Giustizia, corsa contro il tempo. Obiettivo: riforme entro il 2017 di Claudia Morelli Italia Oggi, 24 aprile 2017 Cosa prevede il piano nazionale allegato dal governo al Def appena approvato. Corsa contro il tempo del Governo Gentiloni per concludere "in continuità" il ciclo di riforme sulla giustizia, con l’approvazione (e magari anche l’attuazione) della riforma del processo penale, di quello civile, del nuovo intervento sull’insolvenza, con lo statuto della nuova magistratura onoraria. Il range di tempo che si è dato è di poco più di sei mesi: tutto andrà fatto entro il 2017 perché le sirene delle elezioni anticipate si fanno insistenti. La domanda è se questo tempo sarà sufficiente o meno. La lettura del Piano nazionale delle riforme 2017, allegato al Documento di programmazione economica all’esame in questi giorni del Parlamento, appare più che altro un auspicio solo se si considera il tempo lunghissimo di "gestazione" parlamentare che ha riguardato finora tutti i provvedimenti individuati come "prioritari", a volte per questioni "politiche" ma altre volte per l’ordinario svolgersi dei lavori parlamentari: la riforma del processo penale è alle Camere al 2015 (c’è da dire che è una riforma molto combattuta a causa soprattutto di prescrizione e intercettazioni); quella del processo civile è stata approvato un anno fa dalla Camera ma è ancora al Senato. La proposta di legge per la lotta alla criminalità organizzata tramite la sottrazione dei patrimoni illeciti è all’esame della commissione giustizia del Senato da novembre 2015. E dunque è lecito chiedersi quale sia il valore delle azioni "strategiche" indicate dal Governo nel Pnr 2017, che dovrebbero ora giungere a conclusione in una manciata di mesi per portare a termine il rilancio del sistema giudiziario, considerato una delle "zavorre" del sistema Paese. Il lavoro in questi anni è stato tanto e qualche timido risultato si è avuto e va sottolineato: con la depenalizzazione il carico pendente penale si è ridotto del 6,9% (a giugno 2016); le cause civili pendenti sono diminuite del 3,8 per cento rispetto al 2015; la contrazione dei tempi medi di definizione dei contenziosi di primo grado, che sono scesi a 981 giorni, mentre per i procedimenti di tutto il settore civile del Tribunale la durata media è stata, nel 2016, pari a 375 giorni; il debito "Pinto" (le condanne dello Stato a risarcire le vittime della eccessiva lunghezza delle cause) si è ridotto da 459 milioni di euro nel 2015 a 336 milioni nel 2016. Ma risalire la china non è operazione semplice e veloce. Secondo il Def, il miglior funzionamento della giustizia potrebbe avere un impatto strutturale sul Pil dello 0,9%, tenendo conto sia di alcune riforme già in vigore (il decreto legge 92/2014 convertito nella legge 117/2014 su carceri e processo penale e il decreto legge sulla giustizia civile 132/2014, convertito in legge 162/2014); sia di alcuni disegni di legge come quello per la riforma del processo penale e della prescrizione e quello che istituisce i tribunali della famiglia e rafforza il tribunale delle imprese (le sezioni specializzate hanno dato buone performance limitando a un anno la durata media dei procedimenti in primo grado). Le raccomandazioni Ue e le risposte italiane. Il Pnr comunque contiene l’indicazione di quei nuovi interventi predisposti in risposta alle Raccomandazione della Commissione europea e al Country report 2017: favorire una migliore disciplina della insolvenza e del recupero dei crediti per dare maggiori certezze alle imprese in crisi; combattere la corruzione e attuare una riforma della prescrizione che coniughi "tempi congrui" per l’accertamento del reato con una ragionevole durata del processo penale; ridurre la durata del contenzioso civile; rendere più efficiente la macchina della giustizia. Per ciascun obiettivo il Pnr indica il provvedimento giusto, mentre annuncia maggiori investimenti nella macchina giudiziaria e l’adozione di best practices che consentano di armonizzare le performance dei tribunali in termini qualitativi e quantitativi verso i livelli dei migliori fra di loro. Le due azioni prioritarie sono l’approvazione del provvedimento di riforma del processo penale, approvato a marzo dal Senato con voto di fiducia e che la Camera dovrebbe approvare entro maggio; e poi gli interventi organizzativi, l’assunzione di nuovi magistrati e la riduzione della scopertura nell’organico del personale amministrativi dall’attuale 21,44 al 19,23%. Nel giro di un anno, promette il governo, arriveranno gli altri provvedimenti, così come il processo tributario telematico su tutto il territorio nazionale. Altrimenti quel 0,9% di aumento di pil sarà stato scritto sulla sabbia. Decreto Minniti sulla sicurezza urbana. Sindaci in campo contro droga e alcol di Valentina Melis Il Sole 24 Ore, 24 aprile 2017 Dopo i primi "Daspo" urbani in arrivo nuove ordinanze. Contrastare lo spaccio di droga, la vendita di alcolici a tutte le ore, i furti nelle periferie e l’attività dei parcheggiatori abusivi. Sono le priorità dei sindaci all’indomani della conversione in legge del decreto sulla sicurezza urbana voluto dal ministro dell’Interno Marco Minniti. E se il primo strumento a essere usato è stato il "Daspo" urbano, il divieto di accesso a determinate zone della città, ora i primi cittadini stanno studiando ordinanze e interventi più strutturati, possibili con le nuove norme. Contrastare lo spaccio di droga, l’abuso di alcool, le occupazioni di edifici e i parcheggiatori abusivi. Sono queste le priorità dei sindaci, all’indomani della conversione in legge del decreto sulla sicurezza urbana, voluto dal ministro dell’Interno del Pd Marco Minniti (Dl 14/2017, convertito dalla legge 48, in vigore da sabato). Il provvedimento rafforza gli strumenti a disposizione dei primi cittadini per contrastare le situazioni che rischiano di degenerare. E se finora i sindaci hanno messo in campo le nuove sanzioni pecuniarie (da 100 a 300 euro) e gli ordini di allontanamento per 48 ore ("mini-Daspo urbano"), soprattutto per colpire chi impedisce l’accesso alle stazioni, ora che il decreto è definitivo si stanno studiando interventi più strutturati. Le prossime ordinanze - A Milano si stanno definendo i contenuti del nuovo patto per la sicurezza urbana da stilare con il prefetto: "Vogliamo eliminare i pusher di strada - spiega l’assessore alla Sicurezza, Carmela Rozza (Pd) - e i furti in appartamento nelle periferie. E responsabilizzare - prosegue - i proprietari dei distributori automatici di alcolici e dei locali aperti la notte. Non vogliamo un coprifuoco, ma se di- ventano luoghi di spaccio di droga, li chiuderemo al massimo per 30 giorni. Dopo tre chiusure, la licenza può essere revocata". E il Comune di Milano parteciperà al bando per aggiudicarsi i fondi (7 milioni nel 2017) stanziati dal decreto per la videosorveglianza. Pensa a chiudere i locali malfrequentati anche il sindaco di Prato, Matteo Biffoni (Pd): "Il decreto non è la panacea di tutti i mali - osserva - ma è un passo avanti. Per chiudere un locale frequentato dagli spacciatori, ad esempio, nonostante gli esposti dei vicini, finora era necessario un lungo percorso, con indagini della polizia e prove "robuste". Altrimenti, nove ordinanze di chiusura su dieci erano impugnate davanti al Tar. Ora intervenire sarà più facile". A Torino "sono allo studio interventi sulle aree della movida - dice la sindaca Chiara Appendino (M5S) - da concertare con le associazioni di categoria e i residenti ma le priorità saranno stabilite con il prefetto". È invece definita la strategia del sindaco di Livorno, Filippo Nogarin (M5S), che questa settimana varerà le ordinanze per vietare la vendita degli alcolici da asporto oltre le 21 nel quartiere Garibaldi, alle spalle di piazza della Repubblica. Chi le viola rischia sanzioni pecuniarie, sospensione (e poi revoca) della licenza fino alla chiusura definitiva. "La proliferazione dei minimarket che vendono alcolici a bassissimo prezzo - dice Nogarin - generata dalle liberalizzazioni ha fatto impennare gli episodi di microcriminalità: spaccio, risse, furti, che non avevamo gli strumenti per contrastare. Ora le ordinanze non dovrebbero essere annullate dal Tar". Posteggiatori abusivi e movida selvaggia usata per coprire comportamenti illeciti come lo spaccio sono i fronti su cui intende agire il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando (centrosinistra), che ha incaricato gli uffici di mettere a punto provvedimenti da approvare nelle prossime settimane. A Napoli, il sindaco Luigi De Magistris (che a febbraio ha fondato il partito DemA, Democrazia e autonomia) sta lavorando di persona ad alcune ordinanze "molto particolari" che usciranno a inizio maggio e punteranno su decoro urbano e rispetto del territorio. E Andrea Cassani, primo cittadino di Gallarate (Lega Nord) dovrebbe varare un’ordinanza per limitare l’accattonaggio, anche sanzionando chi fa l’offerta. I limiti del "mini-Daspo" - Cassani è stato il primo sindaco a recepire con un’ordinanza ad hoc le sanzioni pecuniarie e gli ordini di allontanamento e finora ha emesso una decina di provvedimenti contro "chi consuma alcol e bivacca fuori dalla stazione", spiega. "Hanno funzionato - dice - e non abbiamo avuto recidive ma non avremmo avuto strumenti per affrontarle. Sarebbe stato necessario sanzionare le violazioni con una misura simile all’articolo 650 del Codice penale, che punisce anche con l’arresto chi non osserva i provvedimenti dell’autorità". Anche per Nogarin "il fatto che chi viola l’allontanamento rischi, in base al decreto, solo una sanzione pecuniaria lo rende inefficace perché il punto di partenza era proprio il fatto le multe in alcuni casi non servono. Spero che, in futuro, siano introdotte sanzioni penali". Prefetti e questori - Incontra il favore dei sindaci il fatto che il prefetto possa assicurare il concorso della forza pubblica per gli sgomberi degli immobili occupati abusivamente, ferma restando la tutela delle famiglie in situazioni di disagio economico e sociale. Sul fronte della lotta alla droga, il decreto dà anche un nuovo potere ai questori: la possibilità di vietare l’accesso ad alcune zone, da uno a cinque anni, per gli spacciatori condannati definitivamente o in appello negli ultimi tre anni. Il questore di Firenze Alberto Intini è stato il primo a usare questo strumento, nei confronti di due cittadini stranieri, ai quali è stato inibito l’accesso alla zona di Piazza Santo Spirito. "Le norme potrebbero essere migliorate in due punti - osserva Intini -: intanto, la platea di chi può essere sottoposto a questa misura è limitata dalla necessità di una condanna definitiva o almeno in secondo grado. Inoltre, in caso di mancato rispetto del divieto, scatta la sanzione da 10mila a 40mila euro e la sospensione della patente da sei mesi a un anno. Spesso però - aggiunge il questore - gli spacciatori sono cittadini extracomunitari che non possono pagare la multa, né hanno la patente". Luigi Brugnaro, Sindaco di Venezia "in cella anche per i piccoli illeciti" di Valentina Maglione Il Sole 24 Ore, 24 aprile 2017 Il decreto legge Minniti "va nella strada giusta, ma bisogna fare di più". È netto Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia dal 2 luglio 2015, eletto con il sostegno delle forze di centrodestra. Quello della sicurezza per voi è un tema importante? Sì, io mi sono candidato anche per intervenire su questo fronte. La situazione era grave soprattutto a Mestre. E senza sicurezza non c’è sviluppo. In meno di due anni abbiamo già fatto molto, collaborando con tutte le forze dell’ordine, tanto che si è ripreso a investire: come fa la Pilkington, che produce vetri, e che ha deciso di riaprire a Marghera. Ora stiamo per aumentare le forze in campo: abbiamo bandito un concorso per reclutare (per un anno) 70 vigili sotto i 30 anni per aumentare il controllo delle strade. E venerdì abbiamo deliberato l’assunzione di 100 altri vigili per i mesi estivi, per quattro anni. Avete già usato il mini-Daspo e gli altri poteri previsti dal decreto Minniti? Non ancora, ma i nuovi poteri sono i benvenuti e stiamo valutando come utilizzarli. Pensiamo a un’ordinanza per limitare gli orari di vendita degli alcolici in aree definite della città, in particolare nel centro storico dove si concentrano i turisti. Bisogna però studiare bene il meccanismo per evitare che poi qualcuno faccia ricorso. Ma dovremmo poter fare di più contro ubriachi molesti, spacciatori e vandali. Cioè? A gennaio è stato presentato alla Camera un disegno di legge da Andrea Causin (atto 4244, ndr) che dà al giudice di pace penale il potere di trattenere, al massimo per dieci giorni, in camere di sicurezza della polizia giudiziaria chi commette un illecito che causa degrado. Penso al caso di un ragazzo che si ubriaca e diventa molesto. Ecco, va tolto dalla strada dove rischia ad esempio di provocare una rissa. Poi, dopo una notte in cella, potrebbe pagare una cauzione e uscire. Questo meccanismo garantirebbe l’esecuzione della sanzione senza appesantire il sistema giudiziario, perché resterebbe affidato ai giudici di pace, che possono anche essere mantenuti a spese del comune. Oggi la giustizia non dà gli strumenti per intervenire in queste situazioni? No, non si può fare niente. Anche per mandare a processo un borseggiatore servono prove molto pesanti. Chi viene fermato viene rimesso in libertà dopo poche ore. Invece, bisogna poter intervenire soprattutto per tutelare i più deboli: i ladri attaccano di più le porte di cartone dei poveri di quelle blindate dei ricchi. Antonio Decaro, Sindaco di Bari e Presidente dell’Anci "niente sceriffi ma azioni efficaci" di Bianca Lucia Mazzei Il Sole 24 Ore, 24 aprile 2017 "I cittadini chiedono risposte al sindaco, non al questore o al prefetto. E per intervenire servono strumenti efficaci". Antonio Decaro (Pd), presidente dell’Anci e sindaco di Bari è convinto dell’utilità dei nuovi poteri conferiti ai primi cittadini dal decreto sicurezza. Le nuove norme sono state accusate sia di non cambiare nulla che di creare "sindaci-sceriffi". Lei che ne pensa? Nessuno vuole fare lo sceriffo o governare le forze dell’ordine ma i nuovi poteri introdotti dal decreto permetteranno ai sindaci di dare risposte. Innanzitutto è molto importante che ora il sindaco possa sedersi a pieno titolo, al tavolo del Comitato provinciale dell’ordine pubblico e che gli sia stata riconosciuta la competenza in tema di sicurezza urbana. Sarà inoltre possibile varare ordinanze "ordinarie" e cioè non urgenti per il decoro urbano e la quiete pubblica. Non c’è il rischio che il Governo scarichi sui primi cittadini le sue responsabilità in tema di sicurezza? I sindaci hanno già questa responsabilità. Ora hanno anche le armi per farvi fronte. Si sarebbe potuto fare di più? Per i parcheggiatori abusivi avevamo chiesto l’introduzione di un reato ad hoc, che non c’è stata. Rientra però fra gli illeciti per i quali è previsto l’allontanamento e sono state aumentate le sanzioni. Avevamo anche chiesto che dopo il divieto di accesso di sei mesi da parte del questore scattasse la pena dell’arresto. In concreto cosa cambierà? Bisogna partire dal fatto che l’azione ordinaria è inefficace, soprattutto per lo spaccio di stupefacenti. L’allontanamento può essere invece un tentativo di ridurre questi atti illeciti in alcune zone della città. Stesso discorso per i parcheggiatori abusivi. La sanzione pecuniaria e il sequestro dei proventi dell’attività illecita non funzionano poiché i gruppi organizzati che gestiscono queste attività non solo si servono di nullatenenti ma "ritirano" costantemente gli incassi in modo che le forze dell’ordine possono sequestrare solo gli spiccioli. Come Sindaco di Bari in che modo ha intenzione di utilizzare i nuovi poteri? Stiamo individuando le zone in cui la polizia giudiziaria potrà effettuare gli allontanamenti. Partiremo da due piazze dove c’è spaccio di droga e vendita di prodotti contraffatti, più un’altra in cui invece il problema è l’estorsione da parcheggio abusivo. Stiamo anche preparando un’ordinanza per limitare gli orari di vendita degli alcolici in un locale di ritrovo di soggetti ubriachi e che scatenano risse. Prescrizione lunga, difesa da adeguare di Fabio Fiorentin Il Sole 24 Ore, 24 aprile 2017 Le nuove cause di sospensione e interruzione della prescrizione, previste dal disegno di legge di riforma approvato dal Senato e ora all’esame della commissione Giustizia della Camera (atto 4368), avranno effetti sulla strategia difensiva. Infatti, se il testo sarà approvato nella versione attuale, gli avvocati dovranno fare i conti con il possibile aumento dei tempi della prescrizione che, però, nei fatti, non sarà possibile valutare preventivamente. Ad ampliare i casi di sospensione della prescrizione è, in particolare, il comma 11 dell’articolo unico del maxi-emendamento approvato dal Senato con il voto di fiducia. La norma modifica l’articolo 159 del Codice penale, prevedendo nuove ipotesi di sospensione: - nei casi di deferimento della questione ad altro giudizio, sino a quando la questione deferita non venga decisa (si introduce l’espressa previsione di un termine finale, la cui mancanza nel testo attuale aveva originato dubbi applicativi); - nei casi di rogatorie all’estero, dalla data del provvedimento che dispone la rogatoria al giorno in cui l’autorità richiedente riceva la documentazione richiesta o, comunque, per un tempo massimo di sei mesi dal provvedimento che dispone la rogatoria (ritenuto probabilmente tale periodo un ragionevole punto di equilibrio tra le diverse esigenze). Con il nuovo comma 2 dell’articolo 159 del Codice penale sono inoltre introdotte due ulteriori ipotesi di sospensione della prescrizione, legate ai tempi di deposito delle motivazioni delle decisioni di primo e secondo grado e, pertanto, destinate a operare in rapporto, rispettivamente, al giudizio di appello e di Cassazione: - la prescrizione è sospesa dal termine previsto dall’articolo 544 del Codice di procedura penale per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di primo grado, anche se emessa in sede di rinvio, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza che definisce il grado successivo, per un tempo massimo di un anno e sei mesi (resta, quindi, salvo il caso in cui il giudice depositi le motivazioni in un tempo minore); - la prescrizione è analogamente sospesa dal termine previsto dall’articolo 544 del Codice di procedura penale per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di secondo grado, anche se emessa in sede di rinvio, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva, anche qui al massimo per un anno e sei mesi. La disciplina si applica solo nel caso di sentenze di condanna. I periodi di sospensione sono calcolati per determinare il tempo necessario a prescrivere dopo che la sentenza del grado successivo ha prosciolto l’imputato, o ha annullato la sentenza di condanna nella parte relativa all’accertamento della responsabilità o ne ha dichiarato la nullità in base all’articolo 604, commi 1, 4 e 5- bis del Codice di procedura penale. Se durante i termini di sospensione legati ai tempi di deposito delle motivazioni si verifica una sospensione per autorizzazione a procedere, deferimento ad altro giudizio, impedimento delle parti o dei difensori o rogatoria internazionale, i termini sono prolungati del periodo corrispondente. Sul fronte dell’interruzione, invece, il comma 12 del maxiemendamento stabilisce che la prescrizione si fermerà anche per l’interrogatorio della polizia giudiziaria delegata dal Pm. Attenzione però: se l’interruzione continuerà ad avere effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato, la sospensione impatterà solo sugli imputati per i quali si sta procedendo. Giustizia civile, Belpaese bocciato di Andrea Bonanni Affari e Finanza, 24 aprile 2017 Come può funzionare la giustizia in un Paese che ha la più alta concentrazione di avvocati in Europa (dopo il Lussemburgo) ed è tra quelli che hanno meno magistrati? Male, ovviamente. Non è un caso che l’Italia risulti agli ultimi posti nello "scoreboard", la pagella comparativa, sull’efficienza dei sistemi giudiziari civili pubblicato dalla Commissione europea. Rispetto ai principali Paesi europei, (Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Polonia, Olanda e Belgio) l’Italia risulta in coda praticamente in tutte le classifiche. Siamo ultimi per quanto riguarda il tempo impiegato a risolvere le cause civili e commerciali. Siamo ultimi per il tempo necessario a risolvere i contenziosi amministrativi. Ultimi per quanto riguarda il numero di cause civili pendenti. Ultimi, con la Francia, nella tutela giudiziale dei diritti dei consumatori. Ultimi (con la Spagna) in quella amministrativa. Ultimi nella lunghezza delle cause sul riciclaggio di denaro sporco. Siamo, con l’Austria, l’unico Paese che non preveda corsi obbligatori di formazione peri magistrati già in servizio e operativi. Siamo anche in coda alle classifiche per quanto riguarda il numero di magistrati che seguono corsi sul diritto comunitario o sul diritto di altri Stati dell’Ue. Con questi risultati, non stupisce che l’Italia finisca in coda (con la Spagna) anche nella classifica della percezione dell’efficienza e dell’indipendenza del sistema giudiziario sia da parte dell’opinione pubblica in generale sia parte della business community. Una percezione negativa che è, sia pure leggermente, in crescita negli ultimi anni, nonostante le prestazioni della giustizia italiana abbiano fatto registrare un leggero miglioramento. Del resto, sempre stando alle tabelle della Commissione, Bruxelles ha rilevato in Italia solo cinque casi di trasferimento di magistrati per motivi disciplinari e zero casi di licenziamento. In compenso, ma questo probabilmente fa parte del problema e non della soluzione, siamo il Paese con la più alta densità di avvocati rispetto al numero di abitanti, battuti soltanto dal piccolo Lussemburgo. Ne abbiamo 391 per ogni centomila abitanti. La Germania ne ha 200; il Belgio 163; l’Olanda 102; la Francia 93: meno di un quarto. Sono in molti a credere che questo eccesso di avvocati contribuisca all’affollamento dei tribunali civili e all’allungamento delle cause. Di sicuro non contribuisce a migliorare la competitività del Paese, di cui l’efficienza della giustizia civile è una componente fondamentale. Condizione carceraria: i parametri di computo dello spazio minimo vitale per il detenuto Il Sole 24 Ore, 24 aprile 2017 Ordinamento penitenziario - Detenzione carceraria - Diritti del detenuto - Condizione carceraria - Libertà di movimento - Parametri ai fini del computo dello spazio vitale. Ai fini del computo della superficie minima vitale per il detenuto, individuata in tre metri quadrati, lo spazio disponibile in cella deve essere inteso come "libero", deve, cioè, consentire il movimento del detenuto e l’esplicazione delle connesse funzioni strutturalmente legate allo spostamento dinamico della persona. Pertanto la presenza di arredi fissi, non facilmente rimuovibili attraverso operazioni semplici, fa sì che la superficie perda la sua connotazione inziale, per assumere quella di uno spazio occupato da arredi o altra oggettistica fissa. È ininfluente che si tratti di accessori, comunque, necessari a permettere lo svolgimento di attività che fanno parte della vita quotidiana. • Corte di cassazione, sezione I, sentenza 31 marzo 2017 n. 16418. Ordinamento penitenziario - Diritti del detenuto - Condizioni carcerarie - Spazio minimo - Computo - Criteri. La "quota" dei tre metri quadrati di spazio vitale è quella al di sotto del quale si verifica, secondo le linee interpretative esposte dalla Cedu: a) l’esistenza di per sé della violazione dei contenuti prescrittivi dell’articolo 3 Conv. Eur., senza possibilità di compensazioni derivanti dalla bontà della residua offerta di servizi o di spazi comuni esterni alla cella; b) la forte presunzione di trattamento inumano o degradante, compensabile - eventualmente - con la considerazione del tempo ristretto di permanenza in tale ambiente e con l’esistenza di una complessiva concorrenza di aspetti positivi del trattamento individuale (come una sufficiente attività di movimento e sufficienti attività svolte al di fuori delle celle). • Corte di cassazione, sezione I, sentenza 14 dicembre 2016 n. 52992. Ordinamento penitenziario - Diritti del detenuto - Detenzione in carcere - Cella collettiva - Spazio vitale per il detenuto - Parametri - Arredi fissi - Letto a castello - Computabilità. Per spazio minimo individuale in cella collettiva va intesa la superficie della camera detentiva fruibile dal singolo detenuto ed idonea al movimento, il che comporta la necessità di detrarre dalla complessiva superficie non solo Io spazio destinato ai servizi igienici e quello occupato dagli arredi fissi ma anche quello occupato dal letto. (Nel caso di specie i giudici supremi hanno ritenuto che anche il letto a castello debba essere considerato come un "ingombro" idoneo a restringere, per la sua quota di incidenza, lo "spazio vitale minimo" all’interno della cella, contrariamente a quanto era stato ritenuto nel provvedimento impugnato". • Corte di cassazione, sezione I, sentenza 13 dicembre 2016 n. 52819. Ordinamento penitenziario - Diritti del detenuto - Divieto di trattamenti inumati o degradanti - Articolo 3 Cedu - Spazio individuale minimo intramurario - Determinazione - Ingombro arredi - Computo. Ai fini della determinazione dello spazio individuale minimo intramurario, pari o superiore a tre metri quadrati da assicurare a ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall’articolo. 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, così come interpretato dalla conforme giurisprudenza della Corte EDU, dalla superficie lorda della cella deve essere detratta l’area occupata dagli arredi. • Corte di cassazione, sezione I, sentenza 5 febbraio 2014 n. 5729. Nullo il ribaltamento dell’assoluzione senza riascoltare i testi a difesa di Giuseppe Amato Il Sole 24 Ore, 24 aprile 2017 Corte di cassazione - Sezioni Unite penali - Sentenza 14 aprile 2017 n. 18620. È affetta da vizio di motivazione ex articolo 606, comma 1, lettera e), del Cpp, per mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", di cui all’articolo 533, comma 1, del Cpp, la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell’imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all’esito di un giudizio abbreviato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all’esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni. Lo ha previsto la Cassazione con la sentenza n. 18620 del 14 aprile scorso. Secondo i giudici penali ad analoga conclusione deve pervenirsi nel caso di riforma della sentenza assolutoria agli effetti civili, emessa all’esito di giudizio abbreviato, a seguito di accoglimento dell’appello proposto dalla parte civile. Il diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico - Le sezioni Unite ribadiscono, a seguito di talune incertezze giurisprudenziali che avevano seguito la precedente sentenza delle stesse sezioni Unite 28 aprile 2016, i principi ivi affermati, in forza dei quali, la previsione contenuta nell’articolo 6, par. 3, lettera d), della Cedu, relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte Edu - che costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne - implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all’esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, ai sensi dell’articolo 603, comma 3, del Cpp,a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado. In effetti, dopo la sentenza Dasgupta, alcune decisioni delle sezioni semplici (sezione III, 12 luglio 2016, C.) si erano espresse in senso critico, sostenendo che l’obbligo della rinnovazione istruttoria anche in sede di giudizio abbreviato d’appello non potesse dirsi sussistente, essendo frutto di un obiter dictum contenuto nella sentenza delle sezioni Unite, dedicata alla questione dell’obbligo di rinnovazione in caso di procedimento svoltosi con il rito ordinario, ed essendo in ogni caso non coerente con le specificità del rito abbreviato, essendo illogico obbligare il giudice di appello a ricondurre nei canoni propri di un giudizio dibattimentale il rito speciale attraverso un contatto diretto con la fonte della prova dichiarativa che il giudice di primo grado non aveva avuto per espressa scelta dello stesso imputato. Le sezioni Unite non condividono tale impostazione critica, valorizzando a supporto la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, criterio generalissimo nel processo penale, direttamente collegato al principio costituzionale della presunzione di innocenza. Per l’effetto, secondo la sentenza, proprio tale principio impone di rinnovare l’assunzione della prova dichiarativa, pur in presenza di un giudizio abbreviato, perché il ribaltamento della pronuncia assolutoria, operato sulla scorta solo di una valutazione cartolare del materiale probatorio a disposizione del primo giudice, finirebbe con il contenere in sé l’implicito dubbio ragionevole sulla colpevolezza, imponendosi, al contrario, proprio per potere pronunciare una condanna al di là di ogni ragionevole dubbio, la diretta escussione delle persone che hanno reso le dichiarazioni ritenute a tal fine decisive. Gratuito patrocinio delimitato. La materia non può essere di competenza regionale di Maria Domanico Italia Oggi, 24 aprile 2017 Dalla Consulta alla Cassazione, molte le recenti sentenze intervenute sul tema. Delimitato il perimetro del gratuito patrocinio: non è materia di competenza regionale, il provvedimento di ammissione deve essere ratificato e, in caso di diniego, anche l’avvocato può opporsi impugnando il provvedimento. Tre sentenze (Corte costituzionale e Cassazione) chiariscono un istituto sempre più praticato nelle aule di tribunale e quindi di grande attualità per l’avvocato. Non compete alle regioni il gratuito patrocinio - La Corte costituzionale (sentenza del 13 aprile 2017, n. 81) si è espressa su un caso in cui il presidente del consiglio dei ministri aveva promosso questione di legittimità costituzionale di alcuni articoli della legge della Regione Veneto (23 febbraio 2016, n. 7). Tali articoli riguardavano l’istituzione del "Fondo regionale per il patrocinio legale gratuito a sostegno dei cittadini veneti colpiti dalla criminalità", destinato ad assicurare il patrocinio a spese della Regione nei procedimenti penali per la difesa dei cittadini residenti in Veneto da almeno 15 anni che, vittime di un delitto contro il patrimonio o contro la persona, siano stati accusati di eccesso colposo di legittima difesa o di omicidio colposo per aver tentato di difendere se stessi, la propria attività, la famiglia o i beni, da un pericolo attuale di un’offesa ingiusta. Secondo la parte ricorrente sarebbe, inoltre, stato leso l’art. 3 Cost., in quanto la previsione del patrocinio a spese della Regione in favore dei soli cittadini residenti nella stessa da almeno 15 anni costituirebbe un "criterio del tutto arbitrario di selezione dei destinatari" del beneficio. I giudici costituzionali hanno, quindi, evidenziato che il patrocinio non può essere di competenza regionale. Per il gratuito patrocinio occorre la ratifica - Sarebbe illegittimo, se non accompagnato da ratifica, il provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio a spese dello stato, e il contributo unificato sarà dovuto solo dopo tale ratifica che dovrà avvenire per mano dell’organo competente. È quanto hanno affermato i giudici della Cassazione con una recente ordinanza (sez. VI civile - 3, 12 aprile 2017, n. 9538). Nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici di piazza Cavour il Tribunale aveva ritenuto l’illegittimità del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello stato in quanto emesso dal presidente del consiglio dell’Ordine forense e in mancanza di una ratifica dell’organo collegiale competente. Anche l’avvocato può impugnare il diniego al gratuito patrocinio - E, infine, sempre la Cassazione si è espressa circa l’impugnazione del rigetto dell’ammissione al gratuito patrocinio, affermando che anche l’avvocato potrà impugnare il diniego. Già le Sezioni unite penali, con sentenza n. 30181 del 2004, dopo aver esaminato le caratteristiche e le finalità della normativa relativa al patrocinio dei non abbienti a carico dello stato (normativa introdotta dalla legge 30/7/1990 n. 217, modificata ampiamente dalla legge 29/3/2001 n. 134, e poi inserita nel T.u. di cui al dpr 30/5/2002 n. 115), confermando l’impostazione di propria precedente sentenza, hanno ritenuto che gli elementi di specialità, caratterizzanti il procedimento per l’ammissione al patrocinio a carico dello stato, consentono "di qualificare quest’ultimo come un procedimento collaterale e secondario rispetto al rapporto processuale penale principale, di cui è indiscutibilmente una procedura accessoria, intesa a garantire la difesa del soggetto nel giudizio penale di cognizione ordinaria. Dal che discende che tale sub-procedimento va necessariamente coordinato, per le fasi non specificamente disciplinate, con le disposizioni generali previste dall’ordinamento per il procedimento principale con il quale si trova in rapporto di incidentalità, e cioè con la disciplina del processo penale di cui agli artt. 568 e segg. cpp". Le Sezioni unite hanno quindi affermato che: "La posizione processuale del difensore dell’imputato - nel caso in cui questi abbia fatto istanza per il patrocinio in favore dei meno abbienti - deve regolamentarsi in base ai principi desumibili dal combinato disposto di cui agli artt. 99-571, 3° comma, 613 cod. proc. pen. In altre parole, deve riconoscersi, anche in relazione al procedimento per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, una titolarità di impugnazione autonoma e parallela, rispetto a quella attribuita all’imputato, in favore del difensore di quest’ultimo, esercitabile in sede di reclamo ex art. 99,1° comma Tu. dpr n. 115/2002 e di presentazione di ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza di rigetto del reclamo (ex art. 99, 4° comma)". Secondo i giudici di piazza Cavour il suddetto principio continua ad essere valido anche a seguito dell’entrata in vigore del dlgs n. 150/2011, recante disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione. Invero, l’art. 14 di detto decreto non ha modificato l’art. 99 del dpr n. 115/2002 (che indica, quale procedimento da applicare, quello speciale per gli onorari di avvocato) e neppure ha modificato le disposizioni di cui agli artt. 99 e 571, comma 3 cpp, ma si è limitato ad estendere l’applicazione del rito sommario di cognizione alle controversie previste dall’art. 28 della legge n. 794/1942 (sia pure con alcuni limiti, che qui non rilevano). Dunque, anche a seguito dell’entrata in vigore del dlgs n. 150/2011, il difensore penale deve ritenersi legittimato a proporre autonomamente, per conto del proprio assistito, il ricorso/reclamo previsto dall’art. 99 del dpr n. 115/2002. Per il trasferimento fraudolento di valori basta l’attribuzione fittizia ad altri di Giuseppe Amato Il Sole 24 Ore, 24 aprile 2017 Corte di cassazione - Sezione I penale - Sentenza 6 aprile 2017 n. 17546. l reato di trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori (previsto dall’articolo 12-quinquies del decreto legge 8 giugno 1992 n. 306, convertito dalla legge 7 agosto 1992 n. 356) integra una fattispecie a concorso necessario caratterizzata dalla necessità del dolo specifico, che può essere commessa anche da chi non sia ancora sottoposto a misura di prevenzione e ancora prima che il relativo procedimento sia iniziato. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 17546 del 6 aprile 2017. La configurabilità del reato - Per la sua configurabilità è sufficiente quindi l’attribuzione fittizia ad altri della titolarità o della disponibilità di denaro, beni o altre utilità, da intendersi in un’accezione ampia, che rinvia non solo alle forme negoziali tradizionalmente intese, ma a qualsiasi tipologia di atto idonea a creare un apparente rapporto di signoria tra un determinato soggetto e il bene, rispetto al quale permanga intatto il potere di colui che effettua l’attribuzione patrimoniale, per conto e nell’interesse del quale essa è operata, e che può legittimamente includere, perciò, anche un’azienda, un’attività imprenditoriale o una società, e ciò con riferimento tanto al momento iniziale dell’impresa quanto a una fase successiva, allorquando in una società sorta in modo lecito si inserisca un socio occulto, che avvalendosi dell’interposizione fittizia persegua le finalità illecite previste dalla norma incriminatrice. L’attribuzione fittizia della titolarità - Come è noto, il reato previsto dall’articolo 12-quinquies, comma 1, del decreto legge 8 giugno 1992 n. 306, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992 n. 356, è una fattispecie a forma libera, che si concretizza nell’attribuzione fittizia della titolarità o della disponibilità di denaro, beni o altra utilità, realizzata in qualsiasi forma al fine di eludere misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando ovvero per agevolare la commissione di delitti di ricettazione, riciclaggio o reimpiego di beni di provenienza illecita, con la precisazione che l’espressione attribuzione ha una valenza ampia che rinvia non soltanto alle forme negoziali tradizionalmente intese, ma a qualsiasi tipologia di atti idonea a creare un apparente rapporto di signoria tra un determinato soggetto e il denaro, i beni o le altre utilità rispetto alle quali, però, rimane intatto il potere di colui che effettua l’attribuzione o per conto o nell’interesse del quale l’attribuzione è operata. (sezione I, 10 luglio 2007, Brusca e altri; nonché, sezione I, 26 aprile 2007, Di Cataldo). La condotta di attribuzione, finalizzata a creare una situazione di apparenza giuridica e formale della titolarità e della disponibilità dei beni, del denaro o delle altre utilità non corrispondente alla realtà, presuppone comunque, a tal fine, che il soggetto che procede all’attribuzione stessa, o nell’interesse del quale la medesima è effettuata, sia il reale dominus, che ricorre ad atti od operazioni simulate per sottrarsi a eventuali provvedimenti ablativi previsti dalla legislazione in tema di misure di prevenzione patrimoniali o per agevolare la commissione di reati connessi alla circolazione di mezzi economici di provenienza illecita. Da ciò deriva che per la configurabilità del reato è necessario accertare l’esatta identità del reale intestatario dei beni, perché solo in tal modo è possibile apprezzare la fittizietà dell’attribuzione, da cui può farsi discendere l’addebito concorsuale a carico sia dell’intestatario reale che di quello fittizio (sezione II, sentenza 15 marzo 2013, Morra e altro). Assolutamente pacifico, poi, è l’assunto secondo cui il dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice, consistente (fra l’altro) nel fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione, può sussistere non solo quando sia già in atto la procedura di prevenzione, ma anche prima che la procedura sia intrapresa, quando l’interessato possa fondatamente presumerne imminente l’inizio (ancora, sezione I, 26 aprile 2007, Di Cataldo). Roma: a 80 anni in carcere per furto di biciclette, cade in infermeria e muore Corriere della Sera, 24 aprile 2017 Qualche anno fa era addirittura diventato un esempio per la statistica. L’anziano diventato povero che ruba per necessità. "Perché vivo con soli 280 euro di pensione", aveva spiegato allora ai carabinieri Francesco Cameriere quando lo avevano arrestato per la terza volta in poco più di un mese, sempre per lo stesso reato: furto di biciclette. Ma lui faceva anche altro, come frugare nei bauletti degli scooter, fra Prati e Flaminio. "Non riesco a fermarmi, è più forte di me", si era giustificato ancora, dicendo di essere "più un compulsivo che un ladro", prima di finire in caserma, poi davanti al gip e infine di essere rimesso in libertà con l’obbligo di firma. Fino a un anno fa Cameriere, ormai ottantenne, di provvedimenti come questi ne aveva collezionati parecchi. Era il ladro di bici più famoso di Roma, ma da un anno anche l’unico di quell’età rimasto dietro le sbarre, per cumulo pene. Ma a Regina Coeli Cameriere non tornerà più: è morto ieri mattina al San Camillo per le conseguenze di una brutta caduta nel reparto infermeria del carcere, avvenuta nel pomeriggio di sabato. Le condizioni dell’anziano recluso sono apparse subito preoccupanti ed è stato disposto il suo trasferimento in ospedale. Ma non è bastato. E così dopo il suicidio annunciato del giovane Valerio, che invece sarebbe dovuto stare in una Rems per reclusi con problemi psicologici, adesso il carcere sul lungotevere - con un sovraffollamento di 287 detenuti (909 invece di 622) - è scosso da questo nuovo caso. Con Massimo Costantino, segretario generale aggiunto della Cisl Fns Lazio, che sottolinea come servano "misure diverse per detenuti che hanno una certa età che, compatibilmente alla gravità del reato, dovrebbero espletare la loro pena in altre strutture e certo non penitenziarie". Napoli: detenuto 52enne muore nel carcere di Secondigliano, disposta l’autopsia di Ciro Formisano metropolisweb.it, 24 aprile 2017 Sarebbe uscito dal carcere tra qualche settimana, dopo aver espiato una condanna a 9 anni di reclusione. E invece Ciro D’Alessio - pregiudicato di 52 anni di Portici - non tornerà più a casa. È morto la scorsa notte nel carcere di Secondigliano, stroncato da un arresto cardiaco. È morto in circostanze che i familiari definiscono "misteriose". Al punto che i parenti hanno nominato un perito di parte che assisterà all’autopsia sul corpo di D’Alessio. Obiettivo: sapere se in questi mesi è stato fatto tutto il possibile per evitare la morte del 52enne di Portici. D’Alessio era in carcere dal 2008 perché coinvolto nel blitz "San Ciro", l’inchiesta dell’Antimafia che azzerò la cosca fondata dal padrino Luigi Vollaro. Condannato in primo grado a 10 anni di carcere la pena fu ridotta a 9 anni in appello. Una condanna che D’Alessio avrebbe finito di scontare il 21 giugno del 2017, tra meno di un mese. "Ho sentito mio fratello per l’ultima volta martedì scorso - le parole di Salvatore D’Alessio - Mi ha detto: "Sto bene non vi preoccupate". Ha avuto dei problemi cardiaci in questi anni in carcere. Problemi che lo hanno costretto a sottoporsi ad accertamenti e cure mediche continue in tutti i penitenziari nei quali era recluso, da Lanciano a Bari. Recentemente è stato visitato anche all’ospedale "Monaldi" di Napoli ed è stato sottoposto ad una coronografia al "Loreto Mare". I medici ci hanno detto che si sarebbe dovuto sottoporre a un intervento chirurgico per un by-pass coronarico. Ma al "Monaldi" non era possibile perché l’ospedale non era attrezzato per ospitare un detenuto". Trasferito da circa 10 mesi al carcere di Secondigliano dopo un periodo di detenzione a Bari, da circa 2 anni D’Alessio avrebbe avuto quindi problemi cardiaci. Problemi che spinsero il responsabile del carcere di Lanciano ad allertare l’avvocato Giuseppe Perna per porre l’accento sulle condizioni di salute di D’Alessio. "Abbiamo presentato un’istanza per ottenere gli arresti domiciliari quando Ciro si trovava a Bari - racconta il fratello del detenuto - volevamo che fosse libero di curarsi serenamente. Ma la richiesta non è stata accolta ed è rimasto in carcere dove è morto". Nei mesi scorsi D’Alessio si era sottoposto ad altre analisi. Analisi che avrebbero confermato - come ripetuto dai parenti - la necessità dell’intervento chirurgico a cuore aperto. "Siamo venuti a sapere che mio fratello era morto dalla moglie del suo vicino di stanza - le parole di Salvatore D’Alessio - Poi abbiamo chiamato in carcere e ci hanno confermato la notizia. Non vogliamo attaccare nessuno, vogliamo solo sapere se è stato fatto tutto quello che si poteva fare per salvare mio fratello. Se in carcere è stato curato come doveva essere". Dubbi che hanno spinto l’avvocato Perna a incontrare, ieri mattina, il direttore del carcere di Secondigliano prima di decidere per la nomina di un perito di parte chiamato ad assistere all’autopsia disposta dal pubblico ministero. "Analizzeremo i dati dell’autopsia e studieremo nei dettagli la cartella clinica di D’Alessio - le parole di Giuseppe Perna - Vogliamo accertare con chiarezza le cause del decesso per poi valutare il da farsi". L’esame autoptico verrà eseguito la prossima settimana ed entro giovedì la salma dell’uomo potrebbe essere liberata per i funerali. Velletri (Rm): tentativo di suicidio in carcere, detenuto ricoverato in coma latinaoggi.eu, 24 aprile 2017 Un 55enne trovato impiccato con le lenzuola all’interno del bagno. Il sindacato Ugl Penitenziaria lancia l’allarme. Ennesimo tentativo di suicidio all’interno del carcere di Velletri. Questa mattina un detenuto di 55anni, arrestato cinque giorni fa per stalking, è stato trovato impiccato all’interno del bagno della propria cella ed è ora ricoverato in stato di coma. Il sindacalista Carmine Olanda dell’Ugl Polizia Penitenziaria, pochi giorni fa, aveva denunciato la crescita degli eventi critici in tutti gli istituti penitenziari. La scorsa settimana un detenuto italiano di 50 anni, a Velletri, si era abbandonato a gesti di autolesionismo, tagliandosi le vene delle braccia e della caviglie. Questa mattina, intorno alle 7, il tentativo di suicidio nel reparto di prima accoglienza. Grazie al tempestivo intervento dell’ agente responsabile della sezione e del personale sanitario del carcere è stato possibile, in un primo momento, rianimare il detenuto e successivamente trasportarlo d’ urgenza con l’eliambulanza presso l’ospedale di Tor Vergata, a Roma. Il 55enne, di nazionalità italiana, che ha cercato di impiccarsi annodando le lenzuola, versa ora in gravi condizioni. Non si conoscono ancora i motivi che hanno indotto il detenuto a compiere l’insano gesto, commenta Olanda, ma sembrerebbe che il 55enne, al suo ingresso in carcere, già manifestasse qualche problema di natura psicologica. "Come sindacato - sostiene Olanda - stiamo notando una forte crescita di autolesionismo in tutti gli istituti penitenziari. Questo dato ci conferma sempre più che il sistema di trattamento, osservazione, educativo e di inserimento del condannato non funziona a regime. Servono assunzioni - continua - di agenti e di figure professionali come psicologi-psichiatri ed educatori. Nel caso del penitenziario di Velletri la polizia penitenziaria è fortemente sotto organico con l’aggravante che la Asl RM6 di Albano Laziale continua a sottovalutare la carenza di personale medico e paramedico ed il personale attualmente in servizio lotta continuamente con il contratto di lavoro instabile con la stessa Azienda sanitaria. Occorre immediatamente - conclude il sindacalista - mettere in funzione il nuovo repartino psichiatrico del carcere di Velletri con il personale sanitario adeguato, non possiamo più tollerare che i detenuti che hanno problemi psichiatrici vengono scaricati alla gestione dagli agenti con disposizioni di servizio di grande, grandissima sorveglianza o sorveglianza a vista. I responsabili della Asl RM6 di Albano Laziale devono smetterla di fare il gioco delle tre carte cercando di tergiversare più possibile sulla problematica. Il responsabile sanitario del carcere di Velletri si deve prendere le sue responsabilità sulla gestione dei detenuti psichiatrici, perché oltre ad essere retribuita adeguatamente per questo tipo di servizio sono stati spesi anche dei soldi pubblici per adeguare la struttura penitenziaria. Per quanto esposto, chiediamo a tutte le autorità competenti di sollecitare con forza la Asl RM6 di Albano Laziale al fine di garantire il servizio sanitario a 360 gradi e di inviare al più presto possibile nuovo personale di polizia penitenziaria. Ci complimentiamo con gli agenti e con il personale sanitario di Velletri che ancora una volta hanno dimostrato grande capacità d’ intervento". Bolzano: carcere senza medici, scattano le precettazioni di Silvia Fabbi Corriere dell’Alto Adige, 24 aprile 2017 Il nodo bilinguismo crea problemi anche in via Dante. Tait: "Situazione già risolta". Si ripercuote anche sul carcere di Bolzano e sullo standard di sicurezza interna la drammatica carenza di personale dell’azienda sanitaria provinciale. Dopo un periodo durante il quale era rimasta a prestare servizio solo il medico incaricato Maria Elisa Bigarelli, capo dello staff sanitario del carcere, la situazione sembra ora sanata. "Ci sono volute diverse riunioni ma alla fine fortunatamente abbiamo trovato la soluzione. Lo staff medico è ora composto da quattro sanitari dei quali due sono stati precettati - secondo il nuovo regime approvato nei mesi scorsi e ratificato dalla giunta provinciale - e due hanno deciso autonomamente di accettare - dopo lunghe insistenze e trattative - il contratto a tempo determinato che veniva loro offerto. Intanto l’azienda sanitaria ha pubblicato anche un bando con scadenza al 5 maggio prossimo con l’obiettivo di coprire in modo stabile gli organici sanitari del carcere bolzanino. Il bando non richiede al medico il possesso del patentino di bilinguismo, secondo le nuove linee approvate in materia. "Alla luce di quella selezione verranno stilate delle graduatorie che consentiranno di poter attingere a personale preparato e in possesso delle qualifiche professionali necessarie" chiarisce Bigarelli, che se da un lato tira un sospiro di sollievo per la risoluzione del problema contingente delle scoperture di organico, dall’altro vede lo spetto ripresentarsi "a settembre quando i contratti dei colleghi scadranno". A chiedere una maggiore stabilità del personale sanitario del carcere è però anche il corpo delle guardie penitenziarie, alle prese con le ricadute delle scoperture di organico di medici e infermieri. "Nelle settimane in cui i medici non avevano ancora firmato il nuovo contratto ci siamo trovati alcune notti a dover portare al pronto soccorso un detenuto che stava male. Il problema è che, essendo noi in quattro con 70 detenuti durante il turno di notte, ci trovavamo con due persone fuori e solo altre due a garantire la sicurezza dell’intero carcere" è la denuncia di Franco Fato, referente sindacale Uil per gli agenti di custodia in servizio nel carcere di via Dante. "Gli altri istituti penitenziari italiani non soffrono di questi problemi perché qui le regole per il reclutamento del personale sono diverse" precisa Fato, mettendo il dito nella piaga. "Il problema delle scoperture di organico si è presentato nelle scorse settimane, ma nel frattempo è stato risolto grazie ai nuovi istituti previsti da azienda sanitaria e Provincia" spiega il direttore del comprensorio di Bolzano Umberto Tait, sotto la cui competenza ricade anche lo staff medico del carcere di Bolzano. Anche il direttore generale dell’azienda sanitaria Thomas Schael getta acqua sul fuoco: "Nel prossimo mese di giugno scadono i concorsi che abbiamo bandito per la ricerca di personale medico anche non in possesso del patentino di bilinguismo". Il direttore dell’azienda sanitaria tiene comunque a precisare che "il servizio sanitario verrà comunque in ogni caso garantito in tutte le sue declinazioni, finché entro la fine dell’anno non avremo - così le nostre previsioni - rimpolpato l’intero organico specialmente in relazione alle branche carenti". Palermo: "Il carcere è ancora l’unica detéstable solution?", seminario a Giurisprudenza palermotoday.it, 24 aprile 2017 Giovedì 4 maggio, la facoltà di Giurisprudenza ospita l’incontro, organizzato dalla Comunità Exodos e dalla Fondazione Humanum, "Il carcere è ancora l’unica detéstable solution?". Micheal Foucoult, nella sua opera "Sorvegliare e punire", riferendosi al carcere come possibile risposta al reato, ne riconosce il valore di unica soluzione seppur detestabile. L’incontro intende esplorare il mondo delle carceri e, individuandone criticità, così come i profili che in alcune ipotesi ne rendono irrinunciabile il ricorso, mira a valutare se oggi la soluzione del filosofo francese sia ancora l’unica e detestabile risposta al reato. A questo quesito, che si inserisce in un momento storico molto delicato, in particolare per gli allarmanti numeri del sovraffollamento carcerario e il sempre più crescente fenomeno dei suicidi in carcere, risponderanno Rita Bernardini, esponente di spicco del Partito Radicale, e da sempre a fianco dei detenuti, nonché Ann Powe-Forde, giudice della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, la quale ha elaborato il "Diritto alla Speranza" per limitare il ricorso all’ergastolo sulla base della convinzione che si tratti, nei casi di maggiore rigidità nella sua esecuzione, di una pena che rischia di confliggere con la Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, traducendosi così in un trattamento disumano e degradante. Interverranno anche i Professori Manfredi Parodi Giusino e Francesco Viola, e apprezzati saranno anche gli apporti offerti dal pubblico che vorrà intervenire. Il seminario si inserisce all’interno del fortunatissimo ciclo di incontri sul Nuovo Umanesimo inaugurato all’inizio di quest’anno dalla Comunità Exodus di Palermo, che con i suoi giovani componenti è da tempo impegnata sia sul piano culturale che in quello dell’aiuto ai migranti (offrendo loro opportunità di studio e relazioni umane) in un’opera di risveglio umano e sociale. Augusta (Sr): "Spes contra spem, liberi dentro"; non avere speranza, ma essere speranza di Lucia Brischetto sicilianetwork.info, 24 aprile 2017 È stato davvero un pomeriggio particolare: dopo la proiezione del docu-film e le dichiarazioni dei detenuti, nell’ampio salone dell’Istituto, c’è stato anche il dibattito con i reclusi dell’ "alta sicurezza" e con tutti i presenti invitati all’evento. "Spes contra spem" è stato l’ultimo messaggio dello straordinario uomo politico Marco Pannella " il quale ci continua a dire dopo averci lasciato che non basta "avere speranza", bisogna "essere speranza", cioè protagonisti dell’azione e del cambiamento. E i detenuti dell’Istituto penitenziario di Agusta sono stati davvero i protagonisti dell’evento. Sono stati "la speranza contro ogni speranza, "Spes contra spem, liberi dentro". Del resto, una società può dirsi veramente civile solo quando le persone credono e professano i valori fondamentali che appartengono all’esistenza dell’uomo e quando viene loro consentita la pacifica e gradevole convivenza in stato di uguaglianza e di pari opportunità fra tutti gli uomini di quel Paese. E di questo concetto tutti i detenuti dell’Istituto sono consapevoli e pronti ad operare in tal senso. Infatti, molti di loro sono pedagogicamente intervenuti al dibattito che si è sviluppato dopo la visione del filmato " Spes contra spem, liberi dentro". Al prestigioso evento penitenziario erano presenti oltre a tutto lo straordinario e laborioso personale pedagogico dell’Istituto con a capo il direttore Antonio Gelardi, la vice direttrice del Penitenziario, la dirigente Emilia Spucches, Cesira Rinaldi, gli ospiti Giammarco Ciccarelli segretario del Partito Radicale di Catania, Sergio D’Elia, Maria Brucale, il docente di Diritto penale Salvatore Aleo, l’avvocato Luca Mirone della Camera penale di Catania, la dottoressa Elisabetta Zamparutti, la psicoterapeuta Simona Macaudo. Tutti i presenti, ma soprattutto i detenuti, erano entusiasti nel dichiarare la propria condivisione pedagogica all’evento ed hanno affrontato magistralmente la "conversazione" sulla questione atavica del carcere e della libertà. Si è discusso a lungo sulla depenalizzazione, sull’affollamento degli Istituti penitenziari in Italia, sulla limitazione della custodia cautelare in carcere e sul potenziamento oltre che delle misure alternative alla detenzione, sulla riforma del Codice penale e Penitenziario di cui si parla da oltre venti anni e non si è ancora realizzato nulla. Infatti al contrario di alcuni Paesi europei, in Italia, non si è ancora avuta la depenalizzazione di alcuni reati, la limitazione della custodia cautelare in carcere, il potenziamento delle misure alternative alla detenzione, la civiltà della detenzione. Il docu-fim basato soprattutto sull’ergastolo ostativo "Fine pena mai" fa vivere ai detenuti il carcere non più per "scontare" la pena e quindi avere la possibilità di una risocializzazione all’esterno tramite le misure alternative alla detenzione come stabilito dall’ordinamento penitenziario ottenendo il ricongiungimento con i propri familiari, ma come una vera e propria "pena di morte che scontano da vivi", un ergastolo ostativo che non consente di avere dei benefici quali i permessi premio, la semilibertà, l’affidamento in prova al servizio sociale, la liberazione condizionale. Durante il lungo pomeriggio si è potuto constatare che all’interno dell’Istituto esiste un rapporto positivo e pedagogico tra tutto il personale e i detenuti e che questo ha già portato e continuerà a portare buoni frutti sia ai detenuti che all’istituzione. Presto così come lei stessa ha dichiarato tornerà ad Augusta l’on. Rita Bernardini per continuare il dibattito con i detenuti. Locri (Rc): detenuti bravi attori con la regia di Pino Carella di Mario Nirta La Riviera, 24 aprile 2017 Ancora una volta è la Locride sana, la Locride colta, la Locride che lavora, la Locride migliore, insomma, che torna a farsi viva col volto rassicurante ed abbastanza noto del regista teatrale ed autore di splendidi programmi televisivi Pino Carella. Stavolta la sua dedizione al volontariato l’ha realizzata con un progetto iniziato nel mese di gennaio nel quale ha impegnato 28 detenuti della casa circondariale di Locri trasformandoli in attori veramente bravi, attraverso un laboratorio teatrale molto impegnativo perché il testo affrontato non era dei più semplici. Ed in fondo è un bene perché tanto più il testo è difficile e tanto più Pino l’affronta come una sfida, impegnandosi a fondo e diventando nel suo lavoro uno spettacolo nello spettacolo. Con voce a volte imperiosa ed altre suadente, per trarre il meglio da ogni attore si cala in tutti i ruoli, tanto da far pensare che se avesse le tette interpreterebbe persino la Madonna, la Maddalena e le pie donne e tutte in una volta. Ma alla fine il gioco vale non solo la fatidica candela, ma addirittura tutto un candelabro. Stavolta l’impegno era davvero arduo perché si trattava, nientemeno, che de "Il riscatto di Adamo nella morte di Gesù Cristo" di Filippo Orioles, un palermitano di chiara origine spagnola ed autore di numerose opere, che con questo dramma, totalmente aderente ai Vangeli, si guadagnò la simpatia della Chiesa e del pubblico siciliano al punto che la sua opera è ancora recitata in vari paesi durante la Settimana Santa. Riadattato da Pino, nel dramma riecheggiano spesso i medioevali temi di Jacopone da Todi, e predomina il tono lugubre tipico degli spagnoli che si esalta nella Passione del Cristo. Ed è soprattutto nella mentalità del "hidalgo" - della quale l’Orioles sembra impregnato sino al midollo - pronto sempre all’estremo sacrificio per le cause buone, che ritroviamo la figura del Cristo talmente buono da voler riscattare con la sua morte tutta l’umanità, Adamo in testa, dal peccato originale. Il coinvolgente dramma, che comincia con l’ultimo incontro prima della morte tra il Cristo e la madre passando per l’ultima cena, l’orto del Getzemani, il giudizio di Pilato, la crocefissione, la deposizione e il pianto di Maria, è arrivato a Roccella Jonica, in italiano antico, attraverso un manoscritto denominato Opera Sacra del 1877, ed è noto a molti roccellesi. E se è di per sé valido già all’origine, si sublima addirittura quando ad interpretare il ruolo di Maria madre del Cristo, Pino chiama sua sorella Elisa talentuosa attrice Atrj che ha interagito con gli attori detenuti. Ho avuto il privilegio di ascoltare questa straordinaria attrice teatrale nell’interpretazione del pianto della Madonna di Jacopone da Todi aggiunto da Pino Carella al copione. Ed è da brivido. Con una voce angosciata che pare uscire non dalla bocca ma dai recessi più profondi di un cuore straziato, il pianto di Elisa travalica i tempi ed i luoghi e ci porta laggiù, mentre imperversa il più furioso dei temporali, ai piedi del Golgota. Si sbiadiscono i contorni, spariscono i vari personaggi, pie donne comprese, che fanno corona alla Passione, e in un fandango di lampi e tuoni restano solo il Cristo ed Elisa nel ruolo della Vergine ed i suoi singulti a rendere ancora più grande, ancora più atroce il già immenso e terrificante crimine dell’umanità. Notevole anche la colonna sonora realizzata con i testi della tradizione popolare siciliana tradotti in calabrese dallo stesso Carella e cantati da Manuela Cricelli e da Cosimo Papandrea che è anche l’autore delle musiche. Al termine della riuscitissima, e per molti aspetti, commovente rappresentazione, i bravi attori detenuti hanno voluto regalare a Pino Carella un crocefisso in ferro battuto forgiato da loro stessi. Non potevano fare un regalo migliore a Pino che commosso l’ha fatto benedire subito da un sacerdote del suo paese. E che Dio, oltre al Crocefisso e Pino, una volta che si trova benedicendo, benedica anche noi. Mantova: con "Dive... al fresco" il teatro fa tappa in carcere Gazzetta di Mantova, 24 aprile 2017 Il 7 maggio show con Madame Sisi e in futuro un progetto che vedrà i detenuti protagonisti sul palco. Madame Sisi in carcere: l’idea di uno spettacolo di Drag Queen per i detenuti, che potranno assistervi insieme al pubblico dei mantovani è l’ultima idea di Annalisa Venturini e della sua associazione Arte dell’assurdo. Si terrà il 7 maggio alle 16.15 nella casa circondariale di via Poma e per assistervi bisogna soltanto contattare l’artista, farle avere la fotocopia della carte di identità, in modo che la direzione del carcere possa fare i controlli di rito. Mail: annalisaventurini@gmail.com. Il 26 aprile in una conferenza stampa verranno diffusi i dettagli dell’iniziativa. Sarà sicuramente uno spettacolo divertente e trasgressivo, perché Madame Sisi nel suo genere è una maestra e porterà altre Drag queen con trucchi e parrucchi. Intanto è in corso l’allestimento di uno spettacolo teatrale in carcere, con i detenuti protagonisti. Ma, visto che Famille de la rue è stato annullato, Annalisa Venturini si è dedicata di più al carcere. Ha contattato Carlo Tessari, in arte Madame Sisi, che è andato a vedere il teatro interno del carcere e si è detto entusiasta. Lo spettacolo si chiamerà "Dive… al fresco". Annalisa Venturini spiega di aver trovato grande sostegno da parte della direttrice e dello psicologo della casa circondariale Rossella Padula e Carlo Alberto Aitini. L’associazione Arte dell’assurdo ha iniziato un volontariato in via Poma pensando che i detenuti fano parte della comunità cittadina anche se non li vediamo. Per iniziare tre conferenze di Riccardo Braglia sui Gonzaga e la storia di Mantova, che sono state apprezzate. Poi l’idea di allestire uno spettacolo, con tanto di casting e provini esaminati da uno studio specializzato di Milano che ha scelto i protagonisti, gli altri detenuti avranno il ruolo di attori sostituti. "Per i detenuti, autori di reati - osserva Annalisa Venturini - la pratica teatrale offre uno strumento per avvicinarsi a possibili diverse modalità di vivere le emozioni umane. Ne abbiamo parlato con la direttrice e lo psicologo". E il 31 dicembre, l’ultimo giorno dell’anno di Mantova Capitale, in carcere si è tenuto il Cenone al fresco, per 180 detenuti, tenendo conto delle diverse religioni, con cous cous, pesce, e tante torte salate e dolci preparate dalle signore mantovane. "Moltissimi negozi ci hanno aiutato". Brindisi: "Il Vangelo dietro le sbarre": presentato il libro di Antonio spagnoli di Anna Consales brindisitime.it, 24 aprile 2017 Presso l’ex Convento di Santa Chiara, Brindisi, il prof. Antonio Spagnoli ha presentato il suo libro: "Il Vangelo dietro le sbarre", un’esperienza di annuncio in carcere. A dialogare con l’autore, Francesca De Pasquale, Presidente Azione Cattolica, Paola Bacca, incaricata diocesana Ave, don Nino Lanzillotto, Cappellano del Carcere di Brindisi e Tonino Bova, volontario presso il Carcere di Brindisi. Molto interessante l’intervento di don Nino Lanzillotto che ha focalizzato l’attenzione sulla realtà della casa circondariale di Brindisi, di cui è cappellano da un anno e mezzo. "Basta soltanto un giorno in carcere per rendersi conto di quello che sei mandato a fare". Ci sono circa 200 detenuti, la polizia penitenziaria, e tutti gli altri che lavorano all’interno della struttura, in tutto, più o meno, 500 persone. È una vera parrocchia e don Nino è il cappellano di tutti. Essendo una casa circondariale, ci sono uomini che scontano una pena massima di cinque anni e altri in attesa di giudizio. I volontari, 13/ 14, fanno la catechesi, qualche laboratorio e, soprattutto, la carità, aiutando i detenuti indigenti. Il vero dramma di tutti questi uomini è il "dopo", cosa troveranno una volta fuori, liberi. Antonio Spagnoli, quindi, ha parlato del libro, che nasce dall’esperienza di alcuni volontari nel carcere di Napoli, nel 2008. Spera che il suo racconto possa essere capace di suscitare qualcosa in chi lo legge. Le sbarre di cui parla, non sono soltanto quelle del carcere, ma sono le sbarre che ci costruiamo, che ci limitano, ci chiudono, ci siamo dentro tutti. L’esperienza del carcere, alla lunga, fa bene ai volontari, alla Chiesa… viene coinvolta tutta la comunità parrocchiale. Si prega insieme, si sta accanto ai carcerati, si fanno dei percorsi di riscoperta della Fede. La realtà che lui prende in esame, particolarmente, è quella del carcere di Poggioreale. Anche l’autore si sofferma sul problema del dopo, di ciò che troveranno fuori, il vero grande problema dei reclusi. Un libro molto interessante, un’esperienza unica e importante. Gli errori delle élite sulla globalizzazione di Mauro Magatti Corriere della Sera, 24 aprile 2017 "La globalizzazione è la condizione economica in cui un esercito di schiavi produce per un esercito di disoccupati". La formula di Marine Le Pen in poche parole coglie una delle contraddizioni del tempo che viviamo. Il giudizio è ovviamente impietoso. La globalizzazione non ha fatto solo disastri: ha ridotto la distanza tra le diverse parti del mondo, migliorando le condizioni di vita di milioni di persone. E tuttavia, questo slogan, al di là delle intenzioni, tocca questioni vere. In realtà, per molti anni le magagne della crescita sono state nascoste da una finanziarizzazione in grado di sostenere consumi a debito. Ma dopo il 2008 il gioco non ha più funzionato. Quello che le élite non hanno capito è che, nelle nuove condizioni in cui ci troviamo a vivere, la "globalizzazione" viene letta come un modello che avvantaggia solo pochi a danno di molti (a cui si chiede di portare pazienza). É questo il disagio che i sistemi politici registrano. I temi su cui i populisti prosperano sono, infatti, tutti reali. Pur portando molte responsabilità per quello che è successo, in questi anni la finanza si è mostrata assai poco generosa nei confronti della società circostante. La capacità del sistema di correggere le proprie esagerazioni è stata fino a oggi limitata. Anzi, sfruttando a proprio vantaggio le enormi risorse immesse dalle politiche monetarie ultra-espansive di questi anni, la finanza ha continuato a guadagnare; non solo vanificando buona parte dello sforzo sostenuto dalle banche centrali, ma anche creando le premesse per una nuova crisi, che rischia di essere più grave della precedente. Nell’aprile del 2017, il livello di indebitamento delle famiglie americane ha superato il picco che aveva toccato prima della crisi. Sul piano culturale, la globalizzazione ha deriso la questione dell’identità. Ma un conto è dire che il tema può (e deve) venire rimodulato in rapporto alle nuove condizioni di vita; un conto è dichiararne l’irrilevanza in nome di un generico sogno cosmopolitistico. Nonostante la crisi migratoria duri da anni, nessuno ha pensato di impostare una politica internazionale seria capace di affrontare e gestire gli enormi flussi umani che, al di la di tutte le generosità, sono alla lunga insostenibili senza misure adeguate. Sia per i paesi di arrivo che per quelli di partenza. Si può dire che la globalizzazione ha sottovalutato le conseguenze della mobilità che essa stessa ha indotto? Nei decenni passati, buona parte della politica si è abituata a stare al rimorchio degli interessi economici internazionali. Ciò ha provocato una selezione avversa delle classi dirigenti. Tanto più che, nell’era dell’espansione finanziaria, sperperare le risorse collettive (ingigantendo la burocrazia e alimentando la corruzione) era un problema relativo (vedi ahimè il caso italiano). Oggi, invece, il vuoto lasciato dalla fine della globalizzazione espansiva chiama di nuovo in causa la politica. Ma il problema è che mancano le idee e persino la preparazione: i parvenu di questi anni, cresciuti lontano dai Palazzi, più che di risposte sono portatori della domanda di cambiamento. Ma non è questo ciò che storicamente capita quando ci sono i cambi di sistema? Che Stati Uniti e Gran Bretagna abbiano cominciato a percorrere una strada diversa da quella battuta negli ultimi 30 anni dovrebbe essere una evidenza sufficiente per spingere anche il più riottoso degli oppositori a riflettere attentamente su quello che sta accadendo. Ci sono dei problemi strutturali nel modello di crescita degli ultimi anni che solo una forte azione politica può tentate di sanare. Bisogna intervenire, e intervenire in fretta. É chiaro, infatti, che le tre questioni ricordate rischiano di ricevere risposte disastrose. La transizione economica può diventare l’occasione per una svolta neo mercantilistica che produrrebbe più problemi di quelli che é in grado di risolvere. Ma rimane la domanda: come si crea nuovo lavoro e come si produce la ricchezza, se si assume che la finanza da sola non può più risolvere il problema? La domanda di identità può essere trasformata in odio etnico, razziale o religioso. Ma quale significato e quale forma (cioè, quali limiti, quale misura) deve allora assumere l’identità culturale oggi? Il bisogno di una nuova politica può essere la miccia per far lievitare sentimenti anti-democratici. Ma come tornare a parlare di legame sociale senza produrre odio e contrapposizioni? I problemi posti dai populisti sono reali e urgenti e aspettano risposte adeguate. Dovunque - Italia compresa - occorre al più presto superare lo schema establishment/anti-establishment. Ma ancor prima bisogna ammettere che il disegno di una globalizzazione capace di sostenersi solo attraverso il mercato, la finanza e la tecnologia - al di la dei suoi nobili intenti - si è dimenticato della carne e del sangue delle persone. Migranti. Di Maio attacca: "Le Ong hanno trasportato dei criminali" di Davide Casati Corriere della Sera, 24 aprile 2017 Il vicepresidente della Camera: "Ipocrita chi non vede che dietro l’immigrazione c’è un business". Lo scrittore: "Cerca i voti di chi vuole i migranti in fondo al mare". Continua l’attacco del Movimento 5 stelle alle Organizzazioni non governative (Ong) impegnate nel Mediterraneo. Dopo le polemiche dei giorni scorsi, alimentate dal blog di Beppe Grillo, a parlare è oggi, da Mondragone (Caserta), il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio. "Le Ong sono accusate di un fatto gravissimo, sia dai rapporti Frontex che dalla magistratura, di essere in combutta con i trafficanti di uomini, con gli scafisti, e addirittura, in un caso e in un rapporto, di aver trasportato criminali". "A chi dice che in questo momento è inopportuno attaccarle", dice, riferendosi poi direttamente all’autore Roberto Saviano, "dico che fanno parte di quella schiera di ipocriti che ha sempre finto di non vedere il business dell’immigrazione". Saviano ha risposto via Facebook, accusando Di Maio di cercare "i voti di tutti quelli che i migranti li vorrebbero morti in fondo al mare". I migranti diventati italiani - L’attacco si inserisce in un quadro che - come raccontato da Dino Martirano sul Corriere - è di estrema complessità nella gestione dei flussi migratori. Gli arrivi dei migranti nel Mediterraneo nei primi 3 mesi e mezzo del 2017, hanno raggiunto quota 42.974 (36.703 sbarcati sulle coste italiane): secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), sono già 962 i morti in mare dal 1° gennaio al 19 aprile. Il report di Frontex - Il rapporto cui fa riferimento Di Maio era stato rivelato in anteprima dal Financial Times alla fine dello scorso dicembre. In quel rapporto Frontex - l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera - aveva sollevato le sue preoccupazioni sulla possibile interazione tra Ong e trafficanti di esseri umani. Ai migranti verrebbero date "chiare istruzioni prima della partenza sulla direzione da seguire per raggiungere le imbarcazioni delle Ong". Nello stesso report, Frontex notava come spesso "le persone salvate dalle Ong non erano affatto disposte a cooperare con esperti" per ricostruire l’accaduto: "alcune di loro erano state specificamente istruite a non collaborare con le autorità italiane o con Frontex". L’agenzia europea ha più volte, da allora, sottolineato come l’attività delle Ong - che si spingono vicine alle coste libiche per compiere le proprie operazioni di salvataggio - rappresenti un incentivo per i migranti. Le organizzazioni hanno replicato difendendo il proprio operato. Aurelie Ponthieu, di Medici senza frontiere (l’organizzazione umanitaria Premio Nobel per la Pace nel 1999) ha spiegato che "il nostro lavoro è quello di trovare barche in condizioni di difficoltà. Le troviamo il prima possibile. Questa è una risposta ai bisogni che osserviamo in mare". L’inchiesta - Poche settimane fa, la Procura di Catania ha aperto un’inchiesta conoscitiva sugli interventi in mare per soccorrere migranti da parte di Ong nel Canale di Sicilia. Il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro ha spiegato che, "insieme a Frontex e alla Marina militare stiamo cercando di monitorare queste Ong che hanno dimostrato di avere una grande disponibilità finanziaria". Frontex - che ha un budget di 2050 milioni di euro, e può schierare fino a 1500 persone per supportare un Paese europeo se il numero di sbarchi diviene ingestibile - ha criticato le Ong perché non sono collaborative nell’ambito delle inchieste. "Ma noi salviamo vite, non abbiamo il compito di lavorare come agenzie di sicurezza",ha replicato Save the children. Saviano: "Di Maio cerca i voti di chi vorrebbe i migranti morti" - "Vogliamo vederci chiaro, sapere chi le finanzia; a chi dice che in questo momento è inopportuno attaccarle, a Saviano e agli altri, dico che fanno parte di quella schiera di ipocriti che ha sempre finto di non vedere il business dell’immigrazione". Saviano ha quindi risposto via Facebook: "Luigi Di Maio mi accusa senza mezzi termini di essere corresponsabile, con il mio "buonismo", dei crimini commessi sulla pelle dei migranti. Mi associa di fatto al Pd e al suo coinvolgimento in Mafia Capitale, perché di questo tratta Mafia Capitale: del business sui rifugiati, di cui mi sono occupato tra i primi attirando, inutile dirlo, l’ira del Pd". "Se fossi uno di loro, un grillino o un piddino, lo querelerei. Ma non mi interessa la politica politicante, dunque non lo farò. Quello che è certo è che Di Maio, con il suo intransigente "cattivismo", parla e compiace, in breve cerca i voti, di tutti quelli che i migranti li vorrebbero morti in fondo al mare. Come nel Cile di Pinochet (o era il Venezuela?)", conclude. Il vicepresidente della Camera: "Questa non è una sceneggiatura" - Di Maio ha controreplicato sul blog di Grillo: "Saviano parla per sentito dire. Affronta il tema dei migranti come se fosse una sceneggiatura per una serie di successo, non per quello che è, ossia un problema serio che costa migliaia di vite umane ogni anno. Ci sono alcuni dati che non possono essere ignorati se vogliamo parlare con cognizione di causa della questione". "1) Definire taxi le imbarcazioni delle Ong non è un mio copyright. Prima di me, e a ragione, lo ha detto l’agenzia dell’Ue Frontex nel suo rapporto "Risk analysis 2017". Saviano questo lo ignora e parla a vanvera - prosegue l’esponente del M5S e vicepresidente della Camera -. 2) Saviano ignora anche che sempre Frontex ha affermato, dati alla mano, che `proprio il sovraffollamento sui barconi sta provocando più decessi´ e che `i trafficanti, aspettandosi di trovare navi che salvino i migranti più vicine, forniscono poca acqua e scarsissimo cibo e carburante´. Quindi le Ong, che Saviano difende senza sapere neppure di cosa parla, stanno causando più confusione e più morti in mare. 3) Le Ong non hanno ridotto il numero di morti in mare". Renzi: "Solo uno spot" - "Il vicepresidente della Camera sta cercando di fare uno spot. Non ha un’idea di Europa. Guardano i sondaggi, vedono che la questione migranti attira l’attenzione della gente e ci si buttano". Lo afferma l’ex premier Matteo Renzi, rispondendo in diretta Fb sulle frasi di Di Maio su migranti e ong. "Non hanno un’idea chiara, puntano - aggiunge Renzi - ad avere una posizione solo per avere più like, più mi piace". Soccorsi in mare delle Ong, ecco cosa dice davvero il rapporto Frontex citato da Di Maio di Paolo Soldini La Repubblica, 24 aprile 2017 Al contrario di quanto afferma l’onorevole, nel dossier "Rysk Analysis 2017" sul fenomeno dell’immigrazione l’agenzia europea non usa mai l’espressione "taxi" o "taxi del mare". Né sostiene che le Ong siano "in collusione con gli scafisti". Secondo Luigi Di Maio, le organizzazioni non governative che operano nel Mediterraneo per salvare dalla morte i profughi sarebbero colpevoli di incrementare il traffico di esseri umani e sarebbero complici degli scafisti. Per sostenere questa sua ardita tesi, che condivide con la Lega e la destra più estrema, il vicepresidente della Camera si fa forte di un rapporto di Frontex, l’agenzia di controllo delle frontiere esterne dell’Unione Europea, la quale - dice lui - nella "Rysk Analysis 2017" avrebbe scritto che i mezzi di soccorso delle ONG, come Médecins sans frontières", Proactiva open arms, Sos Méditerranée, Moas, Save the children, Jugend Rettet, Sea Watch, Sea Eye e Life Boat funzionerebbero come "taxi del mare" inviati intenzionalmente verso le acque territoriali libiche per raccogliere i migranti e trasportarli in Italia. Peccato che sia una bugia. Nel rapporto "Rysk Analysis 2017" sul fenomeno dell’immigrazione l’agenzia Frontex non usa mai l’espressione "taxi" o "taxi del mare". Né sostiene che le organizzazioni non governative siano "in collusione con gli scafisti". A pagina 32 del rapporto, infatti, si legge piuttosto che le operazioni delle ONG potrebbero avere "unintended consequences". Le stesse "conseguenze involontarie" che - si legge ancora nel documento - potrebbero avere le attività dell’Eunavfor Med, la task force istituita dal Consiglio europeo per salvare i naufraghi capitanata dall’ammiraglio italiano Enrico Credendino (anch’egli "ipocrita" e complice di mafia capitale come Saviano?). Le contestazioni delle Ong. L’opinione di Frontex secondo la quale le operazioni in mare favorirebbero involontariamente le attività degli scafisti è contestabile e infatti viene contestata con ottimi argomenti dalle ONG, ma si tratta in ogni caso di cosa ben diversa da quella sostenuta dall’esponente grillino. Oltretutto, essa è stata ribadita dal direttore dell’agenzia, il francese Fabrice Leggeri, in una intervista al quotidiano tedesco "Die Welt", che figura certamente nelle "mazzette" dei giornali a disposizione della Presidenza della Camera. Quel vigilare senza salvare. Se volessero occuparsi seriamente del problema, non per raccattare consensi a destra, ma per contribuire a risolverlo, i grillini dovrebbero interrogarsi sulla natura e sui limiti di Frontex. L’agenzia, nata nel 2004, ha il compito di vigilare sulle frontiere esterne dell’Unione e non quello di salvare i profughi in difficoltà, nonostante che si sia tentato più volte di modificarne in questo senso la "mission". Rispetto alla politica dei primi tempi, volta unicamente a reprimere i passaggi di frontiera anche con metodi drastici, come quello di sequestrare alle imbarcazioni in mare cibo, acqua e carburante in modo da costringerle a tornare indietro, un passo avanti è stato fatto nel 2016 quando, superate le obiezioni che fino ad allora erano state avanzate da alcuni governi (tra cui in un primo momento purtroppo anche l’Italia), ai compiti dell’agenzia è stato aggiunto quello, piuttosto teorico, di "mettere a disposizione degli stati membri gruppi di intervento rapidi" in caso di situazioni di emergenza. Di questi gruppi finora non si è mai vista neppure l’ombra. I soccorsi che Frontex non fa. Insomma, è proprio l’inesistenza di Frontex in materia di soccorso in mare che ha costretto ad agire da sole sia l’Italia, che lo ha fatto con l’ammirabile dedizione ed efficienza della Marina militare, sia le organizzazioni di volontariato. Sia l’una che le altre agiscono in nome dei valori più alti della civiltà e nel pieno rispetto del diritto internazionale. Non meritano gli insulti di Di Maio. San Marino. Il carcere e la pena devono essere visti anche come strumenti rieducativi giornalesm.com, 24 aprile 2017 Venerdì 21 aprile scorso è stato approvato, in seconda lettura, con ampio consenso, il Progetto di Legge "Modifiche alla Legge 29 aprile 1997 n.44 - Ordinamento Penitenziario" presentato dal Segretario di Stato Nicola Renzi. Un progetto di Legge che ha introdotto importanti elementi di modifica alla normativa vigente che ha l’obiettivo di riqualificare e migliorare, per quanto possibile, l’attuale carcere in attesa della realizzazione della nuova struttura. Partendo dal presupposto che il carcere debba essere in primis un deterrente, certo è che non può essere considerato unicamente un luogo di isolamento sociale e di emarginazione del detenuto considerando, quindi, la pena inflitta al reo esclusivamente di natura afflittiva e punitiva. Il carcere e la pena devono essere visti anche come strumenti rieducativi, di recupero sociale avente lo scopo di reinserire il detenuto nella società civile attraverso un percorso lavorativo, che possa pertanto riabilitarlo e garantirgli una propria dignità personale. Ciò è anche in linea con quanto stabilito dalla "Dichiarazione dei diritti dei cittadini e dei principi fondamentali dell’Ordinamento Sammarinese". Per questo gli strumenti introdotti con il Progetto di Legge approvato in Consiglio Grande e Generale riguardano l’introduzione ex novo del lavoro esterno al carcere, gratuito o remunerato, e l’ampliamento della previsione del lavoro interno già disciplinato anche dalla legge n.44/1997 ma poco applicato e molto limitato. Per il lavoro esterno è comunque prevista una clausola di salvaguardia in quanto la possibilità di accedervi è esclusa ai detenuti ritenuti pericolosi o a coloro nei confronti dei quali sussiste il rischio che si sottraggano all’esecuzione della pena. Attraverso il lavoro, il detenuto potrà così mantenere una propria dignità personale, potrà garantire un apporto economico alla propria famiglia e alle proprie necessità, oltre a contribuire alle spese carcerarie che pertanto, con le modifiche introdotte alla legge, non saranno più esclusivamente a carico della comunità. È stato istituito altresì un organismo nuovo denominato Gruppo di Osservazione e Trattamento (Got) composto da operatori del settore, il direttore del carcere, medici specialisti e psicologi che dovranno supportare il programma di recupero e reinserimento del reo attraverso la definizione di un percorso specifico che, sulla base dei dati e delle informazioni acquisite durante il trattamento, possa favorire la fase rieducativa del soggetto. Questo Progetto di Legge costituisce certamente un importante passo avanti raggiunto grazie anche alla condivisione e al confronto dei vari soggetti coinvolti; siamo comunque pienamente coscienti che nuovi ed ulteriori interventi siano necessari soprattutto in vista della realizzazione della nuova struttura carceraria. In primis dovrà essere rivisto e migliorato il regolamento penitenziario al quale lo stesso Progetto di Legge rimanda per ulteriori specifiche e precisazioni, ma siamo ad oggi molto soddisfatti dell’obiettivo raggiunto. Turchia. Alfano: "Del Grande è libero, sta tornando in Italia" Il Sole 24 Ore, 24 aprile 2017 Gabriele Del Grande, il giornalista, documentarista e blogger toscano fermato il 10 aprile dalla polizia turca nella regione di Hatay e trattenuto in isolamento nel centro di detenzione Ggm di Mugla (Geri gonderme merkezi, che vuol dire centro di espulsione) è stato liberato. Lo ha detto il ministro degli Esteri, Angeli Alfano: "Gabriele Del Grande è libero.Gli ho parlato adesso sta tornando in Italia.Ho avuto la gioia di avvisare i suoi familiari. Lo aspettiamo", ha scritto Alfano in un tweet. Gabriele Del Grande si trovava in Turchia per raccogliere materiale per un libro sui profughi siriani rifugiati nella provincia sud orientale dell’Hatay. Il blogger trentaquattrenne, è stato anche il regista di "Io sto con la sposa", presentato a Venezia. Alfano ha aggiunto di avere ricevuto questa notte la notizia della "decisione" da parte del collega turco mevlut cavusoglu. "Lo ringrazio", ha aggiunto in un altro tweet. Egitto. Human Rights Watch chiede di bloccare gli aiuti militari sicurezzainternazionale.luiss.it, 24 aprile 2017 Human Right Watch ha richiesto di bloccare i rifornimenti militari all’Egitto, da parte degli Usa e di altre nazioni, dopo la diffusione di un video che mostra le esecuzioni dei detenuti del Sinai da parte dell’esercito egiziano. L’esercito egiziano è stato accusato di aver condotto esecuzioni extragiudiziali nella provincia del Sinai tramite un video che mostra i soldati uccidere i detenuti e inscenare una battaglia a colpi di arma da fuoco. Il video è stato postato online giovedì 20 aprile dal canale Mekamaleen, in Turchia, e mostra due uomini bendati che vengono uccisi a colpi di pistola da soldati in divisa. Nel video un detenuto è stato interrogato in maniera aggressiva dagli ufficiali che gli chiedevano se facesse parte della famiglia Abu Sanana. Quando lui risponde di "no" i soldati gli tolgono la bendatura e gli sparano più colpi in testa. Nel video si sente qualcuno che urla: "Non solo in testa". Non è stata verificata l’autenticità del video, tuttavia il governo egiziano ha vietato ai giornalisti di riportare la notizia sui quotidiani egiziani. Human Rights Watch ha accusato i soldati di aver ucciso due persone e di aver inscenato una battaglia. Joe Stork, rappresentante della sezione del medio oriente di HRW ha spiegato che i detenuti erano stati arrestati a Rafah la scorsa estate e che sono state raccolte delle testimonianze che accusano le forze di sicurezza di aver trasportato alcuni prigionieri fuori dai centri detentivi per essere uccisi, infatti molti detenuti sono spariti e non sono più tornati. Ahmed Mafreh, un giurista e ricercatore sui diritti umani ha dichiarato ad Al-Jazeera che le uccisioni rappresentano un crimine di guerra. Nel video si vedono due esecuzioni di persone disarmate da parte di forze militari in uniforme. Il diritto internazionale lo considera un crimine di guerra perciò devono essere condotte delle indagini indipendenti per fare chiarezza sull’accaduto. L’esercito dichiara che questo evento è il risultato di una battaglia tra i terroristi e le forze di sicurezza. La regione del Sinai è ormai teatro di guerra tra l’esercito egiziano e i militanti islamici legati all’ISIS che hanno preso di mira non solo le autorità ma anche la minoranza religiosa cristiana che rappresenta il 10% della popolazione. Egitto. Dopo 3 anni in carcere rilasciata operatrice umanitaria americana di Monica Ricci Sargentini Corriere della Sera, 24 aprile 2017 Aya Hijazi, l’operatrice umanitaria americana detenuta al Cairo per tre anni e diventata il volto della brutale repressione del governo egiziano, è stata rimpatriata giovedì sera dopo che l’amministrazione Trump ha negoziato il suo rilascio. Anche l’amministrazione Obama ci aveva provato, ma invano. Lo scrive il Washington Post. Trump e i suoi collaboratori hanno lavorato per diverse settimane con il presidente egiziano Al Sisi per liberare la donna e suo marito, Mohamed Hassanein, oltre ad altri 4 operatori umanitari. I coniugi e i loro colleghi erano stati incarcerati nel maggio 2014 con le accuse di abusisu minori e traffico di droga. Accuse ritenute infondate dai difensori dei diritti umani e dalle autorità americane. Aya Hijazi e suo marito lavoravano alla fondazione Belady Foundation, che si occupa dei bambini di strada al Cairo. Iran. Pronto lo stop alla pena di morte per i reati di droga La Repubblica, 24 aprile 2017 Il parlamento iraniano fa un primo passo per abolire la pena di morte per reati legati al commercio di droga, prima causa di condanne a morte nel Paese. Secondo quanto riportato ieri dall’agenzia di stampa del Parlamento iraniano, l’assemblea ha votato una mozione che prevede che la pena capitale sia commutata in almeno 25 anni di carcere per coloro che si rendono colpevoli di crimini connessi al traffico di droga. "La pena capitale è stata abolita per coloro che producono, distribuiscono, trattano o importano farmaci nocivi purché non abbiano utilizzato armi di qualsiasi tipo", ha detto il deputato Hassan Norouzi, portavoce della Commissione parlamentare per gli affari di giustizia secondo quanto riferito dall’agenzia Ansa. Ma la procedura per trasformare la mozione in legge non è ancora completa: una volta licenziata dal Parlamento, la legge dovrà passare il vaglio del Consiglio dei Guardiani e non è chiaro se e quando diventerà davvero effettiva. Se la svolta arrivasse sarebbe comunque importante: i reati legati al commercio di droga sono la prima causa di condanne a morte in Iran, che è uno dei Paesi del mondo dove la pena capitale è più diffusa. Delle oltre 1000 persone mandate a morte nel 2015, la metà era stata condannata per reati di droga. La decisione di procedere verso l’abolizione deriva probabilmente dalla pressione internazionale: negli ultimi due anni una serie di Paesi hanno deciso di tagliare i fondi a Teheran che vengono distribuiti ogni anno attraverso Unodc, l’agenzia Onu per le droghe e il crimine proprio a causa del massiccio uso della pena di morte. Secondo un report pubblicato dal Guardian nei mesi scorsi, l’Iran non avrebbe ricevuto alcun contributo per la lotta alla droga da Unodc nel 2016: lo stanziamento previsto era di 20 milioni di dollari in cinque anni. Fra i Paesi che hanno fatto maggior pressione per l’abolizione della pena di morte legata al traffico di droga ci sarebbe, secondo il Guardian, anche l’Italia. L’annuncio arriva mentre l’Iran si prepara a una intensa stagione elettorale: a maggio si vota per l’elezione del presidente della Repubblica e il riformista Hassan Rohuani dovrà vedersela con un folto gruppo di sfidanti conservatori, che denunciano quello che agli occhi del mondo è il maggior successo della sua presidenza: l’accordo sul nucleare con gli Stati Uniti e i Paesi europei, che ha portato a un alleggerimento delle sanzioni contro Teheran. I benefici di questo provvedimento tuttavia non sono arrivati ad ampi strati di popolazione, in particolare quelli più poveri. Ed è proprio in questi settori che i conservatori cercheranno di raccogliere più voti. Il voto è previsto per il 19 maggio: prima di quella data i candidati si confronteranno in un dibattito pubblico in diretta tv, una prima assoluta per l’Iran. Venezuela. Cresce il bilancio di morte: 21 vittime nelle proteste anti-Maduro Avvenire, 24 aprile 2017 Dal 4 aprile oltre 1.400 le persone finite in cella. Non si fermano però le proteste contro il presidente venezuelano. Un’altra notte di scontri e violenze a Caracas. È salito a 21 morti il bilancio di tre settimane di proteste antigovernative in Venezuela, dopo una nuova notte di scontri a Caracas costata la vita a un manifestante, dodicesima vittima delle violenze nella capitale in soli due giorni. Agenti in assetto antisommossa e guardie di sicurezza governative hanno ingaggiato una dura guerriglia notturna con un nutrito gruppo di manifestanti che chiedevano l’addio al potere del presidente Nicolas Maduro, in numerosi quartieri di Caracas. "Sembrava una guerra", ha dichiarato Carlos Yanez, 33enne residente del distretto Sud-Occidentale di El Valle. "La polizia ha usato gas lacrimogeni, civili armati hanno sparato con armi da fuoco contro gli edifici, la mia famiglia e io ci siamo gettati sul pavimento, è stato orribile", ha detto il testimone. Neonati evacuati dall’ospedale - Gli agenti hanno lanciato lacrimogeni per disperdere la folla anche nel quartiere di Palo Verde, dove sono state date alle fiamme le barricate erette dai manifestanti in strada. Uomini armati e a bordo di alcune motociclette hanno provocato il panico, mentre i manifestanti hanno risposto con il lancio di Molotov, hanno raccontato alcuni testimoni. Cinquantaquattro persone, tra cui alcuni neonati, sono state evacuate da un ospedale alla periferia della capitale. In cella 1.400 manifestanti - Il governo sostiene che il provvedimento si è reso necessario a causa di un attacco di "bande armate guidate dall’opposizione". Quest’ultima, però, ha respinto le accuse, spiegando che l’evacuazione è avvenuta per timore che i lacrimogeni usati dagli agenti potessero avere effetti deleteri sulla salute delle persone ricoverate. Intanto solo salite ad almeno 1.400 le persone arrestate dal 4 aprile, quando l’ultima rivolta è esplosa. Il bilancio delle centinaia di persone arrestate durante la repressione da parte di Caracas delle manifestazioni anti-governative è stata data da Alfredo Romero, direttore di un’associazione di avvocati venezuelani impegnata a difendere i dimostranti arrestati. Circa 750 sono state arrestate solo da mercoledì scorso, ha reso noto ancora Romero. Algeria. Donne abbandonate ad abusi e violenze dei mariti che restano impuniti La Repubblica, 24 aprile 2017 Il rapporto di Human Rights Watch: "La risposta inadeguata della polizia e di altre autorità alla violenza domestica". La sostanziale indifferenza della polizia, gli spazi insufficienti destinati alle donne che cercano rifugio in luoghi sicuri, dopo aver subito violenze da parte dei mariti, è al centro di un’inchiesta di Human Rights Watch (Hrw) sull’inefficacia delle risposte che le pubbliche autorità in Algeria riservano alle sopravvissute alle violenza domestiche. Un’inefficienza che mette a rischio migliaio di donne sottoposte ad ulteriori maltrattamenti, nonostante l’esistenza di una nuova legge che criminalizza gli abusi nell’ambito dei rapporto matrimoniali. In questo video, dal titolo più che eloquente "Il tuo destino è stare con lui", riporta la testimonianza di una donna, Dalwa, e di altre persone che esprimono opinioni in merito a quanto accade nei rapporti fra mariti e mogli nelle famiglie algerine. Appesa ad una sbarra e picchiata con la scopa. Nel settembre 2011, Dalwa venne appesa nuda per le braccia a un sbarra del soffitto della casa dove abitava con il marito, che prese una scopa e la picchiò duramente. Poi lacerò i suoi seni con le forbici. Quando lei ebbe la forza per andare a denunciare quanto era accaduto alla polizia, i poliziotti le dissero: "Abbiamo chiamato tuo marito, e lui ci ha risposto che sei caduta ed è per questo che ti sei ferita". Nessuno ha poi mai condotto indagini ulteriori. Il dossier di Hrw. Il rapporto di Hrw è di 59 pagine ha scoperto che i sopravvissuti alla violenza domestica si trovano ad affrontare una lotta in salita per ottenere la giustizia e la sicurezza personale. Si trovano ad affrontare lo stigma sociale, la dipendenza economica dagli abusanti, una mancanza di luoghi sicuri dove rifugiarsi, la mancanza di una risposta adeguata da parte della polizia, dei pubblici ministeri e dei giudici nell’individuazione degli abusi e degli ostacoli giudiziari, come requisiti di prova non ragionevoli. "Le autorità algerine dovrebbero aumentare il sostegno alle vittime di violenza domestica - si legge nel rapporto - oltre che indagare e perseguire i casi, aumentando le capacità di protezione per impedire a chi abusa di infliggere danni ulteriori". Le interviste. Human Rights Watch ha intervistato 20 donne sopravvissute alla violenza domestica, rappresentanti di organizzazioni non governative e fornitori di servizi per i sopravvissuti, compresi avvocati e psicologi. L’organizzazione umanitaria ha anche richiesto incontri e informazioni specifiche del governo, ma non ha ricevuto alcuna risposta. "Le vittime della violenza domestica hanno affrontato a lungo la doppia ingiustizia degli abusi a casa e poi una debole risposta da parte del governo", ha detto Sarah Leah Whitson, direttore del Medio Oriente e Nord Africa di Human Rights Watch. "La nuova legge in Algeria sulla violenza domestica è solo un inizio". La storia di Hasna. Hasna, 31 anni, madre di una bambina che ne ha quattro, ha detto a Human Rights Watch che il marito ha iniziato a batterla quando era incinta. Nel settembre 2014, durante una controversia, la spinse contro il muro, la schiaffeggiò e le pizzicò il volto. Scappò di casa per correre, ancora in un pigiama, in una stazione di polizia, dove un poliziotto le disse: "Questa è un problema della tua famiglia, non è una questione che può interessare il nostro lavoro. È tuo marito. Forse era arrabbiato. Vai e trova qualcuno che possa calmare le cose".