Giustizia ed informazione, un rapporto non facile di Maurizio Colaiacovo riflessioni.it, 16 febbraio 2017 Le vicende di "cronaca nera" sono forse quelle che godono della maggiore attenzione da parte del grande pubblico, soprattutto televisivo. Intorno ad un caso giudiziario, molto spesso, si crea un interesse morboso, alimentato a volte da ricostruzioni a dir poco approssimative e frammentarie, se non addirittura fantasiose. Beninteso, il diritto di informare ed essere informati è sacrosanto, non può e non deve mai essere messo in discussione, ed è giustamente tutelato nel nostro ordinamento giuridico. Tuttavia, rispetto alla complessità di questioni intricate, problematiche, con mille sfaccettature, certa informazione tende sovente a "semplificare" (operazione non di rado effettuata per tentare di favorire una migliore comprensione da parte di chi non è "addetto ai lavori"). Ne discende che, in alcuni casi, ci si trova di fronte alla narrazione di una storia radicalmente diversa rispetto al reale svolgimento dei fatti. Le attività di indagine sono particolarmente delicate e irte di ostacoli e difficoltà. Richiedono un grande impiego di mezzi e dispendio di energie. Non sempre, anzi, quasi mai, si segue una sola "pista". Le ipotesi al vaglio degli inquirenti sono sovente molteplici. Nelle vicende giudiziarie, quello che appare spesso non corrisponde alla realtà fattuale. Un giurista sa come anche il processo "possa far diventare il bianco nero ed il nero bianco". Sa come non sempre il processo restituisca la verità, la giustizia. Cautela, prudenza, misura. Queste dovrebbero essere le "parole d’ordine" per chi si occupa di cronaca giudiziaria. Eppure, con troppa frequenza, assistiamo a dibattiti televisivi dove si tentano ricostruzioni, si accampano teorie, arrivando persino a formulare ipotesi di colpevolezza o di innocenza. È una prassi assolutamente non condivisibile quella di celebrare i processi in tv. A nulla servono ricostruzioni e pareri da parte di chi non conosce tutte le "carte", i verbali, le dichiarazioni rese, le attività svolte. È difficile anche per gli operatori del settore cimentarsi con le insidie e le difficoltà di un procedimento penale, quindi, non si comprende come possano riuscirvi persone che non sono in possesso della benché minima conoscenza delle problematiche giuridiche. Non ci si può improvvisare magistrati, avvocati, consulenti tecnici. I salotti televisivi abbondano di "tuttologi" che, sulla scorta delle loro valutazioni del tutto soggettive ed opinabili, si lasciano andare a considerazioni la cui attendibilità è pressoché nulla. Non bisognerebbe mai dimenticare come, dietro ogni vicenda, ci siano essere umani, con le loro storie, le loro sofferenze, il loro sacrosanto diritto a vedersi assicurare un processo giusto, celere, equo. Ciò vale sia per le vittime ed i loro familiari che per i presunti colpevoli. La cronaca recente ci ha insegnato come alcune sentenze siano state clamorosamente sconfessate da altre sentenze pronunciate negli ulteriori gradi di giudizio. Ciò significa che si commettono errori, è umano commettere errori. Quindi, non è mai opportuno trarre conclusioni affrettate ed apodittiche. Soprattutto la tv, purtroppo, ha bisogno di "ascolti" sempre più alti. Dunque, non è infrequente il clamore, la caccia allo "scoop", salvo poi precipitose ed imbarazzati smentite. Stupisce e suscita anche una certa inquietudine constatare come luoghi dove si sono consumati efferati delitti, siano poi diventati oggetto di "visite" da parte di gruppi organizzati, mossi da una curiosità assolutamente fuori luogo. A volte, siamo di fronte ad una vera e propria necessità da parte dell’opinione pubblica di cercare e trovare "il capro espiatorio", "il cattivo", il "colpevole". Forse è un bisogno atavico, antico, quello di cercare le "colpe" altrui, come in una sorta di "rito purificatore" che ci allontana dalle nostre e ci evita di fare i conti con la nostra coscienza, con le nostre umane debolezze. Tuttavia, è una pratica pericolosa, proprio perché ci impedisce di comprendere, di capire, di valutare con serenità. Compito di una corretta informazione è proprio quello di porre ognuno nella condizione di comprendere al meglio, senza "pregiudizi", senza preconcetti. Non si chiede una narrazione asettica e del tutto scevra da valutazioni, ma una informazione serena, obiettiva e quanto più possibile vicina al vero e, nella peggiore delle ipotesi, al verosimile. Occorre in conclusione considerare come la crescita del grado di civiltà di una società si misuri anche dalla indipendenza ed attendibilità dei mezzi di comunicazione di massa e dalla qualità dell’informazione che questi producono. Suicidi o rovinati, l’eredità di Mani Pulite di Dimitri Buffa Il Tempo, 16 febbraio 2017 In tre anni 31 suicidi. Nel 1992 furono undici, altri venti nei due anni successivi. Molti magistrati si sono candidati alle elezioni, come Di Pietro. Venticinque anni fa l’inizio di Tangentopoli e della glorificazione dei giudici. Ma tra innocenti alla gogna e chi si tolse la vita per l’onta c’è poco da esaltare. A 25 anni da "mani pulite", o "tangentopoli", l’unico giudizio può darlo la storia. Non i giudici, non l’opinione pubblica. Non i giornali o i saggi. Che comunque contribuiscono a farla questa storia, tutti quanti insieme. E il primo evento epocale che l’Italia inizia a registrare da quel 17 febbraio 1992, giorno dell’arresto di Mario Chiesa con una tangente metà ancora nascosta nelle mutande e metà buttata nello sciacquone di un cesso del Pio Albergo Trivulzio, è la fine della crescita economica. Che da allora non riprenderà mai più a correre come prima. Cioè a colpi di due o tre cento di Pil l’anno. Poi viene la distruzione di un mondo così come lo conoscevamo, apparentemente immobile e granitico, dove chiunque avrebbe potuto fare un sondaggio elettorale e azzeccarlo perché il grado di fidelizzazione dell’elettorato a questo o a quel partito era pari al 94 per cento. Fu un disegno? Fu un caso? Fu. Gli italiani furono indotti a credere, quasi tutti all’inizio, con un bel po’ di distinguo dopo il 1993, e con un grado sempre crescente di scetticismo negli anni a venire, che la magistratura milanese poteva salvare il paese da una classe politica corrotta e mafiosa. E in parte lo era. Ma la cura si dimostrò peggiore del male. La classe politica venne man mano sostituita con gli stessi magistrati, con tecnici veri e improvvisati, con politici non all’altezza. E le tangenti si sono continuate a pagare, solo in modi differenti. La "crociata" contro i partiti era dietro l’angolo. Erano le 17.30 di lunedì 17 febbraio 1992, quando, nel suo ufficio al Pio Albergo Trivulzio, Mario Chiesa viene arrestato per concussione per una tangente da 14 milioni che gli era stata appena consegnata da un giovane imprenditore, Luca Magni, che aveva messo a punto l’operazione per "incastrare" Chiesa con l’allora sostituto procuratore a Milano Antonio Di Pietro, coadiuvati dal capitano della Benemerita Roberto Zuliani. Non avvenne per caso quell’arresto e il retroscena non fu soltanto quello consegnato all’agiografia: ossia la moglie di Chiesa che, inviperita per gli alimenti non pagati, fa la soffiata ai pm milanesi. I magistrati già sono sulle tracce di Craxi, e il segnale arriva quando escono subito le prime carte in cui Chiesa si vanterà davanti ai pm di avere pagato la campagna elettorale dell’anno precedente per Bobo Craxi alle amministrative. Circostanza che non era neanche vera, o non interamente. La risposta di Bettino Craxi fu un grave errore: dichiarò che Chiesa era soltanto un mariuolo. E tentò di difendere il Psi dal giro consolidato dei partiti e delle imprese che li finanziavano illegalmente. Tutto inutile. Quando il 15 dicembre 1992 arrivò il primo avviso di garanzia per finanziamento illecito dei partiti e per ricettazione a carico di quello che venne definito "il cinghialone" da Vittorio Feltri, che all’ epoca dirigeva "L’Indipendente", mezza Italia già da mesi si attendeva questo epilogo. Nel frattempo l’inchiesta aveva già mostrato la propria spietatezza con gli indagati per corruzione. I due suicidi eccellenti - Il crollo del sistema naturalmente fece un bel po’ di vittime, alcune sicuramente anche innocenti. Nomi come quello di Raul Gardini odi Gabriele Cagliari, grandi manager privati o di aziende pubbliche strategiche come l’Eni, sono da tempo i citati per antonomasia. Il primo si sparò il 23 luglio 1993 nella propria abitazione privata di Ravenna poco prima di essere arrestato. Invano avendo tentato di mediare tramite i propri legali una costituzione in carcere soft come fu quella mesi dopo, ottobre 1993, di Carlo de Benedetti. Che fece in tutto un giorno di carcere. Cagliari invece il 20 luglio 1993 si mise un sacchetto di nylon in testa in cella a San Vittore dove si trovava ormai da mesi, in un ambiente assai pesante per un manager di stato: in cella con detenuti tossicodipendenti. Mani pulite, a dirla tutta, è stata costellata di episodi simili, altrettanto tragici, ma riguardanti personaggi minori. Si sono contati 11 suicidi nel 1992, 10 nel 1993 e altrettanti nel 1994. Cioè gli anni di fuoco. Prima di Cagliari e Gardini però un altro caso, politico, di suicidio fece molto discutere l’ambiente della sinistra milanese: quello del deputato socialista Sergio Moroni. Erano i primi di settembre del 1992. Moroni lasciò anche una lunga lettera indirizzata all’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano, all’epoca referente politico dell’ala migliorista del Pci che era quella più dialogante con i socialisti come Moroni. Tale lettera è stata recentemente rinverdita e riletta nel talk show "Piazza Pulita", proprio in occasione di queste "celebrazioni" dei 25 anni di "mani pulite". Celebrazioni che nella prima uscita pubblica con i magistrati Di Pietro e Davigo a Milano si sono scontrate con l’indifferenza della gente e con i posti vuoti in sala. Indifferenza mediatica e di opinione pubblica semplicemente impensabile nei tempi delle manette ai politici. Moroni, come Craxi nel famoso discorso del 3 luglio 1992 alla Camera, quando il primo avviso di garanzia era di là da venire, ma i guai erano già irreparabili per il Psi e la Dc (e in parte anche per il Pci di Occhetto e D ‘Alema), negò la corruzione e ammise in parte il finanziamento illecito come prassi consolidata. Nel discorso alla Camera due mesi prima Craxi fece il mea culpa anche per conto di tutti gli altri partiti. Radicali esclusi come sottolineò in aula Marco Pannella in un intervento di replica. Dal 1993 "mani pulite" inizierà una cavalcata mediatici e giudiziaria inarrestabile che culminerà con il famoso processo Enimont dato in tv. Con Di Pietro a spiegare con le slide dell’epoca il sistema corruttivo della tangente Enimont che riguardava tuti i partiti compreso il Pci che però si salvò in corner visto che nessuno ricordava dove fosse finito quel miliardo che Carlo Sama disse di avere portato a Botteghe Oscure senza però riuscire a indicare chi lo prese in consegna. Sono passati 25 anni e sembra un secolo. Il disegno di legge contro le fake news: "multe e carcere fino a 2 anni" di Martina Pennisi Corriere della Sera, 16 febbraio 2017 Presentata in Senato la proposta bipartisan con prima firmataria Adele Gambaro. Si può contrastare la circolazione online di notizie false e contenuti inneggianti all’odio? La risposta, praticamente unanime in tutto il mondo, è: si deve. La grande incognita rimane il come, mentre ci si muove sul sottile e delicato confine fra protezione degli utenti e tutela della libertà di espressione in Rete. L’Italia adesso ha una proposta di legge per (provare a) sanzionare con multe fino a 10 mila euro e reclusione fino a due anni chiunque pubblichi o diffonda in Internet (ma non su testate giornalistiche) "notizie false, esagerate o tendenziose" o si renda responsabile di "campagne d’odio". Il testo con prima firmataria Adele Gambaro del gruppo Ala-Scelta Civica, ed ex Movimento 5 Stelle, è stato presentato ieri in Senato con sottoscrizioni bipartisan. Finora solo la Germania aveva valutato l’intervento normativo, con l’idea di una scure da 500 mila euro sulle piattaforme su cui circolano le assurdità. Il timore di Berlino è di vedere il dibattito elettorale in vista del voto di settembre inquinato dalla disinformazione, spontanea od orchestrata da altri Paesi, come sembra essere accaduto nel caso della vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti. Come riconosce Gambaro, che si è già misurata con il problema nell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, il disegno di legge nostrano parte da una definizione dei contenuti da punire un po’ annacquata: cosa è esagerato e tendenzioso? Chi lo decide? Che differenza c’è con la satira? "Sono questioni che affronteremo anche con dei costituzionalisti. Questo testo è un primo passo, sappiamo che è un’impresa titanica ma vogliamo provarci. E siamo aperti al dibattito". Per Ernesto Belisario, avvocato esperto di digitale, così la norma "non ha moltea possibilità di essere implementata. Si pensi anche all’obbligo di registrazione di ogni spazio online destinato alla diffusione di informazioni presso il pubblico: impraticabile". Gambaro è convinta del fatto che la strada del Parlamento sia più corretta del ricorso a un’entità sovranazionale per il controllo dei contenuti e l’intervento sugli stessi, come proposto all’Unione europea dal presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella. La terza via, nei nostri confini, è quella della presidente della Camera Laura Boldrini, costantemente impegnata nella richiesta di assunzione di responsabilità da parte delle piattaforme. Con l’appello Basta Bufale ha raccolto 11 mila firme in una settimana: "Credo che prima di adottare soluzioni legislative si debba dare ai cittadini l’opportunità di prendere coscienza del problema e fornire loro gli strumenti per agire", ha dichiarato alla testata americana Buzzfeed. Aggiunge: "Al termine della sottoscrizione consegnerò le firme al mondo dell’informazione, alla scuola e alle università, ai social network e alle imprese. Chiederò loro quali iniziative e misure intendano prendere per arginare il problema delle false notizie. Credo, ad ogni modo, che la risposta non possa essere affidata né ad "autorità pubbliche anti-bufale" né, tantomeno, a "tribunali del popolo", come qualcuno ha prospettato". Soffermandosi sulla due giorni triestina Parole Ostili (domani e sabato) e sulla comunità che si sta sviluppando intorno all’evento, Boldrini sottolinea che "il Web stesso dimostra così di poter sviluppare anticorpi per reagire e contrastare il fenomeno dell’hate speech". II dibattito, dunque, prosegue tra presenza di anticorpi, medicine che ancora non ci sono e bisognerà capire come e se somministrare. E, soprattutto, diagnosi più precise da formulare. "Antiriciclaggio morbido", l’impegno dal viceministro dell’economia Luigi Casero di Cristina Bartelli Italia Oggi, 16 febbraio 2017 Buste paghe e dichiarazioni fiscali fuori dalla nuova normativa antiriciclaggio in arrivo. È questo l’impegno assunto dal viceministro dell’economia Luigi Casero al termine dell’incontro con i rappresentanti delle professioni al tavolo antiriciclaggio del ministero dell’economia. "Abbiamo riscontrato un clima di fattiva collaborazione da parte del viceministro e degli uffici ministeriali", commenta Marina Calderone, presidente del Cup, Comitato unitario delle professioni, "ma anche di grande attenzione nei confronti dei suggerimenti proposti dai rappresentanti delle professioni presenti". Senza l’esenzione, fanno notare i professionisti, già contemplata nel dlgs 231/07, infatti, i nuovi adempimenti recherebbero un grave danno all’operare quotidiano di circa 400 mila professionisti. "Con piacere abbiamo preso nota", conclude la presidente del Cup e del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, "del recepimento delle nostre richieste. In particolare, sul reinserimento nel decreto di recepimento della direttiva comunitaria 2015/849 dell’esenzione dagli adempimenti in materia di dichiarazioni fiscali e di amministrazione del personale di cui alla legge 12/79". Il tavolo di discussione sarà ancora convocato per definire tutte le questioni ancora aperte. E tra le questione aperte ci sono le richieste del consiglio nazionale del notariato e del consiglio nazionale dei dottori commercialisti su revisione degli oneri formali a carico degli studi professionali, sulla delimitazione dell’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione degli obblighi di adeguata verifica della clientela, e sulla riduzione dell’entità delle sanzioni minime e massime. "Prendiamo atto con soddisfazione", afferma Massimo Miani, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, "dell’apertura, da parte del Ministero, alle istanze delle professioni destinatarie degli obblighi antiriciclaggio, emersa nel corso della riunione". "Per il momento", conclude Miani, "registriamo favorevolmente quanto annunciatoci da Casero in merito al reinserimento della norma che esclude dall’applicazione degli obblighi di adeguata verifica le attività aventi ad oggetto la mera redazione e trasmissione delle dichiarazioni fiscali e gli adempimenti in materia di amministrazione del personale". Per i notai in particolare il decreto legislativo che darà attuazione alla IV direttiva antiriciclaggio, e che dovrà essere approvato in prima lettura entro il 26 febbraio (altrimenti per l’Italia parte la procedura di infrazione da parte dell’Unione europea), oltre alla correzione sugli adempimenti dichiarativi, bisogna intervenire sulle sanzioni. Michele Nastri, consigliere nazionale del Notariato delegato all’antiriciclaggio, dichiara infatti che: "Abbiamo bisogno di una normativa razionale che ci consenta di ottemperare in modo puntuale agli obblighi, eliminando al massimo le aree di incertezza. Abbiamo preso atto con favore delle rassicurazioni del viceministro Casero in ordine all’alleggerimento degli obblighi formali", continua Nastri, "ma resta l’attesa di una maggiore determinatezza del contenuto dei nuovi obblighi in materia di antiriciclaggio, allo scopo di avere un quadro bilanciato dei diritti e doveri a carico dei professionisti. Auspichiamo quindi una revisione dell’entità delle sanzioni proporzionata sia all’attività svolta dai professionisti che alla natura delle violazioni". Magistrati onorari, ipotesi stabilizzazione di Alessandro Galimberti Il Sole 24 Ore, 16 febbraio 2017 Si accende la polemica sulla riforma della magistratura onoraria. Ma si può scorgere anche qualche schiarita. Oggi una delegazione dei magistrati onorari sarà ricevuta dal Csm, prima della manifestazione davanti a Palazzo dei marescialli. Lo ha annunciato, durante il plenum del Consiglio, il vicepresidente Giovanni Legnini, che ha anche partecipato ieri pomeriggio all’incontro convocato dal ministro della Giustizia con una rappresentanza dei cento procuratori che hanno denunciato il rischio di una paralisi dei loro uffici se verrà meno l’apporto dei magistrati onorari. Un pericolo che sarebbe legato alle norme di attuazione della riforma della magistratura onoraria che il ministero della Giustizia sta definendo, che non garantirebbero più la stabilizzazione di fatto delle toghe onorarie in servizio, e prevedrebbero un impegno molto ridotto (un’udienza al mese). Al termine dell’incontro, il ministro Andrea Orlando ha spiegato che il governo "è orientato a esplorare la possibilità di stabilizzazione di quelle persone che hanno passato un periodo al servizio dello Stato. Ho chiesto un parere al Consiglio di Stato sul profilo tecnico e chiesto all’Anm valutazioni sul profilo politico. Si tratta di una scelta che avrà un impatto sull’assetto giurisdizionale". "Attendo questi riscontri - ha aggiunto Orlando - se queste ipotesi non saranno perseguibili lavoreremo per arrivare a soluzioni che possano quanto più possibile consolidare le situazioni e ridurre la precarietà". Alla riunione con il ministro erano presenti, tra gli altri, il procuratore capo di Torino, Armando Spataro, che è stato promotore dell’appello lanciato nei giorni scorsi sulla situazione delle toghe onorarie, il capo della Procura di Milano, Francesco Greco, il capo della Procura di Firenze, Giuseppe Creazzo e il segretario dell’Anm, Francesco Minisci. "Continuiamo l’interlocuzione con la Commissione europea - ha voluto sottolineare il ministro - per comprenderne l’orientamento. I procuratori hanno dato conto di una situazione difficile, di cui siamo consapevoli, e suggerito alcune soluzioni. Parliamo di lavoratori assolutamente preziosi per la funzionalità del servizio". Il problema è però anche più ampio e riguarda anche i vuoti di organico nella giustizia di pace: "c’è una scopertura non tollerabile, pari al 60 per cento dei posti", ha detto Legnini, spiegando che sulla possibilità di bandire un concorso per nuove assunzioni c’è una "divergenza di vedute" con il ministero della Giustizia e che è da prima di Natale che il Csm chiede una norma che consenta di sbloccare la situazione. Il giudice di sorveglianza non può adottare provvedimento disciplinare senza contraddittorio Il Sole 24 Ore, 16 febbraio 2017 Corte di Cassazione. Prima Sezione Penale. Sentenza 3801 del 6 dicembre 2016. Deposito n. 7327 del 15 febbraio 2017. Il magistrato di sorveglianza non può adottare "de plano" un provvedimento disciplinare nei confronti del detenuto (5 giorni di esclusione dell’attività comune, per il rifiuto a sottoporsi ad una perquisizione corporale) senza instaurare un contraddittorio e discussione in udienza camerale. Conti bancari, niente usura senza dolo di Antonino Porracciolo Il Sole 24 Ore, 16 febbraio 2017 Tribunale di Catania, Ordinanza Gup 24 ottobre 2017. È da escludere che il superamento del tasso-soglia nei contratti bancari sia dovuto a dolo di amministratori e funzionari dell’istituto di credito se non è provata la coscienza e volontà di applicare interessi usurari (articolo 644 del Codice penale). È la conclusione di un’ordinanza del Tribunale di Catania (giudice per le indagini preliminari Giancarlo Cascino) del 24 ottobre. La vicenda scaturisce dalla denuncia presentata dal legale di una Srl, che lamentava l’applicazione di tassi usurari su un conto corrente bancario intestato alla stessa società. Il pm aveva chiesto l’archiviazione del procedimento, ritenendo che mancasse l’elemento psicologico del reato. Contro la richiesta la società aveva presentato opposizione (articolo 410 del Codice di procedura penale), affermando che le consulenze allegate alla denuncia dimostravano invece l’esistenza dell’illecito. Nel decidere l’opposizione, il giudice afferma che la notizia di reato, "seppure idonea a sostenere da un punto di vista materiale il fumus" dell’usura, non consente di affermare la "certa ricorrenza dell’elemento soggettivo" dello stesso illecito. Neanche sotto forma di dolo eventuale, che si ha - prosegue il Tribunale, citando la sentenza 24612/2014 della Cassazione - quando l’agente, pur essendosi rappresentato la concreta possibilità del verificarsi di un fatto-reato come conseguenza del proprio comportamento, persista nella sua condotta, accettando il rischio che l’evento si realizzi. Piuttosto, "pare assai più vicina alla realtà - si legge ancora nell’ordinanza - la conclusione per cui gli amministratori bancari, in un’ottica di massimizzazione dei profitti", abbiano portato gli interessi debitori ai massimi consentiti dalla legge (sino ai tassi-soglia), "confidando nelle loro capacità di calcolo e pianificazione per evitarne, ovviamente, il superamento". Lo sconfinamento degli interessi in territorio usurario si era dunque verificato per errore di previsione o di calcolo, mancando "un profitto o tornaconto diretto" dei dipendenti della banca, trattandosi di personale, "ancorché di tipo apicale, tuttavia con rapporto di lavoro subordinato". Tanto più che nelle unità periferiche i funzionari sono privi di potere decisionale sui tassi delle singole operazioni finanziarie. Peraltro, anche altri elementi inducono ad affermare l’insussistenza del dolo. Come il carattere intermittente del superamento del tasso-soglia nei vari trimestri, o "il mutevole andamento dei tassi di interesse su operazioni bancarie nel periodo di riferimento". O, ancora, "la mancanza di prova circa l’esistenza di strutture di corporate proprio per la valutazione dei contratti in essere e dei tassi contrattualmente pattuiti". Non si può dunque condividere, secondo il Tribunale etneo, l’affermazione della società opponente, secondo cui il computo del tasso effettivo globale sarebbe "un dato contabile e certo"; così come va respinta l’idea che il superamento di tale tasso dimostrerebbe, di per sé, la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di usura. Le ragioni della società possono quindi trovare tutela solo davanti al giudice civile. Il Tribunale ha così accolto la richiesta del pubblico ministero e ha disposto l’archiviazione del procedimento per infondatezza della notizia di reato. Magistrati e avvocati, la svolta del lavoro comune di Giovanni Legnini* Il Dubbio, 16 febbraio 2017 Già nel corso della scorsa cerimonia d’inaugurazione dell’anno giudiziario del Consiglio Nazionale Forense, avevo fatto riferimento ad alcuni concreti obiettivi verso cui orientare la rinnovata volontà di collaborazione tra Magistratura e Avvocatura. Quella di martedì è stata l’occasione per tornare sugli impegni presi e riflettere su quanto c’è ancora da fare. Numerose e solide sono le basi comuni, per la Magistratura e l’Avvocatura, da cui muovere: puntuali e articolate proposte per l’efficienza del processo; diffusione delle buone pratiche organizzative negli uffici giudiziari; linee di sviluppo su formazione e collaborazione tra le Scuole; valorizzazione del ruolo dei Consigli Giudiziari; diffusione della cultura della legalità nelle Scuole. È in atto un cambiamento culturale di vasta prospettiva, sia nell’Avvocatura, che nell’amministrazione della Giustizia grazie al lavoro dell’intero Consiglio Superiore della Magistratura e dell’intero Consiglio Nazionale Forense, presieduto dall’avvocato Andrea Mascherin. Negli ultimi dodici mesi, il tema del pieno coinvolgimento dell’Avvocatura nell’organizzazione degli uffici giudiziari ha fatto irruzione sulla scena. Desidero offrire un quadro delle iniziative che hanno visto collaborare l’Avvocatura e il Governo autonomo della magistratura. Ritengo che si stia manifestando un mutamento epocale, che non deve passare inosservato. Lo scorso 13 luglio è stato sottoscritto il Protocollo d’intesta tra Csm e Cnf. È la prima volta che il Presidente del Cnf prende parte ad una solenne seduta del Plenum per sottoscrivere un accordo con l’organo di Governo Autonomo della Magistratura. Quella presenza non è solo simbolica. Segna, invece, il superamento di un antico feticcio, rimasto vivo nella cultura e nella quotidianità del mondo giudiziario. Viene superato il pregiudizio della divisione, della separatezza tra avvocatura e magistratura ordinaria. Si scopre, invece, che le buone pratiche organizzative e la scommessa sull’efficienza richiedono la leale collaborazione, si giovano di una comunanza di impegni da perseguire unitamente. Il 7 luglio scorso il Consiglio ha approvato il manuale dei modelli di organizzazione degli Uffici Giudiziari italiani. È il frutto della ricognizione delle buone pratiche organizzative censite in tutti gli uffici requirenti e giudicanti. In tale documento la collaborazione tra Magistratura e Avvocatura, viene sottolineata a più riprese. Il 13 settembre 2016 il Plenum del Csm, in occasione del parere sul progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario, si è espresso in modo chiaro sulla partecipazione degli avvocati all’interno del circuito dei Consigli Giudiziari. Si è manifestato un diffuso orientamento favorevole alla valorizzazione del ruolo dell’avvocatura. Certo, persistono disparità di vedute sul modello di questa integrazione e sull’ampiezza del ruolo dell’Avvocatura nei Consigli giudiziari. Se si persegue la massima efficienza e le buone pratiche, allargando il pluralismo nell’ambito dei Consigli Giudiziari, i risultati non tarderanno ad arrivare. Nell’ambito delle linee programmatiche sulla formazione e l’aggiornamento professionale dei magistrati è stata evidenziata la "collaborazione formativa con le organizzazioni forensi". È il segno di una comune cultura della giurisdizione, in favore della mediazione e per l’obiettivo della "riduzione del contenzioso civile". Il 25 gennaio 2017 è stata approvata la nuova circolare sulle Tabelle di Organizzazione degli Uffici Giudiziari. All’esito di un’audizione del Cnf presso la VII Commissione consiliare è stata prevista una partecipazione attiva dell’Avvocatura nell’elaborazione delle Tabelle. Si tratta del principale strumento di organizzazione autonoma di cui dispongono i Capi degli Uffici. Ciò rende evidente il cruciale passo in avanti della nostra cultura giudiziaria. Ve ne è conferma nelle innovative disposizioni sul benessere organizzativo negli uffici giudiziari e sulla tutela della genitorialità, la cui definizione in ciascuno degli uffici, potrà prevedere ulteriori spazi di partecipazione attiva e determinante dell’avvocatura. Il 3 ottobre 2016, è stato sottoscritto un protocollo tra il Ministero dell’Istruzione ed il Consiglio Nazionale Forense; per incrementare lo sviluppo del percorso formativo scolastico. Lezioni impartite gratuitamente da Avvocati e progetti di alternanza scuola/ lavoro. Anche il Consiglio Superiore, il 23 maggio 2015, a Palermo, aveva siglato una Carta di Intenti con il Miur per promuovere la cultura della legalità e della giustizia nelle scuole e la conoscenza del lavoro quotidiano della magistratura. A tali fondamentali risultati occorre aggiungere quelli relativi al Protocollo sottoscritto tra il Cnf è la Corte Suprema di Cassazione, fortemente voluto dal Primo Presidente Canzio. Sia per il Csm che per l’Avvocatura sarebbe certamente un errore fermarsi qui. È solo l’inizio di un percorso da proseguire con costanza ed impegno comune. I passi mossi nell’anno trascorso non hanno precedenti nella storia dei rapporti tra Magistratura e Avvocatura. È, ora, urgente avviare i tavoli paritetici previsti dal Protocollo. Definire un regolamento tipo per i Consigli Giudiziari. Approfondire il confronto tra i due Consigli e le due Scuole, per una formazione comune. Questo è l’orizzonte comune. Siamo a un punto di non regressione sul piano del funzionamento degli Uffici giudiziari. Occorre sviluppare tutti gli spazi di sinergia tra Magistratura e Avvocatura. Si deve essere consapevoli che questo profilo incide sui diritti fondamentali nel processo, consente di esplorare potenzialità rilevanti, e può condurre ad un più avanzato grado di certezza, prevedibilità e speditezza nella definizione delle controversie. È l’indicazione che si trae dall’articolo 111 della Costituzione su cui tutti dobbiamo convergere e per la cui piena attuazione non dobbiamo mai stancarci di batterci. Le riforme approvate e quelle il cui esame pende in Parlamento, le determinazioni del Governo sul personale amministrativo, sugli organici magistratuali e sugli investimenti ancora necessari, sono tutti fattori da consolidare e valorizzare. Un sentito ringraziamento va al Ministro Andrea Orlando per l’impegno che sta garantendo in tale percorso riformista. Una parte non piccola del futuro della giustizia nel Paese può dipendere anche da questa nostra impresa comune di sinergia tra Avvocatura e Consiglio Superiore e dal percorso di autoriforma che il Csm sta portando avanti con determinazione. *Vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura Campania: accordo della Regione con il Ministero per l’inclusione sociale dei detenuti ildenaro.it, 16 febbraio 2017 La giunta regionale ha approvato ieri uno schema di accordo di collaborazione tra il Ministero della Giustizia e la Regione Campania a favore dei detenuti. L’intesa è finalizzata a sostenere specifici progetti per la realizzazione di attività rieducative e di formazione professionale volte a migliorare le competenze tecniche e favorire l’inclusione sociale e/o occupazionale dei detenuti. Il sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore dopo la sua visita ha definito le condizioni del carcere al di sotto degli standard. Qualche passo avanti, almeno sul piano dell’entità della popolazione carceraria, in realtà è stato fatto ma ancora non è sufficiente. Lo ha detto il sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore dopo il suo sopralluogo al carcere di Firenze. Le condizioni "che abbiamo visto qui sono in molti casi al di sotto di quelli che sono gli standard che noi vogliamo come amministrazione per la vita di chi ci lavora e delle persone che sono" recluse, ha detto. Migliore ha poi spiegato che i problemi strutturali del carcere sono "tra le questioni fondamentali" che sta verificando nel suo giro di visite nei penitenziari italiani nel corso del quale "stiamo verificando" anche gli "avanzamenti" sulla "decongestione". Il tasso di sovraffollamento, ha poi aggiunto, è ancora "elevato", minore però di "gran lunga" a quello "di soli tre anni fa". Al momento ci sono 747 reclusi a fronte dei mille di un triennio fa. Migliore ha poi aggiunto che "ci sono quasi tre milioni di euro destinati alla manutenzione relativa al fabbricato. Sono stati anche incrementati i fondi per il lavoro dei detenuti e quindi ci potranno essere maggiori contributi anche da parte di quelle attività che, per i non addetti ai lavori, si chiamano manutenzione ordinaria del fabbricato e che vedono coinvolti anche i detenuti. Inoltre sono stati previsti 24 progetti per quanto riguarda la cassa delle ammende, cioè l’attività che verrà rivolta al miglioramento delle condizioni detentive anche perché le condizioni che abbiamo visto qui sono in molti casi al di sotto di quelli che sono gli standard che noi vogliamo come amministrazione per la vita innanzitutto di chi ci lavora ma ovviamente delle persone che sono detenute. Quindi riteniamo che questi interventi debbano essere fatti in maniera urgente". Firenze: sovraffollato e vecchio, Sollicciano bocciato quinewsfirenze.it, 16 febbraio 2017 Il sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore dopo la sua visita ha definito le condizioni del carcere al di sotto degli standard. Qualche passo avanti, almeno sul piano dell’entità della popolazione carceraria, in realtà è stato fatto ma ancora non è sufficiente. Lo ha detto il sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore dopo il suo sopralluogo al carcere di Firenze. Le condizioni "che abbiamo visto qui sono in molti casi al di sotto di quelli che sono gli standard che noi vogliamo come amministrazione per la vita di chi ci lavora e delle persone che sono" recluse, ha detto. Migliore ha poi spiegato che i problemi strutturali del carcere sono "tra le questioni fondamentali" che sta verificando nel suo giro di visite nei penitenziari italiani nel corso del quale "stiamo verificando" anche gli "avanzamenti" sulla "decongestione". Il tasso di sovraffollamento, ha poi aggiunto, è ancora "elevato", minore però di "gran lunga" a quello "di soli tre anni fa". Al momento ci sono 747 reclusi a fronte dei mille di un triennio fa. Migliore ha poi aggiunto che "ci sono quasi tre milioni di euro destinati alla manutenzione relativa al fabbricato. Sono stati anche incrementati i fondi per il lavoro dei detenuti e quindi ci potranno essere maggiori contributi anche da parte di quelle attività che, per i non addetti ai lavori, si chiamano manutenzione ordinaria del fabbricato e che vedono coinvolti anche i detenuti. Inoltre sono stati previsti 24 progetti per quanto riguarda la cassa delle ammende, cioè l’attività che verrà rivolta al miglioramento delle condizioni detentive anche perché le condizioni che abbiamo visto qui sono in molti casi al di sotto di quelli che sono gli standard che noi vogliamo come amministrazione per la vita innanzitutto di chi ci lavora ma ovviamente delle persone che sono detenute. Quindi riteniamo che questi interventi debbano essere fatti in maniera urgente". Gorizia: il Dap "sarà chiusa la sezione speciale per i gay" di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 16 febbraio 2017 Santi Consolo assicura che non vi è alcuna limitazione, anche se "l’attuale collocazione è da considerarsi temporanea a causa dei lavori di ristrutturazione che interessano l’istituto". Il Garante nazionale aveva evidenziato l’isolamento di fatto dei due detenuti. Verrà probabilmente chiusa la sezione del carcere di Gorizia che ospita i detenuti gay. È quello che ha risposto il Capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Santi Consolo in merito alla questione sollevata dal Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma. All’inizio del 2016 è stato istituito un reparto riservato a tre detenuti omosessuali con lo scopo di "proteggerli" dal clima omofobo che regna nel carcere. L’intento apparentemente appare nobile, ma il risultato è stato quello di isolarli forzatamente, non lasciandogli lo spazio ad alcuna attività. Nella sua visita al penitenziario di Gorizia Mauro Palma ha avuto modo di verificare l’evoluzione della particolare sezione per detenuti protetti omosessuali. Nel suo rapporto il Garante nazionale aveva evidenziato alcuni importanti criticità: l’anti-economicità del progetto, in considerazione del numero delle persone che vi sono state ristrette nel corso di più di dieci mesi trascorsi dall’apertura, dell’eccessiva ampiezza degli spazi in un contesto in cui tutte le altre sezioni soffrono della ristrettezza dei locali; l’inaccettabile situazione di isolamento di fatto verificatasi per i detenuti ristretti nella sezione, per i quali la richiesta di protezione si è convertita in mera offerta di isolamento, in chiaro contrasto con obbligazioni internazionali relative all’isolamento sulla base di connotazioni soggettive e, in particolare, del proprio orientamento sessuale; l’inesistenza dell’offerta trattamentale per i detenuti di questa sezione e la complessiva centralità di una visione chiusa dell’esecuzione penale, peggiore di quanto offerto ad altri detenuti, seppure attuata in condizioni materiali di molto superiori; la propria perplessità circa la scelta in sé di aprire una sezione con tali caratteristiche e tale destinazione che, al di là delle positive intenzioni di chi l’ha concepita e avviata, di fatto rischia di aggiungere un’ulteriore stigmatizzazione a quanto di per sé la carcerazione determina nei soggetti e di aggiungerla sulla base del proprio orientamento sessuale. Mauro Palma aveva formulato delle raccomandazioni sulle condizioni della detenzione nella sezione, ma in una nuova visita aveva evidenziato non ci fosse alcun passo avanti.. "Nel giorno della visita - si legge nel rapporto - la sezione ospitava due persone detenute già presenti nel maggio scorso, indicate come detenuto 3 e detenuto 6 (rispettivamente M. D. e S. I.). Erano in due stanze distinte, totalmente separate e chiuse rispetto al resto dell’istituto e l’unica attività loro concessa era la possibilità di andare in biblioteca una volta settimana. Nonostante le stanze fossero all’interno di una sezione di per sé chiusa, le loro porte continuavano a essere chiuse dalle ore 16 di ogni giorno. Inoltre la sezione continuava a essere munita per attività in comune (tra i due) soltanto di un "calcio-balilla" e tenuto conto che uno dei due detenuti (detenuto 6) aveva avuto e continuava ad avere frequenti e prolungate assenze dal reparto sia per ricoveri ospedalieri, sia per trasferimenti ad altre sedi per ragioni di giustizia, la proposta di tale unica attività ludica (il "calciobalilla") per un detenuto frequentemente solo suscita soltanto amara ironia". Il capo del Dap ha risposto a Palma assicurando che la situazione è diversa. Quanto al detenuto M.D. - ammesso alle mansioni di scopino secondo i criteri dell’alternanza con gli altri detenuti protetti - la situazione di "isolamento" de facto asserita dallo stesso non scaturisce dalle proprie tendenze omosessuali, bensì dal suo personalissimo comportamento che - se l’anno scorso era connotato da un conflitto personale sempre più critico e di difficile superamento nei confronti dell’altro detenuto protetto, S.I. - oggi lo è nei confronti dei detenuti comuni della terza sezione: circostanza, questa, che ha determinato (per la salvaguardia della sua stessa incolumità) un divieto di incontro con gli stessi. Per Santi Consolo, proprio per queste ragioni, nei confronti di M.D., come anche richiesto dal Garante seppur per altre motivazioni, "appare opportuno il trasferimento presso altro istituto". Al riguardo è stato sensibilizzato il competente direttore generale a provvedere, verificando la possibilità di avvicinate il detenuto a Torino, città dichiarata di sua residenza. Per quanto riguarda la sezione protetta per omosessuali il capo del Dal comunica che al momento ospita tre detenuti, per i quali non vi è alcuna limitazione di offerte trattamentali rispetto agli altri detenuti, con i quali partecipano alle attività istruttive, formative e trattamentali in genere. A titolo meramente esemplificativo, si rappresenta che uno dei tre ospiti della sezione, fin dal suo ingresso, partecipa al gioco del calcio tutti i mercoledì e i sabato insieme ai detenuti comuni. L’isolamento risulta, pertanto, soltanto notturno, fermo restando che, quando non impegnati in attività comuni, sono nella sezione di pertinenza, dove le porte delle stanze rimangono aperte, come per gli altri detenuti, fino alle ore 17.45. Il capo del Dap però mette in discussione il mantenimento della sezione protetta. Fa osservare che, proprio a seguito della prima visita del Garante, presso l’Istituto è stato costituito un Gruppo di lavoro deputato, relativamente ai detenuti omosessuali e transgender, a svolgere un’attenta riflessione e formulare concrete proposte su come organizzare, in più istituti, esperienze di tutela e, al contempo, di piena integrazione nella quotidianità di tutti i ristretti, senza alcuna discriminazione. Santi Consolo, infine, annuncia che "l’attuale allocazione dei ristretti è da considerarsi temporanea a causa dei lavori di ristrutturazione che interessano l’istituto, solo al termine dei quali potranno essere effettuate valutazioni sul reparto e sulla sua eventuale chiusura, anche alla luce degli esiti che saranno rassegnati dal Gruppo di lavoro recentemente costituito". Vicenza: chiusura del servizio psicologico in carcere, la preoccupazione della Cgil di Monica Zoppelletto vicenzapiu.com, 16 febbraio 2017 "È un servizio erogato dal Sert, quindi riguarda per la maggior parte i detenuti con problemi di tossicodipendenza e per una minor parte tutti gli altri. Al momento ci sono due psicologi che offrono il sostegno ma il contratto", dichiara Giulia Miglioranza, della segreteria Cgil Vicenza. "La scadenza è prevista a luglio, l’Ulss aveva fatto richiesta di rinnovo ma la Regione Veneto non ha autorizzato". Un problema grave, quello della mancanza del sostegno psicologico, se si pensa che nei prossimi mesi la Casa circondariale di Vicenza potrà ospitare più detenuti con il nuovo padiglione costruito l’anno scorso. "Il servizio serve a favorire percorsi alternativi al carcere - conclude - e chiediamo alla Regione di rivedere la scelta di non rinnovare i contratti". Il comunicato della Cgil La Cgil e la Funzione Pubblica Cgil di Vicenza esprimono seria preoccupazione per le notizie emerse nei giorni scorsi, riguardanti la chiusura di alcuni contratti di lavoro di professionisti che operano all’interno dell’Ulss n. 8 "Berica" e la conseguente riduzione di importanti servizi. Risulta difficilmente comprensibile, se non secondo una mera logica di cassa, la scelta della Regione Veneto di interrompere, anziché stabilizzare, dei rapporti di lavoro precario che l’Ulss aveva instaurato negli ultimi 20 anni e che hanno consentito l’erogazione alla cittadinanza di alcuni servizi in ambito specialistico-professionale. In particolare, si legge in una nota, riteniamo grave la previsione di un azzeramento del Servizio di Psicologia, rivolto ai detenuti presenti all’interno della Casa Circondariale di Vicenza. Solo per fare qualche esempio sulle attività svolte dal Servizio di Psicologia, riteniamo che la valutazione dei cosiddetti "fattori di rischio relativi alla possibilità di auto ed etero-lesività" (nelle carceri vi è una percentuale di suicidi 9 volte maggiore rispetto al resto della popolazione), così come percorsi finalizzati ad orientare i detenuti verso la legalità (anche attraverso misure alternative al carcere), rappresentino dei passaggi fondamentali. Passaggi che contribuiscono nel concreto a qualificare le nostre carceri come luoghi in cui la pena può dare luogo a veri percorsi di riabilitazione, rispondendo alle finalità di rieducazione che le sono più proprie e che sono state sancite dalla nostra Costituzione. A fronte di un prossimo aumento della popolazione carceraria presente nella Casa Circondariale di Vicenza (da una media di 170 detenuti, con la messa a regime del nuovo padiglione vi saranno ulteriori 200 detenuti), la Regione Veneto decide di sopprimere questo servizio, anziché potenziarlo. Riteniamo quindi sia dovere della Regione Veneto rivedere la propria scelta. Chiediamo alla politica e alle Istituzioni di intervenire, ciascuna per la propria parte, affinché questo importante servizio, poco visibile ma estremamente delicato, venga non solo mantenuto, ma consolidato e implementato. Pena la perdita di un altro tassello, fondamentale per provare a dare il segno di un Paese attento alla dignità di tutte le persone. Salerno: i Radicali "carcere di Fuorni, l’inferno dietro le sbarre" di Gaetano De Stefano La Città di Salerno, 16 febbraio 2017 Nel carcere manca tutto, persino la video-sorveglianza. Afflussi anomali di denaro alla sezione Alta sicurezza. Amnistia, paralisi della democrazia, crisi del sistema liberare, potere della magistratura e condizione carceraria. Sono questi i temi affrontati nel corso del forum organizzato da la Città, per la presentazione dell’ultimo numero di Quaderni Radicali, dedicato al tema dell’amnistia e della crisi della giustizia. Nel corso della discussione il focus è stato puntato sulle criticità del carcere di Salerno che, secondo Emilio Fattorello, segretario nazionale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), si è trasformato, con l’andare del tempo, nel "terminale della criminalità organizzata". "L’afflusso economico che viene registrato nella sezione Alta sicurezza, in cui sono rinchiusi 80 carcerati - spiega il segretario del Sappe - è impressionante. Ci sono persone, che agli occhi dell’anagrafe tributaria risultano nullatenenti, che versano fiumi di euro ai detenuti. Tanto per fare una proporzione e rendersi conto del fenomeno, è stato calcolato come nel carcere di Poggioreale, una cella di 10 detenuti, consumi 10 mila euro al mese. E i dati relativi a Fuorni non si discostano di molto da questa realtà. Basta fare un controllo sui conti correnti per rendersi conto del fenomeno". Numeri che fanno capire come la detenzione non riesca a svolgere il compito della rieducazione. E come, anzi, la lentezza della giustizia, a causa del superlavoro, delle tante contraddizioni che ammantano la magistratura e della mancanza di uomini e mezzi, sia addirittura antieconomica. Parliamo proprio della Casa circondariale di Salerno. Entrando nello specifico qual è la condizione attuale? Tenendo pure conto che in Italia, in controtendenza rispetto a molti Stati europei, ben il 55% dei condannati in via definitiva sconta la pena in carcere e che, dunque, esiste un problema di sovraffollamento delle patrie galere. Emilio Fattorello, segretario nazionale Sappe. "Negli ultimi anni abbiamo fatto diverse denunce, è stata presentata finanche un’interrogazione parlamentare. Ma, purtroppo, assistiamo alla contraddizione di come sia chiamata a rispondere alle nostre istanze proprio la stessa Amministrazione che noi abbiamo denunciato. Nel carcere di Salerno si va avanti, da molto tempo, senza un reparto di separazione, che è essenziale per svolgere al meglio il nostro lavoro. In pratica, per comprendere la gravità della situazione, è come se in un ospedale non ci fosse il pronto soccorso. Ho segnalato il disservizio più volte alla magistratura di sorveglianza, senza avere mai risposta. Perciò sono stato costretto a rivolgermi alla Procura, perché più volte è capitato che abbiamo dovuto soccorrere detenuti con la testa fracassata, a causa di litigi. O, addirittura, spegnere incendi e avere a che fare con detenuti intossicati dal fumo, in quanto erano state incendiate le celle. La struttura, inoltre, è fatiscente, e ci sono interi reparti che cadono a pezzi. Come ciliegina sulla torta non abbiamo neppure la videosorveglianza e il turnover è bloccato da tempo immemore. Così, chi va in pensione per raggiunti limiti d’età difficilmente viene sostituito. Nel turno serale la Casa circondariale salernitana è gestita da soli 15 uomini in servizio, che devono provvedere a tutto, anche alle emergenze. È impossibile garantire il rispetto dei parametri stabiliti della sentenza Torreggiani, che prevede che ogni detenuto abbia a disposizione 3 metri quadrati in cella. E, allora, per evitare problemi, dall’alto è arrivato l’ordine di aprire le celle, con il risultato di detenuti picchiati sempre più spesso e di regolamenti di conti che si consumano frequentemente". Donato Salzano, segretario Radicali Salerno. "A Fuorni, circa il 40% dei detenuti, sono in attesa di giudizio. Il sovraffollamento è una condizione che assilla soprattutto il reparto reati comuni, che diventa una sorta di università del crimine. Perché a Salerno s’abusa della carcerazione preventiva. E così, chi va in galera per la prima volta, pure chi è innocente, entra in contatto con i veri delinquenti e può essere instradato sulla via della criminalità. Proprio per questo ritengo che la casa circondariale salernitana sia non solo illegale ma pure deleteria. La carenza più grave, comunque, secondo me, è l’insufficienza dell’assistenza sanitaria. Un gap al quale, il più delle volte, suppliscono gli agenti della polizia penitenziaria che, spesso, sono costretti a sostituirsi anche ai medici". Antonio Siniscalchi, già avvocato generale della Cassazione. "S’assiste ad un abuso della misura cautelare. Io sono un fautore di una magistratura attenta nell’intervenire sulla libertà degli individui. Sia la politica che la magistratura dovrebbero rigenerarsi, rielaborando tutto il sistema, perché è proprio il sistema penale che non funziona. Mi cadono le braccia quando assisto a processi decennali, che si concludono con l’assoluzione piena, perché il fatto non sussiste. Nel frattempo si è perseguitato un innocente. Avevo lasciato una magistratura di sorveglianza solerte e mi sorprende apprendere come adesso non sia più così. Perciò ritengo che sia sempre più urgente una presa d’atto delle forze che sinergicamente devono affrontare questo problema. Purtroppo, però, la classe politica si è logorata sul piano morale, al punto tale da non rendere possibile un provvedimento in termini più liberali". Giuseppe Rippa, direttore Quaderni Radicali. "Il carcere di Fuorni è il punto di sintesi della situazione generale del nostro Paese. È una fotografia della realtà eccezionale, che racchiude in sé la storia delle contraddizioni e delle esigenze riformatrici di un intero sistema, che è oramai al collasso. Il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale è inapplicabile, in quanto si traduce in una ingiustificata discrezionalità conferita al pm". Rimini: carcere dei Casetti, se il personale finisce "ingabbiato" di Mirco Paganelli ilponte.com, 16 febbraio 2017 Lo hanno definito "il peggiore carcere della Romagna", penultimo a livello regionale dopo quello di Bologna per quanto riguarda le condizioni dell’organico. A sostenerlo sono i sindacalisti che si sono ritrovati di fronte alla Casa Circondariale di Rimini per manifestare a sostegno dei suoi agenti di polizia penitenziaria. Riguardo a cosa? La mancanza di un funzionario in grado di supportare il comandante di reparto, dato che l’unico che era presente risulterebbe distaccato in altre sedi; le difficoltà della stagione estiva in cui le celle si riempiono, ma non i posti di lavoro; l’assenza di un direttore in pianta stabile che si dedichi alla sola struttura riminese; e soprattutto la scarsezza dell’organico che, secondo i calcoli dei sindacati, sarebbe deficitaria di 44 unità. Queste le lacune e le esigenze dei Casetti - da aggiungersi alle mancanze logistiche e strutturali, e ai problemi non indifferenti dei carcerati - secondo il punto di vista di chi vi lavora dentro. "Così non si può più andare avanti", ci ha raccontato uno dei giovani dipendenti della struttura. "Con il passare degli anni il personale anziano andato in pensione non è stato rimpiazzato. Io sono uno degli ultimi della nuova leva ad essere stato assunto una volta uscito da scuola". Quanti altri giovani sono stati inglobati di recente? "Dal 2011 ad oggi sono avvenuti solo dei trasferimenti e non c’è stato alcun ricambio generazionale, nonostante ogni anno vadano in pensione cinque persone. Nel carcere di Rimini c’è una grave carenza di organico". E come incide questa carenza nel lavoro di tutti i giorni? "Implica un maggiore carico di lavoro per tutti. In queste condizioni la direzione si trova a dover accorpare dei servizi. È facile trovare un solo agente in una sezione che può contenere 50 detenuti e di notte le sezioni vengono accorpate, perciò un solo agente può arrivare a seguire anche tre sezioni". Quindi quanti detenuti può arrivare a dover gestire un solo agente? "80, 100 detenuti". E che succede se avviene un imprevisto? "Può accadere che di notte qualcuno si senta male e debba essere portato all’ospedale. In tal caso bisogna predisporre una squadra per accompagnarlo e quindi il carcere rimane quasi completamente scoperto. Tutto ciò è davvero grave e non è più sostenibile". Secondo i sindacati, i poliziotti penitenziari di Rimini hanno bisogno di sentirsi confortati e meritano di lavorare in condizioni più accettabili. Attualmente ai Casetti ci sarebbero anche problemi di sovraffollamento con una eccedenza calcolata in circa 30 detenuti. "L’amministrazione penitenziaria deve dimostrare un maggiore senso di responsabilità e una migliore capacità organizzativa", hanno detto i manifestanti. "Rileviamo una amministrazione centrale assente. Così come essa decide di distaccare funzionari in altre strutture, deve attivarsi per dare al carcere quella linfa che gli serve per rimanere in vita". Secondo le associazioni che rappresentano i lavoratori della casa circondariale, la struttura di Rimini sarebbe quella nelle condizioni più gravi in Romagna e che per questo necessiterebbe di interventi non più procrastinabili. Un esempio? Per quanto riguarda l’organizzazione dei turni, "siamo dovuti passare dalla divisione della giornata in quattro quadranti con turni di sei ore - hanno aggiunto - a turni di otto ore che richiedono ai dipendenti di svolgere del lavoro straordinario". Davide Frisoni, Consigliere comunale di Patto Civico e Presidente della Quarta Commissione Consiliare di Rimini, ricorda: "I punti di un disagio ormai di lunga data oltre che di non semplice soluzione". Tra gli altri "il problema degli appalti nelle cucine del personale e in ogni caso le questioni in sospeso non sono poche, a partire dalla necessità rivendicata della presenza di un Direttore fisso". In estate, poi, l’aumento della popolazione cittadina fa aumentare anche quella carceraria. In tal senso, l’auspicio dei dipendenti è che si intervenga con una integrazione del personale nei mesi più caldi. Sarà la volta buona? Novara: detenuti al lavoro per ripulire la tangenziale, raccolti 1.500 chili di rifiuti novaratoday.it, 16 febbraio 2017 All’intervento ha collaborato anche Anas, con una sua squadra che ha provveduto alla regolamentazione del traffico. Nuovo intervento di pulizia straordinaria della città grazie all’impiego dei detenuti del carcere di via Sforzesca. Questa volta, i lavori hanno interessato alcune aree della tangenziale di Novara. L’intervento è stato coordinato da Assa e svolto nella giornata di martedì dai detenuti usciti in permesso premio nell’ambito del "Protocollo di recupero del patrimonio ambientale". All’intervento ha collaborato anche Anas, con una sua squadra che ha provveduto alla regolamentazione del traffico. Sono stati raccolti circa 1500 chili di rifiuti urbani lungo tutto il lato carreggiata e negli svincoli. "Con la volontà si possono fare tante cose - ha commentato il presidente di Assa Giuseppe Antonio Policaro - lo stiamo dimostrando nel concreto e questo intervento è ancora più emblematico oltre che di estrema importanza. Oggi infatti la fattiva e ben rodata collaborazione di Assa con la Casa circondariale e gli altri enti che partecipano al Protocollo si è allargata ad Anas. In questo modo abbiamo potuto restituire alla città e ai cittadini una tangenziale pulita e in ordine, intervenendo lungo una importante arteria viaria del nostro territorio che va oltre le nostre competenze. Speriamo ora che ci sia rispetto per il lavoro svolto oltre che per l’ambiente in cui viviamo". Milano: la Commissione Carceri regionale in visita a San Vittore e al Beccaria comune.milano.it, 16 febbraio 2017 Il primo giro ha avuto 24 incontri ed è stato dedicato ai comuni capoluogo e nelle città più significative del territorio. A partire dal 17 febbraio 2017 riprenderanno le 100 tappe in Lombardia del Consiglio regionale. Stavolta su base tematica. Primo appuntamento dedicato alle problematiche dei detenuti. Insieme alla Commissione speciale sulla situazione carceraria presieduta da Fabio Fanetti, la delegazione regionale si recherà al Beccaria e a San Vittore. Numero di detenuti. Il carcere di san Vittore è il terzo della Lombardia per capienza e numero di detenuti ospitati, dopo Bollate e Opera. Ha una capienza di 750 posti, ma secondo gli ultimi dati forniti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ospita 932 persone, 87 donne; il 61 per cento persone di nazionalità straniera, il 26 per cento tossicodipendenti. Le strutture carcerarie della Lombardia hanno una capienza di 6.120, mentre ne ospitano 7.814. Il 46,2 per cento sono stranieri, il 31,7 per cento tossico-dipendenti. Le donne sono il 4,6 per cento del totale. Le sezioni femminili sono a Bergamo, Bollate, Brescia, Como, Mantova, San Vittore e Vigevano. Condanne e nazionalità. Se il 15,1 per cento dei detenuti attende il primo giudizio, le condanne definitive sono del 66,7 per cento. Su 5.504 detenuti già condannati, 2.292 devono scontare pene inferiori ai 3 anni, mentre 1.116 pene inferiori a un anno. Devono scontare l’ergastolo 258 persone, mentre sono 66 i detenuti che dovranno trascorrere oltre 20 anni di carcere prima di tornare in libertà. La Lombardia ha il maggior numero di detenuti, seguita da Campania (6.887), Lazio (6.108) e Sicilia (6.032). In Campania gli stranieri sono il 13,1 per cento, mentre in Lombardia sono il 46,2 per cento. Sovraffollamento. L’indice medio di sovraffollamento è del 108,8 per cento, in Lombardia del 127,7 per cento. In diminuzione rispetto al picco del 2010, con il superamento del 168 per cento. Il disequilibrio è molto elevato. A Sondrio il sovraffollamento è del 69 per cento, a Bollate del 94,9 per cento, a Brescia e a Como supera il 180 per cento. Reggio Calabria: al via il progetto "Giovani dentro, giovani fuori: la scuola entra in carcere" ildispaccio.com, 16 febbraio 2017 Un’alleanza educativa tra regione, scuola, carcere ed Agape per aprire un nuovo fronte nel campo dell’educazione alla legalità ed alla cittadinanza attiva, è questo il significato del progetto "Giovani dentro-giovani fuori, la scuola entra in carcere" attraverso l’incontro tra detenuti e studenti. Il progetto promosso dalla scuola "Panella - Vallauri" insieme al Centro Comunitario Agape, la Casa Circondariale di Arghillà e sostenuto dall’Assessorato regionale alla Pubblica Istruzione della Regione Calabria, è stato presentato nella conferenza stampa tenutasi al "Panella - Vallauri" alla presenza dei rappresentanti dei vari organismi coinvolti. Obiettivo del progetto è l’incontro tra studenti e giovani attualmente in condizione di detenzione, con l’intento di sensibilizzare sul tema della legalità, favorire uno scambio esperienziale tra gli studenti e i detenuti, prevenire e fronteggiare devianza e disagio giovanile. Il progetto, presentato dall’avvocato-criminologo Patrizia Surace che ne ha la direzione scientifica, si articola nelle seguenti fasi: rilevazione delle opinioni dei ragazzi riguardo a concetti quali "integrazione sociale", "legalità", "trasgressione", "devianza", "volontariato", "solidarietà" attraverso la somministrazione di un questionario. Seguiranno incontri con 40 studenti delle quinte classi della scuola che saranno coinvolti in tutte le fasi del percorso e che si confronteranno con esperti, magistrati minorili, familiari di vittime di mafia o di racket; tra questi il procuratore per i minorenni Giuseppina Latella, il 23 febbraio, le vittime di racket e di mafia Tiberio Bentivoglio e Stefania Gurnari, il 2 marzo. Sono previste anche alcune testimonianze con ex- detenuti adulti che hanno intrapreso dei percorsi di devianza già da minorenni. Successivamente gli studenti potranno accedere alle carceri per confrontarsi con i detenuti che parteciperanno al progetto. A piccoli gruppi si realizzerà un racconto reciproco di vita che farà emergere le cause, le sofferenze ma anche il desiderio di riscatto di chi ha infranto la legge. Il progetto si concluderà con un evento finale di socializzazione dei risultati, attraverso scritti, video interviste, realizzate dall’agenzia Iamu.it, partner del progetto, e un report finale. In base ai risultati, è intenzione dell’assessore regionale alla pubblica istruzione Federica Roccisano, di estenderlo per il prossimo anno scolastico ad altre scuole ed istituti penitenziari della Calabria. L’assessore ha fatto giungere il suo messaggio agli studenti: "I ragazzi da questo progetto potranno trarre molti insegnamenti e interiorizzare un senso civico che rimarrà dentro di loro nel tempo, migliorando le loro attitudini verso gli altri e migliorando così anche la nostra regione." Parole di plauso al progetto sono venute anche da Eduardo Lamberti Castronuovo, già assessore alla legalità della Provincia e oggi Consigliere della Città Metropolitana, sottolineando come sia importante riconoscere il valore della "persona" che ha commesso un reato ma che ha diritto al pieno riconoscimento della propria dignità. Per Maria Carmela Longo, Direttrice della Casa Circondariale di Arghillà e Reggio Calabria, è un’occasione di conoscenza e riflessione per gli studenti che "si trovano in una fase determinante della propria vita, in cui scegliere da che parte stare". Ed è di "scelte" di vita che hanno parlato sia Domenico Nasone, professore di religione che accompagnerà gli studenti in questo cammino, sia la Preside del "Panella-Vallauri", Anna Nucera, che, riprendendo le parole di Don Italo Calabrò, "nessuno escluso mai" ha evidenziato il doppio valore del progetto: "da un lato la possibilità entrare in contatto con persone che hanno commesso errori ma che hanno una dignità inviolabile che va rispettata; dall’altro l’occasione per riflettere su quanto sia facile, purtroppo, smarrire la via della legalità, magari rincorrendo il guadagno facile e perdendo quelli che sono i propri valori che devono guidare la vita di ogni individuo, all’insegna della legalità e del rispetto di sé stessi". La conferenza stampa si è conclusa con le parole di Mario Nasone che, citando l’ultima bellissima canzone di Fiorella Mannoia, "anche se cadi la vita ti aspetta", ha ricordato il valore della scuola e degli insegnanti e come, a volte, il semplice incontro e la riflessione su temi del genere possano fare davvero la differenza. Taranto: IV edizione "Fuorigioco", nel carcere una giornata di calcio e impegno sociale lavocedimaruggio.it, 16 febbraio 2017 A conclusione della quarta edizione del progetto per la rieducazione dei detenuti "Fuori…gioco!", si è tenuto nel carcere di Taranto un incontro tra i reclusi ed il campione del mondo 1982 Claudio Gentile che ha emozionato i presenti raccontando un po’ di aneddoti sulla sua carriera recentemente raccolti in un libro. Poi a seguire, nel pomeriggio, sullo splendido tappeto erboso dello Stadio Iacovone, messo a disposizione dall’Assessore allo Sport del Comune di Taranto Francesco Cosa, da sempre molto vicino all’iniziativa, si sono affrontate in un quadrangolare di calcio, le squadre dei Magistrati, degli Avvocati, della Polizia Penitenziaria e dei detenuti, agli ordini di una terna di giovani e promettenti arbitri della Sezione di Taranto, designati dal Presidente della Figc Puglia Vito Tisci e dal Presidente Aia Taranto Di Leo. Ad affollare la tribuna rappresentanti delle Istituzioni, amici e parenti dei calciatori, ma anche tifosi e semplici curiosi che hanno incitato le squadre, anche intonando cori simpatici. Per il secondo anno consecutivo a vincere il torneo sono stati gli Avvocati tarantini che hanno battuto in finale per 1 a 0 con rete di Destratis, il forte team dei Magistrati del duo Rosati-Carbone rinforzati dal giudice toscano Di Benedetto bomber della Nazionale Italiana Magistrati e da Claudio Gentile nelle inedite vesti di "numero 10". Nella finale per il terzo posto, i detenuti sono stati battuti dagli agenti penitenziari solo ai calci di rigore. Tutte le gare si sono giocate all’insegna del più assoluto fair play, principio cardine di tutto il progetto. Durante la premiazione coppe, medaglie e targhe ricordo per tutti i partecipanti, consegnate dalla Direttrice della Casa Circondariale di Taranto dott.ssa Stefania Baldassari e dal responsabile del progetto Avv. Giulio Destratis. "Derelitti e delle pene", di Remo Bassetti. Se tu che leggi fossi in carcere remobassetti.it, 16 febbraio 2017 Un libro in tre parti, diverse ma complementari. La prima, la pena pensata, risponde alla domanda "perché punire" e si confronta con le ipocrisie sottese all’attuale sistema. La pena applicata, traccia una minuziosa storia della prigione in Italia, con il supporto di materiali d’archivio, e oscilla spesso tra il drammatico e il grottesco. L’ultima parte, la pena vissuta, è una collezione di brevi monologhi, raccolti dall’autore sulla base di colloqui effettuati nei più importanti istituti di pena del paese: più che resoconto una narrazione, condotta sul filo di una tensione linguistica che mira a restituire nello stile la frammentazione e l’isolamento delle voci ascoltate. Quanti discorsi si fanno sui carcerati. È giusta la pena? È sufficiente? È violenta? Per capire serve ragionare. Ma anche compenetrarsi in quell’esperienza estrema. Bisognerebbe immaginarcisi in una cella, caro lettore. E allora immaginati chiuso in un ascensore fermo tra i piani, perché lo spazio non è tanto diverso, e la tua vita poi si è davvero fermata tra quei piani, e quel niente sminuzzato che ti capita oggi si ripeterà domani, e ancora si ripeterà. Immaginati a vivere questa condizione di inversione dell’onere della prova. Chi conduce un’esistenza normale ha diritto a tutto ciò che non gli è vietato. Tu non hai diritto a nulla, se non ciò che ti è consentito, e devi provare che ti è consentito. Chi cammina per strada può ridere o piangere o battere le mani, senza dovere dare conto del motivo, senza che nessuno gli chieda perché. Ma tra i diritti che tu hai perso c’è anche quello di far capitare le cose senza motivo, il sorriso o il pianto deve pur avere una sua ragione per non essere sospetto, provocatorio, irrispettoso. La creatività è un lusso che appartiene a chi sta fuori, ciò che ti serve, te lo avranno ripetuto più volte, è di-sci-pli-na. E allora lasci cadere il tuo sguardo sul muro, lasci che il tuo sguardo si pianti sul muro come un chiodo, sguardo da smorzare, come la luce flebile che vagamente rischiara la cella, sguardo declassato, che non può fissare troppo il compagno, cazzo guardi, non l’agente, il tuo sguardo, ormai inferiore. Tutto il sistema carcerario si fonda sulla superiorità dello sguardo altrui, che può infilartisi addosso, al posto della canottiera, dovunque sei. Ora ti senti male ma non c’è una mano amica a rassicurarti. Potrebbe essere un disturbo cardiaco o un’infezione, ma è tardi e non è che tu possa disturbare l’agente o il medico di turno per una semplice impressione, se ne parlerà domani. Forse ti aiuterebbe un po’ d’aria. Se ne parlerà domani. (Fai caso a quante volte usi il ma. Il mondo normale è il regno del se perché di nessun possiamo essere certi che non si realizzerà. Il mondo carcerario è il mondo del ma, tante cose sarebbe forse possibile o, sbilanciamoci, giusto e comprensibile che accadessero ma … L’onda delle tue richieste non si infrangerà contro gli scogli di un totale disconoscimento bensì contro la barriera corallina di una serie di preziosissimi e taglienti ma - il regolamento non lo prevede, la sicurezza non lo consente, l’organizzazione non può tollerarlo - da cui quotidianamente cesellare una collana di frustrazioni. Il regno del se, anche quello abitato dal più disgraziato, è il regno della speranza. Il regno del ma è il regno dell’impotenza.) L’aria. Qui dentro significa passeggiare in tondo in un cortiletto nel quale il cemento potrebbe quasi morderti i polpacci tanto ce n’è, una strana aria senza odori, ma gli odori poi chi se li ricorda, all’inizio che sei entrato qualcosa distinguevi e ti accorgevi che attorno c’era puzza, adesso non la senti più, forse perché è la tua. E il bello è che quell’ora d’aria la desideri, potresti arrabbiarti ferocemente se te la negassero, curioso vero?, se non ci fossero i bagni nelle celle potrebbero portarti anche a pisciare vicino a un albero, in termini relativi la tua vita se ne gioverebbe, sarebbe pur meglio che aggiungere il tanfo di orina agli altri della cella, e dopo un po’ ti scorderesti che è umiliante, e potresti reclamare anche per quello, che oggi non ti hanno ancora portato a pisciare vicino all’albero, e diresti mi trattate come una bestia, e se pensassi che è preferibile insistere con le buone magari proveresti a scodinzolare. Adesso vorresti leggere quelle pagine ma non hai con te il tuo libro. Vorresti dire a tua moglie che dopo tanto tempo hai capito ma no è il giorno del colloquio né quello della tua telefonata. Un’ora alla settimana uno di fronte all’altra, dieci minuti al telefono, questo è ciò che devi far bastare. Ora ricordi un’altra cosa che volevi toccare: le sue gambe. Quanti anni che non lo fai? Uno, due, tre. Tra quanti potrai rifarlo … Uno, due, tre … Sempre se ti aspetta. È ovvio, si cerca di andare d’accordo. I grandi temi lasciateli a quelli fuori. Il turno per andare al cesso, il turno per pulire il cesso. La qualità della tua vita dipende essenzialmente da questo. Ed è uno dei pochi momenti in cui sei legittimato a dire davvero la tua, per il resto la tua responsabilità e il tuo potere di decisione sono ridotti a zero, la tua giornata pianificata. Non è il caso di lasciarti fare di testa tua, abbiamo visto fuori cosa è successo. E così trascorrono queste primavere senza fiori, queste estati senza mari. D’inverno, una volta, da dietro le sbarre, hai visto la neve, si scioglieva appena posatasi per terra. Ci hai pensato tutta la notte e siccome eri sveglio facevi più caso al rumore delle chiavi dentro i cancelli. Qualcosa ti rimane, i sentimenti, i desideri, anzi qualche volta te li trovi messi per iscritto. Perché ogni sentimento o desiderio ha un risvolto cartaceo e burocratico. Il desiderio rimane confinato o inespresso nella tua coscienza oppure diventa una domanda alla pubblica amministrazione. Così va. Provi a passarti la mano addosso. Astrattamente tempo a disposizione per coltivare i rimorsi ce ne sarebbe anche, ma hai cose più impellenti da fare. Ciò che contemplerai è solo il tuo corpo imbruttito. E la tua memoria, da tempo, è la memoria di ciò che stai perdendo. "Processo mediatico e processo penale", di Carlotta Conti. Prima la sentenza, poi gli indizi di Valentina Stella Il Dubbio, 16 febbraio 2017 È in libreria "Processo mediatico e processo penale. Per un’analisi critica dei casi più discussi da Cogne a Garlasco" (Giuffrè editore, Milano 2016, euro 22). Il volume si occupa delle più note vicende giudiziarie degli ultimi anni e le riaffronta attraverso una analisi critica delle prove e degli atti giudiziari. Inoltre mette in luce le devianze delle "rappresentazioni mediatiche" dei processi penali di fatti di cronaca nera. Un testo scritto da molti autori (ciascuno si occupa di un caso) utile per gli esperti ma anche per chi volesse riscoprire il gusto e il rispetto per il ragionevole dubbio. Ne discutiamo con la curatrice del libro, Carlotta Conti, professore associato di Diritto processuale penale dell’Università di Firenze. Nelle conclusioni del volume, il dottor Iacoviello usa tre interessanti espressioni in riferimento "all’altro processo, quello dell’opinione pubblica": "essa si informa e decide in base ai verbali dei mass media", "la ragionevole durata del processo dell’opinione pubblica si consuma in poco tempo" e "la morale si confonde con il diritto". Si possono così riassumere le storture del processo mediatico? E quali sono gli anticorpi? Si tratta di una sintesi efficacissima, che condivido in pieno. Gli anticorpi si trovano prima di tutto nel processo. Senza dubbio, sarebbe necessario che fosse rispettato il divieto di pubblicazione di atti, sancito con chiarezza da una norma del codice di procedura penale, l’art. 114, oggi sostanzialmente disapplicata anche perché la violazione da parte dei giornalisti, se fosse perseguita, sarebbe estinguibile mediante oblazione con il pagamento di 129 euro. Ma più ancora, visto che il processo mediatico si ciba anche soltanto di informazioni generiche che poi deforma, ingrandisce e talora mistifica, sarebbe indispensabile che il processo "giudiziario" recuperasse efficienza. Per un verso, tutti gli operatori processuali dovrebbero accogliere un’etica della responsabilità; per un altro verso, sarebbe necessario che il rito recuperasse efficienza: se il processo giudiziario fosse rapido e serio, i giornalisti, temendo la smentita, sarebbero meno liberi nella celebrazione di quello mediatico. Invece oggi le disfunzioni e le lungaggini del processo giudiziario fanno sì che la smentita non arrivi se non a distanza dalla chiusura mediatica della vicenda. Inoltre, nel processo giudiziario si riscontra un’assenza di certezza, dovuta ai continui ribaltamenti, come dimostrano molte delle vicende trattate nel volume. Con una qualche semplificazione, si può affermare che i ribaltamenti sono causati dal rifiuto di accogliere la cultura delle prove e il criterio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio. La dottoressa Capitani, una delle autrici, scrivendo del caso Cogne evidenzia i pericoli del metodo investigativo e accusatorio della costruzione del "bersaglio intorno alla freccia", detto in altre parole gli inquirenti si innamorano pregiudizialmente di una tesi e solo dopo vi costruiscono intorno gli indizi. Sicuramente si tratta di un approccio fallace. Ciò non toglie che la polizia giudiziaria possa muoversi nella logica del sospetto, essendo il "fiuto" degli investigatori, una risorsa alla quale il codice non intende rinunciare. Ciò in ragione del fatto che lo stesso codice impone al pubblico ministero una sintesi logico- giuridica all’esito delle indagini. Egli non a caso, come ha affermato in più occasioni il Primo Presidente della Cassazione, ha il compito di formulare la migliore ipotesi ricostruttiva, idonea a resistere all’urto del contraddittorio dibattimentale, che costituisce un fondamentale tentativo di smentita. La struttura del processo, se ben applicata, si basa su di un meccanismo conoscitivo esattamente opposto alla costruzione del bersaglio intorno alla freccia. Nel caso Kercher i giudici si sono affidati al tradizionale approccio della convergenza del molteplice, ovvero indizi non probanti ma che presi nell’insieme a loro parere costituivano un elemento forte per la condanna. La Cassazione ha ribaltato questo approccio. Come viene evidenziato nel volume, è oggi in atto uno scontro tra due modi opposti di valutare le prove. Da un lato, la convergenza del molteplice, approccio datato e metodologicamente criticabile; da un altro lato, quella che io chiamo la "scienza delle prove": un metodo logico- razionale di valutazione di ogni elemento considerato in se stesso e successivamente collocato nel quadro delle altre risultanze. La Cassazione accoglie senz’altro questo più moderno metodo di valutazione già, peraltro, fatto proprio dalla sentenza della Corte d’assise d’appello di Perugia. Nell’esame di ogni indizio quella sentenza ha provveduto alla verifica e, soprattutto, al tentativo di smentita delle leggi scientifiche e delle massime di esperienza ad esso applicabili. Soltanto in tal modo si raggiunge quel requisito che la Cassazione chiama "certezza" dell’indizio. In Italia le condanne vengono sempre pronunciate nel rispetto dello standard probatorio imposto dal principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio? Si impone una risposta negativa, per quanto io non possa fare statistiche. La dimostrazione la si trova nei capovolgimenti che hanno caratterizzato i processi trattati nel volume. Più utile mi sembra sottolineare che nel nostro sistema il criterio del ragionevole dubbio si fonde con l’obbligo di motivazione completa, legale e razionale. Dunque, si è dinanzi a qualcosa di radicalmente diverso dal reasonable doubt dell’esperienza d’oltreoceano, dove il verdetto è immotivato. La ragionevolezza del dubbio, da etereo attributo contraddistinto più che altro dalla suggestiva portata evocativa, si tramuta da noi in una logica ferrea e implacabile, imperniata su di un costante tentativo di smentita. L’assenza o l’erronea applicazione di tale metodo, tutt’altro che innocua, risulta aggredibile con l’impugnazione sia di merito, sia di legittimità. Di qui l’apprezzabile significato giuridico della formula in esame. Migranti. L’allarme di Frontex per l’Italia: "dalla Libia ne arriveranno altri 180mila" Il Messaggero, 16 febbraio 2017 Rafforzare la politica dei rimpatri dei migranti economici dall’Italia: è il piano di lavoro su cui Frontex si è impegnato con l’Italia in vista di un nuovo massiccio flusso di sbarchi che si prevede in arrivo dalla Libia nei prossimi mesi. Secondo il direttore esecutivo dell’Agenzia europea Fabrice Leggeri è infatti "realistico dire" che "sulla rotta del Mediterraneo centrale nel 2017 occorre prepararsi ad affrontare lo stesso numero di arrivi di migranti del 2016", circa 180mila (+17% sul 2015). La collaborazione con le autorità libiche per l’addestramento della guardia costiera, così come i compact per la cooperazione con i Paesi africani sono "un investimento importante" che darà i suoi frutti "nel medio e lungo termine" spiega Leggeri, ma "nel breve periodo" si punta a serrare le maglie dei controlli, per mettere assieme identificazioni ben documentate in modo da ottenere lasciapassare e fogli di viaggio dai consolati dei Paesi terzi, per le riammissioni. Per questo serviranno nuovi hotspot e team mobili di esperti da impiegare per condurre accertamenti molto approfonditi. Secondo Leggeri "una larga parte dei migranti in attesa di mettersi in viaggio dalla Libia, arrivano dall’Africa occidentale, ed almeno il 60% di questi si stima siano migranti economici". Per poter condurre i rimpatri servirà anche un’accelerazione delle decisioni a livello nazionale. Nel 2016 i Paesi Ue (direttamente responsabili per i rimpatri) hanno emesso 305.365 provvedimenti (+6,5 rispetto al 2015), ma di questi solo 176.223 sono stati eseguiti, per una media di meno di 15mila al mese. In particolare, Grecia e Italia hanno fatto registrare un numero di esecuzioni in calo de110% sul 2015, mentre la Germania ha incrementato del 24% e la Svezia del 55%. Leggeri mette però in guardia anche rispetto ad un "triste paradosso" che si è evidenziato nel 2016: "nonostante l’alto numero di operazioni sulla rotta del Mediterraneo centrale, con la più alta concentrazione di uomini e mezzi mai vista, si è registrato il picco storico di morti, con oltre 4500 vittime stimate". Questo perché il maggior numero di naufragi avviene ormai "vicino alla Libia, spesso in acque territoriali libiche", un’area dove Frontex non opera. Intanto sono soltanto 3.200 i richiedenti asilo trasferiti dall’Italia in altri Paesi europei secondo il programma della relocation, che prevedeva invece il ricollocamento di 40mila persone. Numeri "del tutto insoddisfacenti", ha lamentato ieri il ministro dell’Interno, Marco Minniti, in audizione al Comitato Schengen. In attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legge sull’immigrazione approvato venerdì, il ministro ha anche riferito che sono pronti ad operare i primi equipaggi della Guardia costiera libica addestrati dagli italiani ed ha invitato il Parlamento ad approvare il disegno di legge sui minori non accompagnati che continuano a sbarcare numerosi. Rifugiati, quanta ipocrisia nelle critiche europee a Trump di Riccardo Noury Corriere della Sera, 16 febbraio 2017 Mentre il presidente Donald Trump, con un tratto di penna, impediva l’ingresso negli Usa alla maggior parte dei cittadini provenienti da sette paesi musulmani e sospendeva il programma di reinsediamento dei rifugiati, buona parte dei leader europei prendeva le distanze da quella politica e da quei provvedimenti irresponsabili e intrisi di discriminazione sostenendo una "diversità" del Vecchio continente: "Fa parte della nostra identità: noi celebriamo i muri che si abbattono e i ponti che si costruiscono", gli replicava Federica Mogherini, alta rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Parole nobili, certamente. Ma a proposito di muri e ponti, l’Europa ha qualcosa da insegnare a Trump? In che modo le politiche di Trump sono peggiori di quelle adottate in Ungheria dal primo ministro Orbán? E il muro col Messico è così diverso dal blocco della rotta balcanica? È trascorso quasi un anno dalla firma dell’accordo con la Turchia. Questo accordo, destinato a rimandare i richiedenti asilo in Turchia sull’assunto che questo paese è sicuro, sta lasciando migliaia di persone in un limbo giuridico e condizioni squallide e insicure sulle isole della Grecia e ha causato il rinvio illegale di richiedenti asilo in Turchia in flagrante violazione dei loro diritti umani. E dalla Turchia non pochi sono stati rimandati nelle zone di guerra, come Siria e Afghanistan. Amnesty International ha verificato che alcuni richiedenti asilo sono stati espulsi in tutta fretta senza poter presentare richiesta d’asilo o appellarsi contro il primo diniego, in violazione del diritto internazionale. In omaggio al principio illegale "un ingresso in cambio di un’espulsione", dalla Turchia in un anno sono arrivati 3.000 rifugiati siriani. Questo è il contributo dell’Unione europea alla più grave crisi globale dei diritti umani: 3.000 rifugiati presi dalla Turchia su un totale di due milioni e ottocento mila! Quel che è peggio è che i leader europei descrivono l’accordo come un successo, mentre chiudono gli occhi di fronte al costo, insopportabilmente alto, pagato da chi ne sta subendo le conseguenze. A coloro, Italia in prima fila, che sostengono che quello con la Turchia è il modello per ulteriori accordi con paesi quali Libia, Sudan e Niger dovrebbe essere impedito di replicarlo. Allora sì che l’Unione europea potrebbe essere coerente nelle critiche a Trump. Se rispondi sì a questa domanda, per l’Fbi potresti essere un terrorista di Marta Serafini Corriere della Sera, 16 febbraio 2017 "The Intercept", il sito di Gleen Greenwald, pubblica il questionario che i federali usano per tracciare il profilo di un soggetto radicalizzato. Le critiche degli analisti: "Fanno decidere ad un algoritmo". "Il soggetto viaggia?", "Ha accesso facile ad armi e munizioni?", "Fa uso di sostanze (droga, alcool, ecc.)", "Ha subito di recente un lutto o un’umiliazione vera o immaginaria che sia?". Domande che, all’apparenza sembrano davvero banali. Ma che - secondo un documento pubblicato da The Intercept - sono usate dall’Fbi per stabilire gli Indicatori di mobilitazione alla violenza (radicalizzazione). Tradotto, significa che gli agenti impegnati nell’analisi di un sospettato di terrorismo devono tracciare il profilo del soggetto attendendosi a questa traccia. Ad ogni risposta viene attribuito un punteggio che porta a indicare la radicalizzazione su una scala da 1 a 100. Sulla base del dato, le indagini poi prendono una piega piuttosto che un’altra. I tentativi della Casa Bianca - Come fa notare il giornale di Gleen Greenwald, autore dello scoop sul Datagate, la traccia è composta da 48 domande ed è stata messa a punto nel 2015. Alcune domande sono più scontate di altre. Eppure ce ne sono altre ancora che vanno più a fondo. La numero 20, ad esempio, recita: "Il soggetto è un fruitore regolare di materiali di propaganda?". Al punto 31, si legge: "Il soggetto riceve istruzioni o è sotto la guida diretta di estremisti stranieri?". Una quota del questionario è dedicata al profilo psicologico per capire se ci siano squilibri che possano favorire la radicalizzazione e il compimento di atti violenti. In particolare a ex militari in congedo, come sottolinea la domanda numero 10 e ai comportamenti più sospetti come l’assenza dal lavoro, i cambiamenti nell’aspetto fisico (ma non viene specificato di che tipo). Nel questionario viene evitato ogni specifico riferimento alla religione. Ma è chiaro come il target siano i soggetti a rischio reclutamento da parte dei gruppi jihadisti, considerati dagli analisti tra i più pericolosi al momento. Se anche gli Stati Uniti hanno visto infatti crescere il numero di attacchi legati al jihadismo, secondo The Intercept, tuttavia il questionario tradisce un vizio di forma e di sostanza importante. "Anche lasciando da parte diritti fondamentali come la libertà di espressione (leggere o scrivere qualcosa di controverso su un attentato non equivale a compierlo), affidare a un modello matematico o a un algoritmo la compilazione di un profilo del genere è rischioso", avverte Karen Greenberg direttore del Fordham Law School’s Center on National Security. In Europa i metodi di indagine dell’Fbi hanno sempre sollevato qualche dubbio. I federali tradizionalmente fanno uso delle sting operations per catturare i terroristi. Tradotto si tratta di infiltrare le organizzazioni estremiste con agenti sotto copertura che influenzano il comportamento degli altri membri del gruppo. Ma si tratta di un metodo che ha fatto anche danni notevoli. Indurre qualcuno a commettere un crimine non è infatti considerato etico da parte di chi invece è a favore di indagini condotte nel rispetto dei diritti giuridici fondamentali. Al di là delle questioni puramente etiche, c’è poi un problema di tensioni con la comunità musulmana. Dopo le sparate della campagna elettorale e dopo il Muslim ban, il timore di una parte di analisti e osservatori è che l’amministrazione Trump sia intenzionata a interpretare l’antiterrorismo esclusivamente in senso anti islamista, tralasciando ad esempio la lotta all’estremismo di destra. Un approccio che potrebbe fare danni enormi in un Paese che fino a questo momento ha visto un numero di radicalizzati jihadisti relativamente basso rispetto ad altre realtà europee. Droghe. Quanto pesa il silenzio nel suicidio di un figlio di Concita De Gregorio La Repubblica, 16 febbraio 2017 Nessuno di noi è nella mente di nessun altro, nessuno può sapere davvero. Nessun può ergersi a giudice, nessun commento è lecito. L’unico sforzo che possiamo fare, meglio se in solitudine e in silenzio, è provare a capire - nella speranza che il tentativo di comprendere sia utile a noi stessi, da domani in avanti nelle nostre vite. Perché il figlio si è buttato, disperato di quali pensieri, perché la madre ha chiamato in aiuto la Guardia di Finanza, disperata fino a che punto di cosa. Perché ha pronunciato quelle parole in chiesa, ascoltatele tutte prima di rispondere a voi stessi. Sempre, davanti a un suicidio, ricordo le parole di David Foster Wallace che mi sembrarono, da ragazza, le più precise, le più nitide: è proprio come quando una persona intrappolata si butta da un palazzo in fiamme. "Morire per una caduta, rispetto alle fiamme alle tue spalle, è il meno terribile dei terrori". Gridare "non farlo" è sempre inutile perché farlo è un sollievo. Un sollievo da cosa nel caso di Giò, sedici anni, dieci grammi di hashish nascosti nella stanza? La sproporzione fra il gesto e l’eventuale colpa è terribile, ma erano davvero queste, solo queste le fiamme alle sue spalle? Non lo sappiamo, nessuno lo sa. Nessuno, neppure sua madre che in chiesa, al funerale del figlio, si rivolge ai ragazzi prima, ai genitori poi e dice loro: rompiamo la solitudine. Quali solitudini? Quella esistenziale di ogni adolescente? Quella dei padri e delle madri che non riescono a varcare la barriera del silenzio con loro, che non sentono, non vedono, non capiscono cosa accade nella cameretta dalla porta chiusa? Ogni genitore sa di quel silenzio. È un momento: è molto difficile, misterioso, ma passa. Lo sforzo di cercare una forma di dialogo, qualunque essa sia, coi propri figli - in quegli anni - è il lavoro difficile di ogni genitore. Siamo stati tutti ragazzi, possiamo ricordare com’era a parti invertite. Chiamare la polizia, la Finanza, chiedere aiuto perché "non potevo vedere mio figlio perdersi" è un gesto a sua volta disperato, assai più frequente di quanto le cronache non raccontino. Molte volte serve, molte no. È solo l’hashish, la Cosa che ci separa e che ci rende estranei, sono solo le droghe? Basterebbe legalizzare per tornare a condividere coi figli adolescenti i sorrisi a cena e le parole? Non credo, non so. Certo spezzerebbe i traffici criminali di chi si arricchisce sui divieti, ma le fiamme alle spalle di un ragazzo di 16 anni sono solo e tutte lì? In questo caso, per esempio. Ascolto la madre che dice "tornerai dalla tua prima mamma come in una staffetta d’amore", provo a immaginare il passato di quella famiglia, la sua storia. Non so, provo. La ascolto rivolgersi ai coetanei di suo figlio e pregarli di "diventare protagonisti delle vostre vite, mettere giù il cellulare, avere il coraggio di dire occhi negli occhi" e non rispondere alle domande anonime di Ask, non limitarsi ai messaggi su WhatsApp. La solitudine dei figli nelle stanze chiuse, loro nei loro computer, nei loro telefoni. Come se gli schermi succhiassero via le loro energie e li portassero altrove, non sappiamo dove. I ragazzi - moltissimi di loro- lo sanno, che quella non è vita vera. Proprio oggi nella rubrica Invece parla Giulia, 15 anni: "Vorrei non aver più paura del giudizio degli altri ed essere libera", dice. Lasciano i social network, tanti adolescenti, in fuga dall’onda delle parole ostili. È quel tribunale permanente, è il giudizio spesso anonimo degli altri, il fuoco alle spalle? Dice ancora, la madre, rivolta ai genitori: "Non si vince da soli, non c’è vergogna se non nel silenzio". Vergogna di cosa? Vergogna di dire che non si riesce a capire, a correggere la rotta, vergogna che i nostri figli non siano come gli altri si aspettano che siano? Vergogna che le cose non siano andate come dovevano rispetto alle attese, ai progetti agli sforzi e ai desideri? Le fiamme sono sempre dietro, fuori da noi, prima di divampare dentro di noi. Sono nel coro di chi guarda, nel giudizio degli altri: manca il dubbio nelle parole in questo frastuono di parole certe. Non sono solo le droghe, tomo, né solo le chat. L’hashish e gli schermi non sono cause ma conseguenze, fra le molte possibili, di una solitudine assai più grande di quella che le droghe e le chat possono provocare. Solitudine che è di padri come di figli, tutto attorno e infine dentro di noi. Droghe. 16enne suicida per l’hashish, la Guardia di Finanza chiamata dalla madre di Valentina Santarpia Corriere della Sera, 16 febbraio 2017 In chiesa la madre ringrazia la Guardia di Finanza "per avere ascoltato un urlo di disperazione di una madre che non poteva accettare di avere suo figlio perdersi ed ha provato con ogni mezzo di combattere la guerra contro la dipendenza". Le Fiamme Gialle confermano: ci hanno attivato i genitori. "Vi vogliono far credere che fumare una canna è normale, che faticare a parlarsi è normale, che andare sempre oltre è normale. Qualcuno vuol soffocarvi". Straziante e commovente, è arrivato sotto forma di un appello ai ragazzi, ai funerali del figlio, il grido di dolore della madre del sedicenne che si è tolto la vita a Lavagna durante una perquisizione della Guardia di Finanza perché era stato trovato in possesso di 10 g di hashish. La madre del ragazzo rivolge "un pensiero particolare" anche alla Guardia di Finanza che ringrazia "per avere ascoltato un urlo di disperazione di una madre che non poteva accettare di avere suo figlio perdersi ed ha provato con ogni mezzo di combattere la guerra contro la dipendenza prima che fosse troppo tardi". Un ringraziamento che lascia intendere che sia stata proprio lei a chiamare le forze dell’ordine per farle intervenire: e le Fiamme Gialle confermano di essere state "attivate" per intervento dei genitori. "È stata la mamma del ragazzo a rivolgersi a noi, quella stessa mattina venendo in caserma, perché non sapeva più cosa fare. Aveva provato tante volte a cercare di convincerlo a smettere ma non sapeva più come fare". Ma nelle parole di Antonella Riccardi, madre adottiva del ragazzo suicida, non c’è rancore né rimpianto: "Non c’è colpa né giudizio nell’imponderabile e dall’imponderabile non può che scaturire linfa buona con ancora più energia per la lotta contro il male, grazie". Com’è andata - "Quello che è successo - sottolinea Nisi, che parla di famiglia coraggiosa - è una cosa imponderabile, fuori da quello che umanamente uno si può immaginare. La mamma del giovane è venuta in caserma e ci ha detto che il figlio usava droghe leggere, che aveva paura che fosse finito in un brutto giro. Abbiamo capito che non ci trovavamo davanti a un criminale e siamo intervenuti quasi con una finalità pedagogica visto che erano appunto pochi grammi". "Noi siamo al servizio dei cittadini - conclude l’ufficiale - e capita a volte che siano gli stessi genitori a chiamarci per chiederci aiuto. Abbiamo agito con tutte le cautele del caso, ma è stato un fatto davvero imponderabile". L’appello - Ma non c’è spazio invece nel discorso della madre del sedicenne per ricostruzioni e responsabilità. Il suo è soprattutto un invito ai ragazzi, gli amici, i compagni di scuola: "Diventate protagonisti della vostra vita e cercate lo straordinario. Straordinario è mettere giù il cellulare e parlarvi occhi negli occhi. Invece di mandarvi faccine su whatsapp, straordinario è avere il coraggio di dire alla ragazza sei bella invece di nascondersi dietro a frasi preconfezionate". L’ultimo pensiero però è per lui, il figlio adottivo perso in pochi secondi: "Le ultime parole sono per te, figlio mio. Perdonami per non essere stata capace di colmare quel vuoto che ti portavi dentro da lontano. Voglio immaginare che lassù ad accoglierti ci sia la tua prima mamma e come in una staffetta vi passiate il testimone affinché il tuo cuore possa essere colmato in un abbraccio che ti riempia per sempre il cuore". "La domanda non è perché, ma come possiamo aiutarci" - "Straordinario è chiedersi aiuto proprio quando ci sembra che non ci sia via di uscita. Straordinario è avere il coraggio di dire ciò che sapete. Per mio figlio è troppo tardi ma potrebbe non esserlo per molti di voi, fatelo", ha detto la donna. "Noi genitori invece di capire che la sfida educativa non si vince da soli nell’intimità delle nostre famiglie, soprattutto quando questa diventa una confidenza per difendere una facciata, non c’è vergogna se non nel silenzio: uniamoci facciamo rete", ha aggiunto. "In queste ore ci siamo chiesti perché è successo, ma a cercare i perché ci arrovelliamo. La domanda non è perché, ma come possiamo aiutarci. Fate emergere i vostri problemi", ha detto la madre ai ragazzi. "Legalizziamo" - La morte del sedicenne ha riportato in auge il discorso della legalizzazione. Lo scrittore Roberto Saviano, in un post su Facebook, ha commentato il suicidio del ragazzo, sottolineando che il dramma "ci obbliga a riflettere sulla necessità di legalizzare le droghe leggere". "Non possono restare sordi alle ragioni con cui perfino il procuratore nazionale antimafia ha espresso il proprio favore alla cannabis legale, come altri magistrati ed esponenti delle forze dell’ordine - aggiungono i Radicali -. Non possono ignorare le oltre 60 mila firme che come radicali abbiamo depositato alla Camera sulla nostra legge di iniziativa popolare Legalizziamo! E soprattutto non possono voltarsi dall’altra parte davanti alle tantissime vite rovinate dalla follia proibizionista". Argentina. "L’Italia, i torturatori e la mia giustizia negata" di Alfredo Sprovieri La Repubblica, 16 febbraio 2017 L’urlo di Maria, rubata ai genitori dalla dittatura. Padre e madre furono uccisi nel lager per dissidenti politici ma il tribunale penale di Roma ha assolto i presunti aguzzini. E ora lei accusa: hanno lasciato liberi i futuri golpisti. Un docu-film per raccontare trent’anni di vita alla ricerca della verità. Il docu-film "El Robo", diretto da Carlos Asseph, (produzione indipendente che gira da mesi nelle università argentine) racconta la sua vita da nieta recuperada e il suo impegno da attivista per i diritti umani. Maria Victoria Moyano Artigas oggi studia in Argentina. Ha viaggiato da una parte all’altra del mondo per ottenere le risposte che attende da 30 anni, ma dovrà aspettare ancora. Nel 1987, grazie ad una segnalazione della scuola, si scoprì che quella bambina di nove anni era stata rapita alla nascita nel "pozzo di Banfield", il famigerato lager per dissidenti politici. I suoi genitori erano Alfredo Moyano Santander e María Artigas, due esuli uruguaiani. Maria Victoria è rimasta solo 8 ore con loro: li rapirono in casa in Argentina il 30 dicembre del 1977. Il padre era un giovane imbianchino, la madre una studentessa di medicina incinta al primo mese di gravidanza. Nessuno sa che fine abbiano fatto: sono desaparecidos. La Corte Penale del Tribunale di Roma chiamata a giudicare una tranche del processo Condor - quella nella quale erano coinvolte vittime di origine italiana - ha assolto i loro presunti torturatori, fra cui l’italo uruguaiano Jorge Nestor Troccoli. Maria Victoria era in aula, e alla lettura della sentenza non ha contenuto la rabbia, cercando di ottenere spiegazioni. Cosa voleva dire ai giudici? "Che hanno sbagliato, che questa sentenza rappresenta un pericolo per le generazioni presenti e future perché, come dice mio zio Dardo Artigas, gli impuniti di oggi sono i golpisti di domani". Prima della sentenza ha sostenuto che questo era un processo che si occupava non solo del vostro passato, ma anche del vostro futuro. Cosa farete adesso? "Come prima cosa vorremmo che alla petizione che abbiamo lanciato aderissero tutti quelli che, come noi, sono indignati per questo errore. Dopo di che continueremo a lottare come abbiamo sempre fatto, perché siamo "lottatori sociali" come lo sono stati i miei genitori e tutti coloro che hanno lottato per un mondo più giusto". Cosa avrebbe voglia di dire oggi ai suoi genitori? "Che sono orgogliosa di loro, che sono grata dell’eredità rivoluzionaria che ci hanno lasciato loro e tutti gli altri compagni desaparecidos. E che finché continueremo nella lotta loro saranno con noi". Gran Bretagna. Dopo il referendum sulla Brexit impennata di reati a sfondo razziale La Stampa, 16 febbraio 2017 Nei mesi successivi al referendum sulla Brexit si è registrata un’impennata di reati a sfondo d’odio razziale: in una delle aree esaminate, l’incremento è stato addirittura del 100%. Secondo i dati delle forze di polizia d’Inghilterra e Galles, tra luglio e settembre 2016 ci sono stati 14.300 episodi, tra intimidazioni, abusi e in qualche caso violenza fisica. Secondo alcuni non è finita. "È ragionevole prepararsi ad ulteriori impennate" durante i negoziati con Bruxelles, ha detto David Isaac, capo della Commissione per l’Eguaglianza e i Diritti Umani. L’agenzia Press Association ha elaborato dati di quarantaquattro forze di polizia, riscontrando un aumento in quasi tutte le aree esaminate, del 50% in una decina di casi, del 100% nel Dorset. Londra ha registrato il numero d’incidenti più alto, oltre 3.300, seguita da Manchester. La maggior parte delle aree esaminate ha votato Leave, ma si è registrato un aumento anche in aree, come la capitale, contrarie alla Brexit. I dati confermano gli episodi raccolti dalla stampa inglese dopo il referendum del 23 giugno, un voto che ha spaccato il Paese ed è arrivato al termine di una campagna elettorale cattiva, a tratti xenofoba. In un caso emblematico, il centro culturale polacco a Londra è stato imbrattato di graffiti ("Andatevene a casa") subito dopo il voto. "I dati mettono a nudo la discriminazione, l’ostilità e talvolta la violenza che migliaia di persone subiscono in maniera spesso invisibile", ha detto Fizza Qureshi, del Network per i Diritti dei Migranti, che incoraggia le vittime a farsi avanti.