Incontro con Roberto Piscitello, direttore della Direzione Generale Detenuti e Trattamento del DAP

 

Che grande cosa quando le Istituzioni sanno ascoltare!
di Ornella Favero

 

Ristretti Orizzonti, 12 ottobre 2016

 

La redazione di Ristretti Orizzonti ha incontrato Roberto Piscitello, direttore della Direzione Generale Detenuti e Trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria
Dell’incontro con Roberto Piscitello, direttore della Direzione generale Detenuti e Trattamento, e di Carlo Villani, che in quella Direzione è responsabile dell’Alta Sicurezza, mi è rimasta impressa un’immagine: le persone detenute che portavano la loro testimonianza e i due dirigenti del DAP che prendevano appunti. Sarò populista o retorica, ma quell’immagine per me è fondamentale. È, in un certo senso, la spiegazione del perché le carceri funzionano così male, e perché deve essere sempre l’Europa a ricordarci che non siamo capaci di pensare a una carcerazione a misura d’uomo. Funzionano male, con pochissime eccezioni, anche e soprattutto perché non c’è stato, in questi anni, nessun vero ascolto dei diretti interessati, quelli che la galera se la stanno facendo e ne conoscono alla perfezione i meccanismi più nascosti, e forse sono anche in grado di dire qualcosa sul senso che dovrebbe avere la pena.
Quando parlo di ascolto non parlo però, anche se pure quello sarebbe importante, di farsi un giro delle sezioni e ascoltare gli sfoghi delle persone rinchiuse. E non parlo neanche dell’ascolto degli Stati Generali, anche se lì un piccolo passo avanti c’è stato, nel senso che sono stati sentiti molti detenuti che fanno parte di realtà organizzate come la redazione di Ristretti, i detenuti di Opera che hanno partecipato a dei Tavoli di discussione con le Camere penali, i detenuti che lavorano con l’associazione Bambini senza sbarre e poche altre realtà. Però ricordo a tutti quanto faticoso è stato anche solo convincere i Tavoli degli Stati Generali dell’importanza dell’ascolto delle persone detenute: io per esempio, che coi detenuti mi confronto e ci discuto ogni giorno, tutte le volte che chiedo, a un convegno o in una sede istituzionale, di ascoltare anche le persone detenute, sento di essere considerata la solita rompiscatole con il mito del “dar voce a chi non ha voce”. A me però prima di tutto interessa dar voce a chi ha qualcosa da dire, e allora bisogna dirselo finalmente, che per parlare di vita detentiva hanno, purtroppo, più titoli quelli che la galera se la stanno facendo, e tutti noi “esperti” possiamo essere fondamentali nell’elaborazione di proposte solo se sappiamo ASCOLTARLI. E ricordo che era poi quello che facevano, ai tempi in cui è stata scritta la Riforma penitenziaria e poi la Legge Gozzini, politici e addetti ai lavori, andando nelle carceri e cercando il confronto con chi le abitava.
Ecco, la mia speranza è che quell’ASCOLTO, che c’è stato durante l’incontro nella redazione di Ristretti Orizzonti, sia l’inizio di un confronto vero, profondo, perché si sente davvero il bisogno di Istituzioni credibili.

Non aspettare che cambino le leggi per cambiare la vita detentiva. Roberto Piscitello, direttore della Direzione Generale Detenuti e Trattamento, ci ha invitato a provare a metterci al suo posto e a dire da dove vorremmo partire per cambiare le carceri e per rivedere la realtà dei circuiti. Naturalmente abbiamo subito accettato la sfida. Ecco allora alcune delle proposte di Ristretti Orizzonti.

Affetti: piccole proposte per non distruggere le famiglie delle persone detenute

* L’Ordinamento penitenziario, nella parte che riguarda gli affetti, è decisamente superato, le famiglie sono schiacciate da quelle misere sei ore di colloquio visivo al mese e dieci minuti di telefonata a settimana. Si può sperare che cambino la legge, ma nel frattempo basterebbe una circolare del DAP per cambiare la vita dei famigliari, concedendo a tutti i detenuti quattro telefonate supplementari al mese. Questo si può fare senza cambiare la legge, ma l’obiettivo dovrebbe essere per tutti una “liberalizzazione” delle telefonate, come già avviene in molti Paesi. E forse telefonare più liberamente ai propri cari, mantenere contatti più stretti quando si sta male e si sente il bisogno del calore della famiglia, ma anche quando a star male è un famigliare, potrebbe davvero costituire una forma di prevenzione dei suicidi;
* l’utilizzo di Skype per i colloqui famigliari per tutti, anche per i detenuti AS;
* dovrebbero essere concessi più facilmente i colloqui con le terze persone;
* dovrebbero essere rese più chiare le regole che riguardano il rapporto dei famigliari con la persona detenuta, uniformando per esempio le liste di quello che è consentito spedire o consegnare a colloquio, che dovrebbero essere più ampie possibile.

Rappresentanza dei detenuti

Il tema della rappresentanza, su modello di quella attuata nella Casa di reclusione di Bollate, è stato trattato nel Tavolo 2 degli Stati Generali con un invito a promuovere forme sperimentali nelle carceri, questo invito dovrebbe essere ripreso dal DAP con una sollecitazione alle aree pedagogiche e alle direzioni a promuovere forme di rappresentanza, appoggiandosi a un lavoro di supervisione e di formazione da parte delle associazioni di volontariato.

Valorizzazione dell’attività del Volontariato

Basta andarsi a guardare le Schede sulle carceri trasparenti del DAP per capire che il Volontariato in carcere fa tantissimo e conta poco. Un piccolo esempio è che la Commissione che in ogni Istituto di pena si occupa del Regolamento interno, presieduta dal Magistrato di Sorveglianza, ha dentro tutte le componenti diverse che operano in carcere, tranne il Volontariato e il privato sociale. Ecco perché è importante ridefinire il ruolo del Volontariato, sia all’interno delle carceri che sul territorio mei percorsi di reinserimento delle persone detenute. 

Mediazione in carcere
Il Ministro della Giustizia ha più volte ribadito l’importanza della Giustizia riparativa, nel Tavolo 2 si è avanzata la proposta di usare la mediazione in carcere per affrontare i conflitti. Varrebbe la pena avviare almeno qualche forma di sperimentazione, che apra la strada a una più ampia applicazione della mediazione, in un momento in cui la conflittualità negli istituti è alta e l’unica risposta, ben poco educativa, sono i rapporti disciplinari.


Uso delle tecnologie
Nell’ambito degli interventi da proporre per il miglioramento della vita detentiva, un capitolo importante va dedicato alla possibilità, durante la carcerazione, di utilizzare strumenti informatici e dispositivi multimediali per molteplici scopi. Primo fra tutti per non creare nelle persone detenute un pericoloso vuoto di conoscenze nell’utilizzo di questi strumenti sempre più impiegati all’esterno, che costituirebbe un altro ostacolo al reinserimento, già di per sé difficile per via dei pregiudizi che gravano sulle persone che hanno avuto esperienze di carcere. Senza la possibilità di utilizzare nel corso della detenzione strumenti di questo tipo il detenuto rischia di diventare un senzatetto digitale, efficace definizione di un grande esperto di informatica, Nicholas Negroponte, che indica un soggetto privo di nozioni informatiche di base e incapace di un utilizzo appropriato di strumenti, entrati prepotentemente nelle attività quotidiane di ogni cittadino. 
Quelle che seguono sono una serie di proposte per regolamentare l’utilizzo di strumenti e tecnologie informatico/multimediali:
* tutte le persone detenute vanno autorizzate all’uso personale, nella stanza di detenzione, di notebook con porte USB aperte e possibilità di disporre di un mouse e di una stampante (già oggi, quando si parla di “motivi di studio e lavoro”, per studio non si deve intendere solo la scuola o l’Università, ma anche lo studio personale che uno strumento come il PC ti permette);
* ai possessori di questi strumenti va data la possibilità di dotarsi di chiavette USB per scambio files/programmi;
* è consentito l’uso di apparecchi tipo mp3 per ascolto di brani musicali;
* è consentito l’uso di e-book con indicazione alla biblioteca d’istituto di dotarsi di file di libri da fornire ai possessori di questi libri digitali (oltre al risparmio di carta c’è anche quello di spazio occupato dai testi cartacei);
* è autorizzato l’accesso alla rete mediante un Internet point presente in ogni reparto. Si parla di una connessione filtrata che consente un parziale accesso alla rete, realizzabile con programmi a basso costo ed alta efficienza. È da tener presente che da qualche anno l’UE, attraverso la commissione competente, ha inserito l’accesso alla rete come diritto inalienabile di ogni individuo;
* va allestita in ogni carcere una postazione per l’uso di Skype per colloqui con i famigliari (anche per detenuti AS1, che sono sempre lontani dalle famiglie).

Informazione e sensibilizzazione del territorio
La giustizia urlata di tanti organi d’informazione produce solo insicurezza e non permette di elaborare interventi adeguati ai problemi. Per cui vanno promossi e sostenuti in tutte le maniere progetti di sensibilizzazione del territorio sulle pene e sul carcere e di informazione dalle carceri (Ristretti Orizzonti si propone per un progetto sulla comunicazione su questi temi, perché per ora quanto è stato fatto, per esempio, per pubblicizzare i risultati degli Stati Generali ha dimostrato proprio la debolezza delle attività di informazione del Ministero). 

Per quel che riguarda i circuiti di Alta Sicurezza:
* Riguardo alla permanenza nel circuito A.S.1: va avviato un monitoraggio della permanenza in quel circuito dopo l’uscita dal 41 bis (tenendo presente la posizione assunta dal Tavolo 2 a maggioranza sul superamento dei circuiti, che dovrebbero sempre di più fungere da luogo di transizione verso i reparti di media sicurezza).
* Riguardo le declassificazioni: Vanno semplificate le modalità per accedere alla declassificazione, e deve essere rispettato l’art. 32 R. E., che prevede che ogni sei mesi sia rivista la collocazione del detenuto in un circuito. I rigetti di declassificazioni vanno notificati al detenuto in forma integrale, in modo che il detenuto possa difendersi dalle contestazioni avanzate. In ogni modo, se sussistono atti ritenuti non ostensibili, quantomeno siano definite le A.G. competenti, cosicché i legali abbiano la possibilità di confrontarsi, così come avviene, in un certo modo, con i decreti applicativi del regime del 41 bis O.P. Va monitorata l’applicazione della più recente circolare sulle declassificazioni.
* Riguardo il trattamento penitenziario; La vita detentiva dei reparti A.S. dovrebbe prevedere il trattamento penitenziario come nelle sezioni comuni. In realtà nella sostanza tutte le circolari DAP (vedi recente circolare su uso Internet e Skype) fanno specificatamente riferimento solo alle sezioni di media sicurezza, lasciando praticamente troppa discrezionalità di interpretazione ai Direttori o precludendo direttamente molte opportunità ai detenuti di AS. Vanno invece fatte sperimentazioni come a Padova, di attività che coinvolgano detenuti di Alta e di Media sicurezza.
* Riguardo ai colloqui telefonici: L’AS è l’unico circuito cui viene negato di avere la corrispondenza telefonica sui cellulari. I familiari spesso non sono rintracciabili perché il telefono fisso non viene più nemmeno preso in considerazione dalle giovani generazioni, ed è una gran fatica rintracciare i figli che usano solo telefonini (e del resto le telefonate sono ascoltate e registrate, non è questa una garanzia sufficiente?).

La redazione di Ristretti Orizzonti

Prima e dopo l’incontro con Roberto Piscitello. Le testimonianze dei detenuti di Ristretti Orizzonti

Frequentare Ristretti Orizzonti non è quel passatempo che in molti pensano
di Tommaso Romeo, AS 1

Sono arrivato nel carcere di Padova nel 2009, ero appena uscito dal regime duro del 41bis, le prime lettere che ho ricevuto dai compagni detenuti rinchiusi in altri istituti dicevano “Caro amico, sei stato fortunato ad arrivare a Padova, lì si sta bene”, allora mi sono fatto una risata amara nel sentire dare del fortunato ad un ergastolano solo perché trasferito in un altro carcere. 
Dopo anni di immobilismo ho cominciato a frequentare la redazione di Ristretti Orizzonti, dove ho incontrato tanti detenuti della Media Sicurezza, che mi hanno spiegato che questa attività non è un passatempo pieno di privilegi, ma un percorso travagliato e in salita. Una delle proposte della redazione è il progetto scuola/carcere, che consiste nel confrontarsi con gli studenti delle scuole superiori del Veneto. Per tre giorni alla settimana ti siedi davanti a un centinaio di studenti, e ti senti gli occhi di tutti quei giovani addosso, quegli occhi che sembra che ti penetrino fino a dentro l’anima, per non parlare delle loro domande che ti inchiodano, il confronto con loro non è facile per più motivi, diverso contesto territoriale, mentalità, età, ma tutto quello che si fa nella redazione non è facile. Nei miei 24 anni di detenzione gli anni passati alla redazione sono stati i più impegnativi, frequentare la redazione ti responsabilizza perché sei cosciente che alcune persone ti hanno dato la loro fiducia, ma sei cosciente anche che questo tuo percorso è visto in malo modo da chi sta fuori, in particolare da chi vive in quei territori del sud dove la fa da padrone una subcultura per cui le istituzioni sono il nemico. Ma la cosa che più fa rabbia e ti demoralizza è che proprio per le istituzioni rimango un irrecuperabile, infatti questo mio percorso di reinserimento è reso sempre più difficile con trasferimenti o disposizioni dei vertici dell’Amministrazione, come quella recente che mi impediva di frequentare la redazione perché sono un detenuto dell’Alta Sicurezza. Fortunatamente però hanno capito che questo ritorno al passato manderebbe in fumo anni di percorso di reinserimento costati impegno e sacrifici non solo a me, ma anche alle persone che hanno creduto in questo progetto come i volontari che ci hanno seguito costantemente. Se tornassi indietro sicuramente rifarei la scelta di frequentare la redazione, sia per le persone che ci ho trovato sia perché potermi confrontare con la società esterna mi ha aiutato a togliermi quei paraocchi che mi aveva messo la subcultura dominante sul territorio da cui provengo, di certo mi preparerei meglio ad affrontare le critiche e mi difenderei dalle delusioni e difficoltà che a volte anche le istituzioni ti fanno trovare puntualmente sulla via di questo percorso. Viene da pensare che l’uomo che lotta per migliorarsi non piace a molti. Frequentare Ristretti Orizzonti non è quel passatempo che in molti pensano, ma un vero lavoro pieno di responsabilità che ti migliora e ti avvicina alla società esterna. 

Quanto è importante che si confronti da vicino chi vive in due mondi opposti 
di Tommaso Romeo, AS 1

Mercoledì 5 ottobre, nella redazione di Ristretti Orizzonti nella Casa di reclusione di Padova si sono seduti allo stesso tavolo una trentina di detenuti, alcuni volontari e operatori di Padova e come ospiti il Direttore della Direzione generale detenuti e trattamento del DAP, dott. Roberto Piscitello, e il dott. Carlo Villani, che in quella Direzione si occupa dell’Alta Sicurezza, entrambi prima di arrivare al DAP erano procuratori dell’antimafia. Tra i detenuti seduti al tavolo c’eravamo anche noi cinque ergastolani dell’Alta Sicurezza che facciamo parte della redazione, io sono uno di quei cinque, in poche parole a quel tavolo si sono seduti due poli opposti. L’incontro è durato quasi tre ore ed è stato un confronto leale e costruttivo. Il merito va un po’a tutti i partecipanti, ma se devo essere onesto un po’ di più va al dott. Piscitello, sia per la sua semplicità, nel senso che non ha fatto pesare il suo ruolo istituzionale, sia per la sua grande capacità di ascolto. 
Vedere così attenti i due funzionari, che hanno il potere di decidere di come io posso vivermi la mia eterna condanna, non solo mi ha aiutato in quel momento ad esporre il mio punto di vista, ma le ore dopo l’incontro le ho passate a riflettere su quanto è importante che si confronti da vicino chi vive in due mondi opposti. Ci ha aiutato molto vedere che chi scrive le direttive su come deve essere la nostra vita detentiva abbia voluto sentire il parere di chi deve viverle, quelle direttive, così come è stato importante sentirsi dire che alcune nostre proposte per migliorare la vita detentiva verranno prese in considerazioni, vedere questa apertura e avvicinamento da parte di chi rappresenta le istituzioni di certo invoglia il detenuto ad avere una concezione più chiara e reale delle istituzioni stesse, nel mio caso questo confronto mi ha invogliato ancora di più a proseguire il mio percorso di reinserimento. Da come è andato l’incontro mi viene voglia di proporre che in futuro i funzionari responsabili della vita detentiva degli istituti di pena italiani almeno un paio di volte l’anno si confrontino direttamente con i detenuti, perché il confronto diretto porta utilità a tutti, sia a chi fa le regole che a chi gli tocca viverle sulla propria pelle. 
Chiudo ringraziando il dott. Piscitello e il dott. Villani per la loro presenza, ma in particolare per averci dato la possibilità di esporgli direttamente il nostro punto di vista.

Spesso metterci la faccia comporta essere giudicati con durezza
di Aurelio Quattroluni, AS 1

Sono in carcere da più di venti anni, la mia è sempre stata una carcerazione difficile, non accettavo le regole dei vari istituti e avevo un modo tutto mio di ragionare, spesso litigavo con gli agenti, questo modo di reagire mi ha portato diverse sanzioni disciplinari fino a quando ho avuto la fortuna di essere trasferito a Padova, dove sto scontando il mio ergastolo. Non appena arrivato mi sono reso conto che era un carcere diverso, perché ti offriva delle opportunità, e man mano che passavano i giorni mi sentivo sempre più vivo a livello psichico, sentivo crescere dentro di me la voglia di dare il meglio, però essendo allocato nel circuito di Alta Sicurezza le opportunità erano minime, fino a quando su mia richiesta ho iniziato uno speciale cammino nella redazione della rivista Ristretti Orizzonti, all’inizio con un corso di scrittura e in seguito come redattore, partecipando ai convegni, al progetto scuola/carcere. Ascoltando le domande degli studenti, fatte dopo aver sentito le testimonianze raccontate dai miei compagni detenuti della Media Sicurezza, ho cominciato a riflettere sul mio passato e sul mio modo di pensare, sentendo la voglia e la necessità di mettermi in discussione e di raccontare la mia storia. Ho avuto fiducia nelle persone che mi hanno permesso di iniziare questo lungo e difficoltoso percorso e non ho mai pensato che mi avrebbe portato privilegi o benefici, anzi ho potuto constatare che spesso “metterci la faccia” comporta essere giudicati con durezza. Una recente disposizione dell’Amministrazione vietava infatti a noi del circuito Alta Sicurezza di svolgere attività unitamente ai detenuti di media sicurezza, ma per fortuna alla fine hanno accolto la nostre richieste e hanno deciso che l’esperienza di cambiamento che stavamo facendo possa continuare.

Questo incontro mi ha sicuramente riavvicinato in maniera più responsabile alle istituzioni
di Aurelio Quattroluni, AS 1

In vent’anni e passa di galera non ho mai pensato che un giorno avrei avuto la possibilità di essere ascoltato da un rappresentante delle Istituzioni così importante come è il Direttore della Direzione detenuti e trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Roberto Piscitello, questo è accaduto nel carcere di Padova, Due Palazzi, dove mi trovo detenuto a scontare l’ergastolo. Faccio parte come volontario della Redazione di Ristretti Orizzonti, dove spesso si invitano a degli incontri persone delle Istituzioni, volontari, giornalisti, politici, vittime di reati. 
Il mio primo pensiero è quello di ringraziare il Dott. Piscitello per l’attenzione e l’ascolto che ci ha offerto, è stato veramente un bell’incontro, mi ha fatto riflettere in particolare quando ci ha chiesto quanto avrebbe inciso la condanna all’ergastolo sulla scelta del percorso che abbiamo intrapreso e se fosse più facile cambiare vita e staccarsi dalla criminalità proprio perché consapevoli di non potere più uscire dal carcere. 
Personalmente posso dire che il mio rifiuto della scelta di vita sbagliata che mi ero imposto nasce nel momento in cui i miei due bambini, che quando li lasciai si muovevano ancora a gattoni, hanno cominciato a piangere disperati al di là del vetro blindato che impone la separazione fisica durante i colloqui con i familiari, e perciò loro non potevano più saltarmi in braccio. Ero al 41 bis. Ho iniziato a prendere coscienza e a criticarmi per la scelta di vita sbagliata leggendo il dolore sui loro volti disperati. Ho provato anch’io quel senso disperante per l’angoscia di averli trascinati nel baratro in cui mi ero lanciato io. Per aver distrutto la serenità e la vita della mia famiglia, dunque ho sentito il dovere morale di riflettere sul mio passato. Tuttavia, mentre i miei figli crescevano il 41 bis non mi veniva revocato, anzi le norme di vita già rigide di quel regime peggioravano sempre di più e cosi la mia rabbia interiore non trovava sfogo e mi impediva di prendermi le mie responsabilità verso la società e le istituzioni. Tanto da farmi collezionare molte sanzioni disciplinari, perciò da carnefice incominciavo a sentirmi vittima di un sistema non giusto, la mia rabbia non mi portava più a riflettere sulle scelte sbagliate, ma in tutta un’altra direzione.
Per mia fortuna mi fu revocato il 41bis e mi trasferirono in un carcere di massima sicurezza. Fui allocato nella sezione E.I.V che in seguito divenne circuito di alta sicurezza AS1. Giravo parecchie carceri, ma le cose non cambiavano e continuavo ad avercela con il mondo intero, non pensando minimamente alle mie responsabilità, fino a quando, arrivato nel carcere di Padova, con l’inserimento nella redazione di Ristretti Orizzonti iniziai a vedere una realtà diversa dagli altri istituti, e a riflettere e a ragionare in modo razionale.
La mia rabbia fu sommersa da un forte senso di colpa e mi sentivo nuovamente un essere umano. Mi hanno aiutato soprattutto il dialogo e il confronto con gli altri compagni della redazione, e il fatto che nei vari incontri con la società civile, durante i convegni e i seminari mi confrontavo con rappresentanti delle istituzioni come con le vittime o i loro familiari. 
Ma un ruolo importante hanno gli incontri con gli studenti, circa seimila studenti all’anno, con i quali realizziamo un sistema di prevenzione formidabile che serve tanto a loro, ma anche tantissimo a noi. Oggi non mi sento più una vittima, e ricomincio a criticare nuovamente il mio triste e maledetto passato, oggi mi sento una persona diversa grazie al dialogo e al confronto che mi sollecita a ragionare in modo positivo e costruttivo. Pur sapendo di non avere nessun futuro, sono certo che con l’amore della mia famiglia, dei miei figli, e oggi anche dei miei nipoti riuscirò a mantenere l’equilibrio acquisito, ma soprattutto a non tradire la fiducia di chi ha messo a mia disposizione la propria energia e il suo tempo. E ringrazio lei ancora una volta, Dott. Roberto Piscitello, per l’attenzione che ci ha dedicato. Questo incontro mi ha sicuramente riavvicinato in maniera più responsabile alle istituzioni. 

Che senso ha scontare la pena sotto forma solo di punizione?
di Agostino Lentini, AS 1

Si dice che il tempo curi le ferite, molto spesso la cosa è reale, il tempo inteso come età dell’uomo porta ad acquisire una certa saggezza, responsabilità, e molto spesso l’essere umano riesce pure a fare autocritica del suo vissuto, rammaricandosi di ciò che non ha saputo realizzare o di cosa ha totalmente sbagliato nella sua esistenza. Poiché mi trovo nelle sezioni di Alta Sicurezza dove il senso di solitudine, o di abbandono è consuetudine, ho avuto modo di confrontarmi sempre e solo con me stesso, e molto spesso ho creduto di stare seduto sempre “dalla parte della ragione”, incattivendomi ogni giorno di più, fino quasi a sentirmi alla stregua di un animale.
Sono arrivato a Padova nel 2012, c’erano molti pregiudizi in me quando mi dovevo rapportare con gli agenti, soprattutto se graduati, visto che venivo da anni di 41 bis, di isolamenti diurni e di diritti calpestati. Il modo di rapportarmi non poteva essere diverso da quello di una bestia tenuta in cattività. A Padova mi sono ritrovato in un clima totalmente diverso, con la sezione aperta e con opportunità messe a disposizione dalla Direzione (lavoro, studi, attività sociali e ricreative di gruppo), che mi hanno permesso di svolgere una vita carceraria relativamente serena, con un buon processo di maturazione, tutto ciò ha contribuito a farmi instaurare un buon rapporto con gli operatori penitenziari e altri operatori sociali.
È stato altresì determinante il percorso di inserimento socioculturale iniziato all’interno dell’istituto grazie alla redazione di Ristretti Orizzonti, che mi ha permesso di uscire da determinati schemi mentali dovuti ai tanti anni di carcerazione fatta in estremo isolamento, di esprimere la volontà di confrontarmi sia con giornalisti, operatori, magistrati, che con i gruppi scolastici che di norma vengono ospitati dalla redazione, e di mettere in luce, attraverso i convegni organizzati, i pensieri, le sofferenze patite in questi luoghi in più di venti anni di carcerazione. 
Queste importanti opportunità mi hanno permesso di prendere cognizione che gli errori passati è giusto pagarli, ma allo stesso tempo cercare di capire quale senso abbia scontare la pena sotto forma solo di punizione.
Questo processo di cambiamento così radicale non è stato facile, anzi, è stato sofferto e molto tribolato, e ci sono voluti anni di buona volontà interiore e di collaborazione con chi ha creduto nel cambiamento delle persone. Eppure mettersi in gioco comporta critiche, pregiudizi, e a volte anche l’emarginazione da parte dei tuoi stessi compagni che vedono in te il nemico.
A volte anche gli operatori del carcere ritengono che il gruppo della redazione di Ristretti Orizzonti sia un modo come un altro per passare il tempo, trascurando come sia difficile, complicato, duro mettersi in gioco, mettere in luce il peggio del peggio di sé, considerando il tuo contesto culturale di provenienza, e ciò che ti viene inculcato nella tua mente sin da ragazzino come se fosse la normalità. 
Eppure le persone che l’hanno fatto è perché ci hanno creduto. 
Anche incontrare persone detenute dei reparti comuni ha richiesto un certo equilibrio, per chi ha vissuto sempre nelle Sezioni Speciali dove il contesto culturale è schematizzato nel tempo, devi affrontare dubbi, incertezze e anche paure per confrontarti con realtà diverse, dimostrando sempre che non hai nessuna intenzione di fare “proselitismo”.
Poi è successo che il 9 settembre 2016 ci viene comunicato tramite il caporeparto che, a seguito di una nuova disposizione del DAP, la popolazione detenuta della sezione A.S.1 non può più incontrarsi con i detenuti dei reparti comuni. Pertanto vengono sospese tutte le attività che da tempo si facevano in comune, e ancora una volta ci ritroviamo nel baratro più profondo.
Si dice che il tempo curi le ferite, mentre per chi vive nelle sezioni di Alta Sicurezza non si rimarginano mai, e così siamo stati sopraffatti da sconforto e desolazione, soprattutto per quelle persone che nulla hanno commesso per retrocedere nel trattamento e che avevano intrapreso quel percorso di cambiamento e di confronto nel quale avevano manifestato tutti i loro buoni propositi, mettendosi in gioco e dimostrando di credere nelle istituzioni. 
Ci siamo chiesti subito il perché di questa chiusura. Forse si sono verificate delle condizioni di pericolosità sociale interne o esterne al carcere? Ci sono stati dei risultati che abbiano dimostrato che volevamo fare proselitismo tra i detenuti comuni? Si sono verificati dei collegamenti con le organizzazioni criminali di appartenenza?
Alla fine per fortuna siamo stati “riaperti”, e si è capito che siamo persone che si sono esposte e hanno dato prova in maniera chiara del loro cambiamento, senza mai voltarsi a guardare indietro, convinte di avere intrapreso quella strada con la consapevolezza che neanche possiamo chiedere un giorno di permesso, ma la cosa che chiediamo a gran voce è la normalità, quella di non sentirsi perennemente etichettati, quella di poter accedere a un lavoro, e chiediamo agli organismi investigativi di motivare il loro dissenso alla fuoriuscita dal circuito, con riferimento esclusivamente circostanziato all’attualità criminale, e non alla biografia delinquenziale, che ci perseguita a restare cattivi per sempre, anche quando non abbiamo commesso niente di perseguibile penalmente.

Che strana sensazione incontrare importanti rappresentanti delle Istituzioni che ti ascoltano
di Agostino Lentini, AS 1

La visita in redazione del Dott. Piscitello ad agosto era stata molto veloce, con la promessa di rivederci a settembre per affrontare insieme alla redazione di Ristretti Orizzonti un argomento spinoso come quello delle sezioni di Alta Sicurezza e delle modalità di declassificazione.
Giacché vivo nelle sezioni di Alta Sicurezza da più di dieci anni, ho pensato con scetticismo all’idea che qualcuno del Dipartimento potesse ascoltare la nostra voce, la voce di quelle persone emarginate dalla società e che, proprio perché etichettate nella categoria “i mafiosi”, non meritano ascolto.
Invece ieri il Dott. Roberto Piscitello, Direttore della Direzione Generale Detenuti e Trattamento e il dirigente dell’Ufficio che si occupa dell’Alta Sicurezza, Dott. Carlo Villani, si sono presentati puntuali all’appuntamento nella redazione di Ristretti Orizzonti, unitamente al Direttore Ottavio Casarano, al Commissario, ad alcune esponenti dell’area educativa, a Don Marco, a Nicola Boscoletto e Rossella Favero, presidenti di cooperative, e altri volontari, e per la prima volta i detenuti dell’Alta Sicurezza hanno avuto la possibilità di un confronto con i ‘piani alti’ del Dipartimento.
Chi si sarebbe aspettato un confronto animato, polemico, o sulle difensive, ci sarà rimasto male.
Per la prima volta sono stati i detenuti ritenuti più cattivi ad avere la parola, dimostrando con i fatti come l’essere umano è complicato e come una persona, che viene trattata con umanità, può cambiare radicalmente il suo modo di pensare, di rapportarsi e di mettersi a disposizione degli altri.
Lo scetticismo che inizialmente avevamo si è dissolto quando ci siamo trovati di fronte due persone che pur ricoprendo un ruolo istituzionale di grande importanza, si sono dimostrate disponibili e attente nell’ascoltare e nel prendere appunti sui problemi legati alle sezioni speciali, alle declassificazioni, e alla vita detentiva.
La cosa che a noi ha fatto immenso piacere è stata quella di poter dimostrare come il cambiamento nelle persone può avvenire solo se i detenuti si pongono nelle condizioni di mettersi in gioco, se escono fuori da quello schema culturale e sociale che gli deriva dal territorio di provenienza, e quindi intraprendono dei percorsi riabilitativi. Il primo punto è stato quello di evidenziare che le sezioni A.S. sono tenute emarginate dalla restante popolazione detenuta, spesso non hanno la possibilità di incontrare persone esterne, non hanno diritto a svolgere attività lavorativa con i reparti comuni, e questo fa sì che la mentalità di quelle persone rimanga schematizzata nel tempo, mentre il trattamento risulterebbe più efficace se ci fosse un confronto con realtà diverse. E questo offrirebbe alla direzione spazio di osservazione, perché nelle persone il processo di maturazione avviene tramite lavoro, studi, attività sociali e ricreative di gruppo, e non restando emarginati, chiusi in una sezione.
Un ulteriore tema affrontato è stato quello delle declassificazioni dai circuiti: la richiesta dovrebbe essere formulata d’ufficio dalla direzione per chi ha i requisiti idonei, mentre questo non viene quasi mai attuato e ci si ritrova ad aspettare dei lunghi periodi per poi ritrovarsi quasi sempre con un rigetto di declassificazione per delle informative che si limitano a ripercorrere la biografia delinquenziale del detenuto, mentre dovrebbero essere circostanziate esclusivamente rispetto all’attuale pericolosità criminale del reo, e valorizzando il percorso trattamentale intrapreso negli anni all’interno degli istituti di pena.
Mi preme sottolineare ancora una volta che sotto l’aspetto umano ci siamo trovati di fronte persone che ascoltavano, anzi, in questo confronto mi è rimasto impresso quando il Dott. Piscitello ha voluto sottolineare che l’art. 27 della Costituzione dice che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, dando la propria definizione della parola “tendere”, “tendere significa allargare fino all’estremo delle forze”, ed ancora quando nel porci un quesito ci ha chiesto che cosa faremmo noi se fossimo al suo posto, se pensiamo che le sezioni di Alta Sicurezza 1 andrebbero abolite o dovrebbero piuttosto essere ridotti i tempi di permanenza al loro interno.
Non nascondo che ci ha colto di sorpresa l’invito a provare a ricoprire il ruolo in un certo senso di giudicare noi stessi.
Ecco, credo che in una società civile i confronti siano sempre un modo per migliorarsi, in questo confronto noi tutti siamo rimasti felici che, per la prima volta, la nostra voce è stata ascoltata, e non in una formale visita che generalmente le autorità fanno con una lunga passeggiata nei corridoi, ma seduti intorno ad un tavolo per quasi quattro ore per cercare in qualche modo di trovare soluzioni ai problemi reali di quella categoria di persone della quale nessuno vorrebbe sentir parlare. Perché i problemi ci sono e vanno affrontati così come hanno fatto il Dott. Piscitello ed il Dott. Villani, i quali credo che abbiano acquisito un bagaglio di informazioni utili per migliorare il sistema parlandone proprio con gli stessi detenuti.

Ci sto lavorando seriamente, sul mio cambiamento
di Giovanni Zito, AS 1

Quando si cambia un certo stile di vita è perché si elaborano dei sentimenti nuovi, criticando profondamente il proprio passato. Un lavoro faticoso è quello della rinascita, fatto di giorni che pesano come mattoni. Io ci sto lavorando seriamente sul mio cambiamento perché ci credo, sono lontani quei giorni in cui credevo che le istituzioni fossero qualcosa di strano, di sbagliato, questo accadeva perché culturalmente non capivo il significato del rispetto delle regole e delle leggi. Ma in tutti questi anni di carcere ci sono state delle persone che hanno contribuito al mio totale cambiamento, e anche se come ergastolano sono chiuso, inutile, immobile come un masso, voglio cercare di ricostruire il mio diritto ad una vita normale, per questo per non farmi distruggere dalla prigione ho appreso tante cose: scrivere per raccontarsi, comunicare con il prossimo per uscire fuori con la mente, per sentirsi ancora vivi. 
Un ergastolano ha ben poco da sperare, ciò non toglie che io sento il bisogno di essere diverso anche se sono in carcere, ho delle responsabilità verso quelle persone che mi seguono, la fiducia che mi danno diventa un impegno sempre maggiore. Certo non è facile quando si vive da diversi anni in carcere, ma il coraggio sta proprio nel correre là dove gli altri si sono fermati. Tutto questo l’ho appreso solo perché adesso sono un uomo maturo, e non più quel giovane scapestrato che non ha saputo scegliere bene, tra le esperienze brutte e quelle buone io mi sono fatto coinvolgere solo da quelle brutte. Colpito da un lutto familiare, il mio declino è stato inevitabile anche per mia scelta, perché pensando alla vendetta ho ferito ancora di più la mia famiglia. 
Oggi cerco di dimostrare che sono diventato responsabile non solo per la mia vita ma anche verso il prossimo, assumendomi le mie responsabilità verso quella società fatta di studenti, di persone che entrano qui in carcere per confrontarsi con noi e comprendono il mio cammino di crescita. Nei primi tempi, io che mi trovo in una sezione di Alta Sicurezza non capivo nulla, mi sembrava tutto strano, diverso, ma poi abbiamo iniziato, carta e penna e giù a scrivere e scrivere e riflettere sul passato. Se voglio cambiare devo elaborare quel passato e guardare al mio futuro, se mai dovessi avere un futuro da uomo libero, ma per adesso devo camminare da solo perché c’è tanta strada da fare e sarà faticosa. Io credo però di essere pronto per proseguire e sono fiducioso perché mi sento diverso e cambiato. Gli anni passano per tutti ed io non faccio più parte del mio passato, io guardo al presente dentro queste mura, che mi sta aiutando a diventare una persona diversa.

Appello al dottor Roberto Piscitello
di Giovanni Zito, AS 1

Egregio dottor Piscitello, sono l’ergastolano Giovanni Zito, voglio ringraziarla ancora una volta per avermi autorizzato ad essere presente all’incontro presso la redazione di Ristretti Orizzonti, di cui io sono uno dei redattori. In questo incontro ho avuto una specie di conferma che i passi che sto facendo sono quelli giusti, mentre prima vivevo negli errori da me commessi con poca intelligenza. Come le ho esternato presso la redazione, il mio cambiamento è totale e radicale, in quanto il carcere di Padova mi ha aiutato a mettermi in gioco con serietà e ad assumermi delle grosse e impegnative responsabilità, svolgendo molte attività socio-culturali che mi hanno riempito la vita. Certo non è facile superare certi ostacoli, ma io credo che quando una persona decide di cambiare lo fa senza esitare se ci crede davvero, io ne sono convinto perché la direttrice di Ristretti Orizzonti, Ornella Favero, mi ha messo davanti alla società con convegni dove trovi oltre cinquecento persone e non puoi più fingere. 
Io purtroppo non ho più i genitori in vita e non ho una famiglia che mi segue con costanza, un mio fratello cerca di starmi dietro, ma lei capisce quanto possa essere difficile. Non voglio tediarla con le mie parole, ma mi creda io desidero essere declassificato perché trovo vergognoso alla mia età chiedere ancora dei soldi al mio unico fratello, che già ha difficoltà a vivere serenamente, visto e considerato che la vita fuori è dura, perché spesso manca un lavoro dignitoso. Sono in carcere da vent’anni, ma solo oggi posso capire di aver superato la mia chiusura mentale, desidero lavorare perché so benissimo di non poter sperare altro e scontare una carcerazione più dignitosa e costruttiva mi fa sentire bene. Non le chiedo di più, solo che sia valutata la mia posizione, e sono felice di proseguire questo percorso riabilitativo perché mi sento vivo, mi dia la possibilità di dimostrarle che le Istituzioni non stanno sprecando il loro tempo invano. Credo che tutti quelli che siamo rimasti in questo istituto abbiamo dimostrato e dimostreremo ancora il nostro totale cambiamento, perché dalla nostra dura esperienza carceraria siamo maturati. Ci declassifichi dottor Piscitello, perché dentro di noi non c’è nessun desiderio di fare proselitismo, c’è solo la voglia di cambiare voltando pagina con coraggio e fiduciosi verso quelle istituzioni, che ci tendono la mano. Lei stesso è stato testimone di come ci hanno descritti gli operatori, il cappellano, e tutta l’area educativa. Fiducioso che questo mio personale appello venga accolto, le auguro un sereno lavoro.
Giovanni Zito 

Fare questo percorso con Ristretti Orizzonti mi ha costretto a riflettere sul mio passato
di Antonio Papalia, AS 1

Mi chiamo Antonio Papalia, sono detenuto nella sezione AS1 di via Due Palazzi di Padova. Fino ai primi giorni di settembre ero un redattore della redazione di “Ristretti Orizzonti”, in quanto ero inserito da circa tre anni nel gruppo di discussione e nel Laboratorio di scrittura e da circa un anno e mezzo ero in pianta stabile in redazione. 
Ho iniziato a frequentare la redazione di Ristretti Orizzonti mettendomi in gioco e mettendoci anche la mia faccia, confrontandomi con quanti sono venuti ospiti in redazione, politici, giornalisti, scrittori, volontari. Inoltre la redazione di Ristretti Orizzonte da anni sta portando avanti il progetto scuola/carcere, con moltissimi studenti del Veneto. Il progetto è basato sulla prevenzione, per fare in modo che i ragazzi non facciano gli stessi errori che abbiamo fatto noi detenuti, e in quest’ultimo anno e mezzo più volte mi sono trovato a confronto con loro, rispondendo alle loro domande, domande che mi spiazzavano e che una volta rientrato in cella mi facevano riflettere e ripensare al mio passato.
Tutto ciò è vero che mi ha aiutato molto a ritrovare la parola che avevo perso stando chiuso ad oziare nelle sezioni ghetto di Alta Sicurezza. Ma è pur vero che fare questo percorso mi è costato moltissimi sacrifici e subire anche moltissime critiche, nonostante ciò ho continuato lo stesso.
All’inizio di settembre però, dopo quasi quattro anni di frequentazione della redazione, tutto d’un colpo mi era stata preclusa questa esperienza, forse si era pensato che facendomi frequentare la redazione mi avrebbero fatto un piacere, può essere anche un piacere, ma è stato anche un sacrificio per me, una fonte di sofferenza perché mi ha costretto a riflettere sul mio passato. 
Abbiamo chiesto tutti di poter continuare questo percorso, e per fortuna la nostra richiesta è stata accolta, e questo è importante, perché vuol dire che si è capito come certe esperienze siano la dimostrazione più concreta del cambiamento del detenuto. 

È con il confronto che il detenuto cambia e viene recuperato
di Antonio Papalia, AS 1

Oggi 05/10/2016, all’interno del carcere Due Palazzi di Padova, nella redazione di “Ristretti Orizzonti” si è tenuto un incontro con due importanti dirigenti del DAP, precisamente con il dottor Piscitello e il dottor Villani.
Questo incontro è stato voluto dalla redazione di Ristretti, sulla base di una promessa fatta dal dottor Piscitello in una sua precedente visita. Il tema in discussione è stata la declassificazione dei detenuti del circuito AS1, ma anche altri problemi riguardanti la Media Sicurezza e l’Alta Sicurezza. 
A parere dello scrivente questo incontro è stato molto importante in quanto abbiamo avuto la possibilità di testimoniare ai dirigenti del DAP cosa significa per noi della sezione AS1 la partecipazione e la frequentazione di Ristretti Orizzonti, spiegando che è con il confronto che facciamo giorno per giorno con gli studenti e con quanti vengono in redazione, politici, giornalisti, giudici, volontari, solo con queste modalità il detenuto cambia e viene recuperato, e non lasciandolo ad oziare chiuso in sezioni ghetto quali sono di fatto le sezioni AS1.
Sia il dottor Piscitello che il dottor Villani sono stati molto attenti, hanno ascoltato e preso degli appunti su ciò che ogni detenuto della redazione di Ristretti Orizzonti ha spiegato; sia io che gli altri detenuti presenti siamo rimasti soddisfatti di questo incontro, in quanto abbiamo visto per la prima volta che c’è qualcuno che ci ascolta e si interessa seriamente alle nostre vicende. 
A mio parere è molto importante quanto hanno affermato, che ogni volta che devono valutare le nostre posizioni per la declassificazione manderanno alla DDA o agli organi che vengono interpellati per le informazioni, la relazione che il carcere fa su ognuno di noi, già questo è un grosso passo avanti, in modo che chi deve esprimere un parere almeno conosca ciò che il detenuto ha fatto e quello che sta facendo, così da poter valutare se sia meritevole o meno di una eventuale declassificazione.

Un incontro particolare in redazione
di Bruno Turci 

Mercoledì 5 ottobre in redazione c’è stato un incontro di quelli da incorniciare e scrivere sul calendario. Per la seconda volta nel volgere di qualche mese nella redazione di Ristretti Orizzonti è entrato il dott. Roberto Piscitello, capo della Direzione Generale Detenuti e Trattamento del DAP, accompagnato dal dott. Carlo Villani. Entrambi ex PM della Procura Antimafia.
Il tema al centro dell’incontro era la condizione delle persone detenute nei vari circuiti detentivi, cioè la funzione delle sezioni di Alta e Media sicurezza in cui sono detenute circa 54.000 persone, di cui più di 9000 in Alta Sicurezza. 
Io sono in detenzione da molti anni e debbo dire che incontri in redazione con dirigenti di alto livello del DAP ne abbiamo già fatti, e lo spessore degli ospiti della redazione è sempre stato notevole, ma debbo affermare, tuttavia, che questo incontro è stato davvero particolarmente interessante, perché il Capo della Direzione Generale e il dottor Villani sono entrati armati di carta e penna per prendere nota delle nostre argomentazioni, non è stato un incontro “normale” o la tipica visita ispettiva dove capire che facce hanno i carcerati e ascoltare le loro lagnanze. Questa volta si è dibattuto sulla funzione della pena, sull’importanza di una pena utile alla risocializzazione degli uomini condannati a pene lunghe o all’ergastolo, al posto di una detenzione espiata come animali feroci in gabbia. 
Eravamo tutti armati di carta e penna e da entrambe le parti abbiamo preso nota di ogni parola detta. La capacità di ascolto di questi alti funzionari che si occupano della sicurezza delle carceri e del recupero delle persone condannate, è stata formidabile. La capacità di confronto del dottor Piscitello ci ha restituito la convinzione che la credibilità delle istituzioni dipende moltissimo dagli uomini che le rappresentano. Se gli uomini che ne sono a capo hanno veramente la capacità di indagare sul senso della pena, vuol dire che di conseguenza verrà sicuramente valorizzato anche l’operato di coloro i quali entrano nelle carceri in forma di volontari. Quei volontari che credono che si possa ridare un volto umano alle persone che vi si trovano rinchiuse, con la presunzione di poterle restituire alla società e alle loro famiglie come uomini migliori.