Appello per la Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova: è un patrimonio comune Ristretti Orizzonti, 15 luglio 2017 Appello alla società civile, alle associazioni e agli enti pubblici e privati del territorio, alle singole persone che da tantissimi anni hanno avuto modo di conoscere il buon funzionamento della Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova. Senza il contributo di tutti la Casa di Reclusione di Padova non sarebbe quella che oggi tutti siamo ormai abituati a conoscere. È grazie a persone responsabili e di buona volontà presenti in tutte le realtà, pubbliche e private, che oggi il carcere "Due Palazzi" è noto in tutto il mondo. Quello di un carcere è un mondo tanto complesso quanto ricco di esperienze, ricco di diversità, basti pensare al personale di Polizia penitenziaria, alle varie direzioni che dal 1989 ad oggi si sono succedute, alla magistratura di sorveglianza, all’area trattamentale educativa, all’area socio sanitaria, all’area scolastica (basti pensare che Padova ha visto nascere in carcere uno dei primi Poli Universitari d’Italia), alle associazioni di Volontariato pioniere a livello nazionale, le cooperative sociali, alle realtà culturali, sportive, formative. Ognuna di queste con la propria specificità ha dato vita, in questi lunghi e faticosi ma anche belli anni a quell’autentico laboratorio di sperimentazione di un carcere rispettoso fino in fondo della Costituzione. Tutto questo, che è un patrimonio di tutti, oggi lo vediamo messo fortemente a rischio. Il lavoro di anni, svolto da tutti sempre attraverso un confronto aperto e serrato con le Istituzioni, ha avuto una caratteristica sopra ogni altra: la trasparenza. Padova ha una ricchezza di esperienze nell’ambito della rieducazione e del recupero delle persone detenute davvero straordinaria, attività mai smessa anche quando la dovuta attenzione in merito alla carenza del personale di polizia penitenziaria, dell’area trattamentale educativa e dirigenziale, non veniva adeguatamente affrontato in quantità oltre che in qualità. In queste settimane, più o meno tutti, stiamo subendo un attacco sia mediatico che concreto nel vivere quotidiano. Ogni fatto anche teso a mettere ordine al proprio interno (vedi ad esempio il ritrovamento vari di cellulari) è usato da qualcuno sempre in modo strumentale. Grazie a una straordinaria collaborazione tra istituzioni e società civile anche negli anni del sovraffollamento più bestiale si è riusciti a fare davvero miracoli. Quello in atto è un grave tentativo di tornare al passato (ante 1990), a un carcere chiuso alla società civile e chiuso alla speranza. La nostra preoccupazione è dettata anche dal fatto che il "Sistema carcere Padova" è nato realmente dal basso, dall’impegno e dalla risposta positiva data negli anni dall’Amministrazione, in particolare quella locale. Ora temiamo che il lavoro di tutti non venga sufficientemente tutelato, questo chiaramente non è solo a danno di Padova, in quanto in questi anni Padova ha rappresentato un monito, ricordando a tutti che con un unico ordinamento penitenziario si può gestire un carcere, progettando davvero il cambiamento o invece arroccandosi nella difesa di un passato che, come tutti oggi si riempiono la bocca, ha invece fruttato il 70% di recidiva. Ci rivolgiamo a tutti quelli che conoscono bene che cosa prevedono la nostra Costituzione, le leggi, l’Ordinamento ed il Regolamento penitenziario e non da ultimo le direttive europee che impongono l’umanizzazione della pena per quanto riguarda le persone private della libertà a causa dei reati commessi. Ci rivolgiamo a chi conosce altrettanto bene tutte le attività che da decenni sono presenti presso la Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova. La mancanza di rispetto, di aiuto, di difesa ci preoccupano moltissimo. Quello che ci preoccupa è dunque che ad essere attaccato sia il sistema "carcere Padova" nella sua totalità, e per di più in maniera poco chiara e incomprensibile. Ne va della credibilità delle istituzioni e della dignità delle persone. Una città intera, e non solo, ha conosciuto in questi 25 anni questa esperienza: ogni anno migliaia di studenti, scuole, aziende, istituzioni italiane e di ogni parte del mondo, enti di ogni ordine e grado, università italiane ed estere, etc. etc. sono entrati a contatto con tutte le attività di questo istituto, attività in molti casi fiore all’occhiello a livello nazionale ed internazionale. Quello del carcere di Padova non è patrimonio di qualcuno in particolare, è patrimonio di tutti, è un patrimonio pubblico di cui tutti noi e Padova ne andiamo fieri. Vi chiediamo una firma e, se volete, una frase che esprimano la vostra solidarietà e la vostra simpatia. Firmatari appello - Gruppo Operatori Carcerari Volontari (OCV) - Casa di accoglienza Piccoli Passi - Gruppi di ascolto - Sappe Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Responsabile Veneto e Trentino Giovanni Vona - FeDerSerD, Federazione degli operatori dei servizi delle dipendenze - Felice Nava - CISL-FNS Veneto - Segretario Regionale Giuseppe Terracciano - CISL-FP Padova - Segretario Generale Michele Roveron - CISL Padova - Segretario Generale -Sabrina Dorio - Polo Universitario Carcerario - Università di Padova - FP-CGIL Penitenziari Gianpietro Pegoraro - FP-CGIL Veneto Daniele Giordano - Associazione di volontariato Incontrarci Cristina - Associazione di Volontariato Ristretti/Granello di Senape - rassegna stampa e rivista - sportello giuridico - scuola di scrittura - TG2 PALAZZI. Ornella Favero Francesca Rapanà Lucia Faggion Vanna Chiodarelli Angelo Ferrarini Bruno Monzoni Antonio Morossi Elisabetta Gonzato Mauro Feltini Anna Scarso Feltini Donatella Erlati Armida Gaion Fernanda Grossele Tino Ginestri Silvia Giralucci - Work Crossing Coop. Soc. P. A. - Pasticceria "I dolci di Giotto" Matteo Marchetto Roberto Fabbris Matteo Florean - Insegnanti CPIA Padova, sezione carceraria. Adesione personale Daniela Lucchesi Domenica Cimellaro - Giotto Coop. Soc. Nicola Boscoletto Andrea Basso Alessandro Krivicic - Teatrocarcere Due Palazzi Maria Cinzia Zanellato Adele Trocino - Ass. Coristi per Caso Alberta Pierobon - Coro Due Palazzi in collaborazione con CPIA Padova - Docenti scuola superiore in carcere - Einaudi/Gramsci sez. carceraria Patrizia Fiorenzato Francesco Mazzaro Vincenzo Stocco Michela Zamper Paolo Mario Piva - ASD Polisportiva Pallalpiede Lara Mottarlini Paolo Mario Piva - Antigone Triveneto Giuseppe Mosconi - Cooperativa sociale AltraCittà Rossella Favero Valentina Franceschini Valentina Michelotto Mirko Romanato Bruna Casol Sabina Riolfo Federico Gianesello Giorgio Mazzucato - Avvocato Marco Di Benedetto - Avvocato Roberto Pinazzi - Mirella Gallinaro, Garante regionale dei diritti della persona del Veneto - Avvocato Mattia Carminati - Avvocato Gloria Trombini - Livio Pepino, già magistrato, presidente Associazione studi giuridici Giuseppe Borrè - Avvocato Riccardo Polidoro, Responsabile dell'Osservatorio Carcere UCPI "L'Osservatorio Carcere dell'Unione Camere Penali Italiane, sottoscrive l'appello. Firmiamo e invitiamo a firmare l’appello per salvare e promuovere il lavoro svolto nella casa di reclusione “Due Palazzi” di Padova. Sono pochissime le cattedrali nel deserto dell’esecuzione penale in Italia. Tra queste certamente e da tempo quella della Casa di Reclusione “Due Palazzi” di Padova. Un’eccellenza nell’ambito della c.d. “rieducazione” e nel recupero delle persone detenute che ha, con coraggio e grande forza di volontà, compensato le carenze di personale e di risorse dell’area trattamentale. Ci uniamo, pertanto, all’allarme lanciato dagli operatori di tale meravigliosa realtà, preoccupati che si voglia tornare ad un carcere “chiuso”, mettendo fine ad iniziative e progetti che hanno coinvolto la società civile, le scuole, le università, le aziende, nel rispetto di un'esecuzione della pena in linea con i principi della Costituzione e dell'Ordinamento Penitenziario. Il lavoro svolto in questi 25 anni a Padova ha rappresentato un’attività di supplenza che lo Stato non può ignorare e soprattutto non può e non potrà cancellare. Invitiamo, pertanto, tutti gli iscritti all’Unione Camere Penali Italiane a firmare l’appello scrivendo a redazione@ristretti.it. Gli Avvocati Componenti il Direttivo UCPI: - Simone Bergamini - Gianluigi Bezzi - Fabio Bognanni - Filippo Castellaneta - Giuseppe Cherubino - Filippo Fedrizzi - Roberta Giannini - Davide Mosso - Ninfa Renzini - Cinzia Simonetti - Gabriele Terranova - Renato Vigna - Franco Villa - Patrizio Gonnella, Presidente Associazione Antigone - Claudio Messina, Società di San Vincenzo De Paoli "Esprimo tutta la mia stima e fiducia agli operatori che in tanti anni di serio e qualificato impegno, con quello altrettanto indispensabile delle persone detenute coinvolte, hanno creduto e saputo attuare iniziative di eccellenza all’interno della Casa di Reclusione di Padova. Un impegno che ha dato frutti a tutti ben visibili, rendendo un servizio importante non solo alla comunità ristretta ma a tutte le componenti sociali, direttamente e indirettamente coinvolte. Tutti noi, appartenenti al mondo del volontariato ne abbiamo beneficiato e ne traiamo tuttora spunti utilissimi. Questi successi indiscutibili non possono essere vanificati da pretesti del tutto inconsistenti, che evidenziano la volontà di arrestare quel progresso civile auspicato dalla stessa Costituzione e da tutta la legislazione in materia, nell’attribuire alla pena un significato riabilitativo, rispondente non solo a istanze di giustizia e di civiltà, ma anche all’interesse della società nel suo complesso. Sono certo che la forza delle idee di progresso, dell’impegno costante e disinteressato prevarranno su questi attacchi immeritati, palesemente strumentali. Esprimo dunque a tutti voi la mia totale solidarietà e incoraggiamento a proseguire nel solco tracciato e sin qui vincente. Non conosco un modo migliore di operare dentro e fuori dal carcere". - Agnese Solero e Beppe Ceschi "Mi viene spontaneo affermare che la difesa delle attività presenti nella casa di reclusione di Padova è un investimento per tutti coloro che si sentono cittadini, per tutti coloro che credono nella possibilità dell'uomo di crescere, di cambiare, di misurarsi con l'altro da sé ma anche con sè stessi e con le proprie debolezze e fragilità. Tenere viva e fertile la comunicazione tra il "dentro" e il "fuori" per me significa investire nell'umanità e in un mondo possibile. Non scoraggiamoci!". - Giulia Cella - Antonella Barone - Museo Veneto del giocattolo di Padova - Centro Studi Ettore Luccini di Padova - Mario Breda, Mariastella Dal Pos - Avvocato Antonella Calcaterra - Mauro Feltini - Elisabetta d'Errico - Avvocato Barbara Lettieri - Avvocato Luca Mandro - Avvocato Felice Foresta, Referente Osservatorio Carcere Camera Penale di Catanzaro “Alfredo Cantàfora” - Alain Canzian - Avvocato Alessandro Magoni Associazione Antigone Nazionale Avvocato Michele Passione Sono stato molte volte da Voi. Senza di Voi nulla sarebbe come prima. Aderisco all'appello. Senatore Gianpiero Dalla Zuanna Firmo volentieri l'appello, e se posso fare qualcosa per sostenervi, sono qui. Angiola Gui Ho firmato perchè in 12 anni di frequentazione, come docente partecipante al progetto per le scuole, posso testimoniare che la collaborazione con Ristretti Orizzoni è stata per me ed i miei studenti un dono prezioso, altamente formativo ed arricchente! Un messaggio efficace, perchè testimoniato con coerenza, di educazione civica alla legalità. Un aiuto esemplare alla comprensione della complessità carceraria, ignota ai più (anche a me stessa, prima di avvicinarmi a questa problematica realtà) così comunemente travisata dal nostro sentire comune, fortemente condizionato dai tanti stereotipi di cui siamo, spesso inconsapevolmente, sia vittime che artefici. Maria Teresa Menotto, Associazione "Il granello di senape" Lucio Simonato Viviana Ballini Sottoscrivo, con molta convinzione. è importantissimo il vostro lavoro, per tutti. Marianita De Ambrogio, Padova Miriam Vertes Sono con voi! Federica Rovellini Con la presente si intende aderire all'appello da voi promosso. Con stima e solidarietà Maria Manuela Gigliotti, insegnante al Curiel. Stefano Cappuccio Dalla parte di chi con grandissimo impegno e intelligenza non comune, ha saputo dimostrare che nessuna vita é ormai già "scritta", che capire di avere ancora "qualcosa da perdere" può ribaltare un destino apparentemente già segnato, che a dispetto di quanto può sembrarci ineluttabile, creare occasioni per far riflettere sulla propria vita, sui propri e altrui errori e sul dolore ricevuto ma sopratutto provocato, può rivelarsi cura miracolosa. Tutto ciò, persino per quegli uomini che, per primi, non scommetterebbero più sul loro cambiamento, rassegnati a diventare incarnandola, la colpa commessa. In qualità di insegnante, per anni Figura Strumentale per l'Educazione alla Legalità nel proprio istituto, penso di conoscere bene il lavoro di Ornella Favero e della redazione di Ristretti Orizzonti e fin dai primi incontri tra detenuti e allievi, a scuola e in carcere. Ho grande stima di lei e di chi, assieme a lei, ha saputo regalare il proprio tempo e il peggio del proprio passato, per stimolare nei ragazzi e nei loro docenti riflessioni altrimenti impossibili, dando a tutti un'occasione più unica che rara di emanciparsi dalle ignoranti scorciatoie che spesso famiglia, informazione e purtroppo a volte anche le istituzioni, suggeriscono. Grande Lavoro quindi quello di Ristretti Orizzonti, senza alcun dubbio. Onorato di esservi amico. Prof. Antonio Bincoletto, IIS “Concetto Marchesi” Aderisco all’appello con questo contributo sul progetto scuole/carcere. Da quasi tre lustri partecipo con gli studenti della mia scuola al Progetto promosso dalla dott.ssa. Ornella Favero. So che in questo momento Ornella è bersaglio di critiche e velate accuse per il caso dell'ex Direttore del carcere Due Palazzi dott. Pirruccio. In una tale situazione di difficoltà e di messa in discussione del suo operato, sento di dover esprimere la mia solidarietà verso la dott.ssa Favero, una persona che da anni si sta impegnando a fondo e senza risparmio d'energie affinché nel carcere si attui il dettato costituzionale e specificamente quanto previsto dall'art. 27 riguardo alla funzione rieducativa della pena. Il percorso proposto da Ornella apre spazi effettivi per un possibile ravvedimento ed una rieducazione dei detenuti, i quali sono generalmente sottoposti a mera pena afflittiva, senza supporto né incoraggiamento significativo ad intraprendere una revisione critica del proprio passato. L'esperienza che grazie a questo progetto abbiamo fatto dal 2003 ad oggi nel liceo "Marchesi-Fusinato", ha consentito a generazioni di giovani frequentanti il nostro istituto di confrontarsi con realtà dure quali quelle della tossicodipendenza, della marginalità sociale, dell'immigrazione, delle relazioni familiari difficili, delle tradizioni violente e vendicative presenti ìn alcune comunità, della pervasività delle organizzazioni criminali in certi contesti, dell'insuccesso che s'incontra nelle relazioni sociali e che talvolta diventa criminogeno, dell'indigenza o del desiderio di avere di più e velocemente, del familismo amorale, dell'incapacità di chiedere aiuto quando si è in difficoltà; tutto ciò lo si è incontrato attraverso il vivo e spesso sofferto racconto dei detenuti che intraprendono un percorso di revisione del proprio passato e che considerano l'incontro con gli studenti come una grandissima risorsa, in quanto raro momento di confronto e rispecchiamento effettivo con la società. Insomma, Ornella ha ideato e messo in atto un sistema di relazioni che consente una simultanea crescita di consapevolezza nei detenuti e negli studenti. L'ha fatto in forma volontaria e gratuita, con grande convinzione e con una dedizione totale, trovando una sponda attenta e sensibile nel direttore e in molti operatori del carcere. Non entro ovviamente nel merito delle circostanze che hanno provocato il procedimento giudiziario in atto nei confronti del dott. Pirruccio. Posso solo dire che, nelle situazioni in cui l'abbiamo incontrato (lezioni con gli studenti, visite e convegni in carcere, conferenza nell'ufficio stampa di Montecitorio), l'ex direttore ci è apparso persona aperta e disponibile al dialogo, nonché convinta che la pena della detenzione debba avere una funzione anche rieducativa e non meramente afflittiva. Per quel che riguarda le ricadute scolastiche del progetto, a partire da riscontri oggettivi sui risultati ottenuti in questi 14 anni, posso affermare che si tratta di un'esperienza altamente formativa per quanto concerne sia l'educazione alla legalità, sia l'analisi critica dei fenomeni sociali e delle istituzioni, sia il superamento di visioni basate unicamente su preconcetti e stereotipi. Il successo formativo del progetto è confermato sia dall'interesse vivissimo dimostrato dagli studenti, sia dalle tante manifestazioni di apprezzamento giunte in questi anni dalle famiglie e dagli insegnanti che vi hanno partecipato, sia dalle indagini che abbiamo sistematicamente condotto sui risultati ottenuti alla fine del percorso. Un altro riscontro importante è rappresentato dall'alto numero di elaborati prodotti in questi anni dalle classi coinvolte, che hanno spesso ottenuto anche riconoscimenti esterni e premi nel concorso finale. Ma c'è un ulteriore fondamentale elemento che ci indica quanto sia importante questo progetto: vedere dei detenuti, talora considerati delinquenti incalliti ed irrecuperabili, mettersi prima a nudo di fronte a platee di giovani, giudici spesso inflessibili e spietati, e poi sentirli dichiarare che l'incontro con gli studenti è l'unica preziosa opportunità offerta loro per ripensare al male fatto e per confrontarsi con qualcuno su questo, tutto ciò fa capire quanto sia utile e coerente coi principi della nostra Costituzione il percorso avviato grazie al duro lavoro di Ornella. Ai ragazzi viene offerta la possibilità di crescere e, nel contempo, di contribuire attivamente all'applicazione di un principio costituzionale che altrimenti verrebbe largamente disatteso; ai detenuti si dà una delle pochissime opportunità di confronto col "mondo esterno", indispensabile per avviare quel percorso di revisione che rappresenta il risultato ideale atteso dalla funzione rieducativa del carcere. Sono certo che questa e nient'altro sia stata e sia la "stella polare " che ha guidato Ornella in questa lunga, non facile e talvolta burrascosa navigazione. Posso solo ringraziarla per il suo grande lavoro e augurarmi che, al carcere come alla scuola, non venga tolto uno strumento tanto prezioso e collaudato di formazione e miglioramento sociale, ma che, anzi, esso venga diffuso a livelli sempre più ampi, quale esempio di buona pratica per una società sana e democratica, in grado sia di prevenire i reati educando i giovani alla legalità e alla cittadinanza, sia di offrire una possibilità di cambiamento anche a chi sbaglia. Stefano Carnoli Io ho compiuto quel percorso, aiutato da ogni persona che quotidianamente si adopera per far sì che dal dentro al fuori si trovi la concreta possibilità di una vita sociale normale. Oggi ho un buon lavoro e uno sguardo ottimista verso il futuro. Non fate che dal dentro al fuori ci sia solo un sacco nero pieno del nulla più assoluto. Maurizio Mazzi, Presidente della Conferenza Regionale Volontariato e Giustizia del Veneto Aderisco all’appello e invito le Associazioni a aderire individualmente Luisa Mazzone ?Giuditta Boscagli? Io superfirmo e condivido la petizione: la mia famiglia è nata grazie al lavoro e all'umanità che in quel carcere hanno trovato la possibilità di attecchire e spesso fiorire, tanto per i detenuti quanto per gli operatori.?? Anna Rossetto Viene offesa una vasta categoria di lavoratori che silenziosamente si occupano di "Diffondere la speranza". Questo è il mio mestiere da molto tempo.? Non c'è istituto in Italia più umano della casa di reclusione di Padova. Sono allibita dalle manifestazioni di ignoranza di alcuni media. Serafina Tavella ? Stimo moltissimo il grande, encomiabile lavoro che tutti i responsabili fanno nei confronti dei carcerati! Ho visto questi uomini davvero cambiati e sereni, dove li trovate delle persone così? Perché si attacca il bene??? Benedetta Scandola? Io firmo! Officina Giotto e il sistema Padova sono un sistema d'eccellenza; quanto si sta facendo contro di loro è la consueta macchina del fango, che colpisce lì dove la serietà e la rettitudine portano frutti?? ? Nunzio Puccio Io firmo e confermo. Il lavoro fatto in questi anni ha creato delle eccellenze professionali e produttive ma soprattutto umane che sarebbe un crimine mettere a repentaglio.? Marco Ferrero Troppo spesso le scelte politiche sono dettate dalla preoccupazione di assecondare un elettorato superficiale e qualunquista. ? ?Aderisco all'appello.? Stefano Scherini L'anno scorso, nel 2016, siamo stati ospiti del carcere di Padova e di Officina Giotto con lo spettacolo "The Merchant in Venice", della Compagnia dè Colombari. Abbiamo ricevuto un'accoglienza splendida, abbiamo trovato un luogo straordinario per senso civile ed umano. ? ?Sottoscrivo l'appello e mi auguro che le istituzioni sostengano sempre più il vostro splendido lavoro e modello penitenziario.?? Edoardo Acerenza Sono ex manutentore e ho conosciuto tanti ragazzi magnifici. Ho una grande stima x tutti come loro l'anno per me. Alcuni li trovo fuori e tutti si sono fatti un futuro e una famiglia!? ? Ennio Favarato Se aveste visto la luce negli occhi delle persone che lavorano con passione in un cammino di redenzione, come ho avuto la fortuna io di vedere, non avreste il minimo dubbio nel sottoscrivere un milione di volte questo appello.? Gisella Barbiani Pieno sostegno a un'opera meritoria svolta da un rete di realtà del terzo settore, esempio raro nel panorama delle carceri italiane, a cui ispirarsi per estenderla in altri istituti.? Edoardo Gerbaudo Chi ci entra sa che "dentro" ci sono un sacco di cose che "fuori" troppi neanche immaginano. ?Solidarietà totale a chi le porta "fuori" per sconfiggere il qualunquismo?? Massimo Mogno Consapevole del serio lavoro svolto, auguro un sempre maggior successo e aderisco pienamente alla sottoscrizione.? ?Massimo Mogno?? Maz Dani Io vi appoggio sempre?. Il vs lavoro è la base per ripartire,? Ci credo moltissimo. ? Antonuzzo Angelo Concordo pianamente a firmare anche se virtualmente e auguri di una nuova riuscita al progetto.? Paolo Bolchi Ho moltissima stima per quello che avete fatto negli anni a favore di tanti uomini che ho avuto anche la fortuna di conoscere. Aderisco con convinzione all'appello ed alla sottoscrizione.? Franco Scali Parola d'ordine "Resilienza". Non mollare mai!... (ma perché i circoli virtuosi sono sempre sotto attacco? Anziché provare l'emulazione. ...?)? Daut Dinja Siete grandi, andate avanti. Un abbraccio a tutti gli amici. Tanti saluti dall’Albania? ? Rosa Giacomo Consiglio ?? Maria Teresa Pandolfi Io firmo, avanti? Michele Boscolo Sassariolo Aderisco e condivido il post? Alice Cavallaro Aderisco e condivido con piacere!? Romina Sossai Aderisco!? Stefania De Paolis Condivido? Kay Pasero Metella Federica Biagioni Aderisco e condivido? Barbara Buono Pieno sostegno a tutti voi e al grande lavoro che fate ogni giorno... Firmo e condivido? Graziella Teseo Siete tutti bravissimi. ?Vi ammiro e stimo tanto?? Miria Spada Firmo e condivido.? Enrico Rancan Aderisco e condivido! Sono con voi!? Andrea Demozzi, Trento Assolutamente da sostenere. Forza Nicola Boscoletto, forza tutti, noi ci siamo!!! Michelangelo Menna, Perugia Aderisco, #officinagiotto un esempio per tutti! Marta Cecchinato, Padova Non capisco con quali motivazioni si voglia tornare al passato, se i dati confermano la positività del "modello carcere di Padova", a partire dalla Officina Giotto, fiore all'occhiello di Padova e che dovrebbe essere preso ad esempio a livello nazionale. Cerchiamo di resistere a questi attacchi insidiosi, sperando che le azioni positive abbiano il sopravvento! Forza! Maria Di Fusco, Napoli Ho avuto la Grazia di conoscere il SIG. NICOLA BOSCOLETTO dentro al Due Palazzi. Mio figlio detenuto da 16 anni in diversi carceri italiane, con esperienze devastanti spogliati di di ogni identità trattati senza un briciolo di umanità facendo salti mortali per poter mantenere mio figlio con almeno il necessario per il suo fabbisogno giornaliero Un giorno si arriva a Padova e tutto cambia, c'è NicolaBoscoletto con le officine Giotto che da lavoro a mio figlio , ci sono metodi umani di perquisizioni da parte della Polizia Penitenziaria , c'è Ristretti Orizzonti con a capo Ornella Favero che ci hanno tirato fuori da un baratro buio dove ogni forma di dignità non era più neanche nei sogni , che dire poi del Volontariato con persone meravigliose che si adoperano x noi detenuti e famiglie con umana determinazione per ridare dignità e Speranze a noi tutti. Firmo è aderisco 1000 mille volte perché tutto questo non finisce perché Nicola Boscoletto con Ornella Favero non diventi un ricordo di persone incontrate in un carcere dove la Dignità umana di un detenuto conta ! AUGURI a Voi Tutti che chi ha messo in moto questa macchina di fango capisce quanto dolore sta provocando la dove c'è tanto impegno x noi famiglie e detenuti! Forza e Coraggio sono con Voi Orgogliosa di Conoscervi Tutti! Maria. Valeria Bonomi, Milano Grazie a te Nicola Boscoletto , ho sempre sostenuto che bisognerebbe investire per replicare il modello del carcere di Padova e continuerò a farlo! Forza. Jole Vanoni, Varese Aderisco più che volentieri! Il modello Padova, a mio avviso, è un modello da esportare in tutte le carceri per il recupero di chi nella vita ha sbagliato. è giusto dare a queste persone un'altra possibilità! Marcella Clara Reni Aderisco con convinzione a nome mio personale e dell'Associazione Prison Fellowship Italia ONLUS che mi onoro di presiedere. Francesco Toniutti, Milano Aderisco, per un modo nuovo di vivere la rieducazione. Silvia Guidi, Roma. Anch'io, Nicola. Se posso essere utile ci sono. Keep on fighting! Cecilia Marangoni, Padova Non posso non aderire... questi ragazzi hanno sbagliato, ma nessuno può dire con certezza "io non lo avrei mai fatto" e quindi nessuno può permettersi di togliere loro la possibilità di cambiare la loro storia! In tante occasione mi hanno dato di più loro che le persone "per bene" che incontro tutti i giorni! ADERISCO! Corrado Rizzi, Abbiategrasso Aderisco; uno spazio di umanità in un luogo impensabile non può essere mortificato. Forza Officina Giotto! Camillo Rossi. Cremona. Aderisco! Federico Samaden. Pergine TN. Il sottoscritto e tutti i ragazzi e il personale e i docenti dell'istituto alberghiero sono con voi!! Forza e coraggio, non mollate!! Silvia Vianello. Chioggia VE. Hai tutta la mia solidarietà. Ho avuto l'onore, grazie a Nicola, di visitare il carcere e tutte le attività all'interno. Un grande laboratorio frutto di sacrificio, passione, grandissima dedizione e spirito di carità. Maria Olga Mezzena. Trento Aderisco. Jacopo Sabatiello, Belo Horizonte, Brasile Aderisco. Serena Mancuso. Venezia. Ho visto il carcere di padova un anno fa, in occasione dello spettacolo "The marchant in Venice", per il quale suonavo. Sono rimasta molto colpita positivamente dalle possibilità di recupero che vengono date ai detenuti, è stata un'esperienza indimenticabile vedere quello che siete riusciti a fare voi ed i detenuti insieme. Un grandissimo esempio di umanità e civiltà! Vi auguro davvero di poter continuare cosi'. una grande emozione vedervi all'opera, bravissimi! Maria Clemenza Berti, Genova Aderisco e condivido. Albino Dal Bianco. Sembra incredibile che dopo aver chiuso le cucine e non aver avuto il coraggio di ammettere la cazzata fatta voglio anche demolire l'unica esperienza vera, preziosa e sopratutto educativa che si trova all'interno di un carcere. Ma la vera domanda e da dove viene tutto questo malessere verso chi ha sacrificato tempo e soldi per ricoprire un ruolo che spetterebbe allo stato? Sapete quante famiglie vanno avanti con l'aiuto economico che riescono a dare i detenuti ai loro cari lavorando. Non arrendiamoci ma stiamo vicini alla Giotto nel far comprendere l'importanza di aiutare chi vive dentro un carcere sia che egli sia guardia oppure delinquente. Io ho vissuto 8 anni dentro il due palazzi e ho visto la differenza tra essere un detenuto con un numero di matricola ed essere un detenuto valorizzato come persona. Io ci sono per qualsiasi iniziativa vogliate prendere. E potrei riempire pagine pagine pagine di bene che ho ricevuto dall'esperienza educativa che ho ricevuto all'interno del carcere e che mi sta aiutando nella vita di tutti i giorni. Pietro Milazzo, Padova Come al solito le cose che funzionano si devono demolire. Tenete duro. Carlo Grignani. Belgioioso Aderisco convintamente all'esperienza del carcere di Padova! Una speranza per molti. Donatella Tonello, Torino Siete l'esempio che traccia un metodo, da estendere. Bisogna ottenere che la vostra opera, ottenga visibilita' e sostegno. Grazie per quello che fate! Maria Acqua Simi, Cremona Da giornalista, raramente ho visto una realtà così ricca di umanità. Non mollate. Monica Mondo, Roma La realtà del carcere di Padova è unica, umanissima, speciale. Conoscervi è stato un respiro di grazia libertà e giustizia vera. Qualsiasi cosa per sostenervi. Eugenio Andreatta, Padova Considero un privilegio aver potuto raccontare per anni cosa succede nella casa di reclusione di Padova. Si potrebbe descrivere in tanti modi, un piccolo esempio di sussidiarietà realizzata, un angolo di operoso Nordest dietro le sbarre, una speranza per chi è dentro e un esempio per chi sta fuori. E anche un modo per spendere bene i nostri soldi. Con tutti i limiti che vogliamo, ci mancherebbe. Ma una storia che non ci si stanca di raccontare. Grazie ragazzi un abbraccio. Maria Luisa Manzi, Bergamo Ci vorrebbero tante esperienze come Padova! Elisa Mapelli, Villa Santa Aderisco e condivido! Forza ragazzi! Daniele Lugaresi, Bologna Aderisco per risultati che questa esperienza ha prodotto. Monica Boscato, Isola Vicentina #iostoconofficinagiotto #iostoconristrettiorrizzonti #iostoconduepalazzi. Non mollate. Romano Lovison, Padova Padova è un esempio da imitare, nel recupero delle persone per reinserirle, nel miglior modo possibile, nella società civile. Valorizziamo ulteriormente questo patrimonio! Santini Mongardini, Roma Aderisco perché ho avuto occasione negli anni di conoscere e apprezzare l'esperienza. Giuditta Boscagli, Lecco Io superfirmo e condivido la petizione: la mia famiglia è nata grazie al lavoro e all'umanità che in quel carcere hanno trovato la possibilità di attecchire e spesso fiorire, tanto per i detenuti quanto per gli operatori. Gianfrancesco Carpenzano, Padova Quello che è stato creato nel carcere di Padova, la "Officina Giotto" è, secondo me, uno dei più bei progetti mai creati prima! Bisogna prenderlo come esempio! Maurizio Perfetti, Roma "Bonum sui diffusivum" si diceva una volta, anche se le cosiddette "istituzioni" sono sorde per lo piu' e ciucciani soldi e le migliori energie dei buoni e volenterosi... Non mollare, non mollate! anche quando il vento e le correnti (ops!) sembrano contro. Chi ha forza rema sempre "sperando contro ogni speranza". la verita' rende liberi (è detto e "scritto"). Letizia Bellini, Padova Condivido e appoggio xche anch'io ho visto il grande lavoro e l'umanità con cui si prestano i lavoratori per dare una seconda opportunità a chi ha sbagliato attraverso questi laboratori meravigliosi. Emanuela Schiavon, Chioggia Aderisco condividendo il post sperando che i progetti virtuosi come quello della Coop Giotto possano continuare ad esistere. Cristina Boscolo, Padova Condivido sicuramente... ho conosciuto delle persone che avendo avuto una seconda possibilità sono veramente cambiate... grazie di cuore per quello che fate! Antonmariano Varotto, Paraguay Conoscendo in prima persona la realtà del carcere di Padova ed il Valore educativo e civile delle attività a favore dei detenuti ivi svolte, appoggio pienamente l'Appello! Maria Elena Castelli, Alatri Aderisco. Ho sempre sostenuto che il modello del carcere di Padova dovesse essere utilizzato ovunque. Purtroppo il mondo intero è sotto attacco. Ma le tenebre non prevarranno. Michele Boscolo, Sassariolo - Chioggia VE Aderisco condividendo il post. Un caro saluto. Anna Pedrazzini, Albania Conosco di persona quello che è nato in quel carcere e non posso che sostenerti, ringraziarti per quello che sei stato in grado di costruire. Grazie alla Giotto che è fatta di tante PERSONE. Un abbraccio grande uomo. Flavio Foietta, Forlì. Ho visto e toccato con mano la speranza che la coop Giotto regala a molti reclusi a Padova. Ognuno di loro è una persona e non solo la misericordia ma anche la nostra Costituzione ce lo ricorda. Per recuperare una persona alla vita civile sono necessarie strutture adeguate che credono nell uomo e ne hanno le capacità e le possibilità. La struttura pubblica di per se giusta non è in grado però di recuperare l anima del recluso e portarlo alla sua "redenzione ". Ci vuole un rapporto umano e personale che nulla ha a che fare con le fredde leggi regolamenti direttive ecc ecc, le sole che lo Stato può emanare. Grazie alla Giotto e grazie a Boscoletto!! Andrea Moro, Padova Nicola, aderisco e credo che "il modelo carcere Padova" sia da prendere d'esempio per un reale recupero delle persone recluse e una riduzione significariva della recidività. In un momento in vui vanno di moda "i mal di pancia populistici" dobbiamo gestire i singoli ed isolati episodi e atteneci ai numeri e ai risultati ottenuti in questi 30 anni. Gioiella Di Felice, Padova. Aderisco condividendo le attività svolte al Due Palazzi come una seconda possibilità offerta a coloro che, pur avendo sbagliato vogliono cambiare le loro vite. Davide Fiorotto e Laura Zanchin Condividiamo e firmiamo l'appello di Ristretti Orizzonti augurando a tutti voi di poter continuare a lavorare serenamente per un carcere sempre più "aperto". Avete la nostra ammirazione per i progetti che in tanti anni hanno prodotto cultura, lavoro e sana comunità. Vi sosteniamo. Avvocato Adriana Vignoni Aderisco con la presente all’appello per salvare e promuovere il lavoro svolto nella casa di reclusione Due Palazzi. Avvocato Crotti Maria Luisa Non torniamo al passato, avanti con l’esperienza del carcere Due Palazzi di Padova. Giovanni Todesco, archivista Sottoscrivo l'appello ed esprimo tutta la mia solidarietà e partecipazione per questa giusta lotta Avvocato Stefania Amato Con questa mail intendo sottoscrivere il Vostro ”appello alla società civile, alle associazioni e agli enti pubblici e privati del territorio, alle singole persone che da tantissimi anni hanno avuto modo di conoscere il buon funzionamento della Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova”. Vorrei che il Vostro lavoro potesse proseguire al meglio, per molti anni ancora. Avvocato Christian Cerniglia Avvocato Roberto Lancellotti Avvocato Carmelo Passanisi Carla Chiappini e la redazione di Ristretti del carcere di Parma aderiscono all’appello Proprio ieri nel carcere milanese di Opera un detenuto di Alta Sicurezza mi ha detto: - Per noi l'esperienza di Padova è una luce, una speranza!. Ma a volte tutto sembra così fragile. Noi amiamo e difendiamo la storia di Ristretti e dell'istituto Due Palazzi. Enrico Ferri, giornalista della sezione veneta di Articolo 21 Carissimi, aderisco volentieri all' appello sul carcere Due Palazzi Avvocato Monica Barbara Gambirasio Rosa Maria Puca. Insegnante del Carcere Tommaso Bisoffi - capo scout, studente di giurisprudenza, cittadino attivo Vorrei aderire al vostro appello: Casa di reclusione è patrimonio comune. Grazie per il vostro lavoro! Cecilia Mussini, Monaco di Baviera Con la presente desidero aggiungere il mio nome all'appello per Ristretti Orizzonti. Teresa Bellini Avvocato Marzia Bellodi Nella mia qualità di avvocato iscritta alla Camera Penale Veneziana, sottoscrivo l'appello per salvare e promuovere il lavoro svolto nella casa di reclusione "Due Palazzi" di Padova. Piero Ruzzante, Consigliere regionale Veneto Articolo UNO-MDP Sottoscrivo totalmente l'appello! Mariella Orsi, Firenze Maurizio Marinaro Elena Fanton Condivido l'appello. Grazie per rendere la vita in carcere più umana e anche padova una città migliore. Maurizio Ulliana, Associazione "Amissi delle api" Avvocato Aurora d'Agostino, Padova Davide Tramarin Cesare Burdese, Architetto A proposito dell’Appello per la Casa di Reclusione “Due Palazzi” di Padova, conseguente all’attacco del sistema “carcere Padova” nella sua totalità, (…) in maniera poco chiara e incomprensibile, appare di primo acchito ingiustificata la contesa. Da una parte il lavoro decennale di quanti hanno dato concretezza alle istanze costituzionali e della Riforma dell’Ordinamento penitenziario, dall’altra l’Amministrazione penitenziaria che questa concretezza sembrerebbe viverla come una invasione del suo territorio. Allarma il fatto che questa vicenda, che ritengo comunque emblematica della schizzofrenia che soffre da decenni la realtà amministrativa penitenziaria, non sia affrontata nelle sedi opportune, per addivenire ad un chiarimento che consenta di superare ed andare avanti con più impegno e risultati ulteriori. Ma forse questo non è che l’inutile e fallace pensiero di un ingenuo architetto che da oltre trentanni è impegnato a tradurre in muri quei principi di umanità e riscatto che pochi volenterosi, nella Casa di Reclusione “Due Palazzi” e in altri carceri, hanno saputo e sanno concretizzare con lavoro vero. Tutta la mia solidarietà dunque a tutti loro. Avvocato Annamaria Alborghetti, referente carcere Camera Penale Padova Silvia Guido Scrivo per sottoscrivere l’appello per salvare e promuovere il lavoro svolto nella casa di reclusione “Due Palazzi” di Padova. Perché non si può ostacolare un esperimento di successo, perché per fortuna non si tratta più di un esperimento ma di una realtà solida e di esempio per tutti, perché tanti anni fa ho toccato con mano la bellezza e la forza e la "testardaggine" della vostra esperienza e mi siete rimasti nel cuore. Vi auguro tutto il meglio. Avvocato Barbara De Biasi, Venezia Avvocato Marianna Negro, Venezia Avvocato Azzurra Tatti Quale membro del Direttivo della Camera Penale di Pistoia e responsabile del relativo Osservatorio Carcere, a nome di tutti gli iscritti della Camera Penale di Pistoia esprimo tutta la mia solidarietà e supporto per le ragioni degli operatori del carcere "Due Palazzi", nella consapevolezza di quanto sia ogni giorno più difficile, in tempi di crisi e di sovraffollamento, realizzare l'obbiettivo costituzionalmente previsto di un carcere che rieduchi i soggetti aiutandoli a camminare con le loro gambe evitando così ricadute. La concretizzazione di questo obbiettivo passa attraverso il lavoro, spesso purtroppo sconosciuto ai più, degli operatori dei carceri, il cui impegno quotidiano merita di essere sorretto. Avvocato Francesca Ricciardi, Venezia Angiola Gui, docente presso IIS Marchesi-Padova In 12 anni di frequentazione, come docente partecipante al progetto per le scuole, posso testimoniare che la collaborazione con Ristretti Orizzonti è stata per me ed i miei studenti un dono prezioso, altamente formativo ed arricchente! Un messaggio efficace, perchè testimoniato con coerenza, di educazione civica alla legalità. Un aiuto esemplare alla comprensione della complessità carceraria, ignota ai più (anche a me stessa, prima di avvicinarmi a questa problematica realtà) così comunemente travisata dal nostro sentire comune, fortemente condizionato dai tanti stereotipi di cui siamo, spesso inconsapevolmente, sia vittime che artefici. Federica Zanetti, funzionario di Servizio Sociale UIEPE Firenze Vorrei sottoscrivere l'appello per salvare il carcere in oggetto ed il meraviglioso lavoro che operatori istituzionali, cooperative e volontari unitamente ai detenuti hanno svolto e continuano a svolgere con lungimiranza, passione e... cuore! Nila Corrain Desidero firmare l'appello per la Casa di Reclusione "Due Palazzi" in quanto, in qualità di insegnante ho creduto fortemente in uno dei Progetti che hanno contribuito a rendere me e i miei allievi consapevoli di una realtà che merita di essere conosciuta e che può essere di stimolo a riflessioni meno banali e meno ovvie del sentire comune. Patrizia Ciardiello Sottoscrivo l’Appello alla società civile, alle associazioni e agli enti pubblici e privati del territorio, alle singole persone che da tantissimi anni hanno avuto modo di conoscere il buon funzionamento della Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova. Cristian Ferrari, Camera del lavoro della Cigl di Padova, segretario confederale Enrico Ciligot, Fpcigl di Padova, segretario Luigi Pagano Cara Ornella, ritengo che un carcere impermeabile all’esterno sia contrario all’Ordinamento penitenziario (art. 17) che, giustamente, secondo logica, ritiene la partecipazione dei cittadini, delle istituzioni , delle associazioni pubbliche e private all’azione rieducativa un elemento fondamentale se si vuole percorrere la difficile, impervia strada che porta al reinserimento sociale del detenuto ( e quindi a un investimento in termini di reale sicurezza sociale.) Un carcere chiuso al confronto si pone in netta antitesi con un percorso del genere e lo porta a divenire, per paradosso, esso stesso uno dei più potenti fattori criminogenetici. Di certo un sistema “aperto” non è esente da rischi, ciò è indubitabile , ma i risultati che determina una scelta del genere alla fine, secondo la mia esperienza, li compensa abbondantemente. E, poi, come disse qualcuno molto più autorevole di me “..come uomini il rischio ci appartiene, non ci è dato di escluderlo dalla nostra vita…forse non dovremmo farlo anche se potessimo, perché l’unico rischio che non possiamo correre è quello di non correre mai rischi..”. Per questi motivi ritengo coerente con i valori a cui mi sono sempre ispirato sottoscrivere il vostro appello. Giorgio Mainoldi, Presidente della Coop. Soc. Onlus "Il Cerchio" di Venezia Spett.le Cooperativa AltraCittà, la presente per ricordare i buoni e proficui rapporti che la Cooperativa “Il Cerchio” e l’Associazione di Volontariato “Il Granello di Senape” di Padova hanno sempre intrattenuto con le organizzazioni che affrontano il difficile tema della cooperazione all’interno delle mura del Carcere patavino, in modo particolare con la Vs. Cooperativa. Il Granello muove i suoi primi passi nella Casa Reclusione per Donne di Venezia, alla Giudecca, luogo dove - qualche anno più tardi - nasce anche Il Cerchio: il primo Comitato di Redazione, allora presieduto dalla prof.ssa Ornella Favero, è stato il primo motore che ha portato alla costituzione della nostra Cooperativa. Da sempre, entrambe le associazioni sono spinte dalla convinzione che solamente un percorso di inserimento attraverso il lavoro possa realmente costituire un’opportunità per il reinserimento nella società per i detenuti; e le già ottime statistiche in proposito non rendono ancora adeguatamente l’idea di quanto importanti siano i percorsi di reinserimento che realtà come le nostre Cooperativa si impegnano a fornire. Siamo assolutamente convinti che il l’esperienza maturata nelle carceri di tutt’Italia sia un patrimonio pubblico, un patrimonio di tutta la società civile. Cordialmente. Martina Cattani Ho conosciuto la realtà del carcere di Padova ormai da qualche anno e ho partecipato a due convegni organizzati da ristretti orizzonti. Ho potuto vedere con i miei occhi l'importanza del lavoro di ristretti orizzonti, fondamentale per i detenuti, ma anche e soprattutto per la società all'esterno; per chi come me, prima di conoscere ristretti orizzonti, non sapeva quasi nulla di carcere e nemmeno si poneva il problema. Alla giornata di studi ho portato due familiari (completamente estranei al mondo del carcere) che in quella sede hanno messo in gioco le loro convinzioni e hanno iniziato a riflettere seriamente e in maniera critica sul mondo del carcere e dei reati. Per loro e per me è stata un'esperienza forte di conoscenza e riflessione di un mondo che vuole essere spesso accantonato e che l'informazione continua a infamare e infangare, alimentando un odio che ha già basi profonde e che si basa spesso sul detto "occhio per occhio, dente per dente, oppure hai sbagliato ora marcisci". Insomma per tutto questo sono fermamente convinta che ristretti orizzonti debba continuare il suo prezioso lavoro si informazione e sensibilizzazione, per noi del mondo al di fuori che ci sentiamo (falsamente) immuni ai reati, per gli studenti e per questa società che ne ha estremo bisogno (e che a me fa sempre più paura). Giuristi Democratici di Padova, Sezione Giorgio Ambrosoli Progetto Jonathan di Vicenza Avvocato Chiara Zanotti Elisabetta Cimini Camera Penale di Milano, Consiglio Direttivo: Avvocato Monica Barbara Gambirasio Avvocato Ettore Traini Avvocato Andrea Soliani Avvocato Valentina Alberta Avvocato Isabella Cacciari Avvocato Emanuele De Paola Avvocato Stefania Farnetani Avvocato Alberto Longo Avvocato Manuel Sarno Andrea Alessi Firmo volentieri l'appello. Non voglio credere che si possano mettere in discussione i percorsi educativi e riabilitativi attivi nel carcere 2 Palazzi. Mi sembra venga meno proprio la funzione “costituzionale” del carcere. In particolare ritengo che il mettere in discussione il progetto scuola/carcere, attivo da molti anni, sia un attacco anche alla scuola e al suo valore educativo, culturale e sociale di cui ci si deve sentire tutti responsabili. Molte sono le testimonianze da parte degli studenti del valore indelebile che ha lasciato quest’ esperienza nel loro cammino formativo. Annamaria Crispino Desidero esprimere il mio sostegno e la mia stima alla dott.ssa Ornella Favero e a tutta la redazione di "Ristretti Orizzonti" Prof. Arch. Marella Santangelo, Università degli Studi di Napoli "Federico II" Sottoscrivo l'appello a nome mio e di tutto il gruppo di docenti del Dipartimento di architettura dell’Università di Napoli Federico II che lavora per i luoghi della detenzione. La mia esperienza di lavoro nella Casa di reclusione Due Palazzi di Padova è stata straordinaria, abbiamo conosciuto una realtà e delle persone eccezionali. I volontari del Blog Dentro e Fuori Firmiamo e invitiamo a firmare l’appello per salvare e promuovere il lavoro svolto nella casa di reclusione “Due Palazzi” di Padova. Crediamo che l'idea "del carcere come patrimonio collettivo e come parte integrante della società stessa" concretizzata nel lavoro portato avanti in tutti questi anni dagli operatori e dai volontari di Padova abbia restituito valore, senso e dignità a chi lo vive il carcere. Noi volontari del Blog Dentro e Fuori condividiamo questo appello e questo principio anche nelle nostre attività e nei nostri progetti. Perchè rendere il carcere trasparente, farlo conoscere, raccontarlo, decostruirlo per ripensarlo, cambiarlo dovrebbe essere punto di partenza e lavoro costante per tutti gli operatori e per tutti i volontari che interagiscono con il sistema carcere. Luisa Desinano Aderisco all'appello per sostenere la redazione di Ristretti Orizzonti e la sua fondamentale attività nel carcere di Padova Francesco Pulpito Concordo e sostengo appieno il vostro appello. Ho avuto l'occasione di partecipare a un paio di giornate di studi che avete organizzato: altissima professionalità e grandissima umanità da parte di tutti. Siete un esempio. Anna Speranza Per un carcere in linea con la Costituzione, firmo l’appello per “Ristretti Orizzonti” Barbara Gobbo, Padova. Aderisco all'appello a vostro favore e testimonio che anche i miei colleghi e allievi del Liceo Artistico Modigliani hanno potuto "toccare con mano" quanto di BENE CIVICO e SPIRITUALE riuscite a realizzare. Anna Barzon Sottoscrivo l'appello per la Casa di reclusione "Due Palazzi" di Padova. Maura Gola. Mantova Condivido pienamente quanto scritto dal Provveditore Luigi Pagano. Vi sono vicina per una società conscia del valore della rieducazione e del recupero dell'uomo. Chiara Boscolo Bomba. Padova Per la stima che ho per voi, per la vs attività e per quello che è nato in qs anni, firmo e condivido! Ciao e buon lavoro! Anne Cosh. Piana Battolla - Liguria Tutta la mia solidarietà e stima ad un carcere ed una cooperativa che si prodigano in modo esemplare per dare una dignità e possibilità di un futuro a delle persone che hanno sbagliate ma che si possono ridimere. Elisa Greci. Ponte Taro - Emilia Romagna Un’iniziativa che deve assolutamente continuare e "contagiare" altre numerose realtà. Siete un esempio per tutti e i vostri prodotti sono di ottima qualità. Marco Boato. Trento Condivido pienamente e sottoscrivo l'appello Giusi Camillò. Milazzo Il carcere " Due Palazzi" e' un esempio per tutti. Bisogna sostenerlo. Meri Lina Spadatratta. Napoli Grazie al carcere di Padova mio figlio Marco ha imparato tanto altrimenti non poteva cambiare. Mio figlio ha fatto il corso di pasticcirere ed aiuto cuoco. Dopo 12 anni di carcere mio figlio lavora perché e stato seguito ed aiutato anche dopo il carcere. Forse perchè tutgrazie a tante brave persone che lavorano all’interno della struttura del carcere due palazzi. Non gli anno fatto pesare i 12 anni di carcere ma le cose buone che nessuno le osserva. Grazie Nicola Boscoletto. Forse a qualcuno dispiace che voi salvate i detenuti. Anna Masellis. Genova Sostengo la vostra iniziativa, magari ce ne fossero così. Bravi! Rita Donati. Lugo Sostengo la vostra iniziativa e compro i vs ottimi prodotti. Elisabetta Maso. Castana - Veneto. Siete DAVVERO fantastici!!! I prodotti sono ottimi!!!!! Annalisa Faoro. Belluno Sostengo la Vs. Iniziativa, e penso che di carceri così ce ne dovrebbero essere altri. I prodotti che acquisto, ottimi, fanno anche bene all’anima. Caterina Ostellari. Padova Tutta la mia stima e solidarietà a chi da ormai tantissimi anni si impegna per la società in tutte le sue sfaccettature, anche quelle che non vorremmo esistessero. Narciso Girotto. Chioggia Non si può distruggere un modello vincente e funzionante per sostituirlo con cosa??? Forza Nicola siamo con te!!! Tommaso Krivicic. Padova Aderisco e condivido. Donata Molla. Inveruno Aderisco convitamente alla esperienza del carcere di PADOVA, UNA SPERANZA PER TUTTI ! Forza sono orgogliosa di conoscerti Nicola, un abbraccio. Giuliano Pisani. Padova Ho visto nascere questa esperienza e l'ho aiutata sempre per quanto nelle mie possibilità. Un'esperienza di grande positività e di straordinaria umanità. Un modello da imitare! Anna Zof. San Giuliano Milanese Officina Giotto un esempio unico di condivisione del bisogno e testimonianza di umanità x tutti noi!!! Avete tutto il mio sostegno...Aderisco! Ciao Nicola ti siamo vicini Enrica Bovary Morandi. Bologna Assolutamente si! Maura Gola. Mantova Siamo in molti a comprendere l'importanza di quello che hai creato Nicola, a disposizione per aiutarti! Nel ricordare tutto quanto hai costruito credendo nella rieducazione e riconciliazione con la vita ti sono vicina! a te e ai ragazzi dei 2 Palazzi. Ciao Roberto Biazzi. Monza Nicola, io ci sono! NEW YORK - Karin Coonrod, Ned Eisemberg, Paul Spera, Elena Pellone, Michelle Uranowitz, Nerina Cocchi, Andrea Messana, Michele Guidi, Enrico Zagni, Hunter Perske, Linda Powell, Sorab Wadia Una esperienza indimenticabile l'anno scorso nel carcere di Padova...e nel mese di settembre andremo in carcere nello stato di New York…. Luca Faggian. Padova. Conosco bene la realtà del 2 Palazzi, ci ho lavorato/collaborato x 5 anni. Esperienza UNICA di grande umanità! Un modello da duplicare su tutte le carceri italiane (ma non solo...). il call center, la pasticceria, ma tutti i reparti.. un esperienza di dignità ed umanità da estendere ed esportare! E poi funziona! I dati sulla recidiva lo testimoniano... Tenete duro... Nemmeno con la ragione ha senso demolire quanto fatto finora! Piero Ruzzante Sottoscrivo come consigliere regionale Articolo UNO-MDP. Padova-Veneto. Giovanna Carnovalini. Padova. Che triste, sarebbe disumano!! Forza ragazzi. Carlotta Carla Perini Sono più dignitosi di tante persone che sono fuori che... sono poco affidabili… umanità anche x loro. Massimo Mello. Gli ultimi dieci anni della mia condanna li ho trascorsi a Padova (via due palazzi, 35). Quando sono arrivato li, ho conosciuto il Dott. Nicola Boscoletto, Tino e man mano tutte le persone della cooperativa Giotto. in quella struttura ho riscoperto il valore della parola "Famiglia", mi hanno dato un lavoro, la possibilità di guadagnarmi da vivere, ma soprattutto di dare sostegno alla mia famiglia, inviandole il denaro guadagnato. Mi hanno fatto rinascere, perché sentivo in loro quel calore che solo la famiglia ti può dare,dandoti quella forza ad andare avanti senza mai perdere la speranza. Con il lavoro mi hanno ridato quei valori e la dignità che ognuno di noi si conquista col sudore della fronte. Oggi Grazie a loro ho un mestiere che mi da da vivere e mi fa guardare sempre avanti dando il vero senso della vita: lavorare onestamente e godersi il calore della famiglia. Grazie di cuore Nicola ,Grazie anche a te Tino per aver creduto fermamente in me, e ringrazio tutte le persone della Giotto. Spero e mi auguro che vi lascino continuare la missione che avete intrapreso nel DUE PALAZZI di Padova, donando alla società persone nuove uscite dall'oscurità nel commettere reati. Un abbraccio a voi tutti che rappresentate la nostra FAMIGLIA, quella famiglia che molti non hanno. Un augurio e in bocca al lupo,nella speranza che possiate continuare e ancora grazie. Marina Lorusso. Bergamo Sono stata invitata al carcere Due Palazzi per fotografare due diverse occasioni e quello che ho sempre portato a casa è stato un messaggio di grande Speranza... nessuno è irrecuperabile! Marco Serraglio. Padova Sottoscrivo. Lorenza Mel. Avvocato. Venezia Sono con voi! Pietro Milazzo. Padova. In passato ho avuto modo di collaborare con la cooperativa Giotto p er tenere dei corsi di giardinaggio all'interno del carcere ed ho capito che mantenere le persone inattive non porta certo al loro recupero. A seguito di quei corsi alcuni detenuti hanno potuto occuparsi della manutenzione del verde all'interno del carcere. Da quella iniziativa ne sono nate poi tante altre (alcune di eccellenza ) che hanno consentito l'inserimento lavorativo dei detenuti. Ora tutto questo è messo in discussione. Erica Marengoni. Brescia Come al solito le cose che funzionano non sono tenute in giusta considerazione da chi detiene il comando! Speriamo in un recupero! Mauro Vitacca. Padova Sottoscrivo!!! Maria Enrica Simoni. Padova Io sto con la Giotto! Romano Tiozzo, Segretario Generale della camera di commercio di Treviso Belluno Carissimo Nicola sai quanto stimo il lavoro che state facendo in Carcere 2 Palazzi ed in generale il segno che avete lasciato in Italia e non solo con il lavoro creato all'interno delle mura che ha aiutato tutti ad abbattere separatezze e steccati ed a guardare l'umanità ferita da amare. Fammi sapere cosa posso fare per aiutare questo momento di incomprensione che passerà sicuramente. Avvocato Antonio Ballerio Avvocato Giovanna Mingati, di Venezia Mario Fappani, da Brescia Fin dai primi giorni della mia esperienza di volontario e poi di Garante dei ristretti al comune di Brescia dal 2006 al 2011, la splendida, intelligente e generosa attività dei volontari penitenziari di Padova sotto la guida di Ornella Favaro e il progetto Giotto hanno costituito un punto di riferimento prezioso per me e per chi mi ha affiancato. Sono al vostro fianco perché la vostra missione continui a rappresentare una speranza per il mondo del volontariato e della cooperazione sociale italiani. La riconferma di Santi Consolo al Dap e la situazione delle carceri di Massimo Bordin Il Foglio, 15 luglio 2017 In tanti fuori e dentro il Parlamento hanno fatto sentire la loro protesta chiedendo l’annullamento dell’unica decisione azzeccata dal ministro Orlando negli ultimi tempi. Dopo la riconferma, da parte del ministro, di Santi Consolo al vertice del Dap, l’importante dipartimento del ministero di Giustizia che sovrintende alle carceri, i tanti Bracardi fuori e dentro il Parlamento hanno fatto sentire la loro protesta chiedendo l’annullamento dell’unica decisione azzeccata dal ministro Orlando negli ultimi tempi. Voci grevi, tranne una, hanno tuonato nella conferenza stampa convocata per auspicare la defenestrazione. Le carceri sono un colabrodo, i permessi fanno scappare i carcerati, la polizia ha le mani legate, la magistratura pure, eccetera. Il copione recitato da una senatrice leghista, il segretario del sindacato più reazionario degli agenti di custodia e l’immancabile rappresentante di una associazione di vittime, ha riproposto il refrain "buttate la chiave" e se qualcuno, dietro sbarre non necessarie, si dovesse suicidare, il commento sarà "ce lo siamo tolto dai coglioni", come già è stato detto e scritto. Una sola voce stonava in quel coro, quella del senatore Tito Di Maggio, imprenditore colto e mite entrato in Senato con la lista Monti e ora iscritto a uno dei tanti mini gruppi prodotti da quello sfascio politico, ma soprattutto fratello di Francesco Di Maggio, magistrato intelligente e integerrimo, infangato dopo la sua morte come partecipe della famosa sedicente trattativa, quando divenne vicedirettore del Dap. Chi lo conosceva sa quanto sia ridicola quella accusa e, sottovoce e col dovuto rispetto, si può forse dire che quella presenza non era necessaria. Ma è comunque indicativa di un clima. Legnini, vicepresidente del Csm: "Lasci la toga chi sceglie la politica" di Sara Menafra Il Messaggero, 15 luglio 2017 "Via per sempre dai tribunali i magistrati che fanno politica". Il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, in un’intervista al Messaggero parla di giudici e di riforma della giustizia. "È una legge prioritaria per rafforzare la fiducia dei cittadini nella magistratura. E sulle toghe in politica il Csm ha una posizione chiara". Presidente Legnini, due giorni fa il Senato l’ha ascoltata su un tema perennemente attuale: il rapporto tra politica e magistratura e in particolare il disegno di legge che dovrebbe regolare candidature e rientro in carriera. Com’è andata? "Bene. Ho avuto l’opportunità di esporre la posizione chiara e unitaria del Csm, definita con un atto deliberativo del plenum sin dal 2015. Quella di veder approvata finalmente una disciplina organica sui magistrati in politica che definisca in modo compiuto le condizioni di accesso agli incarichi elettivi e di governo, anche locale, e le modalità di reingresso nei ruoli della magistratura. È un’esigenza che fu posta in modo molto preciso dal Consiglio, con una proposta che costituisce una novità per l’organo di governo autonomo della magistratura". Come giudica il testo di legge in discussione? "I disegni di legge di iniziativa parlamentare precedono la deliberazione del Csm, ma posso dire che, dopo due letture, il parlamento è pervenuto a definire un testo complessivamente positivo. Il testo risponde all’esigenza di una disciplina organica della materia. Permane però, a mio avviso, un punto debole". Quale? "Parlo della disciplina del reingresso in ruolo del magistrato che ha compiuto un’esperienza politica. L’auspicio che ho formulato, e che corrisponde al contenuto della delibera del Consiglio, è che si possa approvare una norma che impone a chi abbia ricoperto un incarico elettivo o di governo, tanto più se prolungato, di non tornare a fare il magistrato, optando per altre funzioni, quali l’Avvocatura dello Stato, il ministero della Giustizia o altre pubbliche amministrazioni. Penso che tale disciplina, se ben calibrata, possa essere compatibile con la previsione dell’articolo 51 della Costituzione secondo il quale, voglio ricordarlo, chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di conservare il suo posto di lavoro". Siamo sicuri che sia una proposta popolare fra i magistrati? "C’è un largo consenso nella magistratura su tale proposta. La riprova è che oltre alla delibera del Csm, anche l’Anm si è di recente espressa con una posizione del tutto analoga". E in Parlamento? "Ho registrato una grande attenzione su questo tema e spero che la necessità di modifica del testo possa incontrare il consenso di forze sia di maggioranza che di opposizione. Penso che il parlamento abbia un’opportunità storica: quella di chiudere una discussione che dura da decenni, con un’opzione netta e compatibile con le previsioni costituzionali. Peraltro, si potrebbe prevedere una norma transitoria per coloro che hanno assunto incarichi elettivi o di governo prima dell’entrata in vigore della nuova legge". In particolare nel Pd, alcuni magistrati fuori ruolo hanno detto di voler poi tornare a indossare la toga. "Non posso, ovviamente, essere io l’interprete della volontà delle forze politiche, nè di singoli parlamentari. Posso dire invece che sarebbe un peccato non cogliere questa opportunità, visto che sia l’organo di governo autonomo che la magistratura associata, si sono espresse con chiarezza, peraltro sottolineando la necessità di rafforzare la percezione dell’indipendenza della magistratura". E cosa suggerisce? "Si tratta di trovare un equilibrio più avanzato tra le condizioni per l’accesso agli incarichi politici e le norme che disciplinano il reingresso. Un eccesso di barriere alla candidabilità rischierebbe di compromettere l’impegno dei magistrati nelle istituzioni, un diritto, è bene ricordarlo, tutelato dalla Costituzione. E una volta stabilito che chi fa una scelta di militanza politica non dovrebbe tornare indietro, si attenuerebbero le ragioni per porre limiti rigidi alla candidabililtà". Non è contraddittorio che da un lato il Csm dica questo e dall’altro sia bloccato da settimane sul caso Pordenone, dove un ex parlamentare si candida a guidare il Tribunale? "Si tratta di una proposta sulla quale dovrà decidere il plenum. Per Lanfranco Tenaglia, a legislazione vigente, non si pone un problema di legittimazione ma di mera opportunità, che il Plenum non mancherà di vagliare tenendo conto di ogni elemento, anche del fatto che è rientrato in ruolo da quasi cinque anni ed esercita le funzioni giudiziarie in un luogo molto lontano dal suo ex collegio elettorale. E la sua condizione non sarebbe diversa nemmeno se fosse in vigore la legge in corso di esame in Parlamento, che prevede il divieto di ricoprire incarichi direttivi solo nei tre anni successivi alla cessazione del mandato parlamentare". Ma allora ha un po’ ragione Piercamillo Davigo che ha lasciato la giunta unitaria dell’Anm proprio sul caso Pordenone? "Non spetta a me commentare le ragioni della scelta della corrente del Presidente Davigo. Posso solo dire che sulla disciplina dei magistrati in politica la posizione di Csm e Anmè analoga". Si può vietare ad un magistrato fuori ruolo di tornare al suo posto? "Sui magistrati eletti o nominati in incarichi di governo, ho già detto. La nostra posizione è che a fronte di un’esperienza prolungata, che implica quindi una percezione consolidata del ruolo politico del magistrato, si possa prevedere il transito ad altre amministrazioni. Per altre tipologie di fuori ruolo, quelli non politici ma tecnici, di certo non si può vietare il rientro in magistratura". A chi sarà affidata la valutazione caso per caso? "È un nodo che deve sciogliere il legislatore". Per la stessa logica, secondo lei, sarebbe opportuno che i magistrati che decidono di candidarsi si astenessero nel periodo precedente all’ingresso in politica? Di Matteo, ad esempio, ha dichiarato che accetterebbe un incarico di ministro. "Si tratta di un tema adeguatamente affrontato nel disegno di legge in discussione al Senato. Quanto al dottor Di Matteo, pensavo fosse interessato a svolgere la sua funzione alla Procura Nazionale Antimafia, dopo la nomina di recente disposta dal Csm, peraltro dopo reiterate istanze da lui formulate. In ogni caso, Di Matteo, a legislazione invariata, è libero di fare le sue scelte come ogni altro magistrato". Alcuni sondaggi recenti, uno dei quali pubblicato dal Messaggero, dicono che la fiducia nell’indipendenza dei magistrati è ai minimi. "La proposta formulata rafforzerebbe la fiducia dei cittadini nella magistratura. Così come un recupero di certezza e tempestività nella risposta alla domanda di giustizia". Dunque, una legge prioritaria? "Ritengo di sì, anche se diverse e ugualmente prioritarie sono le riforme sulla Giustizia in corso di esame in Parlamento. Giovedì scorso, dopo l’audizione, abbiamo avuto altri due appuntamenti, il primo al Csm sulle Agromafie, con la partecipazione del ministro Martina, che ha assunto l’impegno di sottoporre al Consiglio dei Ministri la riforma dei reati agroalimentari elaborata, su incarico del Ministro Orlando, dalla Commissione Caselli. Il secondo alla Camera, per presentare un libro sul diritto delle procedure concorsuali, dove abbiamo tutti evidenziato che l’approvazione della riforma della legge fallimentare è una priorità. Una nuova disciplina della risoluzione delle crisi di impresa è un’urgenza per il nostro Paese". Il caso Di Matteo e le porte girevoli che danneggiano le istituzioni di Mario Ajello Il Messaggero, 15 luglio 2017 L’anomalia che si ripete. Un film sbagliato al suo ennesimo remake. Prima si chiamava il caso Ingroia, adesso si chiama l’ingaggio di Di Matteo. Il pm super-star dell’anti-mafia ha deciso di imboccare le porte girevoli. Sono quelle che attraverso le quali, in mancanza di un fermo, il magistrato diventa politico e poi può tornare a indossare la toga. Tra gli applausi dei fan. Come se non fosse esistito Montesquieu. Andò male il passaggio a Ingroia, con la sua mancata "Rivoluzione civile", magari andrà meglio a Di Matteo, il quale non esclude di accettare l’incarico come ministro dell’Interno in un eventuale governo targato M5S. Proprio il movimento che guida la Capitale d’Italia, dove il prossimo 25 luglio Di Matteo verrà insignito della cittadinanza onoraria. Insomma, dalla procura alla politica attiva, senza una pausa, senza un attimo di esitazione, senza fermarsi a pensare alla regola della separazione dei poteri. Anzi affermando: "L’impegno politico, per un magistrato, può rappresentare la linea ideale della prosecuzione del suo impegno in toga". Ma può un pm scendere in politica con un partito e continuare a fare il pm? Di Matteo dice di poterlo fare e infatti - invece di lasciare la toga nel momento stesso in cui annuncia di voler guidare un dicastero - assisteremo da qui alla chiusura del processo Stato-Mafia, prevista alla fine dell’anno, alla strana presenza di un ircocervo. Formato da un eroe pentastellato (già candidato alla presidenza della Repubblica e arrivò terzo dietro a Imposimato nella consultazione interna al movimento e diventato con Davigo il padre nobile del programma M5S sulla giustizia) e da un inquirente che in vista del futuro ingaggio non potrà che operare in tribunale anche pensando a quello. E se il processone, già claudicante dopo l’assoluzione di Mannino, quella di Mori e altre batoste, finirà in nulla, Di Matteo ugualmente farà il ministro? Se invece avrà un trionfo in tribunale, magari lo faranno premier? Per ora non parrebbe, perché Di Maio frena lo slancio politico del magistrato: "I nomi dei futuri ministri, che stanno circolando, sono fuorvianti". Ma il riscaldamento di Nino è cominciato. La legge per impedire il viavai giustizia-politica ancora non c’è e ora, dopo la staffetta tra Senato e Camera, la norma che mette qualche paletto alla questione è tornata a Palazzo Madama ma, tra ius soli e tutto il resto, non sembra ritenuta una priorità. E l’aggravante, perfino rispetto a un caso grave come è stato quello di Ingroia (il quale annunciò la sua candidatura pochi istanti prima di andare in Guatemala a combattere i narcotrafficanti), è che nel caso Di Matteo, stando ad oggi, nemmeno viene previsto un passaggio attraverso le urne, cioè quella eventuale investitura popolare che come minimo sarebbe richiesta. Così, l’istituzione giustizia viene piegata a usi impropri, e diventa un piedistallo per un ingaggio di partito. Che poi non è quello che aveva fatto una svolta anti- giustizialista? La separazione delle carriere, le firme e i tentativi di ostacolare l’avvocatura di Eriberto Rosso* Il Dubbio, 15 luglio 2017 I responsabili di alcuni sedi giudiziarie, tra le quali Firenze, hanno inteso impedire lo svolgimento della attività di raccolta delle firme per la proposta di legge di revisione costituzionale sulla separazione delle carriere negli spazi "comuni", non immediatamente riservati alla attività giudiziaria, dei palazzi di giustizia, negando le richieste di autorizzazione ai Consigli degli Ordini e alle Camere penali. Non è una buona cosa, non solo perché denota l’intendimento di relegare le rappresentanze dell’avvocatura a meri cogestori delle emergenze strutturali, ma perché tende a negare il loro diritto di occuparsi, anche all’interno dei tribunali, dei temi della giustizia, del processo, dei diritti. Intendiamoci: l’interlocuzione per organizzare al meglio l’attività di udienza, il lavoro delle cancellerie o dell’ufficio del giudice è certamente utile, ma non può esaurire il senso dei rapporti tra magistratura e avvocatura. Sarà compito dell’Unione delle Camere penali dare vita alle iniziative opportune, per ribadire che l’avvocatura penale da tempo si è data la forma di un soggetto politico che si è assunto il compito non solo della tutela delle garanzie difensive, ma anche di dire la propria sui temi politici rilevanti per l’amministrazione della giustizia. Alla avvocatura penale si deve rispetto e non è immaginabile che le si impedisca di spiegare le ragioni della sacrosanta battaglia per la terzietà del giudice. Correva l’anno 2015 e Anm (l’Associazione Nazionale Magistrati) riteneva di organizzare per il giorno 27 gennaio, in tutti i tribunali d’Italia, la giornata della giustizia; ciò accadeva anche a Firenze e a quella manifestazione, come annunciato nella relativa locandina, prendevano la parola il presidente della Corte di Appello, il Procuratore Generale, il Presidente del Tribunale e il Procuratore della Repubblica. Recitava ancora la brochure: "il Palazzo di Giustizia di Firenze si apre ai cittadini e agli studenti, per conoscere e discutere insieme sui temi della giustizia". L’iniziativa fu un flop, che pagò il prezzo di una frettolosa preparazione. Noi comunque fummo cortesi, partecipammo con i nostri organismi dirigenti, portammo saluti e idee per contribuire alla discussione. Certamente, i capi degli uffici giudiziari che parteciparono alla iniziativa ebbero a concedere In alcuni sedi giudiziarie, tra le quali Firenze, i responsabili hanno impedito la raccolta negli spazi "comuni" dei palazzi di giustizia le previste autorizzazioni. Evidentemente le iniziative di Anm, più gradite, non comportano risvolti in tema di sicurezza o di uso improprio delle sedi quanto le nostre. L’occasione, peraltro, consente qualche altra considerazione. Gli ottimi risultati della nostra campagna dimostrano che non vi sono buone ragioni contro la opzione della separazione delle carriere. Nessuna obiezione oramai viene prospettata sul versante del giudice; anzi, tutti comprendono come la garanzia della sua terzietà e della sua indipendenza sia un valore fondamentale. Ancora residua qualche tono polemico sulla necessità di una cultura della giurisdizione che accomunerebbe tutti i magistrati nel rispetto dei diritti. Il ragionamento intriga per la sua perniciosità. Siamo chiamati ad immaginare una cultura dei diritti e delle garanzie che sarebbe comune solo a giudici e pubblici ministeri, organizzati in un unico corpo, con una conventio ad escludendum degli avvocati, proprio loro che sono chiamati all’esercizio delle prerogative di difesa e a denunziare la violazione dei diritti. Da questa cultura, della quale facciamo volentieri a meno, non possiamo non trarre un senso di inquietudine. Ci attendono, come sempre, tempi complicati: meccanismi processuali sempre più asistematici, dai tempi dilatati all’infinito; istituti del contraddittorio declinati in logiche securitarie; modifiche del sistema delle impugnazioni ispirate a intenti meramente deflattivi. Sullo sfondo una brutta legge sul reato di tortura e l’obbrobrio del processo a distanza. C’è proprio bisogno di un pizzico di volontà in più per resistere a chi, oltre a non volerci aiutare a garantire meglio l’arbitro e la qualità della decisione, vorrebbe anche portarsi via le chiavi dell’oratorio da sotto la pietra. *Coordinatore della campagna della raccolta firme per la Camera penale di Firenze e responsabile Osservatorio Cassazione Ucpi Femminicidi. La lunga battaglia per non arrendersi di Gian Antonio Stella Corriere della Sera, 15 luglio 2017 "È l’istinto che ordina: uccidi. E ciò risponde anche a morale perché tutto ciò che è a difesa della famiglia è voluto da Dio!". È passato mezzo secolo da quel 1961 in cui l’avvocato e deputato crotonese Titta Madia si avventurò in quell’arringa mostruosa in difesa di un "assassino per onore". Dovuto "all’insopprimibile l’istinto dell’uomo di difendere il proprio focolare". E davanti alle quattro donne che nelle ultimissime ore sono state ammazzate o ridotte in fin di vita a Bari, Caserta, Siena, Cagliari, ti chiedi sgomento: ancora? Ancora? Ancora? "Che noia, questi femminicidi", sbuffano sul fronte opposto i sedicenti "maschi alfa", "maschi selvatici" e via così, infastiditi dalla crescente attenzione all’interminabile catena di delitti. E gli uomini uccisi, allora? Uffa, sempre le donne… Neanche il tempo che Franco Gabrielli, in audizione alla Commissione di inchiesta, manifestasse una cauta fiducia sulla "progressiva riduzione" dei femminicidi, passati dai 124 del 2011 ai 111 del 2016 (-11%), e la grandinata di violenza ha spazzato ogni fragile ottimismo. Sono già almeno una cinquantina, nel solo 2017, le donne vittime della violenza di mariti ed ex, fidanzati ed ex, compagni ed ex… Per un totale, certifica la conta quotidiana del nostro blog al femminile La27esimaora, di 660 mogli, fidanzate, compagne ammazzate negli ultimi cinque anni… In larga parte, dice il rapporto "Gli omicidi delle donne" di Marzio Barbagli e Alessandra Minello, accoltellate, strangolate, bruciate vive. Certo, gli stessi autori dimostrano dati alla mano che il numero delle donne assassinate è da decenni in calo costante. Da quattro ogni centomila abitanti tra gli anni Quaranta e Cinquanta a meno di 0,5 nel 2016. Con una accelerazione (evviva) negli ultimi quindici anni. Il tutto, però, all’interno di un calo generalizzato degli assassinii molto più vistoso e virtuoso. Tanto che "nell’ultimo ventennio l’Italia ha avuto un tasso di omicidio più basso del Regno Unito e della Francia, che per secoli sono stati, da questo punto di vista, paesi più sicuri". Un esempio dice tutto: in Calabria e in Sicilia "la frequenza degli omicidi era nel 1991 ben tredici volte maggiore di oggi". Effetti della "pax mafiosa" che in nome del business contempla meno lupare assordanti e più società silenti? Può darsi. Certo è che per gli studiosi i femminicidi sono scesi molto meno degli omicidi in generale. Tesi condivisa da Franco Gabrielli: "In un periodo di complessivo calo degli omicidi, infatti, le uccisioni di donne rappresentano la maggioranza degli episodi". Un fenomeno "frutto d’una subcultura" purtroppo radicata. Quella cultura del possesso, del "maschio selvatico", del "maschio cacciatore per natura", del "maschio padrone" che ripetutamente aggalla. La madre che difende il figlio assassino: "Lei se l’è tirata: glielo aveva detto mille volte di lavare i piatti". Il sindaco che sdrammatizza lo stupro di gruppo di una quindicenne, costretta a lasciare il paese per trasferirsi all’estero, da parte di una dozzina di coetanei: "È stata una bambinata". La giovane messinese che difende il "fidanzato" che voleva darle fuoco con la benzina postando su Facebook: "Fatevi i cavoli vostri, so io cosa è successo e so io ciò che sento e provo". E cosa prova? Gli scrive: "Sono pazza di te", "Ti amo", "Solo tu", "Ho il cuore a pezzi". Per non dire del commento della sventurata Barbara D’Urso: "Ci sono uomini che per troppo amore fanno cose che non vorrebbero fare". È una Italia che non cambia mai? Un Paese dalla cui pancia escono ancora, a ogni processo, quegli avvocati che, spiegò il meridionalista Francesco Compagna al grande Gigi Ghirotti, han vissuto per decenni l’arringa in difesa dell’omicida d’onore come "la scena madre" di tutti i ""gigioni" del foro"? Fino a dire, come il difensore di un siracusano condannato a 12 anni a Firenze, che "le giurie popolari dovrebbero essere composte da siciliani, quando sono in discussione fatti avvenuti tra siciliani"? Eppure guai ad arrendersi. E sospirare sull’ineluttabilità di questi delitti che "sempre ci sono stati e sempre ci saranno". È cambiato il mondo, rispetto a una volta. Lo dice il coro di indignazione che sale a ogni delitto. Lo dice la costanza con cui tante donne hanno tenuto duro come Emanuela Valente, che dopo aver fondato la banca dati inquantodonna.it fu messa nel mirino da un uomo che odia le donne: "Purtroppo tra le ammazzate non c’è ancora la Valente, ma speriamo che presto il vuoto venga colmato". Lo dice la condanna del magistrato che prese sottogamba per dodici volte le denunce di Marianna Manduca prima che fosse uccisa. Lo dice una nuova consapevolezza di tanti uomini. Lo dice, infine, anche una lettera inviata ieri da Francesca Landi di Action Aid. Che tra le vittime dei recenti femminicidi ha riconosciuto donne che avevano aderito alla campagna dell’Ong e cambiata l’immagine del profilo Facebook "inserendola all’interno di una cornice segnata dalla frase "No alla violenza sulle donne". C’erano tra loro Maria Timo, Antonietta Di Nunno, Arianna Rivara, altre ancora… Certo, non poteva bastare quel piccolo gesto a salvar loro la vita. La battaglia sarà ancora lunga. E ci saranno, purtroppo, altre vittime fragili e indifese. Ma alla fine, potete scommetterci, il lupo travestito d’agnello sarà sconfitto. Piccola frode, prescrizione breve di Laura Ambrosi Il Sole 24 Ore, 15 luglio 2017 La lettura dei giudici di legittimità sulla sentenza Taricco della Corte Ue. Non si interrompe la prescrizione per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante fatture false quando l’entità dell’Iva evasa non è rilevante e mancano altri elementi a dimostrazione della gravità del comportamento del contribuente. A precisarlo è la Corte di cassazione, sezione III penale, con la sentenza 34514 depositata ieri. Un contribuente era condannato per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti in primo ed in secondo grado. Nel ricorso per Cassazione l’imputato eccepiva, tra l’altro, l’intervenuta prescrizione. La Cassazione, confermando la prescrizione, ha ricordato i principi comunitari in materia espressi dalla Corte di giustizia Ue (sentenza Taricco C-105/14). I giudici, pronunciandosi sui reati attuati attraverso le cosiddette frodi carosello, hanno stabilito che per l’evasione in misura "grave" di tributi Iva devono essere disapplicate le disposizioni in materia di prescrizione. Occorre però che il comportamento adottato sia suscettibile di ledere gli interessi finanziari dell’Unione europea. La Corte di cassazione (sentenza 44584/2016) ha poi affermato che l’applicazione di tali principi presuppone l’esistenza di un procedimento penale riguardante "frodi gravi". La Corte di giustizia non ha indicato espressamente i requisiti di detta gravità, ma ha astrattamente fornito alcuni elementi da cui dedurla. Più precisamente, per l’individuazione della gravità della frode, hanno rilievo non solo l’entità del danno o del pericolo cagionato, ma anche la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo e, più in generale, le modalità dell’azione, nonché l’elemento soggettivo. Ne consegue che in assenza di un danno di rilevante gravità, la gravità della frode può e deve essere desunta anche da ulteriori elementi, quali l’organizzazione, la partecipazione di più soggetti al fatto, l’utilizzazione di cartiere o società-schermo, l’interposizione di una pluralità di soggetti, la sistematicità delle operazioni fraudolente, la loro reiterazione nel tempo, la connessione con altri gravi reati, l’esistenza di un contesto associativo criminale. Roma: cronaca da una cella di Rebibbia "qui si vive all’inferno" di Valentina Stella Il Dubbio, 15 luglio 2017 La denuncia dal carcere di Francesca Occhionero. "Sono Francesca Occhionero, dal 9 gennaio 2017 detenuta nel carcere di Rebibbia, dove, quindi, mi trovo a "sopravvivere" ormai da 183 giorni". È l’incipit di una deposizione spontanea resa da Francesca Occhionero in carcere con l’accusa di cyber-spionaggio. Secondo i pm, lei e il fratello avrebbero controllato illegalmente circa 18mila mail tra cui quella dell’allora premier, Matteo Renzi. In questa lettera, che noi pubblichiamo integralmente, scrive un j’accuse al sistema carcerario. "Ritengo - continua Occhionero - che sia assolutamente infondato ed ingiusto quanto sostenuto per la custodia cautelare che sto subendo: ma ciò è stato e sarà trattato nelle opportune sedi. Quel che, invece, ora mi preme evidenziare riguarda il fatto che la detenzione avviene in condizioni generali di assoluta, evidente e nota illegalità, e ciò rischia di essere strettamente collegato con i fatti di causa. Sono note le condanne inflitte dalla Cedu all’Italia per lo stato di illegalità delle carceri (per le dimensioni delle celle e per il sovraffollamento, che dovrebbe far pensare ad un ricorso eccessivo alla custodia cautelare in carcere). Ma sono altrettanto ben note le condizioni concrete nelle quali i detenuti sono costretti a "sopravvivere", così come mi trovo io, letteralmente a "sopravvivere". Qualche cenno: 1) Nel cortile della mia sezione c’è una fogna a cielo aperto, con odori insopportabili, tra sterpi da cui fuoriescono topi di varie dimensioni; ebbene, qui si svolge l’ora d’aria! 2) Detenute che hanno piaghe e sfoghi cutanei sono chiuse in "isolamento sanitario" per giorni, senza che si presenti un dermatologo, nonostante il sospetto (arguibile dall’isolamento) del trattarsi di malattie infettive. Infatti, il reparto Nido è stato isolato in quarantena per "scabbia". 3) Io stessa, ormai piena di sfoghi e punture di insetti, il 7 giugno scorso chiedevo di avere un parere medico. La risposta dell’infermiere di turno in ambulatorio è stata che il medico sarebbe stato disponibile per il mio settore solo il martedì successivo. Insomma, ci si può ammalare solo di martedì, ovviamente iscrizione nella lista permettendo. Cosa analoga era successa a maggio, quando sono rimasta bloccata per un colpo della strega dovuto a cinque mesi passati su un letto con un materasso di cui dirò. Per i miei ponfi, non sono riuscita ad avere neanche una crema cortisonica, in quanto, a detta dei vari infermieri di turno, sarebbe terminata da tempo. Ho assistito io stessa un infermiere mettere del Voltaren gel su un ponfo derivante dalla puntura di un’ape. 4) Una ragazza, che lamentava da tempo l’insorgenza di piaghe sulle gambe, dopo un mese ha finalmente ricevuto una visita medica e le è stata diagnosticata una micosi infettiva (si è parlato di tigna). La stessa ragazza ha continuato a condividere i 9 mq. di cella con la sua concellina ed a frequentare gli spazi comuni. 5) Condivido una cella di meno di 9 mq (magari lo fossero!) con un’altra persona che dorme sul letto superiore di un letto a castello dotato di materassi di gommapiuma usurati, bucati, bruciati, pieni di acari e pulci, ormai scaduti da oltre 10 anni. Alla richiesta di sostituzione mi sono sentita rispondere, con il visibile sconcerto della stessa polizia penitenziaria, che non ci sono materassi a sufficienza. 6) Sono obbligata a nutrirmi mediante il vitto passato dal carrello del carcere, ma con grande disgusto e sofferenza fisica. Ne ho capito il motivo quando altre detenute che hanno lavorato in cucina me ne hanno riferito le pessime condizioni igieniche. Pentole, teglie, mestoli e tutto il resto viene infatti "lavato" con spugnette bisunte e praticamente senza detersivi. Non vi è mancata la presenza di scarafaggi e persino un grosso topo. I grandi scolapasta vengono sfilati dalle pentole in ebollizione e, con tutta la pasta, trascinati sul pavimento anziché essere sollevati. E questo solo un cenno. 7) Il congelatore non funziona, col risultato che è impossibile conservare alcunché. Nella cella la temperatura è infatti ormai prossima a quella di un forno. Il cibo si scongela e ricongela. Per non dire che, ovviamene, gli approvvigionamenti interni sono fuori di qualsiasi logica: i prodotti sono limitati ed i prezzi raddoppiati e triplicati. 8) Il cortile, le grate delle finestre e i davanzali sono preda di piccioni (e dei loro escrementi) e di gabbiani. Sovente i gabbiani attaccano i piccioni lasciando i cadaveri a marcire sui davanzali delle finestre. Facile immaginare gli odori ed il vomitevole panorama. 9) Il carcere è teatro di continue risse e scontri tra le detenute a causa della difficile convivenza nelle celle, la cui assegnazione avviene inevitabilmente in funzione della scarsa disponibilità; e così vengono fatti convivere soggetti assolutamente incompatibili tra loro e con il carcere (molti di loro dovrebbero essere indirizzati presso altre strutture, idonee per adeguati trattamenti psichiatrici). 10) Il bagno presente in cella è in condizioni pietose. Lo sciacquone perde acqua ininterrottamente, la cipolla della doccia, completamente intasata dal calcare, è un proiettile pronto a partire con la pressione dell’acqua. Dopo esserne stata colpita una volta, d’intesa con la mia concellina, mi faccio la doccia usando il solo tubo. Il filtro/riduttore del lavandino è analogamente "esploso" a causa del calcare e, data l’assenza di tappi, è finito nello scarico. Il water è privo di coperchio. 11) Una mattina mi sono svegliata con la cella completamente allagata a causa di un’enorme perdita dal muro del bagno (problema che aveva già interessato la cella a fianco). Tutto galleggiava, sia nel bagno che nella cella, le lenzuola del letto del piano di sotto erano zuppe, così come le scarpe e tutto ciò che poggiava in terra. A nulla sono valsi i solleciti alle assistenti di sezione, che ben poco potevano fare, se non a loro volta sollecitare la manutenzione. L’idraulico si è presentato solo tre giorni dopo. Nel mentre, il bagno, il water e il bidet erano del tutto inutilizzabili, e quindi ci è stato dato l’unico suggerimento pratico possibile: "Chiudete tutti i rubinetti dell’acqua e … usate i secchi". Tutto ciò, anche in estrema sintesi, era la necessaria premessa per osservare che le condanne inflitte dalla Cedu sono ben note, ma altrettanto note sono le concrete condizioni, come quelle da me vissute, nelle quali i detenuti e le detenute si trovano a "sopravvivere", spesso in condizioni davvero disumane ed inaccettabili per una società civile. Ebbene, poiché tutto ciò è ben noto, è mio libero pensiero ritenere che continuare a fare uso della custodia cautelare sia una forzatura inammissibile, un abuso del diritto, una ingiustizia. Tanto più nei casi come il mio, nel quale il rischio di fuga è formalmente escluso, quello di inquinamento è riconosciuto come scemato, residuando, nei provvedimenti che mi hanno negato una attenuazione della misura, solo il rischio di reiterazione, il quale però resta escluso dalla assoluta mancanza di elementi circa i fatti di insussistenti e non provate esfiltrazioni informatiche. Mi sembra, quindi, evidente la forzatura del mantenimento della mia custodia cautelare in carcere, che nei vari provvedimenti, in modo significativamente seriale, viene espressamente ancorata alla mia (asserita) mancata resipiscenza ed alla mia mancata collaborazione, come se una qualche norma la ponesse a buon motivo della misura cautelare! Tralascio le altre evidenti forzature contenute nei vari provvedimenti (nei quali, ad esempio, si fa riferimento a dati informatici esfiltrati: ma da dove risultano tali esfiltrazioni? ma dove sono indicate negli atti di Pg?). Prima o poi inevitabilmente emergerà che dette forzature sono solo l’evidente segno della debolezza dell’impianto accusatorio, cui evidentemente il giudice avverte il bisogno di porre rimedio. Tutto ciò premesso e considerato, la conclusione appare evidente. Infatti, quanto sopra sintetizzato induce a sospettare che le ben note, illegali e talvolta disumane condizioni carcerarie, rispetto alle quali non coglie il segno di alcuna reazione, vadano a conciliarsi perfettamente con l’aspettativa che il detenuto "collabori", anche se per legge una collaborazione non è dovuta ed anche se (come nel mio caso) una collaborazione è persino impossibile. Ovvio che non posso minimamente accettare l’idea che tale sospetto possa avere un lontano fondo di verità: sarebbe a dir poco avvilente ed irrispettoso della intelligenza e della dignità umana e professionale di chi dovesse far uso di simili strategie. Per cui, ferma restando la incomprensibile inerzia che accompagna le note condizioni carcerarie, voglio tenere del tutto lontano il sospetto di un uso strumentale e distorto dello strumento carcerario, che, diversamente ragionando, a ben vedere, si tradurrebbe in una vera e propria tortura. Dovendo e volendo escludere l’indicato sospetto, debbo però aggiungere che nel mio caso non ritengo si possa in alcun modo ipotizzare la attuale sussistenza dei presupposti di legge per il mantenimento del mio stato di detenzione. Come ho già detto, fuga ed inquinamento sono esclusi; e il pericolo di reiterazione non ha ragione d’essere. Ed ovviamente la mancanza di tali presupposti non può essere colmata con riferimento ad insussistenti e non provati fatti di esfiltrazioni informatiche (che peraltro non sarebbero a me riferibili): nel fascicolo non ve ne è la minima traccia e non capisco perché si continui meccanicamente ad invocarle. Al riguardo non posso e non voglio trattare profili tecnici, ma ritengo significativo che, salvo errori nelle notizie di cui dispongono, io e mio fratello siamo, almeno in Italia, gli unici imputati per "tentati" reati informatici attualmente in carcere e certamente siamo i detentori di un record assoluto di durata di custodia cautelare carceraria per tali reati. In conclusione, quindi, chiedo, in primo luogo, che ognuno per quanto di propria competenza si attivi affinché cessino le denunciate illegalità in ambito carcerario e, in secondo luogo, che, considerata la insussistenza almeno attuale - dei presupposti di legge, venga rimossa o attenuata la misura cautelare a me applicata". Roma: l’inchiesta e il processo, i fratelli accusati di cyber-spionaggio di Valentina Stella Il Dubbio, 15 luglio 2017 La parabola discendente di Francesca Maria Occhionero inizia il 9 gennaio di quest’anno quando viene arrestata insieme al fratello Giulio, e condotta nel carcere romano di Rebibbia. Le accuse mosse dalla procura di Roma sono: accesso abusivo a sistema informatico aggravato, intercettazione illecita di comunicazioni informatiche, violazione della privacy; accantonata al momento quella di procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato. In pratica i due avrebbero cercato di entrare nella posta elettronica di 18mila persone, tra cui l’attuale segretario del Pd, Matteo Renzi, l’ex premier Mario Monti, il presidente della Bce, Mario Draghi, il cardinale Gianfranco Ravasi, ma anche in quella di nomi altisonanti della finanza, delle istituzioni, delle pubbliche amministrazioni, di celebri studi professionali. Il processo a carico dei due fratelli, iniziato lo scorso 27 giugno, riprenderà il 17 luglio davanti al giudice monocratico. La Procura ha chiesto ed ottenuto dal gip l’ok al giudizio immediato che ha consentito, alla luce delle prove raccolte nella fase investigativa, di saltare l’udienza preliminare e di portare il processo direttamente in aula. Entrambi lavoravano insieme in diverse società di famiglia, compresa la Westlands Securities, fondata da Giulio due anni dopo la laurea, nel 1998, a Malta, e che si occupa di consulenza finanziaria a istituzioni bancarie. Lui con la passione per la matematica, lei per la maratona. Secondo gli inquirenti i fratelli Occhionero sarebbero stati al vertice di una centrale di cyber-spionaggio che accumulava illecitamente dati sensibili e riservati, attraverso l’utilizzo di un malware (malicious software) chiamato Eye Pyramid, ‘ occhio sulla piramidè, il simbolo massonico per eccellenza. I dati sottratti dal virus informatico erano custoditi in server negli Stati Uniti. L’indagine era partita da una segnalazione del capo della sicurezza dell’Enav, Francesco Di Maio, che aveva rilevato nella posta elettronica una email malevola. L’attacco malware avveniva generalmente infatti tramite una email. Dalle carte della Procura di Roma, che ha condotto le indagini con il Cnaipic, il Centro nazionale anticrimine informatico della Polizia postale, e in collaborazione con l’Fbi, si legge che quella che ha poi consentito di infettare i computer arrivava da uno studio legale, in cui si diceva di scaricare un file pdf contenuto in allegato. Una fattura, nel caso specifico. Dentro quel pdf in realtà era contenuto il software. Appena si apriva il file, l’infezione del computer era avvenuta, ed esso poteva essere controllato da remoto, senza che il proprietario se ne potesse accorgere. Contemporaneamente il virus metteva in condizione il presunto hacker di accedere abusivamente a tutti gli account in possesso del titolare del sistema infettato: email, cloud, conti correnti, profili social. I due fratelli - lui ingegnere nucleare di 45 anni, lei quarantanovenne con un dottorato in chimica - difesi rispettivamente dagli avvocati Stefano Parretta e Roberto Bottacchiari, si sono sempre dichiarati estranei ai fatti contestati. I legali avevano chiesto più volte la scarcerazione dei loro assistiti, e in subordine gli arresti domiciliari, ma il Tribunale del Riesame aveva respinto il ricorso, sui cui aveva espresso parere contrario anche il pm Eugenio Albamonte. Messina: fermati i tre giovani detenuti evasi dal carcere di Barcellona Pozzo di Gotto newsicilia.it, 15 luglio 2017 "I tre detenuti sono evasi da una struttura che era un ospedale psichiatrico giudiziario e non è mai stata adeguata alla sicurezza di un penitenziario, come chiese il Sappe fin da subito nell’indifferenza generale" aggiunge Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe. Si tratta di tre ragazzi tutti poco più che ventenni detenuti per rapina e detenzione d’armi da fuoco e devono scontare pene di cinque o sei anni. E, sulla questione delle evasioni, la sigla sindacale ritiene che quelle attuali siano "frutto di una politica penitenziaria dissennata che mette il detenuto al centro di ogni possibile diritto e concessione anche se non meritati, a discapito del personale di polizia penitenziaria, mettono a rischio soprattutto la civile convivenza e la sicurezza dell’inermi cittadini". I detenuti hanno divelto le sbarre di un’inferriata e sono scappati via. Ieri, un italiano si è allontanato dopo il suo primo giorno di lavoro esterno. Il quarantatreenne era detenuto da diversi anni nel carcere ternano per reati contro il patrimonio. "L’evasione dal carcere di Barcellona Pozzo di Gotto ha responsabilità ben precise -incalza Capece". Gli agenti feriti sono stati accompagnati al pronto soccorso del Maria Vittoria, dove si trovano tuttora ricoverati. Sono stati rintracciati e fermati anche gli altri due evasi dalla casa circondariale di Barcellona, la notte tra mercoledì e giovedì. Quest’ultimo è stato catturato la sera del 10 febbraio scorso in provincia di Como. È stato invece fermato a Barcellona Gaetano Sciacchitano, 20enne di Lipari, anche lui evaso la scorsa notte dopo aver scardinato la finestra di una cella del V reparto dell’istituto penitenziario del Longano. Alcuni complici li avevano fatti salire in auto nei pressi delle mura di cinta. Genova: picchiò un detenuto, condannato l’agente di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 15 luglio 2017 L’episodio è avvenuto nell’istituto genovese di Marassi nel 2015. Condanna a due anni e quattro mesi per l’agente penitenziario Dario Pinchera reo di aver picchiato un detenuto al carcere genovese "Marassi" e di aver mentito sulla vicenda. Il fatto risale ad aprile del 2015. La vittima si chiama Ferdinando Boccia, all’epoca 36enne e finito dentro per reati legati alla droga. Era in terapia psichiatrica e riabilitativa dalla tossicodipendenza. Stava aspettando il metadone in cella. Lui al momento della distribuzione si stava lavando i denti. Aveva chiesto se gli veniva lasciata la pastiglia, ma non gli venne consegnata perché non era consentito. Si lamentò. Aveva quindi domandato all’agente Dario Pinchera se era possibile avere la terapia e tra i due scoppiò un diverbio. Dopodiché il detenuto venne fatto uscire dalla stanza per andare a prendere le pastiglie al piano di sotto. Nel tragitto l’agente - così aveva denunciato il detenuto - lo "aspetta sulle scale per dargli una lezione". Le scale che collegano i due piani sono riparate dalla quasi onnipresente videosorveglianza, che dovrebbe rendere Marassi "una casa di vetro": "Mi ha colpito con uno schiaffo - aveva raccontato il detenuto, indossava guanti neri. Ha continuato a colpirmi mentre ero a terra e urlavo: "Aiuto, basta!". Perdevo sangue dalla testa. Sono riuscito a scendere le scale e a raggiungere l’infermeria, ma gli agenti mi hanno impedito di farmi soccorrere. C’erano due infermiere che distribuivano metadone, erano molto spaventate, io urlavo. In una stanza ho visto don Paolo (il cappellano), con un detenuto, e non può non avermi visto. Mi hanno riportato in cella. Poi è venuta un’altra guardia e mi ha detto: "Facciamo finta che non è successo niente". Il detenuto Boccia, pieno di lividi e ferite, venne visitato dopo 48 ore. Ad accorgersi delle evidenti ferite al capo, al torace, alle braccia e al dorso, fu la psichiatra Silvia Oldrati, che scrive il giorno stesso ai suoi superiori e al personale medico interno gestito dalla dottoressa Marilena Zaccardi. La vittima disse di essere stato, infatti, visitato dal personale medico ma che nessuno denunciò l’accaduto. Anche la dottoressa Zaccardi finì sotto indagine e il pm deve ancora decidere o meno il rinvio a giudizio. Era nota come la seviziatrice della caserma di Bolzaneto durante i giorni del G8, tra venerdì 20 e domenica 22 luglio 2001. Secondo la sentenza della Corte d’Appello di Genova, dal 20 luglio al 22 luglio 2001, è stata accusata "per aver consentito o effettuato controlli di triage e di visita sottoponendo le persone a trattamento inumano e in violazione della dignità" ; "costringendo persone di sesso femminile a stazionare nude in presenza di uomini oltre il tempo necessario e quindi sottoponendole a umiliazione fisica e morale"; "per aver ingiuriato le persone visitate con espressioni di disprezzo e di scherno" ; "per aver omesso o consentito l’omissione circa la visita di primo ingresso sull’individuazione di lesioni presenti sulle persone" ; "per aver omesso o consentito l’omissione di intervento sulle condizioni di sofferenza delle persone ristrette in condizioni di minorata difesa". Non è stata condannata, grazie alla prescrizione, ma è stata comunque riconosciuta la sua responsabilità civile. Biella: 12 "internati" al lavoro con la raccolta differenziata di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 15 luglio 2017 Sono 168 su 191 gli istituti che hanno avviato la buona pratica. A oggi i detenuti occupati nelle attività lavorative del settore sono 718, di cui 46 sono esclusivamente impiegati nel compostaggio. Nel carcere di Biella c’è un progetto per ottimizzare al meglio la raccolta differenziata. Tra organico, carta, cartone, plastica e vetro, ogni anno l’istituto produce oltre 100 tonnellate di rifiuti. Una quantità che con l’entrata in vigore della Tarip (la tariffa rifiuti), nel 2016, ha fatto lievitare di oltre il 40 per cento la bolletta imponendo all’amministrazione penitenziaria di trovare soluzioni più adeguate per la riduzione delle spese. Il progetto è stato presentato dall’assessore all’ambiente Diego Presa, la direttrice della casa circondariale Antonella Giordano e il presidente di Seab (la società biellese che si occupa della raccolta e riciclaggio dei rifuti) Claudio Marampon. Oltre a perseguire l’obiettivo di alzare la percentuale di rifiuti riciclati, in un complesso che produce circa 100 tonnellate all’anno di immondizia, il progetto consente di dare lavoro a dodici dei quindici "internati" attualmente sotto la tutela della struttura di via dei Tigli: si tratta di persone che hanno scontato la loro condanna ma che sono sottoposti a misure di sicurezza accessorie per rendere graduale e sicuro il loro rientro nella società. A loro la Seab ha fornito materiale (dalle divise ai guanti fino a un buon numero di cassonetti e carrelli per il trasporto di rifiuti) e, insieme al Comune di Biella, un corso di formazione. Non è l’unico caso di raccolta differenziata all’interno degli istituti penitenziari. È stato il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Santi Consolo a sollecitare le direzioni degli istituti penitenziari di tutto il territorio nazionale a incrementare la differenziazione della raccolta dei rifiuti. A oggi, la diffusione di questa buona pratica - come si legge in una nota del Dap - è aumentata di ben 29 punti percentuale rispetto alla situazione di partenza. Nel 2016 infatti erano 113 istituti su 191 ad averla adottata (il 59%, in prevalenza negli uffici del personale), mentre oggi sono 168 su 191 (l’ 88%). Rilevante è il numero delle sezioni detentive interessate dalla raccolta differenziata: attualmente si registra che sono 844 su 1.130 complessive sezioni detentive, rispetto alle 16 sezioni iniziali, con un incremento quindi dall’ 1 al 75%. Considerato che le sezioni e gli spazi di vita detentivi coinvolti sono distribuiti in 127 Istituti penitenziari, emerge che il 66%, delle strutture sull’intero territorio na- zionale ha adottato la raccolta differenziata dei rifiuti in tali spazi. A oggi i detenuti occupati nelle attività lavorative del settore sono 718, di cui 46 sono esclusivamente impiegati nel compostaggio. Per il Dipartimento il tema è stato considerato trainante sotto diversi aspetti: rappresenta in primo luogo la possibilità di introdurre elementi di educazione alla protezione e alla salvaguardia dell’ambiente, perché interviene nelle abitudini comportamentali quotidiane della popolazione ristretta. L’auspicio è che l’acquisizione di tale sensibilità ed abitudine da parte delle persone detenute possa trasferirsi anche all’esterno una volta riacquistata la libertà. La pratica della raccolta differenziata vuole essere un modo per incrementare le possibilità di occupazione lavorativa e di acquisizione di nuove competenze spendibili sul mercato del lavoro libero. Livorno: inaugurato il panificio "gluten free" del carcere di Porto Azzurro di Angela Carusone corrierelbano.it, 15 luglio 2017 Come anticipato in esclusiva dal nostro giornale, nell’edizione del 15 maggio, è stato inaugurato all’Elba un laboratorio di pane e prelibatezze senza glutine. Uno spazio nuovo, innovativo, il primo nel suo genere ad essere realizzato sull’Isola. Dove? Nel carcere di Porto Azzurro. È tra le mura della struttura detentiva all’interno del Forte San Giacomo, infatti, che l’idea imprenditoriale ha preso forma, diventando in breve tempo realtà. Prodotti freschi da ora in commercio grazie alla collaborazione della grande distribuzione locale che permetterà a turisti e residenti di acquistare pane e prelibatezze gluten free tutti i giorni. Un laboratorio artigianale curato in ogni dettaglio, che ha visto il taglio del nastro alla presenza del sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri: "Questa è una grande soddisfazione - commenta - un percorso che stiamo seguendo da diverso tempo. Grazie a Porto Azzurro e a quanti hanno collaborato a questo progetto, abbiamo fatto un percorso pensando a una struttura che andava rilanciata. Il panificio è un collegamento tra carcere, società civile e imprenditoria. Vogliamo cercare di dare lavoro non solo all’interno del carcere ma anche fuori". E incalza: "Tutti ricordano quando gli abitanti del posto venivano a comprare i prodotti realizzati nella struttura detentiva. E ora ripartiamo dal panificio, con una particolarità che si inserisce nel mercato cercando una specializzazione, il senza glutine, senza dare fastidio alle altre attività del territorio. Un modo per avvicinare tutti con un prodotto particolare, artigianale, attraverso un laboratorio all’avanguardia. Non si fanno lavorare solo i detenuti, cosa importante per la rieducazione e il recupero, ma si dà lavoro anche fuori, unendo consumatore e cittadino". Prodotti realizzati tutto l’anno, che impegneranno i detenuti in un’attività in cui si sono specializzati, realizzando pane e dolci privi di glutine, senza alcuna contaminazione con altre farine. Soddisfatto anche il direttore del carcere Francesco D’Anselmo: "L’inaugurazione di questo panificio dimostra che il carcere di Porto Azzurro si sta aprendo al territorio. Stiamo cercando di far socializzare quanti più detenuti possibili, dando lavoro all’esterno". Presente monsignor Carlo Ciattini, vescovo della diocesi di Massa Marittima-Piombino, il sindaco Maurizio Papi, il contrammiraglio della Direzione Marittima della Toscana Vincenzo Di Marco e numerose autorità locali. Inaugurazione seguita dalla benedizione di un’altra nuova area del carcere: un spazio verde con un piccolo parco giochi dove i detenuti potranno incontrare i figli, evitando abbracci e chiacchierate in una fredda e chiusa stanza. Un ulteriore progetto della struttura detentiva che punta al miglioramento della qualità della vita in carcere. Trento: visita al carcere del senatore Francesco Palermo e del Radicale Valcanover vitatrentina.it, 15 luglio 2017 330 detenuti, 40% oltre la soglia di previsione. Visita ispettiva oggi alla Casa circondariale di Trento, a Spini di Gardolo, da parte del senatore Francesco Palermo, accompagnato dall’esponente Radicale Fabio Valcanover. L’iniziativa, fa sapere l’avv. Valcanover, decisa per valutare le condizioni di detenuti e personale di Polizia penitenziaria, fa seguito alle precedenti volte anche all’istituzione di un autonomo provveditorato, scorporato da quello attualmente esistente per Trentino, Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Veneto. Dalla visita è emerso che le presenze in carcere sono 330 a fronte di capienza massima del dichiarata di 240, circa 40% oltre la soglia di previsione. "La situazione strutturale - osserva Valcanover - non è come quella del carcere di Bolzano: sicuramente è molto migliore, ma occorre che ci siano interventi finanziari per impedire che subentri il degrado strutturale". Secondo Valcanover occorre urgentemente un incremento del numero degli addetti all’area educativa, problema per cui è competente il Provveditorato di Padova. "Ragione per la quale si insiste sulla urgenza dell’istituzione di un provveditorato autonomo per la regione". Ci è stata ventilata l’ipotesi, che ragionevolmente il personale interno scongiura - aggiunge Valcanover - che la situazione di Bolzano in materia di educatori è possibile venga "caricata" su Trento, non nel senso di una riorganizzazione ed una "trentinizzazione" del settore, ma semplicemente per via della prossima andata in pensione di personale di Bolzano Avezzano (Aq): progetto attività sportiva fisico-motoria per detenuti* Ristretti Orizzonti, 15 luglio 2017 Attivato dal corrente mese di luglio 2017, presso la Casa Circondariale a Custodia Attenuata di Avezzano, grazie alla proficua collaborazione con il volontariato locale, nel caso specifico con il titolare della palestra Club Harmony di Avezzano, Sig. Enrico Giffi, un corso gratuito di attività sportiva fisico-motoria per i detenuti. Tale attività, che durerà per tutto il periodo estivo con una cadenza di due volte a settimana (e potrà proseguire nel periodo invernale con la collaborazione alternata dello stesso Professore su indicato e di altri professionisti) avrà obiettivi non solo confinati al benessere fisico ed allo scioglimento delle tensioni muscolari accumulate dalle persone detenute nel periodo invernale, di maggiore inattività fisica, ma tenderà a promuovere un benessere inteso in senso più ampio, psichico e mentale ed una crescita personale alla relazionalità sociale attraverso il mezzo dello sport ed il tramite delle regole sportive; tenderà infine a migliorare e valorizzare il Sé in rapporto costruttivo con l’Altro e rafforzare l’autostima delle persone detenute partecipanti. La partecipazione si è già dimostrata ampia e coinvolgente per le persone detenute cui sono stati forniti dei tappetini, sempre donati dal volontariato che collabora con l’Istituto. La Direzione, nella persona della dr.ssa Anna Angeletti, ha espresso ampio apprezzamento verso l’iniziativa, ritenendo per la Casa Circondariale a Custodia Attenuata di Avezzano la risposta del volontariato locale alle proposte della Direzione sempre immediata ed attenta. L’Istituto Penitenziario è sempre più ampiamente coinvolto nel tessuto sociale ed il reinserimento della persona detenuta è sempre più avvertito come corresponsabilità comune delle diverse braccia che compongono la rete sociale. Si apprezza e si riconosce, da parte della Direzione, il lavoro costante nell’organizzazione e nella realizzazione puntuale di tutte le iniziative trattamentali, del Personale Penitenziario nelle diverse articolazioni d’appartenenza. *Firmato da tutto lo Staff della casa Circondariale a Custodia Attenuata di Avezzano Santa Maria Capua Vetere (Ce): i detenuti donano un presepe al Comune di Sant’Arpino vocenuova.tv, 15 luglio 2017 Domenica 9 luglio la Pinacoteca Comunale di Sant’Arpino "Massimo Stanzione" ha ricevuto in consegna un pezzo unico di arte presepiale realizzato dai detenuti dell’Istituto Penitenziario di Santa Maria Capua Vetere. "I diversamente liberi" come si definiscono i detenuti autori dell’opera nell’intestazione della targa che accompagna la donazione, hanno voluto offrire un omaggio alla comunità santarpinese attraverso un pezzo di arte presepiale realizzato interamente con materiale riciclato. Un presepe che richiama la struttura del Palazzo Ducale "Sanchez de Luna" simbolo del Comune atellano, attraverso il quale i detenuti hanno voluto mostrare riconoscenza per la visita ricevuta lo scorso Natale da parte del Sindaco di Sant’Arpino Dell’Aversana e di una delegazione dell’Amministrazione Comunale, in occasione dello Spettacolo teatrale "Un fatto di Cronaca" tratto dall’opera di Raffaele Viviani, realizzato da 12 detenuti sotto la regia della santarpinese Susy Ronga della Compagnia teatrale "I SudAtella" e con la guida del Funzionario Giuridico Pedagogico presso la Casa circondariale Giovanna Tesoro e la santarpinese Maddalena Mangiacapra, Esperta Psicologa del Carcere di S.M.C.V. L’invito presso la Casa Circondariale "Francesco Uccella" da parte della direttrice Carlotta Giaquinto faceva seguito alla proposta del Sindaco Dell’Aversana, nonché della Presidente del Consiglio Comunale delegata alla Cultura Ivana Tinto, di ospitare la Compagnia di detenuti presso il Comune atellano. "Stiamo lavorando a questa iniziativa - dichiarano all’unisono il Sindaco Dell’Aversana e la Presidente del Consiglio Tinto - al fine di offrire l’opportunità a questi ragazzi che stanno intraprendendo un percorso riabilitativo dove l’arte teatrale diviene lo strumento per coltivare la cultura della legalità, di esprimersi all’esterno, come opportunità di reinserimento e cambiamento". Proprio la scorsa settimana lo stesso gruppo di detenuti ha preso parte all’evento "Toghe & Note", presso il cortile d’onore del Castello Aragonese, sede del Palazzo di Giustizia in Aversa, che ha visto in scena magistrati, avvocati, personale del ministero della giustizia e detenuti, in uno spettacolo a fini benefici a favore della Caritas diocesana di Aversa, a dimostrazione della funzione rieducativa della pena e del lavoro che l’istituzione giustizia svolge per il reinserimento dei detenuti. "Come Sindaco di Sant’Arpino - dichiara Dell’Aversana - sono onorato che la mia cittadina abbia ricevuto un simile dono da questi ragazzi, che con tenacia, attraverso le svariate forme dell’arte, stanno conoscendo la possibilità di una nuova prospettiva di vita. L’auspicio - conclude il Sindaco - è quello di poterli vedere presto in scena nella magica cornice del nostro Palazzo Ducale, attraverso un progetto che aiuti a promuovere nella nostra comunità un messaggio di inclusione, coniugandolo con la tradizione del teatro atellano". La realtà di un’Italia che sta scappando di mano di Ernesto Galli della Loggia Corriere della Sera, 15 luglio 2017 Per un numero crescente di cittadini il nostro Paese sta diventando un luogo sempre più difficilmente abitabile e che appare addirittura ostile. L’Italia è di chi se la vuol prendere, da noi chiunque può fare quello che vuole. E quasi sempre lo fa. Oggi, nei giorni di una torrida estate che sembra conferire a ogni cosa i colori e i calori di un non troppo metaforico inferno, questa è l’immagine che il nostro Paese da di sé. Quella di un Paese in cui il governo e con lui tutti i pubblici poteri appaiono sul punto di perdere il controllo del territorio. Sono parole pesanti, lo so, e non prive anche di precisi echi ideologici, ma a un certo punto bisogna convincersi che la realtà non è né di destra né di sinistra. È la realtà e basta. Una brutta realtà. Dalla Sicilia alla Calabria, alla Basilicata, a Napoli, decine di incendiari spinti da interessi criminali mettono tranquillamente a fuoco vastissime zone della Penisola. Da giorni, sotto la minaccia delle fiamme, città, paesi, centri turistici devono essere sgombrati precipitosamente senza che per ora si sappia di uno solo di questi delinquenti scoperto, arrestato e incriminato. Nelle periferie delle grandi città, in questa stagione ancora più soffocanti e orribili, dove i servizi sono perlopiù al collasso, può capitare benissimo - come capita a Roma - che dopo il tramonto sia virtualmente in vigore il coprifuoco, che viaggiare su un autobus la sera rappresenti un pericolo, che il cielo si copra per giorni e giorni dei fumi tossici dei materiali più inquinanti bruciati illegalmente; o - come capita a Milano - che interi caseggiati, interi gruppi di palazzi, e piazze e vie, siano di fatto nelle mani di bande di malavitosi abituati a farla da padroni. Dappertutto nelle periferie dei grandi centri urbani della Penisola regnano praticamente indisturbati lo spaccio, la prepotenza, le risse continue specialmente fra immigrati. In questa stagione più che mai le classi meno favorite della popolazione sentono la loro esistenza quotidiana abbandonata dai poteri pubblici in una vera e propria terra di nessuno. Le zone centrali e/o cosiddette residenziali non se la passano meglio. Sindaci pusillanimi e preoccupati solo dei loro interessi elettorali (percepiti peraltro con la miopia tipica di una classe di nani politici quali sono in larghissima maggioranza quelli di questi anni infausti) hanno lasciato dovunque dilagare le movide notturne: in pratica la licenza di fare ciò che vogliono rilasciata a coorti di giovani perlopiù desiderosi di ubriacarsi e di schiamazzare all’aperto, ma essendo sempre pronti alla rissa, al vandalismo, al gesto teppistico. Di fatto molte zone centrali (ma non solo) di un gran numero di città italiane stanno diventando di notte letteralmente invivibili. Ma sempre più spesso lo sono anche di giorno. Numerose strade del centro di Roma sono ridotte ad esempio a una sorta di suk con decine e decine di luride lenzuola stese per terra a mostrare impunemente le più varie merci contraffatte, mentre schiere di altri abusivi non si stancano di circondare dappresso i turisti con la loro mercanzia. Sempre a Roma può capitare che per tutta l’estate un club privato organizzi per i festini dei suoi soci illustri spettacoli di fuochi artificiali e di botti assordanti che si prolungano anche dopo la mezzanotte: il tutto a poche centinaia di metri dal Comando generale dell’Arma dei Carabinieri. A Torino, sui lungo Po e dintorni nulla e nessuno sembra in grado di fermare il commercio clandestino di alcool ad opera specialmente di rivenditori bengalesi, all’occasione protetti contro le forze dell’ordine dalla complicità omertosa della collettività dei loro clienti. A Milano, dopo una certa ora il centralissimo corso Como si tramuta da luogo di abituale rifornimento della droga in una specie di zona di caccia libera dove, come riportano le cronache, è altissima la probabilità di essere aggrediti da bande di maghrebini a caccia di orologi e portafogli. Sia a Roma che a Torino che a Milano e in altre decine di città d’Italia, poi, la prostituzione - spessissimo minorile, spessissimo collegata alla tratta e a reti criminali africane o est europee - occupa impunemente di notte le zone urbane che più le aggradano: un fenomeno che per vastità non trova paragone in nessun’altra città dell’Europa occidentale. Dappertutto infine, per dirne ancora una, specie dopo una certa ora le stazioni ferroviarie sono luoghi frequentabili solo a proprio rischio e pericolo, così come dappertutto o quasi le corse serali o notturne sui treni vicinali o regionali sono altamente sconsigliabili per le donne. La realtà, dicevo all’inizio, non è né di destra né di sinistra, è la realtà e basta. E la realtà odierna dell’Italia è questa: una realtà che sta scappando di mano. Di fronte alla quale viene da chiedersi se il ministro degli Interni - cui spetta principalmente l’onere di provvedere in prima persona nonché istruendo e sollecitando prefetti, questori ma anche i sindaci e i corpi di polizia urbana - viene da chiedersi, dicevo, se il ministro Minniti sia informato adeguatamente di questa grigia realtà capillarmente diffusa. Se egli si rende conto che agli occhi di un numero crescente di italiani il loro Paese sta diventando un luogo sempre più difficilmente abitabile, un luogo tale da apparire addirittura ostile. Se egli si rende conto che anche l’allarme che in tanti nostri concittadini suscitano le ondate di immigrati è enormemente accresciuto dalla loro percezione di questa precarietà ambientale che monta, dalla sensazione di un degrado dei contesti urbani prodotta da incontrollati fenomeni di illegalità. Se non gli venga il sospetto, infine, al nostro Ministro, che pure la difficoltà dell’Italia di farsi ascoltare quando si tratta d’immigrazione, di farsi prendere sul serio dai suoi partner europei, forse dipenda per l’appunto dalla sua immagine di un Paese che, si sa, è abituato al disordine, al tirare a campare, alla prassi di un comando della legge sempre elastico e contrattabile. Ma non basta. Di fronte all’Italia così malmessa di oggi è pure inevitabile chiedersi quale sia stata l’azione della magistratura. Se essa sia stata effettivamente all’altezza del suo compito di tutela giuridica della comunità tutte le volte, ad esempio - le non poche volte, direi - che è parsa indulgere a interpretazioni dei delitti e delle pene ottimisticamente irreali. Una magistratura che prontissima e ferratissima nel criticare l’azione legislativa dell’esecutivo quando si tratta di quella che essa ritiene la propria sfera d’interessi e di prerogative, è viceversa timidissima quando si tratta di proporre, lei, leggi o procedure efficaci per difendere gli interessi elementari dei cittadini. Ius soli, il Pd frena per il rischio crisi di Carmelo Lo Papa La Repubblica, 15 luglio 2017 Renzi si rimette a Gentiloni dopo l’altolà dei centristi di Alfano ai quali si sono aggiunti i senatori delle Autonomie. Resta l’ipotesi di mettere la fiducia. Ma il capogruppo dem Zanda: "Severa verifica dei numeri di maggioranza". "Se le cose stanno così, ci rimettiamo a Gentiloni, decida lui sulla fiducia, non passerò certo io per quello che porta il governo alla crisi". Matteo Renzi non getta la spugna sullo Ius soli, legge che per il segretario Pd resta "un principio di civiltà". Ma il quadro politico è mutato, deteriorato per la maggioranza. Ne prende atto proprio il presidente del Consiglio Gentiloni dopo l’incontro mattutino con il leader di Ap Angelino Alfano, che a Palazzo Chigi gli allarga le braccia, pur dicendosi disposto personalmente a salvare il governo: "Non sono in grado di garantire la tenuta del nostro gruppo al Senato". Venerdì era arrivato l’annuncio di dimissioni del ministro centrista Enrico Costa, su Repubblica, se l’esecutivo dovesse porre la fiducia. Quasi l’intera squadra di Ap a Palazzo Madama (tranne sei) voterebbe contro o comunque uscirebbe dall’aula. Stessa linea per gli autonomisti che finora hanno sempre votato con la maggioranza. I numeri, già precari in quel ramo del Parlamento, sul diritto di cittadinanza non ci sono. Palazzo Chigi fa saper che farà di tutto per condurre in porto comunque la legge, anche con la fiducia, seguendo le indicazioni e i desiderata del Pd, ma dopo una "attenta verifica dei numeri". Solo se ci saranno le condizioni, insomma. La blindatura del testo, che il Consiglio dei ministri avrebbe dovuto adottare i primi giorni della prossima settimana, slitterà ancora. Il provvedimento è gravato da 50 mila emendamenti ed è finito nell’imbuto creatosi al Senato tra decreto vaccini, banche e altre misure. La probabilità che scivoli alla ripresa di settembre diventa una mezza certezza. Col conseguente rischio, altrettanto elevato, che a ridosso della campagna elettorale il testo finisca su un binario morto. Il fatto è che in questi ultimi giorni si erano fatte insistenti le voci e le ricostruzioni sulle reali intenzioni del segretario Renzi, dietro la determinazione con la quale stava perseguendo l’approvazione a tutti i costi della legge, nonostante la probabilità che il governo vada sotto. "Ma per me ormai è pacifico che si vada al voto l’anno prossimo, a settembre parto in treno in campagna elettorale, non voglio staccare la spina a Paolo, figuriamoci, a questo punto faccia lui", è quanto il leader Pd ripete ai big del Nazareno in queste ore. Nasce da queste considerazioni e dalla necessità di liberarsi da qualsiasi sospetto l’uscita del portavoce della segreteria, Matteo Richetti: "Il Pd seguirà l’indicazione del presidente Gentiloni. Noi vogliamo lo Ius soli e siamo pronti ad andare fino in fondo ma negli ultimi sei mesi di legislatura vanno avanti leggi che hanno ragionevole certezza di avere il consenso di entrambi i rami del Parlamento e il Pd non vuole né intende creare inciampi e ostacoli al governo". I capigruppo di Ap Lupi e Bianconi esultano al "modo giusto di affrontare la questione, inopportune e divisive" le richieste di fiducia. E il presidente del gruppo pd Zanda, che in un primo momento in mattinata dichiara che "non è ipotizzabile un rinvio" e che la legge passerà entro l’estate, nonostante gli avvetimenti centristi, dopo il suo incontro pomeridiano col premier sfuma la propria posizione. "Occorre una severa verifica sui numeri della maggioranza su tutti i provvedimenti", ammette. Anche Fi festeggia la frenata. "Inseguono i numeri certi, ma gli unici certi saranno quelli che perderà il Pd se insisterà sulla legge", attacca Deborah Bergamini. Il premier Gentiloni continuerà il suo check sui centristi nei prossimi giorni, comunque "farà di tutto", lasciano trapelare da Chigi. La svolta di ieri sta nel fatto che alla fine, se la fiducia non sarà posta e si andrà a settembre, la segreteria Pd ne prenderà atto, senza spingere a tutti i costi verso un voto-corrida. Stavolta con l’alta probabilità che a finire infilzato non sarebbe come al solito il toro. "Decida Paolo cosa fare, lo sosterremo comunque", è l’ultima parola di Renzi. Passerà per uno stop, ma lo libererà dai sospetti di inseguire una crisi. La svolta autoritaria di Visegrad spaventa l’Unione europea di Carlo Lania Il Manifesto, 15 luglio 2017 Dai migranti ai giudici in Polonia e Ungheria nuove leggi "mettono a rischio lo stato di diritto". Si fa sempre più teso il rapporto tra Unione europea e Ungheria, Polonia e repubblica Ceca, tre dei quattro Paesi che compongono il gruppo di Visegrad. Le politiche contro i migranti, il rifiuto di accogliere profughi ma, soprattutto, le decisioni sempre più autoritarie assunte dai governi di Budapest e Varsavia in particolare, preoccupano i vertici delle istituzioni europee che reagiscono nell’unico modo che hanno a disposizione: aprendo procedure di infrazione. Ultime quelle avviate contro l’Ungheria per due leggi fortemente volute dal premier Viktor Orbán come quella contro le Ong e quella sull’istruzione superiore. Ma valga anche l’allarme lanciato dal parlamento europeo sulle nuove norme che in Polonia rischiano di sottomettere la magistratura al potere politico. Ieri sono scaduti i termini entro i quali tutti e tre i paesi avrebbero dovuto replicare alla procedura aperta nei loro confronti il 14 giugno scorso dalla Commissione europea per non aver rispettato il piano di ricollocamenti dei profughi da Italia e Grecia. In due anni, da quando il programma è stato avviato, Ungheria e Polonia non ne hanno accolto neanche uno, mentre appena 12 sono riusciti ad arrivare nella repubblica Ceca. Fino a ieri sera, però, da Varsavia non era arrivata nessuna risposta mentre Budapest e Praga hanno replicato ai rilievi del presidente della Commissione Jean Claude Juncker attaccando. Il governo ceco, in particolare, si è giustificato accusando l’Italia di non aver consentito a propri funzionari di effettuare i controlli di sicurezza sui dieci profughi individuati per il trasferimento. Secondo l’agenzia di stampa ceca Ctk, che nei giorni scorsi ha citato fonti governative, Roma non avrebbe neanche risposto alle richieste di Praga, rendendo così impossibile effettuare l’operazione. Le medesime accuse sarebbero rivolte anche alla Grecia. Ricollocamenti a parte, è evidente che Praga gradisce poco la presenza di migranti tra i propri confini. Come dimostra anche l’emendamento firmato proprio ieri dal presidente Milos Zeman che introduce regole più severe per limitare l’accesso nel Paese dei migranti economici, e contro il quale le opposizioni non escludono di fare ricorso alla Corte costituzionale. Secondo i critici, infatti, le nuove norme non solo contrasterebbero con gli impegni internazionali assunti dal Paese, ma rischiano di danneggiare anche l’immigrazione regolare. Quello dei migranti è però solo uno dei problemi. A Bruxelles guardano infatti con sempre maggiore preoccupazione alla svolte autoritarie in corso da tempo in Polonia e Ungheria. Due giorni fa sempre la Commissione Ue ha avviato un’altra procedura di infrazione nei confronti dell’Ungheria per la legge contro le Ong che ricevono finanziamenti dall’estero. Il provvedimento colpirebbe in particolare le organizzazioni di George Soros, il finanziere americano, ma di origine ungherese, che Orbán accusa di voler far arrivare in Europa milioni di migranti musulmani. Per questo il premier nazional-conservatore ha scatenato una violenta campagna fatta di enormi cartelloni con il viso del finanziere e la scritta: "Non permettere a Soros di ridere per ultimo". Soros è ebreo, e la campagna ha allarmato la comunità ebraica ungherese che ha bollato l’iniziativa come "antisemita". Altra procedura di in frazione anche per la legge sull’istruzione superiore che vieta alle università straniere di operare nel paese se non rispettano determinate condizioni. Anche in questo caso nel mirino di Orbán c’è Soros e in particolare la Central European University da lui fondata. Infine la Polonia. Il parlamento sta discutendo una riforma giudiziaria definita dalle opposizioni come un "colpo di stato", perché permetterebbe al partito di governo PiS di nominare i giudici della Corte costituzionale e metterebbe in pericolo l’indipendenza della magistratura. Il leader del gruppo Alde al parlamento europeo, Guy Verhofstadt, ha chiesto ieri una riunione della Commissione Libertà e diritti civili per discutere la situazione polacca. "Stiamo assistendo - ha spiegato - all’abolizione dello Stato di diritto". Svizzera. Tragedia nel carcere di Zurigo, morto un giovane campano di 19 anni di Andrea Aversa vocedinapoli.it, 15 luglio 2017 Non si tratta delle fatiscenti e disumane carceri italiane, ma di un istituto penitenziario di quell’oasi felice che si chiama Svizzera. Il povero Paolo Rosamilia è stato trovato morto nella sua cella in cui era rinchiuso. Il ragazzo aveva solo 19 anni ed era recluso nel carcere di Zurigo per aver violato le leggi del codice della strada e consumato stupefacenti. La notizia drammatica è stata comunicata alla famiglia nella serata di ieri. Il 19enne era originario di Lioni, comune dell’alta Irpinia. Paolo Rosamilia si era trasferito in Svizzera per raggiungere la madre e cercare un lavoro. La magistratura ha immediatamente aperto un’inchiesta per far luce sulla triste vicenda. La famiglia e i conoscenti del giovane sono distrutti dal dolore, il padre e il fratello chiedono giustizia perché "Non si può morire in questo modo". Escluso il suicidio, una prima motivazione potrebbe essere un’overdose, sarebbero queste le prime ipotesi dell’autorità svizzera. Il corpo senza vita del ragazzo è stato trovato nel suo letto, il giovane avrebbe compiuto 20 anni tra pochi giorni e prima di trasferirsi in Svizzera aveva vissuto nel casertano. Il sindaco di Lioni ha espresso il proprio cordoglio alla famiglia del 19enne. Iraq. Esecuzioni a Mosul, aperta un’inchiesta di Chiara Cruciati Il Manifesto, 15 luglio 2017 Dopo i video che mostrano soldati iracheni giustiziare sospetti miliziani dell’Isis, Baghdad corre ai ripari. Le denunce di abusi sulla comunità sunnita aumentano. Sarà pari a 99 milioni di euro il prestito che l’Italia farà al governo di Baghdad per proseguire i lavori di ristrutturazione della diga di Mosul, a cui lavora l’italiana Trevi dopo la vittoria dell’appalto lo scorso anno (273 milioni di euro in 18 mesi più l’invio di 500 soldati a difesa dell’impianto). Soldi prestati per finire nelle casse di Trevi, su cui si sono accordati giovedì l’ambasciatore italiano Carnelos e il premier iracheno al-Abadi che ha definito la diga "vitale per fornire acqua e energia elettrica ai cittadini". A poca distanza, nel cuore di Mosul, proseguono le operazioni di "pulizia": lo sminamento, ma anche l’arresto di sospetti miliziani dell’Isis ancora vivi. Nei giorni scorsi alcuni video hanno mostrato l’esecuzione da parte dell’esercito iracheno di giovani islamisti o sospetti tali, una violazione che ha costretto Baghdad ad intervenire per evitare ulteriori tensioni: è stata aperta un’inchiesta sull’accaduto. Perché quei miliziani non sono solo foreign fighters. Tanti di loro sono iracheni, giovani di Mosul e della provincia, ex baathisti ben radicati nella comunità sunnita irachena che si sono uniti allo Stato Islamico, spesso come spirito di rivalsa per la marginalizzazione politica e economica subita dopo il 2003 dal nuovo governo sciita. A quei video si aggiunge la denuncia di Human Rights Watch: 160 famiglie della provincia sunnita di Ninive sarebbero state costrette a lasciare le loro case dalle forze irachene perché accusate di collaborazionismo con l’Isis. Una punizione collettiva, abusi che non fanno che ampliare i settarismi interni e impedire un’effettiva riconciliazione. Soprattutto alla luce dei primi ritorni a Mosul: circa 200mila sfollati (sui 920mila fuggiti da ottobre 2016) sono rientrati in città, devastata e quasi del tutto rasa al suolo. Si tratta di famiglie che abitano nella zona orientale, meno residenziale e meno danneggiata dalla battaglia. Giappone. Il governo ha eseguito altre due impiccagioni asianews.it, 15 luglio 2017 Il ministro della giustizia Katsutoshi Kaneda ha ordinato le esecuzioni numero 18 e 19 da quando il primo ministro Shinzo Abe è arrivato al potere, nel dicembre 2012, senza dare alcun preavviso ai famigliari e agli avvocati. I vescovi in prima fila contro le esecuzioni. La protesta di Amnesty International: uno dei condannati aveva chiesto il riesame, l’altro aveva rinunciato alla propria difesa. Ieri sono stati impiccati due detenuti in Giappone, tra i quali un uomo giudicato pluri-omicida che stava cercando di ottenere il riesame del suo processo. La notizia è stata data dal ministero della Giustizia. Masakatsu Nishikawa, 61 anni, uno dei due detenuti giustiziati, aveva presentato appello per il riesame. Era stato condannato per aver ucciso quattro donne gestori di bar a Himeji, prefettura di Hyogo, nel 1991. L’altro detenuto ucciso è stato Koichi Sumida, 34 anni, condannato a morte nel mese di febbraio 2013 dalla corte del distretto di Okayama per aver ucciso il suo ex collega, Misa Kato, 27 anni, lavoratore precario, il 30 settembre 2011. Il ministro della giustizia Katsutoshi Kaneda ha ordinato le esecuzioni numero 18 e 19 da quando il primo ministro Shinzo Abe è arrivato al potere nel dicembre 2012 senza alcun preavviso ai famigliari e agli avvocati. La precedente esecuzione, la prima ordinata da Kaneda, è stata effettuata lo scorso novembre, quando un uomo è stato impiccato per aver ucciso due donne nella prefettura di Kumamoto. Amnesty International ha protestato contro l’esecuzione dei due detenuti affermando che nel caso di Nishikawa doveva essere preso in considerazione il riesame. Nel caso di Sumida invece il ritiro della difesa dalla causa processuale ha portato automaticamente alla sentenza di condanna. In prima fila contro le esecuzioni c’è da sempre la Chiesa cattolica: "Noi vescovi, tutti i vescovi giapponesi, siamo d’accordo con l’abolizione della pena di morte: non c’è alcuna differenza fra le nostre posizioni. Perché anche se a morire sono degli assassini, nella loro morte si verifica un nuovo omicidio: questa volta commesso dallo Stato. Bisogna rinnovare l’umanità del senso della vita in comune: dobbiamo tornare a considerarci tutti figli di Dio" è stata la presa di posizione della conferenza episcopale del Giappone nel 2012 al riavvio delle esecuzioni dopo un periodo di sospensione. Secondo le stime, attualmente in Giappone sarebbero più di un centinaio le persone in attesa di esser giustiziate. Cina. Liu Xiaobo, anche sulla morte del dissidente l’ombra della censura di Angelo Aquaro La Stampa, 15 luglio 2017 Mezza Cina ancora non sa che il premio Nobel per la pace è morto in ospedale per cancro. Altri in patria nemmeno lo conoscono. In Rete oscurate le discussioni su di lui, ma anche i messaggi di cordoglio. E le flebili voci internazionali che arrivano a sostegno suo e della moglie Liu Xia sembrano sussurri insufficienti a sottolineare l’impegno speso a difesa dei diritti umani. Sperava che Internet avrebbe cambiato la sua Cina, sperava che dal web sarebbe partita la rivolta dal basso per la libertà, e invece anche la Rete adesso è nelle mani del partito, perfino il mondo virtuale è negato al dissidente che nel mondo reale è stato lasciato morire nel letto dell’ospedale-prigione. Liu Xiaobo, il Nobel per la pace 2010 che non ha mai potuto ritirare il premio perché già seppellito in un prigione di Shenyang, la città del Liaoning, la provincia al confine con la Corea del Nord, è morto alle 5.38 di giovedì sera, sotto gli occhi dell’amata moglie Liu Xia, la poetessa anche lei prigioniera come lui. Ma mezza Cina ancora non lo sa: e l’altra metà, a dire il vero, quasi neppure ha mai saputo chi fosse l’ultima voce strozzata di Tienanmen. La censura s’è abbattuta sulla sua morte come sulla sua vita. E il silenzio è calato anche sulle piattaforme che l’Occidente invidia alla Cina. Tutti noi cantiamo per esempio le lodi di WeChat, l’applicazione delle meraviglie che consente di mandare messaggi e pagare la bolletta, ma i miliardari proprietari della piattaforma, i signori del gruppo Tencent che proprio quest’anno sono entrati nella top ten dei marchi più prestigiosi del mondo, nel gruppo di testa con Facebook, Apple, Google e Microsoft, hanno oscurato tutte le discussioni qui in patria: permettendo, ovviamente, di chattare liberamente su Liu all’estero. Perfino i Rip, i Rest in Peace, cioè i Riposa in Pace sono stati cancellati, e da Baidu a Weibo, i maggiori motori di ricerca e le più grandi compagnie social hanno steso un velo più vergognoso che pietoso. "Il governo cinese ha fatto di tutto per controllare Internet" scriveva Liu Xiaobo una decina di anni fa. "Annuncia costantemente nuove leggi e regolamenti, dilapida vaste somme di denaro nella costruzione della sua Grande Muraglia Web per bloccare contenuti anticinesi. Ma malgrado tutto sta perdendo: non può reprimere la fioritura di siti controllati dai cittadini…". Povero Liu Xiaobo: invece il governo sta vincendo eccome, le nuove leggi sono davvero più dure e restrittive, i siti controllati dai cittadini scompaiono, la Grande Muraglia Web è più alta che mai e perfino i paladini mondiali della tecnologia che si professa buona, i maghi di Apple che per spot si dipingevano come i guardiani del libero mondo tecno contro lo strapotere dei vari Grandi Fratelli, oggi piegano la testa. Proprio ieri, per esempio, la Mela ha dato il via libera alla costruzione del mega server da un miliardo di dollari che come richiedono le nuove leggi custodirà in Cina, e non nei cervelloni di Cupertino o altrove, i dati degli utenti di qui, mettendo definitivamente i cancelli perfino alla nuvola dell’iCloud. I cinesi sanno poco o niente della fine, come poco hanno saputo dell’inizio delle sue battaglie, tranne quelli che possono correre a leggersi le notizie in inglese diramate dall’agenzia di stato Xinhua, dalla tv di Stato Cctv, dal quotidiano di stato Global Times. Il battagliero tabloid del partito comunista sostiene che il professore che mollò il posto alla Columbia di New York per tornare a difendere i ragazzi che si stavano facendo massacrare a Tiananmen nell’89 è in realtà "una vittima fuorviata dall’Occidente". Di più. "I suoi ultimi giorni sono stati politicizzati dai poteri stranieri" che hanno "usato la sua malattia per demonizzare la Cina" senza davvero "essere interessati a prolungare la vita di Liu". "Concedendogli il Nobel, l’Occidente ha sequestrato Liu", dice la voce del partito, che alla faccia della sua origine operaia si diverte ora a insultare anche gli altri dissidenti, come Wei Jingsheng, "un ex elettricista dello zoo di Berlino che i media occidentali hanno chiamato ‘il padre della democrazia cinesè". A proposito: non era un elettricista anche Lech Walesa, altro Nobel per la Pace, anche lui padre della democrazia (polacca)? Proprio la storia di Wei Jingsheng, non a caso, è stata tirata in ballo da Perry Link, il prof americano traduttore e amico di Liu Xiaobo: "Perché Wei - ha detto il prof emerito di Princeton a Repubblica - fu liberato grazie alle pressioni dell’opinione pubblica occidentale, che nella vicenda di Liu Xiaobo sembrava invece guardare da un’altra parte". Infatti. Solo alla sua morte s’è deciso a parlare il segretario di stato Usa Rex Tillerson che ora chiede a Pechino "di liberare Liu Xia dagli arresti domiciliari e consentirle di lasciare la Cina". E al suo fianco scende, è vero, l’Unione Europea: ma sembra che si accontenterebbe di vedere Liu Xia seppellire il marito "nel luogo e nel modo che sceglierà", e chiede al governo "di permettere alla sua famiglia di piangerlo in pace". Basta così? Un po’ più alta la voce degli inglesi con l’imprevedibile Boris Johnson che da vero libertario, e incurante dei 24 miliardi di dollari in ballo per la costruzione da parte cinese delle centrali nucleari di Hinkley, ha criticato da ministro degli esteri la decisione di non lasciar che Liu si curasse all’estero, malgrado per quel cancro terminale il governo gli avesse concesso la libertà condizionale che evidentemente era invece soltanto condizionata: condizionata al rispetto dei capricci del potere e stop. Pronta la risposta dell’impeccabile Geng Shuang, il portavoce degli esteri abituato a stoppare e ribattere con la meccanicità di un bravo mediano: "La Cina è uno stato di diritto, la gestione del caso è una questione interna e i paesi stranieri non hanno alcuna voce in capitolo per fare considerazioni fuori luogo". Ma davvero? E invece "i diritti umani sono universali - non appartengono a nessuna nazione, regione o fede". Lo disse, mentre il premio al dissidente stava per essere consegnato a Oslo davanti alla sua sedia vuota, un signore che aveva ricevuto lo stesso Nobel per la pace l’anno prima, e che confessò candidamente: "Liu Xiaobo è molto più titolato a ricevere questo premio di quanto lo fossi io". Quel signore era Barack Obama, ed era tutta un’altra America, era tutto un altro mondo. Peccato che malgrado tutte queste bellissime parole, Liu ha finito per trascorrere in carcere altri sette anni. E in quella cella probabilmente ci sarebbe rimasto fino a scontare tutti gli undici anni inflitti per "istigazione al sovvertimento dello Stato", per aver chiesto con il suo manifesto di Charta 08 più democrazia e le fine del partito unico: se non se ne fosse andato un pomeriggio caldissimo di luglio, ucciso dal suo tumore, ma forse anche dal silenzio del mondo che adesso si estende come una macchia un po’ su tutti noi. Cina. L’avvocato, l’informatico: "così il regime rende invisibili i suoi nemici" di Paolo Salom Corriere della Sera, 15 luglio 2017 La Cina non è la Russia sovietica. E nemmeno quella putiniana. L’attività dei dissidenti fa poco rumore. Al di là del volto più noto della dissidenza nella Repubblica Popolare - l’appena scomparso premio Nobel per la Pace Liu Xiaobo - gli altri personaggi che hanno sfidato il potere del Partito sono per lo più avvolti da una fitta nebbia che rende difficile seguirne le sorti in Patria. In genere, a tutti gli oppositori del regime prima o poi viene offerta (in particolare quando uno Stato occidentale ne prende a cuore le sorti) la possibilità di andare in esilio. È accaduto in passato a Wei Jingsheng, Wu’er Kaixi, Wang Dan tre leader della rivolta di piazza Tienanmen; e anche a Chen Guangcheng, l’avvocato cieco che però ha dovuto rischiosamente beffare le autorità per entrare, di soppiatto, nell’ambasciata americana a Pechino, prima di ottenere il via libera. Oppure a Ai Weiwei, il rinomato artista che dopo molte vicissitudini a Pechino ora vive in Germania. Gli altri? Per sapere chi siano occorre scavare nelle liste dei prigionieri politici aggiornate da istituzioni quali Human Rights in China (sede a New York) o la Commissione esecutiva del Congresso Usa sulla Cina, presieduta da Marco Rubio. In ogni caso, le informazioni sono scarse; il più delle volte mancano - ribadiamo: per coloro che non possono o non vogliono lasciare la Cina - dati precisi sui luoghi di residenza o di detenzione. "Purtroppo tutto questo è normale - dice al Corriere Mi Ling Tsui direttrice alla comunicazione di Human Rights in China -. Fa parte della strategia del governo trasformare in un essere invisibile chiunque osi criticare l’ordine costituito". Tra gli "invisibili" ci sono poeti, artisti, scrittori, avvocati. Ma anche semplici operai. Come Miao Deshun, arrestato dopo la rivolta di piazza Tienanmen, condannato a morte (pena commutata in ergastolo), è stato liberato l’anno scorso per ragioni di salute: non è più un "pericolo" per la società. Tra i dissidenti di cui in Occidente si sa poco - se non nulla - c’è, per esempio, Wang Quangzhang. "È un avvocato - ci dice ancora Mi Ling Tsui - fermato nel luglio 2015 nel corso della "repressione dei 709" (legali e attivisti dei diritti umani finiti nel mirino delle autorità, ndr). A Wang non è masi stato dato accesso a un difensore di fiducia. Sua moglie sta ancora cercando di sapere dove si trovi il marito e di che cosa sia materialmente accusato". Altro caso è quello di Huang Qi, fondatore del sito 64Tianwang.com, dove le cifre 6 e 4 fanno riferimento al movimento di piazza Tienanmen. "È stato arrestato nel novembre del 2016 - precisa Mi Ling Tsui -. Sappiamo che è accusato di aver "diffuso segreti di Stato". Ma nulla di più". Huang inizialmente aveva vissuto un momento di celebrità, in Cina, perché il suo sito era una risorsa per rintracciare le persone scomparse. I guai, per lui, sono cominciati quando ha allargato i suoi interessi ai cittadini che, per vari motivi, finivano nelle maglie della polizia politica facendo perdere le loro tracce. Esempio emblematico è quello di Jiang Tianyong, lui stesso un avvocato, svanito nel nulla lo scorso novembre dopo aver assistito la moglie di uno dei legali presi di mira nel corso della campagna contro i "709": "La poveretta cercava di capire dove fosse detenuto il marito, senza successo. E alla fine è scomparso anche Jiang. Solo di recente le autorità lo hanno mostrato in un video registrato all’interno di una struttura di detenzione: ma non è stato possibile capire quale fosse il suo stato di salute".