Via libera del Consiglio dei Ministri alla riforma dell’Ordinamento Penitenziario Agenpress, 23 dicembre 2017 Lo schema di decreto legislativo è suddiviso in 6 parti, corrispondenti ad altrettanti capi, dedicate alla riforma dell’assistenza sanitaria, alla semplificazione dei procedimenti, alla eliminazione di automatismi e preclusioni nel trattamento penitenziario, alle misure alternative, al volontariato e alla vita penitenziaria. Ridurre il ricorso al carcere in favore di soluzioni che, senza indebolire la sicurezza della collettività, riportano al centro del sistema la finalità rieducativa della pena indicata dall’art. 27 della Costituzione; razionalizzare le attività degli uffici preposti alla gestione del settore penitenziario, restituendo efficienza al sistema, riducendo i tempi procedimentali e risparmiando sui costi; diminuire il sovraffollamento, sia assegnando formalmente la priorità del sistema penitenziario italiano alle misure alternative al carcere, sia potenziando il trattamento del detenuto e il suo reinserimento sociale in modo da arginare il fenomeno della recidiva; valorizzare il ruolo della Polizia Penitenziaria, ampliando lo spettro delle sue competenze. Sono questi i principi fondanti dello schema di decreto legislativo di riforma dell’ordinamento penitenziario elaborato dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando e approvato oggi, in esame preliminare, dal Consiglio dei Ministri. Il dlgs, recante “Riforma dell’ordinamento penitenziario in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83, 85, lettere a), b), c), d), e), f), h), i), l), m), o), r), s), t) e u), della legge 23 giugno 2017, n. 103”, attua la delega per la riforma della disciplina in materia contenuta nella legge 103/2017, “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”. Il provvedimento, redatto avvalendosi dei lavori della commissione istituita dal Ministro Orlando nel luglio 2017 e presieduta dal prof. Glauco Giostra, si inserisce nel più ampio programma sotteso alla riforma della materia penale ed è volto principalmente a rendere più attuale l’ordinamento penitenziario previsto dalla riforma del 1975, per adeguarlo ai successivi orientamenti della giurisprudenza di Corte Costituzionale, Corte di Cassazione e Corti europee. Lo schema di decreto legislativo è suddiviso in 6 parti, corrispondenti ad altrettanti capi, dedicate alla riforma dell’assistenza sanitaria, alla semplificazione dei procedimenti, alla eliminazione di automatismi e preclusioni nel trattamento penitenziario, alle misure alternative, al volontariato e alla vita penitenziaria. La riforma penitenziaria passa, in “zona Cesarini” di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 23 dicembre 2017 Ora toccherà alle Commissioni competenti dare il parere di conformità alla delega (che può arrivare anche a Camere sciolte) e finalmente l’iter di approvazione sarà chiuso. Il Consiglio dei Ministri, grazie al pressing del ministro della Giustizia Andrea Orlando, ieri ha approvato, in esame preliminare, i decreti attuativi della riforma dell’ordinamento penitenziario. Plaude il guardasigilli: “Un lavoro che è durato molti anni e del quale sono molto orgoglioso. In zona Cesarini arriviamo a concludere questo percorso. Oggi è una giornata per me molto importante”. Sì, come dice il ministro, si è arrivati a concludere questo percorso in “zona Cesarini”, perché a breve c’è lo scioglimento delle Camere e il Consiglio dei ministri non avrebbe più avuto la possibilità di licenziare tali decreti. Ora toccherà alle Commissioni competenti dare il parere di conformità alla delega (che può essere dato anche a Camere sciolte) e finalmente, si potrà dire che l’iter di approvazione è definitivamente chiuso. Non potevano mancare le felicitazioni espresse da Rita Bernardini, della presidenza del Partito Radicale, che, assieme a Deborah Cianfanelli, presidente del comitato Radicale per la Giustizia “Pietro Calamandrei”, ha intrapreso a più riprese lo sciopero della fame per aiutare il Guardasigilli a portare a compimento l’approvazione della riforma. “Grazie Ministro Andrea Orlando, grazie Governo Gentiloni dice pubblicamente Rita Bernardini - per aver salvato la Riforma dell’ordinamento penitenziario in zona Cesarini. Grazie al Partito Radicale, ai 30 mila detenuti che hanno aderito al Satyagraha, a coloro che hanno digiunato partecipando alle diverse fasi della lotta nonviolenta dall’estate del 2016. Ora sarà importante leggere il contenuto della riforma - conclude - augurandoci che corrisponda alle indicazioni del Parlamento e, da subito, fare in modo che sia effettivamente attuata”. Ancora non conosciamo nel dettaglio il contenuto dei decreti licenziati dal Governo, ma dalle puntuali informazioni del Garante nazionale delle persone private della libertà, sappiamo che il Ministero ha elaborato cinque distinti decreti delegati: di riforma dell’ordinamento penitenziario per adulti e per i minori, di riforma delle alternative alla detenzione e delle misure di sicurezza, di disciplina delle misure di giustizia riparativa. Questi decreti sono frutto del lavoro delle commissioni ministeriali che hanno dato corpo alla delega parlamentare, ispirandosi alle riflessioni degli Stati Generali sull’esecuzione della pena. Una riforma, quindi, senza precedenti, visto che siamo rimasti fermi a un ordinamento penitenziario che risale al 1975, quando, nel frattempo, sono maturate altre concezioni più avanzate per dare un senso all’esecuzione penale che ha come faro il principio dell’articolo 27 della costituzione italiana, soprattutto quella parte che recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Pene che non sono esclusivamente carcerarie. Infatti la riforma punta molto alla valorizzazione dell’esecuzione penale esterna: ci sarà l’allargamento della popolazione carceraria che potrà ottenere i benefici di legge, come la “messa alla prova” e il lavoro esterno, oppure altre forme di espiazione della pena come la cosiddetta “giustizia riparativa”. Altro aspetto valorizzato è la salute in carcere. Soprattutto quella mentale. Ci sarà la creazione di sezioni speciali riservate ai casi di infermità mentale sopravvenuta dopo la condanna e l’opzione di rinviata esecuzione della pena in particolari circostanze. Resta però l’incognita riguardate il diritto all’affettività in carcere contemplato dai decreti, in maniera specifica la possibilità di concedere ai detenuti incontri intimi con i partner. Per garantire questo diritto ci vogliono strutture adeguate che sono del tutto inesistenti nelle carceri, quindi ci vogliono i soldi: i fondi stanziati dalla legge di Bilancio per coprire le spese necessarie per gli interventi di edilizia carceraria non potrebbero bastare. Riforma Orlando: più misure alternative contro il sovraffollamento delle carceri di Vincenzo R. Spagnolo Avvenire, 23 dicembre 2017 La misura arriva in un momento in cui le prigioni sono di nuovo stracolme: 58.115 detenuti, rispetto ai 50.511 previsti dalla “capienza regolamentare”. In zona Cesarini, arriviamo a concludere questo percorso. È un lavoro durato molti anni e del quale sono orgoglioso. Oggi è una giornata per me molto importante”. È ancora mezzogiorno quando il Guardasigilli Andrea Orlando anticipa con una breve dichiarazione la decisione presa poi in serata dal Consiglio dei ministri. L’esultanza, pacata ma evidente, del ministro dà la misura dell’importanza del via libera preliminare alla riforma penitenziaria, che arriva in un momento in cui le carceri italiane sono di nuovo stracolme. Nonostante gli interventi degli ultimi anni infatti, la popolazione carceraria è attualmente assestata (indicano i dati del Dap al 30 novembre 2017) sui 58.115 detenuti, rispetto ai 50.511 previsti dalla “capienza regolamentare”: ciò significa circa 7.600 persone in più, in base a quanto previsto dalle tabelle. In una tale situazione, le norme licenziate ieri dal Cdm puntano proprio a ridurre il ricorso al carcere in favore di soluzioni che “senza indebolire la sicurezza della collettività, riportano al centro del sistema la finalità rieducativa della pena indicata dall’art. 27 della Costituzione”. È uno dei principi cardine dello schema di decreto legislativo di riforma dell’ordinamento penitenziario elaborato dal ministro Orlando, approvato ieri, in esame preliminare, dal Consiglio dei Ministri. Il testo ora dovrà essere vagliato dalle Commissioni parlamentari competenti, per un parere non vincolante, per poi tornare in Cdm per il via libero definitivo, forse entro gennaio. “È un passo importante, auspichiamo che le modifiche trovino al più presto una concreta attuazione”, fanno sapere dall’ufficio del Garante dei diritti delle persone detenute. E un “grazie” al Guardasigilli e al governo “per aver salvato la riforma” arriva da Rita Bernardini, del coordinamento di presidenza del Partito Radicale, che da martedì aveva ripreso lo sciopero della fame per sollecitarla. Pene alternative anti sovraffollamento. Il provvedimento punta a “diminuire il sovraffollamento”, sia “assegnando formalmente la priorità del sistema penitenziario italiano alle misure alternative al carcere” (affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare, semilibertà e liberazione anticipata), sia “potenziando il trattamento del detenuto e il suo reinserimento sociale”, in modo da “arginare il fenomeno della recidiva”. Lo schema di decreto legislativo attua la delega per la riforma contenuta nella legge 103 del 2017 ed è stato redatto anche sulla base dei lavori della commissione presieduta dal professor Glauco Giostra, istituita a luglio da Orlando. Il risultato è un’attualizzazione dell’ordinamento (introdotto nel 1975) per adeguarlo ai successivi orientamenti giurisprudenziali di Corte Costituzionale, Corte di Cassazione e Corti europee. Più efficienza, meno costi. Lo schema di decreto legislativo è suddiviso in 6 parti: assistenza sanitaria; semplificazione dei procedimenti; eliminazione di automatismi e preclusioni nel trattamento penitenziario; misure alternative; volontariato e vita penitenziaria. Le misure mirano a razionalizzare le attività degli uffici, per aumentarne l’efficienza, ridurre i tempi e risparmiare sui costi. Altro obiettivo è quello di valorizzare il ruolo della Polizia penitenziaria, ampliando lo spettro delle sue competenze. Carenza di educatori. Secondo l’associazione Antigone, in alcune carceri si sarebbe tornati a scendere sotto lo spazio minimo previsto (3 mq per detenuto). Le situazioni più preoccupanti, in base ai dati del Dap, sono in Lombardia (8.524 detenuti in 18 istituti, a fronte di una capienza di 6246), Campania (7.321, a fronte di 6.135 posti tabellari); Lazio (6.332, a fronte di 5.258 letti). Anche il Garante dei detenuti in Piemonte ha inviato al capo del Dap Santi Consolo un dossier sulla grave situazione dei 13 penitenziari regionali, in cui si segnalano fra l’altro la “mancata manutenzione degli edifici e degli impianti, con infiltrazioni d’acqua, riscaldamento insufficiente o sistemi idraulici mal funzionanti”. E sempre Antigone, in due terzi delle strutture visitate nel 2017, ha scoperto la presenza di celle senza doccia (un Dpr del 2000 le prevede) e la mancanza di educatori: a Busto Arsizio, se ne conta uno ogni 196 reclusi, a Bologna uno ogni 139. Una carenza che, senza nuovi bandi, riduce le chance di una vera rieducazione, capace di favorire il reinserimento di chi uscirà al termine della pena. Quasi 8 mila detenuti di troppo, carceri italiane sull’orlo del collasso Agi, 23 dicembre 2017 Le carceri italiane sono di nuovo sull’orlo del collasso: la popolazione carceraria, secondo la “capienza regolamentare”, dovrebbe essere di 50.511, ma al 30 novembre 2017, sono i dati ufficiali dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), il numero dei reclusi era di 58.115. Vale a dire 7.604 unità in più rispetto alla regola. Proprio alcuni giorni fa, a proposito della riforma delle carceri, il ministro della Giustizia Andrea Orlando aveva annunciato, in un’intervista a Repubblica, che “I testi dei decreti attuativi (della riforma, ndr) sono da settimane a Palazzo Chigi e credo che ci siano le condizioni per vararli prima di Natale: sarà all’ordine del giorno in uno dei prossimi Consigli dei Ministri”. Nella riforma - spiega il Guardasigilli - “viene valorizzato l’uso delle pene alternative durante l’esecuzione della condanna. Ma anche nel carcere si introduce maggiore responsabilizzazione: più occasioni di lavoro, di studio, di attività. Ma nello stesso tempo basta con gli automatismi: accedi agli sconti di pena e alle misure alternative solo se c’è un comportamento di responsabilità e segua percorsi di rieducazione”. Il ministro ha ragione, la rieducazione, il recupero del detenuto è uno snodo fondamentale per evitare che il recluso, una volta ottenuta la libertà, torni a commettere crimini. Ma è altrettanto vero che il sovraffollamento degli istituti penitenziari non favorisce il reinserimento di chi commette crimini, perché in spazi ristretti qualsiasi attività mirata al recupero del detenuto ne risente e spesso chi viene rimesso in libertà grazie ai vari sconti di pena previsti dalla Legge Gozzini, torna a macchiarsi di reati a volte anche più gravi di quelli commessi. In altre parole da un lato bisognerebbe garantire la certezza della pena e dall’altro il funzionamento delle strutture chiamate a recuperare il detenuto e valutare se realmente possa accedere ai benefici della legge Gozzini e quindi riconquistarsi anticipatamente la libertà. “Il tasso di sovraffollamento - denuncia in un rapporto l’associazione Antigone - è al 113,2% e in alcune carceri si torna a scendere sotto lo spazio minimo previsto di 3 mq per detenuto”. Non solo, “Nel 68% degli istituti da noi visitati in questi primi mesi del 2017 ci sono celle senza doccia (come invece richiesto dall’art. 7 del Dpr 30 giugno 2000, n. 230), e solo in uno, a Lecce, e solo in alcune sezioni, è assicurata la separazione dei giovani adulti dagli adulti, come richiesto dall’art. 14 dell’Ordinamento penitenziario. Inoltre l’Italia è uno dei paesi dell’Unione Europea con il più basso numero di detenuti per agenti (in media 1,7), mentre ciò che manca sono gli educatori. A Busto Arsizio ce n’è uno ogni 196 detenuti e a Bologna uno ogni 139”. Insomma è chiaro che in queste condizioni il carcere, visto non solo come luogo detentivo, ma anche come occasione per preparare il detenuto a una nuova vita, non può funzionare. Le situazioni più drammatiche per il sovraffollamento dei reclusi, sempre in base ai dati del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, sono in Lombardia che nei suoi 18 penitenziari ospita complessivamente 8.524 detenuti quando la capienza massima è di 6246; la Campania: 15 istituti con 7.321 detenuti (capienza massima di 6.135); il Lazio con i suoi 6.332 detenuti distribuiti in 14 carceri che potrebbero ospitare al massimo 5.258 persone; l’Emilia Romagna: con 10 strutture in cui sono ospitati 3.502 detenuti quando la “capienza regolamentare” ne prevede 2.811 e la Puglia con 3.400 detenuti rinchiusi in 11 penitenziari che potrebbero ospitarne al massimo 2.342. Secondo Antigone le ragioni della crescita del numero dei detenuti da un lato dipende dal “numero enorme di processi penali pendenti. Oltre 1,5 milioni di cui più di 300 mila dalla durata irragionevole e quindi prossimi alla violazione della legge Pinto. I tempi lunghi dei processi influiscono sull’eccessivo ricorso alla custodia cautelare che continua a crescere arrivando all’attuale 34,6%, quando solo due anni fa era al 33,8%”; dall’altro dal “fatto che si registra un cambiamento anche nelle pratiche di Polizia e giurisdizionali, effetto questo della pressione dell’opinione pubblica” e dalle campagne dei l a partire da casi eclatanti” cavalcati dalle “sirene del populismo penale”. “Sirene” che spesso cavalcano i reati commessi dagli extracomunitari, spesso irregolari. Ma su questo aspetto, i dati più recenti in possesso del Viminale dimostrano un calo sensibile di stranieri arrestati o denunciati: al 30 settembre del 2016 erano 246.083, al 30 settembre 2017, 185.815. Caso Dell’Utri, la procura generale di Caltanissetta chiede la sospensione della pena La Repubblica, 23 dicembre 2017 Dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha dichiarato illegittima la condanna inflitta a Bruno Contrada. Potrebbero aprirsi le porte del carcere per Marcello Dell’Utri, l’ex senatore di Forza Italia che sta scontando una condanna a sette anni per concorso in associazione mafiosa. Dopo il no al differimento pena per motivi di salute arrivato dai giudici del tribunale di sorveglianza di Roma nei giorni scorsi, si apre uno spiraglio per l’ex manager di Publitalia. La procura generale di Caltanissetta ha chiesto per lui la sospensione della pena nel corso del processo di revisione che pende davanti alla corte d’appello. I legali di Dell’Utri, da tempo, sostengono che il caso del loro assistito sia assolutamente sovrapponibile a quello di Bruno Contrada ex numero due del Sisde la cui condanna, sempre per concorso esterno in associazione mafiosa, è stata dichiarata illegittima dalla corte di Giustizia di Strasburgo. La Cedu, che stabilì anche un risarcimento per l’ex poliziotto, ritenne che fosse stato condannato ingiustamente in quanto, dissero i magistrati, all’epoca della condotta a lui contestata il reato di concorso in associazione mafiosa non era sufficientemente tipizzato. La Cedu fissò al 1994, anno della sentenza Demitry che specificò i contorni del concorso in associazione mafiosa, lo spartiacque oltre il quale, appunto, il reato ha assunto una connotazione chiara. Come Contrada, anche Dell’Utri è stato condannato per fatti avvenuti fino al 1992, quindi non “coperti” dalla sentenza Demitry. Circostanza che induce gli avvocati dell’ex manager a parlare di storie identiche. Tanto da averli spinti a provare la strada dell’incidente di esecuzione davanti alla corte d’appello di Palermo sostenendo l’immediata applicazione del verdetto Cedu su Contrada al loro assistito. Ma l’istanza, che conteneva la richiesta di sospensione della pena, è stata dichiarata inammissibile. Stessa decisione ha preso la Cassazione a cui i legali hanno fatto ricorso: i giudici della Suprema corte però hanno indicato nella revisione una via percorribile. Input preso al volo dai difensori di Dell’Utri che hanno avviato il processo davanti ai giudici nisseni competenti per legge. Nel frattempo gli avvocati si sono anche rivolti alla corte di Strasburgo che non si è ancora pronunciata. Nel corso della revisione il pg Ettorino Patti dunque ha chiesto alla corte d’appello la sospensione dell’esecuzione della pena. La corte ora potrebbe preliminarmente ipotizzare che la sentenza Contrada sia immediatamente applicabile a Dell’Utri e sospendere la pena fino alla pronuncia di merito. Oppure sostenere che sia necessario un pronunciamento specifico su Dell’Utri da parte dei giudici di Strasburgo e quindi, verosimilmente, negare la sospensione e rigettare nel merito la richiesta. La decisione è attesa per i prossimi giorni. Piemonte: il Garante dei detenuti “servono interventi urgenti per le carceri” Askanews, 23 dicembre 2017 Dossier di criticità inviato al capo dell’amministrazione Consolo. Assenza o insufficienza di spazi dedicati alla socialità, all’incontro fra i detenuti e le loro famiglie o utilizzabili per attività formative e lavorative. Criticità strutturali dovute alla mancata manutenzione degli edifici e degli impianti, con infiltrazioni d’acqua, riscaldamento insufficiente o sistemi idraulici mal funzionanti, con pesanti ricadute anche sulla salubrità e l’igiene dei locali. Sono le principali problematiche dei 13 istituti penitenziari piemontesi oggetto di una lettera che il coordinamento dei garanti piemontesi dei detenuti indirizzerà oggi stesso al capo dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Santi Consolo. Le sfide che l’Amministrazione penitenziaria è chiamata ad affrontare nel corso del 2018, sono state illustrate in un incontro a Palazzo Lascaris promosso dall’ufficio del Garante dei detenuti della Regione Piemonte Bruno Mellano. “Si tratta di questioni che riteniamo basilari per impostare un’esecuzione penale diversa e più efficace”, ha dichiarato Mellano. Presentato il Dossier delle criticità delle carceri piemontesi (cr.piemonte.it) Un elenco di sfide che l’Amministrazione penitenziaria è chiamata ad affrontare, se non a risolvere, nel corso del 2018. Sono state presentate venerdì 22 dicembre a Palazzo Lascaris dal Coordinamento dei garanti piemontesi delle persone detenute. L’incontro, organizzato dall’ufficio del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Piemonte Bruno Mellano, ha inteso rilanciare un’attività condivisa dai garanti comunali per evidenziare in un’ottica costruttiva le criticità del sistema penitenziario piemontese. In particolare, per il secondo anno consecutivo, è statto illustrato il testo della lettera che il Coordinamento indirizzerà oggi stesso al capo dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Santi Consolo nella quale si elencano le più pressanti problematiche strutturali per ciascuno dei 13 istituti penitenziari piemontesi. “Si tratta di questioni che riteniamo basilari per impostare un’esecuzione penale diversa e più efficace - ha dichiarato Mellano. Nella maggior parte dei casi è evidente l’assenza o l’insufficienza di spazi dedicati alla socialità, all’incontro fra i detenuti e le loro famiglie o utilizzabili per attività formative e lavorative. E non mancano criticità strutturali dovute alla mancata manutenzione degli edifici e degli impianti, con infiltrazioni d’acqua, riscaldamento insufficiente o sistemi idraulici mal funzionanti, con pesanti ricadute anche sulla salubrità e l’igiene dei locali”. All’incontro sono intervenuti i garanti comunali di Torino Maria Cristina Gallo, Alba Alessandro Prandi, Alessandria Davide Petrini, Biella Sonia Caronni e Ivrea Armando Michelizza. Sant’Angelo dei Lombardi (Av): addio a Forgione, rese il carcere un modello di Giulio D’Andrea Il Mattino, 23 dicembre 2017 Ha reso il carcere di Sant’Angelo dei Lombardi un’eccellenza a livello nazionale, con iniziative apprezzate dal Ministero e da varie istituzioni, dalle associazioni e dagli stessi detenuti. Ieri mattina si è spento all’ospedale Criscuoli il direttore Massimiliano Forgione. Aveva solo 49 anni e lottava da tempo contro la malattia. Presso la casa di reclusione è stata predisposta la camera ardente. Lascia la moglie Ermelinda e due figli. E un’intera comunità di agenti e operatori con cui aveva creato una struttura modello. I funerali si terranno sabato mattina alle10, presso la Cattedrale di Sant’Angelo. “Una figura di grande umanità e disponibilità, che ha servito l’Amministrazione e il sistema Giustizia con dedizione e senso del dovere. Ha mostrato in tutte le occasioni molta attenzione alla sicurezza delle strutture, ma anche al percorso rieducativo e di reinserimento dei detenuti. Ricordo con stima le tante iniziative intraprese all’interno della casa di reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi, l’impegno costante nel costruire un ponte tra carcere e società civile, nel puntare sul lavoro penitenziario come pilastro per l’attività rieducativa”. Queste le parole del sottosegretario di Stato alla Giustizia, Cosimo Maria Ferri. Che aggiunge: “Ha reso l’istituto un punto di riferimento per la capacità produttiva e di coinvolgimento delle presone ristrette. Stimato e rispettato da tutti, capace con il suo entusiasmo di coinvolgere e portare avanti un sistema detentivo di eccellenza da esportare. Oggi l’Amministrazione Penitenziaria perde un dirigente di grande valore. Intendo rivolgere alla famiglia un sentito e commosso pensiero di condoglianze e di vicinanza. Mancherà tanto anche a noi”. Cordoglio dalla presidente del Consiglio regionale della Campania, Rosetta D’Amelio. “La casa di reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi è senza dubbio un modello in Italia nella cura, nel recupero e nella riabilitazione sociale dei detenuti: un riconoscimento ottenuto grazie alla totale dedizione dell’amico Massimiliano. Ho apprezzato le sue qualità professionali dimostrate in tutti gli incarichi coperti da Nord a Sud, la capacità di motivare collaboratori e agenti facendoli sentire parte di una grande famiglia. Così come ne ho apprezzato la forza e la discrezione con la quale ha affrontato fino all’ultimo la malattia”, dice la D’Amelio. “L’auspicio è che i frutti di questo prezioso lavoro vengano custoditi e che sia reso onore alla memoria di Massimiliano Forgione esportando il modello di Sant’Angelo dei Lombardi in tutte le amministrazioni carcerarie italiane. Alla famiglia vanno le condoglianze mie e dell’Istituzione che rappresento”, conclude. Addolorato anche il garante regionale dei diritti dei detenuti, Samuele Ciambriello. “Sono profondamente triste per la sua scomparsa. Con Massimiliano avevo un grande rapporto umano e lavorativo. Condoglianze sentite alla sua famiglia”, dice. E continua: “Ho visto da vicino la costruzione del modello Sant’Angelo, un carcere a misura d’uomo. Massimiliano ha avuto queste idee da subito, idee che addirittura portavano alcuni a costituirsi direttamente alla porta della struttura. Qui - prosegue Ciambriello - le attività lavorative destinate ai detenuti hanno prodotto utili di milioni di euro per l’Amministrazione Penitenziaria. Quasi un caso unico”. Cordoglio, infine, dalla comandante provinciale dei vigili del fuoco Rosa D’Eliseo. Verbania: nel carcere spazi angusti, affollamento, detenuti inattivi verbanonews.it, 23 dicembre 2017 Intanto si è perso il finanziamento di una fondazione bancaria per la sistemazione del cortile. 70 detenuti ospitati contro una capienza regolamentare di 53, con un tasso di affollamento del 132,07%. Il 21,66% sono stranieri. Sono questi, in estrema sintesi, i dati della Casa circondariale di Verbania, che, come praticamente tutte le altre strutture piemontesi (e italiane) soffre di croniche carenze e di sovraffollamento. Per fare il punto della situazione rilanciare le sfide per il 2018, s’è svolto questa mattina a Palazzo Lascaris l’incontro organizzato dal Garante delle persone detenute Bruno Mellano, con l’obiettivo di rilanciare un’azione condivisa dai garanti comunali (per Verbania è Silvia Magistrini) ed evidenziare le criticità del sistema penitenziario piemontese. In particolare, per il secondo anno consecutivo, è stato illustrato il testo della lettera che il Coordinamento indirizzerà oggi stesso al capo dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Santi Consolo nella quale si elencano le più pressanti problematiche strutturali per ciascuno dei 13 istituti penitenziari piemontesi. “Si tratta di questioni che riteniamo basilari per impostare un’esecuzione penale diversa e più efficace - ha dichiarato Mellano. Nella maggior parte dei casi è evidente l’assenza o l’insufficienza di spazi dedicati alla socialità, all’incontro fra i detenuti e le loro famiglie o utilizzabili per attività formative e lavorative. E non mancano criticità strutturali dovute alla mancata manutenzione degli edifici e degli impianti, con infiltrazioni d’acqua, riscaldamento insufficiente o sistemi idraulici mal funzionanti, con pesanti ricadute anche sulla salubrità e l’igiene dei locali”. Un corposo elenco di criticità quello riscontrato nel carcere di Pallanza. La Casa Circondariale di Verbania, collocata in un ex convento di antica data, ha mantenuto la struttura originaria composta da spazi angusti, impossibilità di espansione (assenza di cortili, strutture sportive, campo da gioco o altro),assenza interna di sale per attività culturali di qualunque genere. A seguito del dossier presentato lo scorso anno e della conseguente attivazione sinergica, grazie al coinvolgimento di risorse private della Città, per la redazione di un progetto redatto e strutturato per la riqualificazione di un’area interna dismessa e fatiscente, è stato inviato a Roma all’attenzione della Cassa delle Ammende una richiesta di contributo di cui si ha avuto notizia di positivo accoglimento ma di cui tuttavia non vi sono ancora segni di attivazione, mentre si è persa l’occasione di un finanziamento di una fondazione bancaria locale disposta sostenere l’immediata realizzazione dell’intervento. Esiste un’ulteriore necessità per il lavoro interno dei detenuti, ora in pesante carenza, vale a dire la creazione di laboratori interni (ad es. lavorazione ceramica o simili) che porterebbe una ventata di novità e renderebbe meno pesante la permanenza in carcere nella totale inattività: si tratta di individuare spazi in parti del carcere con celle non utilizzate e separate dalle sezioni, che pure sembrano esserci. Si sottolinea la negatività che associa la carenza di spazi anche minimi di socialità alla quasi totale inattività dei detenuti. Palermo: i Radicali dopo la visita “l’Ucciardone non è proprio un hotel stellato” di Pasquale Hamel glistatigenerali.com, 23 dicembre 2017 Certo, qualche passo avanti è stato fatto, le tetre mura dell’Ucciardone, lo storico carcere borbonico protagonista anche di tante oscure vicende cittadine, non possono essere considerate, come lo furono in anni passati, l’anticamera dell’inferno, e tuttavia, appare insopportabile, un vero schiaffo alla cultura dei diritti umani che, ancor oggi, ci si trovi di fronte a condizioni spesso al limite della vivibilità e che, in ogni caso, difficilmente soddisfano i canoni fissati dall’art. 27 della Costituzione per ciò che riguarda l’esecuzione della pena. La visita che la delegazione del Partito Radicale, guidata da Donatella Corleo, ha effettuato il 20 dicembre scorso nel detto reclusorio, ha confermato l’esistenza di tutta una serie di criticità, a cominciare dal superamento del rapporto fra capienza e ospiti, che debbono essere portate a conoscenza dell’opinione pubblica anche se, spesso, la stessa pare disinteressata al tema. Basta infatti fare mente locale sui dati che citiamo per renderci conto della necessità di un intervento. Attualmente, infatti il reclusorio ospita 450 detenuti, mentre la capienza regolamentare effettiva, visto che un’intera sezione è chiusa per lavori di ristrutturazione, è di 433 posti. I locali, almeno in alcune sezioni come la nona, non sicuramente sono adeguati alla normativa. Le celle hanno una metratura insufficiente - lo spazio vitale per ogni detenuto non supera i tre mq - e presentano evidenti tracce di umidità a fronte dell’inesistenza di qualsiasi sistema di riscaldamento e della mancanza di acqua calda. Si può ben dire, senza rischio di esagerazioni, che nella sezione indicata, siamo ben lontani dai parametri fissati dalla normativa penitenziaria e che solo la grande professionalità del personale di custodia, peraltro sottodimensionato, riesce ad evitare possibili degenerazioni. Uno dei grossi problemi del reclusorio è quello della “carenza di opportunità di lavoro” per i detenuti cui si aggiungono la inesistenza di palestre e luoghi ricreativi fatto che, come è evidente, incide sulla condizione psicologica del detenuto. La presenza, poi, di una consistente fetta di extracomunitari fra i detenuti, valutata intorno al 20%, mette in luce altri problemi, primo fra tutti la necessità di disporre di mediatori linguistico-culturali la cui assenza crea qualche problema di incomprensioni con il personale di sorveglianza. Un altro problema di notevole rilevanza è la lamentata mancanza di adeguata assistenza sanitaria. Alcuni detenuti affetti da evidenti patologie che richiedono una più responsabile assistenza, ne sono di fatto privi. Molte di queste criticità, soprattutto quelle relative al lavoro, potrebbero a breve essere superate mettendo a regime attività per le quali sono già pronti gli impianti, tempi sicuramente molto più lunghi richiedono invece i lavori relativi all’adeguamento strutturale, cioè la ristrutturazione di sezioni come appunto la nona che non fanno onore ad uno Stato che si annovera fra quelli civili. Lasciando dietro, dopo la visita, le mura del reclusorio la delegazione ha manifestato una certa amarezza e, appunto, la convinzione che è necessario lavorare perché quei passi, di cui scrivevamo in avvio, conducano a qualche risultato positivo proprio in nome di quella tutela dei diritti umani di cui tanto si blatera ma che troppo spesso restano solo un manifesto di buone intenzioni senza nessun risultato pratico. Cuneo: dal Garante una fotografia delle carceri, tra numeri, criticità e progetti targatocn.it, 23 dicembre 2017 Il bilancio è di Bruno Mellano, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà della Regione Piemonte. A fine 2017 il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Piemonte Bruno Mellano ha stilato un bilancio sulla situazione delle carceri nella nostra regione. In particolare, vi proponiamo un focus su quelli presenti in Granda. Alba Casa di reclusione “Giuseppe Montalto” (Loc. Toppino, via Vivaro n. 14) Presenze: 42 - capienza regolamentare: 142 - capienza effettiva: 35 Tasso di affollamento: 120 % Garante comunale: Alessandro Prandi. Segnalazione problematiche: In data 1° giugno 2017 è stata riaperta la sola sezione dedicata in precedenza ai collaboratori di giustizia. Si tratta di una palazzina di duepiani atta ad contenere 35 persone. Appena riaperta la sezione ha ospitato 55 con un affollamento del 157%. Dopo diverse sollecitazioni si è arrivatia d ottenere ad una presenza media di 45 persone e si è ottenuto che si effettuassero dei lavori in economia al fine di ampliare le aree comuni di passeggio a disposizione dei ristretti. Sono riprese, pur nella risicatezza degli spazi, le attività di formazione per operatori agricoli e il lavoro presso il tenimento agricolo (vigneto e orto) ospitati nella Casa di Reclusione. Purtroppo nulla si sa di certo in merito ai lavori relativi alla completa riapertura della struttura che a pieno regime dovrebbe ospitare 145 persone. Negli ultimi mesi si sono succedute dichiarazioni e atti specifici da parte del Ministero della Giustizia e del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria: Il 4 ottobre nel corso di un incontro con il Sindaco di Alba la Sottosegretaria Federica Chiavaroli afferma: “Entro fine anno verrà ultimato il progetto esecutivo. Poi si procederà con la gara d’appalto per l’esecuzione dei lavori. Entro la fine del 2018 la casa di reclusione riaprirà completamente”. Il 9 ottobre, da parte del Dap veniva reso noto il cronoprogramma degli interventi da cui si desumono le tempistiche previste per i lavori. Analizzando attentamente la scansione dei tempi previsti, ci si rende facilmente conto che se per i lavori si prevedono “365 giorni naturali e consecutivi” la fine dei lavori è prevedibile per gli ultimi mesi del 2019, senza considerare interruzioni dovute ad esempio alle feste comandate, a cui seguiranno, entro i sei mesi successivi, il collaudo e la riconsegna dell’edificio. Francamente riesce difficile individuare la fine del 2018 come data credibile per la riapertura anche solo parziale dei padiglioni attualmente fuori servizio. Infine il 22 novembre 2017 il Ministro Orlando in risposta all’ennesimo question time alla Camera confermava le perplessità espresse in precedenza: “In risposta alle sollecitazioni e agli indirizzi impartiti, l’amministrazione penitenziaria ha comunicato che la gara per l’aggiudicazione dei lavori si terrà, contrariamente a quanto in precedenza indicato per problemi attinenti alla progettazione esecutiva, entro i primi mesi del 2018 ed i lavori da consegnare immediatamente saranno conclusi entro un anno dalla consegna dei lavori all’impresa aggiudicataria”. Quello che preoccupa non sono tanto i tempi, più o meno lunghi, ma il mutare sistematico delle previsioni nel giro di pochi mesi quasi a sottendere la mancanza di una reale capacità o volontà di programmazione. Nell’attesa del preannunciato completo ripristino, rimane da chiarire l’utilizzo delle aree e delle parti dell’edificio non dedicate al pernottamento che si potrebbero nell’attesa utilizzare per attività di socialità o di laboratorio in un proficuo ed auspicato work in progress. Cuneo Casa circondariale (via Roncata n. 75) Presenze: 250 - capienza regolamentare: 427 Tasso di affollamento: 58,54 % - percentuale di stranieri: 66,12% Garante comunale: Mario Tretola. Segnalazione problematiche: La struttura è caratterizzata dalla presenza di un padiglione di recente costruzione e da due vecchi edifici: uno chiuso da circa 1 anno (il “41bis”) ed uno chiuso da circa 10 anni (il vecchio giudiziario). Le maggiori ed emergenti problematiche nell’attuale gestione, dove ad oggi si registra l’utilizzo del solo nuovo padiglione, derivano direttamente da una cattiva progettazione ed edificazione: il passeggio all’esterno è penalizzato da spazi così ristretti che alcuni detenuti rinunciano persino ad effettuare l’ora d’aria. Gli stessi spazi per la pratica di sport o ginnastica (palestrine) non sono funzionali e la fruibilità oraria da parte dei detenuti risulta quindi troppo limitata. Sarebbe auspicabile un potenziamento dell’attività di floricoltura, che ha tutte le potenzialità per impiegare un maggior numero di detenuti. È stata preannunciata ufficialmente la volontà di una prossima, forse imminente, riapertura del padiglione Cerialdo per l’allocazione di due sezioni destinate ai detenuti in regime di 41bis, ma risulta che i necessari lavori di adeguamento non siano pienamente conclusi, ad esempio manca l’isolamento termico in particolare non si è provveduto alla sostituzione dei serramenti per cui le finestre risultano essere in ferro senza alcuna vera possibilità di coibentare le stanze e quindi, a giudizio dei Garanti, i locali non sono ancora a norma. In generale si segnala come necessaria una revisione degli spazi non utilizzati, in particolare quelli del vecchio reparto giudiziario, che potrebbero diventare funzionali e fruibili per attività varie a costi relativamente contenuti se si decidesse di utilizzare la manodopera interna, formata per altro dai corsi della Scuola Edile. Le indicazioni suggerite potrebbero da un lato garantire una detenzione meno afflittiva e dall’altro, se ben gestite e organizzate, far nascere significative e durature nel tempo opportunità di lavoro interno in collaborazione con realtà esterne. In un carcere in cui la popolazione reclusa è quasi al 70% straniera, la possibilità di un seppur minimo guadagno, impegnando positivamente il tempo, diventa essenziale nel percorso riabilitativo. Fossano Casa di Reclusione a custodia attenuata (Via San Giovanni Bosco n. 48)Presenze: 121 - capienza regolamentare: 133 Tasso di affollamento: 90,97 % - percentuale di stranieri: 51,80 % Garante comunale: Rosanna Degiovanni. Segnalazione problematiche: Permane e si aggrava la problematica già segnalata un anno fa, consistente nell’insufficienza degli spazi detentivi destinati ai ristretti in regime di semilibertà o ammessi al lavoro esterno ex art. 21 con la conseguenza che alcuni di questi ultimi sono stati allocati direttamente nella sezione detentiva comune con evidenti ripercussioni negative sul complesso di un Istituto che si vorrebbe a “custodia attenuata”. A ciò si aggiunge la scarsità di spazi destinati alla socialità e alle attività, ora più che mai indispensabili a seguito dell’applicazione del regime detentivo di “sorveglianza dinamica” e dell’apertura delle celle e delle sezioni (fino alle ore 22.00 in estate e alle 21.00 in inverno). Come già prospettato un anno fa la soluzione potrebbe consistere nella creazione di nuovi spazi dedicati ai detenuti in regime di semilibertà ed ammessi al lavoro esterno, anche attraverso la rimodulazione e la ridefinizione organizzativa degli spazi esistenti. Alcuni anni fa era già stato predisposto e presentato dalla Direzione un progetto che prevedeva lo spostamento del laboratorio di saldo-carpenteria e degli uffici della Polizia Penitenziaria dal piano terreno al primo piano, consentendo il recupero nell’area detentiva di grandi spazi, facilmente riconvertibili a funzioni sociali o ad attività, con lavori di semplice manutenzione ordinaria e spostamento degli arredi e avvalendosi anche del lavoro interno dei detenuti. Saluzzo (Cn) Casa di reclusione “Rodolfo Morandi” (Regione Bronda n. 19/B)Presenze: 344 - capienza regolamentare: 462 Tasso di affollamento: 74,45 % - percentuale di stranieri: 37,54 % Garante comunale: Bruna Chiotti. Segnalazione problematica: L’Istituto è caratterizzato dalla presenza di un nuovo padiglione affiancato al vecchio preesistente, ma solo 2 delle 4 sezioni della nuova struttura sono state aperte, inaugurate e utilizzate da circa un anno (dicembre 2016). La carenza di personale appare essere elemento fondante la mancata apertura delle restanti due sezioni inutilizzate. Appare sempre più critica la situazione del locale vecchia cucina: un impianto elettrico non è più adeguato, sia per quanto riguarda la funzionalità che la sicurezza; perdite d’acqua ovunque, anche dal soffitto; le cappe d’aspirazione non sono funzionanti da anni, problema che obbliga a tenere le finestre sempre aperte per disperdere il vapore. In considerazione del malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento ciò comporta comprensibilmente che il lavoro venga spesso svolto ad una temperatura ambientale proibitiva. La manutenzione dell’intero apparato per cucinare che comprende bollitori, rubinetteria, ma anche i tavoli da lavoro e la pavimentazione avviene con periodicità troppo sporadica: gli stessi carrelli portavivande sono fatiscenti e vanno sostituiti. La tettoia adiacente al cortile, dove avvengono le operazioni di carico e scarico merci, a causa della neve è pericolante, una situazione evidentemente pericolosa per gli addetti al lavoro. Paradossalmente a fianco della vecchia cucina, da un anno chiamata a soddisfare le esigenze di due padiglioni e dei relativi ospiti, è presente una nuova cucina non attivata, ma attrezzata e, laddove si accertassero indispensabili i lavori di adeguamento prospettati per l’attivazione e l’utilizzo della nuova struttura di servizio per l’intero Istituto, un investimento sul completamento funzionale della nuova cucina renderebbe fruibili diversi spazi della vecchia e dei servizi annessi ad essa (magazzini, depositi) per laboratori professionali e attività formative lavorative, anche da parte di soggetti esterni. Altre criticità importanti riguardano l’inadeguatezza degli spazi di socialità e di quelli destinati ai laboratori, formativi, lavorativi, scolastici. È stato presentata dall’Istituto scolastico Liceo Artistico Statale “Marcello Soleri” un interessante ed elaborato progetto chiamato “esemplare” per la riorganizzazione di un modulo scolastico avanzato sul modello dei poli universitari, progetto che meriterebbe una presa in considerazione per un innovativo approccio alla questione scolastica interna al carcere e che inciderebbe sull’utilizzo della struttura detentiva, anche approfittando di significativi fondi specifici del Miur. Si segnala infine la mancanza di attrezzature ginniche adeguate nella palestra, uno spazio utilizzato peraltro anche dagli studenti ristretti del liceo. Napoli: a Scampia, i libri dove c’erano le armi di Mirella Armiero Corriere del Mezzogiorno, 23 dicembre 2017 Una biblioteca nel centro “Gelsomina Verde”, lì in passato i clan nascondevano le pistole. Quarantacinque i bidoni di siringhe portati via dall’ex istituto scolastico di Scampia che da oggi diventa una biblioteca pubblica, all’interno del centro Officina delle Culture “Gelsomina Verde”. Negli spazi che la camorra ha utilizzato per anni come una sorta di spettrale “bed & breakfast” per tossicodipendenti e come deposito di armi sono state allestite nei mesi scorsi le sale piene di scaffali e un luogo di lettura attrezzato. Il progetto oggi viene presentato alla città con una serie di testimonial eccellenti, da Sandro Ruotolo, primo sponsor dell’iniziativa, all’ex magistrato oggi presidente della casa editrice Garzanti Gherardo Colombo, dallo scrittore Maurizio de Giovanni al rapper Lucariello. A cambiare il volto del luogo sono stati 2500 volontari insieme a Ciro Corona, presidente dell’associazione (R)esistenza Anticamorra. Insieme, i ragazzi hanno bonificato e riqualificato l’istituto per farne un punto di incontro del quartiere. Il progetto triennale della biblioteca è gestito da (R)esistenza con la collaborazione di Anart, attraverso il consulente bibliotecario Alessandro Bertoni, nelle fasi di predisposizione dello spazio, della catalogazione e sistemazione dei libri e del tutoraggio degli operatori, e da Aib Campania, che ha indirizzato la formazione, fornito la propria consulenza per i cataloghi e creato i contatti con le biblioteche nazionali. La nuova biblioteca verrà inserita infatti nel circuito delle istituzioni pubbliche, grazie al supporto dell’assessore Nino Daniele e al direttore della Nazionale di Napoli Francesco Mercurio. “Siae”, dichiara il presidente Filippo Sugar, “è orgogliosa di sostenere la realizzazione della Biblioteca di Scampia, un progetto meraviglioso perché ha dentro i semi di tutto quello che come Società Italiana degli Autori ed Editori reputiamo fondamentale. Oltre al nostro contributo economico siamo lieti di donare cento libri provenienti dalla Biblioteca Teatrale del Burcardo a Roma”. Le prime collezioni in catalogo sono quelle dedicate ai ragazzi, quelle sui temi dell’antimafia e dell’impegno civile, oltre a un vasto repertorio di narrativa di autori del Sud. Verranno inoltre organizzati incontri con autori e personaggi dello spettacolo, laboratori di scrittura e di teatro per bambini e ragazzi, proiezioni e concerti. L’inaugurazione della biblioteca (ore 15), alla presenza del sindaco Luigi de Magistris, sarà un momento di festa aperto a tutto il quartiere: insegnanti, famiglie, ragazzi e tutti coloro che hanno collaborato al progetto, dai detenuti in affido all’associazione (R)esistenza ai giovani rifugiati ospiti della struttura, alle volontarie che ogni giorno si occupano nel centro stesso di quarantacinque bambini, residenti nelle Vele e nel quartiere, per l’attività di doposcuola. Ad ogni partecipante in regalo un libro. Como: ordinanza del Sindaco contro i poveri, sulla base del decreto Minniti di Maria Teresa Accardo Il Manifesto, 23 dicembre 2017 “Non ci sarà nessun passo indietro, nessun tentennamento, nessuna cessione ai professionisti del falso buonismo filo immigrazionista ipocrita e peloso”. Ieri il deputato leghista Nicola Molteni si è scatenato in difesa dell’ordinanza del sindaco di Como, Mario Landriscina, che vieta - fra le altre cose - di distribuire i pasti a barboni e clochard fino al 10 gennaio. Landriscina, sostenuto da una coalizione di Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia, negli scorsi giorni ha provato a spiegare l’inspiegabile decisione. Ma in queste ore i volontari, applauditi dalla sinistra della città, sono tornati in strada a distribuire bevande calde. E per il 23 dicembre la rete di associazioni “Como senza frontiere” invita tutti i cittadini a scendere in piazza portando panini, biscotti e tramezzini per un “bivacco solidale”. Tornerà nelle strade l’ampio fronte antifascista che lo scorso 9 dicembre si era mobilitato su proposta del Pd in reazione all’irruzione del movimento Veneto fronte skinhead proprio ad una riunione dell’associazione di aiuto ai migranti? Il fatto è che “l’ordinanza urgente emessa dal sindaco Landriscina “a tutela della vivibilità urbana e del decoro del centro urbano che punisce il mancato rispetto con una sanzione pecuniaria da euro 50 ad euro 300 mendicanti, clochard e persone costrette a vivere in strada è universalmente considerata una misura inconcepibile. Eppure è benedetta dal decreto Minniti-Orlando”, spiega Andrea Maestri, di Possibile e oggi nella nuova creatura politica di sinistra Liberi e uguali. Che ieri con Pippo Civati ha annunciato un’interrogazione parlamentare sulla vicenda prima che le camere vengano sciolte (le previsioni dicono che succederà fra il 27 e il 29 dicembre). Maestri oltre ad essere un deputato è un avvocato amministrativista e immigrazionista, patrocinante in Cassazione, ma anche volontario di Avvocato di Strada, Associazione Onlus che offre tutela legale gratuita alle persone senza dimora. “L’ordinanza, per quanto odiosa, è legittima se per legittimità intendiamo conformità alla legge”, dice. “Non fa altro che applicare l’articolo 50 del Testo Unico degli Enti Locali come riscritto dal decreto Minniti - Orlando del 20 febbraio 2017 n. 14”. Al momento della traduzione in legge del decreto “decoro urbano” aveva votato no e ne aveva segnalato l’incostituzionalità: “Il decreto Minniti-Orlando dilata in misura abnorme e in modo indeterminato il potere extra ordinem dei sindaci, incidendo su beni di rango costituzionale come la libertà personale e quella di circolazione e discriminando i cittadini in base alle loro condizioni sociali e personali”. Ma questa dell’incostituzionalità sarebbe un’altra storia. Per adesso intanto cominciano a fioccare le ordinanze dei sindaci (di destra) basate esattamente su quel decreto. E i militanti del Pd si mobilitano contro un provvedimento firmato da una coppia di ministri dem, uno dei quali addirittura leader della minoranza di sinistra del partito. Che contesta le politiche renziane e ancora ieri, da Napoli, avvertiva il suo partito di “raddrizzare la barra, la linea che in queste ore e in questi giorni sta seguendo il partito porta a una sconfitta”. Parlava di banche, ma non di sicurezza e di politiche sociali. Del resto quello che i democratici di Como contestano al sindaco forzista è proprio la stessa identica cosa che ha fatto Enrico Ioculano, sindaco di Ventimiglia, però del Partito democratico: un’ordinanza emessa nell’estate del 2016 che vietava la somministrazione di cibo e bevande “a persone migranti, senza fissa dimora e in condizioni di necessità”, poi revocata dopo la mobilitazione delle associazioni cattoliche, dei No Border e dei volontari accorsi in città a manifestare. Ordinanza emessa in base alla precedente normativa, la Legge Maroni, di cui il provvedimento Minniti-Orlando è figlio anche più esteso e creativo. “La mente del presepe al contrario di Como sono i ministri Minniti e Orlando, esponenti di spicco del Pd, e il braccio è il sindaco Landriscina, a guida di una coalizione tra Forza Italia, Lega e FdI”, è la conclusione di Maestri. Cosenza: a gennaio parte il corso di formazione “Volontari per le misure di comunità” strill.it, 23 dicembre 2017 Prenderà il via sabato 13 gennaio, alla Cittadella del Volontariato di via degli Stadi, a Cosenza, il corso di formazione “Volontari per le misure di comunità” promosso dall’associazione Libera Mente in collaborazione con la Caritas della Diocesi di Cosenza - Bisignano, l’Uepe (Ufficio di Esecuzione Penale Esterna) e il Csv (Centro Servizi per il Volontariato) della provincia di Cosenza. Il corso, gratuito, rientra nell’ambito di un progetto Seac (Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario) sostenuto da Fondazione Con Il Sud che coinvolge sei regioni italiane tra cui la Calabria. La proposta formativa mira a rafforzare l’impegno del volontariato penitenziario nell’accompagnamento di persone in esecuzione penale esterna e nella ricostruzione dei legami con la comunità interrotti a causa del reato. Il corso è aperto a tutti coloro che desiderano impegnarsi nel volontariato penitenziario, ma anche a chi già opera in carcere come volontario. Durante i cinque moduli del corso verranno esaminate le raccomandazioni europee che introducono e valorizzano le misure di comunità, si parlerà della situazione attuale in Italia e delle sue possibili evoluzioni, si analizzeranno le funzioni e i compiti dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna (Uepe) e del magistrato e del tribunale di sorveglianza e si approfondirà l’art. 78 della legge penitenziaria sulla presenza degli assistenti volontari in carcere. Per partecipare al corso è necessario compilare una scheda di iscrizione e farla pervenire all’indirizzo email info@liberamentecs.org. Per maggiori informazioni si può contattare il numero di telefono 346.8435350. Libera Mente è un’associazione nata a Cosenza nel 2004 che opera in favore di detenuti ed ex detenuti, facilitandone il reinserimento sociale e lavorativo e sostenendo le loro famiglie. Milano: Arisa canta la pace insieme a carcerati e migranti Corriere della Sera, 23 dicembre 2017 C’era il coro dei detenuti di San Vittore, reparto “La Nave”, unico del genere in Italia per la cura e i trattamenti dei tossicodipendenti. C’era l’Orchestra dei Popoli, ragazzi di gran talento notati mentre suonavano per strada e che però in questa occasione cantavano. E c’era il Coro dei Migranti, voci di gente arrivata sulle carrette del mare da chissà dove e “scritturata” nei centri d’accoglienza dalla Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti di Arnoldo Mosca Mondadori. La sera dell’11 dicembre è stata speciale per tutti loro (una sessantina), impettiti ed emozionati com’erano sul palco dell’Auditorium di Milano Fondazione Cariplo. Ma ancora di più è stata speciale per Arisa che assieme a loro ha cantato la sua Pace, Hallelujah di Leonard Cohen e Redemption Song di Bob Marley. Musica ed emozioni in una sala che aveva per buona parte i parenti dei detenuti a fare da pubblico. Una bambina, figlia di uno di loro, è riuscita a salire sul palco per correre a dare un bacio a suo padre, occasione unica che probabilmente ricorderà per sempre come una magia. Lei, così piccolina, in mezzo alla scena ad abbracciare il suo babbo fra il coro: cos’altro può essere se non una magia? Arisa all’Auditorium di Milano Fondazione Cariplo dove ha cantato insieme ai migranti e ai detenuti di San Vittore. Arisa, con quella voce potente più delle scosse, ha buttato giù le distanze fra migranti e non, fra pubblico e coro, fra i bambini e i loro padri, fra gli ultimi delle nostre città e una come lei, generosa prima ancora che artista affermata e famosa. Non ci ha pensato nemmeno un minuto quando le hanno proposto di cantare con carcerati e migranti. La risposta è stata sì, certo che sì. Niente prove (se non una a San Vittore pochi giorni prima dello spettacolo), incognita assoluta sul numero di persone che avrebbero cantato (tutto dipende sempre dal fatto che il giudice conceda il permesso oppure no) e nessuna idea delle capacità canore dei suoi “complici” (a nessuno viene chiesto di essere intonato, solo di voler cantare). Un bel chissenefrega e passa la paura, Arisa non è tipo che si fa fermare da piccolezze del genere. Risultato: strepitoso. Una serata da incorniciare. Nph, associazione internazionale che lavora in America Centrale, ha come riferimento italiano la Fondazione Francesca Rava ed è proprio attraverso la Fondazione che Arisa è già stata protagonista di altre iniziative a favore di bambini che vivono in condizioni disagiate. Stavolta era per i bimbi del Messico, per i migranti del Coro e l’Orchestra dei Popoli, per i detenuti de “La Nave” (che fa capo all’Azienda sociosanitaria territoriale Santi Paolo e Carlo ed è diretta da Graziella Bertelli), per il direttore “di tutta questa baracca”, come dice lui, che si chiama Paolo Foschini ed è un nostro collega del Corriere Della Sera. Ma era un po’ anche per se stessa. Perché fare del bene fa stare bene. Napoli: il pranzo della speranza a Poggioreale, Natale va oltre le sbarre di Antonio Mattone Il Mattino, 23 dicembre 2017 Emozioni forti, storie di galera, volti sofferenti, saluti e convivio con gli ultimi tra gli ultimi. Questo è il pranzo di Natale della Comunità di Sant’Egidio nel carcere di Poggioreale. Erano 150 i detenuti stipati nella chiesa dell’istituto provenienti da tutti i padiglioni, con 55 volontari e tanti ospiti della società civile mischiati tra loro, tanto che non sempre si riusciva a distinguere chi “stava dentro” dagli altri. Un sovraffollamento una volta tanto salutare che non ha tolto il respiro ma ha portato aria di famiglia e di libertà. Tuttavia il numero delle presenze dei detenuti continua a salire, nelle carceri italiane come a Poggioreale. La situazione del sovraffollamento comincia a destare qualche preoccupazione, basti pensare che è stata superata la soglia dei 58mila detenuti a livello nazionale, mentre nel penitenziario napoletano da tempo ci si attesta poco al di sotto dei 2200 presenze, 400 in più della media degli ultimi anni dopo la riduzione seguita alla condanna della Corte di Strasburgo. Dover gestire 400 persone in più, vuol dire avere a che fare con un vero e proprio carcere di piccole dimensioni. E, fermo restando il numero del personale, già al di sotto di 150 unità rispetto al fabbisogno, si devono prevedere ulteriori attività trattamentali, cure mediche, visite dei parenti, disbrigo di pratiche amministrative e tutto quello che ruota attorno alla vita dei detenuti. Oltre al fatto che lo spazio nelle celle diventa più stretto. Durante il pranzo un detenuto mostra i suoi occhiali le cui lenti non combaciano con la montatura che si è fatto dare da un altro detenuto quando è tornato in libertà. Da maggio ha chiesto una visita oculistica per potersi fare gli occhiali nuovi, ma ha atteso invano e allora “ci si arrangia come si può”, dice rassegnato. Con la sua determinazione ha ottenuto una nuova prescrizione da un medico esterno, e appena qualche volontario sarà disponibile gli porterà le nuove lenti, così potrà tornare a vederci bene. La questione della salute è uno degli aspetti più problematici a Poggioreale: continuo turnover del personale sanitario, difficoltà per le visite specialistiche interne ed esterne, tempi di attesa lunghissimi per i ricoveri per gli interventi chirurgici, sono malattie croniche della sanità penitenziaria napoletana. Una grande criticità è rappresentata dalla altissima percentuale di detenuti con disturbi psichiatrici e un totale scollegamento tra i Dsm esterni e la psichiatria penitenziaria. Questo significa che se una persona seguita da un centro di salute mentale entra in carcere, non viene data notizia né della storia clinica né della terapia seguita, così come chi esce dalla galera con patologie psichiatriche precedenti o sopravvenute alla carcerazione non viene affidata al Dsm del territorio di provenienza. Il futuro di chi è costretto a stare in carcere per una condanna o perché in attesa di giudizio sembra diventare sempre più disagevole. E mentre si aspettano gli imminenti decreti attuativi della riforma penitenziaria, ha destato perplessità la circolare emanata dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria lo scorso 28 novembre che per contenere i consumi idrici notturni ha disposto la chiusura sperimentale dell’erogazione idrica dalle 23 alle 5,30 del mattino per quegli istituti i cui consumi quotidiani risultino superiori a 0,5 metri cubi per detenuto presente, a partire dal nuovo anno. Per compensare la mancanza di acqua nella notte, viene fornita una tanica con 20/25 litri per acqua potabile per detenuto da utilizzare come riserva idrica. Immaginiamo le difficoltà di dover fornire migliaia di taniche e di litri di acqua potabile, con una spesa ugualmente costosa. La notizia comincia a circolare e qualcuno chiede preoccupato: “Ma ci lasciano senz’acqua?”. Ma oggi si festeggia il Natale e tutto passa in secondo piano. “Questo giorno è una gioia, come se fossi a casa mia” dice Aniello, mentre Lino si trova inaspettatamente a mangiare a fianco di don Antonio Loffredo, il parroco della Sanità che in tutti modi ha cercato di strapparlo dalle maglie della criminalità. Il panettone offerto dal presidente della Regione Vincenzo De Luca e le battute di Lino D’Angiò fanno venire l’allegria. E la bellissima slitta con cui Babbo Natale porta i doni, costruita dai detenuti e dagli agenti della falegnameria rappresenta la voglia di continuare sulla strada della umanizzazione di questo istituto da parte del personale penitenziario nonostante le tante difficoltà. Da tre giorni si è insediata il nuovo direttore Maria Luisa Palma che guiderà il difficile penitenziario intitolato alla memoria di Giuseppe Salvia. E proprio in mezzo ai carcerati ha mangiato la moglie del vicedirettore ucciso dalla camorra nel 1981, un gesto di riconciliazione che ha suscitato applausi, stupore e commozione. All’uscita l’attore Nuccio Siano che ha partecipato al pranzo è visibilmente commosso, e scrive un post che subito riscuote successo: “Chi cercasse un senso al Natale, si affacci qui dentro per favore”. Catanzaro: premiati i presepi realizzati dai detenuti catanzaroinforma.it, 23 dicembre 2017 Ieri la cerimonia. Primo premio al lavoro denominato Presepe Sala Hobby. Si è svolta ieri pomeriggio, 22 dicembre, nella Casa Circondariale di Siano, la cerimonia conclusiva di premiazione della terza edizione del concorso “ Il messaggio dei presepi”, riservato ai lavori artistici realizzati dai detenuti, promosso dal direttore del carcere Angela Paravati. L’obiettivo della manifestazione, condotta da Domenico Gareri, è stato, anche quest’anno, la celebrazione di un “Natale senza barriere”: alcuni detenuti hanno realizzato presepi tradizionali, altri hanno rappresentato le preghiere di Natale in carcere, con poliziotti e detenuti riuniti insieme di fronte alla Sacra famiglia, altri ancora hanno rappresentato una Natività insolita, che mira a contenere oltre ad un messaggio di fratellanza, un’idea di contrasto al tristemente noto fenomeno della violenza sulle donne. Opere realizzate a mano con avanzi di stoffa, sapone, materiale di vario genere, che sono il simbolo di un cammino che queste persone stanno facendo. La giuria, composta dal questore di Catanzaro Amalia Di Ruocco, dal consigliere regionale Wanda Ferro, dal Rettore del Seminario Pontificio Teologico Regionale “S. Pio X” di Catanzaro, da Maria Manna, presidente di Life Communication, ha conferito il I premio al “Presepe Sala Hobby”, in stoffa, cucito da un gruppo di detenuti che hanno portato avanti l’idea di uno di loro, il quale aveva fortemente desiderato una macchina da cucire, per poter imparare a usarla. II premio è andato al significativo lavoro intitolato “Cecità”, in cui i pastori sono rappresentati bendati, richiamando il messaggio del Vangelo secondo cui Dio viene a dare “la vista ai ciechi e la libertà ai prigionieri”. Terzo classificato l’originale lavoro in sapone intitolato “Un giorno in grotta” ed infine un quarto premio speciale, offerto dall’amministrazione di Catanzaro, è andato a “Natività in carcere”. Hanno partecipato al concorso altri lavori intitolati “Una vita dentro un albero”, “Urone”, “Bambini: il mondo delle favole”, “Don Milani e la natività”, “Contro la violenza su tutte le donne”. La direttrice della casa circondariale Angela Paravati ha voluto che questa esperienza andasse aldilà dei confini del carcere: grazie alla disponibilità del Comune di Catanzaro i lavori saranno in seguito esposti nell’area antistante la sala Commissioni del palazzo municipale, in modo tale che possano essere ammirati da tutti i cittadini. Migranti. I ragazzi e i bambini dello Ius soli negato: sono loro le persone dell’anno L’Espresso, 23 dicembre 2017 Ottocentomila giovanissimi coinvolti da quella legge di civiltà che la politica non è riuscita ad approvare. A loro e alle loro storie dedichiamo la copertina in edicola da domenica 24 dicembre, con l’intervento di Roberto Saviano. Per non dimenticare una battaglia che merita di essere portata avanti. Era il 1987, trent’anni fa, un’altra campagna elettorale e la Democrazia cristiana, per rifarsi l’immagine, si affidò a un importante studio pubblicitario. Mamme in attesa, sposi casti, papà, scolari, nonni, nipoti. La musica di Ennio Morricone, le scenografie dell’Oscar Gianni Quaranta. Trenta secondi, poi il ritornello: “Per un sorriso/ per la libertà/ per un grande sogno d’amore/ per l’avvenire/ per una vita di serenità/ per la tua casa e il lavoro/ e il futuro dei tuoi figli/ forza Italia, forza Italia, forza Italia”. Il più grande caso di profezia che si auto-avvera della storia politica italiana. Sette anni dopo, infatti, Silvio Berlusconi riprese quel manifesto e quello spot, quei cieli azzurri tranquillizzanti, e lo trasformò nel nome del suo nuovo partito, senza neppure cambiare la grafica. Lo abbiamo ripreso con ironia nel numero dell’Espresso in edicola da domenica 24 dicembre, al momento di scegliere le persone dell’anno 2017. Persone comuni, come lo erano quelle di una pubblicità elettorale di tre decenni fa. Il volto delle nuove famiglie che da tempo vivono nelle città, nei quartieri, nelle scuole. Italiani come tutti, com’è normale, se non fosse che la politica ha ritardato un’intera legislatura per riconoscere l’ovvio. Ha trasformato lo Ius soli - in realtà lo Ius culturae - in una guerra di religione, uno scontro ideologico, l’occasione di una resa dei conti nella maggioranza. Invece Reda, Angelica, Mustafa, Mouad, Amjed, Fioralba, Anthony, Camilla, Emmanuel, Sandalima e gli ottocentomila ragazzi e ragazze coinvolti nella legge sono persone e italiani per cui battersi, la nostra campagna elettorale. In questo 2018 senza neppure la Nazionale azzurra ai mondiali di calcio, l’unica Forza Italia per cui vale la pena gridare. Migranti. Primo corridoio umanitario: atterrano in 162 a Roma su volo militare dalla Libia La Repubblica, 23 dicembre 2017 Le persone a bordo sono state liberate dai lager di Tripoli grazie a un accordo tra Italia, governo libico, Onu e Cei. Minniti: “Giorno storico”. Stavolta non sono dovuti sbarcare da un gommone e non sono approdati sulle coste del Sud Italia. Sono usciti invece dalla pancia del C130 infreddoliti e avvolti nei loro vestiti colorati; donne e bambini che fino a 12 ore fa erano in uno dei Centri di detenzione per immigrati irregolari di Tripoli. E hanno toccato il suolo a Roma, nell’aeroporto militare di Pratica di mare. Sono i primi 162 migranti arrivati in Italia grazie al primo corridoio umanitario frutto di un accordo che ha coinvolto l’Italia, il governo libico, l’Onu e la Cei. I migranti coinvolti nel viaggio sono stati individuati nei mesi scorsi dal personale dell’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, tra coloro che erano in condizioni di massima fragilità. “Dall’inizio dell’anno - ha spiegato il responsabile della Libia dell’Unhcr, Roberto Mignone - abbiamo fatto 995 visite nei Centri e siamo riusciti a liberare 1.200 persone. Ma pensiamo che nel prossimo anno questi numeri saliranno e riusciremo ad evacuare dalla Libia tra le 5mila e le 10mila persone in condizioni di fragilità”. L’intesa tra il governo italiano e quello libico ha permesso che i migranti fossero liberati dai Centri e potessero lasciare il paese per raggiungere l’Europa: stavolta però hanno viaggiato con un volo dell’Aeronautica militare italiana. Il primo velivolo, con 110 persone a bordo di cui una quarantina bambini, è atterrato all’aeroporto di Pratica di Mare attorno alle 19; il secondo, con 52 migranti, è decollato da Tripoli poco dopo e arriverà nella tarda serata. In Italia i migranti, grazie all’accordo tra il governo e la Conferenza episcopale italiana, verranno inseriti nel sistema Sprar e accolti in sedici diocesi in tutto il paese: da Arezzo a Benevento, da Treviso a Varese, da Milano a Reggio Calabria. A tutti è stata concessa la protezione internazionale e tutti verranno inseriti in un percorso di integrazione. “È un giorno storico - ha detto il ministro dell’Interno Marco Minniti, presente allo sbarco in aeroporto insieme al presidente della Cei Gualtiero Bassetti -. Per la prima volta grazie al lavoro straordinario di tante persone si è aperto un canale umanitario legale dalla Libia all’Europa. Siamo riusciti a portare verso la salvezza donne e bambini, sottraendoli ai trafficanti di esseri umani”. E ha aggiunto che “questo è solo l’inizio”. Il presidente Cei si è soffermato a lungo con i migranti: “Abbiamo creduto - ha detto Bassetti - nella possibilità che si realizzassero i corridoi umanitari e che potessimo salvare legalmente queste creature innocenti e abbiamo avuto ragione, anche grazie al governo italiano”. Poi ha commentato: “È una bellissima antivigilia di Natale: questi piccoli, dopo tante sofferenze e lacrime, hanno trovato accoglienza. La nostra casa è la loro casa, la nostra patria e la loro patria”. Svizzera. Medicina nelle carceri del Canton Ticino, si cambia organizzazione di Jacopo Scarinci e Andrea Manna La Regione, 23 dicembre 2017 Il direttore delle strutture detentive Laffranchini: “È un bel passo in avanti, si fa capo a centri di competenza”. L’Ente ospedaliero cantonale e l’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale ‘entranò in carcere. Il Consiglio di Stato dà luce verde alla nuova organizzazione della medicina carceraria, che poggia sul “coinvolgimento” dell’Eoc e dell’Osc. E questo per “accrescere qualità e professionalizzazione delle cure” e “migliorare così la presa a carico” dei detenuti “con problemi di salute somatica e mentale”, spiega il governo in una nota. Tra le principali novità, che verranno “gradualmente introdotte” nel 2018, c’è la “presenza fissa” di un medico, che sarà a capo del Servizio medico carcerario. “È un bel passo in avanti - commenta Stefano Laffranchini, direttore delle Strutture carcerarie ticinesi, raggiunto dalla ‘Regionè -. Passeremo a una copertura di medicina somatica e medicina psichiatrica del cento per cento. Con questa nuova organizzazione uscita dal gruppo di lavoro che ho presieduto, il personale medico sarà molto più presente, e potrà sgravare il personale di custodia da compiti che non gli spettavano”. Con quali obiettivi ci si è approcciati a questo delicato tema? “Innanzitutto, come da mandato conferitoci dal Consiglio di Stato, abbiamo lavorato alla possibilità di integrare Eoc e Osc nella medicina carceraria - risponde Laffranchini -, con il fine di sfruttare i centri di competenza già presenti sul territorio. Ma eravamo di fronte a un bivio: o replicare in carcere strutture già esistenti fuori, con costi molto alti, o far entrare le strutture nel nuovo concetto che stavamo preparando”. La scelta è caduta sulla seconda opzione, anche per un discorso di ottimizzazione di quanto di positivo è già presente sul territorio. Un discorso importante è quello relativo alla cura di carcerati con turbe psichiche. E anche qui ci sono delle novità. “Sì - conferma il direttore delle Strutture carcerarie, l’indirizzo strategico contenuto nel masterplan e approvato dal governo prevede, in una visione a medio termine, di creare una sezione apposita qui in Ticino, alla Stampa, che possa ospitare dieci pazienti. La prospettiva è di diventare parzialmente indipendenti da Curabilis (una struttura detentiva ad hoc nel Canton Ginevra, ndr) sulla quale, comunque, continueremo ad appoggiarci se supereremo i dieci pazienti che necessitano di cure speciali”. La nuova organizzazione “sarà operativa nel suo insieme dall’1 gennaio del 2019”. Nel frattempo, quali sono le priorità su cui occorre concentrarsi? Laffranchini: “Il punto focale è trasmettere le competenze acquisite negli anni dai medici attuali a quelli che gli subentreranno. La medicina carceraria è estremamente specifica, con le sue peculiarità. Ci vuole molta esperienza per affrontarla e va trasmessa ai nuovi medici”. Svizzera. Canton Ticino, la forza del Natale oltre le sbarre di Nicola Mazzi Giornale del Popolo, 23 dicembre 2017 Grazie all’Ospedale del giocattolo i detenuti hanno dei regali per i bambini. Una giornata in cui le famiglie possono stare insieme e dimenticare per un attimo la situazione. Le feste di Natale sono un momento di condivisione e gioia per i grandi e soprattutto per i più piccoli. Ma, c’è un luogo in cui questi due sentimenti trovano più difficilmente un seguito: quel posto è il carcere. Nel nostro Cantone, per fortuna, c’è chi si impegna perché quelle sensazioni siano possibili anche tra le persone detenute e i loro familiari. Grazie ai responsabili delle Strutture Carcerarie, dirette da Stefano Laffranchini, e all’Ufficio dell’assistenza riabilitativa sono stati organizzati dei momenti in cui le persone carcerate possono incontrare le famiglie. Con la responsabile di quest’ufficio, Luisella Demartini, cerchiamo di entrare, per qualche attimo, in quegli spazi e capire che cosa viene fatto in questi giorni particolari. Signora Demartini, ci può spiegare che cosa viene organizzato in questo periodo? Per le feste di fine anno, così le chiamiamo, pensiamo soprattutto alle famiglie e in particolare ai figli delle persone detenute. Da un lato abbiamo un’ottima collaborazione con l’Ospedale del giocattolo, che ci mette a disposizione dei regali da spedire ai bimbi lontani e che non possono venire in visita a papà o alla mamma. Noi dobbiamo solo informare l’Ospedale se il bambino destinatario è un maschio o una femmina e la sua età. Loro scelgono il regalo, che poi consegnano all’operatore sociale incaricato in modo che la persona detenuta lo possa spedire aggiungendoci le proprie parole o magari un disegno. Per le famiglie che invece possono venire in visita abbiamo organizzato, sabato scorso, un momento d’incontro privilegiato nella palestra del carcere. Per ragioni di sicurezza e di spazio una parte dei detenuti e i loro famigliari hanno potuto stare insieme la mattina. Un’altra parte il pomeriggio. In quell’occasione è stata preparata una merenda ed è anche arrivato Babbo Natale (alias Gerry Beretta Piccoli) il quale, accompagnato da un asinello, ha distribuito i regali forniti appunto, dall’Ospedale del giocattolo. I bimbi hanno quindi potuto approfittare per fare un giro attorno al cortile interno del carcere, in groppa all’asinello. Quanti hanno partecipato a quel momento di festa? È utile sapere che in questo momento alla Stampa ci sono 142 persone detenute e chi ha potuto ha aderito con entusiasmo. La mattina ha visto la partecipazione di 27 detenuti insieme a 54 loro ospiti e il pomeriggio ne hanno beneficiato altri 33 detenuti con 79 ospiti. Da notare che, nell’arco della giornata, erano presenti 51 bambini. Ad aiutare l’organizzazione, servendo la colazione il mattino e la merenda il pomeriggio e stando al bar improvvisato per la manifestazione, anche altri 12 detenuti, persone che non avevano parenti in visita. Questo a testimoniare il fatto che, anche chi non partecipa direttamente alla festa perché ha i famigliari lontani, la sente comunque molto. Turchia. Il giornalismo, la tortura e la mancanza di giustizia di Özgün Özçer balcanicaucaso.org, 23 dicembre 2017 Il reporter curdo Nedim Türfent è stato condannato a 8 anni e 9 mesi di prigione con l’accusa di “far parte di un’organizzazione terroristica”, mentre la corte è rimasta sorda di fronte a prove sostanziali di testimoni a cui sarebbe stata estorta la testimonianza con la tortura. Dopo la sentenza contro Türfent, giornalista dell’Agenzia di stampa Dicle, lo scorso 15 dicembre Hülya Karatas, avvocata del giornalista, ha affermato che “avrebbero fatto vedere la forza del turco”. La legale si riferisce alla storia che ha portato Türfent a essere perseguitato e minacciato dalle autorità della propria città - Yüksekova - nella Turchia sudorientale. In un filmato rivelato da Türfent, un comandante delle forze speciali si sente gridare “vedrete la forza del turco” ad un gruppo di detenuti con le mani legate dietro la schiena e obbligati a stare distesi con il volto rivolto al pavimento. “Hanno occultato la tortura e considerato il giornalismo come un crimine”, ha aggiunto Karatas. Il caso di Türfent ha suscitato indignazione tra numerosi giornalisti indipendenti in Turchia ed è aggravato dal fatto che 20 dei 21 testimoni apparsi in tribunale hanno dichiarato che le testimonianze che avevano reso alla polizia erano state rilasciate sotto tortura e coercizione. Queste rivelazioni hanno portato al centro dell’attenzione la piccola aula del tribunale della remota città orientale di Hakkâri, dove la libertà di stampa, lontano dall’attenzione dell’opinione pubblica, si trova ad affrontare un’altra seria prova. Türfent, rimasto in stato di detenzione oltre 19 mesi prima dell’udienza, è stato riconosciuto colpevole sia di “far parte di un’organizzazione terroristica” che di “propaganda terroristica”. Il procuratore, che ha scartato le ripetute accuse di tortura e maltrattamento, ha fondato la causa sulle dichiarazioni iniziali rilasciate dai testimoni alla polizia, cercando di far condannare Türfent per il primo dei due crimini, che avrebbe comportato una sentenza più grave. Nonostante ciò, gli avvocati della difesa ed i colleghi di Türfent erano cautamente ottimisti prima della quinta e ultima udienza del processo tenuto lo scorso 15 dicembre. Venti testimoni hanno rigettato le deposizioni incluse nell’atto d’accusa, mentre solo una testimone ha confermato la propria deposizione. La difesa ha presentato prove credibili delle contraddizioni presenti nella deposizione di quest’ultima testimone - sufficienti a suscitare dubbi sulla veridicità delle affermazioni. Lo stesso Türfent ha precedentemente descritto alla corte le minacce di morte ricevute dalla polizia al momento dell’arresto. La difesa ha sottolineato come non ci fossero prove che andassero oltre leciti dubbi per condannare Türfent di “far parte” [di un’organizzazione terroristica]. Ma i giudici l’hanno vista diversamente. Nell’annunciare il verdetto il presidente della corte ha detto di avere scartato alcune delle testimonianze iniziali, decidendo tuttavia di mantenerne altre, a prescindere dalle dichiarazioni che dicevano di essere state rilasciate sotto tortura e coercizione. Per giustificare la sentenza, il giudice ha fatto riferimento ai casi delle deposizioni dei testimoni che all’atto dell’interrogatorio erano minorenni e le cui testimonianze non furono raccolte in presenza di un pubblico ministero e nemmeno di uno psicologo o di un pedagogo, come richiesto dalla legge sulla protezione dei minori. “Nessuna azione legale è stata avviata contro la polizia, nonostante 20 testimoni abbiano confessato di aver deposto contro Türfent sotto la pressione della polizia. Uno dei testimoni, nella prima udienza, ha addirittura riferito alla corte che la polizia, per avere la sua deposizione, gli ha tolto due denti utilizzando una pinza”, ha detto a Index on Censorship Fatih Polat, il capo redattore del quotidiano di sinistra Evrensel. “Alla fine Türfent ha ricevuto una sentenza i cui termini erano stati già decisi [dalla polizia]”. Polat, che nel tentativo di attirare maggiore attenzione del pubblico sul caso lo ha criticato a gran voce, ha dichiarato che il verdetto aveva l’obiettivo di intimidire l’intera comunità dei media. “Con questa sentenza viene dato anche il messaggio di ‘riflettere attentamente prima di decidere quello di cui si vuole dare notizià a tutti quanti fanno giornalismo in questo paese”, ha affermato Polat. “Se oggi non ci opponiamo in maniera sufficientemente forte a questa decisione illegale, non dobbiamo stupirci se la stessa cosa domani toccherà a noi”. Mahmut Oral, giornalista stanziato a Diyarbakir, che ha seguito il processo per conto dell’Unione dei giornalisti della Turchia (TGS), ha anche detto che il caso aveva una valenza simbolica. “Nedim ha lavorato in una regione difficile in un periodo difficile”, ha detto Oral, riferendosi all’assedio militare e al coprifuoco che c’è stato a Yüksekova. Oral ha sottolineato che la corte non ha agito per avviare un’indagine né sulle dichiarazioni di tortura dei testimoni e nemmeno sul maltrattamento in stato di custodia cautelare riferito da Türfent. I procuratori hanno respinto le sue denunce. “Questa decisione può essere legale per il sistema giudiziario turco, ma non è coscienziosa”, ha detto Oral. “Ecco perché la considero come un tentativo di attaccare i diritti del giornalismo”. La sentenza andrà in appello - Lo stesso Türfent aveva ripetutamente sottolineato il danno che una sua condanna avrebbe causato al giornalismo, sia nella regione che in tutta la Turchia. Il giornalista, che ha presentato la propria difesa in curdo, ha detto di non avere rimorsi riguardo al proprio lavoro. “Ho scritto oltre un migliaio di notizie nell’arco di 7 anni”, ha commentato il giovane giornalista. “Alcune potrebbero non piacere al governo. Ma non è legittimo cercare di screditare queste notizie imprigionando i giornalisti”. Türfent ha aggiunto che ora è considerato una persona non grata per aver diffuso la propria notizia sul comandante delle forze speciali. “Ma se avessi una seconda opportunità lo farei di nuovo”. I legali di Türfent ricorreranno in appello presso una corte fuori Hakkâri, nella vicina provincia di Erzurum. Gli avvocati intendono inoltre presentare un ricorso alla Corte Costituzionale per “la lunga e ingiustificata detenzione di Türfent”. Nel suo celebre romanzo “Una stagione a Hakkâri” (Hakkâride Bir Mevsim), lo scrittore Ferit Edgü definisce Hakkâri come “la cima di un monte vicino al cielo”. La provincia è nota per i suoi inverni duri e inospitali. Ora questo inverno sembra aver inghiottito tutti i diritti e le libertà. “Vogliamo giustizia per svegliarci da questo letargo invernale”, ha detto Türfent nella sua difesa presentata in aula. Forse il suo desiderio troverà un’eco nel paese. Iran. Esecuzioni anche nella Giornata Internazionale dei Diritti Umani ncr-iran.org, 23 dicembre 2017 Dall’11 al 14 dicembre, l’Iran ha assistito ad 11 esecuzioni nelle città di Sari, Kermanshah, Ardebil, Isfahan, Khuy e Shiraz. Tra queste ci sono state tre impiccagioni pubbliche. In questo periodo, almeno 14 detenuti nel carcere di Karaj, ad ovest di Teheran, sono stati condannati a morte. L’11 Dicembre cinque prigionieri sono stati giustiziati in massa nel carcere di Diesel Abad a Kermanshah, e uno è stato impiccato nel carcere di Sari, Iran settentrionale. Allo scopo di aumentare l’atmosfera di terrore in tutto il paese, il regime ha impiccato pubblicamente due detenuti accusati di aver ucciso Asghar Ghezavati, membro delle forze di polizia iraniane. Queste esecuzioni sono state compiute nella città di Isfahan il 13 Dicembre. Uno di questi individui, Abdul-Majeed Hassan Zehi, è stato impiccato senza neanche essere stato informato dell’ora della sua esecuzione. Due giorni prima della sua impiccagione, era stato improvvisamente trasferito in isolamento. Questa misura criminale ha suscitato la rabbia della gente. Il 14 Dicembre un detenuto nella città di Khuy è stato impiccato in pubblico. Un altro detenuto è stato impiccato lo stesso giorno nella città di Shiraz. Il ritmo incessante di queste crudeli impiccagioni, ha lo scopo di intensificare il clima di terrore e di impedire le ribellioni popolari. Il 10 Dicembre il brigadiere generale Mohammad Reza Yazdi, comandante della cosiddetta Divisione Mohammad Rasulollah, è stato incaricato di mantenere la sicurezza a Teheran, dopo essere stato avvisato di possibili rivolte popolari. Mahmoud Sadeghi, membro del parlamento iraniano, ha espresso la sua preoccupazione per le “enormi sfide” che attendono questo regime. La Resistenza Iraniana chiede al tutta la popolazione iraniana, ed in particolare ai giovani, di protestare contro queste pene crudeli e di esprimere la loro solidarietà ai familiari delle vittime. La comunità internazionale deve condizionare i suoi accordi commerciali con questo regime, alla fine delle esecuzioni e delle torture. Stati Uniti. L’ultimo “deterrente” di Trump contro i migranti: separare i genitori dai figli di Marina Catucci Il Manifesto, 23 dicembre 2017 L’amministrazione Trump, secondo fonti interne al governo che hanno parlato con il Washington Post, sta mettendo a punto un piano per separare i genitori dai loro figli, quando famiglie di illegali vengono scoperte in suolo americano. Questa mossa avrebbe lo scopo di scoraggiare le entrate illegali negli Usa, ma i gruppi che tutelano gli immigrati l’hanno subito definita draconiana e disumana. Secondo le leggi in corso, le famiglie di illegali vengono mantenute unite in attesa di una decisione in merito al loro rimpatrio: tutti i membri vengono portati in appositi centri di detenzione o rilasciati con una data di comparizione davanti a un giudice. La legge che sta mettendo a punto questa amministrazione, invece, prevede che i genitori vengano mandati in centri di detenzione per adulti, mentre figli verrebbero collocati in altri centri, progettati per i giovani, sotto la tutela di uno “sponsor”. Questo tipo di politica piace molto alla Casa bianca ed è stata approvata dall’Immigration and Customs Enforcement, l’agenzia federale responsabile del controllo di frontiere e immigrazione, stando a quanto hanno affermato tre impiegati al dipartimento di Homeland Security e uno della Casa bianca. Kirstjen Nielsen, segretario per la sicurezza interna, chiamata all’approvazione finale, non ha ancora firmato. Subito dopo l’arrivo di Trump, il flusso degli immigrati illegali provenienti dal confine meridionale degli Stati uniti, è diminuito drasticamente; ad aprile, secondo i dati del Customs and Border Protection, sono state registrate solo 11.677 entrate, il numero più basso degli ultimi 17 anni. Questa tendenza, però, non è rimasta stabile e a novembre il numero è salito a 29.086. Sempre a novembre sono stati arrestati 7mila “nuclei familiari” e 4mila “minori non accompagnati”. A preoccupare l’amministratore Trump è la possibilità di creare nuovi Dreamer, altri giovani entrati negli Usa illegalmente da bambini e che si formano negli Stati uniti, che Obama invece tutelava. E il rischio di incorrere nella separazione familiare è tra le soluzioni prese in considerazione come deterrente. Amministrazioni precedenti, non solo democratiche, hanno sempre evitato le separazioni familiari in quanto possono scoraggiare le richieste di asilo, forzando le persone a restare in situazioni potenzialmente letali nei Paesi d’origine, pur di mantenere uniti i nuclei familiari. Tyler Q. Houlton, un portavoce del Dipartimento per la sicurezza interna, ha affermato che la migrazione illegale dei bambini è di per sé crudele: “Il viaggio illegale è pericoloso, non è un posto per i bambini piccoli: bisogna esplorare tutte le misure possibili per proteggerli”, ha detto. Una misura protettiva, secondo questa amministrazione, consisterebbe bizzarramente nel separare i bambini dai loro genitori. Quella di paventare separazioni tra genitori e figli è chiaramente una mossa volta a scoraggiare le entrate illegali e poco importa se, per implementarla, serva il ricorso a bambini o ragazzi minorenni per fare pressioni dissuasive sui loro genitori. Non un problema etico o morale, in quest’era Trump. Il governo americano sta già usando leggi anti migratorie di questo tipo: il Congresso, infatti afferma che le famiglie possono essere separate se i minori sono in pericolo a causa delle scelte dei genitori e immigrare illegalmente può venire considerato tale. Ma anche funzionari del dipartimento che sostiene l’applicazione rigorosa delle leggi sull’immigrazione affermano che si stia andando troppo in là. E i giornali pubblicano storie di genitori che per giorni non hanno saputo dove fossero i loro figli, anche piccoli. Israele. Due morti e decine di feriti ma la protesta palestinese non si spegne di Michele Giorgio Il Manifesto, 23 dicembre 2017 Nuova giornata di manifestazioni e scontri con l’esercito d’occupazione israeliano. Ancora a Gaza le due vittime palestinesi. Abu Mazen, ricevuto ieri da Macron, ribadisce che non accetterà alcun piano americano e che gli Usa non potranno più mediare in un negoziato futuro. “Non è razionale quello che ha fatto Trump, non si regala tutta Gerusalemme a una parte negando i diritti dell’altra. Esistono le leggi, i negoziati, il rispetto dei popoli. E non si minacciano gli altri Paesi sono perché non sono d’accordo con la tua linea”. Umar Awad prova a spiegarci ciò che pensa della crisi internazionale che il presidente americano ha scatenato riconoscendo lo scorso 6 dicembre Gerusalemme come capitale di Israele. Umar, un insegnante di Sur Baher, qualche minuto prima ha pregato in al Aqsa, poi assieme al fiume umano, che il venerdì al termine delle preghiere dalla Spianata delle moschee sfocia nelle stradine della città vecchia, è giunto alla Porta di Damasco. “Noi palestinesi siamo per il rispetto delle leggi e delle regole, come è stato deciso ieri (giovedì) alle Nazioni Unite”, ci dice mentre decine di poliziotti israeliani in assetto antisommossa e armati di mitra ultramoderni sorvegliano i fedeli che salgono la scalinata che porta a via Sultano Solimano. Intorno la tensione è forte ma la “Giornata di sangue” invocata dalla leadership del movimento islamico Hamas non sembra coinvolgere Gerusalemme. Ben diverse sono andate ieri le cose in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, teatro di una nuova sollevazione contro Trump e l’occupazione militare. Non è chiaro se si stia innescando, gradualmente, una nuova Intifada palestinese. Di sicuro continua la mobilitazione popolare e non solo il venerdì dopo le preghiere islamiche. Nelle strade dei Territori occupati sono di nuovo scesi migliaia di palestinesi, l’ha confermato lo stesso esercito israeliano che usa sempre più forza letale. Soprattutto lungo le linee di demarcazione con Gaza dove si spingono i palestinesi durante le proteste. Due giovani, Zakaria Kafarna, 23 anni di Beit Hanun, e Mohammed Muhsen, 27 anni di Khan Yunis, sono stati uccisi da colpi sparati dai soldati. Almeno venti i feriti, tra questi Mohammed Abu Najar, un avvocato 27enne che partecipava alle proteste vestito da Babbo Natale. Salgono a dieci le vittime palestinesi dal 6 dicembre, quasi tutte di Gaza. Intense nuvole di fumo di gas lacrimogeni si sono sprigionate anche in Cisgiordania: a Khader, Betlemme, Tulkarem, Qalqiliya, Hebron, Beit Ummar, Huwara (Nablus), al Bireh, Ramallah e molte altre località. Il ministero della salute palestinese ieri ha fornito un bilancio parziale di 2 morti e 70 feriti, alcuni dei quali gravi. Lo stesso ministero riferisce di oltre 3mila palestinesi feriti nelle ultime tre settimane. Ed è di queste ultime ore la denuncia di Amnesty International dell’uso eccessivo della forza e di armi da parte di Israele nonostante la vita dei suoi soldati non sia stata in pericolo durante la manifestazioni. Ieri è riemerso, dopo giorni di silenzio, il leader di Hamas a Gaza e tra i fondatori del suo braccio armato. Yahya Sinwar durante un discorso trasmesso da Al Aqsa Television, ha chiesto alla popolazione di Gerusalemme, della Cisgiordania ed ai palestinesi nel mondo di passare all’azione. “Che venerdì sia il punto di svolta decisivo nella lotta del nostro popolo per annullare la decisione di Trump”, ha detto Sinwar esortando ad attaccare l’esercito e i coloni israeliani. È da notare che la chiamata all’Intifada fatta da Sinwar era rivolta in particolare alla Cisgiordania, dove esercita la sua (limitata) autorità il presidente dell’Anp e del partito Fatah, Abu Mazen. Hamas prova ad usare la sollevazione contro la dichiarazione di Trump per minare le fondamenta dell’Anp e del residuo potere di Abu Mazen? Questa ipotesi è al centro delle discussioni interne in questa fase politicamente delicata. Certo è che la riconciliazione tra Fatah e Hamas è sull’orlo del baratro. Sinwar ha ribadito che il suo movimento non intende tornare a governare Gaza avvertendo però che “Il progetto di riconciliazione sta andando a pezzi. Solo un cieco può non vederlo”. E lo stesso Abu Mazen ieri ha ammesso che vacilla l’accordo raggiunto al Cairo dal suo partito con i rivali di Hamas. La svolta “radicale”, come la descrive qualcuno, di Abu Mazen dopo la dichiarazione di Trump non sta favorendo l’avvicinamento del presidente palestinese al movimento islamico. Hamas non è impressionato dalle dichiarazioni contro gli Usa e Israele che Abu Mazen va facendo in ogni capitale estera da un paio di settimane. Ieri durante una conferenza stampa congiunta a Parigi con il presidente francese Macron, Abbas ha ripetuto “Non accetteremo nessun piano di pace degli Stati Uniti a causa del loro spirito di parte…Gli Stati Uniti si sono auto-squalificati con questo annuncio, non sono più un mediatore onesto nel processo di pace”. Il leader palestinese ha criticato anche gli avvertimenti fatti da Washington contro chi ha votato a favore della risoluzione Onu. Quindi ha accusato Trump di aver incoraggiato “l’illegale disgiunzione tra le due città sante di Betlemme e Gerusalemme, separate per la prima volta in oltre duemila anni di Cristianità”. Macron ha convenuto che “Gli americani sono emarginati” ma ha anche avvertito che la Francia non riconoscerà unilateralmente lo Stato di Palestina come gli ha chiesto Abu Mazen. Israele intanto è in contatto con diversi Paesi che stanno “seriamente considerando” di riconoscere Gerusalemme come sua capitale, seguendo l’esempio di Washington. Lo ha detto il primo ministro Benyamin Netanyahu, intervistato dalla Cnn. Il premier non ha rivelato di quali Stati si tratti. Ieri il presidente del parlamento rumeno, Liviu Dragnea, ha dichiarato che Bucarest dovrebbe “considerare con attenzione” il trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme e nella Repubblica Ceca, il presidente Milos Zeman è favorevole a questa ipotesi mentre il governo frena. Russia. Omofobia e ostilità contro chi si batte per i diritti Lgbti nell’ex Urss di Riccardo Noury Corriere della Sera, 23 dicembre 2017 In un rapporto intitolato “Meno uguali: i difensori dei diritti delle persone Lgbti in Armenia, Bielorussia, Kazakistan e Kirghizistan”, Amnesty International ha denunciato il clima sempre più discriminatorio e persecutorio in cui agiscono i gruppi per la difesa dei diritti umani delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate (Lgbti). Negli ultimi anni l’ostilità nei confronti delle persone Lgbti nei quattro paesi dell’ex Urss è aumentata, anche a causa della retorica e delle prassi repressive della Russia, dove è in corso una crociata contro le relazioni sessuali non tradizionali. In tutti e quattro i paesi sono stati fatti tentativi per introdurre leggi omofobiche sulla “propaganda” simili a quella in vigore in Russia. Finora vi è riuscita solo la Bielorussia, nel 2016 ma Armenia e Kirghizistan hanno emendato la Costituzione, rispettivamente nel 2015 e nel 2016, per vietare espressamente i matrimoni omosessuali. Ovunque nello spazio ex sovietico l’idea promossa dalla Russia che i diritti delle persone Lgbti siano “valori occidentali” che in qualche modo minacciano la sicurezza nazionale si sta via via rafforzando. I governi stanno alimentando un clima d’ignoranza e odio che sta inquinando persino la comunità per i diritti umani. Le attiviste e gli attivisti Lgbti non solo subiscono lo stigma dell’emarginazione e dell’ostracismo sociale, ma vengono persino considerati “attivisti di serie B” all’interno delle comunità per i diritti umani. Questa mancanza di sostegno da parte della più ampia comunità dei diritti umani ha un effetto demoralizzante e frustrante. Prima della sua morte, avvenuta per infarto nell’agosto 2016, Mikayel Danielyan, ex direttore dell’Associazione Helsinki in Armenia e uno degli attivisti della prima ora per i diritti delle persone Lgbti, aveva ricordato che parlamentari e difensori dei diritti umani rifiutavano di sedersi al tavolo con lui durante gli eventi pubblici.