Ergastolo. Card. Parolin: "una pena senza speranza" agensir.it, 19 febbraio 2017 Non solo la pena di morte ma anche l’ergastolo, "una pena senza speranza", dovrebbe scomparire dagli ordinamenti giuridici, condividendo e appoggiando il "coraggioso impegno" di Papa Francesco. È la richiesta del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, durante la messa per l’apertura dell’anno giudiziario del tribunale dello Stato della Città del Vaticano, celebrata questa mattina, nella cappella del Governatorato prima della cerimonia inaugurale. All’omelia, riferisce L’Osservatore Romano, commentando il brano evangelico della Trasfigurazione, il porporato ha aggiunto che la vita cristiana non "è solo attesa della gloria futura, ma è accoglienza di tutti quegli sprazzi di luce che il Signore ci dona nel nostro cammino quotidiano, e, nello stesso tempo, impegno perseverante per rischiarare le tenebre che ci avvolgono e cambiarle in luce". In pratica, è impegno per "trasfigurare anche il male, non ignorarlo, bensì positivamente combatterlo e sradicarlo", sostituendovi "il bene e la sua inesausta ricerca"; combattere l’odio e sostituirvi "l’amore; combattere l’indifferenza, il cinismo, la ferocia, la vendetta", e sostituirvi "la tenerezza, la misericordia, la pietas, il perdono; combattere l’ingiustizia, nelle varietà delle sue forme e manifestazioni, e sostituirvi la giustizia, la ricerca del giusto". Anche la giustizia terrena, ha continuato, può e deve diventare, "grazie allo sforzo onesto e competente dei suoi operatori, come un Tabor", dove sono ancora presenti "Elia, cioè la profezia, con la sua carica di novità, di libertà, di apertura", e Mosè, "cioè la Legge, la legge naturale, innanzitutto, scolpita da Dio nella mente e nel cuore degli uomini", che "a essa naturalmente inclinano, e quella positiva, umana, che alla prima deve ispirarsi e a essa mai opporsi o contrastare". Per questo, ha detto il cardinale, "sappiamo bene che quella umana è una giustizia parziale e fallibile". Da ciò la "doverosa cautela da parte degli operatori della giustizia e, in primo luogo, dei giudici". Opg. L’On. De Biasi: "le Rems siano vere strutture di riabilitazione e non di contenzione" quotidianosanita.it, 19 febbraio 2017 Le Rems sono state attivate in quasi tutte le Regioni, ma non mancano criticità. Bisogna rafforzare il territorio dando impulso ai Dipartimenti di salute mentale. Creare una cabina di regia regionale forte che dialoghi con gli enti locali. Ma soprattutto occorre una modifica al codice penale sulle misure di sicurezza provvisorie e le infermità sopravvenute. Questi i temi discussi oggi in Senato in un convegno promosso dalla Commissione Sanità A quasi due anni dall’ultima proroga per la chiusura definitiva degli Opg sicuramente molto è stato fatto, ma ci sono ancora maglie deboli da rinforzare. Le "Residenze" che dovrebbero sostituire quella che è stata chiamata una delle vergone del Ssn sono state attivate in quasi tutte le Regioni (rimangono ancora da aprire quelle di Caltagirone e di Empoli, ma sono in dirittura di arrivo, mentre l’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto sta per chiudere i battenti) e hanno visto transitare più di 900 persone e uscirne circa 400, a dimostrazione che il sistema funziona e che le Rems non sono un carcere a vita. Una macchina che ha però funzionato grazie all’impegno e al grande entusiasmo del personale che vi opera. Una forza che potrebbe però esaurirsi se non si interviene rapidamente a sanare le maglie deboli appunto, ed evitare che la logica manicomiale si ripresenti in strutture nate proprio per abbatterla. È questo il quadro emerso dal convegno "Dopo il superamento degli Opg. Quali criticità e quali prospettive" organizzato dalla Commissione igiene e Sanità oggi a Palazzo Madama, che ha tracciato le coordinate per evitare che si riapra la stagione degli Opg. Le maglie deboli. Per evitare un ritorno al passato, secondo le indicazioni emerse, bisogna rafforzare il territorio dando impulso ai Dipartimenti di salute mentale. Creare una cabina di regia regionale forte che dialoghi con gli enti locali. Soprattutto occorre una modifica al codice penale sulle misure di sicurezza provvisorie e le infermità sopravvenute (questo per evitare che vengano ospitati nelle Rems persone con "misure di sicurezza provvisoria" dell’autorità giudiziaria e non con uno "stato di infermità" accertato in via definitiva). Una revisione della legge che operi anche un rinnovamento "lessicale", perché le parole "Opg" e "internati" sono rimaste nero su bianco, nelle pagine del Codice. Deve anche cambiare l’atteggiamento dei magistrati di cognizione che ancora prevedono il ricovero in Rems anche quando non è necessario, andando contro la stessa legge. C’è poi il problema di perizie spesso "stravaganti", che non tengono in considerazione che il proscioglimento per incapacità di intendere e di volere debba essere dato con rigore. Ci sono poi criticità per le donne ospitate nelle strutture: sono poche e rischiano di vivere in situazioni di promiscuità con residenti uomini e di non ricevere le cure adeguate. In ogni modo, difronte alle tante criticità, gli strumenti per evitare che il processo di rinnovamento non rimanga incagliato nelle secche di un sistema che va rinnovato ci sono. A partire da un emendamento al Ddl 2067 di modifica al codice penale e al codice di procedura penale - con il quale si rischia di riaprire la stagione degli Opg facendo entrare nelle Rems detenuti senza le caratteristiche idonee - che vede come prima firmataria la presidente della Commissione Igiene e Sanità, Emilia Grazia De Biasi. "Oggi si chiudono gli Opg e abbiamo lavorato in questa direzione in piena cooperazione con il Governo e il commissariò Corleone - ha spiegato Emilia Grazia De Biasi, Presidente della Commissione Sanità del Senato - ora dobbiamo passare alla fase due, ossia l’istituzione delle Rems su tutto il territorio nazionale facendo sì che, secondo il dettato della legge, siano strutture di riabilitazione e non di contenzione. Il tema è quindi quello di aprire i servizi sul territorio in modo che tutti possano avere accesso alle cure per salute mentale. Soprattutto bisogna riformare il processo penale. E l’emendamento a mia prima firma va in questa direzione: dobbiamo evitare che le persone in carcere con un disagio psichico, qualunque sia, passino automaticamente nelle Rems. Questo significherebbe riaprire i manicomi giudiziari. Dobbiamo invece lavorare per la salute in carcere. Le Rems sono strutture riabilitative per le persone che hanno già una condanna. Strutture nate per evitare l’ergastolo bianco e che devono consentire alle persone di poter tornare nelle proprie città dopo aver pagato un tributo fin troppo pesante per quello che hanno commesso". E i contenuti dell’emendamento della senatrice hanno incassato il plauso di Gennaro Migliore, Sottosegretario del Ministero della Giustizia secondo il quale un suo recepimento sarebbe opportuno. "Oggi si chiude definitivamente una pagina triste per il nostro Paese. Ma, siamo anche consapevoli che la partita non si chiude qui" ha detto senatrice Nerina Dirindin, capogruppo Pd in Commissione sanità e relatrice dell’indagine conoscitiva per "La sostenibilità del Ssn". "Ora si tratta di monitorare, accompagnare le Regioni in questo percorso e spingere per ulteriori miglioramenti, soprattutto servirà capire come e meglio riorganizzare i servizi sul territorio. L’approccio culturale è cambiato, si è superata la logica manicomiale - ha aggiunto Dirindin - ma ancora molto resta da fare per le persone con disagio mentale. Ed è su queste e sull’organizzazione dei dipartimenti di salute mentale e su una rete di servizi ‘forti’ di salute mentale sul territorio ed una effettiva inclusione sociale e lavorativa che va la nostra attenzione. Perché è su queste delicate problematiche che il Ssn deve avere uno scatto, uno sviluppo culturale e nostro compito sarà accompagnare questo processo". "A distanza di sette anni dall’avvio dei lavori della commissione d’inchiesta sugli Opg oggi salutiamo con grande soddisfazione un risultatoche dà conto di un alto senso di responsabilità e di un lavoro svolto in due legislature, attraverso l’impegno, le sinergie e le competenze del ministero della Salute, certo, ma anche di quello della Giustizia e dell’Interno, della Commissione Sanità in questa legislatura, nonché delle Regioni per gli aspetti organizzativi e dell’insostituibile, prezioso lavoro dei carabinieri del Nas" ha sottolineato il senatore Luigi D’Ambrosio Lettieri (Cor) ricordando che "la partita, però, non può definirsi chiusa". "I punti di criticità sono ancora numerosi e vanno affrontati - ha aggiunto - uno di questi, su cui credo sia necessario e urgente intervenire, è quello della capacità ricettiva delle Rems, da non considerare come un problema relativo al numero inadeguato di strutture. Il vero problema sta nella inadeguatezza dei percorsi di appropriatezza, in quanto il principio di infermità mentale giuridica non corrisponde molto spesso alle patologie mentali di cui si occupa il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Il problema della scarsa appropriatezza andrebbe posto all’attenzione dei soggetti interessati e andrebbe individuato uno strumento normativo efficace. Vanno messi dei paletti per garantire un corretto utilizzo delle Rems che non possono trasformarsi in strutture di tipo penitenziario con la polizia a fare da scorta: questo vanificherebbe quel percorso culturale che abbiamo intrapreso". A tracciare un quadro dettagliato dello stato dell’arte della fase di passaggio dagli Opg alle Rems è stato Franco Corleone, Commissario unico del Governo per superamento Opg. "Con la chiusura degli Opg abbiamo avviato il superamento della logica manicomiale e valutato le criticità che sono emerse nell’avvio delle Rems - ha detto - La riforma anche se contiene molte contraddizioni ha dimostrato che può funzionare grazie all’impegno del personale motivato dal partecipare ad una grande rivoluzione. Oggi sono presenti 570 persone. In questo periodo sono transitate 950 persone e ne sono uscite 415. Questo vuol dire che il rapporto con il territorio c’è. Non ci sono ergastoli bianchi. Soprattutto si esce dalla Rems. E questo è il dato significativo. Dobbiamo però rispettare il principio della territorialità assoluta, le persone devono essere ospitate nelle strutture che ricadono nella loro Regione di provenienza; ed anche il numero chiuso, non tutti possono entrare nelle Rems e rifiutare la pratica della contenzione". Corleone ha poi puntato i riflettori sulle criticità. "Dobbiamo evitare il rischio che la logica manicomiale si ripresenti in strutture che invece devono avere un carattere di ben diverso anche perché dalle Rems si deve uscire e non stare fino alla morte. Serve una modifica del codice penale per quanto riguarda le misure di sicurezza provvisorie e le infermità sopravvenute. Deve anche cambiate l’atteggiamento dei magistrati di cognizione che ancora prevedono il ricovero in Rems anche quando non né necessario andando contro la stessa legge. C’è poi un problema con perizie spesso "stravaganti e sciatte": il proscioglimento per incapacità di intendere e di volere va dato con rigore. Per questo credo che i magistrati debbano sempre chiedere un doppio parere. Ci sono poi grandi criticità per le donne che sono poche e rischiano di vivere in situazioni di promiscuità e di non ricevere le cure adeguate. "Ora dobbiamo governare il passaggio dalle Rems provvisorie a quelle definitive - ha aggiunto - un processo che potrebbe durare anche tre anni e il quesito su chi governerà questo passaggio è ancora aperto. Credo serva un organismo di monitoraggio e coordinamento, le Rems non possono essere abbandonate a loro stesse. Ora rispondono alle Asl di riferimento, ma questo è impensabile per persone con un disturbo psichiatrico messo in luce perché hanno operato un reato. Il tema è quindi superare questa contraddizione. Devono essere governate dalla Regione con un punto centrale di raccordo. Bisogna trovare un coordinamento efficace tra Regione, Stato e garante dei diritti delle persone. È un a bella avventura che si può realizzare aiutando i processi di rafforzamento della psichiatria sui territori". Il quadro regionale. Mila Ferri del Coordinamento tecnico delle Regioni ha infine fotografato gli scenari regionali. "A due anni dalla riforma, grazie ad un personale molto motivato, tutte le Regione hanno aperto almeno una Rems, ad eccezione dell’Umbria che ha stretto un accordo con la Toscana. E le esperienze italiane stanno facendo scuola in Europa. Nelle Rems c’è un buon turn over sicuramente più elevato degli Opg. Soprattutto dove c’è una forte regia regionale le cose vanno meglio: delegare tutto alle Rems non aiuta. Ci sono anche difficoltà dei Dsm ad accogliere misure di sicurezza non detentive per una non completa conoscenza della riforma, ed anche resistenze culturali e timori. Pericoloso poi l’incremento di misure di sicurezza. I magistrati tendono ad utilizzare queste misure più di prima, e a questo si aggiunge il problema dei periti che lavorano in autonomia. Inoltre il rapporto tra Ssn e magistrature di cognizione quando presente è frammentario e basato sull’urgenza. Non c’è poi una completa attuazione della regionalizzazione per le sezioni di salute mentale in carcere. Serve quindi una forte regia regionale, una formazione dei professionisti una relazione con gli enti locali e le comunità per confrontarci anche sui diversi modelli". "Proprio in queste giorni gli ultimi internati saranno dimessi dall’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto. Chiuderà finalmente l’ultimo manicomio giudiziario - ha infine ricordato Stefano Cecconi di Stop Opg - Così finisce la storia dei sei Opg italiani, l’ultimo baluardo manicomiale che era rimasto in funzione anche dopo la riforma Basaglia. In questi luoghi, che il Presidente Napolitano ha dichiarato orribili e indegni per un Paese civile, sono state internate migliaia di persone. Ma la battaglia non è finita. Ora si apre una nuova fase, che deve assegnare alle Rems un ruolo utile ma transitorio e anzi residuale. Non dobbiamo sostituire i ‘vecchi contenitori’ manicomiali, gli Opg, solo con questi nuovi luoghi, certo più decorosi ma pur sempre di detenzione. Ora, come prevede la riforma degli Opg - la legge 81/2014 - si deve puntare decisamente al potenziamento dei servizi di salute mentale e del welfare locale, costruendo così concrete alternative alla logica manicomiale, per affermare il diritto alla salute mentale e alla piena e responsabile cittadinanza per tutte le persone, senza distinzione, come vuole la nostra Costituzione". Legge per l’introduzione del reato di tortura, ritardo intollerabile di Giuseppe Filetto La Repubblica, 19 febbraio 2017 "La non introduzione del reato di tortura è un ritardo non più tollerabile". Lo dice Claudio Mori neo procuratore regionale per la Liguria della Corte dei Conti e l’auspicio pronunciato nell’austera cerimonia d’inaugurazione dell’anno contabile, dimostra come le lungaggini del parlamento rispetto all’approvazione di una legge che l’Europa attende da anni, sia ormai segno di una vera e propria negligenza della politica. Uno dei passaggi più significativi e suggestivi della relazione annuale della Corte dei Conti della Liguria riguarda in fatti il G8 genovese del 2001. In particolare le violenze sui manifestanti all’interno della caserma di Bolzaneto. "Tali trattamenti inumani e degradanti furono inflitti, collettivamente e ininterrottamente, per giorni - dice il presidente della sezione giurisdizionale Mario Pischedda - tanto che gli stessi sono stati correttamente definiti dalla Corte di Appello di Genova con il termine appropriato di tortura, definizione che, mancando lo specifico reato nel diritto penale italiano, si ricava da convenzioni internazionali, cui l’Italia ha aderito e dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo". Come dire: dal codice penale italiano manca questo reato, e persino i giudici contabili auspicano una sua introduzione. La Corte (un lavoro sviluppato da l procuratore Mori e dal suo predecessore Ermete Bogetti) ha contestato il danno erariale a 28 uomini delle forze dell’ordine: poliziotti, carabinieri ed agenti penitenziari che a Bolzaneto sottoposero "ad incredibili violenze fisiche e psicologiche, a trattamenti inumani almeno 258 persone, gran parte arrestate o fermate ingiustamente. La citazione è per 12 milioni, 7 per i risarcimenti alle vittime e 5 come danno d’immagine. Il processo inizierà l’8 marzo. Mori ha spiegato come fino a oggi, fosse punibile per danno d’immagine il dipendente pubblico che lasciava il suo posto di lavoro per andare a prendere il caffè al bar ma non il tutore dell’ordine che picchiava selvaggiamente una persona indifesa come accaduto al G8. "Da oggi, con l’entrata in vigore del Codice della giustizia contabile, forse si andrà oltre". L’analisi dell’ultimo triennio di attività della Corte documenta un aumento dei giudizi nel 2016 rispetto al 2015. Lo scorso anno il numero di procedimenti in carico alla Procura è stato di 3473. Ne sono stati chiusi 513, con una richiesta danni di quasi 18milioni di euro. La Sezione Giurisdizionale ha definito 85 "processi", oltre 2mila e 690 conti giudiziali e 87 ricorsi. Con sentenze di condanna che ammontano a 2milioni e 962mila euro. E però "sembra consolidarsi anche per il 2017 una massa consistente di denunce non adeguatamente trattate", per carenza di organico. Tanto che il procuratore regionale, Claudio Mori, non nasconde "il pericolo per quello che non è stato fatto... e perché non si è fatto". "Se si considera che un numero considerevole delle denunce pervenute, nuove e preesistenti, certamente contengono elementi che, verificati e sviluppati con l’opportuna attività istruttoria, potrebbero condurre alla introduzione di un giudizio di responsabilità, si comprende che per mancanza di risorse umane e materiali, una rilevantissima percentuale di denunce meritevoli di avere seguito, non vengono trattate o comunque essendo trattate con ritardi non arrivano alla fase di giudizio". Nasce l’associazione Stefano Cucchi: "Per dare voce a chi non ne ha" di Giorgio Caruso La Repubblica, 19 febbraio 2017 A più 7 anni dalla morte di Stefano Cucchi, e pochi giorni dopo la richiesta di processo per cinque carabinieri, è nata a Roma la Onlus ispirata al giovane arrestato nell’ottobre 2009 per droga e poi morto una settimana dopo in ospedale. L’Associazione Stefano Cucchi è stata presentata nel corso di una manifestazione alla Città dell’Altra Economia di Testaccio. Oltre alla famiglia Cucchi al completo (i genitori Giovanni e Rita, la sorella Ilaria), presenti anche artisti e personalità di spicco della società civile: dai giornalisti Lucia Annunziata e Riccardo Iacona, al magistrato Enrico Zucca, dal Garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasia all’avvocato storico dei Cucchi, Fabio Anselmo, fino ad arrivare ad artisti come Mannarino, Elio Germano, Zerocalcare, Chef Rubio. L’Associazione Stefano Cucchi onlus intende impegnarsi sul fronte dei diritti umani in Italia, per portare all’approvazione di una legge contro la tortura, per avviare iniziative sui temi degli abusi delle forze dell’ordine, dei diritti nelle carceri e per la tutela delle fasce più deboli della società Genitori lasciati soli con i figli. L’Italia deve invertire la rotta di Agnese Moro La Stampa, 19 febbraio 2017 La tragica vicenda del suicidio del ragazzo di Lavagna ci mette di fronte alla solitudine dei genitori nel compito delicato e difficilissimo di seguire i figli nella loro crescita e nel lungo e burrascoso periodo dell’adolescenza. Alle famiglie viene chiesto tanto (sostituire il welfare zoppicante, produrre valori, controllare comportamenti devianti) e dato molto poco, dallo Stato e dalla società. Se un figlio prende una strada non buona devi arrangiarti. Non sai che fare, a chi rivolgerti e sei solo. Se hai fortuna e un po’ di soldi puoi trovare professionisti seri che ti diano una mano; o avere sempre fortuna e vivere in luoghi con validi consultori familiari; in caso contrario rischi di mancare l’obiettivo. È per questo che mi sembrano così importanti quelle iniziative che cercano di non lasciare i genitori da soli con i loro problemi. Penso alla Rete senza fini di lucro "Prospettiva famiglia" di Verona, che collega diverse agenzie educative della città - scuole, associazioni, parrocchie, volontari - per dare un appoggio culturale, formativo e di consulenza. La loro Scuola per genitori e educatori tocca molti argomenti come la salute, la crescita cognitiva e emotiva, la devianza, i bullismi vecchi e nuovi e tanti altri. Il loro fare rete ricrea giorno dopo giorno un tessuto sociale, una città che abbia a cuore i giovani e i giovanissimi e che si prenda cura di coloro che stanno loro più vicino. Mi domando infatti - ed è un secondo elemento di riflessione che la storia di Lavagna, come purtroppo tante altre, ci propone - se la cura dei nostri bambini, ragazzi e giovani sia un affare che riguarda solo genitori, famiglie e addetti ai lavori o se non si tratti, invece, di un compito che coinvolge la società tutta e al quale abbiamo un poco rinunciato. Si vede da quello che pensiamo di loro e al posto che non gli diamo nelle nostre priorità. Esempi? Il non-lavoro e le responsabilità che non gli affidiamo. Ma non basta. Negli ultimi 13 anni ho avuto tantissime occasioni di incontro con giovani e giovanissimi. Si sorprendono se ti interessi di loro; sanno che di loro si parla molto e male, ma che non interessa a nessuno ascoltarli; sanno che gli vogliamo bene, ma non gli facciamo spazio, non ci fidiamo, non scommettiamo su di loro. È l’Italia. Appena escono di qui la musica cambia. Vengono apprezzati. Hanno successo. E li perdiamo. Se cambiassimo rotta? Sicilia: carceri affollate, l’ira dei detenuti. E uno denuncia "torture in cella" di Romina Marceca La Repubblica, 19 febbraio 2017 Celle che scoppiano, sistemi idrici inadeguati, niente riscaldamenti, carenza di psicologi e psichiatri e, adesso, anche il sospetto di torture tra le sbarre. È la fotografia, non proprio confortante, delle carceri siciliane. Anche se il Garante per i detenuti, Giovanni Fiandaca, frena: "Il problema vero è che il carcere è troppo applicato e da strumento educativo si è trasformato in strumento desocializzante. Intanto è giusto garantire i diritti ai detenuti e non si può indietreggiare". L’ultimo grido di allarme arriva dal Pagliarelli: un detenuto denuncia torture in cella. E subito il garante assicura: "Aspetto tutta la documentazione e poi deciderò se andare a trovare il detenuto". Lasciato nudo dalle guardie penitenziarie dentro una cella di isolamento: questo, tra gli altri orrori snocciolati in 23 pagine di denuncia ai carabinieri, è quanto Aldo Cucè racconta dalla sua cella. "Mi anticipano - spiega Fiandaca - che la vicenda si inserisce in un contesto caratterizzato da ripetuti comportamenti conflittuali col personale penitenziario e che gli stessi poliziotti hanno già presentato una denuncia per calunnia. Si vedrà". Salta sulla sedia, invece, il deputato regionale dem Pino Apprendi: "Sono tutti pazzi quelli che denunciano maltrattamenti al Pagliarelli? C’è il più alto tasso di isolati: ho già chiesto un’ispezione ministeriale". Delle ventitré carceri siciliane, nove sono in emergenza sovraffollamento. La situazione più drammatica, secondo gli ultimi dati riferibili al 2016, è quella del carcere di Piazza Lanza, a Catania, dove c’è quasi il 50 per cento in più di detenuti rispetto allo standard di normalità. A diffondere i numeri è Apprendi. "Anche a Giarre, Caltanissetta e Castelvetrano - spiega il deputato del Pd - le percentuali di sovraffollamento sono alte e oscillano fra il 35 e il 40 per cento". In provincia di Palermo il penitenziario con la situazione più delicata è quello di Termini Imerese, con il 28 per cento in più di detenuti rispetto allo standard. Il Garante dei detenuti Giovanni Fiandaca reputa le percentuali in media con i numeri nazionali: "Apprendi drammatizza una situazione siciliana che è meno a tinte fosche. Il sovraffollamento è nella media italiana, anzi un po’ al di sotto". Se c’è una vera emergenza, sostiene Fiandaca, è quella della mancanza di educatori, psicologi e psichiatri. "Circa la metà dei reclusi ha problemi che richiederebbero un supporto psicologico. E condivido anche il pensiero di Leoluca Orlando sulla legalizzazione delle "droghe leggere" che potrebbe decongestionare le carceri, affollate da detenuti per droga". Dieci giorni fa 350 detenuti del Pagliarelli hanno protestato per la mancanza di acqua e riscaldamenti ma anche per ottenere più di una telefonata alla settimana ai figli che hanno meno di dieci anni. "La protesta è giustificata in larga parte. I detenuti - spiega il Garante Fiandaca - lamentano trenta punti che in larga misura sono fondati. Alcune richieste in passato sono state comunicate al Dap. Ho inviato un’ennesima richiesta per intervenire concretamente e risolvere questi problemi. È già stato inviato un dirigente tecnico al Pagliarelli". Firenze: bufera sull’Opg di Montelupo ancora aperto "sprecati 8 milioni" Il Tirreno, 19 febbraio 2017 Per un internato non è stata trovata ancora una sistemazione e Totaro di Fratelli d’Italia attacca: "La Rems non sicura perché è senza sorveglianza adeguata e tre detenuti sono ora in ospedali". Una dismissione costellata di disagi. E con problematiche difficili da risolvere. La vicenda della chiusura dell’Opg, come hanno spiegato Achille Totaro, deputato dei Fratelli d’Italia, e Federico Pavese consigliere comunale di Montelupo Nel Cuore, contiene aspetti "che hanno dell’incredibile", come hanno detto all’uscita dalla villa medicea dell’Ambrogiana. I due politici hanno visitato ieri mattina la struttura a pochi giorni dalla storica chiusura. Ancora l’Opg non è stato svuotato del tutto. "Dentro c’è ancora un detenuto perché non è stato trovato posto nella Rems di Volterra - spiegano Totaro e Pavese - poi le celle che abbiamo visitato, nelle ex scuderie, sono state tutte ristrutturate, siamo di fronte a un carcere all’avanguardia dove sono stati spesi otto milioni complessivamente, con l’impianto di aspirazioni fumi e che verrà chiuso quando invece a pochi chilometri abbiamo un altro carcere, quello di Sollicciano che si trova in condizioni disastrose". "E non è affatto vero - vanno avanti il deputato e il consigliere comunale - che il Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) ha speso questi soldi di sua iniziativa, gli interventi sono stati decisi dal ministero". "Una parte della villa, le ex scuderie in questo caso, dovrebbe rimanere con una destinazione carceraria - aggiungono - per detenuti a fine pena che potrebbero lavorare alla manutenzione del complesso. Oppure la struttura potrebbe essere destinata a Rems". Mentre, invece, attacca Pavese "ancora non si è capito che cosa verrà fatto all’interno della villa". Ci sono poi le Rems che ancora non sono a regime. "Quella di Volterra ha già più ospiti di quelli che potrebbe accogliere - spiega Totaro - ma presenta anche problemi di sicurezza. All’interno c’è un addetto di un istituto di vigilanza che in caso di problemi con gli internati deve chiamare le forze dell’ordine che tra l’altro non hanno l’esperienza adeguata per gestire queste persone a differenza di chi ha lavorato nell’Opg. Tra l’altro nella Rems si è ricominciato a fare contenzione, cosa che non veniva più fatta a Montelupo". Tra l’altro, come spiega il deputato, "abbiamo due internati ricoverati nel reparto di psichiatria di Empoli e uno a Ponte a Niccheri. Le tre persone vengono controllate 24 ore su 24 da agenti di polizia penitenziaria con grande dispendio di soldi pubblici". Infine il capitolo degli agenti di polizia penitenziaria che ancora a Montelupo sono una quarantina. "Una parte sono stati già trasferiti - spiega Totaro - gli altri ancora non sanno quale sarà la loro destinazione". Palermo: avvocati in allarme "troppe minacce da parte dei clienti" di Romina Marceca La Repubblica, 19 febbraio 2017 "E in aula alcuni giudici ci trattano male". Cambiato il rapporto con i boss imputati. Toghe in agitazione dopo le minacce a Maurilio Panci. Minacce, sguardi sospettosi da parte dei clienti. Di certo la figura dell’avvocato ha perso quella rispettabilità di un tempo. È inutile negarlo, c’è stato un cambiamento di prospettiva. Anche di questo si è parlato nell’assemblea di ieri nell’aula della Corte d’assise di appello. "Il nostro rapporto con gli assistiti è lo specchio della società. Prima spiega Giovanni Castronovo che tra i suoi clienti annovera anche alcuni mafiosi - l’avvocato godeva di stima e rispetto, adesso il rapporto con l’avvocato è diventato conflittuale anche sulle scelte processuali. Tra noi colleghi non c’è unità, ognuno di noi guarda al proprio orticello". Bistrattati, a volte ripresi anche in aula dai loro clienti. "Durante l’udienza spesso veniamo anche stigmatizzati dai giudici spiega Castronovo - e questo non fa altro che ledere la nostra immagine agli occhi del cliente. Anche i mafiosi sono diversi. Prima non cambiavano avvocato fino alla morte, adesso veniamo scaricati alla prima incomprensione. Siamo come limoni, spremuti e buttati via. E se non arriva il risultato abbiamo anche difficoltà ad essere remunerati". Il penalista Maurilio Panci dieci giorni fa ha ricevuto una lettera intimidatoria, dentro alla busta c’era anche un proiettile. Le minacce facevano riferimento all’omicidio Fragalà: "Farai la stessa fine". Proprio ieri l’avvocato Panci ha avuto l’ok dalla questura per il porto d’armi. All’assemblea di ieri Panci era presente: "Se qualcuno voleva che venissi meno al mio dovere si è sbagliato di grosso. Vado avanti per la mia strada". Il clima è rovente, gli avvocati lanciano l’allarme. Non possiamo piegarci davanti alle minacce. Andremo dritto per la strada del dovere. È bene - ribadisce Francesco Greco - che lo sappia chi vuole intimidire gli avvocati. A noi la toga non la può togliere nessuno dalle nostre spalle. Denunceremo all’autorità giudiziaria qualunque pressione. A noi non arriva mai solidarietà da nessun rappresentante dello Stato, adesso lo pretendiamo se davvero remiamo tutti nello stesso verso. Dopo sette anni dall’omicidio Fragalà ancora aspettiamo i colpevoli e che si riconosca Fragalà vittima del dovere e della criminalità". Martedì mattina nell’atrio del palazzo ci sarà una manifestazione silenziosa di avvocati con le toghe addosso. "Un segnale per la comunità, noi ci siamo", dice Francesco Greco. Mauro Torti, per anni nello studio di Enzo Fragalà, già prima della morte del penalista lasciò lo studio. "Ho cambiato dopo anni di carceri e marciapiedi, ho deciso di seguire aziende, grandi imprese e ordine dei medici. L’omicidio di Enzo è stato un fatto dirompente che ha cambiato tutti noi. Non c’è di certo più quel rispetto nella figura del legale. Il prestigio è stato perso soprattutto con l’inserimento del gratuito patrocinio che ha svilito la professione dell’avvocato". Rincara la dose Ninni Reina: "Siamo il parafulmine di tutto ciò che non va. Il giudice ha il paravento della sentenza, noi rappresentiamo la richiesta di giustizia. Questo è il convincimento diffuso. Dobbiamo resistere a tutti i tentativi di intimidazioni". Di minacce Roberto Giacomo Greco ne ha ricevute parecchie in questi ultimi anni. Racconta: "Avevo assistito una coppia di migranti che poi andarono in America, il processo fu vinto in Cassazione ma per recuperare i soldi in sede civile è stata dura. In studio spuntarono a sorpresa i condannati per truffa. Se avessi intrapreso procedure per il recupero del credito mi avrebbero fatto passare i guai, mi intimarono. Andai avanti per la mia strada. Qualche tempo dopo, poi, mi successe dell’altro: qualcuno arrivò e mi chiese i soldi per i carcerati per ben due volte. Denunciai tutto". Tra i decani della professione c’è il penalista Roberto Tricoli. "I rapporti, è vero, a volte sono incontrollabili. Nella mia esperienza professionale, però, posso dire che ho cercato sempre di mettere il tavolo tra me e l’assistito. Questo, probabilmente, mi ha messo al sicuro da sgradevoli esperienze". Roma: nella Capitale il no-profit sociale è un nemico, tutti sotto sfratto di Gaia Giuliani Il Fatto Quotidiano, 19 febbraio 2017 Lo stadio, certo. Le Olimpiadi, ovviamente. E le nomine, le polizze, il presunto abuso d’ufficio, ça va sans dire. A Roma, però, ci sarebbero anche altri problemi: circa 300 tra associazioni, centri culturali, realtà non profit - che spesso assolvono funzioni che il Comune non può o non vuole garantire - rischiano di essere sfrattati. Qualcuno, in realtà, è già in mezzo alla strada (è successo questa settimana ai Forum dell’acqua e altre associazioni). Messa alle strette dalle proteste, la Giunta ha promesso - giovedì - una moratoria sugli sgomberi in attesa di trovare una soluzione. Andiamo con ordine. Il casus belli è la delibera 140 approvata dalla giunta Marino a seguito dello scandalo Affittopoli (quello degli appartamenti in centro a pochi euro al mese): il fine era riacquisire in tempi rapidi i beni immobili del Comune e farli fruttare. La Corte dei Conti minaccia, in caso contrario, di perseguire il relativo danno all’Erario. Caduto Marino, tocca al prefetto Francesco Paolo Tronca attuare la delibera: partono le prime richieste di sgombero. Una breve sospensione elettorale e, eletta Virginia Raggi, si riparte. Nel calderone degli sfratti, però, finisce chiunque: buoni e cattivi, chi ha lucrato sui canoni agevolati e chi, come molte realtà virtuose, lavora da anni per la città. Tre giorni fa l’assessore al Bilancio, Andrea Mazzillo, ha promesso che la Giunta concederà una tregua che, per ora, non c’è. Servirebbe un Regolamento che preveda alcuni distinguo per chi opera nell’interesse pubblico, come scritto peraltro nella delibera Marino. Finora, però, non esiste e la bozza elaborata dai 5 Stelle - e visionata dal Fatto Quotidiano - non è un buon viatico per il futuro: un atto autoritario, lamentano molti interessati, lontano dalla stessa proposta sui Beni comuni presentata nel 2015 dall’allora consigliera Raggi, che bocciava il modus operandi "autoritativo" per sostituirlo con pratiche di concertazione condivisa. Anche dopo l’approvazione del Bilancio la sindaco affermò che "Roma è una città solidale che investe sul sociale". Problema: dalla bozza del nuovo Regolamento non sembra. Intanto le condizioni per la concessione sono "disposte unilateralmente dall’Amministrazione". Nel testo, l’interesse economico è chiaramente anteposto a quello sociale: vince chi fa l’offerta più vantaggiosa "sulla base del miglior rapporto qualità-prezzo"; diminuisce lo sconto rispetto al prezzo di mercato (dall’80 al 70%) per chi opera nel sociale; per molte associazioni, infine, sarà impossibile in ogni caso partecipare ai bandi di gara visto che chi è ritenuto non in regola deve versare tutti i canoni arretrati al valore di mercato in un colpo solo; altra norma taglia-gambe è quella che prevede, per chi ottiene gli spazi, una caparra del 10% (con fideiussione bancaria) sul valore totale della concessione. Abbiamo chiesto all’assessore Mazzillo di spiegarci queste novità - anche per iscritto - ma finora non ci ha risposto. Sono tante piccole storie che diventano enormi in una città così malmessa. Tra le associazioni a rischio, per dire, c’è Viva la vita, che assiste i malati di Sla (vedi l’intervista qui sotto) o il Grande Cocomero, un centro per la cura di bambini e ragazzi in difficoltà voluto da Marco Lombardo Radice e celebrato in un film. Ci sono i casi paradossali. Il Telefono Rosa che ogni anno aiuta più di mille donne con consulenze legali gratuite, sostegno psicologico e altro ancora - è in regola coi versamenti, ma ha il contratto scaduto non per sua colpa: richiesto lo sgombero. Idem per l’associazione Leda Colombini che da 23 anni assiste i figli delle detenute di Rebibbia portandoli fuori dal carcere grazie ad un pulmino Atac concesso dal Comune. Ha anche realizzato un campo di pallavolo all’interno del carcere. E ancora: l’istituto Leonarda Vaccari aiuta i disabili dando supporto medico, psicologico, pedagogico con assistenti sociali, terapisti, educatori, pensando anche al loro inserimento lavorativo. Occupa un intero edificio e non avrà il rinnovo dello spazio: anzi, il Comune chiede 60 mila euro mensili di canoni arretrati. Poi c’è la Polisportiva Casal bruciato - Carlo Levi, anch’essa non profit: boxe, arti marziali e altre attività per i ragazzi di un quartiere disagiato. Viene da qui Emiliano Salvini, pugile quattro volte campione dei pesi Gallo e chi ha problemi non paga, come i minorenni del carcere di Casal del Marmo grazie ad un accordo col ministero. L’elenco è lungo e comprende centri sociali (Esc, Auro e Marco, Corto Circuito, Scup), l’Associazione laziale per i motulesi, l’Unms per gli invalidi, musei come il Burcardo, trasferito parzialmente all’Eur, l’Accademia filarmonica romana, il frequentatissimo mercato contadino a chilometro zero del Circo Massimo e ancora e ancora. Novara: cori e petardi fuori dal carcere, presidio degli attivisti anti 41-bis di Roberto Lodigiani La Stampa, 19 febbraio 2017 Ieri la protesta di cinquanta manifestanti del collettivo "Olga". I manifestanti erano nello spiazzo compreso tra le vie dell’Abbadia e Sforzesca a ridosso del muro di cinta del carcere di Novara. Ha fatto tappa ieri pomeriggio anche a Novara la campagna "Pagine contro la tortura" organizzata dal collettivo "Olga", Ora di liberarsi delle galere. Una cinquantina di manifestanti è stata "contenuta" senza possibilità di spostamento nello spiazzo compreso tra le vie dell’Abbadia e Sforzesca, a ridosso del muraglione di cinta del carcere di massima sicurezza. Con un potente impianto di amplificazione i presenti hanno voluto "solidarizzare con i detenuti sottoposti al regime del 41 bis". Tra gli ispiratori del presidio iniziato alle 14 è stato l’ex brigatista Paolo Maurizio Ferrari. Ha impugnato il microfono per indirizzare un messaggio ai reclusi: "Ciao, siamo qui per portare solidarietà a tutti quelli che sono rinchiusi a causa dell’articolo 41 bis. Maledetto chi nel 2001 quell’articolo l’ha inventato. Salutiamo in particolare Edoardo, che trasferito da poco tempo a Novara per i fatti avvenuti ad ottobre a Ivrea, è tuttora tenuto in isolamento". Gli interventi sono stati inframmezzati dagli intervalli rumorosi: contro le paline di supporto della prima rete perimetrale del carcere, sono state battute in modo ritmato pietre e oggetti metallici. Petardi sono stati lanciati a più riprese verso il personale di ronda sul camminamento murario. Le motivazioni della protesta fanno riferimento anche ai libri negati: "Da quasi un anno chi è sottoposto al 41bis non può più ricevere libri, né qualsiasi altra forma di stampa". I libri negati - Per fare comprendere cosa significhi per un detenuto la privazione della lettura, è stata citata la lettera della partigiana arrestata dalle SS nel 1943 Bianca Ceva: "Dopo mesi mi è stata data l’opportunità di avere un libro di Jules Verne. Quelle righe mi sono sembrate una boccata di libertà". Gli striscioni dei manifestanti erano molto espliciti: "41bis=tortura", "Fuoco alle galere che ospitano la sezione 41bis". Il commento finale: "Le pessime condizioni di reclusione in cui versa anche la sezione a 41bis, hanno portato il Garante dei detenuti delle carceri piemontesi a chiederne la chiusura". Benevento: "Non solo carcere", dall’edilizia al reinserimento sociale ilvaglio.it, 19 febbraio 2017 Riuscita e partecipata iniziativa della Lega Italiana per i Diritti dell’Uomo sul tema della condizione carceraria e della tutela dei diritti dei detenuti. Il dibattito è stato propiziato dalla presentazione del libro "Non solo carcere", a cura dell’architetto Domenico Alessandro De Rossi: nel volume, con un interessante approccio interdisciplinare, vengono trattati vari aspetti connessi all’edilizia penitenziaria, per evidenziarne, soprattutto la totale inadeguatezza alle necessità di recupero sociale dei reclusi. In apertura dei lavori i saluti dei rappresentanti degli Ordini professionali Franco Cardone (ingegneri), Michele Orsillo (architetti) e Francesco Del Grosso (avvocati) che, unitamente alla Provincia di Benevento, hanno patrocinato il convegno. A seguire, ricorda la nota diffusa alla stampa, le relazioni di Giuseppe Iadarola, architetto e responsabile del "progetto carceri" della Lidu, e Maria Luisa Palma, Direttrice della Casa Circondariale di Benevento. Molto apprezzati gli interventi dell’autore del libro e di Rita Bernardini, già parlamentare del Partito Radicale, da sempre impegnata in prima linea nella difesa dei diritti umani dei detenuti, e attualmente in sciopero della fame per sollecitare la rapida approvazione, da parte del Parlamento, della riforma del sistema penitenziario. Il dibattito, moderato da Luigi Diego Perifano, Presidente della Lidu di Benevento, è stato ripreso in modalità audio-video da Radio Radicale. In precedenza una delegazione della Lidu ha accompagnato Rita Bernardini nella visita presso il penitenziario di Benevento: sono state verificate le condizioni della vita carceraria all’interno della struttura, che non presentano particolari criticità, e sono state raccolte varie istanze su problematiche attinenti il fine pena ed il reinserimento sociale dei detenuti. Reggio Calabria: quattro detenuti faranno i volontari nel canile di Rossano di Martina Forciniti ecodellojonio.it, 19 febbraio 2017 Ideato un progetto di reinserimento lavorativo e reintegrazione dei detenuti del carcere di Rossano (Rc). Che verranno reimpiegati quali volontari nel canile comunale. Affinché acquisiscano competenze e conoscenze professionali utili nella fase post detentiva. E, inoltre, favorendo la razionalizzazione della spese e il miglioramento delle prestazioni. In special modo di quei settori che richiedono maggiori risorse umane. Sono, questi, gli obiettivi della convenzione sottoscritta agli inizi del mese dal Primo Cittadino Stefano Mascaro e il Direttore della Casa di Reclusione di Rossano Giuseppe Carrà. E che prevede appunto l’impiego, a titolo volontario e gratuito, di 4 detenuti al canile municipale. A comunicarlo sono l’assessore al personale e politiche sanitarie, sicurezza e legalità Dora Mauro e quello all’ambiente Giovanni De Simone. Informando che il progetto, condiviso anche con l’assessore alle politiche sociali Angela Stella è partito lo scorso lunedì 13 febbraio con 2 detenuti. "Quello che abbiamo condiviso con la direzione della Casa di Reclusione è un approccio diverso rispetto al tradizionale sistema repressivo. Siamo certi che iniziative come queste possano far accrescere nel detenuto un maggiore senso di responsabilità e rispetto delle regole. Promuoviamo insieme cultura della legalità e della solidarietà. Come antidoto culturale alla delinquenza ed alla criminalità. È soltanto l’avvio di un progetto pilota. Che intende coniugare - concludono - la tutela e salvaguardia dell’ambiente al sociale. E, in particolare al reinserimento lavorativo dei detenuti attraverso lavori che tornino utili alla comunità. L’attività si svolgerà tutti i giorni dalle ore 8 alle ore 11,30. I volontari, seguiti da un responsabile, si occuperanno della nutrizione, della pulizia e della cura, anche sanitaria, degli animali. La Casa di reclusione si è fatta carico di individuare e selezionare i detenuti idonei ad essere ammessi al lavoro all’esterno. Trento: detenuti visitano la mostra "Fratelli e sorelle. Racconti dal carcere" al Diocesano di Caterina De Benedictis Corriere del Trentino, 19 febbraio 2017 "Gli alberi di inverno hanno un grande futuro". Sono le parole di una breve poesia, pronunciata dalla direttrice del museo diocesano trentino, Domenica Primerano, che ieri ha ospitato sei detenuti del carcere di Spini di Gardolo, accompagnati dagli operatori e dai volontari dell’Apas, in visita alla mostra "Fratelli e sorelle. Racconti dal carcere". "La mostra dà una visione storica di ciò che il carcere è oggi - commenta un volontario dell’Apas, Giulio Thiella - Il percorso che il museo ha creato unisce fotografie e filmati, reperti antichi e opere moderne, richiamando a tratti l’atmosfera claustrofobica del carcere". Per le stanze del museo i sei detenuti in permesso di uscita hanno osservato le fotografie, guardato i filmati e, insieme ai volontari, commentato e discusso le opere della mostra. Di fronte alle stampe del 700 di Giovan Battista Piranesi la reazione è stata forte. "Sono delle immagini antiche, ma mostrano dei posti tristi, desolati e inquietanti come quelli che ci sono nelle carceri di oggi", è la riflessione di Matteo (nome fittizio). Una seconda stanza racchiudeva le tele dell’artista Sergio De Carli, che ha riportato semplicemente delle parole tipiche del gergo carcerario, come domandina, professore, mastino, grillo, cicala. Tutte parole che nel mondo del carcere assumono un significato diverso da quello comune. E questo i ragazzi in visita al museo lo sanno benissimo e subito infatti sono stati in grado di decifrare il linguaggio dell’artista. "I ragazzi delle scuole che ospitiamo non capiscono mai perché alcune parole siano riportate sulle tele - spiega la guida della mostra - È un indice di quanto la nostra società tenda a tenere separato il carcere dal resto del mondo". Nella stessa stanza, affissa ad un muro, una piccola targa. Su di essa si legge: 31.12.9999, il simbolo del "fine pena mai", dell’ergastolo. "Quando sulle condanne scrivono 9999 come anno di fine pena sembra che ci stiano prendendo in giro - dice Flavio (nome fittizio) - È un modo ingiusto di comunicare a qualcuno che dovrà passare il resto della sua vita in carcere". Riflessioni profonde e commenti duri, che trovano un momento di quiete nella visione del documentario "Voci e silenzio", di Juliane Biasi Hendel e Sergio Damiani. "Il carcere può sembrare un luogo silenzioso, ma basta entrarci per capire che invece vive delle voci e delle storia di chi lo abita", commenta Giulio Thiella. "Bisogna accompagnarli in un percorso di consapevolezza - conclude Primerano. Hanno sbagliato, ma pagare non significa vendicarsi". Napoli: domani incontro tra detenuti e scrittori per il progetto "La lettura libera" linkabile.it, 19 febbraio 2017 Domani, lunedì 20 febbraio, presso il carcere di Secondigliano proseguiranno gli incontri tra detenuti e scrittori previsti dal progetto "La lettura libera", portato avanti dall’Associazione "La Mansarda" di Samuele Ciambriello. Dopo il dibattito con Lorenzo Marone, che il 23 gennaio ha incontrato una quarantina di detenuti dell’Alta Sicurezza per discutere con loro del suo libro "La tentazione di essere felici", domani gli autori presenti saranno due: Rosanna Di Crosta Landi, autrice del toccante libro "I giorni dell’assenza" e Raffaele Sannino, autore della raccolta di poesie "Bum! Bum! Song nat a Furcella e sul na poesia me po’ salvare"; sarà inoltre presente Giovanni Nappi, presidente del consiglio comunale di Casalnuovo e ideatore del progetto "Una città che scrive", che ha dato la possibilità a Sannino di pubblicare il suo libro. Entrambi i libri sono stati presentati e regalati ai detenuti nelle scorse settimane, nel corso degli incontri settimanali che il presidente Samuele Ciambriello e le volontarie hanno con un gruppo detenuti dell’Alta Sicurezza e durante i quali oltre ai libri vengono presentati anche dei cortometraggi, spunto di riflessioni e brevi dibattiti. Scopo dell’iniziativa è infatti dare la possibilità ai detenuti di arricchirsi e ritrovarsi, mediante le riflessioni scaturite dalla lettura di un buon libro, dalla visione di un cortometraggio e ancor di più dal confronto con gli autori, ai quali hanno la possibilità di rivolgere le proprie domande e osservazioni, diventando protagonisti del progetto e non semplici destinatari dello stesso. Lecce: "Fischietto oltre il muro", 12 detenuti diventano arbitri di calcio a 5 Corriere Salentino, 19 febbraio 2017 Si è concluso il corso di formazione per arbitri di calcio, 12 giovani detenuti, dai 25 ai 35 anni, hanno ritirato l’attestato di direttori di gara, le divise e i fischietti. È successo all’interno della casa circondariale di Lecce, grazie al progetto del Centro Sportivo Italiano "Fischietto oltre il muro". L’iniziativa del Csi di Lecce, promossa nel quadro delle iniziative organizzate per il Giubileo della Misericordia attraverso lo sport, ha l’obiettivo di migliorare la vita dei detenuti e la loro condizione psicofisica, al fine di contribuire a favorire un adeguato reinserimento nella società, una volta scontata la pena. Due ore a settimana per un totale di 30 ore, tanto è durato il corso di formazione durante il quale gli aspiranti arbitri hanno imparato le regole del calcio, per rispettarle e farle rispettare. Le giornate di lavoro si sono svolte alternando la teoria alla pratica, direttamente sul campo di calcetto all’interno della casa circondariale. Il progetto, nato per volere di Marco Calogiuri, Vice Presidente Nazionale e presidente del Centro Sportivo Italiano di Lecce, è stato accolto con grande entusiasmo dai vertici del Carcere di Borgo San Nicola. Lecce è l’unica città del Sud d’Italia in cui questa iniziativa si è svolta, le altre città sono state Milano, Torino, Padova, Bologna e Roma, da cui è partito il progetto pilota all’interno del carcere di Rebibbia. L’attività all’aperto ha una grande valenza per chi è abituato a stare all’interno della cella - dice Giuseppe Renna, vice direttore della casa circondariale di Lecce - Il carcere deve soprattutto rieducare alla vita. Tutte le nostre iniziative sono rivolte a questo. È per questo motivo che abbiamo accolto con interesse e disponibilità il progetto "Fischietto oltre il muro". Sarebbe il massimo se i detenuti potessero uscire, naturalmente con le dovute misure di sorveglianza, per arbitrare le partite del Csi, ma affinché ciò avvenga, oltre a seguire un certo percorso con un adeguato trattamento, il detenuto deve avere l’autorizzazione del Tribunale di Sorveglianza. Noi comunque - conclude Renna. Ci attiveremo affinché ciò avvenga. Il progetto è ha preso vita all’interno della collaborazione tra il Ministero di Giustizia ed il Coni, un Protocollo d’Intesa che mira a promuovere i percorsi stabili di pratica ludico - sportiva e formativa mirata al coinvolgimento della popolazione carceraria, con l’obiettivo di migliorarne le condizioni di vita e lo stato psico-fisico del detenuto; favorirne la rieducazione a valori etici e sociali; fornire strumenti di qualificazione tecnica utili al reinserimento lavorativo a pena scontata. "Far entrare lo sport in carcere per migliorare la vita dei detenuti, è sempre stato un sogno per il CSI - spiega Giovanni Camerino del Csi di Lecce - Il Centro Sportivo Italiano promuove lo sport come momento di educazione, di maturazione umana, di impegno e di aggregazione sociale perché si ispira alla visione cristiana dell’uomo, mettendosi al servizio delle persone e soprattutto a quelle che Papa Francesco chiama periferie umane. Nelle diverse giornate formative - continua Camerino - questi giovani hanno imparato le regole del gioco del calcio, per rispettarle e farle rispettare, esattamente come si deve fare nella vita di tutti i giorni. Auspichiamo, con il doveroso consenso della direzione del penitenziario e con la necessaria gradualità, che questi ragazzi possano arbitrare le partite che si svolgeranno all’interno delle mura dell’Istituto, ove intendiamo realizzare un gruppo sportivo del CSI e speriamo che, successivamente, possano anche dirigere le partite dei campionati del C.S.I. della nostra provincia". Striano: "Salvare i ragazzi? Si può fare anche a Napoli" Corriere del Mezzogiorno, 19 febbraio 2017 L’attore, ex detenuto: "Sbagliato trasferire i figli dei boss in altre città La battaglia si combatte qui, per questo vivo ancora nei Quartieri". Verso Roberto Saviano: "Non si può combattere il male da lontano, non si può combatterlo da New York". Lui invece lo fa dai vicoli "dove ancora vengono ragazzini minorenni a chiedermi dieci euro, guaglioni sbandati che non hanno nemmeno un clan alle spalle e che, per questo, sono ancora più pericolosi". Striano, a Napoli i giudici minorili ne hanno sottratti alcuni ai genitori e li hanno trasferiti al Nord in case-famiglia per salvarli. Condivide? "Onestamente no, nel senso che allontanare i ragazzi dalla città mi sembra l’ammissione di una sconfitta delle istituzioni. È come se noi napoletani dichiarassimo che abbiamo fallito e che questa città non ha speranza. Invece basterebbe trasferirli in altri quartieri. Io non amo le case-famiglia perché ritengo che rappresentino sempre una specie di semi-galera, sull’argomento sto scrivendo il mio terzo libro "Giù la maschera". Bisognerebbe invece che i ceti più abbienti si occupassero di aiutare i ragazzi, ma facendolo qui a Napoli". Insomma, la borghesia napoletana dovrebbe impegnarsi di più. Secondo lei fa troppo poco? "Sì perché non è una borghesia innocente. Non ha etica ma solo un perbenismo di facciata. Ci sono commercianti che temono la Finanza perché controlla gli scontrini fiscali, professionisti che chiudono un occhio o aiutano i criminali, poi incassano i loro soldi senza emettere fattura e sanno benissimo che si tratta di denaro sporco. Il quadro è questo. Ecco perché è più semplice portare lontano da Napoli. Il sindaco de Magistris crede fortemente nelle realtà associative, sbaglia? "In linea generale no. Ma deve smetterla di occuparsi solo del lungomare liberato. Ora liberi i Quartieri spagnoli, la Sanità, San Giovanni, Barra e Ponticelli. Prenda il coraggio a due mani e continui a fare il pm come una volta. Colpisca il riciclaggio e i tanti che lucrano con la camorra". Quando la rivedremo sul grande schermo? "Presto. Con Fortunato Cerlino sto girando Falchi di Tony D’Angelo, il figlio di Nino. Ovviamente farò il cattivo. Mai una volta che mi facessero interpretare un poliziotto...". Salvatore Striano: "Racconto il mio riscatto attraverso l’arte" di Paolo Ghisleni bergamonews.it, 19 febbraio 2017 Nell’ambito del festival letterario "Presente prossimo", sabato 18 febbraio alle 18 al centro civico "Cento Passi" a Casirate d’Adda l’attore e scrittore presenterà il suo nuovo libro, "La tempesta di Sasà". Salvatore Striano arriva a Casirate d’Adda. L’attore, già protagonista dei film "Gomorra" di Matteo Garrone e "Cesare deve morire" dei fratelli Taviani, presenterà il suo nuovo libro, "La tempesta di Sasà" sabato 18 febbraio alle 18 al centro civico "Cento Passi", nell’ambito del festival letterario "Presente prossimo". Il romanzo racconta il riscatto di Striano attraverso l’arte: ex detenuto, ora scrittore e attore affermato, ha cominciato una nuova vita scoprendo la letteratura e il teatro. Bergamonews lo ha intervistato per conoscere meglio la sua storia e la sua nuova pubblicazione. Come è nato il libro? Prima de "La tempesta di Sasà" ho scritto un altro libro, "Teste matte", che racconta le mie vicissitudini, le mie false partenze, i miei errori, il veleno che avevo in corpo. Per una questione di pari opportunità e di giustizia, in questa nuova pubblicazione ho scritto del passaggio che ho vissuto, il riscatto di un uomo attraverso l’arte, che va oltre ai muri, alle sbarre e all’essere rinchiuso in un carcere. Insomma, questo è un "libro medicina": ho sentito l’esigenza di scrivere sia per me, per raccontare come ho trascorso l’esperienza carceraria, sia per i futuri carcerati e per gli studenti. Come è stata l’esperienza del carcere? Ho conosciuto diversi istituti penitenziari: il carcere minorile a Napoli, Poggioreale, Secondigliano, ma anche in Spagna, a Madrid, e a Roma. Da ragazzo facevo parte di una banda di giovani mariuoli, le "Teste matte" che, in seguito a estorsioni, ha combattuto un gruppo di camorristi utilizzando le loro stesse armi. Dopo essere fuggito in Spagna, venni arrestato dall’Interpol e successivamente fui trasferito a Roma: il mio vissuto da recluso ha due facce: quella di Madrid, dove il trattamento è più umano, e quella romana. E in che condizione versano le carceri italiane? Il carcere italiano è una vergogna, un sistema fallimentare che non funziona perché ci sono regole antiquate, mancano gli strumenti e la volontà di rinnovare: comandano le guardie e non insegnanti competenti che possano rieducare o istruire. In quel contesto, eccezionalmente possono uscire dei Salvatore Striano. Lei è riuscito a farcela. Grazie alla letteratura, alla biblioteca e ai libri ho potuto arricchire il mio linguaggio e sistemare pian piano ciò che non andava nella mia vita. Grazie ai libri, al teatro e al palcoscenico, ma non grazie alle guardie, alle celle o a tutto il resto. Anzi, se ho qualche segno sul corpo è perché qualche volta ho incontrato guardie cattive: qualche naso storto o qualche taglietto sulla testa ce l’ho pure io. Inoltre, quando mi ritiravo in cella dopo aver lavorato o partecipato ad attività teatrale, mi sentivo un privilegiato rispetto ai reclusi che non avevano la possibilità di studiare, lavorare o fare teatro, e dover fare classifiche tra detenuti che vivono le stesse problematiche è una doppia vergogna. Solitamente non si sente parlare molto di questi problemi. Il fatto che su tv e giornali non venga raccontata la reale situazione delle carceri fa sì che le persone pensino che sia giusto che i detenuti siano ammassati e che non abbiano nessuna opportunità. In diversi casi, invece, entri a debito, dopo la condanna, e diventi "a credito" per il trattamento subìto: le guardie non denunciano le guardie violente e non aiutano gli insegnanti e gli operatori di teatro a far funzionare il carcere. Lo conferma il fatto che dopo dieci anni non si conosca la verità sul caso Cucchi. Bisogna cambiare sia la modalità di accesso all’incarico di guardia sia l’organizzazione: la vita non è facile nemmeno per le guardie carcerarie, specialmente per quelle fuori sede, rinchiusi con turni di 12 ore e lontano dai propri affetti. Arte e cultura che ruolo possono avere in questo contesto? Disarmano. Attraverso la lettura e lo studio impari a non cadere nelle provocazioni. Ci sono stati diversi autori che mi hanno dato molto, come Dante, che mi stava antipatico perché non l’ho trovato misericordioso ma mi ha trasmesso molte informazioni, e poi Eduardo De Filippo, William Shakespeare e altri autori, che ho scritto nel mio libro. Anche il teatro ha avuto un ruolo fondamentale per il mio riscatto: sul palcoscenico ho guardato per la prima volta il pubblico negli occhi e gli spettatori mi hanno guardato. Trasmetto emozioni e mi è piaciuto il loro sguardo con gli occhi brillanti. E come l’ha trasformata la recitazione? Mi ha fatto sentire lo schifo per tutto ciò che avevo fatto in precedenza e mi sono accorto che se prima mi fossi maggiormente dedicato alla cultura avrei evitato tante situazioni. Ho sviluppato, poi, una grande fame per la letteratura e il teatro, ho arricchito il mio bagaglio culturale, come mi comporto, come reagisco e come mi esprimo. È un’esperienza che può essere utile per tante altre persone… Si, ad esempio, nelle carceri ci sono molte compagnie teatrali e molti detenuti che praticano cultura e quando escono non vogliono tornare a delinquere. Il teatro e la letteratura sono attività curative, che aprono gli occhi e non ti fanno più cadere. Per questo aveva parlato di "libro medicina"? "La tempesta di Sasà" è una medicina per chi lo legge. Io l’ho già presa: l’ho scritto per aiutare a uscire dalle proprie prigioni. È un romanzo salvifico, per chi pensa che sia finita, chi vive un disagio, depressione e abbattimento. Ci sono persone cadute che preferiscono rimanere a terra e raschiare il fondo anziché rialzarsi: se leggi col cuore il libro, invece, ti permette di rialzarti e vedere che c’è sempre una via d’uscita, un’opportunità. E come si vede Salvatore Striano oggi? Sasà cambia tutti i giorni, migliorandosi. Il problema è che, a parte quelle poche persone che fanno il mio stesso percorso, molte altre peggiorano. Viviamo in una società indifferente, che volta la faccia dall’altra parte e non considera chi è senza voce, che poi gli punterà il dito contro. La gente si accontenta della sufficienza anziché guardare alla qualità, tutti si sentono arrivati, stanchi e sfiduciati. Invece io mi sento come un bambino che deve compiere i primi passi, sono pieno di gioia e di voglia di fare. Per concludere, quali sono i suoi progetti per il futuro? Sto lavorando alla versione teatrale de "La tempesta di Sasà" e terminando il mio terzo libro, che si intitolerà "Giù le maschere", una storia realmente accaduta che mi ha colpito molto e che ho vissuto durante le mie trasferte teatrali, conoscendo una casa famiglia. Poi ho partecipato a due film: "Falchi", che uscirà il 2 marzo, e "Veleno", di prossima uscita. Ha un sogno non ancora realizzato? Finché avrò vita farò tutte le cose che ho in programma. Mi sto avviando alla mia prima regia teatrale, scriverò altri libri e se mi scrittureranno farò l’attore a teatro e al cinema. Per essere felice mi basta un libro e vedere la persona che amo: semplicità e naturalezza sono meglio di tante aspettative. La Cannabis fa male o no? Ecco tutto quello che può dirci la scienza sulle droghe leggere di Rita Rapisardi L’Espresso, 19 febbraio 2017 Il dibattito sulla marijuana è tornato di attualità, alimentando lo scontro tra chi vorrebbe legalizzarla e i proibizionisti. Vediamo cosa è emerso fino a oggi dai diversi studi e cosa c’è di vero e di falso sui pericoli per la salute. Quasi quattro adolescenti italiani su dieci l’hanno provata almeno una volta nella vita, è il cuore di uno dei più grandi traffici illegali al mondo e le sue proprietà portano beneficio a migliaia di pazienti. La cannabis resta una materia ambivalente, accesa a intermittenza senza una vera discussione. Non solo la recente discussione alla Camera, subito ricacciata nel cassetto, ha portato al centro del dibattito la sua legalizzazione, ma anche il fatto di cronaca che ha visto al centro il suicidio di un sedicenne di Lavagna, dopo che la Guardia di finanza ha perquisito la sua abitazione perché in possesso di una decina di grammi di marijuana. Per quella che è la sostanza illecita più consumata d’Europa e con la maggiore probabilità di essere utilizzata da tutte le fasce di età, ancora oggi dopo decenni le idee non sono chiare. Studi discordanti e opinioni diffuse, spesso fasulle, non aiutano. La cannabis crea dipendenza? Si può morire? È assimilabile alle cosiddette droghe pesanti? Quali danni alla salute? È il primo passo verso il consumo di cocaina, eroina o pasticche? Umberto Veronesi, proprio dalle pagine dell’Espresso, lanciò un appello per la legalizzazione chiedendosi se avesse senso criminalizzare la sostanza. Nel 2000 come ministro della Sanità aprì alla possibilità di oppiacei e cannabinoidi contro il dolore. Scontrandosi però contro un muro ideologico, lo stesso che oggi frena il ddl firmato da oltre 200 deputati. "Siamo un Paese che vieta inorridito la marijuana (che non ha mai ucciso nessuno) ma che lucra senza vergogna su una droga che causa 50.000 morti l’anno: il fumo di sigaretta", spiegò l’oncologo. Già, perché fumando cannabis non si va in overdose, la mortalità di cui parlano alcuni studi si riferisce infatti agli incidenti stradali che possono essere provocati. Le ricerche seguite da Veronesi, che nominò una commissione scientifica a riguardo, conclusero che i "danni da spinello" sono inesistenti. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha invitato più volte i governi a depenalizzare, magari non tout-court, ma almeno l’uso personale. Considerato che droghe legali come alcol e tabacco uccidono invece ogni anno milioni di persone. Per questo molti credono che il proibizionismo non sia la risposta e demonizzare non serva. Ma il primo passo è una buona informazione. Tra l’altro i dati dimostrano che nei paesi che hanno liberalizzato, il consumo è progressivamente diminuito. Come confermano studi condotti negli Stati Uniti e che riguardano in particolare i giovani. Cosa succede in Italia - In Italia secondo un’indagine di Espad Italia (The European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs), contenuto nella Relazione annuale del Dipartimento politiche antidroga, il 34 per cento degli studenti italiani di 15-19 anni (maschi 38 per cento, femmine 28 per cento) ha provato la "maria" almeno una volta nella vita. Piemonte, Emilia Romagna, Marche, Lazio e Sardegna sono le regioni in cui è stata più consumata. Se si allarga lo spettro all’Europa si sale a 16,6 milioni di giovani (15-34 anni), pari al 13,3 per cento, che hanno consumato cannabis nell’ultimo anno. Dalla parte del proibizionismo convinto c’è la Comunità di San Patrignano che proprio in questi giorni ha ricordato le proprie linee guida: la prevenzione prima di tutto, contro ogni legge a favore e contro quella che definiscono la cultura dello sballo. Il centro non ha risparmiato poi ricerche in merito. Fece discutere una del 2001 condotta da Eurispes in cui si affermava che le droghe leggere sono un ponte di passaggio per quelle pesanti e nel 23 per cento dei casi provocano episodi psicotici. Uno studio giudicato "scientificamente indecente" da uno dei massimi esperti sul tema, Gian Luigi Gessa, psichiatra e farmacologo, responsabile del gruppo italiano sullo studio delle dipendenze da droghe e farmaci, in passato alla direzione del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Cagliari e nel Consiglio Nazionale delle Ricerche. Se è vero che i dati dimostrano che gran parte degli eroinomani ha fumato spinelli, non è certo invece che la correlazione sia automatica. "Se così fosse, le statistiche non mostrerebbero circa 200.000 dipendenti da droghe pesanti in Italia, più o meno come 10 anni fa", affermò Veronesi. Gessa, ammettendo l’agire della sostanza sul cervello, esclude un danneggiamento alla sua normale attività, e anche su chi ne ha fatto uso per decenni in modo costante, non si forma una sindrome di astinenza. Un appunto va fatto per adolescenti e preadolescenti, nei quali l’uso di droghe, anche leggere, potrebbe causare deficit cognitivi soprattutto per quanto riguarda la memoria. La cannabis fa male o no? - La stessa Oms nella sua ultima pubblicazione sull’argomento - che non ha riguardato i casi di utilizzo di cannabis a scopi medici - ha specificato che con un consumo a lungo termine possono esserci effetti su memoria, pianificazione, processo decisionale, velocità di risposta, coordinazione motoria, umore e cognizione. Lo studio ha poi cercato di rispondere anche alla questione della dipendenza. Perché se gli studiosi sono d’accordo su quella da cocaina o crack, i pareri divergono sulla cannabis, difficile da "misurare". Una dipendenza cosiddetta psicologica, legata all’abitudine o alla gestualità, assimilabile anche alle sigarette, è ben diversa da una fisica, dettata quindi dalla sostanza. In generale l’Oms ha evidenziato che il rischio c’è ed è pari al 10 per cento, che varia da 1 su 6 tra gli adolescenti, a 1 su 3 tra chi consuma cannabis giornalmente. In ogni caso, se si vuole stilare una classifica, Gessa non ha dubbi: prima della cannabis vincono in quanto a pericolosità e grado di tossicità le droghe legali come alcol e nicotina, ma anche eroina, cocaina, morfina e altre sostanze. Solo in Europa nel 2014 si contano 6.800 decessi per overdose, soprattutto di eroina e i suoi metaboliti, e la tendenza è in aumento. Altra questione è quella dei tumori. Qui la risposta si gioca in realtà sulla presenza del tabacco, visto che è la canna il modo più diffuso per consumare la ganja, il termine hindi per cannabis. A riguardo l’Oms conclude: "Fumare un mix di cannabis e tabacco può aumentare il rischio di cancro e di altre malattie respiratorie, ma è stato difficile capire se i fumatori di cannabis hanno un rischio più elevato, al di là di quella di fumatori di tabacco". Anche se uno studio dell’Università della California ha negato del tutto la connessione tra i due, anzi affermando che la marijuana uccide le cellule di invecchiamento impedendo loro di diventare cancerose. L’ultima "Relazione europea sulla droga" condotta dall’Osservatorio europeo delle droghe e tossicodipendenze (Emcdda) dedica un paragrafo sui danni fisici prodotti dalla marijuana, non chiarendo però se esiste un rapporto causa effetto: "pur essendo difficile dimostrare un nesso causale tra il consumo di cannabis e le sue conseguenze a livello socio-sanitario, gli studi osservazionali consentono di individuare alcune associazioni". Per associazioni s’intendono disturbi psicotici e un più elevato rischio di avere problemi respiratori per i consumatori a lungo termine. Mentre durante l’adolescenza crescerebbe il rischio di schizofrenia, anche se in questi casi, è specificato, la genetica ha un ruolo cruciale. Queste incertezze invece scompaiono quando si parla di uso terapeutico. Della cannabis si riconoscono i benefici sul dolore cronico, artrite, tremori del Parkinson, malattie come la Sla, gli effetti collaterali della chemioterapia e nei malati terminali. Oltre che per il trattamento del disturbo post-traumatico da stress e dell’ansia. I rischi per la salute, evidenzia la ricerca, sono per lo più da collegarsi ai cannabinoidi sintetici decisamente più tossici, droghe che si legano agli stessi recettori cerebrali su cui agisce il THC, uno dei principali composti attivi presenti nella cannabis naturale, ma che nella cannabis trattata può raggiungere percentuali molto elevate. "Tanto che a loro carico sono stati segnalati avvelenamenti di massa e addirittura decessi", conclude lo studio. Il pericolo dell’illegalità - Nel mercato illegale la cannabis trattata chimicamente circola senza controlli. Un pericolo soprattutto per la salute dei consumatori, che in Italia sono almeno quattro milioni. La cannabis contaminata può contenere ogni tipo di sostanza: piombo, alluminio, ferro, cromo, cobalto ed altri metalli pesanti altamente nocivi. Secondo i favorevoli alla liberalizzazione è togliendo il controllo alla criminalità organizzata che si potrebbe risolvere il problema. A riguardo si è espressa anche la Direzione Nazionale Antimafia che ha evidenziato come si cancellerebbe un monopolio che regala alle mafie fino a 9,5 miliardi di euro l’anno solo dalla vendita di cannabis. La legge ignorata - Certo è che a incidere sulla percezione della marijuana non ha aiutato la Fini-Giovanardi, che ha legiferato in tema dal 2006 fino al 2014 quando è stata giudicata incostituzionale dalla Consulta, causa della comparazione tra droghe pesanti e leggere (le seconde non classificate a rischio dipendenza). Secondo i critici questo non ha fatto altro che riempire le carceri di semplici consumatori non intaccando il grande traffico criminale. Basti pensare che in Europa il consumo o possesso per uso personale rappresenta circa i tre quarti di tutti i reati connessi alla droga. Ma dal 25 luglio 2016, da molti indicata come giornata storica, in cui per la prima volta il disegno di legge per la liberalizzazione è approdato alla Camera, non c’è stato nessun passo avanti. Rispedita in commissione senza alcuna discussione e con trenta parlamentari in aula, il ddl spera almeno in un ok ai suoi emendamenti, tra cui un’unica legislazione per l’uso terapeutico, oggi diversa da regione a regione. Stati Uniti. Morto in carcere lo "sceicco cieco", fu mente dell’attentato alle Torri Gemelle La Repubblica, 19 febbraio 2017 È morto in un carcere di massima sicurezza in North Carolina lo "sceicco cieco" egiziano Omar Abdel Rahman. Era considerato la mente del primo attentato al World Trade Center, quello compiuto il 26 febbraio del 1993, quando nel parcheggio sotterraneo di una delle Torri gemelle fu fatto esplodere un pulmino imbottito con oltre 600 chili di esplosivo che provocò la morte di 6 persone. L’obiettivo era far crollare la Torre 1 sulla Torre 2 e uccidere migliaia di persone. Quello che riuscì a fare Osama bin Laden otto anni dopo, l’11 settembre del 2001. Rahaman era il leader del gruppo Al-Jamaa al-Islamiyya, un movimento militante islamista egiziano considerato, dal Cairo e dagli Stati Uniti, un’organizzazione terroristica; il gruppo è responsabile di numerosi atti di violenza tra cui il massacro di Luxor del 1997 che causò la morte di 58 turisti stranieri e 4 egiziani. La morte dello sceicco, che aveva 78 anni, secondo il ministero della Giustizia sarebbe avvenuta per cause naturali. Da oltre vent’anni era dietro le sbarre, stava scontando la condanna all’ergastolo nel carcere di Butner in North Carolina. Anche dopo il suo arresto e la condanna era considerato da molti islamisti una guida spirituale. Il 29 giugno 2012 l’allora presidente egiziano Mohammed Morsi aveva chiuso il proprio discorso di insediamento impegnandosi ad agire per la liberazione dello sceicco, parlandone come di un "detenuto politico". Imprigionato in Egitto con l’accusa di aver ispirato nel 1986 l’assassinio del presidente Anwar Sadat, in seguito gli venne attribuito anche un complotto per assassinare nel 1993 l’allora presidente egiziano Hosni Mubarak. A metà degli anni Ottanta si trovava in Afghanistan, dove strinse rapporti diretti con l’allora leader di al Qaida, Osama bin Laden, che una volta affermò di aver preso ispirazione proprio dallo sceicco per gli attacchi dell’11 settembre 2001. Nel 1990 Abdel Rahman riuscì a trasferirsi negli Stati Uniti (nonostante il suo nome fosse in una black list del Dipartimento di Stato) dove iniziò a predicare nelle moschee di Brooklyn e New Jersey. Dopo cinque anni venne condannato con l’accusa di aver cospirato per "imporre una guerra di terrorismo urbano contro gli Stati Uniti", con azioni come l’attentato del ‘93 al World Trade Center e con un piano per attaccare la sede delle Nazioni Unite e altri importanti obiettivi sensibili a New York. Cina. Alla sbarra il giovane che comparò Xi a Hitler su twitter di Monica Ricci Sargentini Corriere della Sera, 19 febbraio 2017 Pensava fosse un gioco ed è finito in prigione. Kwon Pyong, un giovane di origine coreana, si divertiva a prendere in giro i potenti del mondo sui social network dalla sua casa a Yanbian, nel nord est della Cina. L’ultima trovata, però, non ha fatto ridere il regime cinese. Il ragazzo lo scorso settembre ha postato un selfie che lo ritraeva con indosso una t-shirt in cui il presidente Xi Jinping veniva chiamato Xitler. Pochi giorni dopo è stato arrestato. Il processo è iniziato mercoledì 15 febbraio. L’accusa è di "incitamento alla sovversione" e l’allontanamento dei due avvocati della difesa non promette nulla di buono. "La soglia della sensibilità è diminuita. Prima si perseguivano le persone che scrivevano saggi o commenti. Ora puoi finire dentro se posti qualcosa su Twitter o Weibo (il twitter cinese n.d.r.)" spiega al New York Times uno degli avvocati Liang Xiaojun, Twitter e Facebook non sono visibili al grande pubblico in Cina, per questo forse Kwon, il cui nome cinese è Quan Ping, si sentiva libero di parlare. Anche di se stesso. Su Twitter si descrive come "l’eterno studente, dedito a rovesciare il comunismo". Kwon, 28 anni, ha sottovalutato la capacità di ascoltare del Grande Fratello. Nel rinvio a giudizio sono elencati almeno 70 tra commenti, video o immagini postati sui social network "in cui si insulta il sistema socialista e lo Stato". Un anno fa l’attivista Zhang Haitao era stato condannato a 19 anni di prigione per "incitamento alla sovversione" proprio a causa dei suoi post su Internet. Nel caso di Kwon ai genitori è stata promessa una sentenza mite a patto che allontanassero gli avvocati della difesa. Ora si attende il verdetto.