Il Garante trascurato anti-tortura di Alessandro Monti* Il Sole 24 Ore, 5 settembre 2016 Figura chiave per la prevenzione in assenza di una norma penale. Frenato da posizioni politiche contrapposte, il Parlamento non è ancora riuscito a introdurre nel Codice penale il reato di tortura, come impone la Convenzione delle Nazioni Unite ratificata da oltre venti anni. Inadempiente sul fronte normativo della repressione della tortura, il legislatore è però intervenuto sul fronte della prevenzione. Vediamo come. Rimedio alle emergenze - Il governo si è trovato stretto tra due emergenze: quella del sovraffollamento nelle carceri (119 su 193 secondo il Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria) e, dunque, di possibili condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione degli spazi minimi vitali; quella delle operazioni di allontanamento e rimpatrio forzato degli immigrati irregolari disposte in sede Frontex (direttiva 2008/115/CE). Ha ritenuto di uscirne con un decreto legge (il 146/2013) che istituisce presso il ministero della giustizia il "Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale"(all’articolo 7). Una soluzione che risponde anche a una terza emergenza: quella degli obblighi discendenti dalla ratifica del Protocollo Opzionale della Convenzione Onu contro la Tortura (Opcat) che prevede la creazione di "Meccanismi nazionali indipendenti di prevenzione della tortura". Un passo avanti rispetto ai garanti regionali e comunali, non sempre attivi, eletti con modalità e compiti diversificati in relazione alla normativa degli enti di appartenenza. Il nuovo organismo, nominato con decreto del Capo dello Stato e su parere delle commissioni parlamentari, si distingue per l’uniformità della tutela dei diritti dei detenuti, valida sull’intero territorio nazionale, per il più ampio spettro protettivo esteso a tutti i soggetti privati della libertà personale e il ruolo di coordinamento dei garanti locali. Sul piano istituzionale, però, il legislatore ha disegnato una figura anomala, incrocio tra autorità indipendente e ufficio ministeriale dotato di autonomia, che ha richiesto oltre due anni per divenire operante. Solo lo scorso mese di marzo si è arrivati alla nomina del Presidente del Garante, Mauro Palma, già presidente del Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa (CTP) a Strasburgo e dell’Ong Antigone, e degli altri due membri, Emilia Rossi e Daniela De Robert. Struttura e poteri - Chiamato dalla legge a provvedere senza aggravi per la finanza pubblica, il ministro della Giustizia si è limitato ad assegnare una sede e fino a 25 unità del proprio organico e aprire un capitolo di bilancio (n. 1753) con 200mila euro, approvando un regolamento che definisce struttura e composizione dell’Ufficio e rinvia il resto a un Codice di autoregolamentazione. La tempestiva adozione del Codice ha consentito al Garante di recuperare spazi operativi sul piano organizzativo e funzionale attenuando l’approccio ancillare del Governo. Sintomatici la facoltà di ottenere, all’occorrenza, personale anche da altre amministrazioni statali e di utilizzare fondi Ue per i monitoraggi dei rimpatri forzati degli immigranti e la fissazione di rigorosi principi guida alla sua condotta e a quella di coloro che collaborano a qualsiasi titolo con il Garante, prevedendo l’immunità agli informatori. L’intento è di dimostrare che il mandato ricevuto sarà assolto in assoluta indipendenza, neutralizzando così ogni riserva da parte dei rappresentati dell’Onu tenuti ad accertare autonomia e terzietà nei "Meccanismi nazionali di prevenzione". Sarà comunque determinante la sistematicità dei controlli sulle modalità di esecuzione della custodia, tanto dei soggetti detenuti, tanto di quelli internati o sottoposti a misura cautelare in carcere o ad altre forme di limitazione della libertà, per verificare il rispetto dei diritti e della dignità della persona. Al riguardo, strumenti chiave sono le visite e i monitoraggi senza necessità di alcuna autorizzazione, preavviso e restrizione (31, al 22 luglio 2016). Non solo ai penitenziari ma anche alle residenze per le misure di sicurezza psichiatriche e alle altre strutture destinate ad accogliere detenuti, alle comunità terapeutiche o comunque alle strutture, anche mobili, ove si trovino persone sottoposte a misure alternative al carcere. E nel caso di flagrante violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo ("Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti"), il Garante deve informare l’autorità competente perché provveda immediatamente a fermare la violazione in atto, dandone comunicazione all’autorità giudiziaria e al ministro di rifermento. Strumento importante - Finora trascurata dai media, la nuova istituzione merita invece particolare attenzione e sostegno: nonostante sia priva di poteri diretti d’intervento e armata di meri rilievi e raccomandazioni, la sua autorevolezza e imparzialità potrebbero avere effetti dirompenti sul clima opaco di omertà, prevaricazioni, violenze fisiche e psichiche che, nei luoghi di detenzione, è alimentato da chi profitta dello stato di soggezione e vulnerabilità delle persone private della libertà. Il passaggio da punto di riferimento nazionale contro ogni forma di abuso sui detenuti e per la denuncia delle relative responsabilità, a vero e proprio deterrente a tortura e trattamenti o pene crudeli, inumani e degradanti, richiederà però regolarità, incisività e trasparenza dell’operato del Garante cui dare ampia diffusione con funzioni dissuasive di potenziali violenze. E, opportunamente, il Codice di autoregolamentazione prevede la pubblicazione sul sito internet dell’esito di visite e monitoraggi e del Rapporto annuale sui risultati dell’azione svolta e sulle eventuali proposte di miglioramento della legislazione di tutela, da trasmettere innanzitutto al Capo dello Stato e al Parlamento. *Già ordinario di Politica economica e docente di Scienza dell’amministrazione presso la Facoltà dì Giurisprudenza dell’Università di Camerino Carceri: domani la firma protocollo d’intesa sul rapporto figli-genitore detenuto Dire, 5 settembre 2016 Martedì 6 settembre alle 16, presso la sala Livatino in via Arenula, il ministro della Giustizia Andrea Orlando, la Garante per l’Infanzia e l’adolescenza Filomena Albano e la Presidente dell’associazione Bambinisenzasbarre onlus Lia Sacerdote sigleranno il rinnovo del protocollo d’intesa "Carta dei figli di genitori detenuti". Parteciperanno, per il dicastero della Giustizia, il garante nazionale dei detenuti Mauro Palma, il capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Santi Consolo e il capo del dipartimento per la giustizia minorile e di comunità Francesco Cascini. La doppia morale dei giustizialisti di Mario Ajello Il Mattino, 5 settembre 2016 Onestà-onestà-onestà, quante grida in tuo nome. Se Gianroberto Roberto Casaleggio, da lassù, vedesse l’onestà trasformata in avviso di garanzia come ci resterebbe? Costernato? Deluso? Arrabbiato? L’ubi consistam, l’alfa, l’omega, l’abc, la pietra miliare del grillismo. Ossia i puri siamo noi e tutti gli altri sono indagati, viene meno di botto e la nemesi dei giustizialisti giustiziati - ammesso che le accuse all’assessore Muraro siano vere e al netto della presunzione d’innocenza che vale anche per chi non l’ha mai fatta valere per niente e per nessuno - è quanto di più doloroso e sconvolgente possa accadere a un movimento che adesso dice per bocca di Di Maio che "non facciamo sconti a nessuno". Ricalcando le espressioni tipiche (un’altra: "Prima vediamo le carte", oppure: "Noi oggetto di un’ aggressione mediatica", o ancora: "Chi c’è dietro?", naturalmente i poteri forti) cui gli altri partiti, il "vecchio ceto politico corrotto", ricorrono di solito, quando si trovano nei guai con i magistrati e che i 5Stelle hanno sempre considerato ipocrite e delinquenziali. La doppia morale, praticata dai vertici, non sfugge più alla base dei grillini che riempiono il web, a cominciare dal blog di Grillo, di lamentele e indignazioni: "Ma ci spiegate che cosa è successo?". È accaduto che uno dopo l’altro stanno franando tutti i pilastri della retorica pentastellata e tutti i trampolini del successo di questo Movimento. Lo streaming, ossia la trasparenza, è evaporata al punto che lo stesso Beppe dice alla Raggi e compagnia: "Vedetevela voi". E prima ancora, l’uno vale uno non vale più. Gli stipendi non sono più francescani. Le scelte non sono più condivise. L’orizzontalità si è trasformata in Raggio Magico. Ma ecco, a proposito del rapporto tra politica e giustizia, un Di Maio d’antan in radicale dissenso con il Di Maio di adesso: "Non sono a favore della presunzione d’ innocenza per i politici. Se uno è indagato, deve lasciare". Ed è il metodo che i grillini hanno applicato a tutti gli altri partiti, chiedendo le dimissioni ogni qualvolta un avversario ha ricevuto un avviso di garanzia o in molti casi è stato soltanto citato in qualche inchiesta. Per il sindaco di Livorno, Filippo Nogarin, indagato insieme a un assessore per bancarotta fraudolenta, già ritornò in vigore la presunzione d’innocenza e la richiesta di dimissioni fu spostata dall’avviso di garanzia al rinvio a giudizio. Il sindaco di Parma, Pizzarotti, invece il suo partito lo ha sospeso da indagato, ma solo perché si tratta di un dissidente. La serie intitolata "L’indagato del giorno", simbolo del giustizialismo pentastellato che prevede anche due altre categorie: "L’arrestato del giorno" e "Il condannato del giorno", se prima riguardava gli altri ora finisce per trattare anche di chi si è impossessato del valore dell’onestà - oltretutto non sufficiente affatto per fare buona politica - strumentalizzandolo pericolosamente. E più che della purezza perduta sembra che i leader 5Stelle, convinti che dal Campidoglio fosse partita la marcia verso Palazzo Chigi, si preoccupino della perdita dei voti, lievitati proprio grazie alla presunta diversità morale di questo movimento. E soprattutto Di Maio, in queste ore di nemesi, non fa che ripetere ai suoi che "continuando così i nostri consensi rischiano di scendere pericolosamente", ma allo stesso tempo scaricare la Muraro significherebbe ammettere un errore e certificare il fatto che le loro regole - perfette per chi sta all’ opposizione e per chi pensa di vivere in una eterna campagna elettorale - diventano letali per chi è chiamato, nel caso di Roma addirittura in maniera semi-plebiscitaria - a governare. Il mostro giustizialista divora sempre, come è classico nella storia, chi lo fomenta. E si trova puntualmente prima o poi, vuoi un magistrato, vuoi un competitor politico, uno più puro che ti epura. Tanto più quando la selezione della classe dirigente non è basata sulle competenze ma su criteri diversi tra cui (oltre al nuovismo, l’alternatività, l’inesperienza come grande appeal, la non appartenenza al professionismo politico) la presunta eticità, non dimostrata in quanto mai messa alla prova. La scoperta del garantismo pro domo propria si accoppia, nei grillini, a un’ altra sindrome tipica dei partiti tradizionali quando finiscono nel mirino delle procure. Lo fecero anche i democristiani e i socialisti al tempo di Mani Pulite: prendersela con fantomatici "poteri forti" (nella propaganda Pci armi 50 erano la Fodria: Forze Oscure Della Reazione In Agguato) che starebbero minando il cammino del rinnovamento e della governabilità, in questo caso romana. Il concetto di "poteri forti" la retorica pentastellata lo ha declinato su vari piani: le grandi concentrazioni bancarie, i mega-burocrati, le associazioni del tipo Trilateral e Bilderberg, le grandi industrie e via dicendo. Ora sembrano poter rientrare nella black list, anche se i grillini non lo dicono apertamente e l’immagine "poteri forti" viene agitata mediaticamente in maniera disordinata e quasi goffa, anche i giudici. Proprio quelli che almeno idealmente venivano considerati partner dichiarati o occulti del supremo progetto politico grillino, come se la politica potesse ridursi a questo: "L’onestà tornerà di moda". Mediazione, ecco cosa divide i giudici di Marco Marinaro Il Sole 24 Ore, 5 settembre 2016 Manca una linea unica su decreto ingiuntivo, termine e domanda riconvenzionale. A tre anni dalla riforma, i giudici si dividono ancora sull’interpretazione della nuova disciplina della mediazione civile. Se la giurisprudenza sembra aver trovato una linea (quasi) univoca sull’obbligo di tentare effettivamente di accordarsi, resta su posizioni diverse circa l’impatto della mancata mediazione sul decreto ingiuntivo, la necessità di avviare il procedimento di conciliazione se si presenta una domanda riconvenzionale e la perentorietà dei termini per iniziare il percorso. A riformare la mediazione è stato il decreto legge 69/2013, che, da un lato, ha ripristinato l’obbligo (cancellato dalla Corte costituzionale nel 2012) di tentare la mediazione in alcune controversie civili prima di rivolgersi al giudice; e, dall’altro lato, ha aumentato il potere dei magistrati di "spingere" le parti in lite a trovare un accordo. Il Dl ha infatti dato al giudice il potere di ordinare alle parti di tentare la mediazione (articolo 5, comma 2, Dlgs 28/2010); e gli ha consentito di formulare una proposta conciliativa o transattiva (articolo 185-bis del Codice di procedura civile). L’ordine del giudice - La mediazione su ordine del giudice ha originato un’ampia giurisprudenza che, in primo luogo, ha affrontato il contenuto del primo incontro con il mediatore. Il Tribunale di Firenze (ordinanze del 17, 18 e 19 marzo 2014) ha affermato il principio dell’"effettività" della mediazione: il primo incontro non si può esaurire con la semplice informativa, ma occorre che le parti tentino effettivamente la mediazione. Questa posizione è stata seguita da molti altri giudici, mentre appare isolata la tesi opposta, per cui per esperire la mediazione basta presentare la domanda (pronuncia dell’8 settembre 2015 del Tribunale di Chieti). Sempre il Tribunale di Firenze (ordinanza del 26 novembre 2014) ha poi esteso il principio dell’effettività alla mediazione obbligatoria per legge. I giudici sono incerti anche sulla natura del termine di 15 giorni entro il quale le parti devono avviare la mediazione disposta dal giudice. Per alcuni (sentenza del 14 ottobre 2015 del Tribunale di Pavia) si tratta di un termine ordinatorio perché - affermano - i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, a meno che non siano dichiarati espressamente perentori. Altri giudici (sentenza del 9 giugno 2015 del Tribunale di Firenze) hanno invece affermato che il termine è perentorio per la gravità della sanzione - l’improcedibilità del giudizio - che rischia chi lo sfora. Per altri ancora (pronunce dell’11 luglio 2015 del Tribunale di Firenze e del 14 luglio 2016 del Tribunale di Roma) non si tratta di un termine processuale perché riguarda una fase stragiudiziale. L’obbligo per legge - Nelle materie in cui la mediazione è prevista come condizione di procedibilità della domanda giudiziale, se il creditore avvia un procedimento per ingiunzione, l’obbligo di tentare la mediazione non si applica sino a quando il giudice - nel processo di opposizione - non si pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione. Si tratta di una norma interpretata in modi opposti dai giudici. Anche se la Cassazione (sentenza 24629 del 3 dicembre 2015) ha affermato che l’onere di avviare la mediazione ricade su chi presenta l’opposizione e che se l’obbligo non viene rispettato il decreto ingiuntivo si consolida, alcuni tribunali continuano a ritenere che l’improcedibilità travolga anche il decreto ingiuntivo (ancora il Tribunale di Firenze, ordinanza del 17 gennaio 2016). È controverso anche il rapporto tra l’obbligo di tentare la mediazione e la domanda riconvenzionale. La mediazione non è condizione di procedibilità in giudizio se la riconvenzionale amplia solo le richieste, ma non anche l’oggetto della controversia. Più delicata è la soluzione nei casi in cui la mediazione non sia stata svolta anche sui fatti posti dal convenuto a base delle sue pretese. Si tratta della "riconvenzionale inedita" che amplia l’ambito della controversia rispetto a quelli che sono stati i confini della stessa in sede di mediazione. I giudici di merito sono su fronti opposti. Per alcuni (Tribunale di Verona, ordinanza del 12 maggio 2016) la riconvenzionale inedita deve essere preceduta dalla mediazione. Invece altri (Tribunale di Palermo, pronuncia dell’11 luglio 2011) escludono l’obbligo di mediazione non solo per la riconvenzionale inedita ma anche per tutte le domande (domanda trasversale e reconventio renconventionis) diverse da quella proposta dall’attore con l’atto introduttivo del giudizio. Liberazione anticipata: il Dl non convertito blocca lo sconto pena di Alessandro Galimberti Il Sole 24 Ore, 5 settembre 2016 Secondo la Corte i benefici della Gozzini sono norme processuali perciò rispondono al principio del "tempus regit actum". Il premio della liberazione anticipata del detenuto previsto dalla legge Gozzini (663/86) si colloca tra i benefici penitenziari, è una norma processuale e non sostanziale e quindi sfugge alla regola della successione delle leggi penali più favorevoli (articolo 2 del codice). Con una motivazione molto lineare, e che ripercorre l’ultimo trentennio di giurisprudenza costituzionale e di legittimità, la Prima penale della Cassazione (36633/16, depositata ieri) ha respinto il tentativo di Fabrizio Corona - il fotografo del gossip/vip - di prendersi 30 giorni di sconto pena dalle ceneri del travagliato decreto svuota-carceri di tre anni fa. Il dl 146/ 2013 aveva infatti previsto, nell’ottica appunto di alleggerire il sovraffollamento degli istituti nel mirino della Ue, di portare a 75 giorni/semestre lo sconto di pena per i detenuti distintisi per buona condotta, invece dei 45 giorni/ semestre stabiliti dalla legge Gozzini del 1986. Tuttavia la legge di conversione (10/2014) pur salvando l’operazione svuota-carceri aveva introdotto dei divieti per i condannati di una serie di reati tipizzati, tra i quali alcuni di quelli che costarono la condanna definitiva del fotoreporter milanese, I cui legali, proprio nel periodo di vigenza del dl svuota carceri, avevano presentato istanza di liberazione "ultra" anticipata, probabilmente allo scopo di evitare il rischio di mancata conversione del decreto, come poi puntualmente avvenuto. I due gradi di merito, magistrato e poi tribunale di sorveglianza, avevano riconosciuto a Corona lo sconto "base" della Gozzini (45 giorni), rifiutandosi però di estendergli il beneficio extra di 30 giorni previsto dalla svuota carceri, che proprio in relazione ad alcuni reati aveva peraltro cambiato, nella conversione in legge, l’orientamento del Governo. Secondo la Cassazione, che ha pienamente sposato le decisioni di Milano, dato per scontato che i decreti non convertiti decadono ex tunc - e quindi perdono ogni effetto, come prevede la Costituzione - è opportuno comunque focalizzarsi sulla natura dell’istituto della liberazione anticipata (articolo 54 dell’ordinamento penitenziario). Questa non è una norma di carattere sostanziale, scrive la Prima, poiché non ha alcuna attinenza al fatto reato, ma bensì è una norma processuale che risponde al principio tempus regit actum, cosa molto diversa dal principio del favor rei che regola il rapporto tra due norme penali (cioè sostanziali) successive sullo stesso fatto. In sintesi, l’intervento normativo "ballerino" del dicembre 2013 non poteva nemmeno creare un’aspettativa nel ricorrente Corona, restando gli effetti giuridici della riforma legati indissolubilmente alla conversione in legge del paventato beneficio - conversione che non avvenne per i particolari reati contestati a Corona. Il fotoreporter re del gossip, in sostanza, deve rinunciare allo sconto ulteriore di 30 giorni di carcere. Intercettazioni: utilizzazione per altri reati se l’arresto in flagranza è obbligatorio di Giuseppe Amato Il Sole 24 Ore, 5 settembre 2016 Corte di cassazione - Sezione VI penale - Sentenza 9 agosto 2016 n. 34765. In tema di intercettazioni, qualora il mezzo di ricerca della prova sia legittimamente autorizzato all’interno di un determinato procedimento concernente uno dei reati di cui all’articolo 266 del Cpp, i suoi esiti sono utilizzabili anche per tutti gli altri reati relativi al medesimo procedimento, mentre nel caso in cui si tratti di reati oggetto di un procedimento diverso ab origine, l’utilizzazione è subordinata alla sussistenza dei parametri indicati espressamente dall’articolo 270 del Cpp, e, cioè, l’indispensabilità e l’obbligatorietà dell’arresto in flagranza. Lo hanno stabilito i giudici della Cassazione con la sentenza n. 34765 del 9 agosto scorso. Un’affermazione condivisibile - Si tratta di affermazione ampiamente condivisibile giacché esula dall’ambito di applicabilità dell’articolo 270 del Cpp, come si evince dal suo tenore letterale, l’ipotesi in cui nell’ambito del medesimo procedimento vengano disposte intercettazioni per un reato e da esse emergano gli estremi di un altro reato. Infatti, in tale evenienza si tratta di utilizzare le intercettazioni agli effetti di prova di un reato diverso da quello per il quale la captazione è stata autorizzata e non di utilizzare i contenuti delle conversazioni intercettate in un procedimento diverso da quello nel quale l’intercettazione è stata disposta (di recente, sezione VI, 15 luglio 2015, Rosatelli e altro). E ciò, del resto, tenuto conto anche dell’altro principio autorevolmente affermato in giurisprudenza in forza del quale, comunque, ai fini del divieto di utilizzazione previsto dall’articolo 270, comma 1, del Cpp, la nozione di diverso procedimento va ancorata a un criterio di valutazione sostanzialistico, che prescinde da elementi formali, quale il numero di iscrizione del procedimento nel registro delle notizie di reato, essendo invece decisiva, ai fini dell’individuazione dell’identità dei procedimenti, l’esistenza di una connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico tra il contenuto della originaria notizia di reato, per la quale sono state disposte le intercettazioni, e i reati per i quali si procede (sezioni Unite, 26 giugno 2014, Floris e altro). Nelle violazioni antiriciclaggio sanzioni collegate alla gravità di Valerio Vallefuoco Il Sole 24 Ore, 5 settembre 2016 Con la legge di delegazione europea 170/2016, che entrerà in vigore il 16 settembre, il Governo è delegato all’integrale riforma del sistema sanzionatorio antiriciclaggio. Le finalità indicate espressamente nella delega sono individuate nel rispetto dei princìpi di ne bis in idem sostanziale e di effettività, proporzionalità e dissuasività delle sanzioni. Sul versante penale la delega è diretta a limitare la previsione di fattispecie incriminatrici alle sole condotte di grave violazione degli obblighi di adeguata verifica e di conservazione dei documenti, perpetrate attraverso frode o falsificazione, e di violazione del divieto di comunicazione dell’avvenuta segnalazione, prevedendo sanzioni penali adeguate alla gravità della condotta e non eccedenti, nel massimo, i tre anni di reclusione e 30mila 0 euro di multa. Questa novità viene incontro oltre ai principi generali comunitari sulla materia anche alle esigenze di giustizia sostanziale nel tempo trasposte nella giurisprudenza di merito che in diverse occasioni portava- per le contestazioni formali e prive di reale offensività - ad assoluzioni per carenza di dolo o per prescrizione in quanto si trattava di reati minori. In questo caso si applicherà il principio del favor rei per le abrogazioni espresse e quindi si assisterà a una sostanziale diminuzione delle contestazioni formali. Riguardo alle sanzioni amministrative il Governo dovrà graduare l’entità e la tipologia delle sanzioni tenuto conto della natura, di persona fisica o giuridica, del soggetto cui è ascrivibile la violazione; nonché del settore di attività, delle dimensioni e della complessità organizzativa dei soggetti obbligati e, in funzione di ciò, delle differenze tra enti creditizi e finanziari e altri soggetti obbligati. In caso di violazioni commesse da persone giuridiche le sanzioni potranno essere applicate ai componenti dell’organo di gestione o alle altre persone fisiche titolari di poteri di amministrazione, direzione e controllo all’interno dell’ente, ove venga accertata la loro responsabilità. Sarà altresì possibile sanzionare come illecito amministrativo le violazioni gravi, reiterate e con carattere di sistematicità, delle disposizioni di legge in materia di adeguata verifica della clientela, segnalazione di operazioni sospette, conservazione dei documenti e controlli interni. La gravità delle violazioni si dovrà desumere dalla natura del soggetto responsabile, se persona fisica o giuridica, dalla gravità del danno cagionato, dall’intensità del dolo o del grado della colpa, infine dall’entità del profitto complessivamente ricavato. In relazione alla misura delle sanzioni sarà prevista a seconda della gravità : la pubblicazione sui giornali degli estremi della persona fisica o giuridica responsabile, un’ordinanza inibitoria, ovvero una sospensione o revoca di autorizzazione o altra abilitazione, l’interdizione temporanea dall’esercizio delle funzioni per gli amministratori fino a cinque anni ed infine sanzioni amministrative pecuniarie con minimo edittale non inferiore a 2.500 euro, e con massimo equiparato al doppio dell’importo dei profitti ricavati dalle violazioni accertate, quando tale importo potrà essere determinato e comunque non inferiore a un milione di euro. Per gli enti creditizi e finanziari le sanzioni pecuniarie potranno variare in caso di violazioni gravi, ripetute o sistemiche o plurime da 30mila euro al 10% del fatturato, per le presone fisiche responsabili da 10mila a 5 milioni di euro. Per le violazioni di scarsa offensività e pericolosità invece sarà prevista una sorta di avvertimento formale a interrompere e astenersi dal comportamento vietato ed in caso di perseveranza l’applicazione di sanzioni maggiorate. Nel caso delle sanzioni amministrative, come recentemente ricordato dalla Corte costituzionale, non è applicabile se non espressamente previsto dal legislatore il principio di retroattività della legge più favorevole. Reati tributari: "aggredibilità" prioritaria ai beni della società di Giuseppe Amato Il Sole 24 Ore, 5 settembre 2016 Corte di cassazione - Sezione III penale - Sentenza 7 luglio 2016 n. 28225. In tema di reati tributari, commessi dal legale rappresentante o da altro organo di una persona giuridica, non è consentito procedere al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di costoro, quando sia possibile il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario in capo alla stessa persona giuridica o comunque a persona non estranea al reato. Lo ha deciso la terza sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 28225 del 7 luglio 2016. I precedenti - A far data dalla nota sentenza delle sezioni Unite, 30 gennaio 2014, Gubert, la giurisprudenza è nel senso che, in tema di reati tributari, commessi dal legale rappresentante o da altro organo di una persona giuridica, è possibile il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità della persona giuridica. Mentre, solo in caso di impossibilità, anche solo transitoria, del sequestro diretto del profitto del reato, è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi. Ciò con la precisazione che il sequestro diretto del profitto (corrispondente all’ammontare dell’imposta evasa, comprensivo del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributario), stante la natura fungibile del denaro, può colpire sia la somma che si identifica proprio in quella che è stata acquisita attraverso l’attività criminosa, sia la somma corrispondente al valore nominale, ovunque sia stata rinvenuta e comunque sia stata investita (titoli, valori, beni mobili, beni immobili; anche di recente sezione III, 30 aprile 2015, Giussani che, proprio da queste premesse, ha annullato con rinvio l’ordinanza di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente eseguito a carico degli amministratori della società, chiamati a rispondere dell’illecito tributario, senza che fosse stata prioritariamente indagata l’esistenza nel patrimonio della società, debitore dell’imposta evasa, di beni direttamente o indirettamente riconducibili al profitto del reato). La necessaria specificità dei motivi di appello Il Sole 24 Ore, 5 settembre 2016 Impugnazioni - Appello del P.M. contro la sentenza di assoluzione - Assenza di specificità - Inammissibilità dell’impugnazione. È inammissibile l’appello che si limiti alla mera riproposizione dei temi già valutati insufficienti o inidonei dal giudice di primo grado senza specifica confutazione del fondamento logico e fattuale degli argomenti svolti in sentenza, trattandosi di impugnazione inidonea ad orientare il giudice di secondo grado verso la decisione di riforma. • Corte cassazione, sezione VI, sentenza 21 giugno 2016 n. 25711. Impugnazioni - Appello - Specificità dei motivi - Parametri di valutazione. L’inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi deve essere esclusa quanto sono identificabili, con accettabile precisione, i punti cui si riferiscono le doglianze e le ragioni essenziali delle medesime, in considerazione della natura di tale specifico mezzo di impugnazione, nonché del principio del favor impugnationis. • Corte cassazione, sezione VI, sentenza 27 gennaio 2016 n. 3721. Impugnazioni - Appello - Forma - Necessaria specificità dei motivi di appello. La specificità che deve caratterizzare i motivi di appello va intesa in rapporto alla funzione dell’impugnazione, nel senso che il motivo, per indirizzare la richiesta decisione di riforma della sentenza impugnata, deve contenere nelle linee essenziali le ragioni che confutano o sovvertono sul piano logico e strutturale le valutazioni del primo giudice, non essendo sufficiente la mera riproposizione di temi reputati in primo grado insufficienti o inidonei. • Corte cassazione, sezione VI, sentenza 8 gennaio 2016 n. 546. Impugnazioni - Appello - Specificità dei motivi - Necessità. È inammissibile l’appello che non contenga l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta, in quanto il principio secondo cui la specificità dei motivi deve essere valutata alla luce della funzione dell’impugnazione e con minor rigore rispetto al giudizio di legittimità, non può comportare la sostanziale elisione dei requisiti indicati dall’articolo 581 cod. proc. pen. • Corte cassazione, sezione V, sentenza 28 settembre 2015 n. 39210. Cremona: detenuto trovato morto in cella, forse per cause naturali. Chiesta l’autopsia cremonaoggi.it, 5 settembre 2016 Un detenuto straniero di soli 39 anni è morto ieri nel carcere di Cremona. L’uomo è stato rinvenuto da un’agente di Polizia penitenziaria che era in servizio presso il reparto, insospettito dall’eccessivo immobilismo dell’uomo, che ad un primo sguardo sembrava solo addormentato. A darne notizia è il sindacato di polizia Sappe di Cremona. Si presume che il decesso sia dovuto a cause naturali. "Immediatamente sono stati chiamati i soccorsi e sul posto sono arrivati i medici del 118, che hanno tentato in tutti i modi di rianimarlo, senza però riuscirci" spiega Alfonso Greco, segretario regionale Sappe della Lombardia. "Il giovane era stato condannato in via definitiva per reati contro il patrimonio, con fine pena a fine 2018. Attualmente sono in corso accertamenti autoptici disposti dal pubblico ministero di turno". "La situazione nelle carceri resta allarmante: altro che emergenza superata!" aggiunge il segretario nazionale Donato Capace. "Dal punto di vista sanitario è semplicemente terrificante: secondo recenti studi di settore è stato accertato che almeno una patologia è presente nel 60-80% dei detenuti. Questo significa che almeno due detenuti su tre sono malati. Tra le malattie più frequenti, proprio quelle infettive, che interessano il 48% dei presenti. A seguire i disturbi psichiatrici (32%), le malattie osteoarticolari (17%), quelle cardiovascolari (16%), problemi metabolici (11%) e dermatologici (10%)". Insomma, episodi come quello di Cremona preoccupano non poco il sindacato di polizia. "Altro che dichiarazioni tranquillizzanti, altro che situazione tornata alla normalità. I problemi del carcere sono reali, come reale è il dato che gli eventi critici nei penitenziari sono in aumento da quando vi sono vigilanza dinamica e regime aperto per i detenuti", conclude il leader del Sappe. "Quelli del carcere non sono problemi da nascondere come la polvere sotto gli zerbini, ma criticità reali da risolvere. I numeri dei detenuti in Italia sarà pure calato, ma le aggressioni, le colluttazioni, i ferimenti, i tentati suicidi e purtroppo anche le morti per cause naturali si verificano costantemente, spesso a tutto danno delle condizioni lavorative della Polizia Penitenziaria che in carcere lavora 24 ore al giorno". Bologna: schedati i detenuti, test del Dna a chi esce dal carcere di Giuseppe Baldessarro La Repubblica, 5 settembre 2016 Prima di lasciarsi alle spalle il portone della Dozza ognuno di loro dovrà lasciare il proprio Dna. È l’ultimo passaggio a cui tutti i detenuti del carcere di Bologna devono sottoporsi, secondo le direttive ministeriali, prima di riavere la libertà. Dal 10 giugno scorso sono già oltre 150 gli ex detenuti a cui tra le mura della Dozza è stato prelevato il profilo genetico destinato ad essere conservato in una banca dati internazionale a cui potranno accedere le forze di polizia europee. L’obiettivo è quello di catalogare tutti coloro che, per un verso o per l’altro, hanno avuto guai con la giustizia italiana a prescindere dalla nazionalità, dalla fede religiosa, dai costumi e dai reati eventualmente commessi. Per il momento, secondo quanto spiega la direttrice dell’istituto, Claudia Clementi, si sta procedendo ai prelievi dei detenuti in uscita, ma compatibilmente con la dotazione dei kit forniti dall’amministrazione centrale, presto ad essere catalogata sarà l’intera popolazione carceraria. La decisione di attrezzarsi con una banca dati del Dna risale al marzo scorso quando il Consiglio dei Ministri ha dato vita a un database atteso da anni. Uno strumento importante a fronte di una criminalità che è sempre più moderna e che attraversa i confini, ma diventato ancor più attuale ora, in piena emergenza terrorismo. Il regolamento approvato dal Governo disciplina lo scambio dei dati sul Dna per "finalità di cooperazione transfrontaliera e per finalità di collaborazione internazionale di polizia". La banca dati, spiegano al Ministero dell’Interno, sarà collocata presso il dipartimento della Pubblica Sicurezza, mentre il laboratorio centrale sarà presso il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - Direzione generale dei detenuti e del trattamento, del Ministero della giustizia. Il regolamento stabilisce le tecniche e modalità di acquisizione dei campioni biologici, di gestione e tipizzazione dei profili del Dna, e di alimentazione e gestione della banca dati stessa. Si ha tuttavia il diritto di essere cancellati dalla banca dati, ad esempio a seguito di assoluzione con sentenza definitiva perché il fatto non sussiste, perché l’imputato non ha commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato. Egualmente, i dati saranno distrutti a seguito di identificazione di cadavere o di resti cadaverici, e del ritrovamento di persona scomparsa e, naturalmente, quando le operazioni di prelievo sono state compiute illegalmente. A suo tempo il ministro Angelino Alfano spiegò come il provvedimento è stato assunto a livello europeo e che "consentirà l’archiviazione di dati, dal punto di vista scientifico, che saranno importantissimi sia nella lotta al terrorismo che in quella alla criminalità organizzata e nel contrasto all’immigrazione irregolare". Frosinone: carceri che scoppiano, la Fns-Cisl lancia l’allarme ciociariaoggi.it, 5 settembre 2016 Carceri che scoppiano. Piene zeppe fino all’inverosimile, all’interno delle quali quasi un terzo della popolazione è composta da stranieri. I detenuti non italiani presenti nei penitenziari della Ciociaria sono 285, su un totale di 927. Comparando i numeri pervenuti rispetto al mese scorso, anche nel resto del Lazio aumentano ulteriormente. I reclusi in sovraffollamento risultano più 704, rispetto al dato regolamentare che è di 5.267 detenuti. Al 31 agosto 2016 le presenze erano 5.971 mentre al 31 luglio ammontavano a 5.888. Gli istituti che hanno più sovraffollamento sono Rebibbia, Rieti, Civitavecchia, Frosinone, Cassino, Regina Coeli, Velletri e Viterbo. È quanto denuncia la Fns Cisl Lazio che chiede una maggiore consistenza effettiva di personale di polizia penitenziaria che consenta lo svolgimento del proprio servizio nelle migliori condizioni lavorative utilizzando, ove non ancora esistenti, sistemi di video sorveglianza utili a garantire la sicurezza degli istituti e del personale tutto. A Cassino la capienza regolamentare è di 203 ma i detenuti presenti sono 292: 124 stranieri. A Frosinone la capienza è di 505 ma i detenuti sono 555: gli stranieri sono 148. La capienza regolamentare di Paliano è di 143 unità: i detenuti presenti sono 80, le donne sono 4 e gli stranieri 13: "L’adozione di misure come il decreto svuota carceri ha fatto sì che i detenuti usciti dagli Istituti penitenziari del Lazio per effetto della ex L.199/2010 dall’entrata in vigore della legge ad oggi, risultano essere inferiori rispetto al passato ma di certo non ha risolto il problema del sovraffollamento delle carceri. I dati analizzati comprendono il numero complessivo di usciti dagli istituti penitenziari per adulti dall’entrata in vigore della legge e successive modifiche. Non comprende, invece, i casi in cui il beneficio sia concesso dallo stato di libertà. Nel numero complessivo vengono conteggiati gli usciti per i quali la pena risulta già scontata e i casi di revoca ad esempio per commissione di reati o irreperibilità". Santa Maria Capua Vetere (Ce): raccolta fondi in carcere a favore dei terremotati Il Mattino, 5 settembre 2016 Ammonta a 1.309 euro la somma di danaro raccolta da un considerevole numero di detenuti ristretti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, somma che hanno raccolto con lo scopo di destinare alla popolazione colpita dal recente sisma nel Lazio e zone limitrofe. A seguito del tragico evento, rende noto la direzione del carcere nella persona della dottoressa Carlotta Giaquinto, i detenuti hanno voluto offrire un contributo in segno di vicinanza e solidarietà alle persone colpite dall’immane tragedia del sisma che ha ucciso circa trecento persone e lasciato migliaia persone senza casa. L’iniziativa è stata pienamente apprezzata e condivisa dalla direzione carceraria in quanto ha un enorme valore simbolico a dimostrazione della generosità che quasi sempre caratterizza coloro che soffrono. Ariano Irpino (Av): detenuto al lavoro nell’orto sociale con la Cooperativa Sociale Artour di Gianni Vigoroso ottopagine.it, 5 settembre 2016 Anche la Caritas di Ariano e la Cooperativa Sociale Artour hanno voluto festeggiare la giornata del creato, attraverso un semplice gesto quello del lavorare la terra. Presso l’orto sociale in via Vittorio Emanuele, è stato consegnato il motozappa nuovo che ha permesso a Giovanni, detenuto presso la casa circondariale di Ariano Irpino, dopo circa un mese di duro lavoro per la pulizia del pezzo di terra pieno d’erbacce, di poter lavorare la terra e prepararla per la coltivazione degli ortaggi. Un piccolo gesto che vale molto per tanti. Una nuova opera di misericordia: "Niente unisce maggiormente con Dio che un atto di misericordia - sia che si tratti della misericordia con la quale il Signore ci perdona i nostri peccati, sia che si tratti della grazia che ci dà per praticare le opere di misericordia in suo nome". Parafrasando san Giacomo: "la misericordia senza le opere è morta in sé stessa. A causa dei mutamenti del nostro mondo globalizzato, alcune povertà materiali e spirituali si sono moltiplicate, diamo quindi spazio alla fantasia della carità per individuare nuove modalità operative. In questo modo la via della misericordia diventerà sempre più concreta". Due appelli: 1) Se avete della terra che avete abbandonato o che non coltivate più e la volete mettere a disposizione con Comodato d’uso gratuito per opere sociali potete contattarci sul 339/7009838 oppure via mail arianotour@libero.it; 2) Se volete fare un offerta per gli acquisti delle attrezzature per l’orto sociale, rivolgetevi alla Coop. Soc. Artour. Grazie. Palermo: parte la stagione teatrale nell’istituto penitenziario di Pagliarelli Redattore Sociale, 5 settembre 2016 Sabato sera il primo spettacolo nella struttura più grande del Mezzogiorno. Tra il pubblico 160 detenuti e 100 ospiti esterni per l’iniziativa curata da Federteatri e dall’associazione "Un nuovo giorno". La direttrice del penitenziario, Francesca Vazzana: "Così il carcere diventa spazio aperto dove apprendere e fare cultura insieme". La struttura penitenziaria più grande del Mezzogiorno apre le porte alla "società civile" per riuscire a fare cogliere la bellezza della vita a partire dall’arte teatrale". È questo il pensiero di fondo che ha spinto, ieri sera, all’interno della casa circondariale Pagliarelli di Palermo, Federteatri e l’associazione "Un nuovo giorno" in collaborazione con diverse associazioni ad avviare la stagione teatrale 2016/17 del teatro Savio con un calendario molto ricco di eventi. Cento ospiti esterni, per ogni rappresentazione, potranno accedere al teatro e contribuire anche con la loro presenza al percorso di integrazione sociale di chi sta scontando la sua pena. La casa circondariale Pagliarelli dove vi operano circa 600 operatori penitenziari, attualmente accoglie nella sua sezione maschile e femminile 1.200 reclusi. Gli spettacoli si terranno tutti all’interno del campo di calcio del carcere. Ieri sera la conferenza di presentazione degli eventi, moderata dalla giornalista Anna Cane, a cui hanno preso parte il direttore dell’istituto penitenziale Francesca Vazzana, il presidente di Federteatri Francesco Giacalone, il direttore artistico Alessio Scarlata, la presentatrice Licia Raimondi e infine, il consigliere comunale Giulio Cusumano che, insieme ad Antonella Macaluso (presidente dell’associazione "Un nuovo giorno") è l’ideatore e promotore dell’iniziativa. Ieri sera si è svolto il primo spettacolo di inaugurazione a cui hanno assistito 160 detenuti ed un pubblico esterno di circa 100 persone con "CantAutori d’Italia" kermesse musicale di produzione del Teatro Savio con la Band "Stilelibero" e le voci soliste di Alessio Scarlata e Nunzia Sposito. Tutti gli spettacoli saranno in diretta sulle frequenze radiofoniche e sul canale 646 del digitale terrestre di Radio Tivù Azzurra. Tra gli ospiti presenti ha parlato anche Lucia Vincenti autrice del libro " Come il volo di un gabbiano" in cui racconta proprio la storia di una detenuta del carcere Pagliarelli. "Il carcere, inteso come luogo di incontri e condivisione - sottolinea la direttrice del carcere Francesca Vazzana, diventa spazio aperto dove apprendere e fare cultura insieme. Per la prima volta, infatti, entra tra i calendari artistici dei teatri palermitani anche quello del carcere Pagliarelli. L’iniziativa si inserisce nel quadro più ampio del processo di rieducazione e di reintegrazione di persone che usciranno presto dal carcere e che hanno bisogno, certamente, del nostro aiuto per reinserirsi nella società". "Ringraziamo stasera tutte le realtà che hanno sostenuto l’iniziativa - afferma commossa Antonella Macaluso, presidente dell’associazione ‘Un nuovo giorno’ e promotrice dell’iniziativa -. Per aiutare a vario livello chi si trova in carcere dobbiamo trovare insieme tante strade. Quella del teatro come quella dei laboratori e di tutte le attività che possono coinvolgere i detenuti è sicuramente un percorso educativo di crescita culturale significativo". "Questo è sicuramente un percorso vincente - dice pure la psicologa Rosaria - perché riesce a coniugare armonicamente l’aspetto terapeutico e pedagogico con il percorso di crescita personale e relazionale tra loro e noi che viviamo all’esterno". "Abbiamo deciso di portare avanti questa iniziativa dopo che ci siamo resi conto che il primo esperimento teatrale, portato avanti dall’associazione Meravigliosamente grazie all’impegno di Annamaria Esposito con il gruppo di detenuti con disagio psichico, era stato un successo - spiega il consigliere comunale Giulio Cusumano -. Abbiamo pensato quindi che, forti del messaggio che la vita non va sprecata ma valorizzata da tutti i punti di vista, fosse ancora più importante estendere e organizzare la partecipazione a degli eventi teatrali ad altri detenuti aprendoci anche ad un pubblico esterno". "Siamo molto soddisfatti e contenti - continua il presidente di Federteatri Sicilia Francesco Giacalone - che all’iniziativa hanno deciso di esserci molti artisti impegnati in Sicilia a vario livello. Siamo fieri quindi di poter aprire il dodicesimo teatro a Palermo proprio all’interno del carcere Pagliarelli". Arienzo (Ce): progetto in carcere, tre laboratori per realizzare uno spettacolo teatrale napolitime.it, 5 settembre 2016 Il 22 agosto scorso ha preso il via la nuova iniziativa di Koinè sostenuta dal CSV Asso.Vo.Ce attraverso il bando della Microprogettazione Sociale 2014-2015. Un nuovo progetto dal titolo "Oltre le mura", con il quale la rete proponente vuole accorciare le distanze tra il mondo libero e il mondo carcerario, al fine di costruire nell’immaginario collettivo una visione diversa del carcere: "non un luogo punitivo, ma un altro quartiere della città". È questa la mission della Casa Circondariale di Arienzo, diretta dalla dottoressa Maria Rosaria Casaburo, che ha voluto fortemente il progetto, e da diversi anni si avvale della collaborazione dell’associazione Koinè. La direttrice Casaburo è una fervente sostenitrice della attività trattamentali a favore dell’inclusione sociale dei detenuti. Numerosi sono i progetti e le attività in corso all’interno della Casa Circondariale, grazie anche al lavoro instancabile delle educatrici, le dottoresse Rosaria Romano e Francesca Pacelli. Il progetto andrà ad integrare le capacità e le abilità del Volontariato esistente sul territorio per favorire l’inclusione sociale dei detenuti della Casa Circondariale di Arienzo, attraverso l’attuazione di strategie innovative per facilitare l’integrazione tra detenuti e comunità locale. Il progetto vuole intervenire su fenomeni sociali legati alla condizione del detenuto, offrendo una concreta opportunità per riallacciare i legami con il mondo esterno grazie allo svolgimento di attività creative e le uscite dal carcere per le rappresentazioni teatrali. Nello specifico il progetto consiste nell’attuazione di tre laboratori finalizzati alla messa in scena di uno spettacolo teatrale. Il primo laboratorio è di scrittura teatrale - che è stato già avviato il 22 Agosto - attraverso il quale i detenuti sotto la guida di un tutor arriveranno alla stesura di un testo teatrale. Poi seguirà il laboratorio di recitazione e di scenografia e costumi. A conclusione dei laboratori partirà un breve tour con lo spettacolo teatrale interamente realizzato dai detenuti che girerà per la provincia di Caserta. I tre laboratori e lo spettacolo teatrale saranno documentati da un prodotto audiovisivo che andrà sul web attraverso i canali di youtube della rete proponente. L’obiettivo del documentario è quello di sensibilizzare la società civile sul tema dell’inclusione sociale. Migranti. I piccoli Aylan e noi. La potenza del futuro di Eraldo Affinati Avvenire, 5 settembre 2016 Un anno fa, guardando l’immagine raccapricciante del piccolo Aylan riverso sulla battigia di Bodrum, in Turchia, dopo il fallito tentativo di raggiungere l’isola greca di Kos, mi erano venuti in mente alcuni versi di Vittorio Sereni: "Non sa più nulla, è alto sulle ali / il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna". Il grande poeta italiano, prigioniero in Algeria durante la Seconda guerra mondiale, aveva immaginato che qualcuno di notte gli toccasse le spalle "mormorando / di pregar per l’Europa" nei giorni cruciali dello sbarco alleato sulle coste di Francia. A quel tempo il Vecchio Continente, pur essendo chiuso nella morsa del nazismo, anzi, forse proprio a causa di tale condizione coatta, pareva vitale, pronto a contrapporsi alla barbarie totalitaria. E qualche spirito indomito, al confino nella sperduta isola di Ventotene, recuperando certi spunti profetici di Giuseppe Mazzini, sognava addirittura una nuova federazione che riunisse in un unico organismo tutti i vecchi Stati nazionali. Chi poteva formulare al recluso, nel vento che faceva musiche bizzarre proveniente dal deserto, una richiesta così ardita, se non lo stesso spirito del soldato ucciso? La risposta dell’interpellato, lancinante nella sua forza propositiva, cambia in modo radicale tutta la questione: "Ma se tu fossi davvero / il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna - scrive Vittorio Sereni - prega tu se lo puoi, io sono morto / alla guerra e alla pace". È, al tempo stesso, una dichiarazione di sconfitta e una voglia di rivalsa. Come se lo scrittore affermasse la propria impotenza, ma decidesse di affidare allo scomparso, vittima sacrificale, il compito che lui, affranto e disilluso, non riesce ad assolvere. Nel medesimo senso, se noi prendessimo sul serio il formidabile ribaltamento lirico, allora dovremmo provare a pensare ad Aylan come colui che adesso, dovunque si trovi, dovunque lo pensiamo, nelle braccia di Dio o in un empireo celeste o nella fossa dei vermi, sta pregando per noi, forse più del suo coetaneo Omran, seduto sull’ambulanza, le croste di polvere sul viso, gli occhi sbarrati, scampato non si sa come ai bombardamenti di Aleppo. Questo esercizio spirituale, chiamiamolo così, lo potrebbe fare anche un non credente: Aylan (ricordate?, sembrava quasi addormentato con la faccia nella sabbia, finché il poliziotto turco non andò pietosamente a raccoglierlo) è entrato nella coscienza occidentale alla maniera di un tatuaggio interiore, al punto che da quel momento le politiche dell’accoglienza subirono un’inversione di tendenza. Perfino i burocrati di Maastricht hanno un cuore. Non che gli orientamenti siano davvero cambiati, tuttavia ancora oggi, a un anno di distanza, siamo di fronte a una scena indelebile in grado di orientare le scelte da compiere. Fuori o dentro di noi, il piccolo migrante, nella sua assoluta vulnerabilità, incarna una richiesta di aiuto che purtroppo continua a non essere esaudita. Dal giorno della sua morte abbiamo contato più di quattromila vittime soltanto nel Mar Mediterraneo: una pozza di sangue innocente dentro le acque cristalline dove noi andiamo in vacanza. Si tratta di cifre destinate a crescere in questa Europa paradossalmente assai più fragile di quella che, oltre settant’anni fa, trovò dentro di sé le energie e gli ideali necessari per sollevarsi dal giogo del totalitarismo. Siamo insicuri, timorosi del confronto vero, troppo concilianti rispetto ai nostri stessi desideri che, prima ancora di venire soddisfatti, dovrebbero essere provati, in modo da dare senso alle parole che pronunciamo e valore alle esperienze vissute. I minori non accompagnati aumentano sempre di più, proprio nel momento in cui le nascite, soprattutto in Italia, diminuiscono: li vediamo ogni giorno nelle aule scolastiche seduti insieme ai nostri figli. Molti vorrebbero respingerli, o dimenticarli, quasi fossero corpi estranei. Ma questi bambini rappresentano l’alba dell’umanità. Non si possono fermare: hanno la potenza del futuro, sono qui per accendere il fuoco anche per noi. Migranti. Appello Ue al G20: "Siamo al limite, il mondo condivida le responsabilità" La Stampa, 5 settembre 2016 Renzi: "Mi fanno piacere le parole di consapevolezza di Tusk e Juncker, ma ora aspettiamo che arrivino i fatti". "L’Europa è vicina al limite" sulla sua capacità nell’accogliere nuovi flussi di rifugiati. È l’appello lanciato dai vertici delle istituzioni europee a margine del summit del G20 in Cina, sollecitando la comunità dei più grandi del mondo a condividere la responsabilità del fenomeno. Maggior impegno nella crisi dei migranti - Durante una conferenza stampa che ha preceduto l’inizio del vertice, il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, e della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, hanno sottolineato la necessità che il G20 offra più risposte alla crisi del rifugiati, visto che l’Europa ed alcuni Paesi della zona hanno fatto un sacrificio "sproporzionato". "È una sfida globale che richiese soluzione globale", ha detto Tusk, ricordando che i meccanismi per superare questa crisi "stanno arrivando al limite". "La comunità del G20 - ha detto il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk - deve iniziare a condividere la responsabilità del fenomeno: ci sono 65 milioni di persone in fuga nel mondo e 4 milioni quelli che hanno dovuto lasciare la propria casa nella sola Siria". "La commissione sta lavorando nella preparazione di un ambizioso piano di investimenti esterni, usando fondi pubblici per attrarre capitali privati. Dobbiamo combattere contro le rotte dei migranti, nei Paesi di transito, e questo è il motivo per cui abbiamo deciso di estendere il nostro piano al mondo esterno". Ue, come affrontare la crisi - "La nostra strategia per la crescita - il virtuoso triangolo investimenti-riforme-controllo dei conti sta funzionando: le riforme portano risultati - ha detto Juncker. Tuttavia a questo summit abbiamo bisogno urgente che i nostri partner del G20 implementino le strategie di crescita già accordate". "Dopo anni di crisi - ha aggiunto - dobbiamo dimostrare che possiamo produrre una crescita di lungo termine e restituire fiducia". "La Cina acceleri le riforme nel settore siderurgico" - I due leader europei, Juncker e Tusk, hanno poi chiesto che la Cina acceleri le riforme nel settore siderurgico e che il G20 risponda alle aspettative che si sono generate a livello internazionale per mettere in moto l’economia mondiale. "Dopo anni di crisi dobbiamo mostrare che siamo i grado di promuovere la crescita e creare fiducia", ha detto Juncker. I leader europei hanno chiesto anche al vertice che discuta i problemi provocati dall’eccesso di capacità industriale della Cina, soprattutto nel settore del ferro. "Siamo decisi a difendere gli interessi della siderurgia dell’Ue", ha detto Juncker, sottolineando che si tratta di "un altro problema globale, in una specifica dimensione cinese". Ue, con Brexit non diventiamo nemici della Gran Bretagna - Juncker rispondendo ad una domanda sulla Brexit nel corso dell’incontro con la stampa ha detto: "Gli inglesi hanno votato. Noi rispettiamo quel voto: non significa la fine dell’Ue e del percorso di costruzione a 27. Noi non diventiamo nemici della Gran Bretagna che è e resta un partner vicino per molte ragioni". Da parte sua il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, è invece intervenuto per ribadire la posizione "cristallina" dell’Europa: "nessun negoziato prima della ratifica" dell’uscita. "Dobbiamo proteggere gli interessi dei paesi che vogliono stare e rimanere nell’Unione non di quelli che vogliono lasciare". Renzi: anche da G20 nostro pensiero ai terremotati - "Anche qui in questo momento, nonostante siamo su discussioni di politica internazionale, la nostra mente, il nostro cuore e il primo pensiero vanno ai nostri connazionali costretti anche stasera a stare nelle tende". Lo ha detto il premier Matteo Renzi in una conferenza stampa al G20 in Cina, aggiungendo che "un pensiero" ai terremotati italiani è stato espresso anche "dal presidente cinese Xi Jinping e dagli altri capi di Stato e di governo" presenti. Renzi ha inoltre reso noto di aver avuto "contatti" con il capo della protezione civile Fabrizio Curcio in una pausa dei lavori del G20 "sul lavoro che si sta facendo" nelle zone terremotate. Renzi: "Sui migranti Ue ha uno sguardo miope, aspettiamo ancora i fatti" - "Mi fanno piacere le parole di consapevolezza di Tusk e Juncker, ma ora aspettiamo che arrivino i fatti". Lo ha detto Matteo Renzi, parlando di migranti, a margine del G20. "L’Europa ha uno sguardo miope: l’Italia è in linea con gli arrivi, intorno ai 120mila, lo stesso livello dello scorso anno. Ma non possiamo pensare di accogliere tutti, dobbiamo salvare tutti perché questo richiede l’umanità, ma poi sappiamo che parte di questi non hanno diritto di stare in Italia e vanno rimpatriati -ha spiegato il premier-. L’Europa dovrebbe scegliere di accettare la linea del rimpatrio europeo, così l’Europa fa un investimento con i singolo Paesi, crea occasioni di sviluppo salva le vite e dà futuro a queste persone che non possono stare tutti in Europa e in Italia". Il premier ha sottolineato: "Non siamo al collasso, chi utilizza queste espressione non si rende conto, ma non possiamo pensare che si continui a fare tutto noi". L’ascesa dei populisti fa tremare le cancellerie europee: così Bruxelles cerca di arginarli di Marco Bresolin La Stampa, 5 settembre 2016 Sale la preoccupazione in vista del voto in Austria e del referendum in Ungheria. Le politiche migratorie e la solidità delle leadership nazionali. Negli uffici che contano di Bruxelles, l’interpretazione del voto di ieri in Meclemburgo-Pomerania è duplice. Perché l’affermazione dell’Afd, partito populista dell’estrema destra tedesca, ha un effetto su due fronti. Magari non sarà stravolgente nell’immediato, ma si tratta dell’ennesimo campanello d’allarme. Nell’autunno europeo potrebbero suonarne parecchi e l’Ue - temono a Bruxelles - rischia di trovarsi a un punto di non ritorno. Il calendario è fitto. Le prossime date-chiave sono il 2 ottobre (referendum anti-migranti in Ungheria e presidenziali in Austria) e, soprattutto, il referendum italiano. A oggi, assicurano fonti vicine al presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, è quello il vero verdetto-clou per l’Europa. Il duplice effetto - I due capitoli toccati dall’ondata populista in Germania sono ovviamente interconnessi: da un lato la politica di apertura ai migranti, avviata un anno fa dal governo tedesco e in linea con l’Europa, subisce un’altra bocciatura. Dall’altro la leadership di Angela Merkel, che continua a essere il capo di governo più influente a Bruxelles, è giorno dopo giorno più debole. Sul dossier migranti, l’Ue non è certo intenzionata ad arretrare. Barriere e respingimenti "tout court" non sono considerati la giusta soluzione per affrontare l’ondata di arrivi. L’Europa continuerà a difendere, finché potrà, l’accordo con la Turchia, avvierà un piano di investimenti nei Paesi di origine per frenare le partenze e continuerà nell’opera di persuasione sui singoli Stati per una maggiore solidarietà. C’è da completare l’avviato processo di redistribuzione dei richiedenti asilo, che avanza sempre più a rilento (in un anno meno di 4500 sono stati effettivamente trasferiti da Italia e Grecia, su un totale di 160 mila da rilocare entro settembre 2017). Ricette in discussione - Non cambia la linea, dunque. Ma con simili risposte dai cittadini nelle urne, ci si interroga se queste ricette siano quelle giuste. Il 2 ottobre sarà una data chiave per la questione immigrazione. In calendario ci sono le presidenziali austriache e un’affermazione di Norbert Hofer, che si gioca la rivincita dopo aver perso al ballottaggio contro l’ex verde Van der Bellen (voto contestato e poi annullato), metterebbe Vienna nelle mani di un Presidente che vuole "fermare l’invasione" dei migranti, ridurre l’assistenza minima garantita ai profughi e che considera l’Ue "un’unione di debiti e di responsabilità per conto terzi". E poi c’è il referendum in Ungheria, dove il premier Viktor Orban sta facendo un’intensa campagna per dire "No" al progetto dell’Ue che prevede un’equa ripartizione dei richiedenti asilo tra gli Stati membri. La bocciatura delle quote da parte di Budapest sarebbe l’ennesima bocciatura all’Europa in una consultazione popolare, come è successo nell’aprile scorso in Olanda (respinto l’accordo di associazione Ue-Ucraina) e a giugno con la Brexit. Il peso di Berlino - C’è poi la questione delle leadership nazionali. Tra un anno ci saranno le elezioni politiche a Berlino e non è certo che Merkel si ricandidi. Un’uscita di scena, anticipata da un declino della sua popolarità, è destinata a smuovere anche gli equilibri in Europa. Magari questo sarà un bene per chi contesta lo strapotere tedesco e vorrebbe una diversa distribuzione dei pesi dei vari Stati anche in vista dell’uscita di scena della Gran Bretagna. Ultimamente, fanno notare a Bruxelles, i rapporti tra Merkel e Juncker si sono raffreddati notevolmente. Ma l’idea di una Germania con una Afd forte fa paura a tutti. La foto di Ventotene - "Il tramonto di Merkel è vicino, Hollande è ormai praticamente finito. L’unico leader su cui ci sentiamo di puntare per il futuro è Matteo Renzi". Una fonte vicina a Juncker riassume così il pensiero del presidente della Commissione Ue, determinato a sostenere il referendum italiano sulle riforme istituzionali. A Bruxelles temono che una vittoria del "No" possa provocare un’instabilità politica in Italia, con importanti ripercussioni a Bruxelles. Nel giro di un anno la foto di Ventotene rischierebbe di diventare un cimelio del passato. Un’avanguardia con Berlino e Parigi: il piano italiano per la Difesa europea di Gianluca Di Feo La Repubblica, 5 settembre 2016 Il progetto. Subito un nucleo aggregatore con Germania e Francia e una task force operativa per missioni militari e civili. Poi i finanziamenti per sicurezza e armi hi-tech fuori dal Patto di stabilità: la proposta per la svolta. "Solo una dimensione comunitaria può garantire le risorse umane, scientifiche, organizzative ed economiche per gestire la portata delle sfide sul fronte della sicurezza". Di tanti dossier aperti sul tavolo di Bruxelles ce n’è uno sul quale il governo Renzi ha le idee molto chiare: la necessità di costruire una Difesa veramente europea. Così dopo il vertice di Ventotene, l’Italia presenta un documento che offre le linee guida per dare una svolta all’Unione. Un piano elaborato dai tecnici del dicastero di Roberta Pinotti in stretta collaborazione con la Farnesina, già illustrato per sommi capi dal presidente del Consiglio nel summit con Merkel e Hollande e che oggi verrà discusso con i ministri di Francia e Germania. Si tratta di un primo passo per rendere concreto il dibattito aperto dalla lettera di Pinotti e Gentiloni pubblicata su Le Monde, proseguito due giorni fa con un intervento di Federica Mogherini a Bratislava, e che prevede un doppio livello di azione. Ci sono le iniziative che si possono avviare subito, sfruttando gli accordi esistenti e la volontà di alcuni paesi guida. E quelle che richiedono invece l’approvazione di tutta la Ue, un obiettivo che si riconosce "ambizioso" e che verrebbe perseguito da "un nucleo aggregatore" di governi che in questo momento vede allineate Roma, Parigi e Berlino. I progetti hi-tech - Anzitutto c’è il problema delle risorse. Quando si discute di missioni da condurre all’estero o di armamenti d’ultima generazione, le capitali del Vecchio Continente sono sempre alle prese con il "vorrei ma non posso". Perché, come sottolinea il documento, "la complessità e il costo delle capacità operative e delle tecnologie richieste supera di gran lunga le possibilità realizzative di ogni singolo Stato". Ed ecco la proposta di incentivare la collaborazione tra le industrie con una defiscalizzazione per i programmi europei destinati a produrre mezzi d’avanguardia, ad esempio attraverso l’esenzione dall’Iva che oggi invece si paga pure per comprare caccia e sottomarini. Non solo. Si ipotizza di identificare altre forme di sovvenzione comunitaria e di includere i progetti più avanzati nei piani di finanziamento Ue per la ricerca. Ovviamente, anche in questo caso viene valutata l’opzione di limare i rigori del Patto di stabilità e includere nella voce "flessibilità’" i nuovi stanziamenti per la sicurezza che tutti i paesi alle prese con la minaccia del Daesh e le guerre sulle sponde del Mediterraneo sono obbligati a fare. Una mossa "inizialmente per un periodo sperimentale di pochi anni e limitatamente ad alcuni programmi di interesse strategico per l’Europa". Questo a patto che ci si chiarisca le idee e si decida insieme quali sono le "attività strategiche" per garantire alla Ue l’autonomia in quei settori che fanno la differenza. Un esempio? Oggi i droni sono tutti americani o israeliani, senza un solo modello operativo made in Europe. Ed è chiaro che agli indirizzi politici dovranno seguire intese tra le aziende "per favorire il processo di ristrutturazione e razionalizzazione industriale europeo". Le strategie - Prima di parlare di strumenti, però, bisogna delineare le strategie. Il percorso più semplice è quello di concepire un "libro bianco della Difesa europea" che indichi gli obiettivi comuni a medio e lungo termine - come ha fatto recentemente il governo italiano con la riforma promossa da Renzi, Pinotti e condivisa dal Quirinale - precisando quali reparti e quali mezzi sono necessari per raggiungerli. Ma già oggi il Trattato di Lisbona offre spazi di manovra: come le missioni affidate dal Consiglio Ue a un gruppo di stati membri e la possibilità di introdurre una "cooperazione strutturata permanente". In pratica, c’è la strada per impostare subito una serie di azioni concrete e varare gli organismi che le gestiscano. Allo stesso tempo bisogna lavorare per la nascita di una vera Europa della Difesa. Che partirebbe con fasi differenziate: "Il processo potrebbe inizialmente essere proposto e stimolato da alcuni paesi membri in grado sia di imprimere una forte spinta politica verso l’obiettivo di una dimensione europea di sicurezza e difesa, sia di presentare e far avanzare proposte concrete per la sua realizzazione". Subito in azione - Questa avanguardia potrebbe subito passare all’azione. Un "nucleo aggregatore" di Stati membri è in grado di mettere in comune uomini e fondi creando "una forza europea multinazionale con un mandato stabilito congiuntamente ovvero di un ente dotato di una opportuna struttura di comando strategico e di meccanismi decisionali e di bilancio comuni". Per dirigere la task force si propone un "ristretto gruppo di contatto a livello politico e militare" che individui i temi concreti e si coordini con le istituzioni europee: si tratterebbe di un "Direttorato centrale per le missioni militari e civili". Tra i compiti di questa troika della Difesa ci sarebbe la valorizzazione dei "centri di eccellenza esistenti nelle singole nazioni". Che significa? Ci sono alcune forze armate che hanno grande esperienza in alcuni settori e potrebbero offrirsi come referenti delle altre. L’Italia ha un primato nell’addestramento dei piloti militari e nelle missioni con i droni, Francia e Germania invece stanno allestendo una flotta di aerei da trasporto che noi non possediamo: invece di procedere in ordine sparso, perché non trovare il modo di condividere conoscenze e sistemi? Il futuro a Bruxelles - Questa avanguardia di paesi dovrebbe spingere per intensificare il dialogo politico tra i ministri della Difesa Ue, introducendo riforme organiche che coinvolgano i rappresentanti di tutte le altre 25 nazioni. Un processo che richiederà tempo. I trattati dell’Ue ora non prevedono vertici periodici tra i titolari di questi dicasteri, come invece avviene per Esteri, Interni ed Economia. Nel Parlamento europeo non esiste nemmeno una vera commissione Difesa, in cui affrontare questi temi che ormai sono diventati fondamentali per la sopravvivenza e il rilancio dell’Unione. È quello che sostenevano i padri fondatori nel Manifesto di Ventotene: solo un’Europa capace di difendersi autonomamente può garantire la pace. Una visione che sembrava superata nei decenni distensione e serenità che hanno segnato la crescita della Ue, ma che adesso è tornata drammaticamente attuale. Ankara rassicura sull’intesa migranti Il Sole 24 Ore, 5 settembre 2016 Dopo settimane di critiche, recriminazioni e attacchi verbali, l’Unione Europea e il governo turco hanno cercato tra venerdì e sabato di questa settimana di raffreddare i toni e trovare un nuovo modus vivendi. La muscolosa reazione di Ankara al tentativo di colpo di Stato a metà luglio aveva suscitato non poche preoccupazioni in Europa, provocando tensioni tra Bruxelles e Ankara. Ieri la stessa annosa questione della liberalizzazione dei visti è stata (per ora?) minimizzata dalla Turchia. "Sono venuto qui per discutere come possiamo migliorare ulteriormente la nostra collaborazione", ha detto in una conferenza stampa qui a Bratislava il ministro turco per gli affari europei Omer Celik, che ieri ha incontrato lungamente i ministri degli Esteri dei Ventotto, riuniti nella capitale slovacca per un vertice ministeriale. "Siamo stati qui oggi per discutere questioni comuni, e comuni valori politici, oggetto di minacce sia in Europa che in Turchia". L’incontro è giunto un mese dopo il tentato colpo di Stato ad Ankara. Il governo turco ha risposto al tentativo militare con un giro di vite particolarmente duro, e che ha provocato la viva reazione di molti governi europei. In queste settimane estive, l’accordo firmato da Ankara e Bruxelles per meglio gestire l’arrivo di migranti dal Medio Oriente è sembrato drammaticamente in forse, soprattutto perché la Turchia ha insistito per ottenere in cambio dell’intesa la liberalizzazione dei visti. Finora, i Ventotto si sono rifiutati di concedere questa possibilità in attesa che venga modificata in senso più liberale la legislazione anti-terrorismo della Turchia. In passato, Ankara aveva minacciato di abbandonare l’accordo con Bruxelles in assenza di una liberalizzazione dei visti. Ieri Celik è sembrato più morbido: "Continueremo ad applicare l’intesa fosse solo per motivi umanitari (…) Senza la liberalizzazione dei visti, la Turchia non parteciperà ad alcun nuovo meccanismo". La frase sembra indicare che Ankara continuerà bene o male ad applicare l’attuale accordo che ha permesso di rallentare i flussi verso Est. Ciò detto, Celik ha respinto qualsiasi cambiamento alla legge anti-terrorismo e criticato ancora una volta l’atteggiamento dell’Unione in occasione del colpo di Stato: "La Turchia non ha avuto sufficiente sostegno. Il popolo turco è stato deluso". La reazione europea è stata in parte influenzata dai dubbi sull’impronta autoritaria del presidente Recep Tayyip Erdogan. Ancora ieri alcuni ministri - come l’italiano Paolo Gentiloni - hanno messo l’accento sul rispetto dei diritti umani. Dal canto suo, l’Alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza Federica Mogherini ha spiegato: "Il messaggio che condividiamo è un impegno forte a dialogare, parlando meno dell’altro e più tra noi". Dietro al tentativo di normalizzazione dei rapporti vi sono i timori delle diplomazie europee per la nuova alleanza tra Mosca e Ankara, dall’esito incerto sugli equilibri politici nella regione. La stessa ipotesi di introdurre la pena di morte, criticata a Bruxelles, è stata minimizzata: "Non è in agenda", ha detto Celik. Ankara poi è pronta a ricevere i suggerimenti del Consiglio d’Europa sulle azioni giudiziarie contro i responsabili del golpe. Dopo le critiche reciproche, ieri i segnali turco-europei erano positivi, tanti sono gli interessi su entrambi i fronti di avere buoni rapporti. Tuttavia, è probabile che il rasserenamento possa essere presto messo alla prova dalla crisi siriana. L’intervento turco nel paese e la lotta di Ankara contro i curdi sono visti con preoccupazione da molti governanti europei. "Noi riteniamo che i curdi siriani siano una forza importante per combattere Daesh", ha notato lo stesso Gentiloni, ricordando che la Turchia invece sta combattendo i curdi in Siria, pur di evitare un loro ricongiungimento con i curdi turchi. Lo stesso ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier ha criticato venerdì l’intervento militare turco nel Paese. Turchia. Erdogan e il cinico realismo dei potenti del mondo di Antonio Ferrari Corriere della Sera, 5 settembre 2016 Ma pensare che gli Stati Uniti estradino un uomo libero come Fethullah Gülen senza prove documentali, è quantomeno ingenuo. Le fotografie, le agenzie, le immagini ci raccontano che il G20 ha trovato il suo "figliuol prodigo": il sultano turco Recep Tayyip Erdogan, che riceve gli omaggi di tanti protagonisti dei destini del mondo. Non è piaggeria, è cinico realismo. L’Unione europea, e in particolare la cancelliera Angela Merkel, lo vezzeggia perché alla Turchia che contiene il flusso di migranti non si può rinunciare. Il presidente russo Vladimir Putin elogia il suo nuovo e obbediente alleato regionale, pur conoscendo la storia e ben sapendo che le relazioni tra le due ex potenze imperiali (oggi non proporzionate nei rapporti di forza) non sono mai state durature. Gli altri partner europei, guardinghi, stanno prudentemente alla finestra. La Cina, con sperimentata e scaltra pazienza, dice la metà di quello che pensa. E poi ci sono gli Stati Uniti, la prima forza della Nato, di cui la Turchia è la seconda, almeno militarmente. È vero che il presidente Barack Obama è alla fine del suo secondo mandato. Ha fatto ciò che poteva fare, e a nostro avviso molto di più, ma è comprensibile che distribuisca attestati di comprensione a tutti, in attesa di consegnare responsabilità che toccheranno al suo successore. Ieri Obama, incontrando Erdogan, lo ha trattato da partner nobile, un trattamento che non sarà certo dispiaciuto al suo megalomane interlocutore. Il presidente ha detto: "Chi ha ordito il golpe la pagherà", lasciando intendere che l’America sarà pronta a sostenere le prove raccolte dall’insostituibile alleato. Il messaggio è chiaro come una medaglia a due facce. C’è chi l’ha interpretato come un’apertura verso l’estradizione in Turchia del nemico di Erdogan, Fethullah Gülen. Ma pensare che gli Usa estradino un uomo libero senza prove documentali, è quantomeno ingenuo. Mica siamo al suk, intendeva Obama, che sicuramente ne sa più di noi. L’appello alla Giordania: fate entrare i rifugiati siriani di Riccardo Noury Corriere della Sera, 5 settembre 2016 La Giordania è stata tra i paesi più generosi ad accogliere le persone in fuga dalla Siria nei primi mesi dopo l’inizio del conflitto. Ne ospita ufficialmente oltre 600.000. Ma dal 2012 il governo di Amman ha iniziato a imporre limitazioni sempre più ampie ai rifugiati siriani, con l’eccezione dei feriti gravi. Dal 21 giugno, quando un attacco suicida a un posto di confine causò sette morti e 13 feriti tra le guardie di frontiera, la Giordania non li fa più entrare. Oltre 80.000 di loro - la metà dei quali bambini - sono bloccati, ormai da mesi, nel cosiddetto berm, un terrapieno artificiale. L’estate è trascorsa tra tempeste di sabbia e un caldo ustionante. La frontiera giordana risulta inaccessibile anche per le persone in gravi condizioni di salute. Molti neonati sono morti e nove donne sono decedute durante il parto. Si segnalano numerosi casi di bambini colpiti da diarrea acuta con sanguinamento o da itterizia e anche casi di epatite. Le cure mediche scarseggiano, così come le forniture d’acqua. Il 4 agosto, per la prima volta dalla chiusura della frontiera, le agenzie di soccorso sono riuscite a far arrivare razioni di cibo e kit d’igiene nel berm grazie ad alcune gru situate in Giordania. Ma non è chiaro se gli aiuti sono arrivati a tutti e il governo di Amman ha fatto sapere che si era trattato di un intervento umanitario una tantum. Infatti, non risulta ne siano stati fatti altri. Amnesty International ha lanciato un appello alle autorità giordane e quelle statunitensi affinché questi rifugiati siano trasferiti immediatamente in un luogo sicuro, che sia la Giordania o un paese terzo, dove possano finalmente ricevere assistenza e protezione adeguate. Filippine. Il presidente dichiara lo "stato di illegalità" di Cesare Sandassi La Stampa, 5 settembre 2016 La rabbia di Duterte dopo la bomba nella sua città natale: i terroristi di Abu Sayyaf hanno causato 14 morti e 70 feriti. Il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte ha proclamato lo "stato di illegalità" - lawlessness - nel Paese dopo un attentato a Davao, la sua città natale. Il gruppo di estremisti islamici Abu Sayyaf ha rivendicato l’esplosione di una bomba che ha ucciso 14 persone e ne ha ferite altre 70. Duterte ha precisato che la sua dichiarazione non va letta come l’introduzione della legge marziale ma che "viviamo tempi straordinari nei quali pensiamo di essere autorizzati a permettere che le forze di sicurezza facciano le ricerche necessarie. Stiamo fronteggiando una crisi seria, combattiamo contro spacciatori di droga e assassini, in un ambiente di violenza senza legge". Lo stesso Duterte è conosciuto per essere uno che quando si tratta di usare le armi non ci pensa due volte, un giro di vite deciso da lui non sarà certamente tenero. Ha vinto la corsa per la presidenza esibendosi fucile alla mano in diverse occasioni, ed ha senz’altro ragione quando dipinge il suo paese come violento e senza legge. Negli ultimi due anni - prima della presidenza della Repubblica - era sindaco di Davao. La bomba nella città pare sia la risposta diretta del gruppo islamista Abu Sayyaf all’offensiva avviata dal governo nella provincia meridionale di Sulu. Offensiva che sarebbe costata trenta vittime agli estremisti. Alcuni comandanti di Abu Sayyaf, che è nella lista nera degli Stati Uniti e delle Filippine come organizzazione terroristica per gli attentati mortali, rapimenti e decapitazioni di riscatto, hanno giurato fedeltà allo Stato islamico. I militari filippini, tuttavia, sostengono che non ci siano prove di una collaborazione diretta tra i due gruppi. L’azione servirebbe proprio a rafforzare l’immagine di Abu Sayyaf dopo anni di sconfitte. Uzbekistan. Ecco il giornalista in carcere da più anni al mondo, è detenuto dal 1999 di Riccardo Noury Corriere della Sera, 5 settembre 2016 Lavoro forzato nei campi di cotone; stragi di massa, come ad Andizhan nel 2005; prigionieri bolliti vivi come le aragoste; decine di metodi efferati di tortura. Oltre un quarto di secolo di dittatura dell’appena deceduto presidente Islam Karimov hanno accreditato all’Uzbekistan una serie di tragici record nel campo dei diritti umani. Ce n’è anche un altro: il giornalista in carcere da più anni al mondo. Muhammad Bekzhanov, all’epoca capo redattore di Erk, l’organo d’informazione dell’omonimo partito di opposizione bandito dalle autorità uzbeche, è in carcere dal 1999. Bekzhanov era stato rimpatriato dall’Ucraina il 18 marzo di quell’anno. Un mese prima la capitale Tashkent era stata sconvolta da una serie di attentati. In un mese di interrogatori in isolamento e sotto tortura, mediante pestaggi, soffocamenti e uso della corrente elettrica, gli inquirenti lo "convinsero" ad ammettere di aver collaborato col leader in esilio di Erk, Muhammad Salih, a organizzare gli attentati di febbraio. Così, Il 18 agosto di quell’anno, fu condannato a 15 anni di carcere. Bekzhanov avrebbe dovuto essere rilasciato nel 2014 ma poco prima della scadenza della pena è stato nuovamente processato e condannato a quattro anni e otto mesi per una presunta violazione del regolamento interno della colonia penale di Kasan, dove è tuttora detenuto. Cina e Russia considerano l’Uzbekistan un alleato importante nella lotta contro la penetrazione del terrorismo di matrice islamista. Affittando le sue basi alla Nato nella guerra in Afghanistan, Karimov ha anche ottenuto il silenzio dell’occidente, spingendo il dipartimento di Stato Usa persino a coniare l’infelicissimo concetto di "pazienza strategica" per giustificare l’assenza di proteste per le violazioni dei diritti umani. Speriamo che, morto il dittatore, non gli sopravviva la dittatura. E che Bekzhanov possa tornare libero al più presto. Caos Venezuela di Sara Gandolfi Corriere della Sera, 5 settembre 2016 Parla il capo dell’opposizione Capriles "Maduro è un errore della storia: i militari devono scegliere con chi stare". Il leader dell’opposizione Henrique Capriles è stato uno dei primi a postare su Twitter i tre video del "cacerolazo" contro il presidente venezuelano. Con parole di fuoco: "Il popolo ti aborre, Nicolás Maduro. Non hai potuto far arrestare nessuno (in realtà sono state fermate e rilasciate ieri una trentina di persone, ndr)". Il governatore dello Stato di Miranda ed ex candidato presidenziale, considerato la figura di maggior spicco della Mesa de la unidad democratica, che riunisce i diversi gruppi di opposizione, ha accettato di rispondere alle domande del Corriere. Attaccando duramente Maduro: "Lui è un errore della storia, sta arrivando il momento in cui i militari dovranno decidere da che parte stare". Signor Capriles, cosa sperate di ottenere con le manifestazioni di piazza, come quella di giovedì scorso? "La "presa di Caracas" è stata una giornata mondiale in difesa della Costituzione e per esigere che venga fissata la data per iniziare la raccolta di firme del 20% di elettori, necessaria per attivare il referendum revocatorio. È stata una protesta pacifica, costituzionale e democratica per organizzare la forza popolare che chiede un cambiamento". Lei sostiene che il Venezuela è sull’orlo di una "esplosione sociale", sembra quasi l’annuncio di una guerra civile... "Il Venezuela vive una situazione critica e l’80% dei venezuelani vuole il cambiamento, questa è la voce della maggioranza che soffre per la scarsità di beni alimentari e di medicine. Il governo di Maduro sta affondando il Paese e l’unico modo per uscire da questa crisi è attraverso i meccanismi costituzionali. L’articolo 72 della Costituzione permette ai venezuelani di attivare il referendum revocatorio. Ma Maduro e la sua cricca non vogliono il voto popolare. Non vogliono né il referendum né le elezioni dei governatori, che in base alla Costituzione devono realizzarsi entro il 2016. Maduro ha paura, la cupola di governo è disperata e tutto ciò che fa sembra dettato da questa disperazione. Ma noi siamo determinati a ottenere in modo pacifico il rispetto dei nostri diritti". Le forze armate hanno assunto un ruolo sempre più importante. C’è il rischio di un golpe? "Le forze armate devono rispettare il loro ruolo istituzionale e far rispettare la Costituzione. Questo chiede il popolo. Sta arrivando il momento in cui i militari dovranno decidere da che parte stare: con la Costituzione o con chi sta distruggendo il nostro Paese". Lei ha dichiarato: "Dire che Maduro è un dittatore significa dargli fin troppo peso". Chi è allora? "Nicolás è un errore nella storia del Venezuela. Vogliamo lasciare alle nostre spalle questo errore per entrare in una fase di cambiamento". L’ex premier spagnolo Zapatero ha tentato una mediazione fra l’opposizione (maggioritaria in Parlamento dopo le elezioni dello scorso dicembre, ndr) e il governo. Ma per lei "dialogare con Maduro è impossibile". Dunque? "La soluzione è nelle mani dei venezuelani e passa dal referendum revocatorio. Ora è importante che gli organismi internazionali abbiano una visione imparziale di ciò che sta avvenendo e non lascino solo il Venezuela". Tornerà a candidarsi alle presidenziali del 2018, dopo aver perso nel 2012 contro Hugo Chávez e di un soffio nel 2013 contro Maduro? "Il mio candidato è il referendum. Non si possono avere Il dissenso L’80 per cento dei venezuelani vuole il cambiamento Maduro è disperato aspirazioni individuali al di sopra delle necessità del popolo. Dobbiamo uscire democraticamente, con la forza del voto, da questa crisi. Se non cambiamo questo sistema perderemo il Venezuela". Non c’è proprio nulla da salvare nel "chavismo"? "Noi venezuelani vogliamo solo salvare il Venezuela".