Renzi va dai detenuti "Sì alla riforma del carcere" di Errico Novi Il Dubbio, 29 ottobre 2016 Visita a sorpresa del premier e di Orlando al carcere Due Palazzi"ù di Padova: "Quella del sistema penitenziario è una questione politica". "Un gesto inedito per un premier". È stato lo stesso Matteo Renzi a definire così la sua visita al carcere "Due Palazzi" di Padova. Si tratta di una svolta per il governo, che ora, ha assicurato il presidente del Consiglio, farà di tutto per mettere in sicurezza i "provvedimenti giusti e doverosi" della riforma penitenziaria. Nell’istituto veneto, Renzi è arrivato ieri mattina insieme con il ministro della Giustizia Andrea Orlando e il capo del Dap Santi Consolo. Ha stretto la mano "ad almeno 150 detenuti", ha visitato i laboratori e la redazione di Ristretti Orizzonti, storica rivista sul mondo del carcere realizzata proprio all’interno dell’istituto. Renzi dunque fissa a Padova una strategia comune con il suo ministro di Giustizia: non esclude lo stralcio dell’articolo del ddl penale dedicato al carcere, certo, ma punta in prima istanza a salvare l’intera riforma. È una sorpresa e segna la svolta sulla riforma del carcere: Matteo Renzi visita un penitenziario, non uno qualsiasi ma un istituto simbolo del reinserimento come il "Due Palazzi" di Padova. Ci arriva di prima mattina e fa "un gesto inedito per un premier", come twitta lui stesso. Lo compie insieme con il guardasigilli Andrea Orlando e lascia intendere che nella riforma penitenziaria ci crede. Al punto da ipotizzare uno stralcio della delega sulle nuove carceri dal disegno di legge in cui è "intrappolata", quello tormentatissimo sul processo penale. "O si chiude tutto il pacchetto, e allora lo stralcio sarebbe inutile, oppure si percorrono altre ipotesi", dice. Non esclude una "messa in sicurezza" delle norme sul sistema penitenziario, che definisce "provvedimenti giusti e doverosi". Ora sembrano diventati un suo obiettivo, oltre che di Orlando. Non a caso Renzi, dopo aver stretto le mani di "almeno 150 detenuti" ed essersi impegnato a "riferire a chi di dovere" sui casi più drammatici, ricorda i meriti acquisiti dal ministro della Giustizia in un campo che lui aveva finora guardato da lontano. "Siamo partiti con un rapporto tra posti e popolazione carceraria al 146%, oggi siamo al 105%. Ancora troppo, dobbiamo arrivare al 100%", dice il capo del governo, "ma si è fatto un buon lavoro, grazie al ministro Orlando e a tutte le strutture, per ridurre la pressione sui reclusi". Dopo due anni di impegni e risultati quasi a costo zero da parte di via Arenula, è plausibile che a questo punto arrivino anche le risorse. Quelle necessarie affinché la delega non si riduca a una scatola vuota ma segni davvero un cambio epocale, per esempio, sulle misure alternative. Renzi dunque fissa a Padova una strategia comune con il suo ministro di Giustizia: non esclude lo stralcio dell’articolo del ddl penale dedicato al carcere, certo, ma punta in prima istanza a salvare l’intera riforma, ora incagliata al Senato: "Mi piacerebbe mettere la parola fine, chiudere anche questa partita". Lo dichiara nello stesso giorno in cui l’Anm scioglie le proprie riserve sul disegno di legge. E oltre che con il guardasigilli, c’è un "incontro ravvicinato" davvero inconsueto con i radicali: Renzi fa quello che in genere fanno solo loro, passare un po’ di tempo con i detenuti e incoraggiarli (seppure a modo suo, con frasi del tipo "ragazzi dovete uscirne"). E dei radicali ricorda il leader mentre è in viaggio verso il "Due Palazzi": "Un pensiero a Marco Pannella", scrive nel tweet. Rita Bernardini lo ascolta grazie a Radio Radicale, mentre a sua volta presenta con gli altri compagni la marcia per l’amnistia. "Marco non diventi una medaglietta", avverte. Ricorda al presidente del Consiglio che le statistiche sul sovraffollamento sono alterate "da 5000 posti in realtà non utilizzabili". Renzi d’altronde non fa nulla per nascondere la propria diversità dai pannelliani rispetto a temi come l’amnistia: "In proposito non ho le stesse idee di Marco o di Rita Bernardini, anzi", riconosce senza perifrasi. Però aggiunge che "bisogna partire anche dal rispetto della funzione educativa della pena". E soprattutto dal fatto che "quella delle carceri è una grande questione politica con la P maiuscola, lo è sempre di più". Tentenna solo sulla fiducia, dice che persino tra i padiglioni del "Due Palazzi" gli hanno chiesto di metterla, ma anche che preferisce vedere prima "cosa succede a livello parlamentare". In ogni caso cade un tabù. "Abbiamo manifestato l’attenzione del governo nei confronti di una realtà importante come il carcere", dice Orlando. Che assicura di lavorare per "anticipare all’interno del decreto sicurezza le nuove assunzioni di agenti penitenziari". Il ministro si è dato appuntamento con Renzi mentre era di ritorno dal Vietnam: da Hanoi è atterrato direttamente a Padova. Esce rafforzato nella sua battaglia per riformare giustizia e carcere. Non era scontato, ma ora il tema dei detenuti per Palazzo Chigi non è più un tabù, nonostante sia di quelli che in genere non si tirano fuori per acchiappare voti all’ultimo minuto. Celle piene e radicalismo, doppio impegno di Renzi di Francesco Dal Mas Avvenire, 29 ottobre 2016 Padova, prima volta di un premier in carcere: ripartire dalla funzione educativa della pena. Ribadito l’impegno nella lotta al sovraffollamento. Dialogo con due detenuti, che hanno chiesto nuove modalità d’incontro coi figli. Officina Giotto: c’è un’attenzione reale. Mustapha è un giovane detenuto che arriva dal Marocco. È impegnato nell’Officina Giotto, quella dei famosi panettoni. Matteo Renzi, il premier, gli dà la mano e lui la sente così calorosa che gli allunga una richiesta, "l’autografo per mio figlio". "Quanti anni ha? Va a scuola?", gli domanda il presidente del Consiglio. Mustapha si commuove e Renzi non si limita a lasciargli l’autografo. "Ciao Zaccaria, mi raccomando, contiamo su di te. Matteo Renzi". È stato uno dei tanti significativi momenti della visita del capo del governo al carcere Due Palazzi di Padova, accompagnato dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, dai sottosegretari alla Giustizia Gennaro Migliore, Cosimo Ferri e Federica Chiavaroli, dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Santi Consolo e ancora dal provveditore alle carceri del Triveneto Enrico Sbriglia. Una visita nient’affatto di cortesia. "Tenetelo sempre ben presente, è il lavoro che migliora l’uomo" non ha perso occasione di ricordare visitando il vasto arcipelago dell’integrazione dei detenuti a Padova e la redazione di "Ristretti Orizzonti", coordinata da Ornella Favero. Più che un giornale del carcere. Qui Renzi ha ascoltato le testimonianze toccanti di due detenuti, che gli hanno chiesto di tenere in considerazione le esigenze delle relazioni dei carcerati con le loro famiglie, le visite dei minori in particolare, che avvengono in un clima di tristezza diseducativa. Per il premier è ingiusto e sbagliato che i bambini vengano a contatto con un ambiente che rischia di traumatizzarli. Bisogna pensare a strutture alternative. Il ministro Orlando si è impegnato a provvedere, sperimentando incontri senza barriere tra padri e figli. E dalle parole ai fatti si passerà anche per quanto riguarda il numero esiguo di guardie carcerarie, altro problema sollevato a Renzi; parte dei 1.900 milioni previsti in Finanziaria per il comparto pubblico può essere utilizzata per le assunzioni. Almeno 150 i detenuti che Renzi ha incoraggiato personalmente. Tra loro, un ergastolano, che ha preso più lauree studiando in carcere. "Quella di Renzi - ha commentato il presidente di Officina Giotto, Nicola Boscoletto - si vedeva che non era un’attenzione formale e istituzionale, ma un’attenzione reale verso chi da una parte si dedica ad aiutare altre persone a uscire dal cerchio della delinquenza e dall’altra a chi di questo sforzo può essere protagonista in prima persona". È così che Renzi si è meritato un panettone. "Lo mangio ogni anno a Natale", ha ricordato, auspicando al termine della visita che i dolci del carcere di Padova possano essere presenti anche ai ricevimenti ufficiali organizzati dalla presidenza del Consiglio. In collegamento con Radio Radicale, ha ricordato le battaglie di Pannella. A proposito del quale ha aggiunto: "Sull’amnistia non ho le stesse idee sue o di Rita Berardini, anzi. Ma se vogliamo affrontare il tema con rispetto bisogna partire anche dal rispetto della funzione educativa della pena e dalla lotta all’estremismo, perché il carcere è la frontiera per la radicalizzazione". Il premier ha sottolineato: "Siamo partiti con un rapporto tra posti in cella e popolazione carceraria al 146%, oggi siamo al 105. Dobbiamo scendere al 100%". L’incontro con Carmelo Musumeci e gli autografi in cella di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 29 ottobre 2016 L’ergastolano: "Presidente è una pena di morte viva". Nella storia repubblicana non era mai successo che un premier facesse visita ai detenuti. Matteo Renzi infrange il tabù e lo fa insieme con il ministro della Giustizia Andrea Orlando e il capo del Dap Santi Consolo. Il senso della svolta è anche in quel richiamo a Marco Pannella del tweet che Renzi fa precedere al suo arrivo al "Due Palazzi" di Padova. Si sofferma prima in un colloquio con il personale della polizia penitenziaria promettendo che potenzierà l’organico, dopodiché visita i laboratori gestiti dalla cooperativa Officina Giotto: la pasticceria, la legatoria, il call center, la parte informatica, quella di servizi alle Camere di Commercio e i laboratori per gli imballaggi. "Una grande attenzione che ha stupito tutti - testimonia il presidente della cooperativa Nicola Boscoletto, ha ascoltato i vari problemi, dando una parola di conforto a chi ne aveva bisogno". Renzi ha fatto visita anche alla redazione di Ristretti Orizzonti dove ha ascoltato testimonianze sull’ergastolo e le condizione difficili delle visite da parte dei familiari. Su questo tema il ministro Orlando e Renzi hanno fatto riferimento alla possibilità di inserire, nella riforma dell’ordinamento, una norma per sperimentare la totale mancanza di barriere per i figli dei detenuti: "Che i bambini vengano a contatto con un ambiente che rischia di traumatizzarli - ha spiegato Renzi - è ingiusto e sbagliato, occorre quindi pensare a strutture alternative per consentire l’incontro tra i minori e i padri e le madri detenuti". L’ergastolo è un tema molto sentito tra i detenuti e soprattutto da Ristretti Orizzonti, che per il prossimo 20 gennaio ha organizzato una giornata di dialogo sull’carcere a vita, ma anche sulle pene lunghe "che uccidono perfino i sogni di una vita libera: una giornata che abbia per protagonisti anche figli, mogli, genitori, fratelli e sorelle di persone detenute, perché solo loro sono in grado di far capire davvero che una condanna a tanti anni di galera o all’ergastolo non si abbatte unicamente sulla persona punita, ma annienta tutta la famiglia". Proprio su questo tema Renzi ha potuto ascoltare, sempre all’interno del carcere di Padova, la testimonianza di Carmelo Musumeci, ergastolano ostativo che da anni si batte per sensibilizzare la società civile sull’ingiustizia che subisce chi affronta senza speranza il "fine pena mai". Proprio Musumeci ha coniato il termine "La pena di morte viva". Ed è stato sempre lui a denunciare l’ultimo suicidio - un ergastolano di 44 anni - avvenuto giorni fa proprio nel carcere di Padova: "Said El Magharpil Ihad aveva scontato circa 20 anni di carcere. Da un po’ di tempo usciva in permesso premio ma il suo fine pena rimaneva sempre nell’anno 9.999, cioè mai". Un detenuto straniero, nordafricano come Said, "ha chiesto al presidente un autografo con dedica per il figlio", racconta ancora Boscoletto, "ho intravisto Renzi che scriveva di impegnarsi con lo studio e nella vita. Il premier ha dedicato quasi tutto il tempo a camminare, salutare e incontrare tanto il personale di polizia quanto gli operatori delle cooperative e i detenuti. È stata una visita bellissima". Emozione in carcere "nel nome di Pannella". Il debutto di un premier di Michela Nicolussi Moro Corriere Veneto, 29 ottobre 2016 Il tweet arriva alle 7: "Visito il carcere di Padova: gesto inedito per un premier. Un pensiero per Marco Pannella". Firmato Matteo Renzi, il primo presidente del Consiglio che in effetti, ieri mattina, ha varcato la soglia del Due Palazzi e probabilmente di un istituto penitenziario in generale. "Da sindaco mi era già accaduto, però nel ruolo di premier non c’ero mai stato - ha confermato Renzi a Radio Radicale - credo sia una delle prime volte in assoluto per il capo del governo italiano. Mi sembrava giusto, essendo a Padova, fare questo gesto che avevo in testa da tempo. Ciò non significa che io abbia le stesse idee di Pannella in termini di amnistia, anzi, però vuole esprimere un concetto forte e chiaro: il carcere è una grave questione politica, con la P maiuscola, lo è sempre di più. È inutile fare discorsi astratti, se vogliamo affrontare il tema dobbiamo partire anche dal rispetto della funzione rieducativa della pena. Se vogliamo ragionare di lotta all’estremismo e all’integralismo, bisogna capire che il carcere è la frontiera contro la radicalizzazione. A Padova - ha insistito il premier - c’è questa cooperativa (Officina Giotto, ndr) che lavora molto bene, si occupa dal panettone ai call center. Guardate i numeri della recidiva: chi segue un percorso di lavoro in carcere, poi esce con le misure alternative e continua ad avere un collegamento con il mondo del lavoro, ha una recidiva bassissima. La reclusione ha questa funzione e per me è fondamentale dire: bravi. So che girano le battutine sui Social, tipo il premier in carcere, ma io lo considero un fatto bello: come tutte le esperienze vere, umane, ti arricchiscono". E "bravi" il premier l’ha detto davvero ai reclusi, visitando i laboratori di Officina Giotto insieme al presidente Nicola Boscoletto, al ministro della Giustizia Andrea Orlando e ai sottosegretari Gennaro Migliore, Cosimo Ferri e Federica Chiavaroli, al capo del Dap Santi Consolo e a uno stuolo di parlamentari. Tutti in rassegna alla pasticceria, che mandava i panettoni anche a Papa Ratzinger ("Lo conosco bene il vostro panettone, lo mangio ogni anno a Natale", ha scherzato il premier), ai call center per Usl e imprese, ai capannoni per l’assemblaggio delle valige Roncato, alle aree dedicate all’informatica e alla redazione di "Ristretti Orizzonti", il giornale interno. Renzi ha stretto la mano a ogni detenuto, con un incoraggiamento corale: "Forza ragazzi, mi raccomando, dovete impegnarvi a uscire da questa situazione, per poi trovare una ricollocazione sociale successiva". La risposta della popolazione ristretta nella sezione penale ad alta sicurezza, sovraffollata ma esemplare per le attività rieducative, è stata una festa. Confidenze, regali (un panettone da 5 chili, una formella in ceramica con la Giustizia e l’Ingiustizia rappresentate da Giotto nella Cappella degli Scrovegni, un papiro con le firme e alcuni pensieri dei detenuti lavoratori accompagnati dalla scritta "Grazie presidente per la visita, confidiamo sulla sua attenzione e sensibilità per questo mondo così difficile"), richieste di autografo (al figlio di Mustapha, recluso marocchino, ha scritto: "Ciao Zaccaria, contiamo su di te") e una lettera per la moglie Agnese firmata da Lorenzo Sciacca, condannato a trent’anni e giornalista di "Ristretti Orizzonti". "La redazione organizza per il 20 gennaio un convegno su ergastolo e pene lunghe - scrive Lorenzo alla signora Renzi - uno dei temi che ci sta a cuore riguarda i nostri familiari. Sono stato anch’io figlio di un detenuto e so cosa vuol dire sentire la propria madre piangere di nascosto e vedere i rapporti con il proprio padre ridotti a sei miserabili ore al mese. Ci piacerebbe sapere cosa ne pensa, la invitiamo a questa giornata di studi, a cui parteciperanno molti familiari". "Sul problema dei parenti e in particolare dei figli piccoli, il presidente e Orlando hanno fatto riferimento a un’iniziativa di legge in stato avanzato per sperimentare una totale mancanza di barriere - rivelano Alessandro Zan e Giorgio Santini (Pd). Prevede di creare orari e fasce protette in cui i figli possano stare con i genitori". Renzi si è impegnato anche a potenziare la polizia penitenziaria, rivedendo le piante organiche di Dap e uffici periferici, per inviare più unità possibile negli istituti di pena. "Non siete trascurati - ha rassicurato gli agenti - nel miliardo e 900 milioni stanziati per il comparto pubblico ci siete anche voi". Problema approfondito dal ministro della Giustizia in un vertice a latere con i sindacati, Consolo, il provveditore alle carceri del Triveneto Enrico Sbriglia e il procuratore capo Matteo Stuccilli. Orlando ha chiesto il monitoraggio continuo della situazione nel Nord Est, "che ha il più alto tasso di detenuti extracomunitari", e ha annunciato visite a Rovigo e, a fine novembre, al carcere minorile di Treviso. Cosa ci fa Renzi nel carcere di Padova? di Anna Spena Vita, 29 ottobre 2016 Il premier è arrivato nel penitenziario Due Palazzi dove ha visitato tutti i laboratori gestiti della cooperativa sociale Giotto che offre lavoro ad oltre 150 detenuti. "C’è immensa gratitudine nei confronti di Renzi per la sua immediata, pronta e disponibile presenza in carcere. Si è soffermato con sincero interesse su tutti i presenti. Da oggi ci sentiamo meno soli", dice Nicola Boscoletto, presidente della cooperativa. "Verso Padova per incontro con ricercatori. Ma prima visito il carcere: gesto inedito per un premier che. Un pensiero a Marco Pannella". È con questo tweet lanciato stamattina alle sette che il premier Matteo Renzi annuncia la sua visita - non prevista - al Due Palazzi di Padova dove ha incontrato i detenuti che lavorano per la cooperativa sociale Giotto. Carcere, quello di Padova, che rappresenta una vera eccellenza italiana: di fronte ad un tasso di recidiva che nel nostro Paese si attesta intorno al 70%, solo il 2%-3% dei detenuti inseriti nei percorsi proposti dalla Cooperativa Giotto è tornato a delinquere una volta uscito dal carcere. "È stata una grande sorpresa ricevere la visita del premier", ha commentato entusiasta Nicola Boscoletto, presidente della cooperativa sociale Giotto. "C’è immensa gratitudine nei confronti di Matteo Renzi per la sua immediata, pronta e disponibile presenza in carcere. Le carceri sono contesti e situazioni delicate: dopo oggi ci sentiamo meno soli". Il presidente per la giornata di oggi non aveva un invito specifico. "Quando era sindaco di Firenze", spiega Boscoletto, "avevamo organizzato un incontro con lui; ma a causa di un imprevisto non è riuscito a presenziare all’evento. Oggi si trovava a Padova per presenziare all’apertura dell’anno accademico all’università Carlo Bo e ha deciso di passare anche qui da noi". Il premier ha visitato tutte le attività del carcere dal call center all’officina di bicilette; dal laboratori alla realizzazione delle business key. E poi ovviamente la pasticceria, fiore all’occhiello dell’officina Giotto. "Lo conosco bene il vostro panettone, lo mangio ogni anno a Natale", ha sottolineato il Premier. "Gli abbiamo regalato un panettone da 5 chili!", dice Boscoletto. "La sua visita è durata un’ora e ha stretto le mani di tutti: operatori, polizia penitenziaria, educatori e ovviamente ai detenuti. Sui quali si è soffermato con interesse vero, sincero. Il salutare tutti, il non distrarsi mai, ho notato che la sua è una vera forma di rispetto e riconoscimento per chi si sta impegnando per il bene comune. In particolare Renzi si è soffermato a lungo con un giovane detenuto proveniente dal Marocco Mustapha che gli ha chiesto un autografo per il figlio. "Quanti anni ha? Va a scuola?" si è informato dedicandogli un messaggio personale: "Ciao Zaccaria, mi raccomando, contiamo su di te. Matteo Renzi"". Renzi ha visitato il carcere insieme al ministro della giustizia Andrea Orlando e i tre sottosegretari alla giustizia Federica Chiavaroli, Gennaro Migliore e Cosimo Maria Ferri. Con loro anche il capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia Santi Consolo e ancora il provveditore alle carceri del Triveneto Enrico Sbriglia, e naturalmente il direttore della casa di reclusione Ottavio Casarano. Con il consorzio sociale lavorano 500 persone tra cui 15 detenuti e 70 disabili. Renzi visita il carcere di Padova: "Un pensiero a Pannella" dire.it, 29 ottobre 2016 "Verso Padova per incontro con ricercatori. Ma prima visito il carcere: gesto inedito per un premier. Un pensiero a Marco Pannella". Lo scrive su twitter il premier Matteo Renzi. "Questa mattina ho visitato con il Presidente Matteo Renzi il carcere di Padova e i laboratori dove i detenuti si preparano a una nuova vita". Lo scrive su twitter Andrea Orlando, ministro della Giustizia. "La visita del presidente del Consiglio al carcere di Padova è stata davvero un gesto di grande valore e significato. In questi anni Governo e Parlamento hanno lavorato sodo, per combattere la vergogna del sovraffollamento, per carceri umane. La pena non deve né può essere vendetta, ma rieducazione e reinserimento. Con gli Stati generali promossi dal ministro Orlando si sono individuate strade serie e concrete che, tra l’altro, significano per i detenuti socialità, formazione, lavoro, per dare un futuro anche a chi ha sbagliato e per non tornare a delinquere una volta scontata la pena. La visita del presidente Renzi al carcere di Padova, uno dei più avanzati, rappresenta un atto coraggioso e importante, che aiuta molto a percorrere questa strada di civiltà, umanità e sicurezza". Così Walter Verini, Capogruppo Pd in Commissione Giustizia della Camera. "Ho molto apprezzato la visita del presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, al carcere Due Palazzi di Padova. La trovo un segno tangibile di grande sensibilità rispetto ad un mondo, quello penitenziario, perennemente in tensione e ora mi auguro che ad essa segua l’adozione di quegli interventi necessari e non più rinviabili che da tempo il Sappe sollecita. Ossia l’assunzione straordinaria di almeno 2.000 agenti di Polizia penitenziaria (il Corpo è sotto organico di 7.000 unità), un provvedimento di legge che introduca l’obbligatorietà del lavoro per i detenuti (è l’ozio in cella che favorisce la costante e continua riproposizione di eventi critici in carcere, tra i quali le risse ed i tentati suicidi) e l’impiego dei detenuti, socialmente non pericolosi e con pene brevi da scontare, in lavori socialmente utili sul territorio a favore delle comunità". Così Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo Polizia penitenziaria Sappe commentando la visita nel carcere di Padova del presidente del Consiglio Renzi. "Le carceri sono più sicure assumendo gli agenti di Polizia penitenziaria che mancano- sottolinea- Per il Giubileo tutti i Corpi di Polizia hanno avuto assunzioni meno la Polizia penitenziaria, già sfiancata dal mancato ripianamento degli organici per gli intervenuti pensionamenti. E una parte di assunzioni può avvenire in tempi rapidi assumendo gli idonei non vincitori dei precedenti concorsi da Agente. Ma si devono anche finanziare gli interventi per far funzionare i sistemi anti-scavalcamento e potenziare i livelli di sicurezza delle carceri". Per il Sappe servono altri provvedimenti: "Fare lavorare i detenuti durante la detenzione dev’essere prioritario - sottolinea Capece - lo stare in cella a non far nulla, l’ozio, è concausa delle costanti tensioni e dei continui eventi critici. Su questo, sta puntando molto il Capo dell’Amministrazione penitenziaria Santi Consolo ma c’è ancora molto da fare. In Italia lavora circa il 15% dei presenti, quasi tutti alle dipendenze del Dap in lavori di pulizia o comunque interni al carcere, poche ore a settimana. Eppure chi sconta la pena in carcere ha un tasso di recidiva del 68,4%, contro il 19% di chi fruisce di misure alternative e addirittura dell’1% di chi è inserito nel circuito produttivo. Tenere i detenuti fuori dalle celle buona parte del giorno a non far nulla è una scelta assurda e pericolosa. Dovrebbero lavorare, i meno pericolosi in progetti di recupero ambientale nelle città, pulendo i greti dei fiumi o i giardini pubblici, gli altri in attività dentro al carcere". Matteo Renzi in carcere a Padova per toccare con mano il "miracolo" di Officina Giotto padova24ore.it Era stato in visita alcuni mesi fa all’istituto per minori di Nisida a Napoli. Ed ora è la volta di un carcere vero e proprio: il Due Palazzi di Padova. L’aveva promesso in più occasioni che sarebbe venuto. Matteo Renzi in realtà conosce assai bene il consorzio sociale padovano, più volte ha avuto modo di conoscere gli operatori e i pasticceri detenuti, come a Taste di Pitti Immagine, la grande manifestazione enogastronomica che si tiene ogni anno alla Leopolda di Firenze. Oggi venerdì 28 ottobre ha mantenuto la promessa, facendoci una grande sorpresa. Questa mattina alle 8.30, accolto dal prefetto Patrizia Impresa, ha varcato i cancelli del carcere, accompagnato da un fitto stuolo di autorità: innanzitutto il ministro della Giustizia Andrea Orlando, i sottosegretari alla Giustizia Gennaro Migliore, Cosimo Ferri e Federica Chiavaroli, il capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia Santi Consolo e ancora il provveditore alle carceri del Triveneto Enrico Sbriglia, e naturalmente il direttore della casa di reclusione Ottavio Casarano. Appena entrato nella struttura, Renzi, dopo un breve incontro con il personale di Polizia penitenziaria, si è diretto ai laboratori di Officina Giotto, visitando per prima la pasticceria. Il premier ha trovato un laboratorio in piena attività, in particolare per la lavorazione dei famosi panettoni, ma anche torrone e altri dolci freschi e da forno. "Lo conosco bene il vostro panettone, lo mangio ogni anno a Natale", ha ricordato, auspicando al termine della visita che i dolci del carcere di Padova possano essere presenti anche ai ricevimenti ufficiali organizzati dalla presidenza del Consiglio. Il premier ha avuto una parola e una stretta di mano per ognuno. Una parola per ciascuno, detenuti e operatori. "Un atteggiamento che mi ha colpito", commenta a caldo il presidente di Officina Giotto Nicola Boscoletto, "si vedeva che non era un’attenzione formale e istituzionale, ma un’attenzione reale verso chi da una parte si dedica ad aiutare altre persone ad uscire dal cerchio della delinquenza e dall’altra a chi di questo sforzo può essere protagonista in prima persona. Un’attenzione e un’umanità - continua Boscoletto - capace di riconoscere nella sua interezza il sistema carcere Padova fatto e sostenuto da molteplici attori istituzionali e non". In particolare Renzi si è soffermato a lungo con un giovane detenuto proveniente dal Marocco Mustapha che gli ha chiesto un autografo per il figlio. "Quanti anni ha? Va a scuola?" si è informato dedicandogli un messaggio personale: "Ciao Zaccaria, mi raccomando, contiamo su di te. Matteo Renzi". Dalla pasticceria il premier si è spostato poi al call center, visitando in primis l’area riservata alle prenotazioni mediche per conto dell’ospedale e dell’ASL di Padova e Venezia. Ha continuato la visita al call center, accompagnato anche dai rappresentanti di due imprese che si affidano ai servizi di Officina Giotto, Marco Bernardi per il provider di energia Illumia e Antonio Dal Borgo per la società di servizi informatici Infocert. Di seguito ha visitato anche i capannoni con gli assemblaggi delle valige Roncato, il laboratorio di digitalizzazione e delle Business Key, le chiavette per la firma digitale. Molti i doni consegnati a Renzi, al ministro Orlando e agli altri ospiti. A lui personalmente, oltre a un panettone di 5 chilogrammi, una formella in ceramica in tiratura limitata raffigurante la Giustizia e l’Ingiustizia rappresentate da Giotto nella Cappella degli Scrovegni e un papiro con le firme e alcuni pensieri dei detenuti lavoratori, accompagnati dalla scritta "Grazie presidente per la visita, confidiamo sulla sua attenzione e sensibilità per questo mondo così difficile". Un pensiero del tutto particolare è stato riservato alla moglie Agnese con la consegna di una lettera personale scritta dai detenuti accompagnata da un’immagine della natività della Cappella degli Scrovegni realizzata in ceramica da Officina Giotto anch’essa con edizione speciale in tiratura limitata. La visita è proseguita con l’incontro con la redazione di Ristretti Orizzonti, coordinata da Ornella Favero, dove il presidente del Consiglio ha ascoltato le testimonianze particolarmente toccanti di due detenuti, che gli hanno chiesto di tenere in particolare considerazione le esigenze delle relazioni dei detenuti con le loro famiglie. Renzi in visita al carcere di Padova (ma è contrario all’amnistia) Askanews, 29 ottobre 2016 Il premier a Radio Radicale: "Ho idee diverse da Pannella". Matteo Renzi ha visitato oggi il carcere di Padova (un gesto inedito per un presidente del Consiglio) precisando però che sull’amnistia non la pensa come Marco Pannella, il leader radicale scomparso quest’anno. "Mi sembrava giusto fare questo gesto, questo non significa che io abbia le stesse idee di Rita Bernardini o Marco Pannella sull’amnistia, anzi" ha detto Renzi parlando a Radio Radicale. "Ma la questione del carcere è una questione politica con la P maiuscola. Se vogliamo affrontare il tema del rispetto della Costituzione bisogna partire anche dalla funzione educativa della pena". Il presidente del Consiglio è stato accompagnato dal ministro della Giustizia Andrea Orlando nella sua visita al carcere "Due Palazzi" di Padova. Renzi si è soffermato per un colloquio con il personale della polizia penitenziaria dopodiché ha visitato i laboratori gestiti della cooperativa Giotto: la pasticceria, la legatoria, il call center, la parte informatica, quella di servizi alle Camere di Commercio e i laboratori per gli imballaggi. "Il premier ha parlato molto e salutato tutti i detenuti dei laboratori, uno per uno, incoraggiandoli e dicendo ‘ragazzi mi raccomando dovete impegnarvi e uscire da questa situazionè - hanno raccontato i parlamentari del Pd Alessandro Zan e Giorgio Santini -. Ha preso un impegno, visto che è un carcere sofisticato, di verificare con il Dap, presente alla visita con il capo Santi Consoli, la distribuzione dell’organico". "Infine ha visitato la redazione della testata Ristretti orizzonti dove ha ascoltato testimonianze sull’ergastolo e le condizione difficili delle visite da parte dei familiari. Su questo tema il ministro Orlando e Renzi hanno fatto riferimento ad una iniziativa di legge per sperimentare la totale mancanza di barriere per i figli dei detenuti". Antigone. Gonnella: "importante la visita del Premier al carcere di Padova" Ristretti Orizzonti, 29 ottobre 2016 "Ci sono cose che si possono fare subito". "La visita del presidente del consiglio Matteo Renzi nel carcere due palazzi di Padova è particolarmente importante. Mette al centro ancora una volta la questione carceraria in una fase delicata e a pochi giorni dal giubileo dei detenuti voluto da Papa Francesco. Ci sono cose che si possono fare subito. In primo luogo bisogna estrapolare dal disegno di legge di riforma del codice di procedura penale la parte relativa all’ordinamento penitenziario e portarla immediatamente in discussione. In questo modo si può valorizzare quanto di buono è stato deciso negli Stati generali sull’esecuzione della pena voluti dal ministero della Giustizia e che ci ha visto impegnati. Vanno ad esempio tolti tutti i paletti all’accesso alle misure alternative per chi è condannato alla pena dell’ergastolo. Il premier ha incontrato l’ergastolano Carmelo Musumeci, un esempio di impegno e di emancipazione dalle scelte devianti. Musumeci deve avere una possibilità, come tutti gli altri ergastolani ostativi, a recuperare la libertà. Inoltre vanno previste norme che assicurino la piena libertà di culto, i diritti degli stranieri e delle donne detenute, una riforma dell’isolamento penitenziario che sia il meno duro possibile e sia totalmente bandito per i minori. In prossimità del referendum chiediamo al presidente del consiglio di farsi garante della possibilità per i detenuti di votare, di essere parte della comunità. Chiediamo inoltre di veicolare sempre più risorse verso l’esecuzione penale esterna, verso le misure alternative, verso l’assunzione di educatori, assistenti sociali, direttori, interpreti, traduttori, mediatori. Infine chiediamo ancora una volta che la tortura sia reato". Andrea Oleandri Ufficio Stampa Associazione Antigone Se in carcere si perde la libertà e pure la salute Pagina99, 29 ottobre 2016 Tra celle affollate e strutture di cura che non funzionano, gli istituti di pena sono diventati moltiplicatori di patologie. La denuncia dei medici. Non solo nelle carceri italiane non si guarisce, ma ci si può addirittura ammalare. Dietro le sbarre, c’è in gioco anche la salute dei detenuti. "Alla società viene restituita in molti casi una persona malata", dice Luciano Lucania, presidente di Simspe, società italiana di medicina e sanità penitenziaria. Tra il 60 e l’80% delle persone recluse oggi in Italia soffre di una malattia. In quasi un caso su due si tratta di patologie infettive, mentre tre detenuti su quattro (circa 42 mila) soffrono di disturbi psichiatrici. Secondo i dati della Simspe, dei quasi 100 mila detenuti transitati negli istituti italiani nel 2015, 5 mila sono positivi all’Hiv, 25 mila hanno l’epatite C e 6.500 l’epatite B. Ma si tratta solo di stime, perché circa la metà dei detenuti non sa di essere malato. Tra celle affollate, cure e strutture non sempre all’altezza e stili di vita non adeguati, i contagi sono più frequenti che altrove. La tubercolosi, ad esempio, che colpisce molti stranieri, in carcere si contrae dalle 25 alle 40 volte in più. "Dal 2008 l’assistenza sanitaria penitenziaria è passata dal ministero della Giustizia alle regioni", spiega Lucania. "Mala fase di passaggio non si è ancora conclusa". Tra competenze in conflitto e diversi inquadramenti contrattuali, il risultato è che oggi non esistono ancora dipartimenti strutturati per la salute penitenziaria nei sistemi sanitari regionali Tanto meno si sa quanti siano i medici che lavorano in carcere. Da anni si parla dell’istituzione di un osservatorio epidemiologico. Ogni regione dovrebbe farsi il suo e poi unire i dati a livello nazionale, in modo da prevenire i contagi Ma finora lo hanno fatto solo Toscana ed Emilia Romagna. Come sempre accade nella sanità, anche dietro le sbarre la situazione è a macchia di leopardo. "Alcuni istituti hanno grandi spazi dedicati alla salute, altri solo piccole aree", dice Lucania. "Ma non sappiamo in che stato siano davvero gli ambulatori di sezione e che attività ispettiva venga fatta in questi luoghi". In alcune regioni si fanno gli screening, in altre no. In certi casi i detenuti tossicodipendenti (il 30%) vengono seguiti, in altri no. Intanto, gli anziani difficilmente guariscono. E i giovani rischiano di ammalarsi. Tra promiscuità sessuale, tatuaggi fai-da-te e violenze, le malattie infettive proliferano. Tanto che la stessa Simspe ha promosso da poco un progetto in dieci istituti per migliorare la vita dei sieropositivi dietro le sbarre. Anche perché in carcere siringhe monouso e preservativi non possono entrare. Non solo amnistia: 7 leggi dei Radicali sulla giustizia di Valentina Stella Il Dubbio, 29 ottobre 2016 IL 6 novembre a Roma si terrà la "IV Marcia per l’amnistia, intitolata a Marco Pannella e Papa Francesco". Lo ha annunciato Maurizio Turco nella conferenza stampa di ieri: "Verrà anche Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera, che si aggiunge agli altri 39 parlamentari che già avevano aderito". Non basta un tweet dal carcere per fare di Renzi un pannelliano. Appena uscito dal "Due Palazzi" di Padova, è stato lo stesso premier a precisare che sull’amnistia non la pensa come Marco. Lo ha detto nell’intervista al direttore di Radio Radicale che ha subito suscitato la replica di Rita Bernardini, in sciopero della fame dal 9 ottobre insieme ai compagni Irene Testa, Maurizio Bolognetti, Paola di Folco, Annarita Digiorgio: "Eppure c’è stato un tempo in cui Renzi era convinto dell’amnistia, come dimostra una lettera del 2005". Poi la dirigente radicale ricorda: "Ad oggi sono oltre 4000, e stanno aumentando, i detenuti di 59 carceri italiane che il 5 e 6 novembre intraprenderanno un digiuno di dialogo per chiedere al ministro Orlando, al governo tutto e al Parlamento di porre fine da subito allo scandalo ancora in corso di carceri illegali". Proprio il 6 novembre a Roma si terrà la "IV Marcia per l’amnistia, intitolata a Marco Pannella e Papa Francesco", il cui percorso si snoderà da Regina Coeli a Piazza San Pietro in occasione del Giubileo dei Carcerati. Lo ha annunciato Maurizio Turco nella conferenza stampa di ieri: "Aumentano le adesioni all’iniziativa, proprio ieri l’elenco si è arricchito del nome di Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera che si va ad aggiungere agli altri 39 parlamentari che già avevano aderito, insieme a molte associazioni come Acli, Libera, e la Comunità di Sant’Egidio". Proprio sul tema dell’informazione in merito a ciò che avviene all’interno degli istituti di pena si era espressa qualche giorno fa la presidente della Rai Maggioni per la quale "il servizio pubblico non può ignorare le carceri". E a una riforma penitenziaria e della giustizia sono dedicate le "Proposte di legge Marco Pannella" presentate sempre ieri dal Partito radicale: "Il nostro team di avvocati ha lavorato su sette provvedimenti", spiega Giuseppe Rossodivita, "che vanno dalla modifica dell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario alla abolizione dell’ergastolo, dalla separazione delle carriere tra pm e giudici all’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale. Prevediamo ancora il divieto assoluto per i magistrati di assumere incarichi extragiudiziari e la riforma del sistema elettorale del Csm mediante sorteggio, passando per l’istituzione di un archivio pubblico degli incarichi che l’autorità giudiziaria attribuisce ai professionisti nei giudizi, civili e penali, e nell’amministrazione di beni e imprese". Antigone, la storia italiana dietro le sbarre di Mauro Palma Alias-Manifesto, 29 ottobre 2016 Cultura politica. 25 anni di critica dell’emergenza. campagne, documentazioni, fino all’associazione e ai suoi interventi. Antigone si specchia in un fumetto che ripercorre la sua storia: la ripercorre però, come è ovvio, senza i confronti appassionati e forse verbosi che caratterizzarono le discussioni da cui nacque; senza il fumo delle sigarette non ancora bandite nelle riunioni, senza la lucidità e i dubbi che si alternavano nel misurarsi in quel mutamento del paradigma della giustizia che dava corpo al suo nascere. Un paradigma diverso, caratterizzato da norme d’eccezione che rispondevano a una situazione anch’essa d’eccezione: il passaggio di parte di movimenti antagonisti cresciuti negli anni precedenti, a forme di lotta armata nell’ipotesi di innescare un conflitto in grado di estendersi e interpretare bisogni diffusi. La risposta d’eccezione - si conierà allora l’espressione "legislazione d’emergenza" - era quella di rendere l’esercizio della giustizia penale strumento di lotta per arginare tale fenomeno, piegando il sistema da informativo a offensivo e il processo da luogo dell’accertamento a luogo dell’espressione della vittoria dello stato. Frammenti di ciò che, in altri e più duri contesti, sarà chiamato "diritto penale del nemico" già si intravedevano allora: Antigone riusciva a identificarne i germi. La dissociazione - Era nata come rivista, nell’alveo del manifesto, cementata proprio dalla capacità del giornale di proporsi come luogo ove interrogarsi su sviluppi e derive della sinistra e costruire cultura politica. Era inizialmente un suo supplemento, ben presto si rese autonoma e rimase in edicola bimestralmente per circa tre anni, finché la tensione che ne aveva determinato la ragione d’essere non scemò, per la sconfitta definitiva delle ipotesi che avevano armato la mano di una parte del movimento del decennio precedente. L’obiettivo era duplice: da un lato comprendere se e cosa stesse mutando, dall’altro offrire una via di uscita possibile a quanti - ed erano molti - erano finiti per scelta, suggestione o semplicemente per l’estensione abnorme dell’indagine, nella rete dei fatti, delle inchieste e delle conseguenti detenzioni e che desideravano uscirne ritenendo ormai determinata la sconfitta di un conflitto in parte agito e in parte immaginato. Una terza via - Per questo Antigone lavorò culturalmente e politicamente attorno all’ipotesi di una "dissociazione dalla lotta armata", che non implicasse necessariamente la cooperazione attiva con l’inquirente: una terza via tra "irriducibilismo" e "collaborazione" che offrisse un possibile ritorno a quanti volevano chiudere con quel periodo, pur non essendo disposti ad assumere un ruolo di sostegno attivo alle indagini verso i propri ex compagni. Il suo sottotitolo fu appunto Bimestrale di critica dell’emergenza. La sua premessa era stato un Centro di documentazione della legislazione dell’emergenza, costituito da alcuni esponenti della sinistra con diverse esperienze e professioni: protagonisti della criminologia critica, giornalisti attenti, operatori del diritto, parlamentari, giovani desiderosi di comprendere. Oggi ripercorrere quei nomi sembra quasi mettere in ordine una galleria di figurine di persone che negli anni successivi avranno ruoli anche importanti nel dibattito all’interno della sinistra italiana; allora erano acuti osservatori tenuti insieme dalla volontà di comprendere e di non essere spettatori muti di un conflitto che da un lato distruggeva le ipotesi di movimento e partecipazione che avevano caratterizzato gli anni precedenti, dall’altro introduceva forme e prassi destinate a mutare la fisionomia successiva dello spazio di agibilità politica. Il Centro documentò così processi, quale quello piuttosto fantapolitico del "7 aprile", in cui era risuonata l’accusa inedita di insurrezione ai danni dello stato, e che negli anni si sarebbe svelato sempre più come manifesto assertivo di un’ipotesi piuttosto che come indagine sostenuta da elementi concreti: molte incriminazioni poi cadute, molte assoluzioni, non senza però aver fatto scontare anni di custodia cautelare alle persone coinvolte. Se questa era stata la premessa di Antigone, l’esito è stato quello di ampliare l’analisi al sistema dell’esecuzione penale e della detenzione nel suo complesso. In parte perché molto di ciò che era allora eccezione ben presto diventò normalità e alcuni mutamenti vennero introiettati dal sistema stesso. In parte perché l’area dell’intervento penale andava espandendosi, sulla spinta di norme che regolavano comportamenti soggettivi, quali quelle sulle droghe dei primi anni Novanta, e di crescenti debolezze sociali che aprivano a nuove forme di microcriminalità con parallela crescita della percezione d’insicurezza. Cresceva così il ricorso al carcere, mutava la sua funzione, piegandosi a strumento di controllo territoriale diffuso, quasi adempiendo così alle previsioni foucoultiane. Antigone si strutturò allora come associazione per comprendere la privazione della libertà quale nuovo paradigma diffuso e intervenire in esso. Perché quell’estendersi non aggredisse il fulcro residuale dei diritti di cui ogni individuo è titolare, qualunque sia il suo stato di libero o recluso. Questa è l’associazione di oggi, nota e stimata, ma pur sempre accorta e mai ferma a guardarsi con compiacimento perché sempre desiderosa di capire e intervenire: di esercitare un ruolo politico a partire da una profonda competenza tematica. Questa è l’associazione che per un attimo si guarda allo specchio, nei disegni di un fumetto. Le lotte e i diritti dei detenuti, un racconto in tre atti di Giancarlo Mancini Alias-Manifesto, 29 ottobre 2016 Graphic novel. Tre gli episodi scritti da Susanna Marietti, disegnati da Valerio Chiola per la Round Robin Editore: il fumetto come narrazione alternativa, quindi politica della realtà. Ci sono molti modi per declinare le potenzialità del fumetto, forma espressiva carsica, destinata ad obliarsi e poi a riscoppiare, come un geiser, nei momenti più inaspettati. È quello che sta avvenendo negli ultimi anni e non solo grazie a filoni fortunatissimi come quello del cine-comics, l’adattamento sul grande schermo dei supereroi Marvel e DC. Ma anche come forma di racconto alternativa, dunque politica, della realtà. Ne sono testimonianza le oramai numerose trasposizioni su tavole di grandi fatti della nostra storia più o meno recente. O sul piano internazionale della rinascita di Pantera Nera, il personaggio inventato da Kirby e Lee nel 1966, veterano dei vendicatori, sovrano del Wakanda e primo supereroe nero della storia. Venuto alla luce quando i neri stavano uscendo dai ghetti, cercando una strada per autorappresentarsi e parlare senza mediazioni, senza diaframmi. Ora Black Panther torna, sceneggiato da uno scrittore con tutti i crismi, Ta Nehisi Coates, nell’Americ in attesa di vedere che tipo di destra vincerà le elezioni, se quella dell’establishment o quella delle campagne. Per non parlare poi del ritorno dei morti viventi nel fumetto più trascinante degli ultimi anni, The Walking Dead, diventato una serie multi-stagione, con spin off e prequel. Oppure, sempre dalla penna di Robert Kirkman, quell’Outcast in cui si inscena, proprio nella profondità della provincia americana un gigantesco contagio demoniaco. E ancora una volta tornano utili i reietti, gli emarginati, i nerd… Creature da fumetto e del fumetto, lingua dell’alternativa. Noi ad Alias abbiamo cercato per tempo di raccontare questa rinascita del fumetto, italiano e internazionale, ben prima che autori come Zerocalcare o Gipi divenissero fenomeni da salotto radical-chic, oggetti di futuro-prossime raccolte complete delle loro opere. Padrini e padroni intitolava una trentina di anni fa Oreste del Buono una sua ricognizione come al solito acutissima del panorama fumettistico italiano. In quel periodo, siamo negli anni settanta, capace di intercettare naturalmente, senza alcuna sovrastruttura culturale, ma istintivamente, le istanze più libere delle prassi libertarie in atto. Ed è per questo assai poco sorprendente che sia stata trasposta in fumetto: Antigone. 25 anni di storia di italiana dietro le sbarre, un racconto in tre atti dell’associazione omonima che si occupa dei diritti e delle lotte dei detenuti, una delle manifestazioni più alte della cultura garantista. Autrice è Susanna Marietti mentre i disegni, veloci, secchi, senza fronzoli ma allo stesso tempo fortemente intrisi di carica emotiva, sono di Valerio Chiola. Tre storie diverse ci raccontano i temi caldi di questi anni di lotta, con tanti personaggi reali e molti verosimili. Mauro Palma, il presidente dell’associazione, il senatore Gozzini, l’autore della legge sui benefici di pena. E poi c’è il Manifesto, dove si riunisce l’associazione Antigone e dove tra i protagonisti si vedono Luigi Manconi, Tommaso Di Francesco e Rossana Rossanda attivarsi per trovare il modo di uscire dalle secche della carcerazione diventata strumento di repressione di massa per una generazione. La prima storia è ambientata alla fine degli anni settanta. Un esponente del movimento finisce in carcere, l’accusa è quella che toccò a molti in quel crinale: banda armata. La risposta dello stato alle istanze di profondo cambiamento emerse negli anni precedenti. Decine, centinaia finirono in carcere, vittime di teoremi, soffiate, pentiti. C’è da ricostruire un terreno minimo di umanità affinché la detenzione non significhi necessariamente la fine della vita e di ogni sua aspettativa. Poi c’è la stagione della lotta alla mafia, ambientata all’isola del diavolo, ovvero al carcere dell’Asinara. Anche qui siamo alla vigilia di una risposta tremenda dello stato di fronte alle stragi mafiose. Si sospendono tutte le garanzie giuridiche in nome della lotta senza quartiere al crimine organizzato. Qui incontriamo due personaggi verissimi, Carmelo Musumeci e Nadia Bizzotto, volontaria dell’associazione Giovanni XXIII. Sono anche gli anni di campagne come "Mai dire mai", sull’abolizione dell’ergastolo. Ma si è anche alla vigilia di Tangentopoli e il garantismo italiano sta per essere sepolto dall’opportunismo e dalle ragioni personali. Diventando religione dell’impunità e di una nuova forma di sopruso dei potenti. Infine arriviamo ai giorni nostri con "Overbooking" e le storie dei detenuti nei nostri istituti super affollati, dove, come dice uno dei personaggi, quando viene l’estate ci vuole tanta pazienza per sopportare ognuno reciprocamente gli odori di corpi che possono essere lavati solo due volte la settimana. Tossicodipendenti, extracomunitari, tutti mescolati in quei pochi metri, a Poggioreale, Napoli. Ma stavolta in quest’ultimo episodio ci sono anche le donne, quelle della casa circondariale di Rebibbia, dove è rinchiusa Rosa. L’ironia, ingrediente fondamentale del racconto a fumetti, non manca di condire anche quest’ultimo episodio che ben ci racconta il disastro del nostro paese, l’incuria, l’indifferenza di un’opinione pubblica ormai sedata a tutto. E soprattutto l’Italia condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per trattamenti inumani e degradanti, per aver violato l’articolo 3 della convenzione europea. Per questo c’è ancora bisogno di Antigone. Legge di bilancio, test Anm-governo di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 29 ottobre 2016 Le toghe in stato di agitazione per la riforma penale, il Dl sulla proroga delle pensioni e le carenze di personale Davigo: "Alle aperture di Renzi e Orlando seguano i fatti con urgenza". Aspettando la legge di bilancio... il primo "banco di prova" degli impegni assunti dal premier Renzi nei confronti dell’Anm. Che ieri ha deciso di proseguire lo stato di agitazione in corso per protestare contro alcune norme della riforma della giustizia penale, contro la fulminea conversione in legge (con fiducia) del decreto che ha prorogato di un anno l’età pensionabile delle sole posizioni apicali della Cassazione e contro la carenza di risorse umane e materiali che stanno portando gli uffici giudiziari alla "paralisi". "Credo che la disponibilità del Presidente del Consiglio sia stata vera ma non possiamo abbassare la guardia" ha detto ieri il Presidente dell’Anm Piercamillo Davigo durante la riunione del Comitato direttivo centrale convocato per fare il punto della situazione e delle iniziative di protesta alla luce dell’incontro dello scorso 24 ottobre con Renzi e il ministro della Giustizia Andrea Orlando. "Le aperture ci sono state - ha confermato il segretario Francesco Minisci - è indubbio, ora aspettiamo risposte in tempi rapidi". La legge di bilancio è considerata un "banco di prova" anche in via Arenula, dove si attende che nell’articolato trovino posto non solo alcune misure già passate in Consiglio dei ministri per implementare l’efficienza della giustizia (come il Fondo strutturale di un miliardo e mezzo per tre anni per la modernizzazione tecnologica e informatica degli uffici) ma anche quelle "aperture" fatte da Renzi all’Anm per sbloccare le assunzioni del personale amministrativo (mancano 9mila cancellieri) dal vincolo della mobilità obbligatoria. "La legge di bilancio può essere un veicolo" si dice nell’entourage del ministro Orlando. Quanto agli altri due capitoli del contenzioso: sulla proroga dei vertici della Cassazione (fatta per decreto, per di più convertito in legge con la fiducia, quattro giorni prima dell’incontro con l’Anm, che l’ha presa come "uno schiaffo in faccia" - Renzi e Orlando hanno parlato di un possibile "aggiustamento", inserendo eventualmente un’apposita norma nel ddl sulla giustizia penale (peraltro bloccato da mesi, e forse fino a dicembre, a causa del referendum); sull’avocazione obbligatoria da parte del procuratore generale delle inchieste in cui il pm non abbia esercitato l’azione penale "entro tre mesi" dal deposito degli atti, l’ipotesi indicata è una modifica da presentare con un emendamento del governo o da "discutere" rimandando il ddl sulla giustizia penale in commissione (il tema è politicamente delicato: basti pensare che l’avocazione obbligatoria è stata introdotta in Parlamento da un emendamento del Pd, poi difeso a spada tratta anche da Ncd). Su quest’ultimo punto, peraltro, Renzi e Orlando hanno chiesto all’Anm di fare una controproposta che, stando a quanto ha riferito ieri Davigo, potrebbe essere quella di far scattare l’avocazione soltanto quando "il ritardo è senza giustificato motivo". Quanto alla fiducia su quel provvedimento "resta l’incertezza". "Io penso che la disponibilità manifestataci sia stata vera - spiega Davigo - ma poiché non tutto dipende dal governo, perché alcune norme vanno approvate dal Parlamento, non dobbiamo abbassare la guardia". L’"arma più potente e di maggiore deterrenza", dice Davigo, è l’"appoggio" dell’Anm ai ricorsi al Tar dei magistrati discriminati dall’abbassamento drastico e repentino dell’età pensionabile (da 75 a 70) deciso due anni fa dal governo e dalle successive proroghe, in particolare l’ultima, contro l’ultima proroga, sollevando la "pregiudiziale comunitaria per far disapplicare le norme di questi provvedimenti. E siccome c’è già un precedente della Corte Ue favorevole su casi analoghi(riguardante l’Ungheria, che è stata condannata), Davigo prevede "conseguenze dirompenti". In ogni caso, il Parlamentino dell’Anm si rivedrà il 18 novembre per verificare se alle parole sono seguiti i fatti. Parole come quel "Non mi sembra giusto" detto da Renzi quando ha saputo che i magistrati ordinari guadagnano meno dei colleghi amministrativi e contabili, e che il premier ha autorizzato l’Anm a riferire. Il comunicato finale dell’Anm contiene però un punto inedito, destinato a infuocare i rapporti con gli avvocati, oltre che con Renzi e Orlando: il no netto alla partecipazione degli avvocati ai Consigli giudiziari per le valutazioni professionali dei magistrati. Un’"apertura" che Renzi e Orlando avevano fatto, stavolta, agli avvocati, ma che non piace assolutamente alle toghe. Roma: è caccia ai 3 evasi, polemica sulla sicurezza a Rebibbia Il Tempo, 29 ottobre 2016 Dopo quasi due giorni di ricerche non c’è traccia dei tre detenuti evasi dal carcere di Rebibbia la notte tra mercoledì e giovedì. Foto segnaletiche dei tre sono state diffuse in tutta Italia, da Roma alle frontiere. La pm della procura capitolina, Nadia Plastina, coordina le indagini mentre alle ricerche dei tre cittadini albanesi partecipano polizia, carabinieri e tutte le forze dell’ordine. Gli evasi sono considerati molto pericolosi: hanno trascorsi criminali che vanno dal traffico di droga e armi, allo sfruttamento della prostituzione fino agli omicidi. Il più temibile è Basho Tesi, 35 anni, condannato all’ergastolo per omicidio, armi e sfruttamento della prostituzione; Mikel Hasanbelli, 38 anni, era in carcere per droga e sfruttamento della prostituzione con fine pena nel 2020; Ilir Pere, 40 anni, è stato condannato per traffico di droga e armi, e per tentato omicidio con fine pena nel 2041. "Non hanno nulla da perdere e hanno probabilmente appoggi esterni di persone pronte ad aiutare la loro fuga anche economicamente", sottolinea chi indaga. Inoltre i tre fuggitivi, scappati dopo aver segato le sbarre con una lima ed essersi calati dalle mura di cinta con lenzuola legate tra loro, hanno avuto un vantaggio di oltre tre ore sulle forze dell’ordine, perché tanto è passato dal momento dell’evasione a quando il carcere ha dato l’allarme. In procura arriverà l’informativa dell’ufficio ispettivo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). E considerato che questa è la seconda evasione da Rebibbia nel giro di pochi mesi, verranno effettuate attente verifiche per appurare eventuali carenze nei servizi di controllo del carcere romano. I tre erano assegnati al reparto G9, circuito media sicurezza. Il Dap ha fatto sapere ieri di aver disposto indagini interne per ricostruire l’esatta dinamica dei fatti. Dai primi accertamenti i sistemi di allarme erano funzionanti, ma l’evasione con modalità in tutto simili a quella che lo scorso 15 febbraio aveva avuto per protagonisti i romeni Catalin Ciobanu e Mihai Florin Diaconescu, suscita, ancora una volta, polemiche legate alla sicurezza del centro di detenzione. "La prima cosa da fare è sostituire le grate, che si tagliano facilmente e non sono idonee a un carcere, con quelle in acciaio". Così Massimo Costantino, Fns Cisl Lazio, che aggiunge: "Bisogna poi mettere in sicurezza i sistemi di allarme e quelli anti-scavalcamento". Il sindacalista sottolinea che i sistemi di sicurezza del carcere sono ormai obsoleti: basta un gabbiano o un colpo di vento per far scattare l’allarme tanto che spesso viene ignorato dagli agenti. "Inoltre un agente di Rebibbia deve vigilare in alcuni momenti su duecento detenuti - dice Costantino - e se non si incrementa il personale e non si aumentano i capitoli di spesa per la sicurezza, episodi come quello di ieri si ripresenteranno". Stesso copione, stessa scena, stesso carcere. La casa circondariale romana di Rebibbia è stata teatro di eclatanti evasioni con sbarre tagliate e lenzuola usate come corde, anche di recente. Lo scorso 14 febbraio, Catalin Ciobanu e Mihai Florin Diaconescu, romeni di 28 e 33 anni, fuggono dal carcere dopo aver segato con una lima le sbarre di una finestra, calandosi con alcune lenzuola legate tra loro. La loro fuga dura poco più di tre giorni: Ciobanu si costituisce, mentre Diaconescu viene fermato la notte del 18 febbraio durante un controllo a un posto di blocco. L’11 febbraio del 2014 invece dal carcere fuggono due detenuti romani, Giampiero Cattini e Sergio Di Palo, residenti rispettivamente a Primavalle e Tor Bella Monaca. I due scappano dal terzo piano dello stabile, attualmente dismesso, anche in quel caso dopo aver segato le sbarre ed essersi calati con lenzuola annodate. La fuga di Cattini dura meno di un giorno e una settimana dopo viene catturato anche De Palo in provincia di Ascoli Piceno. Si era nascosto in un ospedale di San Benedetto del Tronto, sotto falsa identità, perché durante la fuga si era fratturato un ginocchio. Ivrea (To): seconda rivolta in carcere, 3 agenti feriti La Sentinella del Canavese, 29 ottobre 2016 Venerdì la protesta per l’assenza delle tv nelle celle. Gli stessi 4 detenuti cercano di appiccare il fuoco. Ancora una notte di proteste e violenza all’interno del carcere di Ivrea. Due rivolte in pochi giorni. L’ultima tra lunedì e martedì che fa seguito a quella di venerdì scorso quando scoppiarono violenti tafferugli innescati da alcuni detenuti che pretendevano di avere la televisione in cella. La sommossa dell’altra notte è durata quasi sei ore e ha visto tre agenti della Polizia penitenziaria costretti a ricorrere alle cure dei medici per lievi ustioni e diverse contusioni. Alle 23,30 quattro uomini, tutti sudamericani (e gli stessi che hanno innescato la precedente rivolta) hanno iniziato a incendiare giornali, stracci e suppellettili lanciandoli nei corridoi, mettendo così in pericolo la loro stessa vita e quella dei vicini. Tempestivo e coraggioso è stato l’intervento degli agenti che hanno messo in salvo tutti. Tre celle sono state gravemente danneggiate. Due dei fomentatori sono stati trasferiti in un’altra casa circondariale. "Siamo alla follia" recita un lungo comunicato stampa dell’Osapp, organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria che arriva a chiedere una tempestiva verifica della situazione con i vertici locali lasciando intendere l’esistenza di profondi malumori tra gli agenti in servizio. Il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci non usa giri di parole: "La situazione nelle carceri italiane è drammatica. È sempre più evidente l’incapacità dell’amministrazione penitenziaria, a partire dai vertici romani, di provvedere per una gestione oculata, trasparente e economicamente produttiva delle case circondariali". Poi va giù duro su Ivrea: "Non è la prima volta che si verificano episodi di questo tipo, la situazione qui è disastrosa ed è necessario capire se i vertici sono in grado di controllarla". Bologna: giornata di formazione "Diritti e dignità nell’esecuzione della pena" assemblea.emr.it, 29 ottobre 2016 Una giornata di formazione congiunta per la miglior collaborazione e il maggior benessere di tutte le persone - detenuti, operatori, volontari - che vivono la pena. È previsto per il prossimo 7 novembre 2016 a Bologna l’incontro conclusivo dell’iniziativa "Diritti e dignità nell’esecuzione della pena", progettata dalla Conferenza regionale volontariato giustizia, insieme al Garante regionale dei detenuti e con il patrocinio dell’Assemblea legislativa, per socializzare la disciplina sull’umanizzazione della pena e rafforzare il contributo dei volontari nell’esecuzione. Il punto della Garante. Dopo i precedenti momenti di formazione, che nei mesi scorsi sono stati rivolti ai volontari sul territorio emiliano-romagnolo, la giornata finale si presenta come l’occasione dedicata ad operatori - area sicurezza, area educativa, assistenti sociali, garanti e volontari insieme. L’obiettivo di fondo di questo appuntamento corale è costruire una collaborazione e promuovere un benessere che tenga conto dei diritti e della dignità di tutte le persone coinvolte nell’esecuzione della pena, in contesti e con ruoli molto importanti ma anche differenti, non sempre adeguatamente conosciuti e coerentemente attuati. Il programma prevede in mattinata i saluti di apertura della Presidente dell’Assemblea legislativa, Simonetta Saliera, e gli interventi in plenaria della Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, e di Franco Floris, Direttore di Animazione sociale dell’Associazione Gruppo Abele. Nel pomeriggio si terranno i gruppi di lavoro, dedicati ai diversi addetti ai lavori, con la restituzione e le conclusioni della giornata, sempre a cura di Franco Floris. La modalità di lavoro, affidata a un pedagogista e formatore esperto come Floris per valorizzare appieno tale partecipazione plurale, è volta a favorire la discussione sui concetti di rispetto della dignità e di tutela dei diritti all’interno del sistema dell’esecuzione penale, in tutte le possibili declinazioni, secondo la prospettiva e il vissuto di detenuti, familiari, operatori, volontari e garanti. Ciò potrà avvenire a partire dalla condivisione delle competenze diffuse e delle buone prassi, di cui ogni interlocutore è portatore, nei confronti di tutta la comunità coinvolta. Si tratta in sintesi di un incontro di riflessione, di uno scambio di esperienze, con cui far crescere le relazioni tra le figure interessate e dar concretezza all’impegno comune per una diversa penalità. La voce del volontariato. La Conferenza Volontariato Giustizia dell’Emilia Romagna - dichiara la referente Paola Cigarini - ha proposto questa nuova giornata di formazione congiunta memore della positiva esperienza del gennaio 2015 dove volontari e operatori impegnati nelle carceri della regione si sono confrontati sul tema dell’accoglienza dei minori in occasione dei colloqui con i loro cari ristretti. Ora, al termine del percorso formativo per volontari su "Diritti e Dignità", vorremmo dedicare il momento formativo al confronto su questi due temi così importanti per tutti; non già per sancire una contrapposizione, ma piuttosto per trovare nuove forme di collaborazione che siano più positive e possano garantire, all’interno dei vari istituti, un maggior benessere per tutti gli attori e un clima più favorevole alla "rieducazione" dei condannati così come recita la nostra Costituzione. Il percorso è stato ben accolto dal Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria e sostenuto con generosità dalla Garante regionale e dal suo Ufficio cui va la gratitudine di tutti i volontari. Sanremo: i detenuti hanno rappresentato lo spettacolo "Bon Voyage" sanremonews.it, 29 ottobre 2016 Il pubblico presente nel teatro interno dell’Istituto non ha potuto non sottolineare, anche con interventi mirati, la grande carica emotiva trasmessa dagli attori, che dopo aver raccontato la loro storia affidavano al mare, con messaggi in bottiglia, i loro pensieri e i ricordi dei compagni che non ce l’hanno fatta. Anticipando di qualche giorno il "Giubileo del Carcerato", i detenuti della casa circondariale di Sanremo diretti come sempre da Davide Barella (regista e autore del gruppo dal 2002), hanno rappresentato oggi lo spettacolo "Bon voyage", scritto dai detenuti stessi e ricco di riferimenti autobiografici, atto conclusivo del corso di teatro realizzato col contributo del ‘Progetto Pontè, attraverso la collaborazione con Arci. La maggior parte dei detenuti, di provenienza africana, ha raccontato la propria esperienza personale legata ai "viaggi della speranza", fatti di attese, sfruttamenti, pericoli, tragiche morti, paura, derive, un tema purtroppo molto attuale e tristemente agli onori della cronaca. Gli altri detenuti attori, ragazzi italiani e albanesi, hanno supportato il tema trattato impersonando i marinai e i volontari che operano nel canale di Sicilia, componendo le proprie parti attraverso ricostruzioni molto accurate. Il motto dello spettacolo, come ricordava un cartello affisso sopra la sagoma delle imbarcazioni, era ‘Tutto è vero’. Il pubblico presente nel teatro interno dell’Istituto non ha potuto non sottolineare, anche con interventi mirati, la grande carica emotiva trasmessa dagli attori, che dopo aver raccontato la loro storia affidavano al mare, con messaggi in bottiglia, i loro pensieri e i ricordi dei compagni che non ce l’hanno fatta. Alla manifestazione erano presenti, oltre al Direttore, dott. Frontirré, il Prefetto, gli Assessori del Comune di Sanremo Cassini e Pireri, la dottoressa Gallinotti e Catzeddu dell’Assessorato regionale ai Servizi Sociali e il dottor Plaia del Prap, Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria. S.M. Capua Vetere: Comunità di Sant’Egidio e Lino Volpe portano la musica tra i detenuti Il Mattino, 29 ottobre 2016 L’arte crea bellezza e ha una funzione catartica per aiutare il processo di riabilitazione. Questo è lo scopo dello spettacolo di Lino Volpe che si è tenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, organizzato dalla comunità di Sant’Egidio. Un palco minimal quello della casa circondariale, sullo sfondo l’immagine del Vesuvio. E stato proprio il legame con le radici che ha concesso all’attore di salire sul palco e trovare un feeling con la platea. Un feeling creato da musica e parole, che hanno dato vita ad un’ora di spettacolo: "Non ho modificato di molto la rappresentazione che porto usualmente nei teatri" dice Volpe, accompagnato sul palco da Franco Ponzo alla chitarra e Vittorio Cataldi alla fisarmonica. Il repertorio è fatto di canzoni classiche napoletane: "Era di Maggio" di Murolo, "A rumba de scugnizz", "Simm’e Napule paisà", in cui Volpe invita la platea, composta da un centinaio di detenuti, ad ascoltare le parole ed il messaggio di pace. Lo spettacolo è proseguito con "Terra mia" di Pino Daniele, "Tammurriata nera" e le canzoni di Sergio Bruni. "Ho seguito un racconto filologico - spiega Volpe - con forte valenza poetica ed evocativa Ho provato emozioni fortissime e ho ritrovato un pubblico molto preparato. Mi hanno restituito tanta energia". Sono anni che la comunità di Sant’Egidio organizza eventi in carcere: "Il progetto è di stare vicino ai detenuti e aiutarli nel riscatto - dice Antonio Mattone, responsabile della Comunità - da diversi anni facciamo il pranzo di Natale per i detenuti e per coloro che non possono avere supporto dalla famiglia". Lino Volpe a conclusione è stato omaggiato con dei pezzi di artigianato, un’attività in cui i detenuti sono impegnati da circa un anno e mezzo. "Questa giornata è servita per far passare un pomeriggio diverso ai detenuti - spiega Carlotta Giaquinto, dirigente del carcere - ma non solo. È stato anche il modo per ricordare che esiste questa realtà, troppo spesso dimenticata". Parma: la Traviata in carcere, opera in via Burla per i detenuti parmaquotidiano.info, 29 ottobre 2016 Nell’ambito di Verdi Off, la rassegna di appuntamenti collaterali al Festival Verdi che il Teatro Regio di Parma realizza con il Comune di Parma e con il sostegno dell’Associazione "Parma, io ci sto!", il Teatro Regio, come propulsore di "cultura sociale", porta la gioia e l’emozione della musica dal vivo in luoghi che non sempre possono goderne, creando momenti di condivisione e occasioni di formazione. Sabato 29 ottobre 2016, alle ore 12.00 presso l’Auditorium degli Istituti penitenziari di Parma, l’attore e regista Bruno Stori rievocherà, in un’originale riscrittura, La traviata di Giuseppe Verdi, nello spettacolo realizzato in collaborazione con Ministero della Giustizia - Dipartimento Amministrazione Penitenziaria Istituti Penitenziari di Parma, Garante dei Detenuti, Conservatorio di Musica "Arrigo Boito" di Parma. In scena il soprano Giovanna Iacobellis (Violetta Valéry), il tenore Davide Urbani (Alfredo Germont) e il baritono Gaetano Vinciguerra (Giorgio Germont), allievi del Conservatorio, accompagnati al pianoforte da Iulia Ratiu e coordinati da Donatella Saccardi. Per coinvolgere appieno i detenuti e far vivere loro l’emozione del teatro non solo da spettatori, è stato creato per questa speciale occasione il Coro dei Detenuti dell’Istituto penitenziario di Parma, preparato da Benedetta Toni attraverso laboratori formativi e musicali che hanno coinvolto 12 detenuti che, oltre ad aver approfondito i temi inerenti l’opera che in scena, hanno potuto sperimentare la gioia del canto corale preparando il celebre brindisi de La traviata, che canteranno sul palcoscenico in occasione dello spettacolo. I fumi dell’Ilva uccidono. La Cedu ammette il ricorso di Giulia Merlo Il Dubbio, 29 ottobre 2016 La corte europea dei diritti dell’uomo apre un nuovo caso contro l’Italia. Ammissibile. La Corte europea dei diritti dell’uomo apre un nuovo fronte giudiziario anti-Ilva e contro l’Italia, ammettendo il ricorso promosso da 207 cittadini per i danni alla salute provocati dall’inquinamento dello stabilimento siderurgico di Taranto. "Dopo la beffa dei vari decreti salva-Ilva, che hanno di volta in volta prorogato l’attività degli impianti, arriva finalmente una notizia positiva per i cittadini che chiedono a gran voce protezione dal giudice europeo", ha detto l’avvocato Anton Giulio Lana, presidente dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani e legale degli oltre duecento ricorrenti. Obiettivo è quello di ottenere l’interruzione forzata dell’attività dell’Ilva e quella che, nei termini del diritto europeo, viene definita "equa soddisfazione", ovvero il risarcimento del danno per le vittime e i loro cari. Il ricorso punta a tutelare gli interessi di 207 persone - tra gli eredi e gli attuali dipendenti dell’Ilva - che hanno subito gravissimi pregiudizi alla salute a causa dell’inquinamento dell’impianto. La maggior parte, infatti, è deceduta o combatte contro carcinomi e malattie alla tiroide e, a sostegno della pretesa davanti alla Corte, ognuna delle loro posizioni mediche è stata allegata al ricorso. Se normalmente, per ricorrere alla Corte europea dei diritti dell’uomo, è necessario il previo esaurimento delle vie di ricorso interne, nel caso dell’Ilva i legali hanno fatto valere la violazione permanente al diritto alla salute causata dall’Ilva e il fatto che nessun procedimento giuridico previsto dal nostro ordinamento permette di porre fine alla lesione. Ora - dopo l’esame preliminare sull’ammissibilità e il via libera ottenuto - la Cedu comunicherà al Governo italiano il ricorso, dando il termine per presentare le osservazioni (il Governo avrà tempo fino al febbraio prossimo) e le repliche dei ricorrenti. Nel caso in cui la Corte pronunciasse sentenza di condanna, infine, la sua decisione sarebbe vincolante per il Governo italiano, che non potrebbe più voltarsi dall’altra parte. Quanto ai tempi, è impossibile stabilire la durata del procedimento ma "i giudici europei hanno accolto anche la domanda di trattazione prioritaria del ricorso collettivo, che sarà dunque deciso in tempi brevi", ha spiegato Lana, che ha motivato la richiesta della "corsia preferenziale" perché molti dei 207 ricorrenti sono attualmente malati. Il Governo italiano dovrà quindi rispondere sia di condotta omissiva nei confronti dei cittadini di Taranto, che non sono stati tutelati nel loro diritto alla salute, ma anche di condotta attiva di lesione. Il ricorso, infatti, contiene riferimento ai cosiddetti decreti salva-Ilva: il primo risale al 2010 (varato dal governo Berlusconi) e da allora ne sono seguiti altri otto, l’ultimo dei quali è stato approvato lo scorso gennaio. Si è trattato, in sostanza, di provvedimenti volti a salvaguardare la produzione industriale dello stabilimento siderurgico, grazie allo stanziamento di molti milioni di euro in finanziamenti per le bonifiche e per gli stipendi dei dipendenti. "Tutto in totale spregio all’ordinanza di sequestro senza facoltà di uso dello stabilimento emanata dal tribunale nel 2012", ha aggiunto Lana. All’epoca, i periti avevano accertato che le emissioni dell’Ilva provocavano "malattie e morte" e il giudice aveva sequestrato gli impianti: l’allora ministro dell’ambiente Corrado Clini, però, aveva fatto ricorso al Tribunale del riesame e varato un provvedimento che consentiva all’azienda un "lasciapassare" di 36 mesi di produzione, in attesa di adeguare gli impianti inquinanti. Oggi, il governo italiano si trova di nuovo a rispondere - questa volta davanti ai vertici europei - di uno dei peggiori drammi ambientali e sanitari della storia italiana: secondo i periti della Procura, le emissioni dell’impianto siderurgico hanno causato una media di 1650 morti e 3900 ricoveri l’anno, solo nel periodo tra il 2004 e il 2010. E, mentre i giudici europei esaminano la mole di documenti del ricorso, i fumi dell’Ilva ancora ingrigiscono il cielo di Taranto. Il difficile compito della corte dell’Aja di Vladimiro Zagrebelsky La Stampa, 29 ottobre 2016 Quando nel 1998 a Roma si conclusero i lavori del trattato per lo Statuto della Corte penale internazionale, poi ratificato da 124 Stati, molti salutarono l’avvenimento come un tornante storico del diritto internazionale e la vittoria della giustizia contro l’impunità generalmente assicurata ai governanti per i gravi crimini contro l’umanità. Era prevalsa la convinzione che la punizione di genocidi, crimini di guerra e contro l’umanità sia ormai da considerare compito della comunità internazionale nel suo insieme. Dai processi di Norimberga e di Tokyo sono derivate affermazioni di principio ormai imprescindibili e negli anni recenti le Nazioni Unite hanno istituito speciali tribunali internazionali, ad esempio per i crimini commessi nella ex-Jugoslavia o per il genocidio nel Ruanda. Ma un compiuto punto di arrivo è stato raggiunto con l’istituzione della Corte penale internazionale. Non si è trattato di un esito scontato. Diverse erano le ragioni di chi si opponeva e si oppone al principio stesso di cui la Corte penale internazionale è espressione. E non si tratta solo del rifiuto opposto da Stati e governanti che cercano l’impunità ad ogni costo o della posizione di Stati come Stati Uniti, Russia, Cina, India tra i maggiori, che non riconoscono la giurisdizione della Corte internazionale, perché non intendono ammettere che un giudice internazionale possa esaminare denunzie di crimini commessi da propri cittadini (non solo i governanti, ma anche i militari, i funzionari...). Contro la soluzione adottata con l’istituzione della Corte internazionale veniva fatto valere che l’intervento giudiziario impedisce soluzioni politiche concordate, che possono mettere fine a drammatici conflitti interni e esterni consentendo ad esempio a governanti criminali di abbandonare il Paese e trovare rifugio altrove: che la politica cioè, piuttosto che la giustizia, sia adatta a gestire simili emergenze. Con lo Statuto di Roma e l’istituzione della Corte che siede all’Aja è però prevalsa una posizione di principio, che esclude l’impunità per i più gravi crimini contro l’umanità e rifiuta di considerarli un affare interno agli Stati da gestire da e tra i governi secondo le convenienze. Molti Stati che dichiarano di non poter sopportare l’impunità dei responsabili dei crimini contro l’umanità, tollerano tuttavia che, prima della loro caduta, coloro che li commettono siano considerati interlocutori politici, economici, militari. La vicenda siriana ne è esempio chiaro, per il suo svolgimento con gli interventi di tanti Paesi terzi. Nel 2014, quando ancora si trattava di un conflitto essenzialmente interno, una mozione di 65 Stati membri delle Nazioni Unite per istituire un processo contro Bashar al-Assad venne bloccata dal veto di Russia e Cina in Consiglio di Sicurezza. Con il senno di poi, si può pensare che quel veto abbia impedito una "soluzione giudiziaria" che avrebbe posto fine allo scontro che sconvolge tutta la regione? Difficile crederlo, ma l’uso apertamente politico per interessi nazionali, nell’attivare o nel bloccare l’azione degli organi della Corte penale internazionale offre spazio alla crisi che rischia ora di travolgere la Corte: offre spazio cioè all’accusa di selettività politica e discriminazione sollevata dall’Unione Africana e dai 34 Paesi d’Africa, che, dopo averne ratificato l’istituzione, ora si rivolgono contro la Corte. Dopo il Burundi, adesso, nell’imminenza della sessione dell’assemblea degli Stati parti del sistema, il Gambia e il Sud Africa, rivendicando l’immunità dei capi di Stato, hanno dichiarato l’intenzione di denunziare il trattato. L’accusa di pregiudizio deriva dal fatto che la maggioranza delle inchieste in corso riguardano Stati africani. E le inchieste giunte a giudizio riguardano solo Stati africani. È dunque possibile chiedersi se non vi sia uno sguardo indagatore rivolto solo all’Africa e un occhio di favore altrove. L’addebito alla Corte di destinare troppa attenzione a ciò che accade nei Paesi del continente nero dovrebbe però essere rovesciato, criticando semmai la disattenzione per ciò che si verifica in altre parti del mondo. Ma la radice del problema si trova nella realtà politica mondiale, che l’istituzione della Corte internazionale avrebbe voluto correggere. È vero che il Procuratore della Corte potrebbe agire di propria iniziativa o su denunzia di uno Stato parte del sistema (ma sono evidenti le difficoltà di indagini che si svolgono nel territorio di Stati che non vogliono o possono collaborare). Tuttavia è agli Stati e soprattutto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che occorre guardare, per costatare che quello è il luogo ove abita la politica della forza e non l’idea della giustizia internazionale. Migranti. Guerra di veti Renzi-Orban di Emilia Patta Il Sole 24 Ore, 29 ottobre 2016 Roma minaccia lo stop sui bilanci Ue, Budapest quello sulle quote obbligatorie. La battaglia di Matteo Renzi per un’Europa più solidale sul fronte dei migranti e più orientata sugli investimenti e sulla crescita sul fronte della politica economica non segue più solo la rotta Roma-Bruxelles ma comincia a prendere anche strade laterali trasformandosi un uno scontro a più voci. A scendere in campo ieri è stato il premier nazional-conservatore ed euroscettico dell’Ungheria Viktor Orban, contrario all’imposizione di quote di migranti tra i vari Paesi Ue e reduce dalla recente sconfitta al referendum proposto agli ungheresi proprio su questo punto (non è stato superato il quorum previsto del 50%). "Non tolleriamo che l’Ungheria sia considerata un Paese non solidale - ha detto Orban difendendo con un ragionamento a dir poco irrazionale il "muro" eretto a difesa dei confini ungheresi. L’Ungheria ha speso finora 150 miliardi di fiorini (quasi 500 milioni di euro, ndr) per la difesa dei confini con la costruzione della barriera e i pattugliamenti pesanti. Proprio per questo l’Ungheria è solidale con gli altri perché, spendendo molto per la difesa dei confini, sta difendendo la sicurezza anche dei Paesi oltre i nostri confini...". A colpire, muro a parte, è l’attacco personale a Renzi, con argomenti e linguaggio inusuali tra leader europei: "La politica italiana è su un terreno difficile, l’Italia ha problemi di bilancio mentre deve far fronte ad arrivi di massa di migranti: il primo ministro italiano ha buoni motivi per essere nervoso. Ci sono buone ragioni per dar loro solidarietà e amicizia, ma ciò non toglie che l’Italia non rispetta i requisiti di Schengen", ha detto Orban ripetendo le accuse già espresse dal suo ministro degli esteri il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó. Unica "concessione" di Orban al nostro Paese è l’ammissione che l’Europa non fornisce l’assistenza necessaria. Il premier ungherese ha poi aggiunto la minaccia di porre il veto contro il "rospo" delle quote obbligatorie di ripartizione dei migranti nell’Ue e addirittura di adire la Corte di giustizia dell’Unione per "far causa" alla Commissione. Da parte sua Renzi nei giorni scorsi aveva minacciato a più riprese di porre il veto sul bilancio Ue se i Paesi dell’Europa centrale e orientale, che percepiscono am- pi finanziamenti europei, insisteranno nel loro rifiuto di accogliere i migranti in base al sistema di "relocation" europeo, sistema che per altro non prevede sanzioni efficaci come ha ammesso lo stesso presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker. Ieri la replica è arrivata dopo qualche ora: "Il presidente Orban ha una visione dell’Italia non puntuale. In altri termini non è vero che il deficit aumenta, non è vero che l’Italia è in difficoltà o che c’è nervosismo. Il punto è un altro: o l’Europa, e questo vale anche per l’Ungheria, prende atto dei documenti che la stessa Europa ha formato e si fa carico dei migranti o c’è una bella novità: l’Italia metterà il veto su qualsiasi bilancio dell’Unione che non contempli pari oneri e onori". Minaccia di chiudere il rubinetto degli ingenti fondi Ue in favore dei Paesi dell’Est reiterata, dunque. Nel mirino non solo l’Ungheria, ma anche la Repubblica Ceca, la Slovacchia e la Polonia governata dai nazionalisti del Pis. "Evidentemente abbiamo colto nel segno, leggo un elemento di preoccupazione nei nostri amici dell’Est ma deve essere chiaro che l’Italia non è più salvadanaio da cui andare a prendere soldi", ha ribadito Renzi. Il cui obiettivo resta la riforma delle istituzioni e dei Trattati, a cominciare dal Fiscal Compact, in vista del cinquantenario della nascita dell’Unione europea che sarà celebrato a Roma il prossimo marzo. "Se vogliamo cambiare vogliamo cambiare al nostro interno, ma devono farlo anche le istituzioni europee". Magari cominciando a sanzionare le posizioni antidemocratiche e anti solidali di alcuni Paesi - è il pensiero del premier - invece che accapigliarsi sugli zero virgola. Migranti. La Camera approva la legge sui minori non accompagnati di Daniela Fassini Avvenire, 29 ottobre 2016 Il testo prevede misure concrete per intervenire su quella che è diventata una grande emergenza, con 20mila arrivi solo nel 2016. Dopo tre anni di iter, la Camera ha votato la norma che tutela i migranti minorenni che sbarcano soli sulle nostre coste. Centinaia di "piccoli uomini" che ogni giorno affrontano il pericolosissimo e lungo viaggio in mare, da soli, dopo aver lasciato il proprio paese e tutti gli affetti. Quasi ventimila soltanto quest’anno. Venticinquemila tra il 2014 e il 2015. Il testo, approvata in prima lettura dalla Camera - con333 voti a favore, 11 contrari (le opposizioni) e 16 astenuti - prevede misure concrete per intervenire su quella che è diventata una vera e propria emergenza. Ora si attende un rapido via libera del Senato. Le associazioni - "Finalmente l’Italia si appresta a dotarsi di un sistema di accoglienza per i minorenni non accompagnati, che superi la gestione emergenziale di questi anni" commentano con soddisfazione l’approvazione della legge le associazioni Amnesty International, Amici dei Bambini, Centro Astalli, Unicef, Cnca, Oxfam Italia, Save the Children e Terre des Hommes. Le stesse Ong che si sono mobilitate per promuovere il provvedimento. Ora, sottolineano "occorre che la calendarizzazione al Senato sia rapida, poiché migliaia di minori non possono aspettare ancora". Cosa cambierà Divieto di respingimento. La legge votata al Senato prevede il divieto di respingimento per i minori non accompagnati. Fino ad oggi la norma prevedeva, secondo il Regolamento di Dublino, la possibilità per i migranti minorenni di potersi ricongiungere con parenti e familiari che si trovano nei 32 Paesi cosiddetti Dublino ( i 28 Stati membri dell’Unione Europea - Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria - più i 4 paesi "associati": Norvegia, Islanda, Svizzera e Liechtenstein) ma in realtà per mancanza di ascolto, lungaggini e tempi di attesa molti lunghi hanno impedito di fatto l’applicazione di Dublino. Strutture di prima accoglienza riservate Fino ad oggi il minorenne veniva accolto, per le procedure di riconoscimento, in luoghi comuni con gli adulti. Con la nuova legge i minorenni avranno centri riservati ad alta specializzazione. Legali, psicologie mediatori linguistici seguiranno tutte le fasi del minorenne. Il riconoscimento dovrà avvenire entro sette giorni dallo sbarco e la permanenza nel primo centro di accoglienza non potrà superare i 30 giorni. Entro questo termine al minore sarà garantita anche l’iscrizione al servizio sanitario nazionale. Il tutore e l’affidamento familiare La norma istituisce la figura di un tutore che segue il ragazzo in tutte le sue fasi di accertamento giuridico. Il fatto che mancasse fino ad oggi una persona di riferimento rappresentava una delle maggiori criticità con il conseguente rischio, per il giovane migrante solo, di finire nella rete della malavita e della tratta di essere umani. La legge promuove inoltre, per la seconda accoglienza, la pratica dell’affido familiare. La possibilità cioè di una famiglia di accogliere per un determinato periodo un richiedente asilo minorenne non accompagnato. In questo modo il minore potrà trovare affetto, tutela e un ambiente più consono alle proprie esigenze. Accertamento età Un altro traguardo fondamentale della legge è quello di armonizzare le procedure di accertamento dell’età. Spesso infatti molti migranti che sbarcano sulle nostre coste denunciano un’età anagrafica falsa per poter ottenere permessi e libertà di movimento nei Paesi Ue. La nuova legge armonizza le procedure di accertamento età, in modo che i minori non vengano più sottoposti inutilmente a esami medici invasivi, e soprattutto, che ovunque si trovino vengano loro garantiti i diritti, tra cui quello di un’assistenza adeguata, con la presenza di mediatori linguistici. Uno scontro pericoloso sui migranti di Stefano Stefanini La Stampa, 29 ottobre 2016 Non deve stupire che Roma e Budapest siano ai ferri corti sull’immigrazione. Lo scontro è sintomo del pessimo clima fra leader e delle divisioni all’interno dell’Ue. Non sta certo all’Ungheria dare giudizi sul deficit italiano. Né l’immigrazione in Italia è una minaccia per gli ungheresi. Il premier ungherese ha colto l’occasione per salire in cattedra sul terreno dove si sente più forte, sa di trovare amici e vuole giocare la partita con l’Ue: il controllo delle frontiere. Viktor Orban è un improbabile paladino europeista. Da anni Budapest è il pulcino nero dell’Unione su libertà democratiche e stato di diritto. Il campo populista è oggi affollato, a Est come a Ovest, Italia compresa, persino oltre Manica. Da Varsavia, Jaroslaw Kaczynski tira le fila della rivolta anti-Bruxelles del gruppo di Visegrad. Ma il leader ungherese può vantare la primogenitura. Ha lanciato per primo la sfida, ne ha plasmato l’appello culturale e nazionale, ha tratto più ispirazione dalla Mosca di Vladimir Putin che non dalla Berlino di Angela Merkel. Il mezzo passo falso sul quorum nel referendum sull’immigrazione ha appena scalfito la sua presa sul potere. A Budapest e nel modesto firmamento europeo, Viktor Orban rimane saldamente in sella a condizione di non mollare sull’immigrazione. L’orrendo reticolato di filo spinato che taglia il confine serbo-ungherese è il fiore all’occhiello della sua popolarità, in casa e fuori. Lungi dall’esserne imbarazzato, Orban se n’è vantato anche nella polemica con l’Italia: ecco come l’Ungheria difende "i confini esterni dell’Ue". A differenza, implicitamente, dell’Italia o della Grecia che ne fanno un colabrodo. Per geografia il confronto è risibile. Conta per la politica e per lo scontro, che si gioca nei vertici europei ma ancor più alle urne, sul futuro dell’Unione. Alla solidarietà invocata, con tonalità diverse, da Bruxelles, Roma o Berlino, si oppone la rivendicazione intransigente della sovranità nazionale. L’esercizio, o il recupero delle fette cedute, comincia ai confini. Brexit docet: l’idea di "riprendere controllo" è stata la molla psicologica che ha fatto pendere la bilancia per l’uscita dall’Ue. Budapest e Varsavia hanno imparato la lezione ma non vogliono andarsene. Non si abbandona una casa così comoda, ospitale, pagante e rassicurante. Vogliono cambiarla a loro favore, subordinando Bruxelles alle capitali più di quanto già non lo sia. Per Kaczynski e Orban "Brexit è un’opportunità" d’invertire il senso di marcia dell’integrazione europea. Sono politici troppo stagionati per non sapere di essere oggi in minoranza fra i governi. Ma domani? L’ondata populista che può spazzar via dall’interno l’ortodossia europeista della maggior parte dei governi ha bisogno di una causa. La trova nell’immigrazione. Ergendosi a baluardo per fermarla, Orban la cavalca. Non difende solo l’Ungheria dalla "quota" di qualche migliaio di rifugiati siriani o afghani; raccoglie le simpatie dormienti in larghi strati dell’opinione pubblica europea. "Populisti di tutta l’Europa unitevi": ecco il suo messaggio. Con il record di arrivi nel 2016 l’Italia è la più esposta. Roma ha un disperato bisogno di concreta solidarietà europea, che non può essere altro che la ripartizione degli oneri, accompagnata da una vigorosa politica, pure europea, di rimpatri (non sarebbe poi male, se poi l’Ue facesse qualcosa di più risoluto per filtrare la rotta libica). Col referendum alle porte, Matteo Renzi è vulnerabile. Il voto del 4 dicembre non ha nulla a che fare con l’immigrazione, ma molte delle forze che votano "no", sono i futuri alleati di Orban nello smantellamento populista dell’Europa sovrannazionale. Ecco da dove nasce l’attacco. La risposta italiana non si è fatta attendere; sarebbe auspicabile che anche da Bruxelles venisse un segnale di fermezza. Ma è necessaria anche qualche riflessione. In vista del referendum, il presidente del Consiglio sta seminando resistenza a spada tratta all’Ue sul bilancio; il rischio è che, oltre a qualche "sì" di scontenti Ue raccolga anche isolamento europeo - Orban ne ha spregiudicatamente approfittato deviando la polemica dall’immigrazione al deficit. Bruxelles (e Berlino) devono domandarsi se il gioco della rigidità fiscale valga la candela della stabilità politica e, soprattutto, del consenso europeista in Italia. L’immigrazione è diventata il nervo scoperto dell’Europa. Richiede, da una parte, solidarietà e divisione di oneri, costi e responsabilità; dall’altra, diritto d’asilo e libera circolazione vanno adattati a una situazione di arrivi e flussi di masse di popolazione. Il controllo delle frontiere non è un capriccio nazionalista passeggero. O qualcuno l’esercita rassicurando le opinioni pubbliche, o le nazioni se lo riprenderanno. È la scommessa di Orban. Solo l’Ue può fargliela perdere. I migranti cacciati: meno Caritas, più Carità di Don Pietro Sigurani Il Dubbio, 29 ottobre 2016 Sono stato invitato a esprimere il mio pensiero sulle donne respinte, insieme ad alcuni bambini, nel ferrarese, in tutto una ventina di immigrati. Dovremmo riflettere su come vengono accolti i tanti profughi provenienti dai Paesi a rischio di guerra, di fame, di malattie mortali, di abusi. La prima ipocrisia è ripeterci: "Si accolgano solo migranti di Paesi in guerra", come se la fame, le malattie e lo sfruttamento non siano causa di disprezzo delle persone fino alla morte morale e fisica. La seconda ipocrisia è parlare in maniera generica dei migranti, facendoci guidare dalla nostra paura e dal nostro odio razziale. Il migrante non è una categoria astratta che ognuno può dipingere come gli è più comodo. Il migrante ha un nome, è una persona che ha diritto a la tua stessa dignità. Il migrante ha un volto: occhi affossati che ti implorano, mani che cercano la tua mano per aggrapparsi all’ultimo filo di speranza che solo tu gli puoi dare. Alle spalle ha una patria dalla quale è stato costretto a fuggire, un viaggio disumano, una traversata piena di insidie: alcuni sono dei sopravvissuti all’oblio, molti - troppi! - sono cancellati dalla storia per sempre. Mi hanno commosso la frenesia, le lacrime, l’impegno di tutti per salvare la vita dei terremotati. Tutti sono solidali! Ogni salvato era un nostro familiare, ogni morto una nostra amara sconfitta. Le donne e i bambini da accogliere sono stati salvati da una morte data come certa. E ora cosa facciamo? Non abbiamo cuore per trattarli almeno come i salvati dalle macerie? Il problema non è di mezzi, di possibilità o logistico. Il problema è molto più grave: la paura, l’ostracismo, la cacciata dello straniero. L’Evangelista Luca mette sulla bocca di un fariseo una preghiera blasfema: "Ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri e come quel pubblicano" (Lc, 18). Potrei continuare sulle donne e i bambini rifiutati, ma desidero parlare di un’altra grave emergenza, che ho già sottointeso nel titolo: meno Caritas, più Carità. C’è un interrogativo che mi assilla: da anni la Caritas offre assistenza a milioni di poveri, di immigrati, di anziani, ma, stando ai fatti, tutto questo denota una crescita del razzismo e della paura del diverso che alberga spesso anche nel cuore dei cristiani. Centinaia di migliaia di volontari che, con sacrificio, danno la loro opera e spesso la loro vita per servire nell’ombra, non riescono a trasmettere lo spirito di accoglienza di cui spesso parla Papa Francesco. Insieme a molti altri centri liberi di carità ci chiediamo: "Come è possibile che le opere della Caritas non riescano a toccare il cuore dei cosiddetti "praticanti"?". Ritorno alle donne e ai bambini cacciati dal ferrarese: per tutta la vita porteranno il ricordo del loro Paese dal quale sono dovuti fuggire; le sofferenze del lungo e disumano viaggio, ma soprattutto le barricate disumane che li hanno cacciati. Mi viene dal cuore un invito: mandateli a Sant’Eustacchio al centro dello Stato. I senatori, i deputati, i membri del governo che circondano la Basilica sono molto più umani di quello che a volte appare o si pensa.