Mattarella: evasione fiscale inaccettabile, troppi ancora senza lavoro di Laura Di Pillo Il Sole 24 Ore, 1 gennaio 2016 Non torna sulle considerazioni affrontate nei giorni scorsi nel suo intervento davanti alle alte cariche dello Stato e ai diplomatici. Nel suo primo discorso di fine anno agli italiani, in completo blu e cravatta a pois bianca e blu, il presidente parla ai concittadini, ricorda i problemi, le difficoltà quotidiane. E le speranze. Lontano dai toni solenni e ufficiali, Sergio Mattarella sceglie un tono confidenziale, un’atmosfera familiare e una “location” diversa: il salotto dell’appartamento privato al terzo piano del Quirinale. A rimarcare il fatto che, stavolta sono gli italiani ad entrare nella casa del presidente che è la casa di tutto il Paese. Una cifra conservata già dal primo giorno della sua elezione quando nel suo primo commento disse “Sono vicino ai miei concittadini, soprattutto a quelli che soffrono”. Sullo sfondo un tavolo, un caminetto, una stella di Natale e sotto una campana di vetro un Presepe napoletano. Per non dimenticare i nostri valori. E l’orgoglio di essere italiani. Un discorso breve di 10 cartelle, che dura poco oltre i 19 minuti. Che trae spunto dalle lettere ricevute e dai numerosi incontri (quasi 500) avuti dal Presidente nel corso del suo primo anno di settennato. E che ha al centro la vita di tutti i giorni. A partire dal lavoro, l’occupazione dei giovani e delle donne, dalle disuguaglianze, la lotta all’evasione fiscale “gravissimo ostacolo alla crescita”. In primo piano la lotta al terrorismo “che non deve farci paura”, la sfida dell’integrazione degli immigrati “da gestire”, l’emergenza inquinamento. Un discorso “verde” rivolto alla gente comune che rimarca l’invito alla “collaborazione tra istituzioni e cittadini”, ad avere cura e attenzione per l’ambiente e i territori. Parla delle donne e ne ricorda 4 in particolare cui va l’omaggio del Presidente e del paese: Valeria Solesin morta negli attentati dello scorso novembre a Parigi, Fabiola Gianotti, che domani assumerà la direzione del Cern di Ginevra, Samantha Cristoforetti, che abbiamo seguito con affetto nello spazio, Nicole Orlando, l’atleta paralimpica che ha vinto quattro medaglie d’oro. Il lavoro in cima. “Che manca a troppi dei nostri giovani” e ai quarantenni e cinquantenni “che hanno perduto il lavoro” all’”insufficiente occupazione femminile” rimarca il Presidente Mattarella riconoscendo comunque che l’occupazione “è tornata a crescere”. Un dato positivo “che pure dà fiducia” anche se “l’uscita dalla recessione economica e la ripresa non pongono ancora termine alle difficoltà quotidiane di tante persone e di tante famiglie”. Insomma passi vanti sono stati fatti, ma molto resta ancora da fare. In particolare nel Sud. Questione particolarmente cara ad un Presidente palermitano: “Il lavoro manca soprattutto al Mezzogiorno” ricorda Mattarella che parla di “questione nazionale perché senza una crescita del meridione l’intero Paese resterà indietro”. Mattarella: un messaggio poco “politico”, con l’accento sulla legalità di Marzio Breda Corriere della Sera, 1 gennaio 2016 La crisi, la disoccupazione, il terrorismo, l’immigrazione, l’inquinamento: le emergenze del passaggio verso il 2016 nel discorso di fine anno del presidente della Repubblica. Ci sono quasi tutte le emergenze di questo passaggio verso il 2016, cruciale per una ripartenza del Paese, nel messaggio di fine anno del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un messaggio poco politico (anche se, si sa, tutto è politica) e molto attento invece alla vita concreta delle persone, nel tentativo di infondere comunque fiducia. Questioni affrontate - in un monologo colloquiale durato meno di venti minuti - con quella sensibilità sociale che fa parte della formazione umana e intellettuale di Sergio Mattarella. Diversi gli spunti che lo dimostrano. Un esempio. Quando parla del lavoro che manca, problema acutissimo per i giovani di ambienti svantaggiati e specialmente al Sud, il capo dello Stato ricorda, sia pur senza evocarla, la paralisi di quella “mobilità sociale” che negli anni Sessanta/Settanta aveva consentito l’accesso all’università, all’epoca non costosa quanto oggi, a milioni d’italiani fino ad allora esclusi. Effetto di una crisi ancora non risolta, anche se - e Mattarella lo riconosce, con sicuro sollievo del premier Matteo Renzi - “la condizione economica dell’Italia va migliorando e le prospettive appaiono favorevoli”. Nella stessa prospettiva di tenere insieme la trama sociale di un Paese che resta comunque in difficoltà va letta la sua dura denuncia dei guasti provocati dall’evasione fiscale e contributiva. Un danno che da solo vale 7 punti e mezzo di Pil, cioè, secondo l’inedita citazione di uno studio di Confindustria, “più di trecentomila posti di lavoro”. Ecco: la ripresa dovrebbe offrire per lui strumenti nuovi per affrontare dossier dolenti come questo o come la tutela dell’ambiente o, perfino, la minaccia portata dal terrorismo fondamentalista. Un approccio diverso serve poi a proposito delle continue ondate di flussi migratori, che per il presidente vanno “governati” con un sano equilibrio. Vale a dire: con spirito di “accoglienza”, ma anche “con rigore”. Distinzione non da poco, dati gli estremismi che ormai quotidianamente si accavallano, nell’approccio con questo dramma epocale. Aspri i riferimenti alla “questione morale”, riaperta dai recenti scandali, con inquinamenti mafiosi pure nella sfera politica. La legalità, del resto, si delinea ormai come l’autentica mission di questo settennato, se non altro perché il capo dello Stato sente di poter esprimersi a nome della “quasi totalità dei nostri concittadini… che credono nell’onestà e pretendono correttezza”. Anche, è la sua puntualizzazione, severa e fortemente politica, “da chi governa, a ogni livello”. Papa Francesco: ingiustizie e violenza feriscono l’umanità di Carlo Marroni Il Sole 24 Ore, 1 gennaio 2016 “Ogni giorno, mentre vorremmo essere sostenuti dai segni della presenza di Dio, dobbiamo riscontrare segni opposti, negativi, che lo fanno piuttosto sentire come assente. La pienezza del tempo sembra sgretolarsi di fronte alle molteplici forme di ingiustizia e di violenza che feriscono quotidianamente l’umanità”. Nell’omelia pronunciata nella messa del primo giorno dell’anno civile celebrata nella Basilica di San Pietro - giorno in cui si celebra anche la 49.ma Giornata Mondiale della Pace - Papa Francesco torna a denunciare ogni forma di violenza: “A volte ci domandiamo: come è possibile che perduri la sopraffazione dell’uomo sull’uomo? Che l’arroganza del più forte continui a umiliare il più debole, relegandolo nei margini più squallidi del nostro mondo? Fino a quando la malvagità umana seminerà sulla terra violenza e odio, provocando vittime innocenti? Come può essere il tempo della pienezza quello che pone sotto i nostri occhi moltitudini di uomini, donne e bambini che fuggono dalla guerra, dalla fame, dalla persecuzione, disposti a rischiare la vita pur di vedere rispettati i loro diritti fondamentali? Un fiume di miseria, alimentato dal peccato, sembra contraddire la pienezza del tempo realizzata da Cristo”. Vincere l’indifferenza che impedisce la solidarietà. Eppure, dice il Papa - che ricollega l’omelia ai temi del Giubileo - “questo fiume in piena non può nulla contro l’oceano di misericordia che inonda il nostro mondo. Siamo chiamati tutti ad immergerci in questo oceano, a lasciarci rigenerare, per vincere l’indifferenza che impedisce la solidarietà, e uscire dalla falsa neutralità che ostacola la condivisione. La grazia di Cristo, che porta a compimento l’attesa di salvezza, ci spinge a diventare suoi cooperatori nella costruzione di un mondo più giusto e fraterno, dove ogni persona e ogni creatura possa vivere in pace, nell’armonia della creazione originaria di Dio”. Per Bergoglio “dove non può arrivare la ragione dei filosofi né la trattativa della politica, là può giungere la forza della fede che porta la grazia del Vangelo di Cristo, e che può aprire sempre nuove vie alla ragione e alle trattative”. Battere la “globalizzazione dell’indifferenza”. Due settimane fa era stato diffuso il messaggio del Papa dedicato alla Giornata Mondiale della Pace, in cui aveva ribadito la necessità di battere la “globalizzazione dell’indifferenza” verso i mali del mondo, un concetto a lui caro, lanciato nella sua visita a Lampedusa nel luglio 2013 a proposito dell’atteggiamento del “nord” del mondo verso i rifugiati. Inoltre aveva ribadito l’auspicio che venga abolita - dove è ancora prevista dagli ordinamenti - la pena di morte. Roma: recuperare onestà e solidarietà. Nella celebrazione del 31 dicembre, Francesco ha fatto un esplicito riferimento alle difficoltà della città di Roma nel 2015: il Papa ha auspicato che “l’impegno per recuperare i valori fondamentali di servizio, onestà e solidarietà permetta di superare le gravi incertezze che hanno dominato la scena di quest’anno, e che sono sintomi di scarso senso di dedizione al bene comune”. Tra Papa Francesco e Mattarella sintonia di temi e parole di Francesco Ognibene Avvenire, 1 gennaio 2016 Sintonia di priorità, di stile, di temi e anche di parole. Non può passare inosservata l’assonanza tra i discorsi del Papa e del Capo dello Stato a fine e inizio anno. Le priorità, anzitutto: nel messaggio augurale di Mattarella e in quello di Bergoglio per la Giornata della pace, così come nell’omelia e nell’Angelus di ieri, e ancora nelle parole giunte ieri in Vaticano dal Quirinale, si coglie l’attenzione che per entrambi va anzitutto a chi si trova nella situazione di bisogno e di vulnerabilità, le vittime di quelle che - dagli effetti perversi della crisi sull’occupazione al dramma delle migrazioni - il Papa definisce nella mattinata del primo giorno dell’anno come le “molteplici forme di ingiustizia e di violenza che feriscono quotidianamente l’umanità”, effetti della “sopraffazione dell’uomo sull’uomo”. Espressioni in piena continuità con quelle che Mattarella ha pronunciato nella serata del 31 parlando agli italiani di “diseguaglianze” che “rendono più fragile l’economia” e di “discriminazioni” che “aumentano le sofferenze di chi è in difficoltà”. Se poi Mattarella riprende un tema caro al Papa denunciando le “speculazioni” e lo “sfruttamento incontrollato delle risorse naturali”, è sull’immigrazione che i toni si fanno pienamente concordi: “Sotto i nostri occhi”, dice il Papa nella prima Messa del nuovo anno, “moltitudini di uomini, donne e bambini fuggono dalla guerra, dalla fame, dalla persecuzione, disposti a rischiare la vita pur di vedere rispettati i loro diritti fondamentali”. Il cuore di Francesco batte per quel “fiume di miseria” arginato però dall’”oceano di misericordia che inonda il nostro mondo”. Mattarella gli fa eco ricordando nel primo messaggio del 2016, rivolto non a caso proprio al Papa, “le migliaia di donne e uomini annegati nel Mediterraneo, i 700 bambini morti nella speranza di raggiungere un’esistenza serena, lontano dalla guerra e dalla miseria”, tutti “muti e sofferenti testimoni di un fallimento drammatico”. Qui si tocca con mano la sintonia di preoccupazioni, che si fa palese nella scelta della stessa parola - “indifferenza” - scelta come asse del messaggio pontificio per la Giornata della pace e come desolato giudizio dal presidente quando nota che ormai dopo le iniziali ondate emotive le ripetute tragedie dell’emigrazione stiano passando sotto silenzio. La stessa speranza nel prevalere del bene pervade anche le parole di Mattarella, quando citando proprio il Papa spiega quel che il concetto cristiano di misericordia può significare per tutti i cittadini: quello del Giubileo, dice infatti il capo dello Stato, “è un messaggio forte che invita alla convivenza pacifica e alla difesa della dignità della persona”. E aggiunge, in modo originale e sorprendente: “Con una espressione laica potremmo tradurre quel messaggio in comprensione reciproca, un atteggiamento che spero si diffonda molto nel nostro vivere insieme”. E come non cogliere nella sua indicazione - nelle tre figure femminili indicate come “emblematiche” - anche di Nicole Orlando, la 22enne atleta paralimpica piemontese recente vincitrice di ben quattro medaglie d’oro, ragazza Down, smentita eloquente e radicale di quella “cultura dello scarto” che il Papa stigmatizza con frequenza? Anche in questa sottolineatura si coglie la sintonia su quella che - nelle parole del Papa - è la necessità di “vincere l’indifferenza che impedisce la solidarietà” e di “uscire dalla falsa neutralità che ostacola la condivisione”, e - nelle parole di Mattarella - è l’urgenza che continui a “estendersi e progredire lo sforzo di tutela nei diritti dei cittadini - e di tutti coloro che a vario titolo si trovano nel territorio nazionale - per una sempre più profonda e concreta educazione alla solidarietà e alla legalità”. Umbria: dalla Regione oltre un milione per il lavoro ai detenuti, presentato il bando umbria24.it, 1 gennaio 2016 Supporto alla realizzazione di progetti indirizzati al reinserimento sociale di 157 soggetti. Tra le priorità della nuova programmazione della Regione Umbria relativa alla distribuzione delle risorse del Fondo sociale europeo 2014/2020, c’è anche il supporto alla realizzazione di progetti che consentano alle persone sottoposte ad esecuzione penale una reale integrazione nella società. Il bando Oggi, su iniziativa dell’assessorato regionale alle Coesione sociale e al Welfare, è pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione un avviso rivolto a soggetti del Terzo settore e dell’associazionismo, per la realizzazione di interventi di presa in carico multi professionale finalizzati all’inclusione lavorativa di persone in esecuzione penale esterna. Barberini “Attraverso la pubblicazione dell’avviso pubblico, finanziato con 1 milione 160 mila euro nel biennio 2016/2017 - ha spiegato l’assessore Luca Barberini - si potranno presentare progetti destinati alla presa in carico multidisciplinare di 157 soggetti (di cui 80 segnalati dall’Ufficio per l’Esecuzione penale esterna Umbria, e 77 dall’Ufficio di Servizio sociale per minorenni dell’Umbria) attraverso attività di orientamento individuale che prevedono un bilancio delle competenze, formazione e accompagnamento al lavoro, nonché l’attivazione di percorsi di inclusione lavorativa attraverso tirocini extracurricolari”. Campania: Francescani in visita nelle carceri della regione di Gelsomino Del Guercio sanfrancescopatronoditalia.it, 1 gennaio 2016 Con lo spirito di Francesco, incontro agli ultimi, ai meno abbienti. Incontro ai detenuti, a coloro che trascorrono le festività nelle carceri. Numerosi francescani laici e non, appartenenti al movimento campano (Ofs, Gi.Fra., terziari) hanno ritagliato un piccolo spazio delle loro giornate per una visita nei penitenziari a portare una parola di conforto a chi vive la sua quotidianità dietro le sbarre. L’Ofs, in particolare, racconta l’esperienza di una sorella della Fraternità di Avellino-Roseto che ha vissuto l’esperienza della visita in alcuni istituti penitenziari, pensata all’interno del progetto regionale “Mani Tese verso il Mondo”. Ha visitato, in particolare, il carcere di Airola, in provincia di Benevento. “Già da un po’ di tempo - racconta la francescana laica - mi ero riproposta di avvicinarmi al problema detenuti, convinta che il modo migliore per approfondirlo, sia quello di cercare un contatto ed essere il più possibile accogliente rispetto al loro vissuto ed ai loro errori. Per questo motivo appena mi è stata data dalla mia Fraternità di Avellino l’opportunità di far visita al carcere minorile di Airola, l’ho colta come l’avvio di una attività che spero possa protrarsi nel tempo dal momento che personalmente già mi occupo di detenuti attraverso un volontariato di altra natura”. La visita al carcere di Airola si è aperta con la Liturgia Eucaristica nella Cappella del carcere stesso “a cui abbiamo partecipato noi appartenenti alle varie Fraternità campane GiFra ed OFS ed alcuni dei ragazzi detenuti, in particolare quelli a cui è data la possibilità di uscire anche per permessi personali”. Al termine della liturgia animata con canti dalla GiFra di Airola, “ci siamo tutti trasferiti nel cortile dove i detenuti sono soliti trascorrere il tempo di libertà vigilata a loro disposizione. Lì ognuno di noi ha avvicinato i ragazzi che nel frattempo si erano riuniti in gruppi e ci osservavano curiosi di capire cosa fosse questa novità assoluta per loro poiché erano tutti arrivati da poco”. Nel complesso, conclude la giovane francescana, “posso dire che questa esperienza vissuta in un carcere minorile, costituisce sicuramente uno spunto per riflettere sulla fragilità dei ragazzi e delle famiglie moderne che sono una delle componenti che contribuisce alle scelte sbagliate ed alle strade intraprese seguendo falsi miraggi, anche in giovane età”. Firenze: la lettera al Garante delle detenute di Sollicciano “in carcere senza dignità” 055firenze.it, 1 gennaio 2016 Il documento firmato dalle detenute è arrivato al Garante per i diritti dei detenuti. La casa circondariale di Sollicciano è la più grande della Toscana e presenta notevoli segni di fatiscenza. Le strutture non sono adatte ad accogliere il numero di detenuti, che si vedono privati dei diritti fondamentali della persona. Questa denuncia è pervenuta nelle mani di Eros Cruccolini, garante dei diritti dei detenuti della Toscana. La lettera si intitola “Viviamo peggio degli animali” di Laura Montanari. Scritta su di un foglio protocollo, a mano, nell’ultimo giorno del 2015, le detenute mettono nero su bianco le pessime condizioni. Freddo, situazione invivibile, costrette a dormire con dei panni addosso, e totalmente in balia della pioggia. Questo è il testo della lettera: “Siamo infestati dai topi infatti alcune detenute nella notte sono state morse e non hanno avuto assistenza medica, cioè in ritardo. Siamo state costrette a dormire con una sola coperta e alcuni sono senza il cambio delle lenzuola che avviene ogni 15 giorni ma dobbiamo essere fortunate e la rifornitura che comprende 4 rotoli di carta igienica a testa, due flaconi di detersivo per lavare i pavimenti, saponette per lavare i panni una volta al mese. Ci sono detenute - prosegue la lettera - con problemi psichici, con epilessia e attacchi di panico e alcune asmatiche e sono rinchiuse da sole, abbandonate a se stesse peggio del manicomio di Montelupo fiorentino (si riferiscono all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario che è in fase di dismissione ma che qualche anno fa finì sulle cronache per le pessime condizioni in cui vivevano i detenuti ndr), assistenza medica solo nell’orario della terapia, se si dovessero chiamare con urgenza, fuori orario non ti assistono”. Prosegue: “Ci hanno tolto la dignità, viviamo in un modo disumano. Su tutti i fronti noi abbiamo sbagliato e siamo qui per pagare, ma non con la vita, spero che vogliate prenderci in considerazione e si faccia al più presto qualcosa, vi ringraziamo per l’attenzione con la speranza - ribadiscono le donne di Sollicciano - che qualcuno ci prenda in considerazione”. Seguono le firme e i “distinti saluti”. Mancano gli auguri, ma il buon anno da lì è difficile vederlo”. Parma: il Garante “nel carcere non c’è nessuna area riservata agli extracomunitari” parmatoday.it, 1 gennaio 2016 Dopo l’intervista realizzata con Marco Maria Freddi dei Radicali, che ha raccontato a ParmaToday la sua visita al carcere di via Burla di Parma il Garante dei Detenuti del Comune di Parma Roberto Cavalieri ha effettuato una verifica e precisa quanto segue: “Nella giornata di ieri ho effettuato una verifica assieme alla matricola del carcere e all’ispettore competente nell’area della Media sicurezza sulla presenza dei detenuti di origine straniera e italiani e della loro collocazione nelle sezioni detentive. Questi sono i dati che posso mettere a disposizione e relativi al reparto di Media Sicurezza: Sezione 1A: Totale: 30 di cui Italiani 25 Comunitari 1 Extracomunitari 4; Sezione 1B: Totale: 38 di cui Italiani 16 Comunitari 1 Extracomunitari 21; Sezione 2A: Totale: 48 di cui Italiani 25 Comunitari 4 Extracomunitari 19; Sezione 2B: Totale: 34 di cui Italiani 10 Comunitari 2 Extracomunitari 22; Sezione 3A: Totale: 47 di cui Italiani 25 Comunitari 2 Extracomunitari 20; Sezione 3B: Totale: 35 di cui Italiani 12 Comunitari 0 Extracomunitari 23. I dati indicano con chiarezza che non esiste una collocazione dei detenuti basata sulla provenienza/cittadinanza. Va inoltre considerato che i detenuti condividono tutti momenti della vita detentiva, sempre a prescindere della provenienza/cittadinanza, come nella loro collocazione nelle celle di pernottamento, nel lavoro alle dipendenza dell’amministrazione, nelle attività trattamentali e nei cosiddetti momenti di socialità. Restano comunque degne di costante attenzione le problematiche che comportano la privazione della libertà personale per tutti i detenuti ed in particolare per gli stranieri”. Venezia: Garante dei detenuti; il sindaco ha re-incaricato il medico psichiatra Steffenoni La Nuova Venezia, 1 gennaio 2016 Il medico psichiatra veneziano Sergio Steffenoni è stato nominato dal sindaco Luigi Brugnaro garante per i detenuti. Rimarrà in carica per cinque anni, così come il nuovo primo cittadino lagunare. Anche per questo, come per altri incarichi, il Comune aveva pubblicato un bando nel quale avvisava dell’intenzione di procedere alla nomina e si dava il tempo per presentare le domande con i curricula. Steffenoni ha già svolto questo ruolo e a nominarlo, cinque anni fa, era stato il sindaco precedente. Il Garante (o difensore civico) è un organo di garanzia che, in ambito penitenziario, ha funzioni di tutela delle persone private o limitate della libertà personale. Istituito per la prima volta in Svezia nel 1809 con il compito principale di sorvegliare l’applicazione delle leggi e dei regolamenti da parte dei giudici e degli ufficiali, nella seconda metà dell’Ottocento si è trasformato in un organo di controllo della pubblica amministrazione e di difesa del cittadino contro ogni abuso. Oggi questa figura, con diverse denominazioni, funzioni e procedure di nomina, è presente in 23 paesi. In Italia non è ancora stata istituita la figura di un Garante nazionale per i diritti dei detenuti, ma esistono Garanti regionali e comunali, le funzioni dei quali sono definite dai relativi atti istitutivi. I Garanti ricevono segnalazioni sul mancato rispetto della normativa penitenziaria, sui diritti dei detenuti eventualmente violati o parzialmente attuati e si rivolgono all’autorità competente per chiedere chiarimenti o spiegazioni, sollecitando gli adempimenti o le azioni necessarie. Cuneo: nel carcere di Alba è allarme legionella tra i detenuti targatocn.it, 1 gennaio 2016 Ieri, giovedì 31 dicembre, ricoverato in ospedale un condannato a “fine pena mai”. Si trova nel reparto di rianimazione, in coma farmacologico. Denuncia il sindacato Sappe: “E non è il primo caso”. “Ieri mattina alle 4,30 un detenuto comune, condannato con fine pena mai è stato ricoverato presso il nosocomio di Alba per legionella. Attualmente è in coma farmacologico al reparto rianimazione dell’ospedale. Non è questo il primo caso alla Casa di reclusione di Alba: in passato, infatti, si sono contati altri casi (1 Agente di Polizia Penitenziaria e una altro detenuto). Abbiamo più volte sollecitato l’Amministrazione penitenziaria a effettuare le giuste verifiche della struttura a salvaguardia del personale e della popolazione detenuta. Non abbiamo mai ottenuto delle risposte concrete. Ed è paradossale e sorprendente che per una struttura così fatiscente venga richiesto al personale di Polizia Penitenziaria che vive in Caserma il pagamento dell’alloggio”. Ne da notizia il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, per voce del segretario regionale del Piemonte Vicente SANTILLI. “La situazione nelle carceri resta allarmante: altro che emergenza superata!”, denuncia il Segretario Generale del Sappe Donato Capece. “Dal punto di vista sanitario è semplicemente terrificante: secondo recenti studi di settore è stato accertato che almeno una patologia è presente nel 60-80% dei detenuti. Questo significa che almeno due detenuti su tre sono malati. Tra le malattie più frequenti, proprio quelle infettive, che interessano il 48% dei presenti. A seguire i disturbi psichiatrici (32%), le malattie osteoarticolari (17%), quelle cardiovascolari (16%), problemi metabolici (11%) e dermatologici (10%). Altro che dichiarazioni tranquillizzanti, altro che situazione tornata alla normalità”. Conclude Capece: “La Polizia Penitenziaria continua a tenere botta alle emergenze penitenziarie. Ma è sotto gli occhi di tutti che servono urgenti provvedimenti per frenare la spirale di violenza che ogni giorno coinvolge, loro malgrado, appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria nelle carceri italiane e le costanti problematiche del settore”. Fermo (Ap): da detenuti a master chef, la dieta mediterranea oltre le sbarre corriereadriatico.it, 1 gennaio 2016 La dieta mediterranea secondo i detenuti nel carcere di Fermo. Concluso con successo il primo corso di formazione per cuochi, organizzato proprio sui fondamenti della dieta di casa nostra. Grande la soddisfazione degli otto partecipanti e degli organizzatori, il Laboratorio Piceno della Dieta Mediterranea con i vertici della Casa di reclusione fermana. La dieta Mediterranea conquista anche spazi impensati, trova spunti e storie grandi e porta avanti tradizioni che sono proprie della nostra terra. Si è concluso nei giorni scorsi il corso di cucina, tarato proprio sulla dieta mediterranea, proposto all’interno della Casa Circondariale di Fermo. L’iniziativa del Laboratorio Piceno della Dieta mediterranea e dall’Istituto Penitenziario fermano, in otto hanno seguito il percorso che ha portato ad una sorta di esame finale con un risultato eccellente per tutti: promossi a pieni voti. Un progetto che in Italia è stato portato avanti solo nel carcere di Padova, come ah sottolineato il cofondatore del laboratorio e ideatore del corso Adolfo Leoni: “Nella dirigenza del carcere e nell’area trattamentale abbiamo trovato un’accoglienza immediata a questo nostro progetto. Tra gli obiettivi del Laboratorio, c’è quello di informare il territorio dell’opportunità rappresentata dalla Dieta mediterranea come volano di nuovo sviluppo agricolo, agro-alimentare, turistico e culturale. Il carcere non è un luogo fuori della città. Ci tenevamo a dire che è invece una realtà all’interno della comunità cittadina. Non ci sono scarti ma persone e noi abbiamo voluto coinvolgerli, in pieno, in un progetto di grande respiro”. Il corso durato due mesi, portato avanti da 4 cuochi, Sandro Pazzaglia, Benito Ricci, Sandro Montironi e Mauro Donati, e da un medico, il diabetologo Paolo Foglini è servito a dare una professionalizzazione da aiuto cuoco. Lando Siliquini, medico e presidente del Laboratorio ha sottolineato che l’attestato potrà servire nel mondo del lavoro: “La Dieta mediterranea è ormai un dato acquisito nel mondo intero, per cui preparare piatti secondo la Dieta, oltre che salutare, è cavalcare un’onda molto alta. Non è solo cibo ma conseguenza di un costume sociale e culturale praticato nella nostra Terra di Marca. Coloro che hanno svolto le lezioni hanno trovato interlocutori seri e attenti”. Lo chef Pazzaglia ha raccontato di essere rimasto molto colpito e arricchito dal confronto con gli otto partecipanti al corso, il dottor Foglini ha approfondito i concetti di salute e nutrizione, per spiegare che davvero siamo quello che mangiamo. I vertici del carcere hanno ipotizzato un secondo corso per il 2016, la direttrice Eleonora Consoli, con gli operatori Nicola Arbusti e Lucia Tarquini hanno parlato di una iniziativa di grande valore, nel cominciare a costruire un futuro per i detenuti che in carcere cercano prospettive migliori. Per la prova finale, gli 8 partecipanti hanno realizzato una serie di piatti tipici della dieta, seguiti dallo chef Benito Ricci, per un buffet finale che ha premiato davvero tutti. Presenti anche Paola Mezzaluna, che con la sua azienda ha offerto il suo supporto, e Leonello Alessandrini delle Grafiche Fioroni che pure hanno sostenuto il percorso formativo. Roma: Giachetti visita le carceri, con Pannella e Bernardini a Rebibbia e a Regina Coeli Ansa, 1 gennaio 2016 “Per me è consuetudine trascorrere la fine dell’anno con i radicali in carcere, fa parte della mia formazione politica, credo che sia un dovere anche portare all’attenzione, in questi momenti, problemi gravi che ci sono ancora nelle carceri, nonostante si sia fatto molto in questo anno e in questi anni”. Così, ieri sera, ai microfoni di Radio Radicale il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti prima di entrare nel carcere romano di Rebibbia dove ha trascorso l’ultimo dell’ anno insieme a Marco Pannella e Rita Bernardini, coordinatrice del Tavolo sull’affettività in carcere e la territorialità. Una visita fatta, come ogni anno, per vigilare sulle condizioni carcerarie e per portare i consueti auguri di buon anno ai detenuti, spiega una nota che annunciava l’appuntamento. “Il mio ultimo pensiero del 2015, e vorrei che fosse anche il primo pensiero del 2016, è per la famiglia Cucchi e in particolare per Ilaria - ha aggiunto - per la forza che stanno mettendo per cercare di far emergere una verità che credo faccia bene al Paese”. Stamani Giachetti ha visitato, sempre con Pannella e Bernardini, il carcere di Regina Coeli. È partito, così, dall’attenzione agli ultimi, il nuovo anno per Giachetti, parlamentare Pd, tra i nomi in pole per correre alle primarie in vista delle elezioni a sindaco di Roma del prossimo giugno. “Abbiamo scelto di passare l’ultimo dell’anno - ha spiegato Bernardini prima di entrare a Rebibbia - con gli ultimi degli ultimi, con la comunità penitenziaria, con gli agenti e con i detenuti. L’ispettore che ci guiderà nella vista ci ha già detto che c’è molta disperazione specie tra i detenuti stranieri, che non hanno familiari, non hanno avvocati, sono in uno stato di abbandono. È una violazione della nostra costituzione, il carcere dovrebbe aiutare ad inserirsi nella comunità”. Pannella prima di entrare a Regina Coeli ha ricordato che “l’Italia è condannata in tutte le sedi dalle giurisdizioni internazionali. Le nostre carceri sono in una condizione criminale da cui bisogna uscire, siamo qui per dare una mano anche ai massimi magistrati, Mattarella e gli altri, perché riescano a fare ciò che anche loro si augurerebbero: vedere rientrare l’Italia nella difesa del proprio diritto e in quello internazionale”. Sondrio: Radicali; fine anno nel carcere, con i senatori Del Barba e Della Vedova tellusfolio.it, 1 gennaio 2016 All’interno delle iniziative promosse dal Partito Radicale per il Capodanno del 2016 (Marco Pannella e Rita Bernardini sono stati ieri sera al carcere di Rebibbia e stamane in quello di Regina Coeli a Roma, con -fra gli altri- il Vicepresidente della Camera Roberto Giacchetti), una delegazione di Radicali Sondrio composta da Claudia Osmetti e Giovanni Sansi ha partecipato mercoledì 30 dicembre 2015 a una visita ispettiva alla casa circondariale di Sondrio, in via Caimi. Erano presenti anche il senatore Pd Mauro Del Barba e il sottosegretario agli Affari esteri Benedetto Della Vedova. A seguire si è svolto un incontro con il garante comunale dei diritti delle persone limitate nella libertà personale, Francesco Racchetti. “Abbiamo riscontrato una situazione di sovraffollamento sostanziale: a fronte dell’ultima relazione datata aprile 2015 del garante dei detenuti di Sondrio, infatti, al 20 dicembre 2015 nel carcere di via Caimi risultano 35 persone detenute (più una in permesso) contro una capienza regolamentare di 27 posti”, commenta Claudia Osmetti di Radicali Sondrio e membro del Comitato nazionale di Radicali italiani. “Certo una condizione migliorata rispetto alla presenza di oltre 60 detenuti di tre anni fa, ma sicuramente non ottimale. La struttura è antiquata: i servizi igienici sono fatiscenti, la sala computer (ristrutturata di recente) non è attrezzata, ci sono solo un paio di pc nella biblioteca. La maggior parte dei detenuti è straniera, motivo per cui una volta a settimana viene organizzato un corso di lingua italiana. Sono state fatte delle migliorie, come il parquet nuovo nella palestra, ma gli attrezzi sono ancora vecchi. Anche la sala colloqui è stata ristrutturata, ora è presente anche una sala adiacente per le visite famigliari”. “Che il carcere di Sondrio sia una struttura piccola e con problemi tutto sommato più contenuti rispetto alle grandi realtà carcerarie del resto del Paese non è una scusante”, conclude Osmetti: “Bisogna ricordare che il diritto a una vita dignitosa dell’ultimo dei carcerati, anche in Valtellina, è il diritto a una vita dignitosa di tutti”. Nel corso della visita è stato richiesto agli agenti della polizia penitenziaria di compilare il questionario del Partito Radicale sullo stato effettivo della condizione carceraria sondriese: sarà cura di Radicali Sondrio rendere noti i dati non appena disponibili. Sulmona (Aq): agente di custodia aggredito da un ergastolano cityrumors.it, 1 gennaio 2016 Quella di ieri sera sarà una giornata che un assistente capo di polizia penitenziaria di 46 anni, in servizio nel carcere di Sulmona, difficilmente dimenticherà. Per inspiegabili quanto futili motivi, infatti, un detenuto mafioso ergastolano siciliano di 54 anni lo ha aggredito brutalmente prima insultandolo e successivamente schiaffeggiandolo. A darne notizia è Mauro Nardella segretario provinciale e vice regionale Uil penitenziari. “Il collega aggredito - asserisce Nardella - è conosciuto come persona esemplare, ligio al dovere e sempre pronto a rendere al massimo nelle sue funzioni. Proprio per questo ciò che è successo ci lascia ancor più basiti, nello stesso tempo meravigliati e preoccupati del gesto inconsulto posto in essere. Quello successo ieri - prosegue il sindacalista - è di una gravità inaudita se si pensa al fatto che a mandare a casa il collega in uno stato di grave prostrazione è stato un detenuto che, vista la pena alla quale sta soggiacendo, non aveva certo nulla da perdere. Il poliziotto, subito soccorso dai colleghi, è stato dapprima trasportato in infermeria e successivamente poiché impossibilitato a proseguire nell’attività lavorativa, dimesso dal servizio. La Uil penitenziari esprime solidarietà al collega al quale gli auguriamo una pronta ripresa. All’amministrazione penitenziaria, invece - conclude Nardella - chiediamo un immediato allontanamento del violento soggetto da un carcere, quale è quello di Sulmona, che di tutto ha bisogno fuorché di situazioni destabilizzanti come quella verificatasi ieri”. Reggio Calabria: l’Orchestra “Leotta” in concerto nel carcere di Arghillà reggiotv.it, 1 gennaio 2016 La rieducazione in carcere passa anche attraverso la musica. L’Orchestra Giovanile dello Stretto “Vincenzo Leotta” si è esibita lo scorso 29 dicembre nell’Istituto penitenziario reggino sito nella periferia di Reggio nord. La Casa Circondariale di Arghillà, infatti, ha aperto le porte al Concerto di Natale per l’esibizione dell’organico diretto dal maestro Alessandro Monorchio. Tanti i detenuti che hanno partecipato all’esecuzione di diversi brani, che gli orchestrali hanno preparato e proposto durante i concerti in occasione di queste festività. I giovani musicisti hanno eseguito musiche originali per orchestre di fiati e alcuni brani della tradizione natalizia. Un programma, evidentemente, molto apprezzato dai detenuti visto che alcuni di essi, a fine esibizione, per ringraziare l’Orchestra hanno omaggiato, con delle loro opere realizzate a mano presso i laboratori artigianali presenti nell’Istituto, il musicista e la musicista più giovani, oltre che il maestro Monorchio ed il vicepresidente Carmelo Palmisano. “Abbiamo voluto fortemente proporre questo evento - ha puntualizzato Monorchio - perché riteniamo importante e formativo anche per i nostri ragazzi trasmettere il messaggio che la musica sia accessibile a tutte le realtà, anche nelle realtà dove vive l’emarginazione e la sofferenza; il nostro plauso va alla direttrice del carcere, Carmela Longo, e al comandante Paino, che hanno accolto senza riserve la nostra proposta. Come recentemente ha pronunciato Papa Francesco - ha concluso il direttore dell’Orchestra - tutti quanti siamo chiamati a lavorare insieme per stimolare, accompagnare e realizzare il reinserimento delle persone, tra cui i detenuti”. Mattarella: “Gli immigrati pericolosi vanno espulsi” blitzquotidiano.it, 1 gennaio 2016 Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, parole chiare e senza equivoci: “Gli immigrati pericolosi vanno espulsi”. Salvini: “Finalmente”. Capece (Sappe): 20 mila stranieri detenuti, 800 espulsi. Il riferimento al terrorismo nel discorso di fine anno del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è il primo caso di un politico italiano che dice una cosa chiara e senza giri di parole: “Gli immigrati pericolosi vanno espulsi. Serve accoglienza, ma anche rigore: chi è qui deve rispettare le leggi e la cultura del nostro Paese. Deve imparare la nostra lingue, che è simbolo di integrazione. Le comunità straniere devono collaborare con le autorità italiane contro i seminatori di odio, che indeboliscono la loro libertà e i loro diritti”. Purtroppo Mattarella non è stato così preciso nel capitolo dedicato all’ambiente, ma questo si può spiegare col fatto che c’erano stati tempi molto stretti per una posizione irrevocabile, come deve essere quella del Presidente della Repubblica. La presa di posizione sulla immigrazione è una atto coraggioso, che va decisamente contro il buonismo che impregna il partito dello stesso Mattarella, il Pd, e anche i vertici dello Stato, con la presidentessa della Camera, Laura Boldrini, in prima fila nelle esternazioni retoriche e disancorate dalla realtà. Tra le reazioni al discorso, tutte scontate, secondo che da destra o da sinistra, si segnalano i commenti di Matteo Salvini, leader della Lega Nord, e di Donato Capece, del sindacato di Polizia penitenziaria Sappe. Ricordiamo le parole di Mattarella: “Il terrorismo fondamentalista cerca di portare la violenza in Europa, per creare condizioni di pace e stabilità. La prosperità, il progresso, la sicurezza di ciascuno di noi è legata a quello degli altri. Non esistono barriere o frontiere in questo senso. Ai tanti volontari va grande riconoscenza. Il terrorismo ci vuole impaurire e impressionare, non glielo permetteremo. Ci siamo stretti attorno alla famiglia di Valeria Solesin (la ragazza morta al Bataclan a Parigi, ndr). Dobbiamo cooperare con gli altri Paesi per sconfiggere il terrorismo di matrice islamista. Gli immigrati pericolosi vanno espulsi. In questo periodo molte persone si spostano spinte dalla guerra o dalla fame. Il fenomeno migratorio deriva da cause mondiali: occorrono regole comuni per distinguere chi ha diritto all’asilo e gli altri migranti, garantendo un’accoglienza comunque dignitosa. Il 70% dei bambini immigrati in Italia ha come migliore amico un bambino italiano: lo dice l’Istat. Serve accoglienza, ma anche rigore: chi è qui deve rispettare le leggi e la cultura del nostro Paese. Deve imparare la nostra lingue, che è simbolo di integrazione. Le comunità straniere devono collaborare con le autorità italiane contro i seminatori di odio, che indeboliscono la loro libertà e i loro diritti”. Matteo Salvini commenta: “Persino Mattarella sull’immigrazione dà ragione alla Lega. Bisogna espellere le centinaia di migliaia di clandestini che non scappano dalla guerra ma che Renzi e Alfano continuano ad ospitare negli alberghi”. Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe: “Ho molto apprezzato il discorso di fine anno del Capo dello Stato Sergio Mattarella, improntato a concretezza, buon senso e contezza della realtà. In particolare, il richiamo presidenziale all’espulsione degli immigrati pericolosi che commettono reati è molto importante e potrebbe significare molto per un riassetto del sistema penitenziario del Paese. “Da tempo, noi sosteniamo che gli immigrati condannati da un tribunale italiano con una sentenza irrevocabile debbano espiare la pena nelle carceri dei Paesi d’origine, anche senza il consenso dell’interessato. Oggi abbiamo in Italia oltre 17 mila detenuti stranieri, quasi il 40% di quelli presenti. “È sintomatico che negli ultimi dieci anni ci sia stata un’ impennata dei detenuti stranieri nelle carceri italiane, che da una percentuale media del 15% negli anni ‘90 sono passati oggi ad essere oltre 20 mila. Fare scontare agli immigrati condannati da un tribunale italiano con una sentenza irrevocabile la pena nelle carceri dei Paesi d’origine può anche essere un forte deterrente nei confronti degli stranieri che delinquono in Italia. “Il dato oggettivo è però un altro: le espulsioni di detenuti stranieri dall’Italia sono state fino ad oggi assai contenute, oserei dire impercettibili: 896 nel 2011, 920 nel 2012, 955 nel 2013 e solamente 811 nel 2014, soprattutto verso Albania, Marocco, Tunisia e Nigeria. “Auspico che l’autorevole richiamo del Capo dello Stato sull’espulsione degli immigrati pericolosi che commettono reati, a cominciare da quelli detenuti, induca il Governo a definire accordi concreti con i Paesi dai quali provengono gli stranieri detenuti in Italia”. Immigrazione: Medici senza frontiere lascia il Centro di Pozzallo, è un “caso” di Ilaria Sesana Avvenire, 1 gennaio 2016 Poco più di un mese fa, Medici senza frontiere aveva denunciato le condizioni “inaccettabili” dell’accoglienza dei migranti nel Centro di primo soccorso e accoglienza (Cpsa) di Pozzallo, in provincia di Ragusa. Ieri l’associazione umanitaria ha annunciato l’uscita dal Cpsa e la fine dei suoi progetti di supporto psicologico nei Centri di accoglienza straordinaria nella provincia. “Un sistema di accoglienza inadeguato limita l’efficacia del nostro lavoro”, sintetizza un tweet dall’account dello staff siciliano di Msf. L’organizzazione ritiene che il centro di Pozzallo non offra le garanzie minime per una collaborazione efficace. “Nonostante le nostre richieste, le condizioni precarie e poco dignitose in cui vengono accolti migranti e rifugiati appena sbarcati rischiano di rimanere la realtà del futuro”, commenta Stefano di Carlo, capo missione Msf in Italia. Sovraffollamento, scarsa informazione legale e mancata tutela dei diritti dei migranti sono gli elementi su cui Medici senza frontiere aveva già espresso pubblicamente le proprie critiche. Ma dalle istituzioni, locali e nazionali, non è mai arrivata una risposta concreta per affrontare la situazione. E nemmeno è stata mai espressa volontà di farlo. “Abbiamo segnalato le diverse criticità sulla gestione del centro, anche durante un’audizione alla commissione parlamentare d’inchiesta - aggiunge di Carlo -. Abbiamo chiesto un maggiore coinvolgimento da parte delle autorità per cambiare le politiche di accoglienza, ma nulla si è mosso”. In queste condizioni è maturata la sofferta decisione di abbandonare il progetto. “La nostra capacità di offrire una risposta efficace ai bisogni medici e psicologici delle persone vulnerabili, come le donne in gravidanza, i minori e le vittime di tortura, è estremamente limitata”, aggiunge di Carlo. E così dal prossimo primo gennaio, una ventina di persone (tra medici, infermieri, psicologi e mediatori culturali) lascerà il Cpsa di Pozzallo e chiuderà il progetto di supporto psicologico in 16 centri di accoglienza straordinaria sparsi in tutta la provincia di Ragusa. “Nelle prime settimane dell’anno saremo comunque ancora qui per consentire il passaggio di consegne con le autorità sanitarie locali”, assicura il responsabile di Msf. Inoltre, l’organizzazione umanitaria continua a essere presente in Sicilia all’interno di progetti di supporto psicologico nei centri di accoglienza delle province di Catania e Trapani. Un’uscita di scena che avviene in un momento particolarmente delicato. Pozzallo, infatti, è stata individuata quale sede di uno dei futuri hotspot che il governo dovrà attivare per dare attuazione al piano di ricollocamento dei profughi voluto da Bruxelles. “Si parla molto degli hotspot ma ancora non sappiamo come verranno implementati”, puntualizza di Carlo. Durante il 2014 e il 2015 si sono registrati numeri da record negli sbarchi sulle coste italiane. Il timore è che “al di là del cambiamento di nome in hotspot, il modello di gestione dell’accoglienza non cambierà con il nuovo anno. E continueremo a vivere le stesse criticità - conclude di Carlo. Il nostro timore è che manchi la volontà politica per sviluppare una risposta più strutturata sull’accoglienza. Ma si continuerà a offrire una risposta emergenziale”. Radicali al Cie di Ponte Galeria “sofferenza e precarietà, no nuove strutture di detenzione” radicali.it, 1 gennaio 2016 Dichiarazione di Riccardo Magi, segretario di Radicali Italiani, e Alessandro Capriccioli, segretario di Radicali Roma: “Siamo sicuri che il destino del nostro paese debba essere quello di aprire nuovi centri di identificazione ed espulsione per trattenere e rimpatriare quanti fuggono dalla miseria in cerca di opportunità di vita? Davvero questo significa essere la frontiera dell’Europa sul Mediterraneo?” si chiedono Riccardo Magi, segretario di Radicali Italiani, e Alessandro Capriccioli, segretario di Radicali Roma, al termine di una visita al Cie di Ponte Galeria a Roma, insieme al presidente della commissione diritti umani del Senato, Luigi Manconi. “Abbiamo scelto di visitare oggi questo luogo simbolo della marginalità per testimoniare la nostra vicinanza alle persone trattenute e per denunciare il rischio che nuove strutture di detenzione vengano aperte nel nostro Paese”. “I Cie e la detenzione amministrativa si sono dimostrati in questi anni strumenti inefficaci in termini di contrasto all’immigrazione irregolare e utili solamente a provocare sofferenza e precarietà. Nonostante ciò, a settembre scorso sono stati riaperti i centri di Brindisi e Crotone, come conseguenza dell’attuazione dell’Agenda europea sulle migrazioni. La procedura di identificazione prevista negli hotspot, basata sulla distinzione tra potenziali richiedenti asilo e migranti economici, ha subìto un’accelerazione e, da quanto si apprende, si ha la sensazione che si stia procedendo sommariamente, violando le normative nazionali ed internazionali sull’asilo e basandosi sul solo infondato criterio della provenienza, senza approfondire la storia individuale di ciascuno e senza garantire concretamente a tutti la possibilità di accedere alla protezione internazionale”. Il mondo in cerca di pace. Questione di dialogo di Fabio Carminati Avvenire, 1 gennaio 2016 Il dialogo interrotto, per antonomasia, resta quello del Medio Oriente: l’Intifada dei coltelli, lanciata dai palestinesi nell’ottobre scorso, ha già provocato almeno 150 vittime. Benjamin Netanyahu e la controparte palestinese Abu Mazen hanno posizioni distanti e in tempi brevi, dopo il raffreddamento dei rapporti tra Washington e Gerusalemme, non sono alle viste svolte clamorose. Il 25 gennaio a Ginevra dovrebbe invece riprendere il dialogo sulla Siria, tra i regime di Bashar al-Assad e il gruppo di ribelli ostili alo Daesh e ai qaedisti di al-Nusra. Nello Yemen continua la mediazione delle Nazioni Unite che ha portato a una prima, breve pausa negli scontri tra gli sciiti Houthi e il governo dell’Arabia Saudita che sostiene il presidente Hadi, costretto alla fuga da Sanaa. In Libia, dopo l’accordo delle scorse settimane sulla formazione di un governo di unità nazionale, resta la difficoltà di avvicinare le posizioni del Parlamento islamista di Tripoli ai deputati in “esilio” a Tobruk ma riconosciuti dalla comunità internazionale. Nei prossimi giorni il lavoro dell’inviato dell’Onu Martin Kobler dovrebbe portare alla formazione definitiva di un governo che tenti di portare il Paese fuori dalle violenze per contrastare la minaccia dei jihadisti fedeli al sedicente califfo Abu Bakr al-Baghdadi che si è insediato a Derna, nell’Est della Cirenaica. In Africa il voto senza violenze di mercoledì scorso a Bangui, dove dal viaggio di papa Francesco, a fine novembre, sembrano cessate le violenze come ha riferito il nunzio Coppola, pare ridare speranza al dialogo nel martoriato Centrafrica. Altissimo lo scontro invece in atti in Burundi, dove anche ieri una bomba ha ucciso nel centro di Bujumbura: il presidente Pierre Nkurunziza, con il terzo mandato ottenuto nonostante la Costituzione lo vietasse, ha scatenato le violenze portando il Paese come ha affermato in più occasioni l’Onu, sul baratro della guerra civile. Usa: Obama sfida i repubblicani, punta a chiudere Guantánamo svuotandolo “in silenzio” di Roberto Festa Il Fatto Quotidiano, 1 gennaio 2016 Il presidente considera la chiusura dell’istituto simbolo della “guerra al terrore” come un segno della propria eredità storica e punta a svuotarlo progressivamente, sino a quando il numero di detenuti appaia troppo esiguo per tenerlo aperto. Il piano: trasferire i detenuti meno significativi nei Paesi di origine o in Paesi terzi disponibili ad accoglierli; un’altra parte, fatta di prigionieri in attesa di processo negli Stati Uniti, verrebbe trasferita in carceri di massima sicurezza sul suolo americano. C’è una battaglia sotterranea in corso da mesi a Washington: quella intorno a Guantánamo. Barack Obama lascia la Casa Bianca nel gennaio 2017 e vuole lasciarla dopo aver finalmente chiuso la prigione. Era stata, quella della chiusura del carcere simbolo della “guerra al terrore”, una delle promesse fatte dal presidente subito dopo la sua elezione, nel 2008. Sette anni - e molti scontri e polemiche - dopo, il carcere è ancora aperto. Il presidente considera la sua chiusura parte integrante della propria eredità storica; i repubblicani enfatizzano i rischi e vogliono mantenere Guantánamo vivo e operante. La discussione sulla prigione cubana si intreccia, in questi giorni, a quella sulla rinnovata minaccia terroristica. Dopo i fatti di Parigi e San Bernardino, l’allarme sicurezza è tornato a occupare buona parte del dibattito pubblico. Due giorni fa a Las Vegas, nell’ennesimo dibattito televisivo tra i candidati repubblicani alla presidenza, quello della sicurezza nazionale è stato il tema centrale. Rand Paul, Marco Rubio, Ted Cruz, Jeb Bush e Donald Trump si sono scontrati per due ore, ognuno rivendicando le proprie credenziali nella lotta al terrorismo e tutti attaccando Obama, giudicato troppo “debole e rinunciatario”, incapace di assicurare all’America rispetto e sicurezza. È in questo contesto, fatto anche di rinnovati timori nell’opinione pubblica (di cui è testimonianza il falso allarme nelle scuole di Los Angeles, martedì), che si colloca l’azione di Obama su Guantánamo. È un’azione su cui l’amministrazione ha cercato di mantenere in questi mesi il silenzio, per evitare le polemiche e l’insorgere di altre paure. Il piano di Obama è sostanzialmente questo: trasferire parte dei detenuti, quelli considerati meno significativi, nei Paesi di origine o in Paesi terzi disponibili ad accoglierli; un’altra parte, decisamente minoritaria, fatta di prigionieri in attesa di processo negli Stati Uniti, verrebbe trasferita in carceri di massima sicurezza sul suolo americano. Negli ultimi giorni il segretario alla difesa Ashton B. Carter ha notificato al Congresso la decisione di trasferire all’estero 17 detenuti. Il gruppo fa parte dei 48 inclusi in una lista di prigionieri pronti a essere rilasciati. Il Pentagono, spiegano fonti interne all’esercito, sta trattando il loro trasferimento con una serie di governi stranieri (che non sono mai ufficialmente identificati). Con la liberazione dei 17, il numero dei detenuti ancora nel campo dovrebbe attestarsi intorno ai 90. Contemporaneamente, l’amministrazione ha accelerato i lavori della commissione che sta valutando, caso per caso, chi può essere rilasciato e chi no. Sempre secondo fonti del Pentagono, sarebbero 54 i detenuti che dovrebbero restare nelle carceri americane, in attesa di giudizio. Ed è qui che la strategia di Obama si scontra con l’opposizione dei repubblicani, che non vogliono sentir parlare di una presenza di presunti terroristi sul suolo degli Stati Uniti, sia pure chiusi in un carcere. Le interpretazioni legali sulla questione differiscono; c’è chi dice che il presidente può comunque, attraverso un ordine esecutivo, decidere il loro trasferimento. Obama ha però sinora preferito evitare lo scontro diretto e scegliere una strada diversa, più morbida e sfumata: svuotare progressivamente il carcere, sino a quando il numero di detenuti appaia troppo esiguo per tenere aperta l’intera struttura. Nel momento in cui l’amministrazione gestisce la possibile chiusura di Guantánamo, emergono però critiche e polemiche per la sempre maggiore segretezza in cui molte delle operazioni vengono tenute. Ormai dal settembre 2013 il Pentagono ha deciso di non precisare più quanti detenuti sono in sciopero della fame. A quella decisione se n’è aggiunta un’altra più recente: limitare le visite dei giornalisti. Sinora gruppi di reporter hanno potuto accedervi - senza però poter parlare con i detenuti - in ogni momento dell’anno, eccetto quelli in cui si tengono i processi militari. D’ora in poi, la stampa potrà accedere a Guantánamo soltanto per quattro “media days”, quattro giorni all’anno, in cui i reporter arriveranno sull’isola la mattina, per lasciarla la sera. Il Pentagono spiega di voler razionalizzare le visite. In realtà, la scelta permette di sottrarre sempre più Guantánamo al controllo di pubblico e gruppi per i diritti civili. Gran Bretagna: due detenuti fanno a pugni in un carcere, video choc indigna il Paese di Ida Artiaco Il Messaggero, 1 gennaio 2016 Sdegno e shock sono i sentimenti che l’opinione pubblica inglese ha provato alla visione di un video registrato nella prigione di Rochester, nel Kent, in Inghilterra. Le immagini mostrano due detenuti che fanno a pugni a mani nude. Un combattimento violento, al termine del quale uno dei due resta gravemente ferito alla bocca, da dove comincia a uscire una grande quantità di sangue. Le riprese sono state effettuate da un loro compagno di cella con un cellulare che teoricamente ero vietato introdurre nella struttura. Almeno altre dodici persone restano a guardare la rissa senza esclusione di colpi, non intervenendo però mai a separare i due detenuti, ma anzi incoraggiandoli ad inasprire la lotta. Il video era stato caricato su Youtube lo scorso 23 dicembre. Nel titolo si specificava che si trattava di un combattimento tra un ragazzo gipsy contro uno di grossa stazza, uscito alla fine vincitore dal confronto violento. Tutti si congratulano con lui, stringendogli la mano. Alla fine del girato, si sente la voce di un detenuto in lontananza che dice: “È così che sistemiamo le cose qui in prigione. Ora è tutto al suo posto”. Le immagini terminano con un uomo in t-shirt blu ch si lava il volto per togliere via il flusso di sangue causato dai pugni dell’avversario. La condanna delle autorità per quanto accaduto nella struttura detentiva nel Kent non è mancata. Un portavoce della polizia penitenziaria ha dichiarato ai media locali: “Questo comportamento è inaccettabile. L’incidente è stato oggetto di un’indagine e procedimenti disciplinari sono già stati avviati contro le persone coinvolte. Non tolleriamo la violenza e i telefoni cellulari non sono per di più consentiti in alcuna prigione”. Pakistan: verranno impiccati nove terroristi condannati da tribunali militari Adnkronos, 1 gennaio 2016 Il Pakistan impiccherà nove terroristi condannati da tribunali militari per attacchi alle forze di sicurezza e alla minoranza sciita. Lo ha annunciato oggi l’esercito. Nel 2015 in Pakistan sono stati giustiziati oltre 320 detenuti nel braccio della morte, classificando il Paese al terzo posto dopo Cina e Iran. Costa d’Avorio: il presidente Ouattara concede la grazia a 3.100 detenuti Agi, 1 gennaio 2016 Il presidente ivoriano Alassane Ouattara ha annunciato, nel suo tradizionale discorso di fine/inizio anno alla nazione, di aver concesso la grazia a 3.100 detenuti. “Ho deciso di usare il mio diritto di concedere la grazia procedendo alla remissione totale e parziale delle pene. Questa decisione - ha affermato Ouattara - permetterà a migliaia di detenuti di essere subito liberati e ad altri di vedere la loro pena ridotta. La grazia riguarda in totale 3.100 detenuti”, ha detto il rieletto presidente - nell’ottobre scorso - che resterà in carica altri 5 anni. Nigeria: il presidente Buhari, nessuno detenuto “famoso” lascerà il carcere nei prossimi tempi Nova, 1 gennaio 2016 Tutti i detenuti “famosi” arrestati negli ultimi tempi in Nigeria - l’ex consigliere alla Sicurezza nazionale Sabo Dasuki, il leader della comunità sciita Ibrahim Zakzaky e il capo dei secessionisti del Biafra Nnamdi Kanu - resteranno in carcere nei prossimi tempi. Lo ha chiarito quest’oggi il presidente Muhammadu Buhari nel corso di un discorso mandato in onda stamane dalal televisione di Stato. Il presidente si è soffermato in particolare sul caso del colonnello Dasuki, già braccio destro dell’ex capo dello Stato Goodluck Jonathan, accusato di essersi appropriato indebitamente di oltre due miliardi di dollari di denaro pubblico destinato alla lotta al gruppo jihadista Boko Haram.