Appello per la Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova: è un patrimonio comune Ristretti Orizzonti, 15 luglio 2017 Appello alla società civile, alle associazioni e agli enti pubblici e privati del territorio, alle singole persone che da tantissimi anni hanno avuto modo di conoscere il buon funzionamento della Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova. Senza il contributo di tutti la Casa di Reclusione di Padova non sarebbe quella che oggi tutti siamo ormai abituati a conoscere. È grazie a persone responsabili e di buona volontà presenti in tutte le realtà, pubbliche e private, che oggi il carcere "Due Palazzi" è noto in tutto il mondo. Quello di un carcere è un mondo tanto complesso quanto ricco di esperienze, ricco di diversità, basti pensare al personale di Polizia penitenziaria, alle varie direzioni che dal 1989 ad oggi si sono succedute, alla magistratura di sorveglianza, all’area trattamentale educativa, all’area socio sanitaria, all’area scolastica (basti pensare che Padova ha visto nascere in carcere uno dei primi Poli Universitari d’Italia), alle associazioni di Volontariato pioniere a livello nazionale, le cooperative sociali, alle realtà culturali, sportive, formative. Ognuna di queste con la propria specificità ha dato vita, in questi lunghi e faticosi ma anche belli anni a quell’autentico laboratorio di sperimentazione di un carcere rispettoso fino in fondo della Costituzione. Tutto questo, che è un patrimonio di tutti, oggi lo vediamo messo fortemente a rischio. Il lavoro di anni, svolto da tutti sempre attraverso un confronto aperto e serrato con le Istituzioni, ha avuto una caratteristica sopra ogni altra: la trasparenza. Padova ha una ricchezza di esperienze nell’ambito della rieducazione e del recupero delle persone detenute davvero straordinaria, attività mai smessa anche quando la dovuta attenzione in merito alla carenza del personale di polizia penitenziaria, dell’area trattamentale educativa e dirigenziale, non veniva adeguatamente affrontato in quantità oltre che in qualità. In queste settimane, più o meno tutti, stiamo subendo un attacco sia mediatico che concreto nel vivere quotidiano. Ogni fatto anche teso a mettere ordine al proprio interno (vedi ad esempio il ritrovamento vari di cellulari) è usato da qualcuno sempre in modo strumentale. Grazie a una straordinaria collaborazione tra istituzioni e società civile anche negli anni del sovraffollamento più bestiale si è riusciti a fare davvero miracoli. Quello in atto è un grave tentativo di tornare al passato (ante 1990), a un carcere chiuso alla società civile e chiuso alla speranza. La nostra preoccupazione è dettata anche dal fatto che il "Sistema carcere Padova" è nato realmente dal basso, dall’impegno e dalla risposta positiva data negli anni dall’Amministrazione, in particolare quella locale. Ora temiamo che il lavoro di tutti non venga sufficientemente tutelato, questo chiaramente non è solo a danno di Padova, in quanto in questi anni Padova ha rappresentato un monito, ricordando a tutti che con un unico ordinamento penitenziario si può gestire un carcere, progettando davvero il cambiamento o invece arroccandosi nella difesa di un passato che, come tutti oggi si riempiono la bocca, ha invece fruttato il 70% di recidiva. Ci rivolgiamo a tutti quelli che conoscono bene che cosa prevedono la nostra Costituzione, le leggi, l’Ordinamento ed il Regolamento penitenziario e non da ultimo le direttive europee che impongono l’umanizzazione della pena per quanto riguarda le persone private della libertà a causa dei reati commessi. Ci rivolgiamo a chi conosce altrettanto bene tutte le attività che da decenni sono presenti presso la Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova. La mancanza di rispetto, di aiuto, di difesa ci preoccupano moltissimo. Quello che ci preoccupa è dunque che ad essere attaccato sia il sistema "carcere Padova" nella sua totalità, e per di più in maniera poco chiara e incomprensibile. Ne va della credibilità delle istituzioni e della dignità delle persone. Una città intera, e non solo, ha conosciuto in questi 25 anni questa esperienza: ogni anno migliaia di studenti, scuole, aziende, istituzioni italiane e di ogni parte del mondo, enti di ogni ordine e grado, università italiane ed estere, etc. etc. sono entrati a contatto con tutte le attività di questo istituto, attività in molti casi fiore all’occhiello a livello nazionale ed internazionale. Quello del carcere di Padova non è patrimonio di qualcuno in particolare, è patrimonio di tutti, è un patrimonio pubblico di cui tutti noi e Padova ne andiamo fieri. Vi chiediamo una firma e, se volete, una frase che esprimano la vostra solidarietà e la vostra simpatia. Firmatari appello - Gruppo Operatori Carcerari Volontari (OCV) - Casa di accoglienza Piccoli Passi - Gruppi di ascolto - Sappe Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Responsabile Veneto e Trentino Giovanni Vona - FeDerSerD, Federazione degli operatori dei servizi delle dipendenze - Felice Nava - CISL-FNS Veneto - Segretario Regionale Giuseppe Terracciano - CISL-FP Padova - Segretario Generale Michele Roveron - CISL Padova - Segretario Generale -Sabrina Dorio - Polo Universitario Carcerario - Università di Padova - FP-CGIL Penitenziari Gianpietro Pegoraro - FP-CGIL Veneto Daniele Giordano - Associazione di volontariato Incontrarci Cristina - Associazione di Volontariato Ristretti/Granello di Senape - rassegna stampa e rivista - sportello giuridico - scuola di scrittura - TG2 PALAZZI. Ornella Favero Francesca Rapanà Lucia Faggion Vanna Chiodarelli Angelo Ferrarini Bruno Monzoni Antonio Morossi Elisabetta Gonzato Mauro Feltini Anna Scarso Feltini Donatella Erlati Armida Gaion Fernanda Grossele Tino Ginestri Silvia Giralucci - Work Crossing Coop. Soc. P. A. - Pasticceria "I dolci di Giotto" Matteo Marchetto Roberto Fabbris Matteo Florean - Insegnanti CPIA Padova, sezione carceraria. Adesione personale Daniela Lucchesi Domenica Cimellaro - Giotto Coop. Soc. Nicola Boscoletto Andrea Basso Alessandro Krivicic - Teatrocarcere Due Palazzi Maria Cinzia Zanellato Adele Trocino - Ass. Coristi per Caso Alberta Pierobon - Coro Due Palazzi in collaborazione con CPIA Padova - Docenti scuola superiore in carcere - Einaudi/Gramsci sez. carceraria Patrizia Fiorenzato Francesco Mazzaro Vincenzo Stocco Michela Zamper Paolo Mario Piva - ASD Polisportiva Pallalpiede Lara Mottarlini Paolo Mario Piva - Antigone Triveneto Giuseppe Mosconi - Cooperativa sociale AltraCittà Rossella Favero Valentina Franceschini Valentina Michelotto Mirko Romanato Bruna Casol Sabina Riolfo Federico Gianesello Giorgio Mazzucato - Avvocato Marco Di Benedetto - Avvocato Roberto Pinazzi - Mirella Gallinaro, Garante regionale dei diritti della persona del Veneto - Avvocato Mattia Carminati - Avvocato Gloria Trombini - Livio Pepino, già magistrato, presidente Associazione studi giuridici Giuseppe Borrè - Avvocato Riccardo Polidoro, Responsabile dell'Osservatorio Carcere UCPI "L'Osservatorio Carcere dell'Unione Camere Penali Italiane, sottoscrive l'appello. Firmiamo e invitiamo a firmare l’appello per salvare e promuovere il lavoro svolto nella casa di reclusione “Due Palazzi” di Padova. Sono pochissime le cattedrali nel deserto dell’esecuzione penale in Italia. Tra queste certamente e da tempo quella della Casa di Reclusione “Due Palazzi” di Padova. Un’eccellenza nell’ambito della c.d. “rieducazione” e nel recupero delle persone detenute che ha, con coraggio e grande forza di volontà, compensato le carenze di personale e di risorse dell’area trattamentale. Ci uniamo, pertanto, all’allarme lanciato dagli operatori di tale meravigliosa realtà, preoccupati che si voglia tornare ad un carcere “chiuso”, mettendo fine ad iniziative e progetti che hanno coinvolto la società civile, le scuole, le università, le aziende, nel rispetto di un'esecuzione della pena in linea con i principi della Costituzione e dell'Ordinamento Penitenziario. Il lavoro svolto in questi 25 anni a Padova ha rappresentato un’attività di supplenza che lo Stato non può ignorare e soprattutto non può e non potrà cancellare. Invitiamo, pertanto, tutti gli iscritti all’Unione Camere Penali Italiane a firmare l’appello scrivendo a redazione@ristretti.it. Gli Avvocati Componenti il Direttivo UCPI: - Simone Bergamini - Gianluigi Bezzi - Fabio Bognanni - Filippo Castellaneta - Giuseppe Cherubino - Filippo Fedrizzi - Roberta Giannini - Davide Mosso - Ninfa Renzini - Cinzia Simonetti - Gabriele Terranova - Renato Vigna - Franco Villa - Patrizio Gonnella, Presidente Associazione Antigone - Claudio Messina, Società di San Vincenzo De Paoli "Esprimo tutta la mia stima e fiducia agli operatori che in tanti anni di serio e qualificato impegno, con quello altrettanto indispensabile delle persone detenute coinvolte, hanno creduto e saputo attuare iniziative di eccellenza all’interno della Casa di Reclusione di Padova. Un impegno che ha dato frutti a tutti ben visibili, rendendo un servizio importante non solo alla comunità ristretta ma a tutte le componenti sociali, direttamente e indirettamente coinvolte. Tutti noi, appartenenti al mondo del volontariato ne abbiamo beneficiato e ne traiamo tuttora spunti utilissimi. Questi successi indiscutibili non possono essere vanificati da pretesti del tutto inconsistenti, che evidenziano la volontà di arrestare quel progresso civile auspicato dalla stessa Costituzione e da tutta la legislazione in materia, nell’attribuire alla pena un significato riabilitativo, rispondente non solo a istanze di giustizia e di civiltà, ma anche all’interesse della società nel suo complesso. Sono certo che la forza delle idee di progresso, dell’impegno costante e disinteressato prevarranno su questi attacchi immeritati, palesemente strumentali. Esprimo dunque a tutti voi la mia totale solidarietà e incoraggiamento a proseguire nel solco tracciato e sin qui vincente. Non conosco un modo migliore di operare dentro e fuori dal carcere". - Agnese Solero e Beppe Ceschi "Mi viene spontaneo affermare che la difesa delle attività presenti nella casa di reclusione di Padova è un investimento per tutti coloro che si sentono cittadini, per tutti coloro che credono nella possibilità dell'uomo di crescere, di cambiare, di misurarsi con l'altro da sé ma anche con sè stessi e con le proprie debolezze e fragilità. Tenere viva e fertile la comunicazione tra il "dentro" e il "fuori" per me significa investire nell'umanità e in un mondo possibile. Non scoraggiamoci!". - Giulia Cella - Antonella Barone - Museo Veneto del giocattolo di Padova - Centro Studi Ettore Luccini di Padova - Mario Breda, Mariastella Dal Pos - Avvocato Antonella Calcaterra - Mauro Feltini - Elisabetta d'Errico - Avvocato Barbara Lettieri - Avvocato Luca Mandro - Avvocato Felice Foresta, Referente Osservatorio Carcere Camera Penale di Catanzaro “Alfredo Cantàfora” - Alain Canzian - Avvocato Alessandro Magoni Associazione Antigone Nazionale Avvocato Michele Passione Sono stato molte volte da Voi. Senza di Voi nulla sarebbe come prima. Aderisco all'appello. Senatore Gianpiero Dalla Zuanna Firmo volentieri l'appello, e se posso fare qualcosa per sostenervi, sono qui. Angiola Gui Ho firmato perchè in 12 anni di frequentazione, come docente partecipante al progetto per le scuole, posso testimoniare che la collaborazione con Ristretti Orizzoni è stata per me ed i miei studenti un dono prezioso, altamente formativo ed arricchente! Un messaggio efficace, perchè testimoniato con coerenza, di educazione civica alla legalità. Un aiuto esemplare alla comprensione della complessità carceraria, ignota ai più (anche a me stessa, prima di avvicinarmi a questa problematica realtà) così comunemente travisata dal nostro sentire comune, fortemente condizionato dai tanti stereotipi di cui siamo, spesso inconsapevolmente, sia vittime che artefici. Maria Teresa Menotto, Associazione "Il granello di senape" Lucio Simonato Viviana Ballini Sottoscrivo, con molta convinzione. è importantissimo il vostro lavoro, per tutti. Marianita De Ambrogio, Padova Miriam Vertes Sono con voi! Federica Rovellini Con la presente si intende aderire all'appello da voi promosso. Con stima e solidarietà Maria Manuela Gigliotti, insegnante al Curiel. Stefano Cappuccio Dalla parte di chi con grandissimo impegno e intelligenza non comune, ha saputo dimostrare che nessuna vita é ormai già "scritta", che capire di avere ancora "qualcosa da perdere" può ribaltare un destino apparentemente già segnato, che a dispetto di quanto può sembrarci ineluttabile, creare occasioni per far riflettere sulla propria vita, sui propri e altrui errori e sul dolore ricevuto ma sopratutto provocato, può rivelarsi cura miracolosa. Tutto ciò, persino per quegli uomini che, per primi, non scommetterebbero più sul loro cambiamento, rassegnati a diventare incarnandola, la colpa commessa. In qualità di insegnante, per anni Figura Strumentale per l'Educazione alla Legalità nel proprio istituto, penso di conoscere bene il lavoro di Ornella Favero e della redazione di Ristretti Orizzonti e fin dai primi incontri tra detenuti e allievi, a scuola e in carcere. Ho grande stima di lei e di chi, assieme a lei, ha saputo regalare il proprio tempo e il peggio del proprio passato, per stimolare nei ragazzi e nei loro docenti riflessioni altrimenti impossibili, dando a tutti un'occasione più unica che rara di emanciparsi dalle ignoranti scorciatoie che spesso famiglia, informazione e purtroppo a volte anche le istituzioni, suggeriscono. Grande Lavoro quindi quello di Ristretti Orizzonti, senza alcun dubbio. Onorato di esservi amico. Prof. Antonio Bincoletto, IIS “Concetto Marchesi” Aderisco all’appello con questo contributo sul progetto scuole/carcere. Da quasi tre lustri partecipo con gli studenti della mia scuola al Progetto promosso dalla dott.ssa. Ornella Favero. So che in questo momento Ornella è bersaglio di critiche e velate accuse per il caso dell'ex Direttore del carcere Due Palazzi dott. Pirruccio. In una tale situazione di difficoltà e di messa in discussione del suo operato, sento di dover esprimere la mia solidarietà verso la dott.ssa Favero, una persona che da anni si sta impegnando a fondo e senza risparmio d'energie affinché nel carcere si attui il dettato costituzionale e specificamente quanto previsto dall'art. 27 riguardo alla funzione rieducativa della pena. Il percorso proposto da Ornella apre spazi effettivi per un possibile ravvedimento ed una rieducazione dei detenuti, i quali sono generalmente sottoposti a mera pena afflittiva, senza supporto né incoraggiamento significativo ad intraprendere una revisione critica del proprio passato. L'esperienza che grazie a questo progetto abbiamo fatto dal 2003 ad oggi nel liceo "Marchesi-Fusinato", ha consentito a generazioni di giovani frequentanti il nostro istituto di confrontarsi con realtà dure quali quelle della tossicodipendenza, della marginalità sociale, dell'immigrazione, delle relazioni familiari difficili, delle tradizioni violente e vendicative presenti ìn alcune comunità, della pervasività delle organizzazioni criminali in certi contesti, dell'insuccesso che s'incontra nelle relazioni sociali e che talvolta diventa criminogeno, dell'indigenza o del desiderio di avere di più e velocemente, del familismo amorale, dell'incapacità di chiedere aiuto quando si è in difficoltà; tutto ciò lo si è incontrato attraverso il vivo e spesso sofferto racconto dei detenuti che intraprendono un percorso di revisione del proprio passato e che considerano l'incontro con gli studenti come una grandissima risorsa, in quanto raro momento di confronto e rispecchiamento effettivo con la società. Insomma, Ornella ha ideato e messo in atto un sistema di relazioni che consente una simultanea crescita di consapevolezza nei detenuti e negli studenti. L'ha fatto in forma volontaria e gratuita, con grande convinzione e con una dedizione totale, trovando una sponda attenta e sensibile nel direttore e in molti operatori del carcere. Non entro ovviamente nel merito delle circostanze che hanno provocato il procedimento giudiziario in atto nei confronti del dott. Pirruccio. Posso solo dire che, nelle situazioni in cui l'abbiamo incontrato (lezioni con gli studenti, visite e convegni in carcere, conferenza nell'ufficio stampa di Montecitorio), l'ex direttore ci è apparso persona aperta e disponibile al dialogo, nonché convinta che la pena della detenzione debba avere una funzione anche rieducativa e non meramente afflittiva. Per quel che riguarda le ricadute scolastiche del progetto, a partire da riscontri oggettivi sui risultati ottenuti in questi 14 anni, posso affermare che si tratta di un'esperienza altamente formativa per quanto concerne sia l'educazione alla legalità, sia l'analisi critica dei fenomeni sociali e delle istituzioni, sia il superamento di visioni basate unicamente su preconcetti e stereotipi. Il successo formativo del progetto è confermato sia dall'interesse vivissimo dimostrato dagli studenti, sia dalle tante manifestazioni di apprezzamento giunte in questi anni dalle famiglie e dagli insegnanti che vi hanno partecipato, sia dalle indagini che abbiamo sistematicamente condotto sui risultati ottenuti alla fine del percorso. Un altro riscontro importante è rappresentato dall'alto numero di elaborati prodotti in questi anni dalle classi coinvolte, che hanno spesso ottenuto anche riconoscimenti esterni e premi nel concorso finale. Ma c'è un ulteriore fondamentale elemento che ci indica quanto sia importante questo progetto: vedere dei detenuti, talora considerati delinquenti incalliti ed irrecuperabili, mettersi prima a nudo di fronte a platee di giovani, giudici spesso inflessibili e spietati, e poi sentirli dichiarare che l'incontro con gli studenti è l'unica preziosa opportunità offerta loro per ripensare al male fatto e per confrontarsi con qualcuno su questo, tutto ciò fa capire quanto sia utile e coerente coi principi della nostra Costituzione il percorso avviato grazie al duro lavoro di Ornella. Ai ragazzi viene offerta la possibilità di crescere e, nel contempo, di contribuire attivamente all'applicazione di un principio costituzionale che altrimenti verrebbe largamente disatteso; ai detenuti si dà una delle pochissime opportunità di confronto col "mondo esterno", indispensabile per avviare quel percorso di revisione che rappresenta il risultato ideale atteso dalla funzione rieducativa del carcere. Sono certo che questa e nient'altro sia stata e sia la "stella polare " che ha guidato Ornella in questa lunga, non facile e talvolta burrascosa navigazione. Posso solo ringraziarla per il suo grande lavoro e augurarmi che, al carcere come alla scuola, non venga tolto uno strumento tanto prezioso e collaudato di formazione e miglioramento sociale, ma che, anzi, esso venga diffuso a livelli sempre più ampi, quale esempio di buona pratica per una società sana e democratica, in grado sia di prevenire i reati educando i giovani alla legalità e alla cittadinanza, sia di offrire una possibilità di cambiamento anche a chi sbaglia. Stefano Carnoli Io ho compiuto quel percorso, aiutato da ogni persona che quotidianamente si adopera per far sì che dal dentro al fuori si trovi la concreta possibilità di una vita sociale normale. Oggi ho un buon lavoro e uno sguardo ottimista verso il futuro. Non fate che dal dentro al fuori ci sia solo un sacco nero pieno del nulla più assoluto. Maurizio Mazzi, Presidente della Conferenza Regionale Volontariato e Giustizia del Veneto Aderisco all’appello e invito le Associazioni a aderire individualmente Luisa Mazzone ?Giuditta Boscagli? Io superfirmo e condivido la petizione: la mia famiglia è nata grazie al lavoro e all'umanità che in quel carcere hanno trovato la possibilità di attecchire e spesso fiorire, tanto per i detenuti quanto per gli operatori.?? Anna Rossetto Viene offesa una vasta categoria di lavoratori che silenziosamente si occupano di "Diffondere la speranza". Questo è il mio mestiere da molto tempo.? Non c'è istituto in Italia più umano della casa di reclusione di Padova. Sono allibita dalle manifestazioni di ignoranza di alcuni media. Serafina Tavella ? Stimo moltissimo il grande, encomiabile lavoro che tutti i responsabili fanno nei confronti dei carcerati! Ho visto questi uomini davvero cambiati e sereni, dove li trovate delle persone così? Perché si attacca il bene??? Benedetta Scandola? Io firmo! Officina Giotto e il sistema Padova sono un sistema d'eccellenza; quanto si sta facendo contro di loro è la consueta macchina del fango, che colpisce lì dove la serietà e la rettitudine portano frutti?? ? Nunzio Puccio Io firmo e confermo. Il lavoro fatto in questi anni ha creato delle eccellenze professionali e produttive ma soprattutto umane che sarebbe un crimine mettere a repentaglio.? Marco Ferrero Troppo spesso le scelte politiche sono dettate dalla preoccupazione di assecondare un elettorato superficiale e qualunquista. ? ?Aderisco all'appello.? Stefano Scherini L'anno scorso, nel 2016, siamo stati ospiti del carcere di Padova e di Officina Giotto con lo spettacolo "The Merchant in Venice", della Compagnia dè Colombari. Abbiamo ricevuto un'accoglienza splendida, abbiamo trovato un luogo straordinario per senso civile ed umano. ? ?Sottoscrivo l'appello e mi auguro che le istituzioni sostengano sempre più il vostro splendido lavoro e modello penitenziario.?? Edoardo Acerenza Sono ex manutentore e ho conosciuto tanti ragazzi magnifici. Ho una grande stima x tutti come loro l'anno per me. Alcuni li trovo fuori e tutti si sono fatti un futuro e una famiglia!? ? Ennio Favarato Se aveste visto la luce negli occhi delle persone che lavorano con passione in un cammino di redenzione, come ho avuto la fortuna io di vedere, non avreste il minimo dubbio nel sottoscrivere un milione di volte questo appello.? Gisella Barbiani Pieno sostegno a un'opera meritoria svolta da un rete di realtà del terzo settore, esempio raro nel panorama delle carceri italiane, a cui ispirarsi per estenderla in altri istituti.? Edoardo Gerbaudo Chi ci entra sa che "dentro" ci sono un sacco di cose che "fuori" troppi neanche immaginano. ?Solidarietà totale a chi le porta "fuori" per sconfiggere il qualunquismo?? Massimo Mogno Consapevole del serio lavoro svolto, auguro un sempre maggior successo e aderisco pienamente alla sottoscrizione.? ?Massimo Mogno?? Maz Dani Io vi appoggio sempre?. Il vs lavoro è la base per ripartire,? Ci credo moltissimo. ? Antonuzzo Angelo Concordo pianamente a firmare anche se virtualmente e auguri di una nuova riuscita al progetto.? Paolo Bolchi Ho moltissima stima per quello che avete fatto negli anni a favore di tanti uomini che ho avuto anche la fortuna di conoscere. Aderisco con convinzione all'appello ed alla sottoscrizione.? Franco Scali Parola d'ordine "Resilienza". Non mollare mai!... (ma perché i circoli virtuosi sono sempre sotto attacco? Anziché provare l'emulazione. ...?)? Daut Dinja Siete grandi, andate avanti. Un abbraccio a tutti gli amici. Tanti saluti dall’Albania? ? Rosa Giacomo Consiglio ?? Maria Teresa Pandolfi Io firmo, avanti? Michele Boscolo Sassariolo Aderisco e condivido il post? Alice Cavallaro Aderisco e condivido con piacere!? Romina Sossai Aderisco!? Stefania De Paolis Condivido? Kay Pasero Metella Federica Biagioni Aderisco e condivido? Barbara Buono Pieno sostegno a tutti voi e al grande lavoro che fate ogni giorno... Firmo e condivido? Graziella Teseo Siete tutti bravissimi. ?Vi ammiro e stimo tanto?? Miria Spada Firmo e condivido.? Enrico Rancan Aderisco e condivido! Sono con voi!? Andrea Demozzi, Trento Assolutamente da sostenere. Forza Nicola Boscoletto, forza tutti, noi ci siamo!!! Michelangelo Menna, Perugia Aderisco, #officinagiotto un esempio per tutti! Marta Cecchinato, Padova Non capisco con quali motivazioni si voglia tornare al passato, se i dati confermano la positività del "modello carcere di Padova", a partire dalla Officina Giotto, fiore all'occhiello di Padova e che dovrebbe essere preso ad esempio a livello nazionale. Cerchiamo di resistere a questi attacchi insidiosi, sperando che le azioni positive abbiano il sopravvento! Forza! Maria Di Fusco, Napoli Ho avuto la Grazia di conoscere il SIG. NICOLA BOSCOLETTO dentro al Due Palazzi. Mio figlio detenuto da 16 anni in diversi carceri italiane, con esperienze devastanti spogliati di di ogni identità trattati senza un briciolo di umanità facendo salti mortali per poter mantenere mio figlio con almeno il necessario per il suo fabbisogno giornaliero Un giorno si arriva a Padova e tutto cambia, c'è NicolaBoscoletto con le officine Giotto che da lavoro a mio figlio , ci sono metodi umani di perquisizioni da parte della Polizia Penitenziaria , c'è Ristretti Orizzonti con a capo Ornella Favero che ci hanno tirato fuori da un baratro buio dove ogni forma di dignità non era più neanche nei sogni , che dire poi del Volontariato con persone meravigliose che si adoperano x noi detenuti e famiglie con umana determinazione per ridare dignità e Speranze a noi tutti. Firmo è aderisco 1000 mille volte perché tutto questo non finisce perché Nicola Boscoletto con Ornella Favero non diventi un ricordo di persone incontrate in un carcere dove la Dignità umana di un detenuto conta ! AUGURI a Voi Tutti che chi ha messo in moto questa macchina di fango capisce quanto dolore sta provocando la dove c'è tanto impegno x noi famiglie e detenuti! Forza e Coraggio sono con Voi Orgogliosa di Conoscervi Tutti! Maria. Valeria Bonomi, Milano Grazie a te Nicola Boscoletto , ho sempre sostenuto che bisognerebbe investire per replicare il modello del carcere di Padova e continuerò a farlo! Forza. Jole Vanoni, Varese Aderisco più che volentieri! Il modello Padova, a mio avviso, è un modello da esportare in tutte le carceri per il recupero di chi nella vita ha sbagliato. è giusto dare a queste persone un'altra possibilità! Marcella Clara Reni Aderisco con convinzione a nome mio personale e dell'Associazione Prison Fellowship Italia ONLUS che mi onoro di presiedere. Francesco Toniutti, Milano Aderisco, per un modo nuovo di vivere la rieducazione. Silvia Guidi, Roma. Anch'io, Nicola. Se posso essere utile ci sono. Keep on fighting! Cecilia Marangoni, Padova Non posso non aderire... questi ragazzi hanno sbagliato, ma nessuno può dire con certezza "io non lo avrei mai fatto" e quindi nessuno può permettersi di togliere loro la possibilità di cambiare la loro storia! In tante occasione mi hanno dato di più loro che le persone "per bene" che incontro tutti i giorni! ADERISCO! Corrado Rizzi, Abbiategrasso Aderisco; uno spazio di umanità in un luogo impensabile non può essere mortificato. Forza Officina Giotto! Camillo Rossi. Cremona. Aderisco! Federico Samaden. Pergine TN. Il sottoscritto e tutti i ragazzi e il personale e i docenti dell'istituto alberghiero sono con voi!! Forza e coraggio, non mollate!! Silvia Vianello. Chioggia VE. Hai tutta la mia solidarietà. Ho avuto l'onore, grazie a Nicola, di visitare il carcere e tutte le attività all'interno. Un grande laboratorio frutto di sacrificio, passione, grandissima dedizione e spirito di carità. Maria Olga Mezzena. Trento Aderisco. Jacopo Sabatiello, Belo Horizonte, Brasile Aderisco. Serena Mancuso. Venezia. Ho visto il carcere di padova un anno fa, in occasione dello spettacolo "The marchant in Venice", per il quale suonavo. Sono rimasta molto colpita positivamente dalle possibilità di recupero che vengono date ai detenuti, è stata un'esperienza indimenticabile vedere quello che siete riusciti a fare voi ed i detenuti insieme. Un grandissimo esempio di umanità e civiltà! Vi auguro davvero di poter continuare cosi'. una grande emozione vedervi all'opera, bravissimi! Maria Clemenza Berti, Genova Aderisco e condivido. Albino Dal Bianco. Sembra incredibile che dopo aver chiuso le cucine e non aver avuto il coraggio di ammettere la cazzata fatta voglio anche demolire l'unica esperienza vera, preziosa e sopratutto educativa che si trova all'interno di un carcere. Ma la vera domanda e da dove viene tutto questo malessere verso chi ha sacrificato tempo e soldi per ricoprire un ruolo che spetterebbe allo stato? Sapete quante famiglie vanno avanti con l'aiuto economico che riescono a dare i detenuti ai loro cari lavorando. Non arrendiamoci ma stiamo vicini alla Giotto nel far comprendere l'importanza di aiutare chi vive dentro un carcere sia che egli sia guardia oppure delinquente. Io ho vissuto 8 anni dentro il due palazzi e ho visto la differenza tra essere un detenuto con un numero di matricola ed essere un detenuto valorizzato come persona. Io ci sono per qualsiasi iniziativa vogliate prendere. E potrei riempire pagine pagine pagine di bene che ho ricevuto dall'esperienza educativa che ho ricevuto all'interno del carcere e che mi sta aiutando nella vita di tutti i giorni. Pietro Milazzo, Padova Come al solito le cose che funzionano si devono demolire. Tenete duro. Carlo Grignani. Belgioioso Aderisco convintamente all'esperienza del carcere di Padova! Una speranza per molti. Donatella Tonello, Torino Siete l'esempio che traccia un metodo, da estendere. Bisogna ottenere che la vostra opera, ottenga visibilita' e sostegno. Grazie per quello che fate! Maria Acqua Simi, Cremona Da giornalista, raramente ho visto una realtà così ricca di umanità. Non mollate. Monica Mondo, Roma La realtà del carcere di Padova è unica, umanissima, speciale. Conoscervi è stato un respiro di grazia libertà e giustizia vera. Qualsiasi cosa per sostenervi. Eugenio Andreatta, Padova Considero un privilegio aver potuto raccontare per anni cosa succede nella casa di reclusione di Padova. Si potrebbe descrivere in tanti modi, un piccolo esempio di sussidiarietà realizzata, un angolo di operoso Nordest dietro le sbarre, una speranza per chi è dentro e un esempio per chi sta fuori. E anche un modo per spendere bene i nostri soldi. Con tutti i limiti che vogliamo, ci mancherebbe. Ma una storia che non ci si stanca di raccontare. Grazie ragazzi un abbraccio. Maria Luisa Manzi, Bergamo Ci vorrebbero tante esperienze come Padova! Elisa Mapelli, Villa Santa Aderisco e condivido! Forza ragazzi! Daniele Lugaresi, Bologna Aderisco per risultati che questa esperienza ha prodotto. Monica Boscato, Isola Vicentina #iostoconofficinagiotto #iostoconristrettiorrizzonti #iostoconduepalazzi. Non mollate. Romano Lovison, Padova Padova è un esempio da imitare, nel recupero delle persone per reinserirle, nel miglior modo possibile, nella società civile. Valorizziamo ulteriormente questo patrimonio! Santini Mongardini, Roma Aderisco perché ho avuto occasione negli anni di conoscere e apprezzare l'esperienza. Giuditta Boscagli, Lecco Io superfirmo e condivido la petizione: la mia famiglia è nata grazie al lavoro e all'umanità che in quel carcere hanno trovato la possibilità di attecchire e spesso fiorire, tanto per i detenuti quanto per gli operatori. Gianfrancesco Carpenzano, Padova Quello che è stato creato nel carcere di Padova, la "Officina Giotto" è, secondo me, uno dei più bei progetti mai creati prima! Bisogna prenderlo come esempio! Maurizio Perfetti, Roma "Bonum sui diffusivum" si diceva una volta, anche se le cosiddette "istituzioni" sono sorde per lo piu' e ciucciani soldi e le migliori energie dei buoni e volenterosi... Non mollare, non mollate! anche quando il vento e le correnti (ops!) sembrano contro. Chi ha forza rema sempre "sperando contro ogni speranza". la verita' rende liberi (è detto e "scritto"). Letizia Bellini, Padova Condivido e appoggio xche anch'io ho visto il grande lavoro e l'umanità con cui si prestano i lavoratori per dare una seconda opportunità a chi ha sbagliato attraverso questi laboratori meravigliosi. Emanuela Schiavon, Chioggia Aderisco condividendo il post sperando che i progetti virtuosi come quello della Coop Giotto possano continuare ad esistere. Cristina Boscolo, Padova Condivido sicuramente... ho conosciuto delle persone che avendo avuto una seconda possibilità sono veramente cambiate... grazie di cuore per quello che fate! Antonmariano Varotto, Paraguay Conoscendo in prima persona la realtà del carcere di Padova ed il Valore educativo e civile delle attività a favore dei detenuti ivi svolte, appoggio pienamente l'Appello! Maria Elena Castelli, Alatri Aderisco. Ho sempre sostenuto che il modello del carcere di Padova dovesse essere utilizzato ovunque. Purtroppo il mondo intero è sotto attacco. Ma le tenebre non prevarranno. Michele Boscolo, Sassariolo - Chioggia VE Aderisco condividendo il post. Un caro saluto. Anna Pedrazzini, Albania Conosco di persona quello che è nato in quel carcere e non posso che sostenerti, ringraziarti per quello che sei stato in grado di costruire. Grazie alla Giotto che è fatta di tante PERSONE. Un abbraccio grande uomo. Flavio Foietta, Forlì. Ho visto e toccato con mano la speranza che la coop Giotto regala a molti reclusi a Padova. Ognuno di loro è una persona e non solo la misericordia ma anche la nostra Costituzione ce lo ricorda. Per recuperare una persona alla vita civile sono necessarie strutture adeguate che credono nell uomo e ne hanno le capacità e le possibilità. La struttura pubblica di per se giusta non è in grado però di recuperare l anima del recluso e portarlo alla sua "redenzione ". Ci vuole un rapporto umano e personale che nulla ha a che fare con le fredde leggi regolamenti direttive ecc ecc, le sole che lo Stato può emanare. Grazie alla Giotto e grazie a Boscoletto!! Andrea Moro, Padova Nicola, aderisco e credo che "il modelo carcere Padova" sia da prendere d'esempio per un reale recupero delle persone recluse e una riduzione significariva della recidività. In un momento in vui vanno di moda "i mal di pancia populistici" dobbiamo gestire i singoli ed isolati episodi e atteneci ai numeri e ai risultati ottenuti in questi 30 anni. Gioiella Di Felice, Padova. Aderisco condividendo le attività svolte al Due Palazzi come una seconda possibilità offerta a coloro che, pur avendo sbagliato vogliono cambiare le loro vite. Davide Fiorotto e Laura Zanchin Condividiamo e firmiamo l'appello di Ristretti Orizzonti augurando a tutti voi di poter continuare a lavorare serenamente per un carcere sempre più "aperto". Avete la nostra ammirazione per i progetti che in tanti anni hanno prodotto cultura, lavoro e sana comunità. Vi sosteniamo. Avvocato Adriana Vignoni Aderisco con la presente all’appello per salvare e promuovere il lavoro svolto nella casa di reclusione Due Palazzi. Avvocato Crotti Maria Luisa Non torniamo al passato, avanti con l’esperienza del carcere Due Palazzi di Padova. Giovanni Todesco, archivista Sottoscrivo l'appello ed esprimo tutta la mia solidarietà e partecipazione per questa giusta lotta Avvocato Stefania Amato Con questa mail intendo sottoscrivere il Vostro ”appello alla società civile, alle associazioni e agli enti pubblici e privati del territorio, alle singole persone che da tantissimi anni hanno avuto modo di conoscere il buon funzionamento della Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova”. Vorrei che il Vostro lavoro potesse proseguire al meglio, per molti anni ancora. Avvocato Christian Cerniglia Avvocato Roberto Lancellotti Avvocato Carmelo Passanisi Carla Chiappini e la redazione di Ristretti del carcere di Parma aderiscono all’appello Proprio ieri nel carcere milanese di Opera un detenuto di Alta Sicurezza mi ha detto: - Per noi l'esperienza di Padova è una luce, una speranza!. Ma a volte tutto sembra così fragile. Noi amiamo e difendiamo la storia di Ristretti e dell'istituto Due Palazzi. Enrico Ferri, giornalista della sezione veneta di Articolo 21 Carissimi, aderisco volentieri all' appello sul carcere Due Palazzi Avvocato Monica Barbara Gambirasio Rosa Maria Puca. Insegnante del Carcere Tommaso Bisoffi - capo scout, studente di giurisprudenza, cittadino attivo Vorrei aderire al vostro appello: Casa di reclusione è patrimonio comune. Grazie per il vostro lavoro! Cecilia Mussini, Monaco di Baviera Con la presente desidero aggiungere il mio nome all'appello per Ristretti Orizzonti. Teresa Bellini Avvocato Marzia Bellodi Nella mia qualità di avvocato iscritta alla Camera Penale Veneziana, sottoscrivo l'appello per salvare e promuovere il lavoro svolto nella casa di reclusione "Due Palazzi" di Padova. Piero Ruzzante, Consigliere regionale Veneto Articolo UNO-MDP Sottoscrivo totalmente l'appello! Mariella Orsi, Firenze Maurizio Marinaro Elena Fanton Condivido l'appello. Grazie per rendere la vita in carcere più umana e anche padova una città migliore. Maurizio Ulliana, Associazione "Amissi delle api" Avvocato Aurora d'Agostino, Padova Davide Tramarin Cesare Burdese, Architetto A proposito dell’Appello per la Casa di Reclusione “Due Palazzi” di Padova, conseguente all’attacco del sistema “carcere Padova” nella sua totalità, (…) in maniera poco chiara e incomprensibile, appare di primo acchito ingiustificata la contesa. Da una parte il lavoro decennale di quanti hanno dato concretezza alle istanze costituzionali e della Riforma dell’Ordinamento penitenziario, dall’altra l’Amministrazione penitenziaria che questa concretezza sembrerebbe viverla come una invasione del suo territorio. Allarma il fatto che questa vicenda, che ritengo comunque emblematica della schizzofrenia che soffre da decenni la realtà amministrativa penitenziaria, non sia affrontata nelle sedi opportune, per addivenire ad un chiarimento che consenta di superare ed andare avanti con più impegno e risultati ulteriori. Ma forse questo non è che l’inutile e fallace pensiero di un ingenuo architetto che da oltre trentanni è impegnato a tradurre in muri quei principi di umanità e riscatto che pochi volenterosi, nella Casa di Reclusione “Due Palazzi” e in altri carceri, hanno saputo e sanno concretizzare con lavoro vero. Tutta la mia solidarietà dunque a tutti loro. Avvocato Annamaria Alborghetti, referente carcere Camera Penale Padova Silvia Guido Scrivo per sottoscrivere l’appello per salvare e promuovere il lavoro svolto nella casa di reclusione “Due Palazzi” di Padova. Perché non si può ostacolare un esperimento di successo, perché per fortuna non si tratta più di un esperimento ma di una realtà solida e di esempio per tutti, perché tanti anni fa ho toccato con mano la bellezza e la forza e la "testardaggine" della vostra esperienza e mi siete rimasti nel cuore. Vi auguro tutto il meglio. Avvocato Barbara De Biasi, Venezia Avvocato Marianna Negro, Venezia Avvocato Azzurra Tatti Quale membro del Direttivo della Camera Penale di Pistoia e responsabile del relativo Osservatorio Carcere, a nome di tutti gli iscritti della Camera Penale di Pistoia esprimo tutta la mia solidarietà e supporto per le ragioni degli operatori del carcere "Due Palazzi", nella consapevolezza di quanto sia ogni giorno più difficile, in tempi di crisi e di sovraffollamento, realizzare l'obbiettivo costituzionalmente previsto di un carcere che rieduchi i soggetti aiutandoli a camminare con le loro gambe evitando così ricadute. La concretizzazione di questo obbiettivo passa attraverso il lavoro, spesso purtroppo sconosciuto ai più, degli operatori dei carceri, il cui impegno quotidiano merita di essere sorretto. Avvocato Francesca Ricciardi, Venezia Angiola Gui, docente presso IIS Marchesi-Padova In 12 anni di frequentazione, come docente partecipante al progetto per le scuole, posso testimoniare che la collaborazione con Ristretti Orizzonti è stata per me ed i miei studenti un dono prezioso, altamente formativo ed arricchente! Un messaggio efficace, perchè testimoniato con coerenza, di educazione civica alla legalità. Un aiuto esemplare alla comprensione della complessità carceraria, ignota ai più (anche a me stessa, prima di avvicinarmi a questa problematica realtà) così comunemente travisata dal nostro sentire comune, fortemente condizionato dai tanti stereotipi di cui siamo, spesso inconsapevolmente, sia vittime che artefici. Federica Zanetti, funzionario di Servizio Sociale UIEPE Firenze Vorrei sottoscrivere l'appello per salvare il carcere in oggetto ed il meraviglioso lavoro che operatori istituzionali, cooperative e volontari unitamente ai detenuti hanno svolto e continuano a svolgere con lungimiranza, passione e... cuore! Nila Corrain Desidero firmare l'appello per la Casa di Reclusione "Due Palazzi" in quanto, in qualità di insegnante ho creduto fortemente in uno dei Progetti che hanno contribuito a rendere me e i miei allievi consapevoli di una realtà che merita di essere conosciuta e che può essere di stimolo a riflessioni meno banali e meno ovvie del sentire comune. Patrizia Ciardiello Sottoscrivo l’Appello alla società civile, alle associazioni e agli enti pubblici e privati del territorio, alle singole persone che da tantissimi anni hanno avuto modo di conoscere il buon funzionamento della Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova. Cristian Ferrari, Camera del lavoro della Cigl di Padova, segretario confederale Enrico Ciligot, Fpcigl di Padova, segretario Luigi Pagano Cara Ornella, ritengo che un carcere impermeabile all’esterno sia contrario all’Ordinamento penitenziario (art. 17) che, giustamente, secondo logica, ritiene la partecipazione dei cittadini, delle istituzioni , delle associazioni pubbliche e private all’azione rieducativa un elemento fondamentale se si vuole percorrere la difficile, impervia strada che porta al reinserimento sociale del detenuto ( e quindi a un investimento in termini di reale sicurezza sociale.) Un carcere chiuso al confronto si pone in netta antitesi con un percorso del genere e lo porta a divenire, per paradosso, esso stesso uno dei più potenti fattori criminogenetici. Di certo un sistema “aperto” non è esente da rischi, ciò è indubitabile , ma i risultati che determina una scelta del genere alla fine, secondo la mia esperienza, li compensa abbondantemente. E, poi, come disse qualcuno molto più autorevole di me “..come uomini il rischio ci appartiene, non ci è dato di escluderlo dalla nostra vita…forse non dovremmo farlo anche se potessimo, perché l’unico rischio che non possiamo correre è quello di non correre mai rischi..”. Per questi motivi ritengo coerente con i valori a cui mi sono sempre ispirato sottoscrivere il vostro appello. Giorgio Mainoldi, Presidente della Coop. Soc. Onlus "Il Cerchio" di Venezia Spett.le Cooperativa AltraCittà, la presente per ricordare i buoni e proficui rapporti che la Cooperativa “Il Cerchio” e l’Associazione di Volontariato “Il Granello di Senape” di Padova hanno sempre intrattenuto con le organizzazioni che affrontano il difficile tema della cooperazione all’interno delle mura del Carcere patavino, in modo particolare con la Vs. Cooperativa. Il Granello muove i suoi primi passi nella Casa Reclusione per Donne di Venezia, alla Giudecca, luogo dove - qualche anno più tardi - nasce anche Il Cerchio: il primo Comitato di Redazione, allora presieduto dalla prof.ssa Ornella Favero, è stato il primo motore che ha portato alla costituzione della nostra Cooperativa. Da sempre, entrambe le associazioni sono spinte dalla convinzione che solamente un percorso di inserimento attraverso il lavoro possa realmente costituire un’opportunità per il reinserimento nella società per i detenuti; e le già ottime statistiche in proposito non rendono ancora adeguatamente l’idea di quanto importanti siano i percorsi di reinserimento che realtà come le nostre Cooperativa si impegnano a fornire. Siamo assolutamente convinti che il l’esperienza maturata nelle carceri di tutt’Italia sia un patrimonio pubblico, un patrimonio di tutta la società civile. Cordialmente. Martina Cattani Ho conosciuto la realtà del carcere di Padova ormai da qualche anno e ho partecipato a due convegni organizzati da ristretti orizzonti. Ho potuto vedere con i miei occhi l'importanza del lavoro di ristretti orizzonti, fondamentale per i detenuti, ma anche e soprattutto per la società all'esterno; per chi come me, prima di conoscere ristretti orizzonti, non sapeva quasi nulla di carcere e nemmeno si poneva il problema. Alla giornata di studi ho portato due familiari (completamente estranei al mondo del carcere) che in quella sede hanno messo in gioco le loro convinzioni e hanno iniziato a riflettere seriamente e in maniera critica sul mondo del carcere e dei reati. Per loro e per me è stata un'esperienza forte di conoscenza e riflessione di un mondo che vuole essere spesso accantonato e che l'informazione continua a infamare e infangare, alimentando un odio che ha già basi profonde e che si basa spesso sul detto "occhio per occhio, dente per dente, oppure hai sbagliato ora marcisci". Insomma per tutto questo sono fermamente convinta che ristretti orizzonti debba continuare il suo prezioso lavoro si informazione e sensibilizzazione, per noi del mondo al di fuori che ci sentiamo (falsamente) immuni ai reati, per gli studenti e per questa società che ne ha estremo bisogno (e che a me fa sempre più paura). Giuristi Democratici di Padova, Sezione Giorgio Ambrosoli Progetto Jonathan di Vicenza Avvocato Chiara Zanotti Elisabetta Cimini Camera Penale di Milano, Consiglio Direttivo: Avvocato Monica Barbara Gambirasio Avvocato Ettore Traini Avvocato Andrea Soliani Avvocato Valentina Alberta Avvocato Isabella Cacciari Avvocato Emanuele De Paola Avvocato Stefania Farnetani Avvocato Alberto Longo Avvocato Manuel Sarno Andrea Alessi Firmo volentieri l'appello. Non voglio credere che si possano mettere in discussione i percorsi educativi e riabilitativi attivi nel carcere 2 Palazzi. Mi sembra venga meno proprio la funzione “costituzionale” del carcere. In particolare ritengo che il mettere in discussione il progetto scuola/carcere, attivo da molti anni, sia un attacco anche alla scuola e al suo valore educativo, culturale e sociale di cui ci si deve sentire tutti responsabili. Molte sono le testimonianze da parte degli studenti del valore indelebile che ha lasciato quest’ esperienza nel loro cammino formativo. Annamaria Crispino Desidero esprimere il mio sostegno e la mia stima alla dott.ssa Ornella Favero e a tutta la redazione di "Ristretti Orizzonti" Prof. Arch. Marella Santangelo, Università degli Studi di Napoli "Federico II" Sottoscrivo l'appello a nome mio e di tutto il gruppo di docenti del Dipartimento di architettura dell’Università di Napoli Federico II che lavora per i luoghi della detenzione. La mia esperienza di lavoro nella Casa di reclusione Due Palazzi di Padova è stata straordinaria, abbiamo conosciuto una realtà e delle persone eccezionali. I volontari del Blog Dentro e Fuori Firmiamo e invitiamo a firmare l’appello per salvare e promuovere il lavoro svolto nella casa di reclusione “Due Palazzi” di Padova. Crediamo che l'idea "del carcere come patrimonio collettivo e come parte integrante della società stessa" concretizzata nel lavoro portato avanti in tutti questi anni dagli operatori e dai volontari di Padova abbia restituito valore, senso e dignità a chi lo vive il carcere. Noi volontari del Blog Dentro e Fuori condividiamo questo appello e questo principio anche nelle nostre attività e nei nostri progetti. Perchè rendere il carcere trasparente, farlo conoscere, raccontarlo, decostruirlo per ripensarlo, cambiarlo dovrebbe essere punto di partenza e lavoro costante per tutti gli operatori e per tutti i volontari che interagiscono con il sistema carcere. Luisa Desinano Aderisco all'appello per sostenere la redazione di Ristretti Orizzonti e la sua fondamentale attività nel carcere di Padova Francesco Pulpito Concordo e sostengo appieno il vostro appello. Ho avuto l'occasione di partecipare a un paio di giornate di studi che avete organizzato: altissima professionalità e grandissima umanità da parte di tutti. Siete un esempio. Anna Speranza Per un carcere in linea con la Costituzione, firmo l’appello per “Ristretti Orizzonti” Barbara Gobbo, Padova. Aderisco all'appello a vostro favore e testimonio che anche i miei colleghi e allievi del Liceo Artistico Modigliani hanno potuto "toccare con mano" quanto di BENE CIVICO e SPIRITUALE riuscite a realizzare. Anna Barzon Sottoscrivo l'appello per la Casa di reclusione "Due Palazzi" di Padova. Maura Gola. Mantova Condivido pienamente quanto scritto dal Provveditore Luigi Pagano. Vi sono vicina per una società conscia del valore della rieducazione e del recupero dell'uomo. Chiara Boscolo Bomba. Padova Per la stima che ho per voi, per la vs attività e per quello che è nato in qs anni, firmo e condivido! Ciao e buon lavoro! Anne Cosh. Piana Battolla - Liguria Tutta la mia solidarietà e stima ad un carcere ed una cooperativa che si prodigano in modo esemplare per dare una dignità e possibilità di un futuro a delle persone che hanno sbagliate ma che si possono ridimere. Elisa Greci. Ponte Taro - Emilia Romagna Un’iniziativa che deve assolutamente continuare e "contagiare" altre numerose realtà. Siete un esempio per tutti e i vostri prodotti sono di ottima qualità. Marco Boato. Trento Condivido pienamente e sottoscrivo l'appello Giusi Camillò. Milazzo Il carcere " Due Palazzi" e' un esempio per tutti. Bisogna sostenerlo. Meri Lina Spadatratta. Napoli Grazie al carcere di Padova mio figlio Marco ha imparato tanto altrimenti non poteva cambiare. Mio figlio ha fatto il corso di pasticcirere ed aiuto cuoco. Dopo 12 anni di carcere mio figlio lavora perché e stato seguito ed aiutato anche dopo il carcere. Forse perchè tutgrazie a tante brave persone che lavorano all’interno della struttura del carcere due palazzi. Non gli anno fatto pesare i 12 anni di carcere ma le cose buone che nessuno le osserva. Grazie Nicola Boscoletto. Forse a qualcuno dispiace che voi salvate i detenuti. Anna Masellis. Genova Sostengo la vostra iniziativa, magari ce ne fossero così. Bravi! Rita Donati. Lugo Sostengo la vostra iniziativa e compro i vs ottimi prodotti. Elisabetta Maso. Castana - Veneto. Siete DAVVERO fantastici!!! I prodotti sono ottimi!!!!! Annalisa Faoro. Belluno Sostengo la Vs. Iniziativa, e penso che di carceri così ce ne dovrebbero essere altri. I prodotti che acquisto, ottimi, fanno anche bene all’anima. Caterina Ostellari. Padova Tutta la mia stima e solidarietà a chi da ormai tantissimi anni si impegna per la società in tutte le sue sfaccettature, anche quelle che non vorremmo esistessero. Narciso Girotto. Chioggia Non si può distruggere un modello vincente e funzionante per sostituirlo con cosa??? Forza Nicola siamo con te!!! Tommaso Krivicic. Padova Aderisco e condivido. Donata Molla. Inveruno Aderisco convitamente alla esperienza del carcere di PADOVA, UNA SPERANZA PER TUTTI ! Forza sono orgogliosa di conoscerti Nicola, un abbraccio. Giuliano Pisani. Padova Ho visto nascere questa esperienza e l'ho aiutata sempre per quanto nelle mie possibilità. Un'esperienza di grande positività e di straordinaria umanità. Un modello da imitare! Anna Zof. San Giuliano Milanese Officina Giotto un esempio unico di condivisione del bisogno e testimonianza di umanità x tutti noi!!! Avete tutto il mio sostegno...Aderisco! Ciao Nicola ti siamo vicini Enrica Bovary Morandi. Bologna Assolutamente si! Maura Gola. Mantova Siamo in molti a comprendere l'importanza di quello che hai creato Nicola, a disposizione per aiutarti! Nel ricordare tutto quanto hai costruito credendo nella rieducazione e riconciliazione con la vita ti sono vicina! a te e ai ragazzi dei 2 Palazzi. Ciao Roberto Biazzi. Monza Nicola, io ci sono! NEW YORK - Karin Coonrod, Ned Eisemberg, Paul Spera, Elena Pellone, Michelle Uranowitz, Nerina Cocchi, Andrea Messana, Michele Guidi, Enrico Zagni, Hunter Perske, Linda Powell, Sorab Wadia Una esperienza indimenticabile l'anno scorso nel carcere di Padova...e nel mese di settembre andremo in carcere nello stato di New York…. Luca Faggian. Padova. Conosco bene la realtà del 2 Palazzi, ci ho lavorato/collaborato x 5 anni. Esperienza UNICA di grande umanità! Un modello da duplicare su tutte le carceri italiane (ma non solo...). il call center, la pasticceria, ma tutti i reparti.. un esperienza di dignità ed umanità da estendere ed esportare! E poi funziona! I dati sulla recidiva lo testimoniano... Tenete duro... Nemmeno con la ragione ha senso demolire quanto fatto finora! Piero Ruzzante Sottoscrivo come consigliere regionale Articolo UNO-MDP. Padova-Veneto. Giovanna Carnovalini. Padova. Che triste, sarebbe disumano!! Forza ragazzi. Carlotta Carla Perini Sono più dignitosi di tante persone che sono fuori che... sono poco affidabili… umanità anche x loro. Massimo Mello. Gli ultimi dieci anni della mia condanna li ho trascorsi a Padova (via due palazzi, 35). Quando sono arrivato li, ho conosciuto il Dott. Nicola Boscoletto, Tino e man mano tutte le persone della cooperativa Giotto. in quella struttura ho riscoperto il valore della parola "Famiglia", mi hanno dato un lavoro, la possibilità di guadagnarmi da vivere, ma soprattutto di dare sostegno alla mia famiglia, inviandole il denaro guadagnato. Mi hanno fatto rinascere, perché sentivo in loro quel calore che solo la famiglia ti può dare,dandoti quella forza ad andare avanti senza mai perdere la speranza. Con il lavoro mi hanno ridato quei valori e la dignità che ognuno di noi si conquista col sudore della fronte. Oggi Grazie a loro ho un mestiere che mi da da vivere e mi fa guardare sempre avanti dando il vero senso della vita: lavorare onestamente e godersi il calore della famiglia. Grazie di cuore Nicola ,Grazie anche a te Tino per aver creduto fermamente in me, e ringrazio tutte le persone della Giotto. Spero e mi auguro che vi lascino continuare la missione che avete intrapreso nel DUE PALAZZI di Padova, donando alla società persone nuove uscite dall'oscurità nel commettere reati. Un abbraccio a voi tutti che rappresentate la nostra FAMIGLIA, quella famiglia che molti non hanno. Un augurio e in bocca al lupo,nella speranza che possiate continuare e ancora grazie. Marina Lorusso. Bergamo Sono stata invitata al carcere Due Palazzi per fotografare due diverse occasioni e quello che ho sempre portato a casa è stato un messaggio di grande Speranza... nessuno è irrecuperabile! Marco Serraglio. Padova Sottoscrivo. Lorenza Mel. Avvocato. Venezia Sono con voi! Pietro Milazzo. Padova. In passato ho avuto modo di collaborare con la cooperativa Giotto p er tenere dei corsi di giardinaggio all'interno del carcere ed ho capito che mantenere le persone inattive non porta certo al loro recupero. A seguito di quei corsi alcuni detenuti hanno potuto occuparsi della manutenzione del verde all'interno del carcere. Da quella iniziativa ne sono nate poi tante altre (alcune di eccellenza ) che hanno consentito l'inserimento lavorativo dei detenuti. Ora tutto questo è messo in discussione. Erica Marengoni. Brescia Come al solito le cose che funzionano non sono tenute in giusta considerazione da chi detiene il comando! Speriamo in un recupero! Mauro Vitacca. Padova Sottoscrivo!!! Maria Enrica Simoni. Padova Io sto con la Giotto! Romano Tiozzo, Segretario Generale della camera di commercio di Treviso Belluno Carissimo Nicola sai quanto stimo il lavoro che state facendo in Carcere 2 Palazzi ed in generale il segno che avete lasciato in Italia e non solo con il lavoro creato all'interno delle mura che ha aiutato tutti ad abbattere separatezze e steccati ed a guardare l'umanità ferita da amare. Fammi sapere cosa posso fare per aiutare questo momento di incomprensione che passerà sicuramente. Avvocato Antonio Ballerio Avvocato Giovanna Mingati, di Venezia Mario Fappani, da Brescia Fin dai primi giorni della mia esperienza di volontario e poi di Garante dei ristretti al comune di Brescia dal 2006 al 2011, la splendida, intelligente e generosa attività dei volontari penitenziari di Padova sotto la guida di Ornella Favaro e il progetto Giotto hanno costituito un punto di riferimento prezioso per me e per chi mi ha affiancato. Sono al vostro fianco perché la vostra missione continui a rappresentare una speranza per il mondo del volontariato e della cooperazione sociale italiani. Arrigo Cavallina Aderisco con piena solidarietà e preoccupazione al vostro appello. Marta Rossi Galante Aderisco all'appello e sottoscrivo. Stefano Salvadeo, Psicologo di Milano Aderisco all'appello e sottoscrivo. Avv. Franco Rossi Galante, Milano Aderisco all'appello. Maria Elda Muzzani e Angelo Ferrarini Aderiamo. Manlio Milani - Associazione familiari vittime strage di Piazza della Loggia - Brescia Aderisco con piena convinzione al vostro appello, non solo per aver partecipato e sostenuto in forme varie la vostra attività, sempre orientata a stabilire un rapporto tra carcere e società esterna evidenziando così come sia possibile un "carcere in cui il valore della persona è sempre al primo posto". Grazie davvero per quanto avete fatto e disponibilità perchè il vostro lavoro continui. Maria Laura Fagiani Sottoscrivo con forza l'appello per la Casa di reclusione "Due Palazzi" di Padova. Avvocato Gianpaolo Catanzariti. Direttivo Camera Penale Reggio Calabria. Referente territoriale Oss. Carcere UCPI Sottoscrivo l'appello per salvare il lavoro svolto all'interno del "Due Palazzi" Elisabetta Cimini Aderisco all'appello. Avvocato Salvatore Scuto, di Milano Donatella De Mori, Italo Beo e Dino Bertuzzi di Museo Veneto del Giocattolo Paolo Sensollo, responsabile Auser per i circoli dell'Alta Padovana (13 circoli con 2.300 soci e 400 volontari) Care Rossella e Ornella, avete tutta la solidarietà mia personale e dell'Auser, con la quale collaborate da anni. Conosciamo lo spirito, la dedizione e la correttezza che vi contraddistingue. La verità vi darà merito anche delle amarezze che siete costrette a subire in questo frangente. Sarah Bracci e Massimo Morgotti, Associazione Liberation prison project Italia Onlus. Accocato Andrea Cavaliere Aderisco con convinzione a nome mio personale e del direttivo della Camera penale di Brescia che presiedo Rita Lucca - Padova Sostengo con le parole e il cuore il lavoro che Ristretti Orizzonti sta svolgendo all'interno del carcere di Padova. Voi aiutate persone senza più speranze e stima per se stessi a trovare il buono che c'è in loro e a concedersi una seconda possibilità. Noi tutti abbiamo molto da imparare da voi. Magistrati più indipendenti? Senza aspirazioni politiche di Sabino Cassese Corriere della Sera, 16 luglio 2017 "I pm possono fare politica", pare che abbia dichiarato nei giorni scorsi un magistrato. Non sono pochi i magistrati - specialmente i procuratori - che siedono in Parlamento, amministrano uffici ministeriali e locali, presiedono enti, si sono presentati a elezioni locali. É bene che si diffonda la figura del magistrato-camaleonte, politico locale o nazionale, oppure amministratore pubblico (in autorità indipendenti o semi-indipendenti, negli uffici del Ministero della giustizia)? Quell’ordine giudiziario che la Costituzione ha voluto indipendente, separato, può invadere gli altri poteri dello Stato? I magistrati possono imboccare a piacimento una porta girevole, che li conduce dentro e fuori qualunque altro potere dello Stato? A favore della figura del magistrato-tuttofare vi è un argomento importante: non è utile né alla società, né alla stessa magistratura che quest’ultima sia chiusa in una "turris eburnea". Non alla società, che non può essere divisa in categorie alla maniera del medioevo, deve potersi valere di tutte le risorse umane disponibili, non può tollerare chiusure, deve assicurare mobilità professionale. Non alla magistratura stessa, che può diventare ancor più autoreferenziale, "parochial" (come dicono gli inglesi), corporativa. Questa politicizzazione che proviene dall’interno della magistratura, però, presenta anche inconvenienti. Il primo è così riassunto in un sondaggio recente di Swg: i magistrati fanno politica; cala la fiducia degli italiani. In effetti, nel 1994 il 66 per cento degli italiani aveva molta o abbastanza fiducia nei magistrati. Oggi solo il 44 per cento ne ha. Gli intervistati pensano che certi settori della magistratura perseguano obiettivi politici, mentre i magistrati non dovrebbero fare politica. Si tratta - ha commentato chi ha condotto il sondaggio - di "una vera e propria frattura in atto". Il secondo inconveniente è che il magistrato aspirante a una carriera politica può essere tentato di inserire le proprie ambizioni nell’attività di magistrato, per apparire in televisione o sui giornali, diventare noto, compiacere questa o quell’altra corrente dell’elettorato. Insomma, c’è il pericolo che la carriera politica sia costruita mediante l’esercizio della funzione giudiziaria (accusa o giudizio), alla ricerca di una "visibilità" acquisita mediante inchieste o giudizi spettacolari e di consensi da parte dell’elettorato, o di partiti, o di fazioni. Purtroppo, qualche conferma è data dalle candidature recenti di magistrati o ex magistrati che si sono presentati alle elezioni locali in aree contigue a quelle nelle quali avevano svolto le loro funzioni, acquisendo molta notorietà. Questo distoglie dall’esercizio imparziale delle funzioni, invoglia alla spettacolarizzazione, può influenzare addirittura le decisioni, rompendo il vincolo più importante dell’attività del magistrato, quello del rispetto di indipendenza e terzietà.Infine, questa corsa verso la politica contraddice la configurazione stessa del Consiglio superiore della magistratura come "rappresentante del potere giudiziario verso l’esterno". Se i magistrati sono così presenti nella vita degli altri poteri, quello legislativo (nazionale e locale) e quello amministrativo, che ci sta a fare il Consiglio superiore della magistratura? Perché i magistrati hanno bisogno di loro "rappresentanti", se possono far sentire autonomamente la propria voce? I diversi punti di vista che ho esposto e le tante domande che vi sono connesse sono gravidi di conseguenze. Essi riaffiorano periodicamente nello "spazio pubblico", senza tuttavia giungere a soluzioni convincenti. C’è chi ritiene sufficiente che il magistrato chiuda la porta quando esce, e che non rientri in magistratura. C’è, invece, chi afferma che questo non basta, perché il male viene prima (le aspirazioni possono influenzare l’esercizio della funzione) e perché il magistrato non deve essere solo indipendente, occorre anche che appaia tale (e questo non accade se, dismessa la toga, va nelle piazze). La Costituzione fornisce una indicazione. I costituenti vollero la magistratura indipendente e pensarono che l’indipendenza consistesse sia nell’assenza di pressioni esterne, sia nell’assenza di "aspirazioni" dall’interno, perché - come disse uno dei costituenti - i magistrati sono "depositari dello jus imperii dello Stato", "che è qualcosa di immanente e superiore a tutte le maggioranze, ai partiti e ai governi". Il diritto penale dell’economia ancorato al 900 di Andrea R. Castaldo Il Sole 24 Ore, 16 luglio 2017 Riscrivere la parte speciale del diritto penale dell’economia: un obiettivo ambizioso e strategico per il futuro del Paese. Le trasformazioni profonde e incisive prodottesi nella realtà sociale italiana e nel panorama internazionale rendono infatti il quadro normativo attuale anacronistico e urgente una riforma complessiva. Proviamo allora a ricapitolare e a districare i nodi nel frattempo formatisi. Innanzitutto, il nucleo centrale dei reati economici è rimasto congelato al periodo della seconda guerra mondiale; la legge fallimentare risale al regio decreto del 1942, così come il Codice civile (contenente la disciplina degli illeciti penali societari). E se naturalmente nel corso degli anni si sono succeduti interventi modificativi, anche significativi, il limite di fondo è consistito nel loro carattere random, così smarrendosi una veduta d’insieme. Il risultato è un "sistema" frammentato e per nulla omogeneo, dove alla visione dirigista e autocratica originaria si è contrapposta una politica di deregulation (più apparente che effettiva), che ha rappresentato la base per la creazione dello spazio penale. Proprio l’assenza di linee-guida stabili e condivise e la mancanza di un testo unico hanno funzionato da framework per la giurisprudenza, che si è distinta quale centro di adeguamento sincronico della normativa al caso concreto. Un formante giurisprudenziale - sia detto per inciso - di cui il legislatore ha goduto i frutti, volutamente lasciandosi espropriare di un ruolo decisorio molto spesso impopolare. Se si guarda allora alle principali caratteristiche del mercato, con le inevitabili approssimazioni di uno sguardo riassuntivo, possono individuarsi alcuni punti fermi, frutto dei cambiamenti epocali registratisi: la tecnologia, la globalizzazione, la dematerializzazione, la transnazionalità. La tutela penale di impronta tradizionale era, a ben vedere, incentrata e costruita intorno a magneti contrari: un assetto statico, poco permeabile alla trasformazione, territorialmente limitato e protetto dallo scudo della sovranità nazionale. Da qui un catalogo di reati che, pur nella varietà dei settori presi di mira, tradiva la medesima impronta genetica, cioè la repressione di condotte di danno, sovente in pregiudizio dello Stato e comunque dello status quo ante, impregnato del delicato equilibrio della libera iniziativa privata, garantito tuttavia dalla generosità della mano pubblica. Proprio del resto la crisi economica e i vincoli di bilancio europei hanno innescato un corto circuito, da un lato responsabile dell’incremento della criminalità d’impresa, dall’altro di una politica penale alternativa. La cui forza trainante si è andata concentrandosi sull’iniziativa governativa anziché parlamentare e sulla necessità di ottenere risorse economiche aggiuntive dal perseguimento dei reati. Un osservatore neutrale ma smaliziato, che leggesse la storia recente inforcando occhiali da presbiopia, si accorgerebbe allora di una costante e progressiva tendenza all’accollo in capo al privato di compiti di polizia e sicurezza. Paradigmatica al riguardo la legislazione in tema di lotta al riciclaggio e alla corruzione, con il parallelo ricorso a forme di controllo interno, in chiave di ostacolo alla commissione di reati da parte dell’apicale o del dipendente; il decreto legislativo 231/2001 e l’allarmante e scomposta appendice testimoniano il percorso segnalato, modellato sulla falsariga della colpa d’organizzazione. Un capitolo separato, ma in ultima analisi coerente con la trama complessiva, è l’accentuazione del protagonismo delle autorità di controllo, immaginato quale tampone a comportamenti fraudolenti nei confronti del risparmiatore, costruito pertanto sul flusso informativo in uscita e sanzionando tanto la manipolazione che la mera omissione. Al di là dei risultati (modesti) e delle falle registrate, l’imposizione esasperata di strumenti di compliance ha incontrato timidi consensi nella media e piccola impresa, viceversa generando un eccesso di regolamentazione che ha ingrossato la palude burocratica. L’altra faccia della medaglia è condensata infine nelle politiche premiali, dalla criminalità tributaria a quella ambientale, e nuovamente all’anticorruzione e antiriciclaggio. Incentivazione nel promuovere virtuosismi riparatori secondo scalini decrescenti: dalla previsione di soglie di punibilità per accentuare la residualità dell’intervento penale in proporzione alla gravità dell’offesa, all’estinzione del reato subordinata alla restituzione del maltolto entro termini di decadenza processuali, per finire con l’ingresso di attenuanti mitigatorie della pena quale ricompensa alla collaborazione e al pentimento operoso. L’apologia di fascismo è un problema attuale. Le polemiche sulla legge Fiano di Donatella Di Cesare Corriere della Sera, 16 luglio 2017 Colpiscono le polemiche suscitate dalla proposta di legge, presentata da Emanuele Fiano, che intende punire chi propaganda immagini o contenuti del fascismo e del nazismo. In queste polemiche aspre e brutali, che in taluni casi hanno finito per trascendere nell’offesa personale e nello scherno antisemita, si deve leggere l’indizio di una tensione profonda, di un disagio evidente. Affrontare il tema del fascismo nello spazio pubblico sembra, in questo paese, un’impresa impossibile. Tutto (o quasi) funziona, finché si indaga il fenomeno storico proiettandolo nel passato, finché si celebrano riti e cerimonie nelle ricorrenze previste. E forse, chissà, i tanti discorsi ufficiali, a lungo andare, hanno perfino nuociuto. Altrimenti vanno le cose quando si discute del fascismo nelle sue manifestazioni attuali, che non hanno nulla né di nostalgico né di folkloristico. Basta fare un giro nel web. Parliamo, dunque, del presente e del futuro. L’Italia ha conservato i suoi fantasmi, che tornano ad aggirarsi con vecchi simboli e rinnovati contenuti. Si dirà che sono solo spettri. Ma lo spettro è uno spirito - e lo spirito del fascismo non è né morto né, tanto meno, sepolto. Neppure quello del nazismo. Un esempio? Anziché essere aperta e cosmopolita, come quella di altri paesi occidentali, la nostra cittadinanza si basa sul sangue, in parte sul suolo. Come se sangue e suolo fossero criteri ovvi - anziché la cultura, la lingua, l’appartenenza civica. Non si tratta di argomenti remoti, bensì di questioni urgenti, che ci riguardano da vicino. Forse più delle polemiche sconcertano le confusioni, casuali o volute. Non è mancato chi ha tirato fuori "l’islamofascismo", etichetta per la notte in cui tutte le vacche sono nere. Ma c’è soprattutto chi, in questi giorni, ha parlato di "fascismo dell’antifascismo", chi con giravolte e capriole vorrebbe far passare per alternativi pensieri stantii e reazionari. Molto ci sarebbe da dire sui due totalitarismi, una tesi che non regge più. La corruzione di un progetto non è il progetto: il comunismo era un umanismo di giustizia sociale. Il totalitarismo nazifascista è stato la perversione innalzata a progetto - in gran parte compiuto. I gulag non sono equiparabili ai campi di sterminio - per via delle camere a gas. È una differenza qualitativa e decisiva. Certo, Mussolini non era Hitler. Ma dalle stazioni ferroviarie italiane sono partiti i treni per i lager. Basta sollevarsi da ogni responsabilità! Il fascismo, quello che faceva eliminare gli oppositori, quello delle leggi razziste, della guerra in Etiopia, dello stato assoluto, ha colpe enormi. È triste e allarmante che in una spiaggia italiana possa essere esposto, a mo’ di sberleffo, un cartello che ridicolizza le camere a gas. Non si può accogliere nel dialogo democratico chi quel dialogo vuole cancellarlo. Il limite è sottile - e il problema è condiviso da altri paesi europei. Ma le leggi vanno aggiornate anche qui. Occorre fra l’altro tenere conto del web. Parlare è agire. Parole, simboli, contenuti del fascismo e dell’hitlerismo non devono circolare liberamente davanti a spettatori noncuranti. La fabbrica delle ingiustizie. I giudici delle condanne vuote di Riccardo Lo Verso livesicilia.it, 16 luglio 2017 Prima Contrada, poi le bugie di Scarantino. La settimana nera della giustizia italiana. Due bordate in una settimana. La revoca della condanna a Bruno Contrada e l’assoluzione degli innocenti ingiustamente carcerati per la strage di via D’Amelio recidono i grappoli malsani nella vigna della giustizia. Grappoli di giudici, legati gli uni agli altri come acini. Ci sono voluti quasi tre decenni per arrivare alla conclusione che decine e decine di magistrati, inquirenti e requirenti, si erano sbagliati nella forma e nella sostanza. Nel caso dell’ex poliziotto è stata la Corte di Cassazione a dichiarare "ineseguibile e improduttiva" la sentenza che ha costretto Contrada a rimanere in carcere per dieci anni. Prima, però, è dovuta intervenire la Corte europea dei diritti dell’uomo a spiegare ai giudici italiani che non si può processare un imputato per un reato che non era "chiaro e prevedibile" quando gli è stato contestato. Nel caso del processo per l’eccidio di via D’Amelio sono stati i pubblici ministeri di Caltanissetta a smascherare le bugie dei pentiti prese per oro colato, nonostante l’olezzo dell’impostura fosse stato percepito da più parti ma non dai magistrati. Come riassumere la vicenda Contrada? Esiste una giustizia europea e una italiana. O meglio, all’italiana. La prima bacchetta la seconda perché viola la convenzione dei diritti dell’uomo che i governi si sono impegnati a rispettare. Fino a quando i giudici di Strasburgo si sono limitati a condannare l’Italia a risarcire gli imputati per gli errori commessi e per i tempi biblici dei nostri processi è filato tutto liscio. Giusto un richiamo nelle ripetitive relazioni durante la cerimonia di apertura dell’anno giudiziario. Ora che la Cassazione ha recepito la sentenza europea revocando la condanna di Contrada, lo sbirro Contrada colluso con la mafia - dunque intervenendo in un giudicato - è scoppiato il finimondo. Autorevolissimi esponenti della giustizia, non solo all’Italiana ma pure antimafia, non l’hanno presa bene. Dal "non ha capito" di Giancarlo Caselli rivolto alla Corte europea all’aggettivo "stupefacente" speso nel commento di Antonio Ingroia. Erano rispettivamente il procuratore capo di Palermo e il sostituto che misero sotto accusa Contrada, dando vita al grappolo giudiziario in una stagione fondata sull’articolo 110 del codice penale. "Quando più persone concorrono nel medesimo reato , ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita - recita l’articolo applicabile a tutte le fattispecie di reato - salve le disposizioni degli articoli seguenti". Tre righe divenute un contenitore confortevole specie nella declinazione del concorso in associazione mafiosa. Nel frattempo le sentenze della Cassazione hanno fatto giurisprudenza e il reato che non c’era ormai c’è, anche se resta parecchio discusso e mai normato. Siamo rimasti fermi alle tre righe. Di Contrada si sono occupati una quarantina di magistrati: i pubblici ministeri che ne chiesero l’arresto, i giudici per le indagini preliminari che applicarono la misura cautelare; quelli del Riesame che lo lasciarono in cella; i giudici del Tribunale che lo condannarono e della Corte d’appello che prima lo scagionarono e poi confermarono la pena; e i giudici supremi della Cassazione che misero il bollo di definitività sull’accusa. Tutti a disquisire, nelle varie motivazioni, sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Ad interpretarne l’applicabilità nel caso dell’ex capo della Squadra mobile di Palermo e a concludere che il reato si cuciva perfettamente addosso al poliziotto. Nessuno che si sia accorto o abbia sollevato la questione che due decenni dopo sarebbe stata rimproverata all’Italia dai giudici europei. La convezione europea, con la firma di tutti i paesi che vi hanno aderito, recita all’articolo 7 che "nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, nel momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale". Contrada è stato processato per episodi collocati tra il 1979 e il 1988, quando il reato di concorso esterno in associazione mafiosa "non era sufficientemente chiaro e prevedibile all’imputato". "Ciò che conta per la Corte europea è innanzitutto che, al momento del compimento della condotta - spiegava il legale di Contrada, l’avvocato Stefano Giordano nei giorni in cui presentava il ricorso che poi sarebbe stato accolto - un precetto penale accessibile e conoscibile, preciso e determinato esista e che il singolo abbia la capacità di orientare il proprio comportamento in funzione di questa norma". L’articolo 7 è un elemento essenziale dello stato di diritto sovranazionale. Lo dimostra il fatto che non sono previste deroghe "neanche in tempo di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione". La sua applicazione rappresenta "una protezione effettiva contro le azioni penali, le condanne e le sanzioni arbitrarie". Ed ecco il cuore della questione Contrada. Salvo colpi di scena, che non dovrebbero arrivare dalla lettura della motivazione della Cassazione, il sistema giudiziario ha ricevuto uno schiaffo con la forza del diritto. Si condanna qualcuno per i reati che esistono e non per quelli ex post contestati in maniera retroattiva. Astrazioni del diritto che non fanno breccia in una parte della magistratura italiana, tanto impegnata nella lotta alla mafia da distrarsi. Sempre secondo Caselli, d’altra parte, sia la Cassazione che la Cedu "ragionano in astratto, come in vitro, come se la mafia non esistesse". Leggendo le motivazioni delle varie sentenze che hanno riguardato Contrada emerge che il faro giurisprudenziale di tutti i giudici è stato individuato nella sentenza Demitry, dal nome di Giuseppe Demitry giudicato per concorso nell’associazione camorristica capeggiata da Carmine Alfieri e Pasquale Galasso. La sentenza, però, è del 5 ottobre 1994, sei anni dopo i fatti contestati a Contrada. È vero che del reato si era già occupata la Cassazione in altre sentenze tra il 1987 e il 1993, "tuttavia - hanno scritto i giudici europei - è solo nella sentenza Demitry, pronunciata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione il 5 ottobre 1994, che quest’ultima ha fornito per la prima volta una elaborazione della materia controversa, esponendo gli orientamenti che negano e quelli che riconoscono l’esistenza del reato in questione e, nell’intento di porre fine ai conflitti giurisprudenziali in materia, ha finalmente ammesso in maniera esplicita l’esistenza del reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso nell’ordinamento giuridico interno". La sentenza Demitry è stata la bussola non solo dei pignoli giudici europei, ma pure di quelli italiani che hanno giudicato Contrada. "Particolarmente controversa è stata, poi, la questione relativa alla peculiare configurabilità del concorso eventuale o esterno nel reato associativo mafioso - scrivevano - che da ultimo ha trovato positiva soluzione in una recente sentenza emessa dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (la Demitry, appunto) che, per la fonte autorevole da cui promana, la massima istanza regolatrice di legittimità, e per l’ampia panoramica giurisprudenziale in essa compendiata dei diversi indirizzi ermeneutici affermatisi nel tempo, non può non costituire necessario punto di riferimento in tale materia". Peccato che risaliva al 1994. Se non fosse stata applicata in maniera retroattiva ci sarebbe stato un grappolo di giudici in meno. Così come, con qualche "se" in meno, la giustizia italiana si sarebbe risparmiata una delle pagine peggiori della sua storia, che ha dato vita al grappolo dei grappoli. È un fatto numerico. Per la vicenda Contrada sono stati celebrati due processi (con relativi appelli e rinvii della Cassazione), mentre nel caso della strage di via D’Amelio, costata la vita a Paolo Borsellino e agli uomini di scorta, il numero dei processi definiti con sentenza irrevocabile sale a tre prima. Solo nel quarto sono state smascherate le bugie di Vincenzo Scarantino e soci. Dovendo inserire nell’elenco anche i giudici popolari, a conti fatti, più di cento persone hanno letto e riletto i verbali dei pentiti farlocchi, ascoltato in aula gli avvocati urlare che si stava alimentando un abbaglio collettivo, accettato la versione dei pubblici ministeri che a quelle bugie hanno dato la veste di pseudo prove processuali. E sono fioccati gli ergastoli, nove per la precisione. Alcuni anni fa, dopo decenni di carcere, gli imputati sono stati liberati. E dire che leggendo la sentenza del processo Ter, emessa dalla Corte d’assise allora presieduta da Carmelo Zuccaro, oggi procuratore di Catania, avrebbe dovuto suonare la sveglia. Il Ter è l’unico processo che si è salvato dalla mannaia avendo giudicato i boss della Cupola di Cosa nostra, i quali diedero il via libera alla strage. Nelle motivazioni di quella sentenza le dichiarazioni dei pentiti erano state bollate come spazzatura, altro che prove. Un "parto della fantasia", le avevano definite i giudici, mettendo in guardia i colleghi. Niente, le condanne sono arrivate lo stesso. Nel quarto processo, avviato con coraggio dai pubblici ministeri di Caltanissetta, alcuni dei promotori della stagione inquisitoria divenuta carta straccia, hanno consegnato ai verbali di udienza balbettii e imbarazzanti "non ricordo" che ora alimentano la traiettoria infinita dei sospetti. Le dichiarazioni rese in aula sono le uniche pronunciate da quei cento e più giudici - togati e popolari - del grappolo che ha indagato, giudicato e condannato degli innocenti. Fuori dal bunker nisseno silenzio assordante. Fino al 25 maggio scorso, quando a Catania hanno preso la parola Concetta Ledda e Sabrina Gambino, sostituite procuratrici generali del processo per la revisione degli ergastoli ingiusti. "Quali rappresentanti dello Stato, ci sentiamo in dovere di chiedere scusa, nonostante - hanno detto - non siano nostre le responsabilità, per le condanne ingiuste inflitte nell’ambito del processo per la strage di Via D’Amelio". La Corte d’assise due giorni fa ne ha preso atto e ha assolto "per non avere commesso il fatto" undici imputati - compresi i pentiti delle menzogne - alcuni dei quali rimasti a lungo in cella con la prospettiva eterna del fine pena mai. È la giustizia italiana e all’italiana che ne è uscita con le ossa rotte. Quella che grida alla lesa maestà quando qualcuno a Strasburgo ricorda che la certezza del diritto non è soggetta alle interpretazioni. Sul Dna il duello finale Bossetti lunedì a sentenza di Giuliana Ubbiali Corriere della Sera, 16 luglio 2017 La parte civile: "La perizia, perdita di tempo". La difesa: "Necessaria". Verso la sentenza Massimo Bossetti, detenuto dal 16 giugno 2014, lunedì saprà la decisione della Corte d’Appello. L’ultima parola sarà di Massimo Bossetti, lunedì. Subito dopo la Corte si ritirerà per decidere: sentenza o perizia sul Dna, che in mezzo ad attacchi e contro attacchi, resta l’argomento centrale. Inutile, secondo la parte civile. Necessaria, per la difesa. L’ultima parola sarà di Massimo Bossetti, lunedì, poco prima che la Corte d’Assise d’Appello si ritiri. Ma difficilmente sarà l’ago della bilancia di un processo che si fonda sulla prova scientifica. Il Dna, appunto. I giudici riemergeranno dalla camera di consiglio con la sentenza, oppure con l’ordinanza che dispone la perizia genetica chiesta dalla difesa. Sono le due principali possibilità che ci si attende. La seconda sembra l’unica via d’uscita dell’imputato dalla conferma dell’ergastolo. È vero che i suoi avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini hanno più volte invocato il dubbio ed è vero che, nel dubbio, si assolve con la vecchia formula dell’insufficienza di prove. Ma, alla luce del dibattito perizia sì perizia no, sarebbe logico aspettarsi che se i giudici dovessero averne, di dubbi sul Dna, vorrebbero vederci chiaro con nuove analisi e periti super partes. Non è un caso che, tra polemiche e risposte alle critiche spesso vestite di accuse, la questione di maggiore sostanza è stata questa nelle repliche. Perizia no, dicono il procuratore generale Marco Martani e gli avvocati di parte civile, Enrico Pelillo e Andrea Pezzotta: "È inutile, il dato è acquisito". Perizia sì, non transigono gli avvocati di Bossetti: "È necessaria per via delle anomalie". Viene da chiedersi come sia possibile, con la scienza di mezzo, che le versioni siano così opposte. "Non abbiamo nemmeno capito che perizia si vuole - l’intervento di Pezzotta -. È possibile estrarre altro Dna dagli indumenti della bambina? Dal processo abbiamo capito di no. Che piaccia o no, comunque, il dato è acquisito, lo dice anche la Cassazione. Si vuole confrontare Ignoto 1 con Bossetti? L’hanno già confermato gli esami privati della difesa. Si vuole una perizia sul mitocondriale? È opinione concorde che gli approfondimenti non siano utili, anche della consulente della difesa Sarah Gino che per altro non ho più visto. Sull’operato dei carabinieri?". Allora, i quesiti finali: "Si vuole sottoporre il Ris di nuovo alle forche caudine? Si vuole perdere tempo?". Perché, dice Pezzotta, "la difesa dell’imputato sostiene che le analisi siano viziate da 261 irregolarità, ma sui dati grezzi non aveva nemmeno depositato una consulenza e ora arriva con delle slide fatte di copia e incolla". Parla di "tesi priva di senso", il delitto commesso altrove rispetto al campo di Chignolo, di "videogiochi proiettati in aula" riferendosi alla foto satellitare che secondo i legali dell’imputato lo indicherebbe e di "tentativo di ingannare". Confrontare il Dna di Bossetti con Ignoto 1 è lo scopo della difesa del carpentiere: "Massimo mette il sangue, noi la faccia". Non sulle tabelle, però, perché il risultato è scontato. Ma prendendolo dalle provette o dai reperti. "Non si può rifare? Non sono problemi vostri - si rivolge Camporini ai giudici - ma di chi avrebbe dovuto conservare il materiale. La Corte deve decidere se il processo ha la necessità di verifiche. Noi comunque in primo grado abbiamo sentito un consulente dire che c’è ancora materiale". La battaglia principale dunque è sul Dna nucleare, quello che identifica. Ma anche sul mitocondriale, che manca, le posizioni sono opposte. Salvagni ha parlato di "auto senza motore" per dire che "non esiste in natura l’uno senza l’altro". Il pg ha invece usato un’altra immagine, per dire quanto pesi l’uno e non pesi l’altro: "È come avere dei rottami di un’auto che è sì senza motore ma ha il numero di telaio". Di nuovo la scienza, di nuovo due versioni inconciliabili. Secondo gli avvocati di Bossetti, di base i Dna sono simili e basta una minima differenza per scambiare il colpevole: "Non parliamo di complotti, ma di persone e le persone possono sbagliare", si riferiscono al Ris. Pelillo, che parla di "arringa suggestiva che spesso deborda in falsità", dice il contrario: "Il nostro consulente Portera ci ha spiegato che la parte sovrapponibile dei Dna è del 99,6%, è molto diverso dal 99,999% che dice Salvagni, perché il rimanente 0,4% è uguale a 12 milioni di "mattoncini" differenti". Dna a parte, in aula sono volate sciabolate. Il pg ha ribattuto agli attacchi di Salvagni, soprattutto. "Suggestioni, cose false, ordini di scuderia. Aggressioni verbali, parole lesive per me e per il Ris. Mai successo in 30 anni di carriera. Un polverone per distrarre dai veri argomenti del processo, così è più facile invocare il dubbio salvifico". Nessuno può più dire nulla. Parola alla Corte, ora, che più volte ha ribadito un concetto per voce del presidente Enrico Fischetti: "Siamo in appello, ci si basa sugli atti, non possono entrarne altri, nuovi". Si è discusso se le slide della difesa lo fossero o no. No, dicono gli avvocati, che le hanno depositate ieri in una memoria. Quella è sempre ammessa. "Mancano giudici, Veneto fermo a sessant’anni fa" di Michela Nicolussi Moro Corriere di Verona, 16 luglio 2017 "Tarata ancora su una regione agricola. Poco personale". "Mancano magistrati e personale amministrativo". È l’allarme della nuova presidente della Corte d’Appello di Venezia, Ines Maria Luisa Marini, insediata ieri. Figlia d’arte (il padre è stato procuratore generale a Milano), in magistratura dal 1979, dopo una lunga esperienza maturata fra Tribunale e Corte d’Appello del capoluogo lombardo, negli ultimi quattro anni ha centrato una serie di obiettivi altrove irraggiungibili. Da presidente del Tribunale di Cremona, oltre a concretizzare l’accorpamento di quello di Crema, ha adottato il processo civile telematico e la vendita telematica dei beni pignorati, nel processo penale ha introdotto l’audizione a distanza di testimoni, parti e periti tramite videoconferenza e per la prima volta ha inaugurato la gestione interamente "a distanza" di un procedimento. Il maxiprocesso sul Calcio scommesse. "Risultati raggiunti grazie alla poderosa convergenza di forze tra magistrati togati e onorari, personale amministrativo, Foro e istituzioni. Convergenza che auspico continui in questa Corte prestigiosa e difficile". Parla chiaro Ines Maria Luisa Marini, la nuova presidente della Corte d’Appello di Venezia, insediata ieri con la "benedizione" del reggente Mario Bazzo, dell’avvocato generale della Repubblica di Venezia, Giancarlo Buonocore e di Paolo Maria Chersevani, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Venezia. Presidente, perché Venezia è una realtà "difficile"? "Perché il Distretto e la Corte d’Appello soffrono di problemi antichi e strutturali, che per essere superati richiedono il supporto concreto e soprattutto rapido delle istituzioni. Mi riferisco in primo luogo ad un organico gravemente sottodimensionato, che ha determinato negli anni, nonostante l’elevata produttività dei magistrati, un notevole arretrato e la dilatazione della durata dei procedimenti. A cui si aggiunge, nel penale, un’alta percentuale di assoluzioni per prescrizione. Sono il fallimento della giustizia, vanificano il nostro lavoro e i costi sostenuti dallo Stato per celebrare i processi". Però il ministero ha assegnato al Veneto 29 giudici in più di primo grado e alla Corte altri 5 e 22 ausiliari. "Sono segnali importanti, di attenzione, ma ai tempi lunghi legati all’arrivo dei nuovi cinque giudici si aggiunge la grave carenza del personale amministrativo, acuita a Venezia dall’elevata scopertura dei ruoli apicali. E correlata ad una pianta organica molto sottodimensionata, perché risale all’epoca in cui il Veneto aveva un’economia prevalentemente agricola ed era terra di emigrazione, non di immigrazione, come oggi. Dei 120 amministrativi in pianta organica quelli effettivamente presenti sono meno di 80, ma soprattutto abbiamo 16 funzionari invece dei 31 previsti, 4 direttori amministrativi e non 7. Ci manca il cervello della struttura amministrativa". Le conseguenze? "Un arretrato imponente, perché i flussi in ingresso hanno continuato ad aumentare con una forza lavoro insufficiente. Le cinque unità in arrivo non bastano a colmare un rapporto molto svantaggioso tra sopravvenienze e numero di giudici. Proprio perché i giudici di primo grado sono stati aumentati di 29 unità producono tanto, quindi approda alla Corte una mole di lavoro superiore all’attuale capacità di smaltirla. Le percentuali di appello sono circa un terzo nel penale e un quarto nel civile, quindi penso che con otto, e non cinque, consiglieri in più, potremmo assicurare un buon servizio e raddoppiare i collegi". E il nodo della logistica? "È l’altro problema, amplificato a Venezia dove i trasporti avvengono su acqua. Gli uffici giudiziari sono disseminati sul territorio con disagi per tutti, in particolare per testimoni e avvocati, ma anche per gli operatori di giustizia. Il capo dell’ufficio e il dirigente amministrativo non possono stare vicini a tutti i loro collaboratori, come dovrebbero". C’è qualche segnale che la fa ben sperare? "Un’inversione di tendenza rispetto al passato esiste. Non solo per il citato aumento di giudici ma anche per il progetto di unificare gli uffici giudiziari nella cittadella di piazzale Roma e per la recente convenzione con la Regione inerente il distacco di personale nelle strutture della giustizia. Alcuni interventi vanno potenziati e comunque richiedono tempi lunghi, perciò tocca a noi utilizzare le leve organizzative disponibili per traghettare la Corte in questo periodo transitorio. Con l’aiuto degli avvocati. Consideriamo le difficoltà un’opportunità per modificare il nostro modo di lavorare. È difficile, ma se non vogliamo soccombere, dobbiamo cercare di cambiare". Lei ha "regalato" una toga alla Corte d’Appello. "Era di Guido Raffaelli, presidente di questa Corte dal 1956 al 1961. La indossava nelle cerimonie solenni e la regalò al mio papà, di cui fu il maestro, quando diventò procuratore generale a Milano. L’ho sempre custodita tra i ricordi più cari e oggi la dono a questa Corte, per il valore simbolico che riveste. È tornata a casa e può essere d’esempio a tutti gli operatori di giustizia". Palermo: il ministro Orlando in visita alla scuola Falcone: "Lo Stato reagisce" Avvenire, 16 luglio 2017 "Sono qua per dare un messaggio: che lo Stato non abbassa la guardia e che dobbiamo dare risposte anche contro gli atti vandalici, che rischiano di passare inosservati". Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha visitato la scuola Falcone, nel quartiere Zen a Palermo, dove nei giorni scorsi è stata decapitata la statua in marmo del giudice assassinato dalla mafia nella strage di Capaci del ‘92. Il ministro ha deposto un mazzo di fiori sotto la foto di Falcone che è stata posizionata al posto della statua in fase di restauro. Il ministro prima ha incontrato i vertici della magistratura palermitana nel palazzo di Giustizia di Palermo. "La cosa importante è essere qui per manifestare la presenza dello Stato e del governo. Sono qui per rendere omaggio a Giovanni Falcone caduto da direttore degli affari penali del mio ministero. Noi dobbiamo dare un segnale. Lo Stato reagisce anche a piccoli segnali simbolici" - ha detto Orlando parlando nell’aula magna della scuola Falcone, a proposito della decapitazione della statua in marmo del giudice che era posizionata davanti alla scuola, nel quartiere Zen. "Io sono qua per dare un messaggio che lo Stato non abbassa la guardia e dobbiamo dare risposte anche contro gli atti vandalici che rischiano di passare inosservati in Italia - ha aggiunto il ministro - La mafia non ha vinto ma non è stata sconfitta. Si deve aprire una grande questione meridionale per contrastare questo infame ascensore sociale che è la criminalità organizzata. C’è una grande partita che si deve affrontare per battere la sperequazione sociale. Sono qui per sottolineare anche questo". San Cataldo (Cl): la meditazione in carcere, per contrastare violenza e suicidi di Antonella Lo Cicero ilsicilia.it, 16 luglio 2017 Si avverte sempre più al giorno d’oggi un disagio interiore che danneggia contemporaneamente il corpo e la mente e che si manifesta all’interno di luoghi di reclusione, come il carcere. Ecco perché, per contrastare questo malessere incalzante, che colpisce non solo i detenuti, ma anche il personale delle strutture di detenzione, dall’11 luglio è partito nella Casa di Reclusione di San Cataldo, in provincia di Caltanissetta, un progetto di sperimentazione, il primo in Sicilia, caratterizzato dalla pratica della meditazione. Il corso, dalla durata di due mesi, proposto dall’agente di polizia penitenziaria Marcello Bellomo, mira a sviluppare le energie positive interiori, in particolare, in tutti quei soggetti, che, come spesso accade, a causa della reclusione, esternano azioni violente o covano nell’animo la scelta del suicidio. "La privazione della libertà, per i detenuti o utenti - spiega Bellomo - lo scollamento dalla vita quotidiana , la vita di routine tra le mura, segnano parecchio, in modo particolare chi è innocente. I più deboli spesso mettono in atto l’autolesionismo, fino ad arrivare, in casi estremi, al suicidio. Per le "guardie", i poliziotti penitenziari. vivere questa quotidianità particolare con turni di servizio prolungati alle 8 ore e più, la mancanza cronica di personale, il pendolarismo che tiene lontani dalle famiglie, il frequente disinteresse da parte della politica, fa sì che si accumuli stress negativo con una casistica elevata di suicidi tra i più deboli". "Per questo ho pensato di inserire la meditazione come strumento di recupero rivolto ai detenuti quando qualche settimana fa mi hanno chiesto cosa potevamo proporre agli utenti per il periodo estivo: da qui è nata l’idea del corso che tutti hanno accettato positivamente ed io mi sono attivato subito. Anche per chi lavora negli istituti penitenziari - ha concluso - dovrebbero essere previsti centri di ascolto e la possibilità di partecipare a corsi di meditazione". Palmi (Rc): intervista a Terry Malara, ex docente di lettere nel carcere di Danilo Loria strettoweb.com, 16 luglio 2017 "La scuola che funziona in carcere forma individui migliori". È quello che sostiene la prof.ssa Terry Malara, docente di lettere del Cpia stretto Tirreno, addottorata all’università di Perugia, che ha deciso di spendere la sua formazione nella scuola all’interno dell’Istituto Penitenziario di Palmi. Prof.ssa come ha vissuto l’esperienza della scuola carceraria? La mia esperienza è stata molto positiva in quanto ho compreso da subito che il docente che entra in carcere non può pensare di attuare una didattica pensata per le classi tradizionali, ma deve reinventare una scuola che parta dalla realtà della reclusione evitando di riproporre modelli pensati per studenti inseriti in contesti scolastici abituali. Quale clima si respira all’interno delle classi carcerarie? Il clima è sereno, in quanto siamo riusciti a trasformare un luogo di chiusura come è il carcere in un luogo di confronto, di crescita personale, di accesso al sapere, abbiamo quindi ricreato uno spazio di libertà anche per quegli individui che ne sono privi, cercando estraniarli da quella condizione di resa davanti gli ingranaggi della reclusione Si ritiene soddisfatta degli obiettivi raggiunti? Partendo dalla considerazione che la classe era composta da detenuti, i quali avevano alle spalle un percorso costellato da abbandoni precoci e disaffezione totale, è stata impostata una "scuola" che ha visto la sua efficacia nel raggiungere obiettivi calibrati al contesto, tenendo conto sia delle variabili contestuali particolari sia personali, promuovendo interesse e partecipazione attraverso attività tese a rimuovere abitudini consolidate. Inoltre, al fine di promuovere la motivazione e l’attenzione abbiamo ritenuto opportuno integrare nella pratica dell’attività didattica quotidiana le potenzialità della Lavagna Interattiva Multimediale, tale risorsa tecnologica oltre a rendere la didattica maggiormente interattiva ha conferito un valore aggiunto alla scuola carceraria dell’Istituto Come è avvenuto l’approccio con la letteratura per i detenuti? Partendo dal presupposto che solo pochi sono adusi alla lettura, per favorire l’approccio alla letteratura ho creato un archivio letterario di pagine a prova di studente-detenuto. La scelta di brani letterari è avvenuta per via del tutto empirica, all’interno ho inserito testi poetici selezionati in base al loro potere suggestivo. Di qui l’esigenza non solo di capire la poesia e di farne propri i significati, ma anche quella di parteciparli e di riviverli,. Così agli studenti detenuti è stato affidato l’arduo compito di produrre individualmente un componimento poetico. Il risultato atteso si è presentato e la raccolta intitolata Diario di bordo riportata sul del Cpia Tirreno è stata testimonianza di una scuola capace di trasformare un ambiente di reclusione in luogo ispiratore per riflessioni esistenziali sul proprio vissuto, dai componimenti poetici non filtra solo la sensazione claustrofobica della detenzione, che si manifesta con una successione di immagine dal forte impatto emotivo, ma anche l’attaccamento per la vita che affiora attraverso riferimenti alla speranza di un domani migliore, alla possibilità di riscatto e all’amore per gli affetti più cari. Televisione. "Guantánamo", la serie di Oliver Stone presa da Showtime di Andrea Sartor intrattenimento.eu, 16 luglio 2017 Quasi due mesi fa vi avevamo iniziato a parlare del nuovo progetto di Oliver Stone, questa serie sul campo di prigionia di Guantánamo, che all’epoca era ancora senza network, ma veniva realizzata dalla Westein Co. (una delle più influenti case di produzione negli Usa). Ora il network è arrivato e si tratta di Showtime, che ha ordinato la prima stagione da 10 episodi. Cosa comporta questo per il pubblico italiano? Molti prodotti Showtime (come quelli Hbo) hanno una via privilegiata su Sky Atlantic HD, quindi, è probabile, che questo nuovo progetto di Stone atterri su Sky. L’altra notizia è che lo stesso Stone dirigerà il pilot della serie che avrà una durata di due ore. Creata da Daniel Voll (The Unit), che dirigerà il progetto accanto a Oliver Stone, Guantánamo si concentrerà, come suggerisce d’altronde il titolo, sulla vita dei detenuti, degli avvocati e di tutti quelli che hanno a che fare con la famigerata prigione. Ad occuparsi della produzione sarà Alexandra Milchan (The Wolf of Wall Street) assieme alla Weinstein Television. Il campo di prigionia di Guantánamo è una struttura detentiva statunitense di massima sicurezza interna alla base navale di Guantánamo, sull’isola di Cuba, aperta sotto l’amministrazione Bush in seguito agli attentati dell’11 settembre, e finalizzata alla detenzione dei prigionieri catturati in Afghanistan e ritenuti coinvolti in attività terroristiche. L’organizzazione dei diritti umani aveva condannato i trattamenti riservati ai 780 detenuti del campo, che includevano anche varie forme di tortura. Nel 2009, Obama firmò l’ordine di chiusura del carcere, che avrebbe dovuto essere smantellato entro l’anno, chiusura tuttavia irrealizzata, anche a seguito del voto contrario dell’opposizione. Al giorno d’oggi, il campo di Guantánamo rimane aperto e accoglie 41 prigionieri. Migranti. Ius soli, il gioco del cerino sui diritti dei ragazzi di Daniela Preziosi Il Manifesto, 16 luglio 2017 Il Pd: "Noi vogliamo la legge, ma non possiamo spingere all’esecutivo una fiducia al buio". Spunta l’ipotesi di sondare Sinistra italiana sulla disponibilità a un "voto tecnico". Ora Renzi rischia che, comunque vada a finire la legge sullo ius soli, approvata o rimandata a chissà quando, finisca comunque in boomerang. Per ora l’operazione di levare le castagne dal fuoco con le mani del presidente del consiglio è fallita. Il segretario ha affidato al presidente il compito di ammorbidire le resistenze degli alfaniani, che del resto hanno già votato il provvedimento alla camera. Alfano però resta contrario alla fiducia al senato e coglie l’occasione per dare una prova dell’esistenza in vita ai suoi ex elettori di centrodestra. Anche se non si esclude, nel caso, di uscire dall’aula. Del dossier si riparlerà al prossimo consiglio dei ministri, ma non è detto. "Non possiamo chiedere a Gentiloni di mettere la fiducia senza avere la certezza dei numeri", ragiona Matteo Orfini da Fiuggi, dalla quinta festa di Leftwing (la rivista della sua corrente). "Lo ius soli è una legge che per noi va approvata il prima possibile, è una legge a cui il Pd tiene", assicura. Però "la scelta di mettere la fiducia spetta al governo". Dunque sul destino della legge per ora regna la più assoluta incertezza. Risultato, ora Renzi è al centro del bombardamento politico. I centristi esultano intestandosi lo stop: "La nostra richiesta di riflessione è legata solo al buon senso. Abbiamo altre priorità", per Valentina Castaldini, portavoce di Ap. Esulta la destra all’opposizione in tutte le sue sfumature, da Matteo Salvini a Daniela Santanché ai forzisti ‘moderati’ come Paolo Romani, capogruppo al senato: "Imporre in parlamento un tema così controverso è da irresponsabili", "non consentiremo che si giochi su questi temi per questioni di equilibri interni al Pd". Dal lato sinistro della maggioranza, dove si punta a portare a casa il risultato, i toni sonopiù sorvegliati. Cecilia Guerra, capogruppo Mdp, ci spera ancora: "Il governo farà le sue valutazioni sulla fiducia, ma anche in assenza di fiducia non possono bastare emendamenti ostruzionistici, anche in numero assurdo come gli oltre 50mila della Lega, per fermare l’iter di una legge. Ci sono gli strumenti per andare avanti". Fuori dalla maggioranza, Sinistra italiana potrebbe avere un ruolo cruciale per il buon esito della legge. Al senato si vota in un solo colpo sul provvedimento e sulla fiducia. Nei prossimi giorni alcuni nel Pd proveranno a sondare la possibilità di una "fiducia tecnica". Intanto Nicola Fratoianni tiene la posizione: "È una legge di civiltà. Sinistra Italiana continuerà a sostenerla con forza". In ogni caso quando la maggioranza ha voluto mettere al sicuro i provvedimenti non ha esitato. Ma appunto l’indecisione del segretario Pd ridà fiato i malumori centristi su un tema "che non era nel programma di governo". Renzi hapreso atto che il provvedimento cala di popolarità nei sondaggi. I sindaci, anche quelli del Pd, sarebbero molto meno favorevoli rispetto a qualche mese fa, come ha raccontato Maria Teresa Meli sul Corriere. Sul fronte delle amministrazioni sono ormai rare le voci a difesa dello ius soli: "Troppe inesattezze, serve una vera campagna di informazione", ci prova Antonio Satta, cattolico del direttivo dell’Associazione dei comuni. "Non si tratta di regalare la cittadinanza a nessuno. Si è scatenata una campagna politica senza precedenti. I sindaci sanno quanti ragazzi hanno dimostrato di essere integrati, ma ciononostante non hanno la cittadinanza". Nel deserto svetta Sergio Chiamparino, presidente del Piemonte, che ieri ha firmato la legge di iniziativa popolare dei Radicali italiani "Ero straniero". Renzi "sbaglia" a usare lo slogan di Salvini, dice riferendosi al famigerato "aiutiamoli a casa loro", "non userei lo stesso termine del principale avversario politico. Come minimo si fa un infortunio comunicativo, tanto più se va di pari passo con una battaglia giusta per approvare lo ius soli". "Inaccettabile" per lui anche l’altra frase, passata in secondo piano, ovvero "noi non abbiamo l’obbligo morale di accoglierli tutti". Dopodiché, concede, "possiamo non essere in grado di accoglierli tutti", e per questo bene la strategia verso la Libia e verso l’Europa, "ma siamo più forti se sorreggiamo quest’azione con una visione che vada al di là dell’inseguimento del sondaggio e del titolo di giornale. La politica è anche un po’ pedagogia di massa". I sondaggi, appunto. L’aria è cambiata, la linea di Renzi sull’urgenza dello ius soli anche. Ai suoi fedelissimi il compito di parare i colpi. Nessuno scaricabarile su Palazzo Chigi, giura Maurizio Martina: "Il Pd lavora sempre al fianco di Gentiloni. Lo ius soli è una legge giusta, continuiamo a sostenerla con forza e coerenza". Migranti. L’imbuto Italia: tanti arrivi, poche uscite di Goffredo Buccini Corriere della Sera, 16 luglio 2017 Sbarchi record nei nostri porti mentre le rotte alternative (Turchia e Spagna) sono chiuse e dai nostri confini escono pochissimi migranti. Il vecchio stivale pare ormai un imbuto tappato: ingurgitiamo onde di migranti dal Mediterraneo e non riusciamo a farne uscire che poche stille dai nostri confini. È una situazione difficile, illustrata dal numero record degli sbarchi previsti quest’anno: 220 mila, forse 250 mila; e dal rifiuto di molti Comuni ad aderire al sistema Sprar di accoglienza diffusa; dai rigurgiti di slogan fascistoidi, sul web come in Parlamento, e dall’intolleranza verso qualsiasi tentativo di integrazione, dalla legge sullo ius soli in giù. Patiamo il blocco dei confini a nord (da Ventimiglia al Brennero), le restrizioni al trattato di Schengen, l’interruzione delle due rotte alternative dei migranti: quella balcanica, stoppata dagli accordi tra la Ue ed Erdogan, e quella occidentale, frenata dall’intesa tra il re Mohamed VI del Marocco e la Spagna. Così tutto, dalla Libia in mano a bande e scafisti, fluisce verso di noi. Di fatto stiamo diventando un gigantesco hotspot europeo, uno Stato cuscinetto con una caratteristica micidiale: è facile entrarci e arduo uscirne. A medio termine, questo assedio può diventare devastante per la nostra convivenza democratica: le espulsioni sono difficili, talvolta impossibili; dai nostri Centri d’accoglienza si dileguano centinaia di giovani migranti che vagano nel Paese senza lavoro né identità; la gente sta cominciando a spaventarsi, anche aizzata da chi cerca tornaconto elettorale. È un puzzle dai tanti tasselli, che proviamo a mettere insieme nella mappa analitica pubblicata qui sotto. È costellato di errori politici, certo, ma ha alla radice una spiegazione meno contingente: la nostra cronica debolezza al tavolo dei partner europei, derivata dalla sempre precaria condizione economica, dal debito pubblico fuori controllo, dal Pil anemico, dalle etichette pittoresche di cui non siamo stati capaci di liberarci nonostante i toni truanti proclami di dignità di questo o quel governo di casa nostra. Sicché ci dev’essere qualcosa di più e di diverso dietro certe nostre cantonate diplomatiche e strategiche. Lasciar passare il regolamento di Dublino II del 2003 (governo Berlusconi) che inchioda il profugo al suolo di primo sbarco (quasi sempre l’Italia) o esultare per Triton (governo Renzi, ministro Alfano) che coinvolgerà pure altri partner nelle operazioni in mare ma riversa tutti i salvati nei nostri porti, beh, potrebbe non avere altra spiegazione se non la nostra strutturale fragilità. Sì, le coste indifendibili ci penalizzano. Ma il vero guaio è che se alziamo la voce non veniamo mai presi troppo sul serio. Per dirne una: minacciare un taglio di contributi al bilancio Ue e chiedere al tempo stesso flessibilità a Bruxelles non è proprio il massimo dello spauracchio. E infatti a vanificare promesse come la relocation, il ricollocamento di 160 mila rifugiati quasi tutti concentrati da noi, basta un niet dei Paesi ex comunisti raccolti nel gruppo di Visegrad attorno al falco Orbán. Con realismo, il ministro Minniti prova infine a farci stringere accordi in Libia perché trattengano lì i flussi di disperati: se solo si sapesse chi comanda. Quand’anche ci riuscissimo, ci sarà poi da distrarsi alquanto sui sacri principi. Come a lungo facemmo con Gheddafi, che i migranti non li tratteneva in campi di margherite ma nei lager: e che adesso tanti rimpiangono, con un cinismo anche un po’ osceno. Migranti. La "bomba turca" sulle tratte: "ma è responsabilità dell’Ue" di Valentino Di Giacomo Il Mattino, 16 luglio 2017 Il vicepremier Kurtulmus: ha disatteso le promesse fatte. "La bomba turca" è il nome ormai affibbiato dagli analisti dell’intelligence alla nuova rotta migratoria che incide pesantemente sugli sbarchi nel nostro Paese. Nel 2017, dopo i nigeriani, sono i bengalesi la popolazione più numerosa ad arrivare sulle nostre coste. Secondo le stime più recenti ormai più di un migrante su dieci giunge dal Bangladesh, insidiando le cifre record raggiunte dai profughi che giungono dalla Nigeria che rappresentano il 15% del totale. E su questa rotta la Turchia ha un’incidenza decisiva perché i migranti partono da Dacca in aereo per raggiungere Istanbul e poi dalla città turca giungono in volo a Tripoli dove salpano sui barconi per poi giungere in Italia. Un incremento considerevole: ad oggi nel nostro Paese è già arrivato un numero di bengalesi pari a quelli sbarcati che nell’intero 2016 sulle nostre coste. Un commercio florido per i trafficanti d’uomini che grazie a questa connection che coinvolge tre continenti, Asia, Africa ed Europa, riescono a fare affari d’oro. Un giro di milioni di euro perché i bengalesi hanno ancora una discreta disponibilità per poter pagare cifre ingenti. E se l’Europa fino ad oggi non ha dato aiuti concreti al nostro governo per contenere l’emergenza, anche la Turchia, diventato ormai un hub dei flussi di profughi, non ha intenzione di porre rimedio. "Siamo consapevoli di questa tratta che riguarda i nostri due Paesi - ha spiegato ieri al Mattino il vicepremier turco, Kurtulmus, a margine di un evento ad Ankara per le celebrazioni dell’anniversario del tentato golpe del 15 luglio del 2016 - ma soltanto nell’ultimo anno noi abbiamo accolto oltre un milione di profughi e sono oltre tre milioni i profughi siriani che al momento si trovano sul nostro territorio. Ma l’Europa fino ad oggi ha disatteso le sue promesse nei nostri confronti nonostante siamo stati decisivi per bloccare la rotta balcanica al confine con la Grecia. Ci sono trattative sul tavolo, vedremo se anche da parte europea ci sarà la volontà di aprire un dialogo". E sul tavolo ci sono i sempre più problematici rapporti tra Turchia e Ue perché tra le promesse disattese dagli europei c’è il mancato versamento di una cospicua parte degli oltre tre miliardi stanziati per il governo di Erdogan per la chiusura della frontiera con i Balcani grazie all’accordo siglato nel marzo del 2016. Un patto che ha funzionato perché da quando la Ue ha stretto l’accordo sulla Turchia in Grecia sono arrivate appena 2mila persone rispetto alle 70mila dell’anno precedente, un eloquente calo del 97%. Sulla "bomba turca" c’è un dossier aperto al Viminale che avrebbe intenzione di aprire anche su questo fronte un dialogo sia con la Turchia che con l’Europa. Lo stesso Minniti nell’ultima relazione sull’emergenza migranti presentata al Parlamento nei giorni scorsi ha affermato che anche da questo punto di vista c’è un palese squilibrio di investimenti da parte della Ue. Oltre 3 miliardi stanziati per chiudere la rotta balcanica, ma appena 200 milioni di euro per aiutare la Libia a contenere le partenze dalle proprie coste. Un meccanismo che rende l’Italia un imbuto rovesciato: da Sud arrivano centinaia di migliaia di migranti, ma a Nord c’è la scarsa collaborazione da parte degli altri Stati europei nell’accettare la distribuzione dei richiedenti asilo. La solidarietà manifestata nei giorni scorsi dai principali leader europei - proprio come temeva l’esecutivo italiano - è rimasta soltanto un’intenzione, lettera morta perché ad oggi appena 8mila migranti sono stati trasferiti. Un accordo con la Turchia, almeno per contenere i tanti richiedenti asilo che giungono dal Bangladesh rappresenterebbe una manna dal cielo per la nostra rete d’accoglienza ormai al collasso, ma l’intesa con il governo di Erdogan per fermare i flussi non è tra i più semplici sia per ragioni economiche che politiche. Ad Ankara rivendicano di aver speso per l’accoglienza dei profughi dalla Siria oltre 30 miliardi di euro negli ultimi anni, ma di non aver ottenuto molto in cambio per l’impegno profuso. Il governo turco attendeva ad esempio qualche passo in avanti sul percorso ormai interrotto che avrebbe portato la Turchia a far parte dell’Unione europea, ma il tentato colpo di Stato dello scorso anno e gli arresti a raffica compiuti dalla polizia di Erdogan ha bloccato ogni trattativa. In questo anno sono stati arrestati oltre 50mila persone ritenute vicine ai golpisti e nelle carceri risiedono ancora circa 150 giornalisti. Atteggiamenti che hanno allarmato la comunità internazionale nonostante il governo turco ritiene che la reazione sia commisurata rispetto all’attentato alla democrazia interna al proprio Paese. A dimostrare che la situazione non sia tra le più distese ieri il governo turco ha negato l’accesso ad una delegazione di parlamentari tedeschi nella propria base Nato di Konya come ritorsione nei confronti di Berlino per aver rifiutato ai ministri turchi di incontrare la comunità di connazionali presente in Germania in occasione dell’anniversario del mancato colpo di Stato. Fibrillazioni che di certo non aiutano l’Italia per intavolare una trattativa sulla rotta dei migranti dal Bangladesh. "Meriteremmo il Nobel per la Pace per la tutela dei diritti umani". Dal palco del palazzo dei congressi di Ankara, il presidente della Turchia Recep Erdogan, vuole lanciare un chiaro messaggio a tutti i Paesi occidentali e per celebrare l’anniversario del tentato golpe del 15 luglio dello scorso anno, il governo turco ha invitato nella capitale oltre trecento giornalisti da tutto il mondo, tra le testate italiane sono rappresentate Il Mattino e il Corriere della Sera. Secondo le intenzioni del governo il giorno del mancato colpo di Stato è stata una data storica per la democrazia del Paese perché è stato il popolo turco a sventare il rovesciamento dell’esecutivo scendendo nelle piazze. Ieri anche Mahir Unal, il portavoce del partito di Erdogan, ha paragonato le scene dello scorso anno a quelle celebri di piazza Tienanmen del 1989 con l’uomo solo a fermare il carrarmato. Per il governo il tentato golpe è da paragonare agli attentati terroristici subiti dai Paesi occidentali, più volte nel corso degli incontri con gli esponenti ministeriali vengono posti paragoni tra l’11 settembre e quanto avvenuto lo scorso anno. In particolare si paragonano le contromisure adottate dagli Usa contro i terroristi come il Freedom Act. Ieri Erdogan ha rivendicato per sé di aver garantito la sicurezza delle migliaia di manifestanti dell’opposizione che nel mese di luglio hanno marciato da Ankara a Istanbul concludendo la manifestazione 5 giorni fa con un milione di manifestanti in piazza. Migranti. Senza un progetto per l’Africa tragedia inevitabile di Romano Prodi Il Messaggero, 16 luglio 2017 Quando parliamo di immigrazione dobbiamo distinguere l’emergenza di oggi dai problemi di un lungo futuro. L’emergenza si chiama Libia e, purtroppo, tale emergenza si può gestire solo con la pace in questa nazione e con un’azione europea solidale. Entrambe sono ben lontane non solo dall’essere raggiunte ma anche dall’essere avvicinare. In Libia continua un conflitto che è già durato più della seconda guerra mondiale e non esiste alcuna prospettiva di una vicina soluzione. Nessuno sembra essere in grado di mettere attorno a un tavolo i responsabili dei due governi ufficiali insieme alla quindicina di tribù che controllano il vasto territorio del Paese. Nessuno quindi è in grado di controllare le bande criminali che lucrano sul trasporto di chi cerca disperatamente di arrivare in Italia. Per non parlare della solidarietà europea che si riduce nel raccogliere i migranti e portarli tutti in Italia. In questi giorni è stato tuttavia messo in evidenza da tutti i media il fatto che l’Africa subsahariana aumenterà di oltre un miliardo di abitanti in poco più di una generazione, mentre l’Europa ne perderà parecchie decine di milioni. Al problema dell’immigrazione si deve perciò aggiungere la necessità di preparare un grande progetto di sviluppo per l’intero continente africano: è chiaro infatti che non siamo in ogni caso in grado di gestire le centinaia di milioni di potenziali immigranti. L’attuale modello degli aiuti non riesce a rispondere allo scopo: da un lato il generoso intervento di molte associazioni odi privati cittadini allevia tante sofferenze ma non è certo in grado di creare le condizioni che hanno permesso ai paesi asiatici di percorrere la via dello sviluppo. Dall’altro lato abbiamo gli aiuti ai governi che non solo sono scarsi per dimensione ma sempre più spesso arrivano nelle mani di politici e burocrati corrotti o inefficienti. Per aiutare i cittadini africani in casa loro bisogna perciò cambiare marcia sia dal punto di vista della quantità che della qualità della nostra politica. La cancelliera tedesca ha recentemente posto sul tavolo questo problema ma non sono seguite ancora azioni concrete per mettere insieme, in una comune strategia, i fondi dell’Unione Europea con quelli delle strutture di cooperazione internazionale dei diversi paesi. È questo il solo modo per dar vita a un piano di intervento con i mezzi e le capacità sufficienti per promuovere il decollo di un continente che possiede tutte le risorse naturali ma non le capacità tecniche e politiche per provvedere al proprio sviluppo. La necessità di un intervento unitario emerge dal fatto che nel continente africano esistono ben 54 diverse nazioni e che, senza un coordinamento delle loro politiche e senza la creazione di un mercato di vaste dimensioni, non si può nemmeno parlare di sviluppo. Il piano europeo deve prima di tutto apprestare le infrastrutture necessarie a costruire una moderna economia. Non solo strade e ferrovie ma nuove reti di telecomunicazione, di produzione e distribuzione dell’energia oltre a moderni e capillari sistemi scolastici e sanitari. L’efficacia di questi interventi a rete viene resa evidente dal fatto che la buona crescita che si è verificata in una parte dei paesi africani negli scorsi anni è strettamente dipendente dalla diffusione di un sistema capillare di telefoni portatili, promossi soprattutto dalle imprese cinesi. Quando qualche settimana fa la Cancelliera Merkel ha delineato un piano di intervento in Africa pensavo che questa proposta aprisse un immediato dibattito politico per mobilitare l’enorme mole di risorse e di strutture organizzative necessarie, cercando magari un coordinamento con il governo cinese che, pur con molti limiti, è l’unico protagonista che porta avanti una politica africana a livello continentale. Mi accorgo invece che, dopo una presa d’atto iniziale, tutto è tornato come prima. Non sembrano essere sufficienti i sempre più numerosi barconi carichi di emigranti che arrivano dalla Libia e nemmeno bastano le previsioni demografiche che gli organismi internazionali ci propongono ogni giorno. Stiamo andando in modo incosciente di fronte ad una tragedia che inevitabilmente renderà più insicuro e drammatico il futuro del nostro continente. Sull’urgenza di preparare un grande piano per lo sviluppo africano si dovrà obbligatoriamente rendere protagonista l’Italia. Nei sogni che per tanto tempo abbiamo coltivato, il futuro del nostro paese si doveva soprattutto fondare sulla prospettiva di diventare la piattaforma logistica per Io sviluppo dell’Africa. Per ora dobbiamo constatare di essere semplicemente diventati la piattaforma logistica delle tragedie che arrivano dall’Africa. Ue-America Latina unite nella lotta al crimine globale di Alessia Guerrieri Avvenire, 16 luglio 2017 Il progetto europeo "El Paccto" offrirà assistenza a 18 Paesi su giustizia, polizia, carceri. Roma capofila con la Organizzazione internazionale italo-latinoamericana. Nessuno Stato da solo è in grado di farcela. Per fronteggiare un crimine organizzato sempre più transnazionale, la risposta è unire le forze e le esperienze in un patto operativo. Ed è con questo spirito che nasce El Paccto, il programma europeo a guida di Francia, Spagna, Italia e Portogallo (e con il nostro Paese capofila) che offrirà assistenza tecnica nel campo del contrasto al crimine in 18 Paesi dell’America Latina. Perciò per i prossimi cinque anni, anche attraverso il lavoro svolto dall’Organizzazione internazionale italo-latinoamericana (Iila) che rappresenterà il nostro Paese, verrà rafforzata la cooperazione su "tre pilastri": la giustizia, la polizia e il sistema penitenziario, coordinato anche quest’ultimo dall’Italia. Un piano, partito ufficialmente il 15 giugno, presentato ieri mattina al Senato, che si basa soprattutto sulla "comproprietà" del metodo, l’approccio "su misura" e la valorizzazione delle buone pratiche già esistenti nei due continenti. Di fronte ad una "globalizzazione della criminalità", l’unica arma è "l’azione coordinata, la globalizzazione della legalità". Il presidente del Senato, Piero Grasso, ricorda come "le gravissime fratture geopolitiche e la dissoluzione di strutture politiche e istituzionali" abbiano creato dei "vuoti colmati da poteri informali, criminali e terroristici" non controllabili dalle singole nazioni che "impongono un’azione delle comunità internazionale a diversi livelli". La strada della "globalizzazione del diritto penale" è quella necessaria anche per il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che punta sulla maggiore "diplomazia giuridica" fra gli Stati. Perché è proprio questa che "precede logicamente e cronologicamente la cooperazione giudiziaria e di polizia", uno dei pilastri dell’assistenza tecnica di El Paccto. Accanto a quella penitenziaria, su cui dovrà essere "concentrato ogni sforzo", continua il Guardasigilli, perché la sfida delle condizioni del sistema penitenziario latino americano lo richiede. E il ruolo dato all’Italia in questo settore "è il riconoscimento a livello internazionale della nostra grande competenza", aggiunge il segretario generale del Maeci, Elisabetta Belloni. Di certo poi c’è la necessità di "un’azione rapida e coordinata delle autorità", è il ragionamento da cui parte il viceministro degli Esteri, Mario Giro intervenendo nella sala Zuccari, ed El Paccto perciò si presenta come "un patto d’azione" in cui polizia, magistratura e polizia penitenziaria "lavorano effettivamente insieme", dando un appoggia alla strategia di sicurezza già avviata in Sud America. El Paccto è un’evoluzione su larga scala dei progetti finanziati dalla Farnesina in quel Continente, portati avanti negli scorsi anni proprio dall’Iila. Per questo "è un programma strategico - ripete quindi il segretario generale dell’Organizzazione internazionale italo latino americana, Donato Di Santo - che s’inserisce nell’agenda degli obiettivi Onu per lo sviluppo sostenibile". La Turchia dopo il golpe e un Sultano che colpisce alla cieca di Antonio Ferrari Corriere della Sera, 16 luglio 2017 Nemmeno nel giorno più solenne, a un anno esatto dagli avvenimenti del 15 luglio scorso, giorno di commemorazione che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha voluto dedicare alle 250 vittime della sommossa, si sono fermati gli arresti e le epurazioni di altre migliaia di dipendenti pubblici, accusati d’essere traditori se non peggio. L’unione nazionale, invocata dal neo sultano, e trasformata in slogan, in realtà di unione non ha nulla. Le opposizioni turche non sono state invitate. Invece di una mano tesa, che potrebbe ridargli un minimo di credibilità democratica e restituire al Paese un clima conciliatorio, Erdogan continua a colpire, quasi alla cieca. La violenza verbale di cui ormai sono permeati i discorsi del presidente ha superato tutti i possibili limiti: scatenando la furia dei suoi sostenitori più estremisti, e provocando il crescente risentimento di tutti gli esclusi. Erdogan avrebbe voluto che tutto il mondo si raccogliesse attorno alla Turchia. I Paesi che chiedono maggior rispetto dei diritti umani, come l’Unione Europea, sono a suo avviso fiancheggiatori dei terroristi. Anzi, il leader sostiene che doveva essere Ankara a ottenere il Nobel per la pace, non la Ue. E fiancheggiatori, secondo Erdogan, sono anche gli Stati Uniti, che si rifiutano di consegnare ad Ankara il "più grande terrorista del mondo", cioè il suo ex amico, il predicatore Fetullah Gülen. Le accuse, in verità, non stanno in piedi. Ma chiunque dubita delle idee del sultano è un temibile nemico quando va bene; se va male è un terrorista. Figuriamoci i giornalisti, che riempiono le carceri o sono minacciati e intimiditi. La deriva dittatoriale di Erdogan ha raggiunto livelli pericolosissimi. Noi europei abbiamo però una grave colpa. Se avessimo accettato il Paese nella Ue, probabilmente avremmo impedito, con le nostre istituzioni, l’avanzata degli estremisti e l’arroganza del regime. Invece, in Turchia si disegna uno scenario assai opaco, quasi fosco. Libano. Intervento italiano nel carcere di Roumieh per migliorare condizioni di vita aise.it, 16 luglio 2017 Si è tenuta lo scorso 28 giugno la cerimonia conclusiva di un progetto finanziato dalla Cooperazione Italiana nel carcere di Roumieh, la struttura penitenziaria più grande del Libano con i suoi circa 3.000 detenuti. A questo appena concluso seguirà un altro progetto, per un finanziamento complessivo di circa 3 milioni di euro, al fine di migliorare le condizioni di detenzione e la tutela dei diritti umani nelle carceri del Paese, con particolare attenzione alle fasce più vulnerabili (donne, minori, malati mentali). L’iniziativa rappresenta una risposta concreta alla richiesta avanzata dal Governo Libanese, durante la conferenza di Londra del 2016, di un ulteriore sostegno nel processo di miglioramento del settore carcerario. Tra i programmi sviluppati nel sistema carcerario libanese le maggiori attività sono concentrate a Roumieh, effettuate tramite l’Agenzia Onu Unodc e in stretta collaborazione con il Ministero degli interni. Il progetto è iniziato nell’ottobre 2015 e prevede il miglioramento delle condizioni in tre settori: alimentare, con l’attivazione di una cucina industriale, con attività di training, sicurezza alimentare e igiene, con l’obiettivo di creare opportunità lavorative per i detenuti per un futuro reinserimento sociale a fine pena; servizi di base e attività ricreative per i minori, comprensivi di supporto psicosociale; riabilitazione della struttura che ospita circa 50 detenuti in stato di infermità mentale, chiamata "Blue House". Nel corso della cerimonia Simona De Martino, consigliere dell’Ambasciata d’Italia, ha sottolineato l’importanza di sostenere anche in questo delicato settore le tematiche del rispetto dei diritti umani. Inoltre, ha annunciato il lancio della prossima fase del progetto che sarà attuata, in accordo con le autorità locali su vasta scala. Il consigliere del ministro dell’Interno, Mounir Chaaban, ha comunicato che l’attuale ministro è sempre più impegnato per migliorare le condizioni di vita nelle prigioni e ha espresso apprezzamento per il sostegno continuo di Unodc e del Governo italiano. Chaaban ha anche sottolineato l’interesse del Ministero a estendere ulteriormente i positivi risultati raggiunti nel quadro del progetto. Raja Abi Nader, direttore dell’Amministrazione penitenziaria presso il Ministero della Giustizia, ha infine elogiato il successo del progetto e suoi risultati. Ha anche ringraziato l’Unodc e l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo per il lavoro svolto. Malaysia. Lavoratori stranieri arrestati, la preoccupazione dei parlamentari Asean asianews.it, 16 luglio 2017 Detenuti oltre 3.300 lavoratori senza regolari documenti. La Malaysia ha dato il via alla politica di tolleranza zero un giorno dopo la scadenza del termine per la registrazione. Mu Sochua, dell’Assemblea cambogiana: "Non colpire ulteriormente delle persone vulnerabili". Nel Paese vi sono due milioni di lavoratori migranti registrati e almeno altri due milioni illegali. Dall’inizio di quest’anno, più di 30mila lavoratori senza documenti sono stati rimandati nei loro Paesi d’origine. I parlamentari del sud-est asiatico hanno invitato la Malaysia a trattare in modo equo i lavoratori senza documenti e a rispettare i loro diritti umani. Kuala Lumpur è impegnata in una campagna contro l’immigrazione che, secondo le statistiche del governo, questo mese ha portato all’arresto di oltre 3.300 stranieri. Il Dipartimento per l’immigrazione della Malaysia afferma infatti che, alle 22.00 dello scorso 12 luglio, durante le operazioni iniziate il 1 luglio, gli agenti delle forze dell’ordine avevano arrestato 3.323 lavoratori senza regolari documenti. I detenuti sono per lo più provenienti da Paesi del sud-est e dell’Asia meridionale. Essi comprendono 1.230 bangladeshi, 825 indonesiani, 273 cittadini di Myanmar, 119 vietnamiti, 123 thailandesi e 95 filippini. A riferirlo sono i funzionari del dipartimento. La Malaysia ha dato il via alla sua politica di tolleranza zero un giorno dopo la scadenza del termine, fissato dal governo, per la registrazione dei lavoratori con le autorità dell’immigrazione. I parlamentari dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico per i diritti umani (Asean - Aphr) hanno rilasciato una dichiarazione che esprime preoccupazione per il giro di vite in corso in Malesia. "Il desiderio di ridurre il numero di lavoratori illegali nel Paese non può mai essere una scusa per colpire ulteriormente delle persone vulnerabili", ha dichiarato Mu Sochua, membro del consiglio di amministrazione e dell’Assemblea nazionale cambogiana. Il gruppo si descrive come un collettivo di parlamentari regionali costituito da deputati in carica, ex ed in pensione, appartenenti alle 10 nazioni del blocco Asean. Secondo i parlamentari regionali, il governo malaysiano aveva registrato solo 161mila migranti senza documenti attraverso il proprio Programma di carte elettroniche temporanee per lavoratori stranieri. Si tratta di un’iniziativa per dare l’opportunità a tutti i datori di lavoro, che hanno assunto lavoratori stranieri senza permessi di lavoro per la mancanza di manodopera in alcuni settori dell’economia, di registrare i propri dipendenti. Mustafar Ali, il direttore generale del dipartimento immigrazione, ha dichiarato lo scorso 12 giugno che, a causa delle assunzioni illegali, sono stati arrestati anche 63 impresari. Ali ha affermato che, dall’inizio di quest’anno, più di 30mila lavoratori senza documenti sono stati rimandati nei loro Paesi d’origine. Secondo le organizzazioni non governative, in Malesia, Paese con 32 milioni di abitanti, risiedono due milioni di lavoratori migranti legalmente registrati e almeno altri due milioni illegali. La maggior parte degli immigrati senza documenti è impiegata nel settore delle costruzioni, nelle piantagioni di olio di palma, nelle fabbriche e nei servizi di pulizia, lavori che i malaysiani descrivono come "pericolosi, difficili e sporchi". Dopo che la sua economia ha registrato una forte crescita negli ultimi anni, la Malaysia, una federazione di 13 stati e tre territori federali, ha subito un aumento del numero di lavoratori a basso reddito, provenienti soprattutto da Vietnam, Indonesia, Nepal, Myanmar e Bangladesh.