Carceri: la Corte di Strasburgo fissa lo spazio minimo cella multipla Ansa, 21 ottobre 2016 La Corte europea dei diritti umani ha fissato il limite minimo che ogni detenuto deve avere in una cella che occupa con altri. Nella sentenza definitiva Mursic contro Croazia - che comunque fissa una regola valida per tutti i 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa, Italia compresa - i giudici hanno stabilito che "in celle multiple ogni detenuto deve avere a disposizione come minimo tre metri quadrati di superficie calpestabile, perché in caso contrario la mancanza di spazio vitale è ritenuta talmente grave da dare adito alla forte presunzione di una violazione del carcerato a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti". Nel caso specifico la Corte di Strasburgo ha stabilito che il diritto di Kristijan Mursic è stato violato perché l’uomo è stato tenuto per 27 giorni consecutivi in una cella con altri detenuti in cui disponeva di meno di tre metri quadri calpestabili. I giudici hanno anche stabilito le eccezioni alla regola, specificando alcuni criteri che normalmente li condurranno a non trovare una violazione dei diritti dei detenuti. Uno dei criteri è temporale: la riduzione di spazio sotto i tre metri quadri è breve, occasionale e minore. L’altro sono le condizioni generali di vita del detenuto: sufficiente libertà di movimento fuori dalla cella, partecipazione ad attività, buono stato della cella. Quel dibattito surreale sulla prescrizione... il legislatore ha dimenticato il termine iniziale di Vincenzo Vitale Il Dubbio, 21 ottobre 2016 Quando fra due soggetti si pattuisce un termine in relazione ad un certo comportamento che uno dei due deve tenere o ad una prestazione di cose o di denaro, è importante non tanto il termine finale ma molto di più quello iniziale. Per esempio, se stabilisco con un amico che entro sei mesi dovrò tinteggiargli la palizzata del giardino, è importante sapere esattamente da quando decorrano i sei mesi: da quando sto parlando con lui? Da quando mi darà il denaro per comprare i colori? Da quando li avrò effettivamente comprati? Sicché può davvero dirsi che senza la esatta determinazione del termine iniziale, quello finale appare scherzoso, quasi come se non esistesse: infatti, se non si sa o non è chiaro da quando i sei mesi cominciano a decorrere, è del tutto inutile stabilire tale termine quale termine finale. Insomma, se non c’è l’inizio non c’è neppure la fine. Questa banale verità sembra essere stata dimenticata dal nostro legislatore, il quale nella bozza di riforma del processo penale si diverte a ipotizzare termini brevi entro i quali il pubblico ministero dovrebbe decidersi a chiedere il rinvio a giudizio o l’archiviazione, ma dimentica del tutto la determinazione esatta del termine iniziale. Lo spettacolo è perciò divertente. Molti si accapigliano fra di loro - politici, magistrati, commentatori, avvocati - per allungare o accorciare tali termini ma nessuno - o quasi - rileva con preoccupazione che non si sa da quando quei termini comincino a decorrere. Infatti, è noto che il pubblico ministero è del tutto arbitro di decretare l’inizio del conto dei termini stabilendo in modo autonomo ed incontrollato il momento in cui inscrivere il nome della persona indagata nell’apposito registro. Ma se è così, di cosa stiamo parlando? Del nulla! Infatti, il se pubblico ministero può decidere come e quando voglia se inscrivere o no quel nominativo nel registro, ogni termine finale previsto dalla legge risulta del tutto ridicolo, in quanto non assistito da quello iniziale. Si tratta in effetti di una sorta di presa in giro collettiva, frutto probabilmente di ciò che Renato Giorda già decenni or sono definì nell’ambito della fenomenologia della malafede sociale. Tutti sanno che litigare sui termini finali è inutile, perché bisognerebbe invece definire con certezza quello iniziale, ma nessuno lo fa. Anzi, per la precisione, gli avvocati cercarono mesi or sono di mettere al centro della riforma proprio questo problema, ma le tensioni che ne nacquero consigliarono di lasciar perdere. Così, si passò a discutere del nulla. La tortura esiste, ma la legge no camerepenali.it, 21 ottobre 2016 La sensibilità ai diritti civili e l’attenzione alla tutela dei più deboli devono indurre il nostro parlamento ad accelerare l’iter della discussione e ad approvare finalmente una legge degna di un paese civile. Mentre i fatti di cronaca ci ricordano che la tortura esiste, il nostro legislatore sembra essersi dimenticato dei ritardi accumulati e delle sollecitazioni disattese. Più volte abbiamo messo il dito in quella che è divenuta una vera e propria "piaga" del nostro sistema penale: la mancanza del reato di tortura che non consente di punire adeguatamente episodi vergognosi di violenza e di trattamenti inumani su persone sottoposte al potere coercitivo della pubblica autorità. L’Unione delle Camere Penali da sempre, ed in ogni sede, da quelle scientifiche a quelle Congressuali, a quelle parlamentari ha sostenuto la necessità dell’inserimento non più procrastinabile del delitto di tortura nel nostro codice penale in ottemperanza, non solo agli impegni assunti a livello internazionale e alla previsione dell’art 13 della Costituzione (come del resto più volte la Corte EDU ci ha invitato a fare), ma anche e soprattutto per innalzare il livello di civiltà e di democrazia del nostro ordinamento. Non può tollerarsi che chi rappresenta lo Stato nei rapporti con i cittadini possa tenere gli inqualificabili comportamenti in cui consiste il delitto di tortura e restare impunito. Come più volte sottolineato dall’Unione dalle Camere Penali, il reato di tortura, per esprimere il suo peculiare significato di disvalore deve essere configurato come reato proprio, che può essere commesso cioè solo da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio (non dunque un reato comune come prevede il testo attualmente dormiente in Parlamento), e strutturato su una condotta che ricalchi la definizione di tortura contenuta nelle convenzioni internazionali. Auspichiamo che la pressione dell’opinione pubblica, delle associazioni tutte sensibili ai diritti civili ed alla tutela dei più deboli, induca il nostro Parlamento ad accelerare l’iter della discussione e ad approvare finalmente una legge degna di un paese civile. La Giunta dell’Unione Camere Penali Per la Cassazione processi più snelli e confronto scritto di Patrizia Maciocchi Il Sole 24 Ore, 21 ottobre 2016 Potenziamento dell’organico della Cassazione, trattenimento in servizio dei vertici della Suprema corte, della corte dei conti e del Consiglio di Stato e ricorso generalizzato alla Camera di consiglio, nel giudizi di legittimità. Queste le principali misure urgenti per definire il contenzioso della Suprema corte e riorganizzare gli uffici giudiziari, contenute nel Ddl di conversione del decreto legge 168, approvato dal Senato il 19 ottobre. Per ingrossare le fila dei collegi giudicanti sia civili sia penali della Cassazione è previsto l’impiego, in via eccezionale, dei magistrati addetti all’ufficio del Massimario e al Ruolo, malgrado svolgano normalmente funzioni di merito. Si muove sulla scia della delega per la riforma del processo civile, la disposizione che generalizza l’uso della camera di consiglio per i procedimenti che si svolgono dinanzi alle sezioni semplici della Corte e modifica la procedura del cosiddetto filtro. Si fa ricorso all’udienza pubblica solo se con il "filtro" non si riesce a definire in camera di consiglio o se la questione di diritto è di particolare rilevanza. Più snello il procedimento camerale davanti alle sezioni semplici: comunicazione alle parti e al Pm 40 giorni prima dell’udienza, 20 giorni prima l’accusa può depositare le sue conclusioni scritte, mentre quelle delle parti devono arrivare non oltre 10 giorni prima. La Corte si baserà sugli scritti senza interventi orali. Nel filtro é eliminata la relazione con la quale il consigliere indicava le ragioni di infondatezza o inammissibilità: la riforma taglia i tempi e affida al presidente il compito di indicare eventuali ipotesi filtro. Sarà la Camera di consiglio del filtro a rimettere la causa alla pubblica udienza se non trova ragioni per negarla. Interazione solo scritta anche per quanto riguarda le istanze sui regolamenti di competenza e di giurisdizione. Una disposizione transitoria chiarisce che le nuove regole si applicano solo ai ricorsi depositati dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del Dl e a quelli per i quali non è stata ancora fissata l’udienza o l’adunanza in camera di consiglio. Aumenta di un anno, da 3 a 4 anni, il tempo di permanenza necessario prima di trasferire il magistrato ordinario ad altra sede. Una disposizione che non si applica ai magistrati assegnati in prima sede dopo il tirocinio. Più generale il divieto di assegnazione del personale amministrativo degli uffici di sorveglianza ad altre amministrazioni fino al 31 dicembre 2019,a meno che non ci sia il nulla osta del presidente del tribunale di sorveglianza. In virtù della geografia giudiziaria si taglia di 52 unità il numero dei magistrati di merito di primo grado per aumentare il numero dei giudicanti di primo e secondo grado. Sono di più anche i magistrati di sorveglianza, gli amministrativo e i tecnici del Consiglio di Stato e del Tar. Per assicurare la continuità degli incarichi apicali in Cassazione e nella magistratura contabile e amministrativa è prorogato fino al 31 dicembre 2017 il trattenimento in servizio per chi non ha compiuto i 72 anni al 31 dicembre 2016. Mentre per i magistrati ordinari i termini di "scadenza" restano fermi: un distinguo considerato incostituzionale dall’Anm. Carlo Federico Grosso: "Cari magistrati non siete superiori" di Errico Novi Il Dubbio, 21 ottobre 2016 "Avvocati incapaci di dare giudizi imparziali? Non esiste un dna dell’imparzialità, né i magistrati possono rivendicarne l’esclusiva". Così Carlo Federico Grosso risponde all’ex pm Bruno Tinti, che nella sua rubrica sul Fatto quotidiano ha chiamato in causa la "struttura psicologica e professionale diversa" degli avvocati. Secondo l’ex procuratore aggiunto di Torino, oggi editorialista del quotidiano diretto da Marco Travaglio, i difensori sarebbero inesorabilmente condizionati dal fatto di tutelare una "parte", e questo sconsiglia di dare loro il diritto di votare sulla professionalità dei magistrati nei Consigli giudiziari. "L’imparzialità non fa parte della loro personalità" scrive addirittura Tinti. "Ma il carattere specifico dipende dal ruolo", ribatte Grosso, che parla da avvocato ex vicepresidente del Csm, "io al Consiglio superiore sono stato per 4 anni nella disciplinare, svolgevo cioè funzioni di giudice: non ho mai sentito dire che la mia formazione potesse impedirmi valutazioni imparziali. Cosa impedisce di estendere il principio costitutivo del Csm ai Consigli giudiziari?". Ci sono magistrati imperscrutabili e altri che conoscono il gusto dell’ironia. Bruno Tinti, ex procuratore aggiunto di Torino, appartiene alla seconda schiera, e ora che è in congedo dà l’impressione di essere molto a proprio agio con l’esercizio della provocazione intellettuale. "Conosco il dottor Tinti, posso dire che siamo amici", assicura Carlo Federico Grosso, figura di grande rilievo dell’avvocatura, a sua volta torinese e da anni editorialista della Stampa. Tinti invece ha invece una rubrica sul Fatto quotidiano e ieri ha spiegato perché secondo lui agli avvocati non può essere lasciato il diritto di votare, all’interno dei Consigli giudiziari, sulla professionalità dei magistrati: i primi, a suo giudizio, "hanno una struttura psicologica e professionale diversa" rispetto ai secondi. Il magistrato "è, per sua natura e professionalità, imparziale". Nel caso degli avvocati, "l’imparzialità non fa parte", addirittura, della loro "personalità". Tinti scherza, vero professor Grosso? Ama le provocazioni, è fatto così. E va bene, però un fondo di convinzione dev’esserci, e non solo in lui: sull’idea di dare maggior peso alla classe forense nei Consigli giudiziari, Davigo ha appena lanciato una crociata. Vorrei ricordare che nel Csm un terzo dei componenti è formato da professori universitari e avvocati: nessuno pensa che non siano in grado di valutare le situazioni. Io al Csm sono stato per 4 anni componente della sezione disciplinare, svolgevo cioè funzioni di giudice: non ho mai sentito dire che la mia formazione potesse impedirmi valutazioni imparziali. E non capisco cosa impedisca di estendere il principio costitutivo del Csm ai Consigli giudiziari. Nell’opinione pubblica c’è un pregiudizio negativo sugli avvocati? Non credo. Magari non sarà la categoria che gode della maggiore popolarità, ma credo tutti riconoscano la peculiarità della funzione, che è nella tutela delle parti. Il carattere specifico dipende dal ruolo, non dal dna, come sembra pretendere Tinti. Non c’è un dna dell’imparzialità. Tinti mi perdonerà se rovescio il discorso. In che senso? Se parliamo di imparzialità è il caso di distinguere tra magistrato e magistrato. E soprattutto, se davvero il ruolo creasse un’attitudine insuperabile, allora anche i pm dovrebbero essere considerati inattendibili: anche loro rappresentano una parte. Massimo Bordin, conduttore della rassegna stampa di Radio Radicale, va oltre: anche il pm potrebbe ?ricattare il collega giudicante, dirgli ?mi esprimo a tuo favore in Consiglio se mi dai ragione in udienza. Ecco, credo il discorso si possa chiudere qui: mi pare chiaro che quella di Tinti fosse una provocazione, la tesi evidentemente non ha alcun fondamento. Tra l’altro si potrebbe ricordare che gli avvocati svolgono funzioni di giudice anche nei loro consigli di disciplina. Se valesse davvero il discorso dell’attitudine all’imparzialità, la giurisdizione domestica forense in materia disciplinare non dovrebbe esistere. O bisognerebbe farla esercitare dai magistrati. La loro popolarità è in calo? Lo è rispetto a periodi, come quello di Mani pulite, in cui è stata straordinariamente elevata. C’è minore fiducia ma a causa del cattivo funzionamento della giustizia. Il cittadino si trova di fronte a un processo spezzettato, deve fare 5 ore di attesa per un rinvio, ovvio che abbia un risentimento esteso a tutte le componenti del sistema. Perché i giudici scelgono come leader una figura dalle idee radicali, diciamo, come Davigo? Risposta facile: il successo della sua corrente deriva dal suo carisma. Ho grande stima di Davigo, persona di grande cultura e prodigiosa intelligenza. Le correnti delle toghe dovrebbero essere fortemente ridimensionate? Originariamente rappresentavano diverse idee della giurisdizione. Magistratura democratica si distingueva perché orientata a forzature interpretative della legge ritenute utili ad accordarla con i cambiamenti della società. Oggi le correnti sono centri di potere, sarebbe importantissimo cambiare il sistema elettorale del Csm e rompere certi meccanismi di tipo clientelare. E gli avvocati? Il loro numero elevato scalfisce il prestigio della professione? Può provocare un’esasperazione della concorrenza. Da cui viene, è inevitabile, anche un abbassamento della deontologia. Caso Saguto. Dall’antimafia dei sequestri ai sequestri all’antimafia di Alfredo Marsala Il Manifesto, 21 ottobre 2016 L’inchiesta si allarga. Disposto sequestro urgente di denaro. Altri indagati nello scandalo sulla gestione dei beni mafiosi da parte dell’ex magistrato. Dall’antimafia dei sequestri all’antimafia sequestrata. Di pirandelliano c’è poco in questa vicenda, meglio nota come il "caso Saguto", dal nome dell’ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, indagata per vari reati tra cui corruzione e concussione per la gestione dell’ufficio che ha il compito di assegnare i beni sequestrati alla mafia ad amministratori prima della decisione sulla definitiva confisca o sulla restituzione. Un terremoto che ha sconquassato il Palazzo di giustizia di Palermo, il Csm e ha indotto il Guardasigilli ad accelerare la legge sulla gestione beni sequestrati e confiscati. L’inchiesta aperta dalla Procura di Caltanissetta ha alzato il velo su un sistema di potere, che ha gettato una macchia indelebile su quel fronte che per anni era ritenuto un totem della legalità e che si è rivelato un reticolo di interessi e corruzione. In questa storia ci sono di mezzo giudici, cancellieri, avvocati, commercialisti, docenti universitari, ingegneri, architetti e persino l’ex Prefetto, Francesca Cannizzo, anche lei indagata. L’indagine è partita due anni fa e non è chiusa. Ma il pericolo di distrazione di ingenti patrimoni da parte di almeno sette dei venti indagati ha costretto gli inquirenti a disporre un sequestro d’urgenza di beni. In totale la guardia di finanza su disposizione dei pm nisseni ha sequestrato circa 900 mila euro. Due terzi di questa somma, pari a 600 mila euro, è stata bloccata solo a uno degli indagati, l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, il "re" delle amministrazioni giudiziarie. Per i pm avrebbe tentato di fare sparire beni e sottrarli alla giustizia, costituendo un trust familiare con "finalità elusive" e cercando di realizzare intestazioni fittizie di beni immobili. Mentre Saguto, non sapendo di essere intercettata, stava per vendere la casa "perché dobbiamo coprire i mutui". Proprio sotto il suo regno, l’avvocato Cappellano Seminara ha moltiplicato il portafoglio di beni amministrati. E per gli inquirenti avrebbe ricambiato con denaro e favori, tra cui l’affidamento di incarichi al marito del giudice, Lorenzo Caramanna. Nel provvedimento di sequestro di oltre 1.200 pagine si parla di "rapporto di somministrazione corruttiva fra Saguto e Cappellano, per commettere una serie indeterminata di delitti di corruzione, peculato, falso materiale, falso ideologico e truffa aggravata". Indagati anche due colleghi di sezione di Saguto: Fabio Licata e Lorenzo Chiaramonte. Licata risponde di rivelazione di segreto d’ufficio e abuso d’ufficio. Avrebbe saputo da un pm che l’inchiesta che riguardava la sezione era stata trasferita da Palermo a Caltanissetta e avrebbe informato della rivelazione la Saguto. Chiaramonte è invece indagato per abuso d’ufficio, avrebbe nominato un amico amministratore giudiziario. Sotto inchiesta per falso e truffa - ed è da lui che parte l’indagine - Walter Virga, giovane professionista che era stato incaricato di amministrare il patrimonio milionario del costruttore mafioso Rappa, e il padre Tommaso Virga, collega della Saguto ed ex componente del Csm. Indagato anche il docente universitario Luca Nivarra, professore di diritto civile all’università di Palermo e amico di Valter Virga da cui avrebbe avuto un incarico di consulenza in realtà mai svolto. Nel registro degli indagati anche il docente dell’Università di Enna Carmelo Provenzano, anche lui nel cerchio magico della Saguto, e l’amministratore giudiziario Nicola Santangelo. Provenzano per ingraziarsi la Saguto e farsi nominare avrebbe scritto la tesi al figlio del giudice, Emanuele, oltre a ferla regali. Indagata anche la moglie di Provenzano Maria Ingrao, e il collaboratore Calogero Manta. Per la vicenda della laurea del figlio della Saguto è indagato anche il professore Roberto Di Maria, preside della commissione di laurea, pure lui ha beneficiato di consulenze. Nei guai anche suo figlio e il cancelliere del tribunale di Palermo Elio Grimaldi. G8 di Genova: risarcimento record per le torture subite da una ragazza di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 21 ottobre 2016 Maxi risarcimento di 175 mila euro per i danni fisici e morali subiti. È la sentenza senza precedenti in sede civile emessa mercoledì scorso dal tribunale civile di Genova a favore di Tania W, una cittadina tedesca che nel 2001 subì torture all’interno della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto del capoluogo ligure. La giovane, scrive il giudice, per la privazione dei diritti, le umiliazioni sopportare, e le violenze cui assistette, ha subito un disturbo da stress post traumatico che si palesa "alla comparsa di una persona in divisa" e le crea "disagio se qualcuno le si avvicina troppo". In un passaggio della sentenza viene spiegato che risulta accertato che la ragazza, appena giunta alla caserma di Bolzaneto, è stata sottoposta da agenti/funzionari del ministero dell’Interno e della Giustizia a "misure vessatorie e a trattamenti inumani e degradanti con lesione del diritto all’integrità fisica e morale". La sentenza conferma le vessazioni subite, ovvero che è stata sottoposta a "misure di rigore non consentite dalla legge", quali essere costretta "a rimanere per diverse ore in piedi con il volto verso il muro, con le braccia alzate e con le gambe divaricate senza poter mutare la posizione e senza ricevere in seguito cibo, bevande e in generale pasti in rapporto alla durata del periodo di permanenza presso la struttura". La sentenza aggiunge che non le hanno nemmeno dato la possibilità di accedere ai generi necessari alla cura e alla pulizia personale, solo molto tardi "le sono state recapitate coperte comunque sporche di sangue". La manifestante ha subito violenze in prima persona ma ha dovuto anche assistere alle violenze ad amici e conoscenti. "Brutalità e irrazionalità delle aggressioni" che hanno indotto il giudice a triplicare il risarcimento. Vere e proprie torture che in sede penale non sono state punite poiché, come scrive la stessa giudice, la "lesione di diritti della persona a protezione costituzionale non sono oggetto di tutela della norma penale sanzionatrice in questione". Parliamo della legge sul reato di tortura che in Italia ancora non viene introdotta. "La speranza è che questa sentenza contribuisca a convincere finalmente il legislatore che quella di introdurre il reato di tortura nel codice penale è una scelta giusta e utile", commenta il presidente di Amnesty International Antonio Marchesi. Su questo fa sentire la propria voce - tramite un comunicato - anche il presidente di Antigone Patrizio Gonnella: "Ancora una volta un giudice italiano ci ricorda come in Italia non si possa fare giustizia". Gonnella spiega che "era già accaduto per le torture nel carcere di Asti. In quel caso il giudice mise nero su bianco che le violenze subite da due detenuti erano torture ma che, per l’assenza di una norma ad hoc, non erano perseguibili come tali". Quelle torture sono ora al vaglio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (anche grazie alla collaborazione di Antigone nel predisporre i ricorsi), così come lo sono le violenze nella caserma di Bolzaneto e lo sono state in passato quelle alla scuola Diaz. In quest’ultimo caso i giudici di Strasburgo condannarono l’Italia proprio per quelle torture, sollecitando il nostro Paese a dotarsi di una legge. Una sollecitazione cui l’Italia ha risposto con l’affossamento della legge in discussione in Parlamento, sostituendo la sua approvazione a un tentativo di patteggiamento con i due detenuti di Asti e i trentuno ricorrenti delle violenze a Bolzaneto. 45mila euro ciascuno per rinunciare al ricorso e alla presumibile condanna. Una compensazione che la Corte nel caso di Asti e i ricorrenti nel caso di Bolzaneto hanno rispedito al mittente. Si aspettano dunque, a breve, le sentenze per entrambi questi casi. "Nonostante la legge in discussione da oltre due anni ? dichiara sempre il presidente di Antigone -, nonostante l’impegno internazionale assunto nel 1988, quando l’Italia ratificò la Convenzione Onu contro la tortura, nonostante l’impegno assunto da Renzi all’indomani della condanna per le torture alla scuola Diaz, il nostro paese resta il paradiso dei torturati". Poi Gonnella prosegue: "Giovedì scorso con decine di organizzazioni della società civile italiana siamo stati in piazza Montecitorio per chiedere subito la legge". E conclude: "Una richiesta rivolta al presidente del Consiglio Matteo Renzi e al ministro della Giustizia Andrea Orlando che rinnoviamo. L’Italia non può essere ancora terra di impunità per chi si macchia di crimini contro l’umanità". Scettico il senatore del Pd Luigi Manconi che da tempo si batte per una buona legge sulla tortura. In un’ intervista a Radio Popolare ha dichiarato che ad ostacolare la legge è in primis il ministro dell’Interno Angelino Alfano. "Direi che è Alfano che ha messo il suo corpo a impedimento di questa approvazione ? denuncia Luigi Manconi nell’intervista - perché nel suo rapporto non facile con le forze di polizia, ha ritenuto opportuno promettere il suo impegno a che non venisse approvata una legge sul codice identificativo per le forze di polizia in servizio d’ordine pubblico e per rendere la legge sulla tortura la più lontana possibile da quello che era il testo originario, quello presentato da me al Senato, che costituisce il contenuto fondamentale della Convenzione internazionale delle Nazioni Unite, ratificata dall’Italia nel 1988". Per Manconi la legge è stata comunque rinviata e non crede che questa legislatura approverà la legge sulla tortura. E conclude amaramente sempre ai microfoni di Radio Popolare: "Non so cosa augurarmi perché se questa legislatura, questo Parlamento, dovesse approvare una legge sulla tortura, ho fondate ragioni per pensare che sarebbe una brutta legge". Veneto: lavorano 4 detenuti su 10, primato italiano Adnkronos, 21 ottobre 2016 Dei 2136 reclusi nei penitenziari del Veneto 842 lavorano, cioè 4 su 10. Il Veneto registra il tasso di detenzione più basso(42 detenuti ogni 100 mila abitanti) e il tasso di occupazione più alto (39,4 per cento). Lo rende noto l’ultimo numero del bollettino di Statistica della Regione Veneto. Secondo i dati rilevati al 30 giugno 2016, la popolazione detenuta delle due Case di reclusione e delle 7 Case circondariali è diminuita del 6,6% rispetto al 2015. I detenuti sono prevalentemente uomini (94,7%) e stranieri (54%), che - rispetto agli italiani- riescono a usufruire meno delle misure alternative al carcere, perché spesso sprovvisti dei requisiti alloggiativi e dei riferimenti familiari che ne consentono la concessione. Circa il 30% dei ristretti era disoccupato al momento della carcerazione. La durata complessiva della pena è inferiore ai 5 anni per il 54% dei condannati e al 45,4% rimangono meno di due anni da scontare. Negli ultimi dieci anni la percentuale dei detenuti che all’interno del carcere lavora è cresciuta del 13 per cento. In Veneto il tasso di occupazione dei detenuti risulta superiore di 11 punti rispetto alla media nazionale che vede occupati 28,2 detenuti su 100. Il 57,4% delle persone ristrette nelle nove carceri del Veneto lavora alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, il rimanente 42,6% sono lavoratori semiliberi o assegnati ad un lavoro all’esterno, o lavorano per imprese e cooperative, per lo più in di assemblaggio, call center, o di pasticceria e panificazione. In proporzione sono maggiormente occupate le donne detenute (62% in Veneto a fronte di una media nazionale del 40%) rispetto agli uomini, e gli italiani rispetto agli stranieri (38,2%). "L’aumento dei detenuti con una occupazione dentro o fuori del carcere - commenta l’assessore Lanzarin - è legato alla particolare sensibilità del territorio veneto, dell’associazionismo e del volontariato, alla capillare opera di promozione ed informazione promossa dal Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, nonché all’intuizione da parte degli imprenditori che interpretano il carcere anche come una risorsa". "L’opportunità per i detenuti di lavorare svolge un ruolo fondamentale per il recupero e il reinserimento che, comunque, nel breve termine, li vedrà nuovamente immessi nel contesto sociale, con il debito penale scontato e la necessità di acquisire pari dignità. Molti di loro al momento dell’arresto e della condanna non avevano un’occupazione. L’esperienza lavorativa maturata in carcere, soprattutto se sostenuta da percorsi formativi, è il primo antidoto verso le recidive e una concreta opportunità di integrazione e reinserimento". Sicilia: la formazione dimentica i detenuti da recuperare di Giovanni Fiandaca* La Repubblica, 21 ottobre 2016 IN un precedente intervento su questo giornale (pubblicato il 5 ottobre scorso), ho esposto le ragioni che impongono oggi, in uno spirito di rinnovata attenzione politico- istituzionale per la riabilitazione dei detenuti, di passare da una rieducazione retorica e declamatoria al tentativo di una rieducazione il più possibile concreta. L’importanza di questo passaggio è stata a più voci confermata nel corso dei lavori del convegno nazionale su " Senso della pena e diritti fondamentali dei detenuti", svoltosi al carcere Pagliarelli di Palermo lo scorso 7 ottobre, che ha visto non a caso tra i protagonisti anche qualificati esponenti del governo regionale siciliano. Proprio in tale occasione, si è sottolineato come, al fine di dare concretezza ai percorsi rieducativi, sia indispensabile incrementare l’offerta di istruzione e di formazione professionale all’interno degli stessi istituti di pena, oltre che a vantaggio dei condannati che beneficiano di misure alternative. Prendendo la parola al convegno, l’assessore regionale Bruno Marziano ha mostrato di volersi fare carico di questa esigenza, spiegando che sin da subito sarebbero state disponibili risorse già destinate anche alla formazione dei soggetti reclusi e facendo, in particolare, esplicito riferimento ai fondi stanziati con il cosiddetto Avviso 8 la cui graduatoria provvisoria sarebbe stata da lì a poco ufficializzata. In base a una lettura della graduatoria, successivamente pubblicata, degli enti ammessi a svolgere corsi professionali, ci si accorge però -salvo errori- che, su 56 proposte progettuali relative al mondo penitenziario che hanno riscosso una valutazione positiva, soltanto una (sempre, beninteso, a livello di graduatoria "provvisoria") si colloca in posizione utile ai fini del finanziamento. Viene in realtà da chiedersi per quali ragioni si sia pervenuti a questo magro risultato. Ora, escludendo una preconcetta volontà di disattendere le esigenze di formazione dei soggetti ristretti, può sorgere il dubbio che le proposte formative orientate all’universo penitenziario siano state valutate alla stregua di criteri di ordine più generale che poco hanno tenuto conto sia della specificità dei corsi da realizzare a beneficio di soggetti condannati, sia delle caratteristiche peculiari degli enti proponenti tali corsi. Per esemplificare: ha senso richiedere anche agli enti di formazione penitenziaria il requisito di cui al punto A3 dell’Avviso, con cui cioè si concedono fino a 16 punti all’ente formativo che abbia preso con un’impresa lavorativa l’impegno per lo svolgimento di stages? Evidentemente, l’attività di stage non è compatibile con le esperienze formative a favore dei detenuti, specie con quelle intramurarie! Si consideri, altresì, la problematicità del punteggio ulteriore accordato in funzione della localizzazione territoriale degli interventi (Agenda Urbana e/o Aree Interne: cfr. criterio D dell’Avviso 8). Si tratta infatti di un criterio problematico, in considerazione della circostanza che le carceri siciliane si trovano tutte, ad eccezione di Caltagirone, al di fuori delle Aree Interne. Nel ruolo di Garante siciliano dei diritti dei detenuti, ritengo opportuno richiamare l’attenzione dell’assessore Marziano sulle considerazioni e gli interrogativi di cui sopra, essendo certo che l’assessore vorrà tenerne conto, in uno spirito di fattiva collaborazione, per garantire pari opportunità a tutte le categorie di soggetti socialmente svantaggiati. È auspicabile, nell’interesse preminente dei detenuti che scontano la pena in Sicilia, che si possa procedere ad una rivalutazione delle proposte formative avanzate con riguardo a questa tipologia di soggetti, i quali non sono certo agli ultimi posti tra quanti abbisognano di essere presi in considerazione in una prospettiva di solidarietà inclusiva. Ovviamente, l’Ufficio del Garante è disponibile ad ogni forma di utile interlocuzione in vista di un’adeguata soluzione dei problemi sul tappeto. *L’autore è Garante dei diritti dei detenuti per la Sicilia Umbria: l’Assessore Barberini illustra i progetti per l’esecuzione penale esterna regioni.it, 21 ottobre 2016 "Sono stati 37 gli adulti e 9 i minorenni individuati, rispettivamente dagli Uffici di Esecuzione Penale Esterna (Uepe) di Perugia e Spoleto e dall’Ufficio di Servizio Sociale Minorile dell’Umbria (Ussm), per l’attivazione di progetti di inclusione sociale e lavorativa finalizzati al reinserimento dei detenuti nella società attraverso percorsi di orientamento individuali, borse lavoro e tirocini formativi": lo rende noto l’assessore regionale alla Coesione sociale e al Welfare, Luca Barberini, evidenziando che "si tratta di un intervento avviato concretamente lo scorso giugno, finanziato dalla Regione Umbria con fondi del Programma Operativo Regionale FSE 2014-2020 relativi all’Asse 2 Inclusione sociale e lotta alla povertà, nell’ambito di un progetto più ampio di attenzione alle persone vulnerabili". "L’iniziativa - spiega l’assessore - è in linea con le più recenti diposizioni normative europee e nazionali, tese a garantire l’umanizzazione della pena e il reinserimento sociale e lavorativo di detenuti ed ex detenuti, con la collaborazione del Ministero della Giustizia, degli Uffici di Esecuzione Penale Esterna, dell’Ufficio di Servizio Sociale Minorile dell’Umbria, dei Comuni, del mondo produttivo e del terzo settore. L’obiettivo è realizzare azioni integrate di orientamento, formazione e accompagnamento all’inserimento lavorativo, ma anche attività di sensibilizzazione del contesto economico locale per il miglioramento delle opportunità occupazionali e dell’incontro domanda-offerta di lavoro. Per interventi riguardanti l’ambito dell’esecuzione penale - continua Barberini - è stato previsto un finanziamento di circa 3,5 milioni di euro, per raggiungere 471 persone da qui al 2020, fra adulti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria penale in carico agli UEPE e minori e giovani-adulti fino a 25 anni che hanno commesso reati e che sono in carico all’USSM dell’Umbria. In particolare, per il biennio 2016-2017, sono stati stanziati oltre 1,1 milioni di euro in favore di 80 adulti e 77 minori e giovani-adulti per azioni come tirocini formativi extracurriculari e borse lavoro". L’assessore evidenzia che "il sostegno all’inclusione sociale e lavorativa, insieme all’adozione di modelli di vita socialmente accettabili, svolge un ruolo primario nel reinserimento sociale dei detenuti, diventando un elemento qualificante del loro cammino rieducativo oltre che un modo per ridurre possibili forme di reiterazione del reato. Persone che seguono percorsi del genere, infatti, difficilmente tornano a commettere illeciti". L’idea è quella di dare a tutti, in particolare ai più giovani, l’opportunità di riscattarsi e di guardare con maggiore speranza al futuro, anche attraverso la costruzione di un’identità sociale diversa da quella per cui è stata applicata la pena". Riguardo al sistema detentivo in Umbria, Barberini fa sapere che "nel 2011, negli istituti penitenziari di Perugia, Terni, Spoleto e Orvieto, c’era una situazione generale di sovraffollamento che rispecchiava il quadro nazionale, rispetto alla quale il nostro Paese è stato condannato dalla Corte europea per i diritti umani, avviando quindi azione tese all’umanizzazione della pena. Nel 2015 - spiega - la popolazione carceraria è invece diminuita di 220 unità, passando da 1.563 a 1.343 persone detenute, a fronte di una capienza di 1.324 posti. Alla data del 28 febbraio 2015, degli oltre 1.300 detenuti presenti in Umbria, 1.033 sono definitivi mentre 310 in custodia cautelare, gli stranieri sono circa il 30 per cento del totale, 41 le donne e 6 le persone in semilibertà". Basilicata: potrebbero essere riattivati le carceri di Chiaromonte e Lagonegro lasiritide.it, 21 ottobre 2016 Carceri di Chiaromonte e Lagonegro di nuovo attive? Potrebbe essere così. Il presidente della Regione Basilicata Marcello Pittella in collaborazione con i sindaci di Lagonegro e Chiaromonte, il presidente il procuratore del Tribunale di Lagonegro, sta valutando l’ipotesi di riaprire le carceri dei due comuni o almeno soltanto di uno. Il piano di fattibilità del dipartimento amministrazione penitenziaria valuterà i costi e l’utenza dell’intera operazione, anche perché il regolamento prevede carceri con almeno 100 posti mentre Chiaromonte e Lagonegro possono garantirne al massimo 35. Si potrebbe pensare ad una struttura per garantire la cosiddetta detenzione attenuata, per esempio quella per le ragazze madri che potranno scontare la pena assieme ai loro figli fino al compimento del sesto anno di vita del bambino. Tra le ipotesi anche quella del carcere minorile. Il prossimo incontro si svolgerà dopo la presentazione del piano di fattibilità per valutare ulteriori verifiche. Napoli: in coma per uno sciopero della fame, ma resta in carcere Quotidiano del Sud, 21 ottobre 2016 Un giovane romano, Stefano Crescenzi, di anni 37, è detenuto in custodia cautelare in quanto condannato alla pena di anni 23 di reclusione dalla Corte di Assise di Roma presieduta dal Giudice dott.ssa Anna Argento, ed è in atteso del giudizio di appello. Il reato è quello dell’omicidio di Giuseppe Cordaro avvenuto in Roma alla via Aquaroni, zona Tor Bella Monaca il 30 marzo dell’anno 2013. Negli ultimi giorni, a causa delle sue gravi condizioni di salute dovute e connesse al rifiuto di alimentarsi, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha ritenuto che Crescenzi non potesse rimanere presso un ordinario istituto penitenziario ed ha deciso il suo trasferimento dalla casa circondariale di Livorno presso il centro clinico della casa circondariale di Napoli - Secondigliano. A spiegare la circostanza, l’avvocato Dario Vannetiello: "Subito, i sanitari del centro clinico di Napoli - Secondigliano si sono resi conto che non avrebbero potuto apprestare le cure al detenuto, le cui condizioni peggioravano. Così, la direzione sanitaria del penitenziario partenopeo ha deciso il trasferimento all’Ospedale Cardarelli di Napoli, e, di lì, trasferito, infine, in condizioni a dir poco preoccupanti, all’ Ospedale Don Bosco di Napoli. Le condizioni del detenuto sono ancora di più precipitate tanto da portare il difensore di Crescenzi, l’avvocato Dario Vannetiello del Foro di Napoli, nel pomeriggio del 19 ottobre a chiedere alla Corte di Assise di Roma di revocare immediatamente la misura cautelare, o adottare urgentemente una decisione che consentisse al detenuto di ricevere le cure adeguate in un centro specializzato, da individuarsi da parte della Corte o da parte dei familiari. Il detenuto era ed è a rischio di morte improvvisa. Ora il detenuto è addirittura arrivato in coma, morirà se non verranno effettuati i giusti interventi e le opportune cure. La urgentissima richiesta formulata dall’avvocato ancora non riceve risposta. In tali provate condizioni, a prescindere dagli accertamenti del caso, la decisione deve esser assunta con la immediatezza che il caso impone, così come l’avvocato Vannetiello pretende. Ognuno ha diritto di non morire, ivi compreso un uomo in stato di detenzione, a maggior ragione quando non è stato neppure condannato definitivamente. Vi è la presunzione di innocenza dei cittadini sino alla decisione definitiva di condanna. La legge, giustamente, prevede che un uomo può essere sottoposto a carcerazione preventiva, quindi prima della sentenza definitiva, ma devono ricorrere le esigenze cautelari che sono quelle del pericolo di inquinamento delle prove, di fuga e di reiterazione del reato. Nel presente caso il pericolo di inquinamento delle prove è superato dalla avvenuta conclusione del processo di primo grado. Mentre il pericolo di fuga e quello di reiterazione è escluso in radice dall’essere il detenuto in coma, in fin di vita. Allora perché la Corte di Assise di Roma non ha deciso subito ? Cosa i giudici aspettano? C’è mezzo la vita di un uomo, un presunto innocente. La mamma del detenuto ed i familiari tutti chiedono solo di non farlo morire, poi, se Crescenzi ha sbagliato, pagherà il suo conto con lo Stato. Ma adesso lo Stato, e gli uomini che lo rappresentano, cioè i Giudici della Corte di Assise di Roma lo devono proteggere. La detenzione non deve mai essere disumana, come le decisioni di chi rappresenta lo Stato, le quali non possono in casi simili arrivare in ritardo. E poi, come potrebbe un moribondo in coma (attualmente è intubato, con ventilazione assistista ed ha perso conoscenza) con prognosi estremamente riservata, darsi alla fuga o commettere reati? I familiari di Crescenzi hanno o non hanno il diritto di decidere loro dove e come e chi deve cercare di salvare Stefano? Qualora i medici dell’ospedale dove per legge è stato portato (e che non sono stati scelti né da detenuto, nè dai familiari) hanno riferito che il detenuto è talmente grave tale da non poter essere trasportato altrove, allora come è possibile che non viene revocata la carcerazione preventiva? Spesso ci si dimentica che dietro un nome ed un cognome, non c’è un numero, ma un uomo, come ci sono i familiari, i quali, spesso, non hanno neppure compiuto un’ illegalità, ma che subiscono quello che, in questi tragici momenti, nessun uomo non dovrebbe subire, tantomeno da chi rappresenta la Giustizia. Tutto quello che accadendo è inaccettabile". Torino: ergastolano evade dopo un permesso premio, arrestato in ospedale diarioditorino.it, 21 ottobre 2016 Torna in carcere Pietro Ballarin, autore nel 1993 dell’omicidio di una 15enne. Era ricoverato al San Giuseppe di Milano. Torna alla ribalta delle cronache Pietro Ballarin, il feroce assassino di origini nomadi condannato all’ergastolo per l’omicidio, nel 1993, della quindicenne Manuela Petilli. Ballarin, che stava scontando la pena nel carcere delle Vallette, è stato nuovamente arrestato a Milano dopo essere evaso sfruttando un permesso premio. L’arresto a Milano - Alcuni giorni fa, il 50enne detenuto aveva ricevuto dall’Ufficio di Sorveglianza il permesso - della durata di un’ora e mezza - per recarsi a San Francesco al Campo, dove si svolgeva la messa in suffragio della sorella. Dopodiché, a funzione conclusa, egli sarebbe dovuto immediatamente rientrare in carcere. Invece le cose sono andate diversamente. Ballarin si era infatti reso irreperibile e gli agenti della Squadra Mobile, dopo una lunga "caccia all’uomo", l’avevano rintracciato nel capoluogo lombardo presso l’ospedale San Giuseppe, dove risultava ricoverato da qualche giorno. Il curriculum dell’omicida - Alla figura di Ballarin è legato uno dei più efferati delitti della storia recente: quello di Manuela Petilli, uccisa a Ivrea a soli 15 anni. Per tale reato Ballarin è stato condannato al carcere a vita con le accuse di omicidio doloso, soppressione di cadavere e ratto a fini di libidine. Non solo. Otto anni prima, nel 1985, insieme al fratello aveva dapprima legato a un albero e poi picchiato con pietre e bastoni due bambini rom di soli dieci anni, provocandoli anche lesioni a viso e gola per mezzo di un coltello. Non contento, aveva anche violentato la bambina, finendo poi in manette per tentato omicidio. Parma: nuova aula di informatica nella casa circondariale parmatoday.it, 21 ottobre 2016 Donazione dell’associazione Adra Italia - Agenzia Avventista per lo sviluppo ed il soccorso - ed Ente Osa - Ente sociale - Chiesa Avventisti, con il contributo del Consiglio delle Chiese Cristiane di Parma. Nuova aula di informatica per i detenuti grazie ad una donazione dell’associazione Adra Italia - Agenzia Avventista per lo sviluppo ed il soccorso - ed Ente Osa - Ente sociale - Chiesa Avventisti, con il contributo del Consiglio delle Chiese Cristiane di Parma. Si è svolta, nella casa circondariale di Parma, la cerimonia che ha visto l’inaugurazione della nuova aula di informatica per i detenuti, con l’apposizione di una targa alla presenza del reverendo pastore Daniele La Mantia; di Franco Evangelissti responsabile nazionale Ente Osa - Chiesa Evangelica (Ente sociale che gestisce l’8 per mille), del Prefetto di Parma, Giuseppe Forlani; del sindaco, Federico Pizzarotti e del direttore del carcere di Parma, Carlo Berdini. Il momento è stato aperto con un incontro nel teatro del carcere a cui hanno partecipato i detenuti e dove è stato spiegato il senso della donazione. Era presente il vice comandante della polizia penitenziaria, il commissario Claudio Ronci. Il direttore del carcere, Carlo Berdini, ha rimarcato l’importanza della nuova aula d’informatica che favorisce l’approccio dei detenuti con le nuove tecnologie e che consentirà loro di condividere il progetto dei redazione del giornale "Ristretti Orizzonti". Per il reverendo pastore Daniele La Mantia, si è concretizzato un progetto che è occasione di formazione e crescita per i detenuti, che "potranno impegnare il loro tempo in modo produttivo". Il sindaco, Federico Pizzarotti, ha ringraziato per la bella idea messa in atto a favore del carcere. "Si tratta di un bell’esempio di collaborazione a più livelli - ha spiegato il primo cittadino - che si inserisce in un percorso di apertura della città nei confronti del carcere, come testimonia il progetto che porta l’opera in carcere. È importante mantenere vivo il collegamento tra quello che avviene in carcere e quello che avviene fuori, in un processo che veda la città di Parma come città inclusiva e in grado di creare qualcosa insieme". Il Prefetto, Giuseppe Forlani, ha parlato di conferme negli impegni a favore del carcere. "L’alfabetizzazione informatica - ha rimarcato il Prefetto - rappresenta un’opportunità per i detenuti anche in vista di un lavoro futuro". Il Prefetto ha espresso apprezzamento per il progetto portato a termine. L’associazione Adra Italia - Agenzia Avventista per lo sviluppo ed il soccorso, con i fondi dell’otto per mille della Chiesa Cristiana Avventista del 7° giorno, ha allestito un’aula di informatica per i detenuti nella casa circondariale di Parma, fornendo 8 postazioni complete di personal computer e accessori ed una 1 postazione completa per il docente, oltre ad un video proiettore e relativo telo di proiezione. Adra Italia è un’agenzia che opera nel settore umanitario ed è diffusa in circa 120 Paesi del mondo. Il Consiglio delle chiese cristiane di Parma, grazie ad una colletta di qualche anno fa, ha provveduto a sostenere le spese del docente e del materiale di consumo per le lezioni. La nuova aula di informatica permetterà ai detenuti di seguire un corso ad hoc che durerà per l’intero anno scolastico con cadenza settimanale di 2 ore. Il progetto portato avanti grazie ai fondi messi a disposizione dall’Associazione Adra Italia e dal Consiglio delle Chiese Cristiane di Parma ha visto la presenza del reverendo pastore Daniele La Mantia. La presenza delle autorità cittadine rientra in un rapporto di dialogo, di collaborazione tra le associazioni che operano in favore dei detenuti e le istituzioni stesse sensibili alle problematiche ed alle tematiche che interessano questo delicato settore. S.M. Capua Vetere: visita Sottosegretario alla Giustizia Migliore a carcere e tribunale campanianotizie.com, 21 ottobre 2016 L’Onorevole Camilla Sgambato ha accompagnato il Sottosegretario alla Giustizia, On. Gennaro Migliore, in visita prima alla Casa Circondariale e, a seguire, al Tribunale penale di Santa Maria Capua Vetere. Come richiesto espressamente nelle scorse settimane dalla parlamentare del Pd, il delegato alle Carceri del Ministero di via Arenula ha voluto recarsi presso l’Istituto Penitenziario per discutere delle problematiche più urgenti che attanagliano la struttura, in primis l’approvvigionamento idrico che attende la realizzazione di un impianto di adduzione già finanziato, grazie alla sinergia tra governo e regione, dalla Regione Campania per oltre 2 milioni di euro. Accolto dal picchetto d’onore della Polizia Penitenziaria, dalla Direttrice Carlotta Giaquinto e dal Provveditore regionale del Dap Tommaso Contestabile, il Sottosegretario alla Giustizia ha raccolto sia le esigenze manifestate dall’amministrazione penitenziaria in termini di carenza di personale amministrativo, che potrebbe arrivare dallo sblocco del turn over previsto nella nuova Legge di Stabilità, che i progetti in termini di volontariato e coinvolgimento del terzo settore e del mondo dell’imprenditoria che la direzione sta portando avanti. Migliore, che ha visitato alcune sezioni dell’istituto di pena, ha assicurato l’intervento ulteriore del Dicastero per sollecitare la messa a gara da parte del Comune dei lavori di estensione della rete idrica fino al carcere, essendoci anche i fondi, così come ha poi puntualmente fatto qualche minuto dopo quando ha incontrato il Sindaco Antonio Mirra, al quale ha ricordato l’esistenza anche della progettazione esecutiva e la possibilità, quindi, di intervenire con sollecitudine. Nel prosieguo della mattinata, sempre insieme all’On. Sgambato, il Sottosegretario si è portato presso il Palazzo di Giustizia per incontrare la Presidente del Tribunale Gabriella Casella, il Procuratore Capo della Repubblica Maria Antonietta Troncone, il primo cittadino sammaritano, il Presidente dell’Ordine degli Avvocati Carlo Grillo con i legali Angela Del Vecchio ed Umberto Pappadia ed Enzo Guida. Migliore ha ribadito la ferma volontà del Ministero di confermare la città di Santa Maria Capua Vetere quale sede del Tribunale, ed anche l’ intenzione di cofinanziare i lavori per rendere agibile e statico l’attuale Palazzo di Giustizia che, come indicato dall’On. Sgambato, deve vedere rafforzato il suo ruolo di asse portante della cittadella giudiziaria che sta sorgendo nel centro cittadino. Il Comune ha dato nuovamente la disponibilità a cedere l’edificio al dicastero che, a sua volta, è pronto a stanziare le risorse necessarie, in aggiunta ai 5 milioni di euro già messi a disposizione dal Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, per la sistemazione dello stabile. La strada scelta è quella di un protocollo d’intesa da sottoscrivere in tempi brevi, secondo anche le indicazioni del comitato tecnico Istituto presso il Ministero, così da superare le criticità finora emerse per il Palazzo, privo del certificato di agibilità. Sia la presidente Casella che il procuratore capo Troncone hanno sottoposto a Migliore anche le problematiche legate alla ultimazione dei lavori di ristrutturazione dell’ex caserma Mario Fiore dove, dopo 12 anni, potrebbe presto tornare l’intero Tribunale Civile e Lavoro, se saranno sbloccati i relativi fondi, con i tempi stimati per consegnare il fabbricato in massimo 7 mesi; cosa che consentirebbe di risparmiare moltissimo sui fitti passivi sia in località Grattapulci che a via Santagata. Altri uffici inoltre saranno allocati nell’ex Casa del Fascio di piazza Mazzini; mentre gli uffici di rappresentanza del Tribunale e della stessa Procura andranno nel vecchio municipio posto proprio di fronte il Palazzo di Giustizia, così da liberarne anche il quinto piano da destinare a sede di ulteriori uffici giudiziari. "Il Sottosegretario Migliore ha assicurato una soluzione in tempi brevi alle varie criticità segnalate, partendo peró dalla messa in sicurezza dell’attuale Tribunale penale ritenuta prioritaria e non più procrastinabile. Il Governo ha voluto confermare ulteriormente l’importanza dei presidi di giustizia che hanno sede nella città di Santa Maria C.V. e quale scelta strategica, la ristrutturazione del Palazzo di Giustizia che rimarrà in piazza Resistenza. Un connubio inscindibile sia storicamente che culturalmente, che durerà a lungo anche in futuro", dichiara la deputata Sgambato. Sestri Levante (Ge): pulizia strade e tinteggiature, arrivano gli operai-detenuti di Sara Olivieri Il Secolo XIX, 21 ottobre 2016 Spazzamento delle strade, pulizia delle cunette e dei tombini, stuccature e tinteggiature, allestimento delle sale congressi: per svolgere queste incombenze, il Comune di Sestri Levante si è affidato a una squadra abbastanza numerosa e (quasi) a costo zero. Il compenso non è l’obiettivo principale della prestazione; per i lavoratori in questione lo è semmai saldare i conti con la giustizia e la società. Della squadra - che non sostituisce in toto gli operai comunali, ma li affianca - fanno parte tre detenuti del carcere di Chiavari, l’ultimo dei quali si è aggiunto poche settimane fa; poi ci sono due persone che hanno avuto problemi di dipendenze, seguiti da una cooperativa; infine coloro che devono scontare condanne minori inflitte dal tribunale ordinario. Al momento si tratta di quattro persone, una dozzina dall’inizio dell’anno, punite perlopiù per guida in stato di ebbrezza. Assegnati ciascuno ai propri compiti e ai propri orari, contribuiscono alla manutenzione ordinaria degli spazi, di un edificio pubblico come l’ex convento dell’Annunziata e l’arena Conchiglia. "I lavori socialmente utili sono gestiti dalla società Mediaterraneo - afferma la sindaca, Valentina Ghio. L’ultimo detenuto, arrivato poche settimane fa e in servizio cinque ore al giorno, lavora invece all’area Ambiente con la squadra comunale. Gli sono stati affidati i compiti di prevenzione degli eventi alluvionali, e quindi pulizia delle cunette e dei tombini, lo spazzamento". Problemi, disguidi, equivoci? Il direttore di Mediaterraneo Marcello Massucco risponde di no e ammette che la decina di persone che prendono parte ai cosiddetti "lavori socialmente utili" offrono un indubbio apporto all’amministrazione: "Per alcuni lavori avremmo dovuto chiamare ditte esterne". I detenuti, che partecipano al progetto in virtù della convenzione stipulata lo scorso luglio dal Comune con il dipartimento di amministrazione penitenziaria-Direzione della casa di reclusione chiavarese, non hanno particolari misure di sorveglianza, se non i controlli della stessa polizia penitenziaria: "Vengono di frequente per controllare che la persona sia sul posto, più o meno tre/quattro volte a settimana - afferma Massucco. Si tratta di persone che hanno quasi scontato tutta la pena e cercano di riprendere contatto con l’esterno e il mondo del lavoro. Uno di loro, ad esempio, ha terminato a inizio ottobre quando è uscito dal carcere ed è tornato a casa nel Ponente. Sia questo sia gli altri due progetti che abbiamo in corso stanno andando bene". I costi per il Comune sono relativi all’abbonamento del treno, ai ticket per il pranzo, all’assicurazione. Non c’è compenso neppure per le due persone seguite da una cooperativa sociale che, dopo un percorso in comunità per liberarsi dalle dipendenze, a settembre hanno iniziato a occuparsi della manutenzione. Lo stesso vale per i quattro che hanno convertito la pena in ore a favore della comunità; la loro permanenza è più saltuaria, ma da gennaio sono già 12 le persone che hanno usufruito della possibilità. Trapani: Uil-Pa "siamo entrati nel nuovo padiglione del carcere, ecco com’è" tp24.it, 21 ottobre 2016 "La Uil-Pa da sempre interessato alle condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari, accoglie positivamente una struttura all’avanguardia tecnologia che determina l’innalzamento degli standard qualitativi della detenzione, per una giusta azione dell’istituzione". Gioacchino Veneziano, segretario generale Uilpa Trapani e responsabile Uilpa Polizia Penitenziaria Sicilia, commenta positivamente il nuovo padiglione denominato Adriatico che sarà messo in funzione a breve nel carcere di San Giuliano a Trapani, dopo una visita al padiglione stesso effettuata su autorizzazione del Ministero della Giustizia. Insieme a lui il segretario provinciale Uilpa Polizia Penitenziaria Francesco Culcasi e il segretario locale Ignazio Carini. Ad accompagnare la delegazione Uilpa il direttore Renato Persico e il comandante della Polizia Penitenziaria Giuseppe Nuzzolo. Il nuovo padiglione si compone in un corpo unico su quattro piani escluso il piano terra, su ogni piano vi sono 17 camere di pernottamento, per una capienza di 51 posti detentivi, per complessivi 204 posti. Il piano terra è adibito per le attività tratta mentali, rieducative e risocializzanti, e vi insiste la cucina che sarà autonoma dal resto del carcere. Vi è, inoltre, un campo di calcetto in erba sintetica. Il padiglione ha una sala regia centrale che avrà il controllo completo di tutto il reparto sia interno sia esterno e le aperture delle celle avverrà tramite operatore di polizia istruito per il controllo remoto del reparto di pertinenza. "Ci siamo complimentati con la dirigenza locale - afferma Veneziano - per il grande sforzo che sta mettendo in campo anche grazie gli operatori di polizia penitenziaria addetti alla manutenzione dei fabbricati. La nota dolente, come già espresso, è il numero di poliziotti previsti dal ministero, che in un primo momento ne aveva previste 25 poi aumentate a 35 dopo le vibrate proteste della Uilpa. L’aumento della popolazione detenuta dagli attuali 400 agli oltre 600 posti determinerà un aumento dei carichi di lavoro di tutti i settori del carcere, quindi a parere della Uil, mancano all’appello almeno altre 20 unità tra le quali dovrebbero esserci almeno 5 ispettori e 4 sovrintendenti. Al carcere di Trapani oggi, compresi i nuovi 35 arrivi, il personale ammonta a 280 unità, da cui bisogna detrarre 50 unità addette al Nucleo Provinciale Traduzioni Piantonamenti, 80 unità di personale impiegato in compiti d’ufficio. Di fatto, dunque, resterebbero appena 150 poliziotti appena ad occuparsi della vigilanza di oltre 600 detenuti che, a pieno regime, il San Giuliano di Trapani dovrà contenere". "Per questo - conclude Veneziano - crediamo che un ulteriore sforzo da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria in termini di aumento dell’organico di polizia sia necessario, e la Uilpa metterà in campo tutte le azioni per garantire al personale di polizia non solo la garanzia della fruizione dei diritti previsti, ma anche la necessaria sicurezza nell’espletamento del servizi che solo con la copertura di ogni singola postazione prevista potrà essere garantita". Roma: il 7 novembre a Regina Coeli cerimonia del Premio "Goliardia Speranza" agensir.it, 21 ottobre 2016 Sarà presente anche monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede, alla cerimonia finale del Premio "Goliardia Speranza - Racconti del carcere" 2016 che si terrà lunedì 7 novembre nella casa circondariale di Regina Coeli, a Roma. Nell’occasione, sarà presentato il volume "Così vicino alla felicità. Racconti dal carcere" (Rai Eri), curato da Antonella Bolelli Ferrera e per il quale mons. Viganò ha scritto la prefazione. Il libro raccoglie i 25 racconti finalisti del concorso letterario, giunto alla sesta edizione e dedicato quest’anno al tema "Il perdono", al quale hanno partecipato centinaia di detenuti che hanno fatto pervenire alla giuria 500 racconti da tutte le carceri d’Italia. I 25 finalisti - 16 per la sezione "adulti" e 9 per la sezione "minori" - sono stati affiancati da grandi scrittori, artisti e giornalisti nelle vesti di tutor letterari, per il lavoro di editing e per l’introduzione, anch’essa pubblicata nel libro. Tra i tutor Luca Barbarossa, Erri De Luca, Federico Moccia, Mogol, Andrea Purgatori, Sandro Ruotolo, Andrea Vianello, Ricky Tognazzi e Simona Izzo. Nel corso della cerimonia finale, in programma alle 14.45 e condotta da Serena Dandini, saranno annunciati e premiati - con una somma in denaro - i primi tre classificati di ciascuna categoria e gli insigniti di menzioni speciali, mentre a tutti i 25 finalisti, grazie al contributo di Siae, verrà consegnato un computer portatile. Milano: inaugurata la mostra sulle detenute di San Vittore di Francesca Grillo Il Giorno, 21 ottobre 2016 Gli scatti di Monia Di Santo al caffè letterario Yo&Mi di via Pogliani a Cesano Boscone (Milano), fino al 13 novembre. L’emozione, la sensibilità, i dettagli, l’arte del creare. Si respira tutto questo e tanto altro negli scatti di Monia Di Santo, la fotoreporter che ogni giorno vive il territorio del Sud Milano aprendo ai lettori del nostro quotidiano finestre di informazione e conoscenza con occhio attento e sensibile. Lo stesso occhio che ha saputo catturare in una realtà complessa il lavoro delle detenute nella casa circondariale di San Vittore. Un progetto che parla di fatica ma soprattutto di speranza, di occasioni. Di seconde occasioni. Come quella che ha sfruttato una ragazza che, scontata la sua pena, ha avuto la forza di reinventarsi ed essere lei la realizzatrice di progetti artistici da portare all’interno delle carceri femminili. Gli scatti di Monia Di Santo sono riusciti a catturare l’operosità di queste donne, ognuna con la propria storia, con il proprio vissuto alle spalle, riconsegnando loro una dignità nascosta. Foto che sono state presentate nella bella esposizione "I libri sanno volare" inaugurata mercoledì nel popolatissimo caffè letterario Yo&Mi di via Pogliani, dove saranno visibili fino a domenica 13 novembre. "Una fotografa sempre presente sul nostro territorio che con sguardo lucido testimonia ciò che succede - ha sottolineato il sindaco Simone Negri presente all’inaugurazione -. Lo stesso occhio che vedo in queste immagini che raccontano una realtà spesso sconosciuta, spesso estranea ai nostri pensieri ma presente. Una realtà che non parla solo di reclusione ma soprattutto di arte". Antonella Prota Giurleo, artista e curatrice dell’esposizione, ha presentato il complesso progetto della creazione di libri d’artista: "Provate a pensare di realizzare un libro d’artista, una vera e propria opera d’arte con ritagli di pagine e pagine, usando una piccola forbice con la punta arrotondata, l’unico strumento che ci era consentito introdurre in carcere. Creare arte senza gli strumenti adatti, è stato complesso ma istruttivo. Un’esperienza fortissima". Monia Di Santo ha ricordato i momenti passati gomito a gomito con quelle donne recluse che "vivevano quel tempo del laboratorio artistico da passare insieme con grande attesa. Attimi di aggregazione e confronto, di scambi di conoscenze". Roma: presentato "Wall of Dolls", docu-film contro il femminicidio La Repubblica, 21 ottobre 2016 L’anteprima alla Festa del Cinema di Roma. L’opera realizzata da Jo Squillo. Baldi: "Per la lotta alla violenza di genere dalla regione strutture e bandi per 600 mila euro". Dall’inizio dell’anno già 80 le donne uccise da mariti, ex mariti o compagni. La presentazione del docu-film alla Festa del Cinema di Roma. Da sinistra: Jo Squillo, Valeria Fedeli vicepresidente senato, Valentina Pitzalis vittima violenza, Michele Baldi capogruppo lista civica Nicola Zingaretti, Francesca Romana Capaldo, vicequestore aggiunto della polizia di stato Presentato giovedì 20 in anteprima alla Festa del Cinema di Roma Wall of Dolls, documentario di Jo Squillo sulla campagna di comunicazione realizzata a Milano tramite "Il muro delle bambole", installazione di stilisti, designer e artisti, che da circa 3 anni è divenuta simbolo della lotta contro i femminicidi. Jo Squillo e Valentina Piztalis, giovane donna sfregiata dall’acido, hanno ricordato l’importanza di sensibilizzare le istituzioni affinché attuino strategie per contrastare il fenomeno. Il capogruppo della lista Zingaretti Michele Baldi, intervenuto in rappresentanza della regione Lazio, ha dal canto suo illustrato le iniziative intraprese tramite l’approvazione della legge contro la violenza di genere: "Una legge per supportare le vittime, che prevede nuove case rifugio, diffuse su tutto il territorio regionale e una rete organizzata di centri antiviolenza; percorsi di reinserimento sociale e lavorativo per chi, pur avendo un reddito, ha bisogno di protezione e di un tetto; codice rosa nei pronto soccorso, ossia un’assistenza speciale per garantire la massima riservatezza; corsi nelle scuole perché è fondamentale investire e fare formazione sui più giovani per educare gli uomini di domani a rispettare le donne e a credere in una cultura paritaria; progetti di recupero e rieducazione nelle carceri in collaborazione con psicologi e sociologi perché è importante risalire all’origine della violenza e rieducare i maltrattanti perché non ricadano nella tentazione di ricommettere il crimine, e infine un osservatorio sulle pari opportunità e la violenza di genere per monitorare i dati, svolgere indagini ed elaborare progetti". Baldi ha nello specifico annunciato che è prevista la prossima apertura di 15 nuove strutture tra rifugi e case famiglia che si aggiungeranno alle 10 già presenti sul territorio regionale e che usciranno a breve bandi per borse di studio per i minori orfani di femminicidio e bandi pari a 600 mila euro per corsi nelle scuole contro la violenza di genere. Le cronache e i dati statistici quest’anno sono implacabili: dall’inizio del 2016 sono già 80 le donne uccise in italia da partner o da ex fidanzati e da 10 anni i femminicidi sono in costante aumento. Testimonial di Wall of Dolls in quanto sopravvissute alla violenza, sono Lucia Annibali e Valentina Pitzalis, quest’ultima presente anche alla proiezione, vittime di un’incapacità di certi uomini di accettare un rifiuto o la fine di una relazione. I numeri non lasciano scanso a equivoci, dimostrano purtroppo che i femminicidi in Italia non sono affatto destinati a scomparire, bisogna convincersi che la violenza sulle donne è una piaga come la mafia o il terrorismo e che vanno stanziati fondi, avviati progetti e costituiti ‘corpi’ e istituti speciali per debellarla con un’iniziativa che coinvolga i giovani, le scuole e le famiglie. Ma oltre ai femminicidi e alle violenze più eclatanti, che finiscono sui giornali o almeno in denunce formali fatte alla polizia o ai carabinieri, esistono ragazze, madri e figlie che nel silenzio subiscono soprusi. Secondo i dati di Telefono Rosa almeno 8.856 donne sono state vittime di violenza e 1.261 di stalking. Si stima, inoltre, che il 90% delle donne non denunci atti di sopraffazione comunque subiti. Campi nomadi, proposta di legge per una Commissione d’inchiesta di Laura Arconti* Il Dubbio, 21 ottobre 2016 Fermiamoci qualche minuto a riflettere: come definiamo un "altro da noi"? Lo definiamo con sostantivi o aggettivi, sulla base di ciò che conosciamo o vediamo di lui, del suo aspetto, della sua provenienza, dei suoi comportamenti: questo è uno spilungone, quest’altro è un francese, e quello è un maleducato. Definizioni non prive di una certa accuratezza, verificabili, inconfutabili, che collocano l’individuo in una categoria comune. In Italia sono presenti circa 180 mila Rom di etnie diverse; più o meno la metà di loro ha cittadinanza italiana, e abita stabilmente nel nostro Paese: ma a nessuno verrà mai in mente di chiamarli "italiani" o di definirli grassi o antipatici come chiunque altro. Li chiamano zingari, o nomadi, e li consegnano al pregiudizio sociale come sporchi, ladri, dediti all’accattonaggio. I Sinti sono di provenienza mitteleuropea e vivono in Italia da più di seicento anni: i Rom abruzzesi, una comunità assai popolosa, si sono insediati molto tempo fa provenendo da Grecia e Albania. Poco meno di un terzo dei Rom stabilitisi in Italia viene dalla ex Iugoslavia, o meglio da Kosovo e Bosnia Erzegovina: molti di questi sono arrivati in seguito alla guerra civile per sfuggire alla "pulizia etnica" e alle persecuzioni. Nonostante gli obblighi sanciti dalla Convenzione di Ginevra sullo status degli apolidi, il nostro Governo non ha mai tutelato questi rifugiati, sfuggiti agli orrori della guerra, privi di certificati e documenti perché nel loro paese gli uffici anagrafici erano stati distrutti, e in molti casi ne ha fatto degli apolidi. Circa 40.000 Rom e Sinti ? il 22% di una popolazione stimata di 160/180.000 ? sono rinchiusi nei campi. Questo, è riuscita a fare l’Italia dall’antica tradizione di accoglienza, l’Italia un tempo culla del diritto: ha rinchiuso in uno stesso campo Rom ortodossi con Rom musulmani e con Sinti evangelici, non diversamente da ciò che accadde durante la seconda guerra mondiale, quando 500.000 di loro furono trucidati nei lager di Sobibor, Belzec, Treblinka, Auschwitz e Birkenau. E lo stesso Parlamento italiano che non ha concesso ai superstiti lo status giuridico di apolidi e i documenti personali, ha bensì consentito le celebrazioni del ricordo del Porajmos, talvolta anche con la presenza di esponenti delle istituzioni, ma non ha mai sancito con una legge una Giornata Istituzionale della Memoria per lo sterminio nei campi di concentramento nazisti. Per favorire l’assimilazione delle comunità Rom e Sinti, chiudendo i campi e fornendo abitazioni e servizi, l’Europa ha stanziato fondi in notevole quantità: alcune Regioni li hanno accettati e - sia pure in modo sconnesso e talvolta inefficace - stanno provvedendo a smantellare i campi e a costruire piccoli insediamenti civili: c’è un progetto in Sardegna e sono state fatte scelte trasparenti ed equilibrate nella Regione autonoma della Valle d’Aosta. Nel Lazio, invece, dove nei campi è ristretta una quantità di famiglie, i costi relativi sono mantenuti strettamente a carico dei contribuenti, e il denaro stanziato dall’Ue è stato respinto. Non c’è voluto molto, a quei ficcanaso dei Radicali, appassionati di legalità e di giustizia, per chiedersi il motivo di tale comportamento solo apparentemente inspiegabile: accettando il denaro dell’Europa, si debbono accettare anche i severi controlli e riscontri che all’erogazione sono collegati, mentre il sistema della corruttela, dei favoritismi, dei guadagni illeciti può esser meglio coperto dall’omertà dei vari interessi insediati da lunga pezza in Campidoglio. Il 17 giugno 2015 Marco Pannella, in compagnia dell’Avvocato radicale Vincenzo Di Nanna (Segretario dell’Associazione radicale "Amnistia Giustizia Libertà Abruzzi" di Teramo) e di qualche altro militante del Partito Radicale, si è recato a Palazzo di Giustizia ed ha consegnato al Procuratore Generale tutti i propri legittimi sospetti, trasformati in una denuncia penale nei confronti del Comune di Roma. Su questa denuncia, esattamente come accade con tutte le autodenunce radicali di disobbedienza civile per tentare di cambiare leggi ingiuste o anticostituzionali, è caduto il silenzio, denso e pesante come la pece. Dopo un anno, l’onorevole. Giovanna Martelli, di Sinistra Italiana, ha presentato alla Camera dei Deputati una proposta di legge per l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sullo scandalo dei "campi nomadi", sulle speculazioni che ne peggiorano le condizioni, sul modo di vita disumano cui sono costretti coloro che sono trattenuti come animali in gabbia. Sedici mesi dopo la denuncia di Marco Pannella, giovedì 13 ottobre l’onorevole Martelli, con alcuni rappresentanti di lingua romanì, con Gianni Carbotti, autore insieme a Camillo Maffia del film documentario "Dragan aveva ragione", e con due rappresentanti del Partito Radicale hanno tenuto una conferenza stampa presso la Camera dei Deputati: occorre che la proposta di legge Martelli sia posta nel calendario dei lavori parlamentari, e venga discussa con urgenza. Durante la conferenza stampa è stato trasmesso un intervento filmato di Moni Ovadia: non c’è stato tempo per proiettare il film-documento di Maffia e Carbotti; peccato, perché nel film i giornalisti presenti avrebbero potuto ascoltare anche il racconto di un capoclan che ha portato fuori dal campo la sua numerosa famiglia per proteggere le donne ed i bambini dalle angherie e dalla violenza di altri gruppi. Si tratta di persone che sono fuggite dalle divisioni sanguinose nella ex Jugoslavia, e che il governo della capitale d’Italia ha imprigionato, insieme, in un campo isolato dal resto della città. Occorre aggiungere altri particolari? Parrebbe di no? Questi italiani di etnia Sinti, Rom e Caminanti, i cui figli in gran parte sono nati qui, chiedono aiuto ai giornalisti perché parlino di questa proposta di legge, che può mettere in luce la corruzione più vergognosa, quella che specula sulle sofferenze di esseri umani. *Militante del Partito Radicale - Presidente dell’Associazione radicale "Amnistia Giustizia Libertà Abruzzi" Un week end per la cannabis: "Legalizziamola!" di Riccardo Chiari Il Manifesto, 21 ottobre 2016 Banchetti in piazza. Da oggi a domenica i Radicali e l’associazione Luca Coscioni si mobilitano in decine di città, per raccogliere le 12mila firme mancanti e poter presentare la proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione. "Bisogna sostituire la cannabis legale alla cannabis mafiosa". Tre giorni per raccogliere le 12mila firme mancanti (38mila sono già arrivate), e poter presentare così la proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione della cannabis. Siamo al rush finale per la campagna "Legalizziamo!", con i Radicali e l’associazione Luca Coscioni che da oggi a domenica organizzano i "Last legalizziamo days", mobilitazione straordinaria con tavoli di raccolta firme in decine di città italiane. Fra queste Bari, Bergamo, Bologna, Carpi, Ferrara, Genova, Gorizia, Lamezia Terme, Milano, Modena, Palermo, Pesaro, Pistoia, Prato, Ravenna, Reggio Emilia, Rimini, Roma, Salerno, Torino, Trento e Verbania. Ma l’elenco si sta allungando di ora in ora - tutte le info su www.legalizziamo.it - per cercare di tagliare il traguardo. La campagna per la legge di iniziativa popolare per la legalizzazione della cannabis, e la decriminalizzazione dell’uso personale di tutte le sostanze, è promossa in collaborazione con Possibile, A Buon Diritto, Coalizione italiana per le libertà civili e democratiche, Forum Droghe, Antigone, La PianTiamo, Società della Ragione, e decine di grow shop/canapai italiani. Fra chi ha già firmato, anche i sindaci Luigi De Magistris, Chiara Appendino e Federico Pizzarotti, il presidente piemontese Sergio Chiamparino, i parlamentari Giuseppe Civati, Daniele Farina, Roberto Giachetti, Andrea Maestri ed Eleonora Bechis, e personalità della politica, della cultura, dello spettacolo e del giornalismo: tra questi Roberto Saviano, Ilaria Cucchi, Giulia Innocenzi, Emma Bonino, Mina Welby, Ascanio Celestini, Piotta e Sergio Staino. Fra i punti principali della proposta di legge di iniziativa popolare ci sono l’autocoltivazione libera fino a cinque piante; la possibilità di associazione in "‘cannabis social club"; la coltivazione a fini commerciali previa comunicazione all’autorità; la tracciabilità del prodotto (provenienza e livello del principio attivo Thc); la lontananza dalle scuole, il divieto di pubblicità, e la tassazione. "La discussione parlamentare sulla legalizzazione si è arenata - osservano il segretario dei Radicali, Riccardo Magi, e Marco Cappato dell’associazione Coscioni - ma il paese è più maturo, ai nostri tavoli non firmano solo i ventenni ma soprattutto i loro genitori e anche i nonni. Legalizzare trova d’accordo anche istituzioni come la Direzione nazionale antimafia, magistrati come Raffaele Cantone, e sindacati di polizia come il Siulp, che toccano con mano i danni del proibizionismo e del fallimento della lotta alla droga". Chiude Pippo Civati: "Bisogna sostituire la cannabis legale alla cannabis mafiosa". Messico. Scoperta una gigantesca fossa comune di Geraldina Colotti Il Manifesto, 21 ottobre 2016 Desaparecidos. Scoperti 4.600 resti ossei. Forse vittime dei Los Zetas. Una scoperta dantesca. In Messico, una zona desertica di Coahuila potrebbe nascondere una gigantesca fossa clandestina. Su una superficie di 56.000 metri quadrati, sono stati individuati 4.600 frammenti ossei e altri oggetti. Secondo gli inquirenti, potrebbe essere un luogo di discarica del potente cartello dei Los Zetas. Alla zona si è arrivati grazie al lavoro del gruppo Vida, che si dedica alla ricerca dei desaparecidos ricostruendo le testimonianze della popolazione locale. La drammatica realtà delle fosse comuni clandestine è emersa durante la ricerca dei 43 studenti di Ayotzinapa, scomparsi a Iguala dopo essere stati attaccati da polizia e narcotrafficanti tra il 26 e il 27 settembre del 2014. Il mondo si è accorto allora di quanto torture e violazioni dei diritti umani siano prassi comune, nelle caserme e nei commissariati, e quanto poco valga la vita di chi sopravvive a stento nelle campagne, stretto tra il ricatto della miseria e quello delle cosche, ben innervate a un sistema politico violento e diseguale. I movimenti popolari continuano a cercare i 43. Forti dell’appoggio di una voluminosa controinchiesta alternativa che ha evidenziato menzogne e depistaggi, hanno ottenuto dal governo la riapertura dell’inchiesta. E intanto, grazie all’attività di organizzazioni come Vida, si è dato un nome a molte vittime della tratta o delle cosche, dai confini con gli Stati uniti al resto del paese. Alla fine del 2015, il numero degli scomparsi ammontava a 27.887. Questa nuova, macabra, scoperta potrebbe elevare di molto le cifre. Secondo i periti, i 4.600 resti appartengono a persone scomparse a partire dal 2004, uccise tra il 2007 e il 2012 dagli Zeta. Secondo le testimonianze, in quegli anni, si sono visti uomini armati arrivare nella zona a bordo di furgoni, scaricare corpi e bruciarli. Gli abitanti raccontano anche che altri corpi venivano "dissolti" in grandi recipienti e che le urla dei condannati si udivano per tutto il circondario. I famigliari delle vittime hanno denunciato l’inadempienza delle autorità di Coahuila che hanno minimizzato l’accaduto. Molti componenti degli Zetas provengono dalle forze speciali dell’esercito. Stati Uniti. Detenuto autistico giustiziato in Georgia Ansa, 21 ottobre 2016 Il 63enne era stato giudicato colpevole di aver ucciso un poliziotto nel 1997 e di averne ferito gravemente un altro. La Georgia ha giustiziato un detenuto autistico. Gregory Paul Lawler, 63 anni, è morto ieri sera per iniezione letale in una prigione di Jackson. Lawler era stato giudicato colpevole di aver ucciso un poliziotto nel 1997 e di averne ferito gravemente un altro dopo che avevano accompagnato a casa la sua fidanzata perché ubriaca. Secondo testimoni, inoltre, Lawler la stava picchiando. Stando al suo legale, recentemente l’uomo aveva ricevuto la diagnosi di autismo, un disordine che gli impediva di spiegare ai giudici le modalità dell’omicidio. Di lì la richiesta di clemenza per impossibilità a difendersi. Nonostante ciò la Corte Suprema ha respinto l’istanza e l’esecuzione è stata regolarmente portata a termine. Si tratta della settima nello stato della Georgia dall’inizio dell’anno. In totale nel 2016 negli Stati Uniti sono stati giustiziati finora 17 detenuti contro i 28 dell’anno precedente. Ungheria. Gli homeless adottano il giornale dell’opposizione chiuso di Monica Ricci Sargentini Corriere della Sera, 21 ottobre 2016 I senzatetto in soccorso dei giornalisti del quotidiano d’opposizione ungherese Nepszabadsag, chiuso d’imperio l’8 ottobre dal suo proprietario, Mediaworks, per i conti in rosso ma che, secondo molti, è stato messo a tacere per i suoi articoli critici verso il governo Orban. Giovedì 20 ottobre gli articoli del giornale sono stati ospitati in un supplemento di 12 pagine dalla testata degli homeless Fedel Nelkul (Without Home), che viene venduta per le strade di Budapest e ha una tiratura di 12mila copie. "Quando l’editore ha sospeso le pubblicazioni senza alcun preavviso ci siamo sentiti in dovere di continuare a far sentire la nostra voce" hanno detto i giornalisti. Secondo Mediaworks il quotidiano ha accumulato perdite per 18 milioni di euro a fronte di un calo costante delle vendite. Le politiche repressive del premier ungherese Viktor Orban sono state criticate anche dal premio nobel per la medicina Torsten Wiesel che, in segno di protesta, il 20 ottobre si è dimesso dalla Accademia delle Scienze Ungherese. "La democrazia in Ungheria è minacciata da una nuvola nera che limita la libertà di espressione, i diritti umani e anche la giustizia" si legge in un appello firmato da Wiesel e dal altri scienziati tra cui Thomas Jovin dell’Istituto Max Planck per la chimica biofisica e Stevan Harnad dell’Università di Southampton. Kenya. Rilasciati 7 mila detenuti, "serve spazio per autori di crimini più gravi" Nova, 21 ottobre 2016 Le autorità del Kenya hanno stabilito il rilascio di circa 7 mila prigionieri dalle proprie carceri, nelle quali occorre spazio per "autori di crimini più gravi". Lo ha annunciato il presidente Uhuru Kenyatta nel corso delle celebrazioni della Giornata degli eroi, nella quale il paese ricorda ogni anno quanti contribuirono all’indipendenza del Kenya. "Adesso ci sarà lo spazio per mettere dentro individui condannati per reati più gravi come la corruzione. In carcere avranno tutto lo spazio e il cibo di cui hanno bisogno", ha affermato il capo dello stato, aggiungendo che a essere scarcerati saranno colpevoli di reati minori come piccoli furti. Kenyatta ha ammesso nell’occasione che la corruzione resta uno dei più gravi problemi del paese, aggiungendo di aver chiesto al nuovo capo della magistratura di prestare più attenzione al fenomeno rispetto al passato.