Che fine hanno fatto i diritti umani di Roberto Toscano La Repubblica, 31 gennaio 2016 È un fatto. I diritti umani non sono più al centro dell’attenzione internazionale, e soprattutto la loro tutela non è più sentita come una priorità. Né da parte dei responsabili politici né da parte dei cittadini. Non è sempre stato così. Pensiamo agli anni Settanta del secolo scorso, quando le sorti dei dissidenti sovietici o dei cileni vittime della repressione di Pinochet ispiravano forti prese di posizione morali capaci di determinare anche risposte politiche. Vale la pena cercare di comprendere le ragioni di questo profondo cambiamento, e il perché si è venuta a determinare un’innegabile caduta di sensibilità e solidarietà umana. Una risposta pseudo-realista, ma in realtà parziale e superficiale, tende ad attribuire la causa principale di questa caduta alla fine della Guerra Fredda, nel cui contesto la difesa dei diritti umani era, per l’Occidente, uno dei terreni su cui condurre - e alla fine vincere - la grande sfida con il sistema comunista. Finita la sfida, calato l’interesse. È vero che la lotta per i diritti umani era anche condotta con finalità strumentali, ma nello stesso tempo nel momento in cui la usava strumentalmente nel quadro di un’offensiva ideologica contro l’avversario, l’Occidente non poteva poi sottrarsi alla necessità di rispondere sullo stesso terreno in relazione alle proprie azioni, dal Cile al Vietnam. In altri termini, il risultato, quale che fosse l’intenzione di chi sollevava il tema, era positivo per la causa dei diritti umani ovunque nel mondo. La fine del comunismo ha dimostrato che la violazione dei diritti umani costituisce una ragione di debolezza di sistemi politici che non possono indefinitamente sostituire la repressione al consenso. Questo avrebbe dovuto confermare i diritti umani al centro del discorso politico. Se non è avvenuto, è dovuto a una serie di fattori. Primo fra tutti, la sostituzione, nel campo dei diritti umani, del confronto Est-Ovest con quello Nord-Sud. Paradossalmente, la polemica con l’Unione Sovietica non verteva sui principi, ma sul loro concreto rispetto, dato che i sovietici (persino nella Costituzione staliniana del 1936) non mancavano di rendere omaggio sul piano teorico agli stessi principi su cui si basavano i sistemi occidentali nel momento stesso in cui li violavano in modo massiccio. Scomparsa l’Urss, la polemica sui diritti umani si spostò dal terreno delle prassi concrete a quello dei principi, con una forte offensiva dei Paesi asiatici, decisi a contestare un universalismo che a loro avviso non era che l’imposizione di valori occidentali. Vi fu, nell’ultimo periodo del XX secolo, un forte dibattito sui "valori asiatici" e sullo "scontro di civiltà" - un discorso che introduceva dubbi e contestazioni in un terreno che fino ad allora non era stato esplicitamente contestato da chi pure lo contraddiceva sul piano dell’uso del potere in chiave repressiva. All’inizio del XXI secolo la sfida di maggiore radicalità e virulenza è diventata quella dell’islamismo, le cui espressioni politiche, anche le più moderate, contestano la possibilità di un discorso sui diritti umani (pensiamo a temi come la condizione della donna, l’omosessualità o il diritto ad abbandonare la religione islamica) che possa prescindere dai dettami della Sharia. Ma come mai la gravità della sfida non produce oggi, come sarebbe logico, una riconferma di valori che sembravano un tempo costitutivi non solo dei nostri sistemi politici ma anche del nostro profilo etico? Una risposta la fornisce, nell’introduzione al Rapporto 2016, Kenneth Roth, il Direttore esecutivo di Human Rights Watch - l’organizzazione non governativa che, in parallelo ad Amnesty, porta avanti la causa dei diritti umani a livello globale. Roth non ha dubbi, e non dovremmo averne neanche noi. La spiegazione di questa caduta di disponibilità e sensibilità nei confronti della causa dei diritti umani ha un nome preciso: la paura. Paura per la nostra sicurezza, sia socio-economica che fisica. In un certo senso siamo passati dal terreno delle ideologie a quello, primario ed ottuso, della biopolitica. L’insicurezza, e la paura che essa genera - soprattutto per il terrorismo che colpisce anche nelle nostre città - producono un egoismo sordo ai richiami dell’etica e alla considerazione della dignità e dei diritti dell’Altro. Se era facile essere solidali con i dissidenti rinchiusi nel Gulag siberiano, oggi le vittime delle violazioni dei diritti umani sbarcano sulle nostre coste, si accampano nelle nostre strade. È obiettivamente una situazione difficile, sia dal punto di vista organizzativo ed economico che da quello sociale, e persino da quello politico, visto che gli "imprenditori della paura" stanno raccogliendo praticamente in tutti i Paesi europei consensi sulla base della xenofobia e del razzismo. Siamo messi collettivamente alla prova, e una risposta dovrà arrivare di certo da una rinnovata presa di coscienza sul piano dell’etica, ma anche su quello del realismo e della razionalità. Se non riusciremo infatti ad affrontare questo colossale problema senza tradire quella centralità dei diritti umani che ci ha fin qui definiti come europei, ne risulterà una perdita di identità molto maggiore di quella che la paura ci dice che deriverebbe dall’inserimento dei migranti nella nostra società. Questo è vero anche per la sicurezza, che vediamo oggi minacciata dal terrorismo islamista e dall’instabilità dell’intera regione medio-orientale, dove uno dopo l’altro gli Stati si avvicinano alla disgregazione come conseguenza di spinte settarie e tribali. È vero che alla radice di questo processo, caratterizzato da una parossistica conflittualità endemica, esiste una serie di cause, dalle carenze di sviluppo socio-economico alla crescita dei movimenti jihadisti di ispirazione wahabita, ma quello che è indiscutibile è che alla base sia della minaccia terroristica sia dell’esodo di intere popolazioni troviamo sempre un potere esercitato con la violenza nel totale dispregio dei diritti umani e generatore quindi di frustrazione, risentimento, divisioni, violenze - un potere nei cui confronti siamo stati troppo spesso, e spesso continuiamo ad essere, conniventi per opportunismo o vigliaccheria. Torniamo quindi a mettere fra le nostre priorità la difesa dei diritti umani. Ce lo suggeriscono sia i nostri principi che i nostri interessi, a partire da quello essenziale della sicurezza. Le minacce presenti vanno confrontate con tutti i mezzi necessari, compreso quello militare, ma senza affrontarne le tutt’altro che misteriose radici politiche continueremo indefinitamente a dover fare i conti con nuove e probabilmente sempre più gravi sfide. Sconfiggere il "cinismo" per uscire dalla crisi della legalità di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 31 gennaio 2016 C’è una parola inedita nel vocabolario delle celebrazioni dell’anno giudiziario: "cinismo". L’ha pronunciata, a Roma, il Procuratore generale della Corte d’appello Giovanni Salvi ed è la chiave di lettura, non solo della fase storica che stiamo vivendo, ma anche della crisi della giustizia, ormai spogliata del pluridecennale conflitto con la politica. "Cinismo dilagante", ha detto Salvi, mettendo il dito sulla piaga di un atteggiamento culturale che attraversa la politica, alcuni settori della magistratura, dell’avvocatura e, purtroppo, larghi strati della popolazione, anche giovanile. Il "cinismo" è, a volte, frutto della sfiducia ma più spesso è causa ed effetto dell’immobilismo, alibi del disimpegno e della deresponsabilizzazione, risposta egoistica agli altrui egoismi, personali o corporativi. È una realtà con cui fare i conti, per restituire credibilità alle istituzioni, in particolare alla giustizia, arrestando la progressiva caduta di fiducia. Il cinismo si combatte con un gioco di squadra istituzionale e individuale, che consenta di rendere visibile, concreta, efficace, la risposta giudiziaria contro l’illegalità e il diffuso senso di impunità. "Cosicché - lo dice bene Salvi - la legalità possa essere percepita non come una vuota parola ma come affermazione dei diritti e dei doveri del cittadino". Ciò significa, però, "presentarsi con le carte in regola". Dunque, smettendola di annunciare, rinviare o annacquare riforme importanti, come quelle su prescrizione, unioni civili, depenalizzazione dell’immigrazione clandestina, per rincorrere - in quest’ultimo caso - le paure irrazionali dell’opinione pubblica, fomentando una "percezione" di sicurezza smentita da qualunque dato e dagli addetti ai lavori. Occorrono risposte. Coerenti e concrete. È di due giorni fa una (giusta) reprimenda del ministro Orlando al suo partito per aver lasciato passare nell’opinione pubblica un’idea "forcaiola" della giustizia, per esempio in occasione delle misure sul sovraffollamento carcerario e sulle misure alternative, approvate "quasi sottovoce", altrimenti "anche i nostri non capiscono". Così, ha ricordato Orlando, sono nate negli ultimi anni la legge sulla droga e il reato di immigrazione clandestina, "che dobbiamo superare". Molti ritardi o inerzie legislative sono state colmate, nella storia, dai giudici, a cominciare dalla Corte costituzionale che, appena insediata, cancellò i residui della legislazione fascista ancora vigente. Ingiustificata l’accusa di "supplenza": il mondo cambia e i cittadini, le imprese, devono poter trovare una tutela, anche di fronte ai nuovi diritti e sempre nel perimetro costituzionale. I giudici devono saper, e poter, dare risposte efficaci, in termini di qualità e di tempestività, anche se scomode o impopolari. Senza cavalcare il consenso popolare o coltivare idee eroiche della propria funzione. Se davvero la nebbia dello scontro politico si è diradata, questo è il tempo per costruire, assumendosi le rispettive responsabilità per sconfiggere il "cinismo dilagante". Che in fondo è il peggior nemico di una solida democrazia. Le sei emergenze della giustizia di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 31 gennaio 2016 Valgono quel che valgono le classifiche sull’Italia 111° al mondo invece che 147°. E pure le statistiche (come le 130 mila prescrizioni l’anno o le cause civili scese ai 4,2 milioni del 2002) in sé dicono poco. Ma, come sismografi, rivelano i meccanismi che terremotano l’efficienza del sistema giudiziario. L’informatica. Per i pc 150 milioni ma serve l’assistenza È un rapporto di odio/amore quello che gli uffici giudiziari italiani hanno con la sempre maggiore informatizzazione del lavoro. Tutti d’accordo sull’utilità, e neanche è vero manchino i soldi, anzi il Ministero ha messo sul digitale altri 150 milioni per il 2015-2016-2017. A essere lamentata è invece l’insufficienza dell’assistenza tecnica, fattore cruciale rispetto alla diffusione di applicativi che per produrre i propri positivi effetti di riduzione dei tempi a favore dei cittadini, lungi dal risparmiare lavoro, ne assorbono molto di più sia ai magistrati sia ai cancellieri, mettendo così ancor più a nudo le carenze di organici. E tuttavia non si può certo negare che gli operatori ci provino: l’anno scorso hanno fatto 3 milioni di notifiche e comunicazioni nel penale (dove si è più indietro) e depositato 3,5 milioni di atti telematici nel civile, dove l’informatizzazione è più avanzata e in parte obbligatoria, e dove la consegna in via informatica di 15 milioni di comunicazioni ha fatto risparmiare, rispetto ai costi che venivano sostenuti con il sistema del cartaceo, 53 milioni. La prescrizione. Pochi cancellieri e saltano le sentenze Il rischio, ogni volta che si parla di carenza di organico dei cancellieri, è che sembri la "solita lagna" di statali corporativi. E invece quanto incida sugli interessi dei cittadini lo mostra il paradosso del Tribunale di Bergamo: dove tutti magari seguono il processo Bossetti, ma pochi sanno che i giudici si sono visti costretti a rallentare il proprio lavoro (fare meno processi e dunque far aspettare di più i cittadini) perché le cancellerie, dove manca più del 40% del personale, non sono fisicamente in grado di seguirne la produttività (ogni giudice fa quasi il doppio delle sentenze di un collega di Milano), e anzi sono incorse nella beffa di 13 rilievi degli ispettori del Ministero su omissioni o ritardi. Risultato: i dirigenti del Tribunale hanno appena ordinato ai giudici di alzare il piede dall’acceleratore. E cioè di fare non più 26 ma 18 udienze monocratiche a settimana, di portare in ogni udienza preliminare davanti al gup non più 25 ma solo 12 fascicoli al massimo, di abbandonare e lasciare scadere i processi la cui data di prescrizione sia nei prossimi 2 anni (salvo quelli con parti civili), e di differire al 2018 i processi non prioritari. Le risorse. Soldi e assunzioni, il saldo è negativo Eppure il ministro Orlando dice il vero quando rivendica di essere il primo che da 20 anni immette nuovo personale: 267 milioni sono stanziati per assumere negli uffici giudiziari dipendenti statali in mobilità da altri enti, in un percorso che alla fine dell’anno prossimo promette di fare entrare 4.000 operatori. Ma questo impegno sconta un po’ il boomerang renziano degli annunci (troppi e affrettati, visto che ad esempio dei primi 1.032 cancellieri, vantati come cosa fatta già nell’agosto 2014, sono sinora entrati in servizio in 590), e un po’ la sfasatura di uffici che non hanno più tempo per aspettare: nel lasso in cui i nuovi 4.000 entreranno, infatti, ne saranno intanto andati in pensione di più, con un saldo negativo che sta mettendo ko apparati già al collasso. Va però riconosciuta al Ministero la caccia di risorse aggiuntive: 100 milioni dai fondi europei del "Pon Governance e Capacità istituzionale 2014-2020", 260 dal fondo per il "civile telematico ed efficientamento" legato a un decreto del 2015, 600 per le spese di funzionamento degli uffici giudiziari 2015-2017, e 140 recuperati dalle quote 2012-2013 provenienti dal Fondo Unico Giustizia. I ricorsi. Cassazione assediata, aumenta il disordine Dovrebbe produrre ordine nei criteri di uniformità e prevedibilità delle sentenze, e invece la Cassazione è diventata essa stessa un fattore di disordine: un supermarket di decisioni, dove sugli scaffali di 30.000 ricorsi civili e 53.500 penali l’anno (senza eguali per alcuna Corte Suprema al mondo) si trova tutto e il contrario di tutto. Presidente da pochi giorni, Gianni Canzio addita l’illusione di assorbire l’arretrato solo con "il mero aumento della produttività" annuale (251 sentenze civili e 487 penali per giudice) "fino al limite dell’esaurimento delle energie". Nel civile pendono 104.561 processi, che aspettano in media 3 anni e 8 mesi prima di essere trattati; nel penale correre al ritmo di 7 mesi (migliore della media europea) non ha evitato che i processi da smaltire arrivassero a 36.000. Un ammortizzatore giudiziario sul quale si scaricano anche conflitti lasciati furbescamente irrisolti dalle incertezze legislative: non si spiegherebbe come un terzo di tutto l’arretrato civile siano cause tributarie, e il 14% cause di lavoro. I risultati. Differenze eccessive tra un ufficio e l’altro Il primo e vero problema, nelle pieghe statistiche, è un malsano federalismo giudiziario: tempi, capacità e prevedibilità abissalmente diverse non solo da territorio a territorio, ma addirittura nello stesso ufficio. Esemplare il caso della Corte d’Appello di Torino presieduta nel 2010-2014 da un giudice (Mario Barbuto) le cui pratiche organizzative anti-arretrato nella giustizia civile sono assurte a metodo dirigenziale eponimo, fino a essere nominato dal ministro Orlando capo dell’organizzazione giudiziaria nel 2014-2015 e ad aver promosso un primo censimento dell’arretrato. Il distretto di Torino è un gioiello nel civile, dopo che Barbuto ha preso nel 2010 un arretrato di 8.080 cause e l’ha ridotto a fine mandato a 5.850, ulteriormente sceso oggi a 4.600. Ma i 13.400 processi penali trovati nel gennaio 2010 sono diventati 22.106 quando Barbuto ha lasciato la Corte, salendo oggi a quasi 24.000. Vuol forse dire che il metodo Barbuto era un bluff? No, vuol solo dire che i miracoli non esistono, e che la performance del civile è stata pagata dal collasso del penale. Le carceri. Braccialetti elettronici, ne mancano 11 mila Dai 67.971 del 2010, i detenuti a fine 2015 sono scesi a 52.164: ancora non pari ai circa 49.000 posti di capienza, ma almeno sotto il profilo puramente quantitativo l’Italia comincia ad allontanarsi dalle condizioni che con la sentenza Torreggiani l’avevano vista condannata per trattamento inumano e degradante dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Qualcosa si muove anche sulla qualità del "come" far scontare la pena per far sì che poi la recidiva degli ex detenuti diminuisca e dunque la collettività guadagni in sicurezza: l’anno scorso 39.274 detenuti sono stati ammessi all’esecuzione esterna di parte della propria pena, quasi il doppio di 5 anni fa, anche se ancora non abbastanza si fa per il lavoro, con il quale solo 1.413 di loro hanno potuto mettersi alla prova fuori dalle carceri. E il capo del Dap addita come "uno scandalo che non si riesca a fare questo benedetto nuovo contratto per i braccialetti elettronici: ne avremmo bisogno di 13.000, e invece abbiamo sempre i soliti 2.000" per la cui rotazione c’è una lista di attesa media di 70 giorni. Anno giudiziario, Orlando: politica troppo timida con la magistratura di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 31 gennaio 2016 Una politica troppo timida nei confronti della magistratura. Lo ha sottolineato il ministro della Giustizia Andrea Orlando nel suo intervento in Corte d’appello a Palermo nel quale ha ricordato che la politica "ha mostrato forse troppa timidezza nell’intervenire e stabilire regole per chi le regole è poi chiamato ad applicarle". Dove la sede non è neutra, visto che poi Orlando ha precisato di avere voluto rivolgersi al "caso Saguto" come "riferimento chiaro al fatto che aver lasciato spazi di discrezionalità ampia, per esempio, non regolando attraverso norme i compensi e le modalità di affidamento degli incarichi agli amministratori giudiziari o in altre procedure che prevedano incarichi con ampio margine di discrezionalità, ha consentito che si creassero zone d’ombra". Il ministro però ha anche spiegato che questa timidezza "è dovuta a una certa sacralizzazione del ruolo e della funzione della magistratura, che ha ragioni storiche profonde e condivisibili, che è inversamente proporzionale alla perdita di credibilità che la politica ha patito negli ultimi decenni. Ma è dovuta anche a mutamenti economici e sociali sempre più imponenti, che superano ampiamente i confini nazionali e rispetto ai quali dobbiamo costruire strumenti di analoga portata". E allora "far valere le ragioni della politica diviene dunque sempre più difficile. È tuttavia è necessario, perché la politica mantiene, secondo le regole della democrazia, un insostituibile compito di carattere "architettonico": svolge cioè la funzione di direzione e di determinazione degli orientamenti generali del Paese, che la Costituzione le assegna". Orlando, nel sottolineare la necessità di un recupero di peso e ruolo della politica, ha anche rivendicato l’apertura, non da oggi, di una nuova stagione di condivisione sui temi della giustizia, tale da permettere il superamento delle conflittualità che hanno caratterizzato il clima di anni. Anni nei quali l’inaugurazione dell’anno giudiziario diventava, quasi ritualmente, dimostrazione plastica delle tensioni tra politica e magistratura. Oggi, ha avvertito il ministro, "vi sono difficoltà da superare ma non vi è più una questione giustizia che ricapitoli in maniera quasi paradigmatica il senso della crisi che il Paese attraversa". Tiepida la risposta del presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli, che mette in evidenza ben altre timidezze, "assistiamo anche a timidezze (ad esempio in tema di prescrizione o di efficacia delle regole del processo) e a interventi affrettati o di propaganda: penso alla riforma della responsabilità civile dei magistrati, a quella della sospensione feriale, presentata come panacea dei ritardi della giustizia, o ai tempi troppo veloci della riduzione dell’età pensionabile, pure in sé condivisibile, iniziative che stanno puntualmente provocando quelle ricadute negative che avevamo ampiamente previsto". "Credo - osserva Sabelli - che si debba ancora trovare un equilibrio complessivo per quell’obiettivo, peraltro di contrasto all’illegalità che non può che essere una finalità". E allora l’agenda Sabelli vede al centro altri interventi: "piuttosto, occorre intervenire con decisione sulle condizioni di lavoro che, come sottolineato anche dal primo presidente della Cassazione nella sua relazione inaugurale, vedono gli uffici giudiziari oberati da carichi di lavoro che restano elevatissimi, pur a fronte dei segnali incoraggianti resi possibili dall’alta produttività individuale. È un problema che investe gli uffici di merito, non meno che quelli di legittimità, e che impone ulteriori, efficaci interventi normativi e organizzativi, perché la giustizia non degradi a gestione aziendalistica dei numeri e siano assicurate la qualità del servizio che rendiamo ai cittadini e la serenità dei magistrati". Anno giudiziario, Orlando: ok a raddoppio prescrizione per reati corruzione di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 31 gennaio 2016 "Accolgo l’appello del procuratore generale Scarpinato sulla prescrizione raddoppiata per alcuni reati corruttivi. In verità il testo approvato alla Camera va esattamente in questa direzione. Non serve una mia iniziativa specifica in questo senso". Lo ha detto il ministro della Giustizia Andrea Orlando a margine dell’inaugurazione dell’anno giudiziario presso la Corte di Appello di Palermo. "Naturalmente - ha continuato - è legittima la discussione su come si bilanciano la forza dell’accusa con quella della difesa. Ma credo che l’obiettivo di non avere più prescrizioni nell’ambito dei reati contro la pubblica amministrazione sia ragionevole e conseguibile. Tanto più conseguibile all’indomani di un forte inasprimento per questi reati". Orlando: politica timida con toghe, si faccia valere. Nel suo intervento Orlando non ha risparmiato stoccate polemiche. "La politica ha mostrato troppa timidezza nell’intervenire e stabilire regole per chi le regole è chiamato ad applicarle. Questa timidezza è dovuta a molti fattori: a una certa sacralizzazione del ruolo e della funzione della magistratura, che è inversamente proporzionale alla perdita di credibilità che la politica ha subito negli ultimi decenni; ma è dovuta anche a mutamenti economici e sociali sempre più imponenti, che superano ampiamente i confini nazionali e rispetto ai quali dobbiamo costruire strumenti di analoga portata". Di qui il monito. "Far valere le ragioni della politica diviene dunque sempre più difficile e tuttavia - ha aggiunto - è necessario perché la politica mantiene, secondo le regole della democrazia, un insostituibile compito di carattere architettonico. Svolge la funzione di direzione e determinazione degli orientamenti generali del Paese che la Costituzione assegna". "2015 anno della telematizzazione". "Il 2015 può essere considerato l’anno del processo civile telematico. Più di 6,3 milioni di atti telematici depositati da avvocati e professionisti e 3 milioni e mezzo dai magistrati, rispetto al milione dell’anno precedente" ha detto Orlando che ha ricordato come il 2015 abbia segnato anche "l’avvio dei primi passi verso la digitalizzazione del processo civile" e l’investimento di 150 milioni di euro nella informatizzazione. "Diminuita popolazione carceraria". "Al 31 dicembre 2015 la popolazione carceraria è scesa a 52.164 e l’indice di sovraffollamento delle carceri dal 131% al 105%" ha reso noto ancora il Guardasigilli, che ha annunciato anche l’intenzione di "potenziare il ricorso a sanzioni penali diverse dalla detenzione, percorsi di messa alla prova e di esecuzione delle misure alternative" Anno giudiziario, a Milano boom di cause contro banche. A Milano sono "sempre in numero rilevante le cause bancarie" che hanno "ad oggetto il tema di grande attualità della responsabilità fatta valere da singoli risparmiatori-investitori nei confronti di banche-promotori finanziari" per "difetto di informazione" o per "la rischiosità dei prodotti". Lo si legge nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario milanese del presidente facente funzione della Corte d’appello, Marta Chiara Malacarne. Nella relazione viene indicato che a Milano sono pendenti "57 procedimenti" tra cause bancarie e intermediazione finanziaria, "oltre le metà dei quali prossimi alla definizione". A Roma "corruzione ha superato livello guardia". "Il fenomeno della corruzione sembra aver superato il livello di guardia, per la sua intensità e pervasività, che investe ormai tutti i settori della collettività" ha affermato il procuratore generale della Corte d’Appello di Roma, Giovanni Salvi, nella sua relazione all’inaugurazione dell’anno giudiziario. "Si spera che l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) sappia utilizzare al meglio gli ampi poteri che le sono stati attribuiti - ha aggiunto Salvi -. Non v’è dubbio, infatti, che l’aumento di una effettiva trasparenza nell’attività della Pubblica Amministrazione renderebbe più difficile la commissione di fatti corruttivi". Per il magistrato "la corruzione, nonostante sia molto diffusa, resta sostanzialmente impunita, come viene spesso denunciato anche a livello giornalistico" A Napoli allarme criminalità minori. Il presidente della Corte di Appello di Napoli, Giuseppe De Carolis, ha sottolineato che nonostante alcuni dati positivi "i tempi di definizione dei procedimenti civili e penali, ancorché diminuiti, continuano ad essere eccessivi e questo continua ad essere il principale problema della giustizia". "I ritardi nei processi penali, la scarcerazione anche di imputati per reati gravi per decorrenza dei termini di custodia cautelare e l’estinzione di un gran numero di reati per prescrizione, vanifica il lavoro dei magistrati e finisce per diventare una sorta di amnistia strisciante e perenne che opera peraltro in modo casuale", ha aggiunto De Carolis. Allarme anche per la criminalità minorile, i baby-killer e la baby gang, fenomeno in aumento nel Distretto di Napoli, con il "settore" che ha numeri elevatissimi di procedimenti iscritti, 953, con oltre 1.200 definiti in un solo anno. L’anno giudiziario: da Roma a Milano ecco carenze e disfunzioni negli uffici di Mariolina Iossa Corriere della Sera, 31 gennaio 2016 Il ministro Orlando alla cerimonia a Palermo: "Non c’è più una "questione giustizia"". Nel capoluogo lombardo il Pg Malacarne denuncia: manca il 37 per cento del personale. Carenza di organico del personale amministrativo pari al 27 per cento a Milano, prescrizioni aumentate del 30 per cento a Roma. Sono queste le prime criticità che arrivano dalle Corti di Appello dove si svolgono le cerimonie per l’apertura dell’anno giudiziario. A Palermo, il ministro Andrea Orlando ha sottolineato quanto sia ormai necessario guardare oltre la stagione della contrapposizione magistratura-politica. "Se è vero - ha riconosciuto - che ci sono difficoltà ancora da superare", non esiste più tuttavia una "questione Giustizia che ricapitoli in maniera quasi paradigmatica il senso della crisi che il Paese attraversa". Orlando ha detto che si è realizzato, a suo avviso, "l’auspicio che formulai lo scorso anno di aprire una nuova stagione di condivisione sui temi della giustizia e di superamento della conflittualità che ha caratterizzato il clima degli anni scorsi". Milano - "La situazione già critica di carenza di organico del personale amministrativo", ha raggiunto livelli inaccettabili, ha detto il presidente vicario della Corte di Appello di Milano, Marta Chiara Malacarne, nel suo intervento per l’inaugurazione dell’anno giudiziario a Milano. La carenza è tale da poter "mettere a rischio il mantenimento dei risultati raggiunti in termini di produttività e il regolare funzionamento dei servizi. In Corte di Appello il personale effettivamente in servizio ha registrato un ulteriore decremento rispetto al dato, già poco confortante, dell’anno precedente, in quanto si è passati da 173 a 143 unità su una pianta organica che ne prevede 227, con un tasso di scopertura reale pari al 37%". Il procuratore generale Roberto Alonso ha detto anche che è ora di smetterla "di incolpare i magistrati, per abitudine. Non si tiene mai conto degli inadempimenti gravi che hanno caratterizzato l’azione di governo per molti anni". Roma - A Roma nel periodo tra il 2014 e il 2015 sono andati in prescrizione il 30 per cento dei procedimenti definiti dalla Corte d’Appello di Roma. È il dato fornito dal procuratore generale Giovanni Salvi. "Interi settori della legalità quotidiana sono sommersi dalla prescrizione - ha detto il magistrato - così giungendosi alla vanificazione della sanzione penale e della sua stessa minaccia, proprio nelle aree di maggior interesse per il cittadino". Per Salvi "è indispensabile un mutamento di rotta" perché "il dato diviene drammatico se si fa riferimento ai reati a più breve termine di prescrizione". Secondo il pg di Roma "i nodi da aggredire subito sono le notificazioni, causa di continui e inutili rinvii e le modalità di trattazione dei procedimenti prescritti o prossimi alla prescrizione che vengono gestiti senza uniformità e che ingolfano udienze destinate ai processi `viventi´". Napoli - A Napoli si teme un’amnistia strisciante. Nonostante alcuni dati positivi "i tempi di definizione dei procedimenti civili e penali, ancorché diminuiti, continuano ad essere eccessivi e questo continua ad essere il principale problema della giustizia". Si è soffermato su questo aspetto il presidente della Corte di Appello di Napoli. "I ritardi nei processi penali, la scarcerazione anche di imputati per reati gravi per decorrenza dei termini di custodia cautelare e l’estinzione di un gran numero di reati per prescrizione, vanifica il lavoro dei magistrati e finisce per diventare una sorta di amnistia strisciante e perenne che opera peraltro in modo casuale", ha aggiunto De Carolis. Torino - "Occorre una costante vigilanza sui comportamenti dei magistrati, al fine di evitare che gravi condotte attuate da pochi compromettano il prestigio dell’intera magistratura", sono state le parole del presidente della Corte di Appello di Torino, Arturo Soprano., durante la cerimonia inaugurale dell’Anno giudiziario nel capoluogo piemontese. "È necessario che le responsabilità individuali siano accertate con celerità e punite con il massimo rigore" continua Soprano, secondo cui "sembra forse più opportuno che, al termine dell’esperienza politica o amministrativa, il magistrato chiamato a svolgere funzioni di governo, sia destinato ad altri ruolo dell’amministrazione dello Stato, senza fare più ritorno in magistratura". Palermo - A Palermo il presidente della Corte di Appello Gioacchino Natoli ha ammesso le criticità e le insufficienze della magistratura ma ha poi voluto dare, riferendosi al caso Saguto, "un particolare riconoscimento di efficienza e tempestività al circuito dell’autogoverno diffuso, costituito da quei colleghi del tribunale che si sono offerti per cambiare funzioni e che voglio pubblicamente ringraziare, e poi da dirigenti, Csm, consiglio giudiziario e procura generale della Cassazione. Circuito che ha saputo dare, in questo caso, risposte celeri sia per rassicurare nell’immediatezza la collettività sul ripristino delle condizioni di imparzialità e di trasparenza nell’azione di contrasto del tribunale di Palermo alla cancrena dell’economia mafiosa. Sia per evitare che le condotte, eventualmente censurabili di pochi - anche se ancora da accertare in via definitiva - possano travolgere anni di serietà professionale e di dimostrata imparzialità di numerosissimi magistrati nazionali, alcuni dei quali caduti proprio in ragione dell’adempimento del loro dovere in questo distretto: ben 11 su 24 in Italia". L’allarme sui reati prescritti: "a Roma aumentati del 30%" di Ilario Lombardo La Stampa, 31 gennaio 2016 I magistrati all’inaugurazione dell’anno giudiziario: sistema da cambiare. Il ministro Orlando a Palermo: dobbiamo fare meglio sui beni dei mafiosi. Prescrizione, confische dei beni e reato di clandestinità. Sono queste le sfide, secondo il Guardasigilli Andrea Orlando, ancora da affrontare. Il ministro sceglie Palermo per l’inaugurazione dell’anno giudiziario e guardandosi indietro, agli auspici formulati un anno fa, esprime soddisfazione per il clima di maggiore collaborazione costruito, seppure faticosamente, con la magistratura. Anche se non risparmia una stoccata, parlando della "timidezza" della politica "nello stabilire regole per chi le regole è chiamato ad applicarle". Ma gli scontri sulla responsabilità civile delle toghe e le ferie sono ormai un pensiero distante, la cui eco svanisce davanti a quanto c’è ancora da fare. Lo ricordano inchieste, scandali, arresti. E allora, dice Orlando, troppo poco è stato fatto sui beni confiscati ai mafiosi: "Troppi spazi di discrezionalità" sono stati lasciati "non regolando i compensi e le modalità di affidamento degli incarichi agli amministratori giudiziari". Così sono nati "fenomeni allarmanti" come il caso emerso proprio qui a Palermo, di Silvana Saguto, l’ex presidente delle misure di prevenzione del Tribunale indagata per corruzione. L’intesa con i magistrati sembra invece molto più ampia sulla prescrizione. Orlando accoglie la proposta del pg Roberto Scarpinato di raddoppiare i tempi per alcuni reati corruttivi: "In verità - dice - il testo approvato alla Camera va esattamente in questa direzione, con una congrua sospensione della prescrizione dopo la condanna in primo e secondo grado". In un Paese che resta in cima alla classifica della corruzione, la prescrizione è vissuta ovunque come un ostacolo o un salvacondotto scontato. A Napoli, dove i cancellieri si sono voltati di spalle per protesta durante l’intervento del neo-sottosegretario Gennaro Migliore, è diventata "una sorta di amnistia strisciante" lamenta il presidente Giuseppe De Carolis. A Roma, proprio in quella città divorata dai tentacoli di Mafia Capitale, in cui la corruzione, denuncia il pg Giuseppe Salvi, "sembra aver superato il livello di guardia", la prescrizione è aumentata del 30%. A Torino la richiesta del presidente della Corte di Appello Arturo Soprano è la stessa: "Riformare un sistema fortemente illogico". Anche sul reato di immigrazione clandestina, Orlando sembra in linea con il primo presidente di Cassazione Giovanni Canzio che giovedì lo aveva definito "inutile e dannoso per le indagini". L’ambiguità del governo Pd-Ncd sul tema e il dietrofront di Matteo Renzi sulla cancellazione del reato, hanno convinto i magistrati ad aumentare il pressing, strappando al ministro l’impegno al suo superamento "nel quadro di una ridefinizione delle regole" sull’immigrazione. La fotografia che viene scattata dai presidenti di Corte d’Appello e dai procuratori generali nelle loro relazioni inaugurali ha poi un punto focale: le banche in affanno e i fallimenti hanno provocato l’aumento delle cause dei risparmiatori, soprattutto a Milano. A Siena, città di Mps crescono i reati fallimentari, mentre nelle Marche il dissesto del più importante istituto di credito popolare sta lacerando il tessuto produttivo: e chi doveva controllare, da Bankitalia alla stampa ai politici, accusa il pg di Ancona Vincenzo Macrì, "non è stato all’altezza". Riforma del processo civile. Scompare il tribunale dei minori di Ilario Lombardo La Stampa, 31 gennaio 2016 Emendamento Pd per razionalizzare e accorpare competenze. Il Tribunale dei minori, per come lo conosciamo oggi, presto dovrebbe scomparire. Lo prevede un emendamento approvato in commissione Giustizia alla Camera, firmato dalla presidente Donatella Ferranti, Pd, e inserito nell’ambito della delega al governo per la riforma del processo civile. L’emendamento è stato riformulato e prevede un solo, lungo e dettagliato articolo che sopprime il Tribunale per i minorenni e lo accorpa come sezione specializzata ai Tribunali ordinari, sia distrettuali sia circondariali (provinciali). Lo stesso avverrà per le Procure, che saranno trasferite con personale e nuclei di polizia giudiziaria al seguito. "Evitiamo da subito inutili polemiche - spiega Ferranti - Non si tratta di un’abrogazione secca e basta, ma di un trasferimento che comporterà una valorizzazione attraverso una maggiore specializzazione". Attualmente alcune competenze sono proprie del Tribunale ordinario, altre di quello dei minori: "È una separazione che non ha più senso, frutto solo di un aggravio di burocratizzazione". In questa direzione, Ferranti e gli autori della riforma sono stati incoraggiati dalle parole del primo presidente di Cassazione Giovanni Canzio nel discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario. Specie nel passaggio in cui si sostiene la necessità di trasferire le competenze sulla giustizia tributaria a sezioni specializzate di Tribunali e Corti d’Appello: "È quello che noi vogliamo fare sulla Famiglia - continua Ferranti - Tra l’altro con una tutela maggiore, perché prevediamo una sezione specifica anche in Corte d’Appello, mentre oggi il Tribunale dei minori vale solo per il primo grado". La legge parla di "sezioni circondariali e distrettuali specializzate per la persona, la famiglia e i minori" e punta a un riordino delle competenze spesso frammentate tra sedi e autorità differenti. Penale (reati commessi da chi ha meno di 18 anni), adozioni, minori non accompagnati o richiedenti asilo, saranno materia delle sezioni dei Tribunali più grandi; stato di famiglia, divorzi, separazioni resteranno in carico a quelli provinciali dove i magistrati non eserciteranno funzioni in via esclusiva ma potrebbero occuparsi, all’occorrenza, anche di altro. Dietro questo disegno di razionalizzazione c’è anche la volontà di far lavorare meglio quei tribunali per i minorenni che spesso hanno meno cause da trattare, mentre altrove si scoppia di faldoni. A livello distrettuale, invece, ci sarà un giudice e un procuratore aggiunto che si occuperanno, qui sì esclusivamente, di diritto di famiglia e dei minori, e saranno tenuti ogni anno ad aggiornarsi attraverso corsi di formazione organizzati dalla Scuola superiore della Magistratura. Le opportunità di carriera - altro timore delle toghe - non mancheranno, perché a compensare la perdita di posti ai vertici la legge prevede comunque riconoscimenti direttivi. Per capire cosa cambierà concretamente per i cittadini, facciamo un esempio che si bacia alla perfezione con l’attualità. Ipotizziamo che le unioni civili passino in Parlamento. Dopo qualche giorno una coppia gay che vuole usufruire della stepchild adoption e regolarizzare la paternità o la maternità del figlio per entrambi i genitori si rivolge a un giudice che dovrà dare l’ok per l’adozione. La coppia non andrà più al Tribunale per i minorenni ma a quello ordinario, dal giudice della sezione Famiglia e minori. Mafia capitale, la minaccia in aula contro il cronista di Attilio Bolzoni La Repubblica, 31 gennaio 2016 L’avvocato difensore di Massimo Carminati, Bruno Naso, aggredisce in aula con frasi ingiuriose e pesanti insinuazioni il giornalista dell’Espresso Lirio Abbate, da anni sotto scorta per le minacce subite dopo aver rivelato gli affari di mafia e crimine a Roma. Puntare il dito contro un giornalista - sempre lo stesso - è come indicare un bersaglio, prendere la mira. Ma c’è un avvocato, qui a Roma, che forse non ha capito che Lirio Abbate non è solo. Una Mafia Capitale sotto processo si agita e si dimena nelle gabbie cercando disperatamente alibi e vie di fuga, i suoi difensori intanto sono a caccia di capri espiatori e di cronisti "colpevoli " per avere raccontato un potere criminale tollerato per troppo tempo. Chi parla (o chi scrive) sta diventando giorno dopo giorno e udienza dopo udienza obiettivo di insinuazioni e di attacchi spericolati, sta diventando un’ossessione che non annuncia niente di buono ma che al contrario comincia a preoccupare tutti noi giornalisti. Potremmo chiamarlo il "caso Abbate", ci sembra però più opportuno presentarlo come il "caso Naso". L’avvocato Bruno Naso, difensore del nero Massimo Carminati e di alcuni imputati del dibattimento contro i boss Fasciani, il penalista che all’apertura del processo su Mafia Capitale l’ha battezzato "un processetto". È da settimane, da mesi, che questo legale non perde occasione in pubblico dibattimento di aggredire - con frasi ingiuriose e pesanti allusioni - il giornalista dell’Espresso Lirio Abbate, il primo che nel dicembre del 2012 ha svelato i misteri e le contiguità della mafia della capitale italiana citando i "quattro re di Roma ", Massimo Carminati, Michele Senese, Carmine Fasciani, Giuseppe Casamonica. L’ultima imboscata dell’avvocato Naso contro Abbate è di ieri mattina, in un’aula di Piazzale Clodio di Roma, al processo d’appello contro i Fasciani, padrini e padroni di Ostia, malacarne di incerta nobiltà mafiosa ma con entrature nel crimine che conta e nelle amministrazioni locali. L’avvocato Naso nella sua arringa finale prima si augura che i giudici "emetteranno una sentenza politicamente scorretta", poi parla della "regia inequivoca" del procuratore Pignatone "che è venuto a Roma pensando che Roma fosse una grande Reggio Calabria ", poi ancora riserva le sue azioni offensive - davanti agli imputati, particolare non insignificante - a "De-lirio" Abbate, il giornalista che prima ancora che i mafiosi di Roma fossero catturati aveva descritto come si muovevano da Sacrofano al Campidoglio, dalle miserabili periferie fino alle stanze della spartizione degli appalti. L’avvocato Naso si chiede perché "non hanno dato a De-Lirio il premio Pulitzer", fa credere che non sia un giornalista ma che agisca praticamente in combutta con investigatori e magistrati: "Abbate, che è casualmente di Palermo, che casualmente ha lavorato a Palermo quando c’era Pignatone, che casualmente frequenta ambienti frequentati da Pignatone.. il cerchio si chiude". Su un altro palcoscenico, quello di Mafia Capitale a Rebibbia, il 4 gennaio scorso, lo stesso Naso aveva più volte citato "De-Lirio" (interrotto dal pm Cascini e tra le risatine di alcuni suoi colleghi) giustificando i suoi insulti al giornalista "perché se li meritava". E non era neanche quella, la prima volta che gli dedicava la sua attenzione. L’avvocato Naso ha naturalmente il diritto di difendere i suoi clienti - Carminati, gli amici dei Fasciani, gli ex Nar che ha sempre assistito - con ogni mezzo che la legge gli consente. Quello che non può fare - e non solo in un’aula di giustizia ma anche fuori - è additare un giornalista come "organizzatore" di un complotto, come protagonista di una trama ordita insieme a carabinieri e a pubblici ministeri, come un supporter operativo della procura della Repubblica. Abbate ha fatto semplicemente quello che sa fare: il giornalista. Trasformarlo in altro, come sta provando l’avvocato Naso fin da prima del dibattimento di Mafia Capitale - è estremamente pericoloso. Lirio Abbate vive sotto scorta dal 2007, negli ultimi anni il livello di protezione intorno a lui si è elevato, nel dicembre del 2013 è stato anche oggetto di una scorribanda (un’auto che ha speronato quella della polizia dove era a bordo) mai chiarita, intercettazioni ambientali e telefoniche ci svelano che Carminati ha più volte manifestato la volontà di fargliela pagare. L’avvocato Naso tenga debitamente in conto tutto questo. Ogni sua parola può venire facilmente fraintesa. Anche da chi sta dentro le gabbie. Veneto: giustizia azzoppata da mancanza di personale, raddoppiano i reati di terrorismo La Nuova Venezia, 31 gennaio 2016 L’allarme del presidente della Corte d’Appello: il 49% dei processi va in prescrizione e le carceri esplodono, in aumento suicidi e autolesionismo tra i detenuti. Un processo su due (il 49%) finisce in un nulla di fatto, perché la giustizia arriva tardi e il reato è ormai prescritto. La colpa? La cronica mancanza di personale, magistrati e amministrativi. Con una nota dolente che arriva dalle statistiche: sono quasi raddoppiati quelli legati al terrorismo (passati da 12 a 22) e i furti (+60% per quelli in casa). Sono i passaggi salienti dell’intervento del presidente della Corte d’Appello, Antonino Mazzeo Rinaldi, all’inaugurazione dell’anno giudiziario ha ricordato che i dati in suo possesso sono più o meno in linea con quelli dell’anno precedente, ma ha rilevato che dei 1.400 procedimenti penali che giungono in Corte e 1.200 non sono iscritti perché non c’è il personale per farlo. "Siamo in crisi di personale - ha detto Mazzeo Rinaldi davanti ai rappresentanti del Consiglio superiore della magistratura e del Ministero della Giustizia - e la Corte riesce a definire tanti procedimenti quanti ne entrano, di fatto a totale invariato. Rimane numericamente la grande mole del pregresso. Si ritiene il Veneto ancora regione prevalentemente agricola, ci si scorda che è la terza regione per numero di abitanti, la terza per Pil prodotto è che è quella con la massima occupazione e con la disoccupazione poco superiore al 6%. Aspettiamo - ha proseguito - che vengano nominati nuovi giudici onorari, ne sono stati nominati nove su 22, e con questi giudici onorari così si potrebbe, in sede civile, raggiungere il limite dei due anni per la definizione di un processo". Anche il procuratore generale Antonino Condorelli ha affermato che "la situazione del personale è drammatica". "Si è puntato per risparmiare sulle persone - ha sottolineato - investendo in informatica ma senza che vi fossero né l’adeguato funzionamento dei sistemi né quella del personale che andrebbe formato con continuità. Un pubblico ministero senza assistenza è disarmato". L’affondo lo ha portato il presidente degli avvocati Paolo Maria Chersevani che ha adombrato il rischio di avere una giustizia negata, che "non viene citata nel discorso di fine anno dal presidente della Repubblica", cui segue la "scandalosa vicenda del numero di votazioni in Parlamento per eleggere tre giudici della Corte Costituzionale. È altresì grave l’ammissione del ministro Orlando che "l’importante è il numero e non la qualità delle sentenze", quasi che la giustizia sia merce che si venda a peso". Le intercettazioni. Sul totale delle intercettazioni di utenze telefoniche, ambientali e altro, il distretto giudiziario Veneto ne ha effettuate 2.990 (escluse quelle per antimafia e terrorismo) con una maggiore incidenza percentuale di quelle di pertinenza delle Procure di Padova e Venezia che utilizzano, rispettivamente, il 37,66% e il 19,2% del totale. La Procura di Venezia, sede Direzione distrettuale antimafia (Dda), intercetta ulteriori 776 utenze telefoniche, oltre le 575 ordinarie. Un dato che è legato anche all’attività dell’anti terrorismo che ha portato ad un aumento di reati da 12 a 22. Dal confronto con i dati del precedente anno giudiziario emerge che le intercettazioni ordinarie sono diminuite (da 3.303 a 2.990). I dati. I reati contro il patrimonio, con particolare riferimento ai reati di usura, estorsione, furto in abitazione, sono in aumento in Veneto, mentre calano le rapine. Le iscrizioni per i reati di usura sono in netto aumento (+45,9%), essendo passati da 292 a 426 mentre sono diminuite le rapine (da 2.272 a 1.600) con un decremento del 27,7%. I reati di estorsione sono in leggero aumento essendo passati da 520 a 643; cresciuti anche quelli ad opera di ignoti, passati da 123 a 233. In lieve aumento (+1%) i furti in abitazione ad opera di noti (passati da 1.144 a 1.156) mentre sono in fortissima crescita (da 4.739 a 7.623), con un incremento del 60,9%, i furti in abitazione ad opera di ignoti. Le iscrizioni per i reati di riciclaggio sono in diminuzione rispetto allo scorso anno da 195 a 174 (-10,8%); le iscrizioni per i reati di auto-riciclaggio in questo anno giudiziario assommano a 5. Sicilia: apertura anno giudiziario "c’è la mafia, ma anche una corruzione diffusa" La Sicilia, 31 gennaio 2016 È allarme corruzione anche a nel Nisseno. A sostenerlo il presidente della Corte d’Appello di Caltanissetta Salvatore Cardinale nel suo intervento in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, parlando di "quotidianità della tangente". "La cronaca - ha detto Cardinale - ci offre quasi ogni giorno liste di imprenditori, politici, professionisti e pubblici amministratori colpiti dai provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria e addirittura sorpresi sul fatto mentre intascano mazzette". L’alto magistrato ha aggiunto: "Emerge un affinamento delle tecniche operative finalizzate a eludere le eventuali ricerche sulle condotte illecite, giacché, accanto al metodo tradizionale del passaggio di denaro, l’accordo corruttivo si realizza spesso sotto altre forme dissimulatrici quali consulenze fittizie, falsi incarichi a prestanome, compensi a società di comodo, assegnazione di posti di lavoro. Si registra l’incapacità della classe politica di selezionare una schiera di amministratori che si prefiggano unicamente il bene comune e inoltre si registra la forte aspettativa di impunità da parte dei protagonisti dei fatti di corruttela i quali sono convinti, dalla realtà a tutti nota che il rischio di rimanere coinvolti in un inchiesta giudiziaria è un’ipotesi remota, che gli attuali tre gradi di giudizio sono sufficienti a far maturare la prescrizione e che, in caso di malaugurata condanna, soccorrono i benefici penitenziari di cui i corruttori sono i maggiori fruitori se è vero che, tra la popolazione carceraria, quest’ultimi rappresentano una minima porzione". Sul fronte della lotta alla mafia Cardinale ha ribadito quanto espresso già nei giorni scorsi, nel corso di un incontro con i giornalisti, e cioè che le cosche mafiose, pur avendo subito durissimi colpi da parte dello Stato sono in grado di "autorigenerarsi" e che adesso la mafia guarda anche al settore agroalimentare e cerca di inserirsi nel tessuto economico del nord Italia. LEGNINI. "I magistrati della Procura di Caltanissetta, con un’indagine coraggiosa e difficile che è tuttora in corso, hanno consentito che emergessero fatti di inaudita gravità nella gestione delle misure di prevenzione antimafia a Palermo, permettendo che la prima Commissione e la sezione disciplinare del Csm potessero sollecitamente esercitare le funzioni di ripristino del prestigio e dell’autorevolezza di quell’ufficio". Lo ha detto il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, intervenendo questa mattina al Palazzo di giustizia di Caltanissetta in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. "Ho scelto di essere presente a Caltanissetta - ha aggiunto Legnini - per testimoniare la mia gratitudine è quella di tutto il Csm verso i magistrati che prestano servizio in questo distretto. Un distretto competente su un territorio difficile, nel quale molto si avvertono gli effetti più duri della recessione che ha colpito l’Italia e l’Europa, con gravi conseguenze sul tessuto sociale e sulle condizioni di vita e di lavoro, e in particolare sulla drammatica piaga della disoccupazione giovanile". E sul destino della Corte d’Appello Legnini ha detto: "Il Csm si esprimerà quando il ministro chiederà il previsto parere sul disegno di legge che ad oggi non è definito così come non sono definiti i criteri che dovranno ispirarlo. Ho già raccolto le preoccupazioni della magistratura e dell’avvocatura - ha aggiunto - ed ho espresso le mie preoccupazioni e le mie idee al ministro registrando la sua piena attenzione su questo tema. Chi mi conosce sa che di fronte agli interrogativi, tanto più se riguardanti problemi rilevanti, sono abituato a prendere posizione perché ritengo che ciò sia doveroso per chiunque sia investito di una funzione pubblica". LARI. "La minaccia del terrorismo internazionale non va sottovalutata, anche se in Italia. In Italia i reati di stampo terroristico non sono, per nostra fortuna, sfociati in eventi sanguinosi e drammatici come quelli verificatisi a Parigi. Tuttavia, è diffuso tra la gente un senso di insicurezza ampiamente giustificato dal fenomeno della immigrazione clandestina di massa e dalla gravità della situazione internazionale. Non va dimenticato però che tantissimi immigrati stazionano nel nostro territorio perché in fuga da guerre e persecuzioni e quindi sono alla ricerca di migliori condizioni di vita". Lo ha detto il procuratore generale di Caltanissetta Sergio Lari, durante il suo intervento in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario. Lari, ricordando che anche la Procura di Caltanissetta ha condotto un’indagine sfociata nell’arresto di un pakistano che tramite i social network inneggiava al terrorismo, ha auspicato un lavoro di raccordo tra le varie Procure per analizzare e prevenire i rischi. "È opportuno - ha spiegato il procuratore generale di Caltanissetta - che vengano riorganizzati e rafforzati, da parte delle Procure capoluogo di distretto, con innesti di magistrati delle Dda, i dipartimenti antiterrorismo. Inoltre, secondo l’auspicio del procuratore nazionale antimafia, vanno stipulati, nei singoli distretti, protocolli organizzativi tra procure ordinarie e procure distrettuali mirati a selezionare quei reati che potenzialmente riguardano la criminalità terroristico-eversiva". "Gli scandali che hanno visto coinvolti i magistrati - ha aggiunto Lari - pur trattandosi di episodi isolati, non possono essere sottovalutati e dimostrano come la massima attenzione debba essere posta alla deontologia ed alla questione morale nella magistratura, essendo inammissibili, soprattutto in un’epoca così degradata in altri ambiti istituzionali, cadute etiche da parte di chi deve svolgere l’alto compito del controllo di legalità". Lari è il magistrato, che ha coordinato l’inchiesta giudiziaria della Procura di Caltanissetta sul "caso Saguto" prima di passare alla Procura Generale: "Secondo una recente indagine di Demos & Pi, mentre nel 1994, all’epoca di mani pulite, 69 cittadini su 100 riponevano fiducia nella magistratura, oggi i consensi non arrivano a superare la soglia del 50%. Si tratta di un calo di fiducia davvero significativo che deve farci riflettere e che non si può escludere sia stato influenzato, oltre che dalla insofferenza dovuta alla scarsa efficienza del nostro sistema giudiziario, anche dalle vicende che hanno visto coinvolti i magistrati. Tuttavia - ha concluso Lari - a chi ha perso fiducia occorre ricordare che è stata la stessa magistratura, non ultima quella nissena, a fare luce su tali vicende, peraltro ancora oggetto di verifica giudiziaria, senza cedere a corporativismi di sorta ed in rigorosa attuazione del principio costituzionale di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge". Firenze: Tribunale Sorveglianza: "meno sovraffollamento ma resta problema Sollicciano" gonews.it, 31 gennaio 2016 "La grave situazione di sovraffollamento segnalata negli anni precedenti appare, allo stato, in un certo qual modo superata". Lo scrive la presidente del tribunale di Sorveglianza di Firenze, Antonietta Fiorillo, nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Al 30 giugno 2014, spiega Fiorillo, "negli istituti penitenziari della regione erano presenti 3.413 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 3.140 (+9%)" mentre il 30 giugno 2015 erano "3.070, a fronte di una capienza regolamentare di 3.234. Fra gli istituti in cui ancora il problema sovraffollamento persiste c’è quello fiorentino di Sollicciano, con 693 detenuti a fronte di una capienza di 494. Continua il magistrato: "La situazione resta assai complessa soprattutto con riferimento ai problemi strutturali degli istituti che non ricevono da tempo le risorse finanziarie necessarie a garantire quantomeno la manutenzione ordinaria. Emblematica la situazione della casa circondariale di Firenze Sollicciano, che presenta gravi problemi di carattere strutturale" che "hanno finito di incidere sulle condizioni igienico sanitarie". Ad alleggerire la situazione carceraria complessiva - ha spiegato il procuratore generale facente funzioni, Francesco D’Andrea - sono stati "gli interventi normativi adottati in via d’urgenza e le iniziative assunte dal ministero della giustizia per far sì che molti cittadini comunitari condannati in Italia espiassero la pena nei rispettivi Paesi d’origine". D’Andrea ha ricordato che, comunque, "l’espiazione della pena nei nostri istituti è ancora improntata ad un livello di sofferenza e afflizione che va la di là del grado di patimento che è naturalmente connesso all’idea stessa di punizione" come dimostrano i 1021 atti di autolesionismo, i 137 tentativi di suicidio e i 5 suicidi avvenuti nelle carceri toscane. Pordenone: a San Vito un carcere "modello" che darà lavoro a 200 persone Messaggero Veneto, 31 gennaio 2016 Un istituto penitenziario "modello", adatto al recupero dei detenuti come vuole la Costituzione, ma c’è anche l’aspetto delle ricadute economiche per il territorio che lo ospita, la cui portata è ancora da calcolare. Ma un’indicazione di massima, in questo senso, è arrivata all’unico incontro pubblico sinora organizzato sul tema, a dicembre, da Acli e Associazione per il rinnovamento della sinistra. In quell’occasione il direttore del carcere di Pordenone, Alberto Quagliotto, aveva osservato che su San Vito la struttura avrà un impatto rilevante. Almeno 150, come ha stimato, gli addetti nel carcere, progettato per 300 detenuti. Nuove famiglie, dunque, che cercheranno casa a San Vito e usufruiranno dei servizi sanitari, scolastici e commerciali. Inoltre, a occuparsi dei detenuti, come aveva indicato Quagliotto, dovrà essere l’Aas5: in ospedale sarà necessario un nuovo reparto. Opportunità anche grazie agli stessi detenuti: enti territoriali, associazioni e aziende potranno disporne quale forza lavoro, nell’ambito dei progetti di reinserimento sociale. E ci sarà il sopravvitto: chi sconta la pena potrà comprare prodotti in negozi ed esercizi all’esterno, con una spesa totale tutt’altro che irrilevante. Altro aspetto, a sorveglianza: si prospetta più sicurezza per San Vito, non il contrario come molti temono. E sul lavoro le ricadute saranno immediate, come aveva rilevato Mauro Agricola (Uil), che aveva stimato dai 30 ai 50 gli addetti per la costruzione del carcere in due anni. Napoli: in un anno e mezzo circa 400 i cittadini finiti in carcere per errore ilsudonline.it, 31 gennaio 2016 La denuncia porta la firma dei penalisti di Napoli. In occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, il presidente della Camera penale della città, Attilio Belloni, ha ricordato che solo nel distretto partenopeo lo Stato ha dovuto indennizzare 308 cittadini per ingiusta detenzione spendendo circa 4 milioni di euro. E, il trend, non si è affatto fermato: da gennaio a luglio dello scorso anno siamo già arrivati a quota 2,3 milioni a favore di 83 cittadini arrestati per errore. Senza contare la situazione di sovraffollamento degli istituti di pena dove, sottolinea Belloni, sono "presenti 555 detenuti in più rispetto alla capienza prevista". Alto punto dolente, la paralisi del Tribunale della Sorveglianza, dove "le istanze di liberazione anticipata e di concessione delle misure alternative vengono decise con un ritardo inaccettabile. La Camera penale ha accertato che tre procedimenti su dieci sono definiti con non luogo a procedere per avvenuta scarcerazione del detenuto". Grosseto: quando il gusto è libertà Slow Food entra in carcere di Giulia Sili Il Tirreno, 31 gennaio 2016 I detenuti a contatto con le eccellenze del territorio e i prodotti artigianali "Seguire i corsi significa approfondire argomenti o anche solo passare il tempo". Gusto è libertà, questo il titolo dell’iniziativa organizzata dalla condotta Slow Food di Monteregio, che da dieci anni si tiene nella casa circondariale di Massa Marittima. Nel pomeriggio di ieri il fiduciario Fausto Costagli ha raccontato la sua esperienza: "Tra un mese saranno dieci anni che con Slow Food entriamo nel carcere di Massa Marittima. Durante il mio percorso ho visto più di duemila persone prendere parte a questo appuntamento e centinaia di detenuti, perché questo laboratorio è aperto a tutti, sia ai detenuti che alle persone interessate all’argomento e insieme siamo sempre riusciti a portare situazioni nuove che ogni volta mi hanno, e ci hanno, arricchito. Perché, prima di tutto, cerchiamo di dare un valore etico e solidaristico a questa iniziativa". Prima la presentazione dei cibi e poi la degustazione; ma portare le eccellenze del territorio, parlare di prodotti di nicchia o artigianali e fare laboratori del gusto in carcere potrebbe sembrare un’iniziativa azzardata. Non è però così per Massa Marittima: "Qua abbiamo la possibilità di iscriverci al biennio dell’istituto professionale Enogastronomico - spiega Daniele, uno dei trentotto detenuti di Massa - seguire questi corsi per alcuni di noi significa approfondire un po’ gli argomenti, poi ci sono altri che lavorano e che si occupano di alimenti e anche loro possono avere interesse, altri invece seguono semplicemente perché è un modo come un altro per passare il tempo qua dentro. Ma posso dire che questo è un ottimo istituto, abbiamo una dimensione umana e un buon rapporto con gli operatori e poi ci viene data la possibilità di partecipare a molte attività, cosa che non sempre accade, ad esempio a breve inizierà il corso di addestramento cinofilo e poi quello di apicoltura". Quella di Massa Marittima è infatti una struttura modello, dove i detenuti possono partecipare a progetti e corsi di formazione pensati dal Ministero e dalla Regione, al fine del reinserimento sociale e lavorativo; inoltre, dalle nove del mattino alle otto di sera, le celle sono aperte, così da permettere a tutti di frequentare la palestra, la biblioteca o la sala ricreativa. Ma per i detenuti esistono molte altre attività: "C’è chi lavora dentro la struttura e fa lavori domestici - spiega l’educatrice Marilena Rinaldi - o chi ha la possibilità di uscire e fare un tirocini o del volontariato, chi invece va alla scuole serale o segue i corsi direttamente dentro la struttura. Le attività sono davvero tante, ad esempio c’è il corso di cucito, un’idea che all’inizio sembrava un po’ strana, ma che poi si è dimostrata interessante e ha visto sei detenuti alle prese con ago e filo, oppure il corso di pittura e i murales". Ma questa settimana c’è anche un’altra novità, infatti, grazie al progetto di alternanza scuola lavoro i ragazzi del liceo delle Scienze Umane di Follonica da qualche giorno hanno iniziato un tirocinio all’interno della casa circondariale: "Per adesso abbiamo iniziato a fare conoscenza - spiega Maciej, studente del quinto anno - seguiremo le attività in carcere e cercheremo di entrare in contatto nel modo migliore con queste persone. Credo che per noi sarà un’esperienza formativa sia dal punto di vista professionale che da quello umano". Cassino (Rm): concluso il progetto "Parole che aprono i tuoi occhi al mondo" di Adriana Letta diocesisora.it, 31 gennaio 2016 Con un evento-spettacolo si è concluso, sabato 30 gennaio, il progetto "Parole che aprono i tuoi occhi al mondo" portato avanti dall’Associazione culturale "Tutto un altro genere" con i detenuti nella Casa Circondariale di Cassino attraverso un laboratorio di scrittura creativa. Si è trattato di un percorso lungo nove mesi con un obiettivo ben preciso: "gettare semi per prevenire la violenza contro le donne, quell’odioso fenomeno che tutti a parole contrastano ma che continua ad inquinare la nostra quotidianità e le nostre relazioni". Così ha spiegato, introducendo l’evento, Manuela Perrone, giornalista del Sole24 Ore e presidente dell’Associazione. Nel salone era stata allestita una scenografia, semplice ma efficace e fortemente simbolica: un fondale nero, al collo dei lettori-attori una sciarpa rossa, a terra segnato un percorso, che divideva la zona del palcoscenico da quella del pubblico, e che partiva da un paio di scarpette rosse da bambina e finiva ad un paio di stivaletti da donna macchiati di rosso e con la scritta, sempre rossa: Stop. Lungo il percorso erano disposte paia di scarpe abbinate una maschile nera con una femminile rossa Il tutto a significare le tante, troppe violenze sulle donne, sin da bambine, il bisogno di fermare tanta violenza e l’invito a uomini e donne a camminare finalmente insieme. Questo perché l’Associazione è partita da un’idea-base: "per combattere la violenza contro le donne è necessario e urgente coinvolgere gli uomini", idea sposata anche dall’ONU nella recente campagna #HeForShe, lui per lei. Da ciò la scelta di "seminare concetti diversi" in un carcere maschile, dove il rapporto con il femminile è negato o limitato, per lanciare un forte messaggio: è possibile per gli uomini camminare affiancati alle donne con rispetto ed empatia. Il laboratorio ha voluto incoraggiare a riflettere e a ripensare le relazioni, l’amore, il dialogo, le alternative alla violenza. Per arrivare a questo, per usare "parole che aprono i tuoi occhi al mondo" - mutuando una celebre frase del giornalista polacco Ryszard Kapuscinski che afferma che tali parole "sono spesso più facili da ricordare", l’Associazione ha invitato vari esperti, giornalisti, scrittori, professori, sceneggiatori, per avvicinare alla letteratura, invitare alla riflessione, a scrivere per non dimenticare, ad uscire da stereotipi e pregiudizi, ad imparare che non esiste libertà senza responsabilità. Poi è stata la volta della testimonianza delle operatrici dell’Associazione Risorse Donna Elisa Viscogliosi e Nadia Gabriele, presenti in sala, che hanno fatto capire quante umiliazioni, vessazioni e violenze soffrono le donne maltrattate e quanti bambini vi assistono con conseguenze irreparabili. A novembre fu organizzato un convegno e un reading in carcere, in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne. Ed ora l’evento finale, che ha visto i detenuti coinvolti nel progetto, leggere e interpretare quanto essi stessi hanno scritto, magari mettendosi nei panni delle donne, in un continuo esercizio di scambio di ruoli, e cercando di capire ed esprimere quello che esse provano accanto ad un uomo violento che magari amano e temono e di cui spesso subiscono le botte e le umiliazioni per non arrecare un male maggiore ai figli. Nella lettura sono stati aiutati da alcuni membri dell’Associazione, attori professionisti, Paola Iacobone (Direttore artistico), Vincenzo Schirru, e David Duszynski, bravissimi. In apertura è stato letto lo "storico" discorso di Emma Watson davanti all’Assemblea Generale dell’ONU, in occasione del lancio della campagna #HeForShe, che cerca di abbattere le differenze di genere e le violenze contro le donne, poi "Il narciso" di Giorgio Gaber. Ma gli altri tredici brani, che andavano dalla poesia alla prosa, dalla narrazione al sogno, tutti erano stati scritti dai detenuti e tutti con accompagnamento musicale di una chitarra suonata da un recluso. Ed è stato stupefacente ed emozionante, per gli altri detenuti intervenuti allo spettacolo, per il personale della Casa, a cominciare dal Direttore dott.ssa Irma Civitareale, e per gli amici, tra cui la Caritas locale, che da decenni opera in questo carcere a favore dei detenuti e delle loro famiglie, ascoltare quanta profondità, quante parole sentite, indovinate ed efficaci sono state usate, quanta comprensione è stata raggiunta. Veramente le parole hanno aperto gli occhi ed il cuore al mondo. Porto Azzurro (Li): con l’Associazione "Dialogo" in vendita l’artigianato dei detenuti quinewselba.it, 31 gennaio 2016 Nella sede dell’Associazione "Dialogo" è possibili vedere e comprare l’oggettistica prodotta dai detenuti del carcere di Porto Azzurro. Sculture in legno, oggetti affrescati e decorati, perfino un galeone completo in tutti i dettagli. Sono questi alcuni dei prodotti realizzati dai detenuti del carcere di Porto Azzurro che da qualche giorno sono tenuti in esposizione nelle stanze della sede dell’associazione Dialogo di Portoferraio. È possibile quindi prendere visione e acquistare i lavori di artigianato rivolgendosi direttamente all’associazione. La creazione di questi piccoli manufatti rientra nel percorso di riabilitazione e reinserimento sociale che l’associazione sta portando avanti in collaborazione con l’amministrazione carceraria e alcune amministrazioni elbane. Oristano: detenuto nel carcere di Nuchis dona un veliero a papa Francesco La Nuova Sardegna, 31 gennaio 2016 Il modello, realizzato da un giovane ivoriano, è stato consegnato al Pontefice durante la sua prima udienza giubilare. A Bergoglio è stata consegnata anche una lettera firmata da tutti i detenuti del penitenziario gallurese. Il modellino di una nave partito dalla Sardegna è stato consegnato oggi 30 gennaio a papa Francesco durante la prima udienza giubilare. Con le vele spiegate per simboleggiare la libertà. Il modellino è stato costruito da un giovane ivoriano, Jack Benson, detenuto nel carcere di Nuchis. Il giovane ha voluto comunicare al Papa la sua idea di libertà e speranza, riferisce l’Osservatore Romano. A consegnare il dono al Pontefice è stato Ciro Argentino, un altro detenuto che è potuto andare in piazza San Pietro usufruendo di un permesso premio. In una toccante lettera a Francesco, Jack ha scritto di aver voluto costruire proprio un’imbarcazione a vele spiegate "per esprimere la speranza che il soffio dello spirito lo aiuti a ritrovare la libertà vera". A Bergoglio è stata consegnata anche una lettera di tutti i detenuti di Nuchis. "Siamo peccatori - scrivono - perché a un certo punto del nostro cammino ci siamo fatti inghiottire dal buio. Ma abbiamo sperimentato che proprio quando si tocca il fondo, l’amore di Gesù ci tende la mano e ci porta il perdono con la sua misericordia". A dar vita a questa iniziativa di integrazione e solidarietà è il coro gospel dell’associazione Tel Thee di Telti, che nel carcere sardo ha promosso il progetto Eleos. Con la certezza, dice la presidente Maria Dolores Angius, che "la misericordia crea anche sicurezza collettiva, dentro e fuori dal carcere". Il gruppo ha fatto dono al Papa anche di un’immagine della Madonna di Bonaria, realizzata con l’argilla da Gian Mario Inzaina. Con sorriso e con rabbia Angela e Matteo fan buchi nella sabbia di Eugenio Scalfari La Repubblica, 31 gennaio 2016 Volevo scrivere oggi sull’Europa e della crisi che la sta devastando nonostante l’indifferenza che ha pervaso le sue istituzioni e la cosiddetta classe dirigente che le amministra; una crisi che è apparsa ancor più chiaramente nell’incontro di venerdì scorso tra Angela Merkel e Matteo Renzi a Berlino. Lo farò tra poco, ma prima debbo premettere alcune considerazioni sull’incontro in Vaticano tra papa Francesco e Hassan Rouhani, presidente dell’Iran, ed anche sulla preannunciata riunione che avverrà il prossimo 31 ottobre in Svezia tra Francesco e i rappresentanti delle Chiese protestanti di tutto il mondo per celebrare la riforma luterana di mezzo millennio fa in quello stesso giorno, quando Martin Lutero attaccò sulla porta della cattedrale di Wittenberg le sue tesi che spaccarono in due la religione cristiana. Cinquecento anni, durante i quali si scatenarono guerre religiose, stragi, roghi, torture inflitte da ambo le parti e con l’appoggio dei diversi sovrani che utilizzavano a proprio vantaggio politico quelle tragiche guerre religiose. Uno soltanto tentò la via della riconciliazione nel 1541 e fu Carlo V d’Asburgo, imperatore di Germania e di Spagna, ma il tentativo fallì e le guerre religiose continuarono a insanguinare l’Europa. Il culmine fu raggiunto nella notte di San Bartolomeo nel 1572 quando gli ugonotti (i protestanti francesi) guidati dal re di Navarra, dal principe di Condé e dall’ammiraglio de Coligny, furono massacrati dai soldati di Caterina de Medici e da suo figlio Carlo IX di Valois. Furono ventitremila le vittime di quella mattanza a Parigi e poi continuarono per secoli. Il 31 ottobre prossimo quella spaccatura in due della cattolicità sarà celebrata e superata. Francesco ha già chiesto perdono ai valdesi, che precedettero di molto la scissione luterana e chiederà perdono anche a Lutero e ai suoi discendenti e il perdono sarà reciproco perché i protestanti hanno anche loro responsabilità di tanto sangue sparso. L’obiettivo di entrambe le parti è di superare quelle divisioni affratellandosi di nuovo nel nome di Cristo. I riti e la liturgia resteranno distinti, ma l’affratellamento sarà aperto nell’ambito di una Chiesa pastorale e missionaria che con una svolta di queste proporzioni, alla quale sono da aggiungere gran parte degli anglicani e in un futuro prossimo anche gli ortodossi delle Chiese d’Oriente, sarà la religione numericamente più diffusa nelle due Americhe, in Europa, in Russia, in Africa, in Asia e in Australia. Non dimentichiamo però la visita alla sinagoga di Roma di papa Francesco e l’incontro con Rouhani al Palazzo Apostolico il 26 scorso. Il comunicato emesso con l’accordo delle due parti dice così: "Durante il colloquio si sono evidenziati i valori spirituali comuni e si è poi fatto riferimento ai buoni rapporti tra la Santa Sede e la Repubblica Islamica dell’Iran. Si è altresì rivelato l’importante ruolo che l’Iran svolge, insieme ad altri Paesi della Regione per promuovere adeguate soluzioni politiche ai problemi che affliggono il Medio Oriente contrastando la diffusione del terrorismo. Al riguardo è stata ricordata l’importanza del dialogo interreligioso e la responsabilità delle comunità religiose nel promuovere la tolleranza e la pace". Due iniziative, con i protestanti luterani e con l’Iran islamico, dalle quali esce rafforzata la libertà religiosa, la convergenza umanitaria nonché le ripercussioni politiche di queste iniziative prese in gran parte da papa Francesco. Altre volte l’ho definito profetico e rivoluzionario. Alla base del suo pensiero e della sua azione c’è sempre la fede in un unico Dio che nessuno aveva proclamato con il vigore di Francesco e che rappresenta la scomunica dei fondamentalismi di ogni genere e dei terrorismi e delle guerre che quei fondamentalismi alimentano. Ed ora l’Europa e l’incontro a Berlino tra Angela Merkel e Matteo Renzi che è in ordine temporale l’episodio più recente della politica europea. Ma c’è un altro episodio con il quale desidero aprire questo capitolo domenicale: il viaggio di Renzi all’isola di Ventotene, nei pressi di Ischia, per commemorare il "Manifesto per l’Europa" redatto in quell’isola dove erano confinati gli antifascisti ai tempi del regime mussoliniano, da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Sono stato amico di entrambi: Spinelli lo conobbi a casa della figlia Barbara che lavorò per molti anni con Repubblica ; Ernesto lo conobbi al Mondo di Mario Pannunzio nel 1949 e lavorammo insieme giornalisticamente e politicamente da quell’anno fino al 1963. Lo dico perché conosco, al di là del Manifesto che peraltro è chiarissimo, il loro pensiero e l’azione che sostennero per l’unità democratica dell’Europa. Spinelli e Rossi puntavano agli Stati Uniti d’Europa sul modello istituzionale degli Stati Uniti d’America. Questo volevano e per questo lavorarono finché vissero, Altiero soprattutto. Mi rallegro molto con Renzi per questa visita a Ventotene in ricordo ed omaggio all’europeismo di Spinelli (di Rossi non ha mai parlato come se quella firma fosse inesistente) ma forse Renzi non si è mai battuto per gli Stati Uniti d’Europa, cioè per un’Europa federata e non soltanto confederata. In questi ultimi tempi Renzi si è anzi distinto per il suo contrasto con la Commissione europea, battendo i pugni sul tavolo, tenendo in testa il cappello e riaffermando l’autonomia dei governi nazionali i quali, sia pure nel quadro delle regole europee, debbono avere piena libertà di applicarle nei tempi e nei modi decisi autonomamente dai rispettivi governi. È vero che esistono temi che l’Europa ha finora lasciato nelle mani dei governi nazionali, ma è vero anche che le regole sono emesse dalla Commissione dopo l’approvazione del Consiglio dei ministri dei 28 Stati membri e dal Parlamento di Bruxelles. Rafforzare l’autonomia degli Stati nazionali, i quali detengono la sovranità collegiale della confederazione col voto spesso unanime e talvolta a maggioranza qualificata significa non già rafforzare l’Unione europea ma indebolirla ulteriormente. Renzi si sta dunque muovendo su una strada di totale ma consapevole incoerenza, che è già stata negativamente giudicata anche da Giorgio Napolitano oltreché dalla presidente della Camera, Laura Boldrini, ma che non pare sia stata adeguatamente sostenuta dall’opposizione interna del Pd che si definisce più a sinistra di Renzi. Questa scarsa sensibilità della dissidenza ha purtroppo un solo significato: la sinistra non c’è più o almeno non si sa che cosa significhi oggi essere di sinistra. L’ha detto più volte Alfredo Reichlin, uno dei dirigenti dell’antico Partito comunista, tuttora presente nella battaglia politica. A Renzi oggi conviene dirsi alla guida d’un partito di sinistra. Questo lo distingue dalla Merkel che capeggia una democrazia moderata, ancorché alleata con il partito socialista tedesco che peraltro conta poco o niente nel determinare la politica della Cancelliera. Dunque un Renzi di sinistra che si distingue così dalla Merkel moderata e tende a fare tandem con lei proponendosi come il capo di governo che fronteggia o si accorda volta per volta e problema per problema con la Germania. Insomma al posto del tandem Germania-Francia, un nuovo tandem Germania-Italia. Mica male come prospettiva renziana, politicamente parlando. Resta il contrasto economico tra crescita (Renzi) e austerità (Merkel). Ma questo è un contrasto fittizio perché non dipende da nessuno dei due. Dipende invece da quanto sta avvenendo nel mondo intero: in Usa, in Cina, in Giappone, in Russia, in Brasile, nel Medio Oriente. Dipende dall’andamento di alcune materie prime e da alcune attività economiche, a cominciare dall’industria manifatturiera e dalle fonti di energia, petrolio e gas. Dipende dall’andamento climatico e dal fattore demografico. Dipende dalle diseguaglianze sociali e territoriali. Questo è lo scacchiere. Ma non pare che Renzi ne sia consapevole. O meglio: lo sa ma è più sensibile alla raccolta del consenso, tema a breve raggio temporale. Il consenso serve subito e bisogna farlo durare almeno un anno per poi recuperarlo con nuove ricette elettoralistiche. Il futuro è breve per mantenere il potere. Ce lo ha insegnato Giulio Andreotti, che fu il meglio del peggio nella storia del nostro Paese. Dell’incontro Merkel-Renzi abbiamo già detto. Riassumendolo in queste ultime righe dirò che si sono scambiati alcuni biscottini ma nulla di più, né un bel piatto di fettuccine al ragù né una bistecca di manzo. L’appetito è rimasto intatto, non tanto per la Cancelliera che mangia poco, quanto per il nostro presidente del Consiglio che è molto più giovane ed ha una fame arretrata. Quella c’è ancora e non si sa se potrà saziarla, almeno in Europa. In Italia sì e a volte con soddisfazione generale. Anche nostra, l’ho già scritto domenica scorsa e lo ripeto oggi per quanto riguarda la legge sulle unioni civili. La legge Cirinnà avrà qualche emendamento sull’utero in affitto e sulle adozioni volute da coppie omosessuali con figli non propri. Se altri emendamenti ci fossero ci sarebbe da preoccuparsi e quindi speriamo di no. Chiuderò con alcuni versi, tratti da una vecchia poesia di Ernesto Ragazzoni scritta nel giugno 1914. Si intitola Ballata e descrive molto bene quello che spesso accade a chi non ama il potere e si contenta di quel poco che può fare per ingannare il tempo che passa e vola via. A volte poche rime chiariscono molte cose. "Sento intorno sussurrarmi che ci sono altri mestieri… bravi, a voi! Scolpite marmi, combattete il beri-beri, allevate ostriche a Chioggia, filugelli in Cadenabbia, fabbricate parapioggia. Io fo buchi nella sabbia. O cogliete la cicoria od allori, o voi, Dio v’abbia tutti quanti in pace e gloria! Io fo buchi nella sabbia". Renzi in visita a Ventotene: "l’Italia è contro l’addio a Schengen" di Leonardo Ventura Il Tempo, 31 gennaio 2016 Renzi in visita a Ventotene: chi alza le barriere in Europa la vuole distruggere- Il penitenziario "Orwelliano" nato per imbavagliare la politica. Una piccola isola, un carcere arrampicato su uno scoglio in mezzo al mare. Ci sono passati Sandro Pertini, Umberto Terracini, Giorgio Amendola, Giuseppe Di Vittorio, Pietro Secchia, volti e nomi che hanno fatto la storia dell’antifascismo e della Repubblica. E c’è passato anche Altiero Spinelli che da quel confino immaginò l’ossimoro di un’Europa unita nel bel mezzo di una guerra che la stava dilaniando. "Gli italiani non sono sufficientemente orgogliosi di quello che avvenuto qui, dove alcuni visionari ebbero il coraggio e la forza di immaginare un disegno federalista per l’Europa", dice Matteo Renzi. Ieri il premier ha visitato l’isola con il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, e il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. E per rendere gli italiani un po’ più "orgogliosi" e consapevoli di quanto accaduto a Ventotene, il governo ha stanziato 80 milioni di euro per il recupero del carcere borbonico nella vicina isoletta di Santo Stefano dove ieri Renzi ha fatto un sopralluogo. Un investimento che è anche un modo per dire che l’Italia crede nel progetto europeista. "Da questa piccola isola è nato il seme di ciò che oggi è la più grande vittoria politica del xx secolo". Certo, serve un’Ue diversa, spiega Renzi, ma il progetto non viene messo in discussione. "Da qui vogliamo dire che chi vuole distruggere Schengen, vuole distruggere l’Europa e l’Italia non permetterà che questo accada", ha osservato il presidente del Consiglio accolto da un gruppo di giovani europeisti a Ventotene sulle note dell’Inno alla Gioia. Strette di mano, rassicurazioni ma anche qualche battuta e uno scambio con un ragazzino tifoso del Napoli: "Quest’anno lo scudetto lo vincete voi", è la previsione del premier. "L’Europa -ha proseguito Renzi - rischia di crollare quando diventa un insieme di egoismi. Per questo c’è bisogno dell’Italia. Chi conosce la storia del nostro popolo sa quale contributo abbiamo dato all’Europa e per questo quando l’Italia cerca di affermare un sistema di sviluppo diverso, non sta facendo le bizze o rivendicando un doveroso interesse nazionale, ma vuole riportare l’Europa a quello che deve essere", ha sottolineato il premier all’indomani del delicato incontro a Berlino con la cancelliera Angela Merkel. "A tutti quelli che pensano che l’Italia richiami l’attenzione sull’Ue perché chiede qualcosa, rispondiamo che noi chiediamo solo che l’Europa non venga trascinata in polemiche da cortile che fanno crescere populismo e demagogie. L’Italia chiede che ci sia la forza di tornare al sogno dell’Ue e noi lo facciamo investendo denaro per le nuove generazioni", ha continuato il premier. Il progetto sul carcere di Santo Stefano appunto. L’intenzione è quella di impedire innanzitutto che la struttura, di fine Settecento, cada a pezzi e quindi farne un museo a cielo aperto con i reperti della detenzione di politici e intellettuali che vi furono rinchiusi. E non solo. "Abbiamo deciso di onorare con un progetto di lungo termine -ha spiegato Renzi- la memoria di Ventotene e Santo Stefano non solo con un recupero architettonico ma con un progetto culturale. Lo immaginiamo come una foresteria per giovani europei e del Mediterraneo dove, in collaborazioni con e più prestigiose università europee, formare le élite delle classi dirigenti che guideranno l’Europa nei prossimi anni". Nelle celle di Santo Stefano, il penitenziario "orwelliano" nato per imbavagliare la politica di Dimitri Buffa Il Tempo, 31 gennaio 2016 Il carcere dell’isola di santo Stefano, quello che il premier Matteo Renzi, ieri in visita a Ventotene per celebrare il sogno europeo di Altiero Spinelli e di Ernesto Rossi, vorrebbe far restaurare, in realtà è una struttura chiusa dal 1965 e versa in stato di abbandono. In passato però è sempre stato considerato il penitenziario politico per antonomasia. E ciò sin dai tempi del breve regno napoleonico in Italia. Tale fama si accrebbe poi con i moti rivoluzionari del 1848 e in seguito fu considerata politica pure la rivolta dei camorristi della "bella società riformata" del 1860 che si impadronirono dell’isola e proclamarono una sorta di repubblica autonoma "di Santo Stefano", che durò alcuni mesi approfittando del fatto che l’esercito borbonico era impegnato a fare guerra al Piemonte. Dall’agosto 1900 vi fu imprigionato l’anarchico Gaetano Bresci, il regicida di Umberto primo. Bresci poi fu impiccato in cella dai suoi secondini nel 1901. Tra gli ospiti illustri non propriamente politici di Santo Stefano vanno ricordato il brigante Carmine Crocco e i banditi Sante Pollastri, Ezio Barbieri e Benito Lucidi, l’unico a riuscire ad evadere, nel 1960. Più recentemente la struttura, del tutto fatiscente, ha ospitato tutti quei pochi anti fascisti che c’erano in Italia negli anni 30, i più noti sono appunto Spinelli e Rossi, in seguito raggiunti da Giorgio Amendola, Umberto Terracini e Sandro Pertini, che poi diverrà presidente della repubblica italiana tra il 1978 e il 1985. Dopo la II Guerra Mondiale e fino alla sua chiusura, il penitenziario di Santo Stefano fu utilizzato come ergastolo e coloro che ricevevano la grazia spesso si trasferivano nella limitrofa Ventotene dove potevano continuare a fare quei lavori artigianali appresi durante la carcerazione. L’idea di utilizzare l’isola di Santo Stefano come bagno di pena venne quindi ai Borboni nel 1795. Nel periodo che seguì il fallimento della repubblica napoletana del 1799, il carcere iniziò ad accogliere un numero sempre crescente di detenuti politici. Tra questi, Raffaele Settembrini con suo figlio Luigi, e Silvio Spaventa. Nelle "Ricordanze della mia vita" Luigi Settembrini descrive così la terribile vita nel carcere: "Ogni cella ha lo spazio di circa 16 palmi quadrati e vi stanno nove, dieci uomini e più in ciascuna. Sono scure e affumicate e di aspetto miserrimo e rozzo". Per comprendere le condizioni di vita del penitenziario, basti sapere che in nove anni, verso la metà dell’Ottocento, morirono a Santo Stefano 1.250 detenuti. Una media simile a quella delle carceri italiane di oggi, va detto. Nel 1892 le celle vennero divise a metà e il numero dei detenuti scese a uno per cella. Poi fu aggiunto alla struttura un anello esterno di altre 75 celle: la capienza del carcere divenne di circa 300 detenuti invece degli 800-900 dell’epoca borbonica. Quando fu pensato da Fedinando I di Borbone era stato uno dei primissimi edifici carcerari al mondo ad essere costruito secondo i principi del "Panopticon", enunciati dal filosofo inglese Jeremy Bentham. Il progetto di costruzione del carcere, e la sua realizzazione, sono dovuti al maggiore del genio Antonio Winspeare, incaricato proprio da Ferdinando I delle Due Sicilie. Winspeare si avvalse della collaborazione dell’architetto Francesco Carpi, il quale si rifece, per l’esecuzione del lavoro, ai principi illuministici del filosofo inglese Jeremy Bentham. Il quale, con buona pace del proprio illuminismo, in pratica anticipava i criteri di controllo del grande fratello orwelliano. Infatti secondo Bentham "nei tentativi di recupero dei detenuti....era possibile ottenere il dominio di una mente sopra un’altra mente... tramite una adeguata struttura architettonica". Una sorta di galera feng shui. Il carcere ideale di Bentham, denominato Panopticon, prevedeva che tutti i detenuti, rinchiusi nelle proprie celle disposte a semicerchio, potessero essere individualmente sorvegliati da un unico guardiano posto in un corpo centrale, senza peraltro sapere se fossero in quel momento osservati o no. Cannabis: due italiani su tre favorevoli all’uso terapeutico di Roberta Maresci Il Tempo, 31 gennaio 2016 Risponde ai bisogni di chi soffre di Sla, Alzheimer e Parkinson. Quasi 2 italiani su 3 (64%) sono favorevoli alla coltivazione della cannabis ad uso terapeutico in Italia, per motivi di salute ma anche economici e occupazionali. È quanto emerge dall’ultima Coldiretti/Ixè elaborata nell’ambito dello studio Coldiretti sulle potenzialità economiche e occupazionali della coltivazione, trasformazione e distribuzione della cannabis ad uso terapeutico. "Una comprensione che - sottolinea la Coldiretti - risponde ai bisogni di pazienti con patologie gravi come Sla, la sindrome di Tourette, l’Alzheimer, il Parkinson e diversi tipi di sclerosi come la sclerosi multipla, contro le quali farmaci con il principio attivo della cannabis si sono dimostrati utili. In Italia secondo la Coldiretti sono da subito disponibili almeno mille ettari di serre in disuso per la coltivazione in ambiente controllato per soddisfare i bisogni dei pazienti in Italia e all’estero. Una opportunità che potrebbe generare un giro di affari di 1,4 miliardi e garantire almeno 10mila posti di lavoro e che - sostiene la Coldiretti - va attentamente valutata per uscire dalla dipendenza dall’estero e avviare un progetto sperimentale di filiera italiana al 100 per cento che unisce l’agricoltura all’industria farmaceutica. Una prima sperimentazione che - conclude la Coldiretti - potrebbe aprire potenzialità enormi se si dovesse decidere di estendere la produzione nei terreni adatti: negli anni 40 con ben 100mila gli ettari coltivati l’Italia era il secondo produttore mondiale della cannabis sativa, che dal punto di vista botanico è simile alla varietà indica utilizzata a fini terapeutici". Svezia: uomini mascherati a caccia di nordafricani di Alessandra Coppola Corriere della Sera, 31 gennaio 2016 Impennata di arrivi, strutture sovraffollate, incidenti all’ordine del giorno, come l’accoltellamento di un’impiegata di un centro per minori: tutti elementi che stanno spingendo l’accogliente Svezia a respingere gli immigrati. Una missione punitiva di "uomini neri" contro bambini stranieri nel centro di Stoccolma. Hooligan, dice la polizia, estremisti di destra vestiti di scuro coi cappucci delle felpe tirati sugli occhi e le sciarpe a coprire la bocca, dichiaratamente a caccia "di bambini nordafricani che vagano in strada". Radunati nel buio di venerdì sera in una sorta di flash mob del terrore con lo slogan: "Adesso basta!". Qualcuno è stato fermato, qualcun altro segnalato. Ma è evidente che la Svezia sta vivendo una stagione di paure. Non nuove, ma mai così esasperate. L’esperienza di accoglienza si è consolidata negli anni. Ma la più grande migrazione euro-mediterranea che la Storia recente ricordi contiene due elementi di destabilizzazione: i numeri e i tempi. La Svezia ha ricevuto, solo nel 2015, 163.000 richieste d’asilo, con un’impennata da giugno, a un ritmo di 4-5.000 arrivi al mese. Le strutture sono sovraffollate, e gli incidenti all’ordine del giorno. Il grave episodio di lunedì, quando un’impiegata di un centro per minori stranieri vicino a Göteborg è stata accoltellata a morte da un ragazzino somalo, era drammaticamente nell’aria. Ugualmente, gli episodi di xenofobia si sono moltiplicati, allungandosi fino in Grecia. Sulle spiagge di Lesbo da mesi si raccolgono volantini firmati dalla destra estrema degli Svedesi democratici: "Non ci sono soldi, né lavoro, né case. Non venite, possiamo offrirvi solo tende, e rimandarvi indietro". Con parole diverse, l’ha annunciato anche il governo socialdemocratico: in 80 mila dovranno essere rimpatriati. Perché lungo questo canale che si è spalancato all’improvviso sono passati rifugiati, ma non solo. A molti sarà negata la protezione internazionale. E che ne sarà dei 35 mila minori non accompagnati che si trovano nel Paese e non possono essere espulsi? "La gente teme nuove violenze - ha ammesso il premier, Stefan Löfven. Molti di quei giovanissimi hanno avuto esperienze traumatiche e per loro non ci sono risposte facili". Svezia: gli skinhead in piazza caccia ai ragazzini "basta stranieri" di Andrea Tarquini La Repubblica, 31 gennaio 2016 Pestaggi e slogan "Le nostre donne non si toccano". Quattro gli arrestati. Il minuto di silenzio per Alexandra Nezher, la 22enne svedese pugnalata a morte da un 15enne somalo, scatta alle 13,30 in punto a Norrmalmstorg splendida piazza del centro di Stoccolma. Tacciono tutti sull’attenti, molti giovani testa rasata e giubbotti neri con le due lettere HH, Heil Hitler, operai anziani, qualche famiglia giovane e signore in cappotto di cammello. Erano un migliaio, non tanti, ma qui fa impressione. Poche ore prima, nella notte, un centinaio di loro, squadre di giovani incappucciati, si sono scatenati nel pogrom a Sergelstorget, la spianata col Palazzo della Cultura voluto da Olof Palme sopra il grande incrocio della metro. Pestaggi, grida e slogan, città terrorizzata. "Puniamo i ragazzini maschi di strada marocchini, le nostre donne non si toccano". Botte coi tirapugni anche alla polizia, ma qui gli agenti rispondono duro: quattro arresti, e la Saepo (lo MI5 svedese) indaga sulla galassia nera. Weekend di tensione nella Londra del Nord. "Alexandra, ti dedichiamo un minuto di silenzio, tu di origini libanesi ma integrata e svedese come noi sei la nostra eroina, al tuo assassino e ai suoi amici non daremo pace", dice un’oratrice degli Sveriges Demokraterna, i populisti numero uno in alcuni sondaggi. Il vento gonfia striscioni e cartelli: "Merkel, Loefven (il premier socialista svedese, ndr), Juncker, traditori dei popoli europei", "Basta con gli assassini". Poi il comizio riprende, richieste dure: "Non siamo razzisti se chiediamo di buttar fuori quei criminali islamici, i razzisti furono e sono Hitler, Breivik e oggi i terroristi dell’Is". Sul lato nordovest della piazza pochi giovani di sinistra gridano slogan antifascisti. "Mi piacerebbe dare una lezione a quei comunisti, come l’altra notte coi marocchini", mi dice un ragazzo biondo. Gli agenti in tenuta antisommossa fanno cordone, mani pronte a impugnare manganelli, taser o pistole, coi furgoni Mercedes gialli e blu creano un muro tra le due parti della piazza. Una signora dell’ufficio stampa della polizia informa noi giornalisti: "Il pogrom notturno l’hanno organizzato online, come un flashmob, l’ordine era "aggredire bambini rifugiati". "Tranquillo, organizziamo ronde civiche, siamo in contatto con gli amici, i tedeschi di Pegida e le forze sane da voi", mi dice Olof, corpulento e sorridente riservista dell’esercito. Alto, testa rasata come i suoi amici, uno di loro torna da un negozio vicino, busta di plastica piena di lattine di birra. "Siamo decisi, noi europei sani, cristiani e bianchi dobbiamo fare in fretta. Blitzkrieg, e insieme come si coordinano loro aggredendo le nostre donne a Capodanno da Colonia a Helsinki, da Goeteborg a Zurigo. Glie la faremo vedere, siamo tutti ben addestrati per il servizio militare obbligatorio". No al razzismo, gridano i pochi controdimostranti che la polizia protegge col muro di furgoni e agenti pronti al peggio. "Bisogna dar lezioni e salvare l’Europa bianca, come quando a scuola pestammo in classe un marocchino cleptomane, rubava a tutti. Il preside ci accusò di razzismo, ecco dove ci portano i socialisti". Kalle, magro e rasato accanto a noi, annuisce: "Guarda i comunisti che ci contestano, meriterebbero una lezione, non capiscono che anche le loro donne rischiano per gli stupratori musulmani". Ore 14,40, il flashmob si scioglie cantando " Du gamla, du fria", il dolce inno nazionale, con le loro voci suona duro e ostile. Arabia Saudita: pena di morte, 55 decapitazioni dall’inizio dell’anno La Repubblica, 31 gennaio 2016 Una nota di Nessuno Tocchi Caino. In Liberia la condanna per impiccagione a tre persone che avevano ucciso un uomo per 200 dollari, poi fatto a pezzi per praticare un rito. Negli Emirati altra pena capitale per un uxoricida nonostante i figli della vittima e i parenti più stretti lo avessero personato. Un uomo è stato giustiziato per omicidio in Arabia Saudita e arriva così a 55 il numero dei detenuti messi a morte nel Regno dall’inizio dell’anno. In una nota, il Ministero degli Interni ha identificato l’uomo come Owaidhah al-Saadi, di nazionalità saudita, la cui decapitazione è avvenuta nella regione sud-occidentale di Aseer. Era stato riconosciuto colpevole dell’omicidio di un connazionale, commesso con arma da fuoco a seguito di una lite. Lo scorso anno, 153 persone sono state giustiziate in Arabia Saudita, soprattutto per traffico di droga e omicidio. Liberia - Tre condannati all’impiccagione per omicidio. Il Tribunale del secondo circuito giudiziario della contea di Grand Bassa, in Liberia, ha condannato tre persone all’impiccagione in relazione all’omicidio di Nimely Tarr, commesso ad agosto 2014 per "scopo rituale". Secondo il tribunale, Samuel Targbehn, Emmanuel Juludoe e James Reeves avrebbero asportato parti del corpo della vittima, compresi organi interni. I tre sono residenti nella città di Paytoe, nel primo distretto della contea di Grand Bassa. Erano stati incriminati per il reato di omicidio. Per 200 dollari si erano venduti parti del corpo dell’ucciso. Gli imputati avrebbero ricevuto 200 dollari da una persona non identificata in cambio delle parti umane. Secondo l’accusa, il 9 agosto 2014, Nimely Tarr lasciò la sua residenza di Woe Town per Paytoe Town, dove incontrò i tre uomini, che lo attirarono in una vicina fattoria di canna da zucchero e lo uccisero a sangue freddo. La sentenza dice che gli imputati hanno ammesso di aver ricevuto 200 dollari in cambio di parti umane da usare in un rito e che saranno impiccati nel cimitero di Upper Buchanan tra le 6 di mattina e le 18 di un giorno ancora non precisato, ma imminente. Lo Stato era rappresentato da Samuel K. Jacob, mentre gli imputati erano difesi da Paul P. Jarvan, che ha già annunciato di voler presentare appello alla Corte Suprema. Emirati Arabi - Condannato a morte nonostante il perdono dei familiari. Una corte di appello di Ras Al Khaimah, negli Emirati Arabi Uniti, ha condannato a morte un uomo di origine araba per l’omicidio della moglie, nonostante il perdono ottenuto dai figli. La corte ha confermato la condanna a morte pronunciata da un tribunale di primo grado, secondo cui l’uomo avrebbe ucciso la moglie a colpi di accetta, mentre i loro tre figli erano a scuola. Lo stesso omicida avrebbe confessato alla polizia di aver aggredito la donna, dopo un’accesa discussione a casa. I giornali hanno riportato che mentre i tre figli hanno offerto il proprio perdono al padre, così come i parenti più stretti della vittima, il giudice ha invece respinto il perdono trattandosi di omicidio premeditato. Dopo aver commesso l’omicidio, l’uomo fuggì ad Abu Dhabi, dove si è consegnato alla polizia.