sinergica i temi della sanità e della privacy nell’ambito delle strutture carcerarie. Uno sguardo innovativo e trasversale consentirà di estrapolare un filo conduttore che attraversa ed unisce le predette materie tentando di riportare a chiarezza il quanto mai complesso quadro normativo. Alla luce del recentissimo Regolamento (Ue) 2016/679 si pongono nuove ed interessanti questioni che coinvolgono le amministrazioni carcerarie sia dentro le mura che fuori, nei rapporti con i soggetti esterni ed in particolare le Aziende Sanitarie. Il responsabile scientifico del convegno è Il Direttore Generale della Asl Roma 4 Dott. Giuseppe Quintavalle. Parteciperanno inoltre al convegno: Stefano Anastasia (Garante detenuti Lazio), Patrizia Bravetti(direttore degli istituti penitenziari di Civitavecchia), Cinzia Calandrino (Ministero della Giustizia provveditore regionale amministrazione penitenziaria Lazio Abruzzo Molise), Pier Lugi Cervellini (medicina penitenziaria Asl Roma 4), Alessio D’Amato (cabina di regia - Regione Lazio), Massimiliano Parla (Scudomed), Ines Pisano (consigliere del T.A.R. Lazio), Federica Resta (ufficio Garante Privacy). I destinatari dell’evento formativo saranno 70 partecipanti, tra Medici, Psicologi, Infermieri, Assistenti Sociali ed Operatori Carcerari di cui n. 30 interni alla Asl Roma 4 e n. 40 esterni. Milano: alla Triennale torna il Festival dei Diritti Umani di Chiara Baldi La Stampa, 3 maggio 2017 Torna per il secondo anno il Festival dei diritti umani, dal 2 al 7 maggio alla Triennale di Milano (qui il programma). Tanti gli ospiti internazionali: da Padre Solalinde, il prete messicano che dà accoglienza ai rifugiati e ora candidato al premio Nobel per la Pace, a Assa Traorè, la sorella del giovane Adama. Ma anche moltissimi giornalisti italiani. Quest’anno, infatti, la kermesse sarà dedicata alla libertà d’espressione. Tre le première italiane che verranno proiettate: Comboio de sal e açúcar - The train of salt and sugar di Licínio Azevedo (3 maggio); Free to run di Pierre Morath (5 maggio); Soy nero di Rafi Pitts (6 maggio). Organizzata da Reset-Diritti Umani con il patrocinio della Presidenza della Camera dei deputati, del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, della Città Metropolitana di Milano, del Comune di Milano, dell’Ordine degli Avvocati di Milano e di Amnesty International, il festival prevede incontri con gli studenti, organizzati con la collaborazione del Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti (Cidi), proiezioni di documentari selezionati da Sole Luna Doc Film Festival, e una selezione di lungometraggi scelti da Vanessa Tonnini, programmer e direttrice artistica del Festival Rendez-Vous, dedicato al nuovo cinema francese. E, ancora, mostre, convegni, dibattiti e dialoghi con intellettuali e studiosi italiani e internazionali. Tra i film proiettati, quello di Ivan Cotroneo Un bacio, che aprirà il dibattito sul bullismo tenuto dal regista, dall direttore del dipartimento Materno-Infantile - S.C. Pediatria FBF Luca Bernardo e dalla senatrice Elena Ferrara. Il 3 maggio, poi, nel giorno in cui si celebra la Giornata mondiale per la libertà di stampa, verrà mandato Fortapàsc di Marco Risi. Ne parleranno Arzu Geybulla giornalista azera, Paolo Borrometi giornalista minacciato dalla mafia, Luka Zanoni direttore Osservatorio Balcani-Caucaso. In un’altra sala saranno proiettate le video-inchieste di Giorgio Fornoni, Intervista a Anna Politkovskaja e Il calvario ceceno, con interventi dei giornalisti Giorgio Fornoni, Amalia De Simone, Andrea Riscassi, Laura Silvia Battaglia, Lorenzo Frigerio e Michele Albanese. Nella stessa giornata verrà inaugurata la mostra Dall’ultimo fronte. L’Ucraina di Andy Rocchelli e Andrej Mironov delle ultime foto del fotogravo italiano ucciso a maggio 2014 insieme a Mironov mentre documentavano la guerra in Ucraina. In un dibattito pomeridiano dal titolo "Giornalismo a libertà vigilata" parteciperanno i giornalisti Ferruccio de Bortoli e Ahmet Insel. Per la sezione Book interverranno sui Diritti umani e petrolio. Il caso Azerbaijan Arzu Geybulla giornalista azera e Elena Gerebizza di Re Common - associazione curatrice del graphic novel L’alleato azero. Il 4 maggio si apre con il dibattito sullo hate speech e di come si possono combattere gli stereotipi: verranno proiettati i film #MyEscape di Elke Sasse e Nuovo Alfabeto Umano di Alessandro Mian e Alessandro Cattaneo. Un occhio poi anche all’America con Era Obama. Adesso è Trump con Mario Del Pero, autore di Era Obama: Dalla speranza del cambiamento all’elezione di Trump. Un altro tema fondamentale sarà quello dell’arte, con una videointervista esclusiva a Ai Weiwei sulla libertà d’espressione nel campo dell’arte. Infine, criminalità e corruzione, argomento che verrà sviluppato da Padre Alejandro Solalinde, sacerdote messicano minacciato dai narcos e Francesco Greco, Procuratore capo di Milano. Padre Alejandro Solalinde, candidato al Nobel per la Pace 2017, è stato ripetutamente minacciato di morte, anche recentemente per essersi schierato con la giornalista Miroslava Breach, uccisa pochi giorni fa in Messico. Nel suo libro che uscirà il 4 maggio, I narcos mi vogliono morto. Messico, un prete contro i trafficanti di uomini padre Solalinde si racconta anche come difensore dei migranti respinti da Trump. Roma: a Regina Coeli va in scena la guerra di retorica tra studenti e detenuti Il Sole 24 Ore, 3 maggio 2017 Un duello di retorica tra detenuti e studenti. È quello che si terrà il prossimo sabato a Roma, nel carcere di Regina Coeli. L’iniziativa è organizzata da PerLaRe, Associazione Per La Retorica ed è sostenuta, per la prima volta, da Toyota Motor Italia. Sono partner del progetto anche la Crui, Conferenza dei rettori delle università, e l’università di Tor Vergata. La "#GuerradiParole" è un confronto dialettico che ha l’obiettivo di premiare la squadra maggiormente in grado di difendere la propria tesi con argomentazioni credibili e sintetiche, senza perdere la calma, sbraitare o insultare. Un sofisticato esercizio di auto-controllo e di civiltà, che consiste nell’affermare le proprie ragioni solo con lo strumento pacifico della parola. Le gare di retorica hanno l’obiettivo di preparare i partecipanti ad affrontare la vita e il lavoro, contesti in cui è inevitabile confrontarsi con opinioni diverse. I detenuti e gli studenti non avranno la possibilità di incontrarsi prima del giorno del dibattito. Verranno preparati allo "scontro" separatamente da PerLaRe, Associazione Per La Retorica, da Flavia Trupia, la presidente, e dall’attore e regista Enrico Roccaforte. Ogni squadra parteciperà a quattro incontri formativi sui temi del public speaking e del linguaggio del corpo. Nel corso della formazione, i detenuti e gli studenti avranno modo di imparare a costruire le argomentazioni e a gestire il corpo e la voce, grazie alle tecniche del teatro. Le due squadre, composte da 20 persone ciascuna, sceglieranno autonomamente i loro portavoce, che li rappresenteranno nel dibattito del 6 maggio, nel corso del quale dovranno sostenere posizioni opposte che riguarderanno lo stesso argomento di attualità. La gara si svolgerà in due round di 20 minuti ciascuno. Allo scadere del round le posizioni da sostenere si invertiranno. Il dibattito di quest’anno verterà sul tema attualissimo della post-verità e delle bufale: fino a che punto è giusto e utile omettere verità, dire mezze verità o dire bugie nel dibattito pubblico, al fine di ottenere ragione o di attivare il consenso. Una giuria decreterà la squadra vincitrice. Modena: dalla strada al carcere, un teatro nella città come partecipazione di Martina Stocco Gazzetta di Modena, 3 maggio 2017 Spettacoli, performance in luoghi insoliti della città, concerti, laboratori e incontri di approfondimento. Il "Trasparenze festival" è tutto questo e molto altro. La quinta edizione della kermesse organizzata dal Teatro dei Venti, nell’ambito del progetto "Andante", sarà inaugurata mercoledì prossimo. Ieri mattina, nel parco adiacente il teatro di via San Giovanni Bosco, è stato presentato il programma. Ad illustrarlo Stefano Tè, il direttore artistico, affiancato da Caterina Gambetta, rappresentante della "Konsulta", e Giampietro Cavazza, assessore alla Cultura. Il primo appuntamento è prevista per mercoledì 10 alle 19.30. L’apertura avverrà in modo non tradizionale. Ci sarà, infatti, un brindisi iniziale e a seguire un attraversamento urbano ispirato all’opera di Italo Calvino "Le città invisibili". "Con la modalità scelta per la rappresentazione d’apertura vogliamo far capire - ha esordito Stefano Tè - qual è il nostro punto di vista sul ruolo della cultura e del teatro: cioè la riacquisizione di spazi urbani e il ricollocarsi del teatro nella società, come luogo di partecipazione". Lo spettacolo inizierà nei pressi del parco di via San Giovanni Bosco per poi spostarsi nel quartiere. "Il parcheggio di fronte al teatro verrà occupato da sedie - ha raccontato Tè - disposte in cerchio. Gli attori, successivamente, daranno luogo all’attraversamento urbano". Al battesimo della rassegna teatrale saranno presenti decine di attori. All’inaugurazione parteciperanno, infatti, corsisti del centro di formazione del teatro dei Venti, ragazzi richiedenti asilo del progetto "Mare Nostrum", utenti del gruppo "L’albatro - teatro e salute mentale", alcuni ospiti della casa protetta San Giovanni Bosco e i detenuti del carcere che hanno aderito all’iniziativa. Proprio il carcere sarà la cornice di due spettacoli aperti al pubblico. Il primo dei quali, intitolato "Malaluna" di Vincenzo Pirrotta, si terrà giovedì 11 alle 18 presso la casa circondariale in via Sant’Anna. "All’inferno - furore e rimorso" è, invece, il titolo del laboratorio della compagnia ligure Kronoteatro, in collaborazione coi detenuti del carcere modenese, che si terrà il giorno seguente alle 18. Alle 19, venerdì 12 e sabato 13, andrà in scena, negli appartamenti e nelle celle della casa circondariale, il "Discorso sul mito" di Vittorio Continelli. Altro luogo insolito, scelto come sfondo per gli spettacoli e previsto per sabato 13 alle 10, è la stazione ferroviaria. Il centro cittadino diverrà teatro di performance da palcoscenico con "Footloose", l’esito del laboratorio nato dalla collaborazione tra "Teatroingestazione" e richiedenti asilo di "Mare Nostrum", che si terrà sabato 13 alle 11.30. Anche le cabine telefoniche cambieranno le vesti trasformandosi in cabine telefoniche letterarie. Grazie al progetto del teatro Magro, alla cornetta, si potrà ascoltare un brano tratto dall’opera scelta. Altre importanti caratteristiche del "Trasparenze festival" sono i progetti curati dai giovani, come ad esempio "Spettatori erranti - gite contemporanee", che dà l’avvio a viaggi d’istruzione di studenti provenienti da altre città italiane, e la presentazione di due produzioni internazionali: una italo-tedesca e l’altra messicana. Per quanto riguarda i primi, sarà proprio la Konsulta, il gruppo di spettatori "under 25" attivo nell’ideazione del programma dal 2012, ad ospitare il progetto "Spettatori erranti" e a svolgere il ruolo di intermediazione tra artisti e pubblico. Sarà, altresì, inaugurato il progetto "Cantieri". Le quattro giovani realtà artistiche coinvolte si esibiranno negli spazi del teatro d’avanguardia popolare Cajka. Domenica 14, giorno conclusivo del festival, si chiuderà il cerchio con uno spettacolo presso il teatro dei Segni. Il programma completo è possibile trovarlo all’indirizzo www.trasparenzefestival.it. Alessandria: "Spettacolo d’evasione", in scena i detenuti della Casa circondariale alessandrianews.it, 3 maggio 2017 Venerdì 5 maggio alla Ristorazione Sociale lo spettacolo teatrale con monologhi comici, sketch che porta sul palco tutto il disagio e la durezza del carcere ma propone la comicità come canale di comunicazione. Per il terzo anno consecutivo i carcerati della Casa Circondariale Don Soria diventano interpreti di uno spettacolo teatrale con monologhi comici, sketch e musica presentato dall’attore iraniano Omid Maleknia dal titolo Spettacolo d’evasione. Il prossimo appuntamento sarà venerdì 5 maggio alle 21 alla Ristorazione Sociale di viale Milite Ignoto 1. La cena più lo spettacolo costano 20 euro, il ricavato sarà devoluto all’associazione Bailò che si occupa dei detenuti (prenotazioni 3292329806). L’evento è unico nel suo genere perché porta sul palco tutto il disagio e la durezza del carcere ma propone la comicità come canale di comunicazione. Si trattano svariati temi tra cui il primo giorno in carcere, l’arresto, l’immigrazione e l’impossibilità di avere un’alternativa nella vita il tutto affrontato con battute sagaci per dare allo spettatore uno sguardo nuovo sulla figura di chi trascorre la vita in una cella e di chi nella vita non sempre ha alternative. Lo spettacolo è stato rappresentato per la prima volta in data 18 giugno 2015 nel teatro sito all’interno del carcere davanti ad un pubblico di carcerati, giornalisti, rappresentanti delle associazioni di tutti i tipi e le autorità riscuotendo un grandissimo successo sia per la performance che per i contenuti e lasciando gli spettatori sopraffatti dai sentimenti. Le repliche successive hanno fatto ridere, commosso e divertito centinaia di spettatori che alla fine sono felici di aver acquisto un nuovo punto di vista meno duro e critico nei confronti di chi ha sbagliato. Spettacolo d’evasione è un progetto ideato e realizzato da Omid Maleknia e Pee Gee Daniel. Cagliari: oggi al carcere di Is Arenas lo spettacolo "Arcipelaghi", di Cada Die sardiniapost.it, 3 maggio 2017 Mercoledì 3 maggio alle 15.30, nell’ambito della quarta giornata nazionale di teatro in carcere e della 55esima edizione della giornata del teatro, il Cada Die Teatro sarà ad Arbus ospite della Casa di reclusione di Is Arenas per presentare lo spettacolo Arcipelaghi ai detenuti. Il lavoro, tratto dal romanzo Gli Arcipelaghi di Maria Giacobbe, vede in scena Pierpaolo Piludu e Alessandro Mascia per la regia di Alessandro Lay, e si interroga sul vero significato di giustizia e di punizione. Giosuè, un ragazzino di 14 anni, viene ucciso perché ha visto troppo; nessuno sa chi è stato. Cosa è successo? quella che iniziamo a immaginare è la verità? "Arcipelaghi", come si evice dal titolo, racconta non una ma più vicende, non espone una verità ma, come fossero vere e proprie isole che man mano affiorano, porta a galla le diverse visioni di ognuno dei personaggi, fino a formare appunto un "arcipelago" di verità in cui decidere cos’è giusto e cosa no resta un compito del lettore o, nel nostro caso, dello spettatore. Il teatro, come tutta l’arte, ha il compito e il dovere non tanto di dare risposte ma di porre domande, possibilmente scomode e di non facile soluzione. Domande che costringano a riflessioni profonde, che invitino lo spettatore a prendere posizione su quello che dal palcoscenico gli viene proposto. Pisa: "Foto dal carcere Don Bosco", domani presentazione della mostra fotografica gonews.it, 3 maggio 2017 Dopo più di un anno di lavoro e di preparativi, tra permessi e dettagli organizzativi, le porte del Carcere Don Bosco di Pisa si aprono davanti agli occhi delle due fotografe Veronica Croccia e Francesca Fascione, che coordinate dall’Avv.to Serena Caputo, ideatrice del progetto e fotografa per passione, realizzeranno un reportage storico all’interno delle mura del carcere pisano. "Aria pesante, senso di occlusione (soprattutto nei primi due piani del reparto maschile e nella palazzina del reparto femminile), apatia, noia. Come se il tempo si fosse fermato, come se in quel luogo le leggi della fisica fossero modificate: all’uscita dopo una giornata là dentro sembrava fosse passato molto più tempo". (Veronica Croccia). Un viaggio nella vita di detenuti e detenute, raccontati con crudezza e forza, guardando la solitudine e lo smarrimento di chi vive tra le mura di una prigione giorno dopo giorno, guardando pezzi di cielo senza orizzonte tra un gesto e un dettaglio che scandiscono attese, rassegnazione, qualche speranza. Il lavoro è patrocinato dall’Unione delle Camere Penali, dal Comune di Pisa e dall’Ordine degli Avvocati di Pisa, con lo scopo di combattere i luoghi comuni e i pregiudizi al fine di informare e sensibilizzare l’opinione pubblica sulle problematiche relative alla detenzione in carcere. "Parlare del carcere è sempre fastidioso" - dice l’Avv. Caputo, segretario della Camera Penale di Pisa, che ha ideato e curato il progetto, contribuendo allo stesso con qualche scatto personale - "comunemente le persone non comprendono perché con tutti i problemi che vessano la nostra società, ci si debba occupare proprio delle condizioni dei detenuti, che sono criminali e come tali, si ritiene, è giusto che soffrano e stiano male. Questa visione sottovaluta la specifica funzione rieducativa della pena, che oltre a punire, deve tendere a ricondurre il condannato sulla retta via, scongiurando in tal modo il pericolo che commetta altri reati, affinché, una volta tornato in libertà, sia pronto a rientrare nella società. La Camera penale di Pisa ha da sempre denunciato le condizioni di degrado in cui versano le carceri italiane, lottando contro i pregiudizi, provando a superare il solo concetto retributivo della pena a vantaggio della sua funzione preventiva che si concretizza nella finalità rieducativa. Veronica e Francesca sono riuscite a fornire un resoconto dettagliato delle difficoltà di chi deve espiare la propria pena in spazi ristretti e con gravi carenze strutturali e hanno tradotto negli scatti realizzati la solitudine e lo smarrimento di chi si sente abbandonato dalla società, come sabbia sotto al tappeto". Fotografando, l’associazione che gestisce e promuove l’omonima Scuola di Fotografia di Montopoli, è orgogliosa di dedicare uno dei suoi incontri a questa mostra e alle sue autrici, che con il loro lavoro hanno portato alla luce volti, luoghi e situazioni nascoste. Troppo spesso accantonate e messe da parte come la sabbia sotto ai tappeti. Scomode, difficili, amare. Dopo essere stata esposta a Pisa e in altri luoghi in Italia, finalmente la Mostra arriva a Montopoli, "casa" di una delle fotografe (Veronica Croccia, co-direttrice di Fotografando) e città natale dell’Avvocato Serena Caputo. Dopo il "caffè" di presentazione la mostra rimarrà esposta nei locali della scuola nei giorni a seguire. L’appuntamento è per Giovedì 4 maggio alle ore 21.30 presso la Scuola di Fotografia Fotografando di Montopoli. Per prendere un caffè insieme alle autrici e sentire dalle loro parole quello che c’è stato dietro alla loro esperienza, umana, sociale, narrativa. Parteciperanno alla serata, oltre alle autrici, la rappresentanza della Camera Penale di Pisa e l’Amministrazione Comunale di Montopoli in Val D’Arno. Fotografando è a Montopoli in val d’Arno, Sala Rabai, Palazzo Guicciardini, ingresso da Piazza 2 Giugno. L’incontro è a ingresso gratuito, l’organizzazione sarà lieta di offrire un caffè di benvenuto ai partecipanti all’evento. Per maggiori info è possibile consultare il sito della Scuola: https://scuolafotografando.com. La libertà di stampa e il morbo della censura di Vincenzo Vita Il Manifesto, 3 maggio 2017 Oggi è la giornata mondiale per la libertà di stampa, promossa dalle Nazioni unite nel 1993. Si grida all’effimero successo in Italia, perché si è passati dal 77° al 52° posto nella classifica annuale di Reporters Sans Frontières, ma il quadro delle concentrazioni editoriali (da Mondazzoli, a Gedi: il super gruppo Repubblica, Stampa, Secolo XIX, al controllo governativo sulla Rai, al vecchio trust Mediaset, all’affare Vivendi) e del precariato dilagante non fa ben sperare. Interferenze, interventi a gamba tesa divengono regola e non eccezione. Qui lo scontro per lo meno si ferma alle parole e agli editti censori. In numerose aree del mappamondo testate indipendenti, giornalisti ed operatori dell’informazione sono a rischio anche fisico e il carcere è la pratica consueta e crudele dell’amputazione di un diritto fondamentale: a parole in cima alle convenzioni internazionali e alle Costituzioni, nei fatti negato. Sul caso terribile della Turchia, tutt’altro che risolto dalla importante liberazione di Gabriele Del Grande, si è tenuto ieri un riuscito sit in davanti alla Camera dei deputati, promosso da Articolo21, Amnesty Italia, Fnsi, UsigRai, Odg Lazio, Pressoing NoBavaglio, Arci, Carta di Roma, Ucsi, Adif e vari altri. Una delegazione è stata ricevuta dai presidenti di Montecitorio e Palazzo Madama. La protesta (non solo a Roma) riguardava l’angosciante situazione del paese di Erdogan. Le cifre parlano da sole: 203 tra professionisti dei media, vignettisti, scrittori e documentaristi sono detenuti, 103 ricercati, 16 a piede libero in attesa di giudizio; 150 i mezzi della carta stampata o radiotelevisivi, agenzie, siti sequestrati o costretti a chiudere. Il tutto in quadro repressivo abnorme, che tocca numerosi altri settori colpiti da un generale clima brutale. Attenzione, però, a considerare la vicenda turca una patologia anomala ed estrema. Niente affatto. Le orde contro la libera informazione sono all’opera, a cominciare dagli Stati uniti di Trump, dalla Russia, dalla Cina, fino alle dittature del Medio Oriente o africane, alle Filippine, e così via. In verità, la crisi in atto delle democrazie rappresentative classiche porta con sé il morbo della censura. Nella società dell’informazione e nell’economia digitale il conflitto sulle zone di autonomia e di affermazione dell’indipendenza è diventato il fulcro stesso dei nuovi equilibri, dopo che la tradizione liberale è stata travolta dalla sua bulimica filiazione liberista. Insomma, il capitolo delle libertà nell’era digitalizzata è di un’attualità stringente. Restaurazione e dispiegamento degli apparati censori. Oggi, un altro sit-in davanti al parlamento vuole sollecitare l’attenzione sull’orribile storia dei 1.500 prigionieri palestinesi buttati in galera senza neppure precisi capi di accusa e in molti casi soggetti a tortura o alla violazione degli elementari diritti umani. È in corso, dal 17 aprile, lo sciopero della fame dei prigionieri, cui le associazioni promotrici della mobilitazione vorrebbero dare seguito pure in Italia. Tra l’altro, il governo ha votato contro nelle scorse ore ad una legittima proposta in sede Unesco in merito alla sovranità di Israele su una parte di Gerusalemme. È stata rovesciato lo spirito delle pur timide posizioni precedenti. Quindi, è particolarmente urgente la discussione pubblica su ciò che sta avvenendo in quella dimenticata area della terra, dove è messa in causa la sopravvivenza stessa della Palestina, sottomessa e colonizzata da un governo che più di destra non si può. Dj Fabo, i pm chiedono l’archiviazione per Cappato: aiutò ad esercitare un diritto di Manuela Messina La Stampa, 3 maggio 2017 Il "diritto alla vita" di Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo, è "affiancato" e dunque pari al suo diritto "alla dignità della vita, inteso come sinonimo di umana dignità". È questo l’argomento giuridico con cui la procura di Milano ha chiesto l’archiviazione per Marco Cappato, l’esponente dei Radicali accusato di aiuto al suicidio per avere accompagnato il 40enne, tetraplegico e cieco, a morire in una clinica svizzera nel febbraio scorso. Una equiparazione affermata, secondo i pm milanesi Tiziana Siciliano e Sara Arduini, che nella richiesta di archiviazione citano alcune sentenze della Suprema Corte e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, non solo dalla giurisprudenza "costituzionale, ma anche da quella sovranazionale". Le pratiche di suicidio assistito, secondo la procura, "non costituiscono una violazione del diritto alla vita, quando connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale, o gravide di sofferenza e ritenute intollerabili o indegne dal malato stesso". Secondo la Procura, Cappato avrebbe svolto una condotta che si è limitata al solo trasporto di chi voleva esercitare un proprio diritto. A determinate condizioni, per i pm, un atto antigiuridico (l’aiuto al suicidio praticato da Cappato) diventa giuridico se realizzato al fine di sancire un diritto, ovvero quello alla dignità umana di Fabo, che se avesse sospeso le cure per morire sarebbe stato costretto a una lenta e non quantificabile agonia. "Prendo positivamente atto della richiesta di archiviazione avanzata dalla procura di Milano dopo le indagini", ha commentato Cappato. "In attesa della decisione del gip, posso confermare che è in corso e continuerà l’azione di aiuto alle persone che vogliono ottenere, in Italia o all’estero, l’interruzione delle proprie sofferenze, eventualmente anche attraverso l’assistenza medica alla morte volontaria in Svizzera". Nei prossimi giorni un gip al Tribunale di Milano dovrà valutare l’istanza della procura, e decidere se accoglierla o meno. Migranti. Milano, "rastrellamenti democratici" alla stazione centrale di Luca Fazio Il Manifesto, 3 maggio 2017 A due settimane dalla gioiosa manifestazione per l’accoglienza sponsorizzata dalla giunta di Beppe Sala, spettacolare retata. Matteo Salvini filma il tutto e arringa i suoi via Facebook mentre il Pd milanese applaude il questore. La città di Milano, su iniziativa della giunta incolore a trazione renziana di Beppe Sala, con particolare dedizione dell’assessore diversamente piddino Pierfrancesco Majorino, sta organizzando una grande manifestazione per l’accoglienza dei migranti prevista per il 20 maggio. Milano come Barcellona (ma senza Ada Colau). Non è una battuta. I più estremisti con il cuore in mano sperano addirittura in una grande mobilitazione istituzionale antirazzista. Speriamo. Peccato però che la realtà sia più sgradevole delle pur lodevoli intenzioni di chi - forse per distrazione - non ha ancora avvisato il ministro degli Interni Marco Minniti che se rastrellamenti devono essere è bene che in questi giorni si facciano con i dovuti modi e quindi senza esagerare per non disturbare il clima di letizia che si respira nella città più accogliente d’Italia. Almeno per decoro. Altrimenti va a finire come ieri pomeriggio, con la stazione Centrale che sembrava il set di un film anni ‘30. Decine di poliziotti, cani al guinzaglio, reparti a cavallo, elicotteri in ricognizione e una scrupolosa caccia all’uomo tipo pesca a strascico. Chi è fuori è fuori, chi è sotto è sotto, caricato su una camionetta della polizia diretta alla questura di Milano. Si presume in base al colore della pelle e ai documenti non in regola. Decine di stranieri catturati a caso. La polizia non ha colpe, se non quella di eseguire gli ordini e di dare concretezza ai suggerimenti più o meno espliciti di chi governa questa città. Tecnicamente si chiama "prevenzione e controllo del territorio". Molto spettacolare. Non ha colpe nemmeno Matteo Salvini se non quella di esistere, è l’unico politico capace di essere dove bisogna essere, dove le cose accadono: durante il blitz, in diretta Facebook, ieri arringava il suo popolo on-line con la solita strafottenza razzista facendosi fotografare con gli ammiratori in carne ed ossa. Il mandante però non è lui. Con grande tempismo uno dei primi a complimentarsi è stato il segretario metropolitano del Pd Pietro Bussolati, "speriamo che l’operazione disposta dal questore Marcello Cardona non sia episodica, ma che dia continuità a simili controlli, come l’amministrazione e il Partito democratico chiedono da tempo". Bussolati però si è dispiaciuto per la presenza di Matteo Salvini, che strumentalizza. Sulla stessa linea (del Pd e di Salvini) anche l’assessore alla Sicurezza Carmela Rozza: "Mi auguro che questo non sia solo un blitz episodico ma che questa attenzione, anche in forma minore, continui con costanza nel tempo". Altre retate seguiranno nei prossimi giorni, tranquillizzano dalla questura. Il più disorientato, e si capisce, è l’assessore al welfare Majorino (Pd, come i ministri Minniti e Orlando che danno il nome alla nuova legge sull’immigrazione). "Mi convince di più la cultura degli interventi mirati, continuativi e condotti nel silenzio, ma non sono un poliziotto. Vedremo quelli che saranno i risultati effettivi di un’opera simile. L’accertamento delle condizioni e dello status dei richiedenti asilo deve accompagnarsi, sempre, con il rispetto dei diritti umani". Non è la migliore delle piattaforme in vista della giornata del 20 maggio, e arrivati a questo punto non si può nemmeno dire che sia sempre meglio di niente. Migranti. La nota riservata dell’intelligence: "nessun dossier su Ong e scafisti" di Fiorenza Sarzanini Corriere della Sera, 3 maggio 2017 I pm di Siracusa: non abbiamo elementi investigativi. Msf: campagna oscena. La nota riservata è stata trasmessa al comitato parlamentare di controllo sull’attività dell’intelligence. Arriva dal Dis, il dipartimento delle informazioni per la sicurezza, e nega "l’esistenza di un rapporto predisposto dai servizi segreti italiani e attestante rapporti tra scafisti e Organizzazioni non governative per il controllo del traffico dei migranti nel Mediterraneo". Tocca dunque al presidente leghista Giacomo Stucchi smentire pubblicamente quanto aveva sostenuto il segretario del suo partito Matteo Salvini sull’"esistenza di un dossier degli 007 sui legami tra associazioni e trafficanti di uomini". E così confermare come le accuse lanciate dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro non siano supportate da alcun riscontro. Una circostanza già sottolineata dai responsabili delle due Agenzie durante le audizioni segrete delle scorse settimane e ribadita dal capo della Procura di Siracusa ieri mattina in Parlamento quando ha dichiarato: "Non ci risulta, per quanto riguarda asseriti collegamenti obliqui o inquinanti con trafficanti, né per quanto riguarda Ong né parti di Ong. Non abbiamo alcun elemento investigativo". I servizi segreti - I primi a essere ascoltati dal Copasir sul ruolo delle Organizzazioni non governative erano stati i direttori dell’Aise e quello dell’Aisi che avevano riconosciuto come alcune "navi "private" arrivino a ridosso delle acque libiche" chiarendo però che "non risulta alcun collegamento tra reti criminali e Ong". Una posizione ribadita ieri nella comunicazione del Dis. Del resto da mesi i servizi segreti hanno un’attenzione particolare su quanto accade in Libia, sia per quanto riguarda la situazione interna, sia per monitorare i flussi migratori. E per questo non escludono che ci possa essere stata la "captazione" di conversazioni tra trafficanti e membri di equipaggi stranieri per localizzare le imbarcazioni dei migranti e andare a prenderli. Ma questo - è stato specificato - senza trovare riscontro ad illeciti accordi economici. I magistrati - Una linea che trova d’accordo il procuratore di Siracusa, ascoltato ieri dalla commissione Difesa del Senato che poi ha precisato: "Alcune Ong hanno un atteggiamento molto collaborativo, altre un atteggiamento meno collaborativo nel senso che certamente non si sprecano a dare informazioni. Questo però non l’abbiamo mai interpretato come un ostacolo alle indagini, ma come un atteggiamento ideologico, come coerenza col loro atteggiamento di essere favorevoli al migrante e non alla polizia". Stamattina tocca di nuovo a Zuccaro parlare di fronte all’organismo parlamentare presieduto dal senatore Nicola Latorre. E sarà interessante scoprire che posizione prenderà il magistrato di Catania, anche tenendo conto che nelle stesse ore di lui si occuperà il Csm per valutare l’opportunità delle sue esternazioni televisive dei giorni scorsi. Ma anche per stabilire come mai due uffici giudiziari che si occupano delle stesse vicende abbiano ipotesi investigative così distanti. Le verifiche non sono terminate, anche i magistrati di Trapani stanno svolgendo accertamenti. Ma al momento nessuno ha ottenuto riscontro a eventuali patti illeciti, come del resto ha dovuto riconoscere lo stesso Zuccaro quando ha parlato di ipotesi e ha dovuto ammettere di non avere prove. Le associazioni - Di "campagna oscena, disumana e vergognosa", hanno parlato ieri i rappresentanti di Medici senza Frontiere che si sono detti "indignati" per le polemiche. Per questo Marco Bertotto ha voluto spiegare come si svolgono le loro missioni: "Neghiamo con forza di avere contatti con trafficanti di esseri umani, le telefonate che riceviamo sono di nostri colleghi che operano in Libia. Non possiamo riportare i migranti soccorsi sulle coste libiche, altrimenti, secondo convenzioni e accordi internazionali, sarebbero respingimenti. Se parliamo di soccorso in mare, a segnalazione si interviene. Quando noi avvistiamo imbarcazioni in difficoltà, prima segnaliamo alla Guardia costiera e attendiamo da loro l’autorizzazione per intervenire. Non abbiamo alcun contatto con i trafficanti". Un’attività che, come riconosce il commissario europeo Dimitri Avramopoulos, "ha contribuito a salvare oltre 500mila vite". Migranti. Le Ong attaccano Ue e Frontex: ci attaccano per coprire loro fallimento di Rachele Gonnelli Il Manifesto, 3 maggio 2017 Sinistra Italiana chiede al governo di tutelare onore e operatività di chi supplisce nei soccorsi a mare. Scoraggiare la presenza di testimoni scomodi in un tratto di mare dove esiste una grande zona d’ombra per traffici di ogni tipo, non solo di esseri umani, anche di armi destinate a diverse milizie armate e altro: è questa una delle letture in controluce delle ragioni dello scatenamento di una campagna tanto spregiudicata contro le Ong che soccorrono i gommoni carichi di umanità dolente a largo della Libia, "a cui dovremmo dire solo grazie", afferma Nicola Fratoianni, coordinatore di Si. Sono stati gli stessi operatori delle Ong impegnate nei soccorsi a parlarne alla Camera, ieri, ospiti della conferenza stampa con cui Sinistra italiana ha espresso piena e attiva solidarietà al mondo delle associazioni umanitarie, chiedendo al governo di riferire su cosa intende fare per tutelarne onorabilità e operatività con la presentazione di una mozione "trasversale" e un quesito urgente alla Question Time di oggi. "Sembra che dopo il reato di clandestinità si voglia ora introdurre il reato di solidarietà", sintetizza il capogruppo di Si Giulio Marcon, parlando di "populismo giudiziario" per le illazioni senza prove esibite in tv dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro. I dirigenti delle Ong puntano il dito verso Frontex e la Ue che "cercano di coprire i loro fallimenti" puntando a una "inaccettabile deterrenza mortale" - sperare cioè di costringere le Ong a ritirarsi anche loro dalle zone di mare più pericolose perché ci siano ancora più morti e sperare che meno persone tentino di salvarsi imbarcandosi in Libia, un ricatto "osceno" che "prende a picconate i fondamenti della civiltà europea e mette a rischio di arretramento i diritti degli stessi cittadini europei". Stefano Argenziano di Medici senza Frontiere promette: "Noi andremo avanti, non abbiamo niente da nascondere", e ricorda come "non è nuovo per noi essere criminalizzati per presunte opacità e collusioni, di solito avviene in contesti di guerra, siamo stupefatti che ciò accada qui, in uno Stato di diritto". Giorgio Menchini, presidente del Cospe e cofondatore di Sos Méditerranée a cui fa capo la nave Aquarius, sottolinea come "questi attacchi nascondono un vuoto di approccio sul contesto globale delle migrazioni", tra guerre e carestie. Mentre Gianni Rufini, direttore di Amnesty International Italia, focalizza il problema della assoluta mancanza di canali legali e sicuri per chi fugge e chiede protezione internazionale senza più neanche una missione di soccorso statale com’era Mare Nostrum. "Il 30-40% dei migranti sbarcati in Italia hanno ottenuto lo status di rifugiato - fa notare - ma hanno dovuto rischiare la vita per ottenere ciò che spettava loro di diritto, le Ong hanno solo un ruolo di supplenza della Ue e dei governi". Migranti. Copasir e procura di Siracusa smentiscono le accuse contro le Ong di Carlo Lania Il Manifesto, 3 maggio 2017 La Lega: "Aspettiamo arresti". I vescovi: "Attacchi politici ipocriti e vergognosi". Oggi il procuratore Zuccaro in commissione Difesa. Sembra destinata ad arenarsi la campagna scatenata contro le ong impegnate nel salvare la vita dei migranti nel canale di Sicilia. Ieri dal Copasir è arrivata uan secca smentita a quanto affermato domenica dal leader della lega Matteo Salvini, che in televisione aveva parlato di un dossier dei servizi segreti italiani che proverebbe l’esistenza di contatti "tra trafficanti, malavita, scafisti e alcune associazioni". "Dopo le verifiche del caso - ha comunicato ieri il presidente del Copasir Giacomo Stucchi anche lui leghista - e alla luce delle informazioni assunte, ritengo corretto evidenziare come tali notizie risultino prive di fondamento". Ma quella di Stucchi non è stata l’unica smentita della giornata. Ascoltato dai membri della commissione Difesa del Senato, anche il capo della procura di Siracusa ha negato di essere a conoscenza di contatti sospetti. "A noi come ufficio non risulta nulla" ha spiegato il magistrato, che ha anche smentito di essere a conoscenza che le navi delle Ong spengano il transponder di bordo in modo da poter entrare in acque libiche senza essere intercettate. Anche perché, ha spiegato, simili comportamenti non rientrano nelle indagini condotte dalla procura siciliana. "Ci viene riferito un rapporto con le coordinate geografiche specifiche in cui si è verificato l’evento di salvataggio - ha spiegato - il reato che noi perseguiamo è il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina". Nei prossimi giorni la commissione Difesa concluderà l’indagine avviata sull’operato delle Ong. Altre informazioni utili potranno arrivare dalle ultime audizioni in calendario, a partire da quella del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro prevista per oggi pomeriggio. Il magistrato ha più volte spiegato che quali sulle quali sta indagando solo delle "ipotesi di lavoro" ma di non avere le prove che dimostrino l’esistenza di contatti tra Ong e trafficanti. L’unica sembra essere un’intercettazione telefonica tra qualcuno che dalla Libia parla in arabo con una persona che si trova a bordo di una nave umanitaria, ma sarebbe stata fornita da servizi stranieri e per questo inutilizzabile in un’aula di tribunale. Domani, invece, a essere ascoltato dalla commissione sarà il comandate generale delle capitanerie di porto, l’ammiraglio Vincenzo Melone. In attesa che la procura di Catania arrivi alle conclusioni delle sue indagini, prosegue l’offensiva di Lega e M5S contro le Ong. La presentazione di un disegno di legge in cui si prevede la presenza di agenti di polizia giudiziaria sulle navi della Guardia costiera e della Marina militare è stato annunciato ieri dai grillini. "Questo consentirebbe alle procure di avere un monitoraggio costante che oggi non hanno e di fare in mare quel che fanno su terra ferma", ha spiegato il deputato Alfonso Bonafede. Non si tratta di una novità. Agenti di polizia erano già presenti sulle navi impegnate a suo tempo nell’operazione Mare nostrum e permisero l’identificazione rapida delle persone tratte in salvo. "Ci aspettiamo degli arresti", ha detto invece Salvini. "C’è qualcuno che non fa volontariato ma fa soldi sulla pelle di questi disgraziati. C’è qualcuno che sta facendo pulizia etnica sia in Africa che in Italia". Intanto in difesa delle Ong - e in contrasto con la posizione assunta qualche giorno fa dall’Osservatore romano - si schierano ancora una volta i vescovi italiani. "Sempre e in ogni occasione è giusto che la procura e la magistratura siano vigili e assumano conoscenze sulla situazione attuale del Mediterraneo, perché i migranti non siano doppiamente vittime", ha detto il direttore generale della Fondazione Migrantes, monsignor Giancarlo Perego, che definisce però "ipocriti e vergognosi" gli attacchi politici contro le nove Ong che operano nel Mediterraneo. Migranti. Quelle insinuazioni contro le Ong che fanno ricerca e soccorso in mare di Riccardo Noury Corriere della Sera, 3 maggio 2017 Come è noto, in assenza di percorsi sicuri e legali verso l’Europa, negli ultimi anni centinaia di migliaia di migranti e rifugiati hanno attraversato il Mediterraneo in modo illegale e mettendo in pericolo le loro vite. Intraprendere un viaggio sempre più pericoloso verso l’Italia rimane l’unico modo per fuggire alla violenza dilagante nei centri di detenzione della Libia e al razzismo contro i migranti e i rifugiati estremamente diffuso nel paese nordafricano. Le imbarcazioni su cui salgono migranti e rifugiati sono inadatte alla navigazione, stipate all’inverosimile, prive di marinai esperti a bordo, dotate di motori inadeguati e di carburante insufficiente. Inevitabilmente, finiscono in avaria. Lo scorso anno sono morte o scomparse in mare oltre 4500 persone e quest’anno siamo già arrivati a 900. L’anno scorso nel Mediterraneo centrale, secondo dati ufficiali, le navi delle Ong hanno soccorso 46.796 persone su un totale di 178.415 arrivi. Nei primi tre mesi dell’anno hanno soccorso 7.632 persone su un totale di 23.832 arrivi e il numero è considerevolmente salito ad aprile. Le loro attività sono svolte in collegamento con il Centro di coordinamento per il soccorso marittimo della Guardia costiera italiana, a Roma, e nel rispetto della legge del mare. Il motivo per cui le Ong hanno ottenuto questi grandi risultati è che si sono attivate nella ricerca delle imbarcazioni in avaria giungendo il più vicino possibile alle zone in cui la loro assistenza era necessaria. L’Europa dovrebbe essere orgogliosa di un successo del genere ottenuto dalla sua società civile ed essere riconoscente per il fatto che così tante vite umane siano state salvate da morte certa. Ma i suoi leader sono troppo impegnati nei negoziati con governi che violano i diritti umani, allo scopo di impedire le partenze. Così le Ong in questione sono diventate il bersaglio di insinuazioni - che restano prive di sostanza - da parte di rappresentanti delle istituzioni, esponenti politici e commentatori i quali sostengono che proprio la vicinanza delle loro navi alle acque territoriali libiche e il loro metodo operativo stanno incoraggiando le partenze dalla Libia, dunque alimentando il traffico di esseri umani e, in definitiva, contribuendo all’aumento delle morti in mare. Sono stati avanzati sospetti circa contatti diretti tra le Ong e le reti di trafficanti e si è speculato circa l’origine dei fondi con cui finanziano le attività di ricerca e soccorso. Dichiarazioni che sollevano dubbi sul ruolo delle Ong possono essere rintracciate già alla fine del 2016 in documenti confidenziali di Frontex, l’agenzia per il controllo della frontiera europea, resi noti dal Financial Times nel dicembre dello scorso anno. Nel febbraio 2017 sempre Frontex, per bocca del suo direttore Fabrice Leggeri ha affermato che le Ong costituiscono un fattore di attrazione per le persone che si trovano in Libia e che esse non collaborano in modo sufficiente al contrasto del traffico di esseri umani. Il 27 aprile, conversando con giornalisti italiani, il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro ha sostenuto che alcune Ong potrebbero avere persino l’obiettivo di destabilizzare l’economia italiana traendone in qualche modo vantaggio. Ha poi aggiunto di essere a conoscenza di contatti tra alcune Ong e i trafficanti, ma di non averne le prove. Sempre il 27 aprile Frontex ha rivisto le sue posizioni: il suo portavoce ha affermato che Frontex non ha mai accusato le Ong limitandosi a considerare che sono i trafficanti a trarre vantaggio dalla loro azione, ciò che ha definito una "involontaria conseguenza" della presenza delle Ong in mare. Ma di questa dichiarazione non ve n’è traccia. Da giorni, era partito l’attacco del Movimento 5 Stelle, della Lega Nord e di vari editorialisti e commentatori volto a mettere in discussione il ruolo e i reali obiettivi delle Ong che operano in mare. Le Ong coinvolte nelle attività di ricerca e soccorso hanno negato vigorosamente tutte le accuse offrendo numerosi chiarimenti sulle loro modalità operative e fonti di finanziamento. Sulla base dei colloqui con la Guardia costiera e dell’analisi di audizioni parlamentari, documenti ufficiali, informazioni pubbliche e articoli e servizi dei mezzi d’informazione, Amnesty International teme che contro le Ong sia in corso una campagna di sospetti e insinuazioni, non basata su alcuna prova, che sta mettendo a rischio attività di cruciale importanza nel salvataggio di vite in mare. Attività che sono svolte da organizzazioni della società civile che si sono mosse volontariamente laddove sarebbe stato compito dei governi destinare risorse e navi al salvataggio di vite umane. Inoltre, Amnesty International ritiene che la denigrazione delle Ong che salvano le persone in mare e cercano di assicurare loro l’accesso alla protezione che spetta ai rifugiati possa deteriorare ulteriormente il dibattito sull’asilo e sull’immigrazione, legittimando la stigmatizzazione, la ricerca di capri espiatori e la discriminazione. Sarebbe davvero il caso, prima di perdere del tutto la bussola morale, che rappresentanti del potere giudiziario, esponenti politici e giornalisti iniziassero a parlare pubblicamente in modo responsabile su questioni riguardanti la vita e la morte come quella della ricerca e del soccorso. Intanto, mentre il dibattito pubblico è dominato dalle congetture sul ruolo delle Ong che continuano a salvare vite in mare, i leader europei proseguono a negoziare forme di cooperazione con la Libia per fermare i migranti e i rifugiati. Sono in corso diverse iniziative per mettere la Guardia costiera locale in condizioni di pattugliare le acque territoriali, intercettare in mare i migranti e i rifugiati e riportarli sulla terraferma libica. La scorsa settimana il governo italiano ha fornito alla Guardia costiera libica le prime motovedette da pattugliamento e ha ribadito l’impegno a fornirne 10 entro giugno 2017, incurante delle denunce di maltrattamenti di migranti e rifugiati intercettati e riportati in terraferma proprio da parte degli uomini della Guardia costiera di Tripoli. Migranti. I giudici di Milano: vietare il velo non è discriminazione di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 3 maggio 2017 Le regole di Regione Lombardia in ospedali e uffici. "Sacrifici per le islamiche proporzionati alla sicurezza". Vietare alle donne musulmane di indossare il velo islamico negli ospedali e negli uffici pubblici, come fa una delibera della Regione Lombardia, significa imporre loro un grosso sacrificio perché "comporta di fatto un particolare svantaggio per le persone che aderiscono a una determinata religione": ma questo sacrificio non è discriminatorio di una religione o etnia, perché è "oggettivamente giustificato da una finalità legittima, ragionevole e proporzionata rispetto al valore della pubblica sicurezza, concretamente minacciata dall’impossibilità di identificare (senza attendere procedure che richiedono la collaborazione di tutte le persone che entrano a volto scoperto) le numerose persone che fanno ingresso nei luoghi pubblici individuati". La I sezione civile del Tribunale di Milano rigetta così il ricorso con il quale quattro associazioni per i diritti degli immigrati chiedevano di dichiarare "discriminatoria" la delibera della Regione Lombardia del 10 dicembre 2015, che in forza dell’articolo 5 della legge 153/1975 vieta "l’uso di caschi protettivi o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona in luogo pubblico o aperto al pubblico senza giustificato motivo". La giudice Martina Flamini (la stessa che aveva condannato la Lega per aver chiamato "clandestini" i richiedenti asilo) premette che, "a prescindere dall’interpretazione del dettato del Corano in merito all’obbligatorietà o meno del velo", la scelta di indossarlo "rientra nell’ambito della manifestazione del credo religioso" tutelato dalla Cedu; e stima che "il divieto di accesso a viso coperto in uffici ed enti pubblici" (come gli ospedali) comporta, in fatto, uno svantaggio per le donne che, per ragioni di tradizione e per professare il proprio credo religioso, indossano il velo, prevalentemente nelle forme del burqa e del niqab", rispettivamente il velo che copre interamente la donna con una griglia all’altezza degli occhi, e quello che invece copre tutto il volto lasciando scoperti solo gli occhi. Ma lo svantaggio è "oggettivamente giustificato da una finalità legittima, costituita dalla necessità di garantire l’identificazione e il controllo al fine di pubblica sicurezza". Un sacrificio "proporzionato" sia perché "il capo di abbigliamento non è interpretato" nel divieto "come segno di una qualche appartenenza confessionale, ma nella sua oggettività", sia perché "interessa esclusivamente le persone che accedono in determinati luoghi pubblici, e per il tempo strettamente necessario alla permanenza". In linea, per la giudice, con Strasburgo quando nel 2005 nel caso "Phull contro Francia" legittimò "la rimozione del turbante o del velo per permettere i controlli negli aeroporti". Siria. L’Isis attacca un campo profughi: 32 vittime di giordano stabile La Stampa, 3 maggio 2017 L’Isis ha lanciato un attacco massiccio contro le forze curdo-siriane al confine con l’Iraq. Almeno cinque kamikaze hanno preso di mira i guerriglieri davanti al campo profughi di Rajm Sleibi, nella provincia nord-orientale di Hassakah. Sfollati da Raqqa - Le vittime sono almeno 32. I terroristi suicidi hanno fatto strage di guardie ma anche di civili, per lo più persone in fuga dalla zona di Tabqa e Raqqa, dove la coalizione curdo-araba appoggiata dagli Stati Uniti sta conducendo un’offensiva per strappare agli islamisti la loro capitale in Siria. L’attacco arriva in un momento di fortissima tensione anche fra Turchia e guerriglieri curdi dello Ypg. Nei giorni scorsi l’aviazione e l’artiglieria di Ankara hanno bombardato le postazioni dello Ypg, accusato di essere un’organizzazione terroristica, gemella del Pkk in Turchia. Tensioni Turchia-Usa - Washington ha risposto con l’invio di pattuglie miste curdo-americane al confine fra la provincia di Hassakah e la Turchia. Anche la Russia ha inviato oggi truppe, assieme ai militari siriani fedeli al presidente Bashar al-Assad, al confine fra il cantone di Afrin e il territorio turco. Ultimatum turco - Il presidente Recep Tayyp Erdogan, che è tornato oggi alla guida del suo partito Akp, ha lanciato quasi un ultimatum agli Usa, e ora cerca la sponda di Putin per fermare i curdi in un modo o in un altro. I due leader si vedranno domani. I russi per ora hanno risposto come gli americani, e inviato truppe al confine fra zona curda di Afrin e Turchia, a fare da cuscinetto fra i contendenti. Ma la partita sta accelerando perché i curdi hanno quasi preso Tabqa e l’importante diga sull’Eufrate, e l’assalto a Raqqa si avvicina. Quella è la linea rossa per Erdogan, perché Raqqa in mano ai curdi sarebbe come Mosul in mano ai curdi in Iraq. Portogallo. Dai Vescovi l’impegno per il reinserimento sociale dei detenuti radiovaticana.va, 3 maggio 2017 Al termine della 191.ma Assemblea plenaria, la Conferenza episcopale portoghese (Cep) ha emesso un comunicato nel quale è stato fatto "il punto della situazione riguardante l’attività religiosa, giuridica e sociale svolta della Chiesa negli istituti carcerari di tutto il Paese". Dal testo, ripreso dall’agenzia Sir, si apprende che attualmente l’azione della pastorale penitenziaria riguarda "50 stabilimenti di pena, dove si trovano rinchiusi circa 14 mila detenuti". Inoltre, dall’analisi dell’esperienza operativa emerge che "insieme alla prevenzione della reiterazione dei crimini, la risocializzazione dei detenuti costituisce una delle maggiori sfide della giustizia portoghese". Vitale il reinserimento nella vita attiva - A parere dei vescovi, risulta "assolutamente vitale incentivare la creazione di iniziative che favoriscano il reinserimento nella vita attiva delle persone che hanno scontato la pena nel periodo immediatamente successivo alla loro liberazione". Al fine di espletare nel miglior modo possibile la propria missione secondo tale prospettiva, la Cep ha quindi deciso di dotare il settore della pastorale penitenziaria di ulteriori risorse economiche, che consentano anche una diversificazione e un miglioramento degli strumenti operativi. In particolare, i vescovi hanno evidenziato "la necessità di una maggiore formazione e un più accurato accompagnamento degli agenti pastorali, dei collaboratori e dei volontari", per il cui reclutamento è infine auspicata "la costituzione di un servizio specifico in tutte le diocesi". Israele: il ministro Erdan "dietro lo sciopero della fame dei detenuti palestinesi…" Nova, 3 maggio 2017 Il ministro israeliano della Pubblica sicurezza, Gilad Erdan, esprime sul "New York Times" la posizione di Tel Aviv in merito allo sciopero della fame avviato nei giorni scorsi dai detenuti palestinesi delle carceri di quel paese. Israele, esordisce Erdan, "detiene 6.177 persone per reati legati al terrorismo; molti di questi sono implicati nell’ondata di violenze iniziata nel settembre del Duemila sotto Yasser Arafat, all’epoca leader palestinese, dopo il suo rifiuto dell’offerta di pace usa-israeliana". Di questi 6.177 detenuti, spiega il ministro, in circa 1.200 hanno aderito allo sciopero della fame proclamato da Marwan Barghouti; dal suo arresto nel 2002, accusa Erdan, Barghouti "è stato in prima fila nella ridefinizione del terrorismo come forma di "resistenza legittima", e di se stesso come moderato". I terroristi arrestati da Israele, sostiene il ministro, vengono definiti "prigionieri politici" per suscitare le simpatie dell’Occidente. Ufficialmente, Barghouti ha lanciato lo sciopero della fame in segno di protesta contro il maltrattamento suo e degli altri prigionieri, Secondo il ministro, però, la protesta "non ha nulla a che fare con le reali condizioni dei prigionieri, che rispondono agli standard internazionali". Ciò si riflette anche nelle richieste presentate dal leader della protesta, che chiede la possibilità "di ottenere lauree universitarie, più visite familiari e più canali televisivi, telefonate pubbliche e visite mediche private". In realtà, afferma il ministro, dietro la protesta si cela il fatto che Barghouti dalla sua cella è divenuto in questi anni "uno dei principali attori della scena politica palestinese", che "diffonde regolarmente comunicati in merito agli affari palestinesi e sostiene candidati alle elezioni". Barghouti, spiega Erdan, "è coinvolto nella battaglia per la successione a Mahmoud Abbas, l’anziano leader dell’Autorità palestinese e di Fatah". Barghouti "pare sperare che essere eletto alla successione di Abbas porterà alla sua liberazione dalla prigione", ma la competizione è accesa, e lo sciopero della fame "è un altro passo teso a posizionarsi come successore" dell’attuale leader dell’Anp. Israele, conclude il ministro, non intende cedere alle richieste avanzate nell’ambito di una protesta politica, e invece "lavora con i propri partner e alleati per risolvere i fattori che sostengono e incoraggiano il terrorismo", inclusa "l’incitazione alla violenza da parte dell’Autorità palestinese". Arabia Saudita: Dina Ali Lasloom, la donna incarcerata per aver cercato la libertà di Federica Iezzi nena-news.it, 3 maggio 2017 In fuga verso l’Australia è stata arrestata a Manila durante uno scalo aereo e subito rimpatriata a Riyadh. Di lei non si sa più nulla. L’Arabia saudita continua a godere di impunità, nonostante le violazioni dei diritti umani, perché alleata dell’Occidente. Da metà aprile l’hashtag #SaveDinaAli ha riempito gli spazi dei social network. Ma chi è Dina Ali Lasloom? È una giovane donna saudita di 24 anni che ha tentato la fuga in Australia per chiedere asilo politico, per sfuggire alle pesanti restrizioni imposte dalla sua famiglia, ed ora è in carcere a Riyadh "colpevole" di alcun reato se non quello di aver cercato la libertà. Ad una donna saudita non è permesso viaggiare liberamente all’estero, né sposarsi, lavorare o ottenere assistenza sanitaria, a causa del severo sistema di tutela maschile discriminatorio che è alla radice di molti abusi contro il genere femminile, in Arabia Saudita, Paese che continua a godere di impunità e immunità a causa della sua alleanza con l’Occidente. Dina Ali Lasloom è stata arrestata in fuga a Manila, nelle Filippine, durante uno scalo aereo, ed è stata prontamente rimpatriata a Riyadh, nonostante la grande campagna condotta dal team di Amnesty International, impegnato nei Paesi del Golfo. Le autorità filippine l’avrebbero trattenuta in regime di detenzione nel Ninoy Aquino International Airport di Manila, confiscandole il passaporto. L’ambasciata saudita a Manila ha confermato che la donna sarebbe ritornata in Arabia Saudita accompagnata dai suoi parenti, ma non ha fornito ulteriori informazioni. Da quel momento non sia hanno più notizie di Dina Ali Lasloom. Si parla del suo trasferimento in una struttura di detenzione a Riyadh, la Correctional Facility for Women. Tutto questo avviene, come una beffa, alla vigilia della folle decisione presa dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, di avere una rappresentanza saudita tra i 45 membri che costituiscono la Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne (Uncsw), l’organismo Onu più impegnato nella lotta per l’uguaglianza di genere. Nomina in netto contrasto con i dati diffusi dal Report sulla Disparità di Genere 2016, redatto dal Forum Economico Mondiale, in cui la monarchia del Golfo occupa la 141esima posizione su 144 per la questione "diritti femminili". Il sistema di tutela maschile saudita implica che la vita di una donna sia controllata da un parente maschile dalla nascita fino alla morte, il wali al-amr. Chi come Dina fugge dalla famiglia o dal Paese di appartenenza, deve affrontare la punizione riservata a chi lede l’onore familiare. La pena spesso si chiama delitto d’onore: un fenomeno antico quanto le società maschiliste, che viene nascosto, giustificato, tollerato e poco punito. Le autorità considerano queste questioni come "affare familiare". Se la famiglia della donna accusata decide come punizione, la condanna a morte, non seguirà nessuna accusa ad alcun membro della famiglia. Human Right Watch è il capofila della campagna per esortare il leader saudita, il re Salman Bin Abdulaziz, ad intervenire per assicurare un’adeguata protezione a Dina Ali Lasloom contro l’accusa e contro i trattamenti degradanti che ne derivano. Il sequestro e la detenzione delle donne saudite non è inusuale: la teocrazia del regno detta che le donne debbano trascorrere tutta la loro vita sotto la tutela maschile. Chiunque disapprovi un matrimonio forzato o le mille altre restrizioni maschili viene redarguito duramente. La razionalità teocratica per limitare il movimento delle donne, nasce da una visione distorta di un versetto del Corano, contenuto nella Sura IV An-Nisâ, dedicata alle donne, il quale recita che gli uomini sono "protettori e manutentori delle donne". Nel Corano viene usata la parola qawwamun, è il reale significato è quello di prendersi cura. L’interpretazione wahabita-salafita dell’Arabia Saudita, costringe invece le donne ad essere di fatto prigioniere dei loro uomini. Gli attivisti per i diritti delle donne in Arabia Saudita hanno più volte richiesto al governo di abolire il sistema di tutela maschile. La pratica della tutela maschile nelle sue molteplici forme compromette e, in alcuni casi, annulla una serie di diritti umani femminili, violando la Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw), che l’Arabia Saudita ha ratificato nel 2000.