Noi, condannati alla morte viva: gli ergastolani si raccontano di Gabriella Meroni Vita, 7 dicembre 2016 Per la prima volta alcuni condannati al carcere a vita incontrano il vasto pubblico: il 20 gennaio, al carcere Due Palazzi, giuristi, rappresentati delle istituzioni, giornalisti, intellettuali e gente comune ascolteranno i racconti di chi non ha neppure la speranza di rientrare un giorno nella società. Un evento senza precedenti organizzato da Ristretti Orizzonti. Si svolgerà il prossimo 20 gennaio 2017 presso la Casa di reclusione di Padova la prima Giornata di dialogo con ergastolani, detenuti con lunghe pene, e con i loro figli, mogli, genitori, fratelli, sorelle. "Da tempo la redazione di Ristretti Orizzonti pensava a una giornata di dialogo sull’ergastolo, ma anche sulle pene lunghe che uccidono perfino i sogni di una vita libera", hanno scritto in una nota i redattori del noto quotidiano dal carcere. "Una giornata che avesse per protagonisti anche figli, mogli, genitori, fratelli e sorelle di persone detenute, perché solo loro sono in grado di far capire davvero che una condanna a tanti anni di galera o all’ergastolo non si abbatte unicamente sulla persona punita, ma annienta tutta la famiglia". L’invito è stato esteso a parlamentari che si facciano promotori di un disegno di legge per l’abolizione dell’ergastolo e che si attivino per farlo calendarizzare, o che comunque abbiano voglia di confrontarsi su questi temi; uomini e donne di chiese e di fedi religiose diverse, perché ascoltino le parole del Papa, che ha definito l’ergastolo per quello che è veramente: una pena di morte nascosta; uomini e donne delle istituzioni, della magistratura, dell’università, dell’avvocatura, intellettuali, esponenti del mondo dello spettacolo, della scuola, cittadini e cittadine interessati. "Per anni siamo rimasti intrappolati in questa logica che "i tempi non sono maturi" per parlare di abolizione dell’ergastolo, e quindi non ci abbiamo creduto abbastanza, non abbiamo avuto abbastanza coraggio. Ma poi un pensiero fisso ce l’abbiamo, ed è quello che ci spinge a fare comunque qualcosa: non vogliamo abbandonare quelle famiglie, non vogliamo far perdere loro la speranza". I pronotori dell’iniziativa vogliono dar vita a un Osservatorio, su modello di quello sui suicidi, per vigilare sui trasferimenti da un carcere all’altro nei circuiti di Alta Sicurezza; per mettere sotto controllo le continue limitazioni ai percorsi rieducativi che avvengono nelle sezioni AS (poche attività, carceri in cui non viene concesso l’uso del computer, sintesi che non vengono fatte per anni); per monitorare la concessione delle declassificazioni, che dovrebbe essere, appunto, non vincolata a relazioni sulla pericolosità sociale che risultano spesso stereotipate, con formule sempre uguali e nessuna possibilità, per la persona detenuta, di difendersi da accuse generiche e spesso prive di qualsiasi riscontro. "Di tutto questo vorremmo parlare il 20 gennaio a Padova", conclude il comunicato, "ma non chiediamo semplicemente di aderire a una nostra iniziativa. Vi chiediamo di promuovere con noi questa Giornata, di lavorare per la sua riuscita, di prepararla con iniziative anche in altri luoghi e altre date, e soprattutto di fare in modo che non finisca tutto alle ore 17 del 20 gennaio, ma che si apra una stagione nuova in cui lavoriamo insieme perché finalmente "i tempi siano maturi" per abolire l’ergastolo e pensare a pene più umane". Alla Giornata hanno già dato la loro adesione l’ex ministro Giovanni Maria Flick, l’ex magistrato Gherardo Colombo, il sottosegretario Gennaro Migliore e molti altri. Prescrizione e indagine breve, riforma ancora in stand by Il Sole 24 Ore, 7 dicembre 2016 Doveva essere una delle riforme più qualificanti del governo Renzi ma, pur a un passo dal traguardo, è stata bloccata in attesa del referendum e ora il suo destino è più che mai incerto. La riforma del processo penale (con le norme su prescrizione e intercettazioni, sull’ "indagine breve", sull’aumento delle pene per furti e scippi, sul nuovo ordinamento penitenziario) aveva persino ottenuto l’ok di avvocati e dell’Anm (salvo qualche piccola modifica) ma tanto non è bastato a toglierla dal binario morto in cui il premier Renzi l’ha messa in attesa del referendum, per allontanare il rischio di trappole al governo, anche con il voto di fiducia, da parte di una maggioranza divisa sul Ddl. Inutile il pressing del ministro della Giustizia Andrea Orlando, convinto di poter superare la prova del voto. Tra l’altro, il Ddl contiene varie norme di delega (anche sulle intercettazioni) che quindi vanno poi attuate con decreti legislativi del governo. Giustizia penale, colpa medica, ius soli: tante le leggi nel limbo L’Unità, 7 dicembre 2016 Con la fine del governo rischio stop e oblio per provvedimenti anche di forte impatto sociale, culturale e ambientale. Molti fermi al Senato Adr. Corn. Addio riforma della pubblica amministrazione, frenata brusca per quella della giustizia penale. Fiato sospeso per la revisione della colpa medica e l’argine ai costi esorbitanti della medicina difensiva. Rischio oblio per lo stop alla cementificazione del suolo. Insomma se alcuni traguardi storici sono raggiunti, vedi la legge sulle Unioni civili, diversi provvedimenti emblematici del governo Renzi rischiano ora di rimanere zoppi, se non di finire affossati. Così come altre leggi che avrebbero potuto avere una forte eco sociale: da quella contro il bullismo sul web a quella per il doppio cognome ai figli. La fine del governo Renzi dopo 1.017 giorni si traduce nell’arresto dell’iter per tutta una serie di interventi legislativi. Che ora sperano in un esecutivo di transizione, le cui priorità però rimangono un’incognita. A oggi, il dato di fatto è il rischio che cadano nel dimenticatoio vari interventi di immediato impatto sociale, che avrebbero permesso di recuperare ritardi storici del Paese sul fronte dei diritti. Due anni fa la Camera ad esempio aveva approvato la legge sul doppio cognome ai figli. Rafforzato dalla recente sentenza della Consulta sul via libera al cognome materno per la prole, il provvedimento aveva appena ritrovato un clima favorevole e ora rischia di trovarsi surclassato dalle emergenze di un contesto politico in piena evoluzione. Così come la legge contro il cyberbullismo, da poco licenziata dalla Camera (oggetto di dibattito per le modifiche e l’estensione di alcuni provvedimenti anche ai maggiorenni) e quella per la legalizzazione della Cannabis, rimasta in commissione alla Camera. Il nuovo fiato dato dalla vittoria del No a Lega e M5S rende poi più che in salita il cammino della legge sullo Ius Soli per la cittadinanza ai ragazzi nati in Italia da genitori stranieri: un traguardo di civiltà e solidarietà sfumato. Sul fronte ambientale, rimane a metà strada lo stop al cemento selvaggio (in attesa del via libera del Senato, dopo quello della Camera a maggio), in un Paese purtroppo ad altissimo tasso di consumo di suolo. Ma anche la legge per salvare i paesini a rischio spopolamento, e sempre per la navetta tra i due rami del Parlamento: la Camera ha già detto sì, il testo è fermo al Senato. Più complicato l’iter per la riforma della governance dei parchi, passata al Senato ma non ancora alla Camera e comunque osteggiata da una serie di associazioni ambientaliste. Proprio ieri poi dopo diversi rinvii avrebbe dovuto riprendere l’iter al Senato per il testo sulla responsabilità dei medici, relatore Federico Gelli, responsabile Sanità del Pd. Regolare in modo nuovo la colpa medica aveva l’obiettivo di porre un argine alla crescita esponenziale della medicina difensiva, con le sue ricette spesso inutili a scopo precauzionale, e i conseguenti costi a carico del sistema sanitario. Con già sette articoli approvati su tredici, la novità era davvero in dirittura d’arrivo. Tutto rinviato. Proprio oggi poi sempre a palazzo Madama era prevista la discussione del ddl del governo di riforma del processo penale. Riforma annunciata da Renzi già nel 2015, per garantire tra l’altro la durata ragionevole dei processi, il ddl punta a modificare anche le norme su prescrizione e intercettazioni. Dopo un lungo confronto con l’Anm, il Guardasigilli Andrea Orlando aveva convinto l’associazione ora guidata da Piercamillo Davigo a pronunciarsi per un’accelerazione dell’esame al Senato. Slittata a dopo il referendum per posizioni diverse all’interno della stessa maggioranza, ora con la brusca fine del mandato rimangono sospese l’inasprimento delle pene per il reato di scambio elettorale politico-mafioso (reclusione da sei a dodici anni, invece dei quattro-dieci attuali) e per alcuni reati contro il patrimonio molto sentiti dall’opinione pubblica come il furto m abitazione e con strappo, il furto aggravato e la rapina. Furbetti e ricollocamento Orlando non è l’unico ministro a vedere il proprio principale obiettivo azzoppato. Marianna Madia ha dato il volto alla legge delega per la riforma della pubblica amministrazione. Il colpo inflitto dalla Consulta il 24 novembre - quando ha dichiarato incostituzionale la riforma perché prevedendo solo un "parere" della Conferenza Stato Regioni violava l’autonomia delle Regioni - era già di per sé difficile da riassorbire. Ora si dovrà cercare la volontà politica comune per riformulare la legge delega puntando all’intesa" vincolante con le Regioni in un contesto del tutto diverso. Nel limbo finiscono così alcuni degli interventi più radicali, a cominciare da quelli sulle partecipate e sui dirigenti. Più diretto l’effetto del referendum sul Jobs Act. La vittoria del No fa sì che il ricollocamento rimanga oggetto di legislazione concorrente tra Stato e Regioni, il primo non potrà dunque intervenire in prima persona, come invece prevedeva il Jobs Act con l’istituzione del portale nazionale delle politiche del lavoro. "Giustizia come servizio? Utopia, senza noi avvocati" di Giovanni M. Jacobazzi Il Dubbio, 7 dicembre 2016 Intervista a Remo Danovi, presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano. Fra i destinatari degli attestati di benemerenza che verranno conferiti nell’odierna ricorrenza di Sant’Ambrogio, figura per la prima volta l’Ordine degli avvocati di Milano. Il prestigioso riconoscimento vuole premiare l’impegno dell’avvocatura milanese nel buon funzionamento della giustizia, rivelatosi particolarmente prezioso come risposta alla esigenza d’informazione e orientamento legale. Abbiamo intervistato il presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, il professor Remo Danovi. Presidente, sono giorni importanti per l’avvocatura milanese. Oggi la cerimonia per il conferimento della civica benemerenza, la settimana prossima il convegno nell’aula magna del Palazzo di giustizia per il decennale del processo civile telematico che, proprio a Milano mosse i primi passi. Quando mi sono laureato, negli anni Sessanta, non avevamo neppure le fotocopie. O il nastro adesivo per unire due documenti in un fascicolo. Io, come tutti i colleghi, andavamo in cancelleria, recuperavamo l’atto, lo trascrivevamo a mano e poi, tornati in studio, lo facevamo battere a macchina dalla segretaria. Se poi bisogna inviarlo, magari a Roma da un collega, si utilizzava la posta che impiegava una settimana. Adesso, grazie alla tecnologia, in tempo reale si possono depositare atti e prenderne visione. Un progresso tecnologico enorme che noi avvocati abbiamo condiviso fin da subito. Un aiuto alla giustizia e soprattutto ai cittadini? Certo. La velocità che ha portato tale sistema è fondamentale per rispondere alle esigenze dei cittadini e al loro bisogno di avere giustizia in tempi rapidi. L’avventura telematica, dalla carta al digitale, ha segnato una svolta nella giurisdizione? Si è trattato di un radicale cambio culturale di cui siamo orgogliosi, e rispetto al quale giochiamo un ruolo da protagonisti. Il presidente della Corte d’Appello di Brescia, Claudio Castelli, intervistato dal Dubbio, ha però evidenziato come ancora oggi molti avvocati non siano pienamente padroni delle nuove procedure. Cosa risponde? Il discorso merita un approfondimento. In effetti ci sono fra alcuni colleghi delle incertezze nell’approccio alle nuove tecnologie. I giovani avvocati non hanno questi problemi essendo cresciuti in un mondo in cui l’informatica aveva già raggiunto il suo completo sviluppo. Delle criticità ci sono fra gli avvocati più anziani con un piccolo studio. Che sono oggi davanti ad un bivio. E cioè, o procedere ad una radicale e faticosa riconversione digitale, oppure entrare in uno studio più grande e sopperire così alle inevitabili difficoltà. Sempre in tema di processo civile telematico, una delle principali criticità è la lettura a video. Criticità particolarmente sentita in caso di atti con decine di pagine. Quale è la sua opinione? Come Ordine di Milano abbiamo già effettuato diversi incontri in Corte d’Appello e in Tribunale per pianificare dei protocolli relativi alle modalità di stesura e composizione degli atti. Gli avvocati, però, devono essere consapevoli che sul punto non vale la massima di Plinio, adduci tante circostanze, una poi andrà bene. La sintesi è oggi un requisito fondamentale da cui non si può prescindere. Parliamo di risorse economiche. Il contributo dell’avvocatura milanese allo sviluppo del processo civile telematico è molto rilevante. Diversi i milioni di euro investiti fino ad oggi. È giusto che l’Ordine spenda le proprie risorse per sopperire alle carenze dell’amministrazione statale? Sul punto vorrei fare una precisazione: Noi stiamo sostenendo le spese dei punti informazione per magistrati e avvocati. Contribuiamo anche al pagamento del personale che gestisce alcune fasi del processo. Diciamo che abbiamo gestito l’emergenza. Le attività strutturali del sistema giustizia non dovrebbero essere a nostro carico. Noi siamo intervenuti perché altrimenti non decollava nulla. Ora, però, una riflessione va fatta. Non possiamo continuare così. E infatti, già per il prossimo anno, abbiamo previsto dei tagli di spesa. Molto chiaro. E sulla formazione? Anche su questo aspetto abbiamo fatto investimenti cospicui. Vorrei aggiungere una cosa. Prego. Il nostro obiettivo è una giustizia senza processo. Il tema del congresso di Rimini. Abbiamo già accordi fra le parti che hanno valore di giudicato. Bisogna tendere una giurisdizione forense alternativa. Che snellisca le procedure e agevoli il cittadino. È questo il nostro futuro Delibera Csm, al via un focus su antimafia e anticorruzione L’Unità, 7 dicembre 2016 Un lavoro "ad hoc" su antimafia, antiterrorismo e anticorruzione e quello che la sesta commissione del Csm si appresta a fare, date le nuove competenze su queste materie che le sono state assegnate quest’anno. Con una delibera approvata ieri il plenum, di cui sono stati relatori il presidente della commissione Ercole Aprile e il togato di Area Antonello Ardituro, è stato fissato un vero e proprio programma di lavoro: per quanto riguarda il contrasto alla criminalità organizzata, Palazzo dei Marescialli ha intenzione di dedicare un "focus di approfondimento" al tema della "aggressione ai patrimoni illeciti nel processo penale e nelle misure di prevenzione", mentre sulla lotta al terrorismo, verificherà il "nuovo assetto del coordinamento investigativo interno" dopo l’istituzione della nuova competenza della procura nazionale antimafia e antiterrorismo, e l’effettività della Delibera Csm, al via un focus su antimafia e anticorruzione cooperazione e del coordinamento internazionale, in particolare sulle attività di eurojust e sullo stato di attuazione del progetto di istituire la procura europea. Sul tema della corruzione e dei reati contro la Pubblica Amministrazione, il Csm approfondirà il rapporto tra prevenzione e strumenti di repressione e fra autorità anticorruzione e procure della Repubblica, in particolare sullo scambio e sull’interazione tra le diverse istituzioni. Attenzione, poi, sarà dedicata alle tematiche dell’impatto che la gestione dei collaboratori di giustizia e dei maxiprocessi hanno sugli uffici distrettuali. Un approfondimento, inoltre, riguarderà il "rapporto di interferenza e reciproca influenza" del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e la corruzione. La sesta commissione, dunque, organizzerà giornate di lavoro: ci sarà maggiore collaborazione con la Scuola superiore della magistratura per la formazione permanente dei magistrati, verranno acquisiti ed elaborati dati statistici, saranno sentiti magistrati e altri soggetti istituzionali. Uno degli obiettivi, infatti, è anche arrivare a "proposte normative" come ha sottolineato il vice presidente del Csm, Giovanni Legnini, è migliorare l’assetto organizzativo degli uffici. Infine, in attuazione di una delibera votata nel 2013, la sesta commissione intende dedicare una volta l’anno (in una data compresa tra il 23 maggio, anniversario della strage di Capaci, e il 19 luglio, anniversario della strage di via D’Amelio) una sessione di lavori di Plenum a una "riflessione sulle tematiche ordinamentali e organizzative" in materia di contrasto alla criminalità manosa. Uno degli obiettivi, è quello di arrivale a "proposte normative". Mafia Capitale, Minniti in udienza: "Nessun rapporto tra servizi segreti e Carminati" di Carlo Bonini La Repubblica, 7 dicembre 2016 Il sottosegretario all’intelligence era stato convocato dall’avvocato del principale imputato del processo, l’ex Nar che, dopo aver ribadito di "non rinnegare nulla della sua vita", ha invitato il pm a non fargli "lezioni di morale". Nell’aula del processo Mafia Capitale, Massimo Carminati lavora alla consapevole e studiata demolizione dell’epica criminale - "leggenda metropolitana", dice lui - che lo ha reso ciò che è stato fino a oggi. Posa ad agnello tra lupi e sciacalli. Torna ad attaccare - stavolta senza citarlo esplicitamente - il lavoro giornalistico del Gruppo Espresso. E per questo, la sua difesa chiama sul banco dei testimoni il senatore Marco Minniti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla Sicurezza nazionale. Per lui, l’avvocato Giosuè Naso ha una sola domanda. "Lei mi deve scusare, senatore, se oggi, sollecitando la sua deposizione in quest’aula, l’ho strappata ai suoi impegni istituzionali. Ma con lei vorrei provare a sciogliere un luogo comune e sgomberare il campo da suggestioni alimentate da alcuni articoli di giornale deliranti. Le voglio chiedere: lei è nelle condizioni di affermare o smentire che Massimo Carminati abbia avuto o abbia rapporti con i nostri Servizi segreti?". La risposta di Minniti è definitiva. "Dall’istruttoria condotta con la nostra Intelligence, escludo che Massimo Carminati abbia avuto nel tempo, o abbia oggi, rapporti con i Servizi segreti italiani". Naso sorride e con gesto teatrale si congeda. "Grazie senatore. Presidente, non ho altre domande". Potrebbe finire qui l’udienza. Con una testimonianza utile a Carminati nel fulminare l’argomento che lo vuole tutt’oggi custode di segreti inconfessabili della storia repubblicana e dunque forte di una formidabile capacità di ricatto. Ma qui non finisce. Perché le domande dell’avvocato Giulio Vasaturo, parte civile per conto di "Libera", e del pm Luca Tescaroli accenderanno rapidamente la furia e gli epiteti dell’avvocato Naso e solleciteranno lo stesso Carminati a chiedere il tempo per nuove dichiarazioni spontanee. Vasaturo sollecita Minniti. "Cosa intende senatore quando esclude rapporti tra Carminati e i Servizi?". "Che non risultano rapporti con le nostre tre agenzie operative". L’avvocato insiste: "Esclude anche che Carminati possa essere stato fonte dei nostri Servizi?". "Nel momento in cui dico che non ha avuto e non ha rapporti escludo anche che possa esserne stato una fonte informativa". Vasaturo prova allora a prenderla da un’altra parte: "Esclude anche che possa aver avuto rapporti con settori deviati dei Servizi?". L’avvocato Naso salta su come una molla. "È inammissibile - grida - questa domanda è inammissibile". Il Tribunale accoglie l’obiezione. Vasaturo prova a riformulare: "Le risulta che Carminati abbia avuto rapporti con il Sismi di Pazienza, Musumeci, Santovito? E che…". Non ha il tempo di concludere. Naso torna ad investirlo con furia. "Ma che cosa sta dicendo? - urla - Quello che sta affermando è smentito da sentenze passate in giudicato". Il tribunale torna a ritenere la domanda inammissibile. Minniti viene congedato e Vasaturo torna a prendere posto nel banco delle parti civili. Ma il nervo scoperto è stato toccato. Come dimostra lo scontro che si accende sulla deposizione dell’uomo che prende il posto di Minniti sul banco dei testimoni, Lorenzo Alibrandi, fratello di quell’Alessandro già militante dei Nar indicato come l’assassino di Walter Rossi, ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia nel 1981, e amico fraterno di Carminati nella stagione dell’eversione armata nera. Da Lorenzo Alibrandi, a sua volta indagato nel processo Mafia Capitale (anche se per lui la Procura ha chiesto recentemente l’archiviazione), il pm Tescaroli vuole sapere dei rapporti tra il fratello Alessandro e Carminati. Chiarire la sostanza e la continuità di un sistema di relazioni ‘nerò che, trent’anni dopo, si è fatto associazione criminale e strumento di corruzione con la ditta Carminati-Buzzi. Lorenzo Alibrandi, che dell’amicizia di Buzzi e Carminati aveva goduto i vantaggi con la sua onlus ‘Piccoli passì, minimizza: "Che le devo dire dell’amicizia tra mio fratello Alessandro e Massimo Carminati? Terroristi? Io direi che erano ragazzi. Avevano vent’anni. Facevano le vacanze insieme con le fidanzate. Certo, mi ricordo delle scenate di mio padre, che faceva le 5 di mattina e diceva a mio fratello: ‘Hai 17 anni e già 14 procedimenti penali… Che fine vuoi fare?’. Io, nelle storie dei processi di mio fratello non ho mai voluto sapere". Dove voglia arrivare la pubblica accusa è chiaro. E, ad esplicitarlo, ci pensa il controesame della parte civile. L’avvocato Giulio Vasaturo torna a illuminare l’opacità delle relazioni di Carminati con uomini delle istituzioni ed evoca, senza citarle, due audizioni di fronte al Csm del marzo e del giugno 1980, quando l’allora pm di Roma Mario Amato denunciò le forti pressioni subìte dall’allora giudice Antonio Alibrandi, padre di Lorenzo e Alessandro, per condizionare l’inchiesta che Amato stava conducendo sui Nar e che gli sarebbe costata la vita (Amato fu ucciso dai Nar il 23 giugno 1980). Chiede a Lorenzo Alibrandi: "La sua amicizia con Massimo Carminati era condivisa anche da altri componenti della sua famiglia?". "Sì". "Parliamo di sua sorella, sua madre e suo padre?". "Soprattutto di mio padre e mia madre. Massimo era spesso a casa nostra". "Che mestiere faceva suo padre?". "È andato in pensione come giudice di Cassazione". "Tra il ‘79 e l’81, che lei sappia, suo padre è mai intervenuto presso qualche suo collega". L’avvocato Giosué Naso esplode. "C’è opposizione a questa domanda!". Vasaturo insiste: "La domanda è rilevante. È utile capire se i rapporti tra Lorenzo Alibrandi e la sua ‘Piccoli passi onlus’ abbiano altre motivazioni…". Naso, che per altro è anche legale di Lorenzo Alibrandi, perde la testa. Investe di epiteti Vasaturo nel silenzio di un’aula dove non è nuovo a questo genere di aggressioni e dove tuttavia nessuno sembra avere la forza di mettere un punto a questo tipo di spettacolo. "Tu ti devi solo vergognare a dire queste stronzate! - grida Naso a Vasaturo - Ti devi solo vergognare! Perché sei un cialtrone! E mi assumo la responsabilità di quello che dico. L’avvocato Vasaturo è un cialtrone!". Il presidente, Rossana Ianniello, avvisa che quanto sta ascoltando verrà messo a verbale. Quindi, accoglie l’opposizione di Naso. Domanda inammissibile. Vasaturo si siede. E si alza Carminati. Dal carcere di Parma, dove è collegato in video-conferenza, vuole chiudere l’udienza con parole che rendano esplicito con quale spartito si prepari a giocare l’ultimo miglio di un processo che sta per entrare nella sua fase conclusiva. Dove tra un reato di associazione mafiosa e uno di semplice associazione a delinquere balla una differenza di almeno una decina di anni di carcere. E, dunque, la prospettiva, per un uomo che ha superato i 60, di avere o meno ancora un tratto di vita da uomo libero. "Non rinnego nulla della mia vita - esordisce Carminati - E soprattutto non rinnego l’amicizia con Alessandro Alibrandi. La mia vita è stata quel che è stata ma io ho sempre pensato che è meglio avere un’idea sbagliata che nessuna idea, come capita a tanti oggi". Quindi, senza prendere fiato: "Il pm Tescaroli può chiedere l’ergastolo per me. Io ammiro la sua cattiveria professionale però non me deve fa la morale. Io non ho mai fatto la morale a nessuno. Non mi sono lamentato quando agenti di polizia mi hanno sparato in faccia, abbattuto in mezzo alla strada, mentre ero disarmato (il riferimento è allo scontro a fuoco del 20 aprile del 1981 quando, al valico del Gaggiolo, mentre cercava di fuggire all’estero con altri esponenti dei Nar, perse un occhio, ndr). Non mi sono costituito neanche parte civile nei confronti degli agenti che mi hanno sparato, perché ho riconosciuto il loro diritto a spararmi, in quel contesto storico-politico. Chi non sa quel che è accaduto in quegli anni, prima di parlare dovrebbe informarsi". È un modo per rivendicare orgogliosamente un passato di cui Carminati non accetta riletture a posteriori, al punto da irriderle con sarcasmo. "Forse per chiedere conto dei miei contatti con i servizi segreti, dovevate rivolgersi al sottosegretario ai servizi segreti deviati e non al senatore Minniti. Ma questa è una battuta. Lo dico per i giornali. È solo una battuta. Perché sono da anni vittima di leggende metropolitane, alimentate dalla stampa. Per troppo tempo sono stato zitto ed ho sbagliato perché dovevo confutare ogni accusa a mio carico. Anche quando mi hanno accusato di aver ammazzato il banchiere Calvi. Mi scusi, presidente, se mi sono dilungato, ma non ho parlato per quarant’anni". L’udienza si chiude. Carminati continua dunque a parlare (è accaduto con regolarità nelle ultime udienze). Ma con "dichiarazioni spontanee". E questo non aiuta ancora a dare una risposta alla domanda che dall’inizio di questo processo si porta dietro il dibattimento e che potrebbe, in un senso o in un altro, determinarne almeno in parte l’esito. Carminati parlerà anche quando si tratterà di dare delle risposte a delle domande? O, come è suo diritto e come a quanto si capisce preferirebbe il suo avvocato, sceglierà di sottrarsi all’esame di pubblica accusa e parti civili? Inutilizzabili le indagini difensive presentate dopo la richiesta del rito abbreviato di Patrizia Maciocchi Il Sole 24 Ore, 7 dicembre 2016 Corte di cassazione - Sezione IV - Sentenza 6 dicembre 2016 n. 51950. Non possono essere acquisite le indagini difensive presentate dopo la richiesta di giudizio abbreviato. La Corte di cassazione, con la sentenza 51950 depositata ieri, respinge il ricorso teso a contestare l’ordinanza con la quale il giudice di primo grado aveva respinto la richiesta di considerare le informazioni assunte dal difensore in sede di indagine difensiva. Alla base del no il tempo della domanda, arrivata dopo la richiesta di rito abbreviato e anche lo scopo: smentire il contenuto di un verbale di accertamento della violazione per guida in stato di ebrezza, un atto pubblico che fa fede fino a querela di falso. La questione posta all’attenzione della Suprema corte riguarda il coordinamento del generale principio della continuità investigativa, valido anche per la parte privata, con l’altrettanto generale principio del giudizio abbreviato caratterizzato dalla rinuncia del diritto alla prova. I giudici della Quarta sezione penale specificano che le indagini difensive sono di per sè compatibili con il rito abbreviato. La Corte costituzionale ha, infatti, affermato l’utilizzabilità, ai fini della decisione, delle indagini del difensore nel procedimento speciale previsto dagli articoli 438 e seguenti del codice di rito. La Suprema corte ricorda che la difesa, in forza dell’articolo 391-bis introdotto proprio dalla legge 397 del 2000 (disposizioni sulle indagini difensive) ha la facoltà di raccogliere in ogni stato e grado del procedimento elementi in favore dell’imputato, per poi produrli davanti al giudice, anche in sede di giudizio abbreviato. Il problema sono i tempi. Secondo la Cassazione, da una lettura coordinata delle norme dettate dal codice di rito, si evince che il difensore ha la facoltà di presentare i risultati delle sue investigazioni nel corso dell’udienza preliminare, fino all’inizio della discussione (articolo 421 del Codice di procedura penale) quindi entro il termine che coincide con la richiesta di rito abbreviato. Ne consegue - precisa la Corte - che il lavoro "investigativo" del difensore, se presentato prima della richiesta del rito speciale, può essere valutato in funzione di tutte le decisioni che il giudice è chiamato ad assumere nel corso dell’udienza preliminare, comprese le decisioni e le pronunce che definiscono il procedimento attraverso il modulo alternativo dell’abbreviato. Quando il deposito delle indagini difensive avviene nel corso delle indagini preliminari il pubblico ministero ha la possibilità di riequilibrare il "quadro probatorio" procedendo al necessario supplemento investigativo (articolo 419 comma 3 del codice di rito. Se i risultati dell’"inchiesta" della difesa vengono invece prodotti all’udienza preliminare, il Pm ha diritto ad un rinvio dell’udienza per avere il tempo di bilanciare l’impianto accusatorio con le novità introdotte dalla difesa. La conclusione raggiunta - sottolinea la Cassazione - non mette in discussione il carattere fondamentale del giudizio abbreviato, salvando al tempo stesso anche il principio del contraddittorio. Sequestro solo con danni ad ambiente o paesaggio di Giulio Benedetti Il Sole 24 Ore, 7 dicembre 2016 La Corte di cassazione, con la sentenza 50336/2016, ha annullato con rinvio un’ordinanza che aveva rigettato il riesame del decreto di sequestro preventivo, per violazione delle norme penali edilizie e paesaggistiche, di un manufatto adibito a bed & breakfast e realizzato in una zona vincolata paesaggistica, dichiarato di notevole interesse pubblico. Per mantenere la validità del decreto non basta dimostrare e sostenere l’entità delle opere abusive edilizie realizzate, ma anche la loro incidenza nelle diverse matrici ambientali ovvero il loro impatto nelle zone oggetto di particolare tutela paesaggistica. La Corte in particolare afferma che "un giudizio di sussistenza del periculum in mora non può essere ancorato, in via semplicistica, al mancato completamento dell’intervento edilizio o di trasformazione del territorio, e quindi all’incidenza dell’opera nel paesaggio, inteso come forma visibile del territorio, ma deve piuttosto essere considerata la compromissione ambientale, in relazione alle matrici ambientali interessate ed alle specifiche aree tutelate". La Corte conclude che "le nozioni di stretta pertinenza edilizia ed urbanistica (quali "superficie utile" o "volumetria realizzata", e quindi "carico urbanistico") non possono connotare, per ciò solo, anche il giudizio sui requisiti del periculum in mora, afferente la compromissione ambientale e paesaggistica". L’articolo 146, comma 9, del Dlgs 42/2004 prevede che con regolamento siano stabilite procedure semplificate per l’autorizzazione per interventi di lieve entità. Il Dpr 139/2010 li consente su aree o immobili sottoposti alle norme di tutela se non comportano alterazione dei luoghi o dell’aspetto esteriore degli edifici. Il Dl 40/2010 limita tale liberalizzazione facendo salve le più restrittive leggi regionali, le prescrizioni degli strumenti urbanistici, le norme di settore incidenti sull’attività edilizia, le norme antisismiche, di sicurezza ed antincendio, igienico-sanitarie, di efficienza energetica e il Codice dei beni culturali e del paesaggio (Dlgs 42/2004). Reato di resistenza a pubblico ufficiale: presupposti applicativi Il Sole 24 Ore, 7 dicembre 2016 Circolazione stradale - Guida in stato di ebbrezza - Controlli sanitari - Spinta a carabiniere che impediva l’uscita dall’ospedale - Reato ex art. 337 c.p. - Atti arbitrari del pubblico ufficiale - Cause di non punibilità ex art. 393 bis c.p. -Sussistenza. È escluso il reato di resistenza a pubblico ufficiale, ricorrendo l’esimente di cui all’art. 393 bis c.p., ogni qualvolta il pubblico ufficiale ecceda con atti arbitrari i limiti delle proprie attribuzioni ponendo in essere una condotta che, per lo sviamento dell’esercizio di autorità rispetto allo scopo per cui la stessa è conferita o per le modalità di attuazione, risulta oggettivamente illegittima, non essendo di contro necessario che il soggetto abbia consapevolezza dell’illiceità della propria condotta diretta a commettere un arbitrio in danno del privato. Secondo i giudici tale indirizzo, espresso già precedentemente, vale almeno allorché la condotta illegittimamente posta in essere impedisce l’esercizio di diritti soggettivi di rango primario, come quello desumibile dall’art. 32, secondo comma, della Costituzione, di non essere sottoposto a trattamenti sanitari, salvo i casi espressamente previsti dalla legge. (Nel caso di specie i giudici hanno escluso che fosse stato integrato il reato di resistenza a pubblico ufficiale in quanto il soggetto prima di colpire il carabiniere, che gli impediva di uscire dall’ospedale, ferendolo lievemente al labbro era già stato sottoposto ai prelievi e nessun elemento addotto era chiaramente indicativo della volontà di sottrarsi a ulteriori controlli finalizzati alle indagini penali. Infatti, sostengono i giudici, la sottoposizione ai controlli finalizzati all’approfondimento delle indagini penali per i reati di guida sotto l’influenza dell’alcol e di guida in stato di alterazione per uso di sostanze stupefacenti non può essere imposta coattivamente, ma solo indirettamente, come confermano l’articolo 186 c.d.s, comma 7, e articolo 187 c.d.s comma 8, posto che entrambi rispettivamente l’uno per la prima e l’altro per la seconda fattispecie di reato prevedono una sanzione penale in caso di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti). • Corte cassazione, sezione VI, sentenza 17 ottobre 2016 n. 43894. Resistenza a pubblico ufficiale - Arresti domiciliari - Opposizione all’accertamento delle forze dell’ordine - Sussistenza del reato di resistenza a pubblico ufficiale. La condotta del soggetto sottoposto agli arresti domiciliari che all’atto di accertamento dei carabinieri si oppone, congiuntamente ad altre persone, per non far entrare le forze dell’ordine all’interno dell’abitazione, obbligando gli stessi ad allontanarsi dal luogo dove stavano svolgendo il controllo, integra pacificamente il reato di cui all’art. 337 c.p. con conseguente esclusione della causa di non punibilità di cui all’art. 393 bis c.p. • Corte cassazione, sezione VI, sentenza 3 giugno 2016 n. 23270. Resistenza a pubblico ufficiale - Atti arbitrari del pubblico ufficiale - Configurabilità - Presupposti. Costituisce condotta arbitraria del pubblico ufficiale quella ingiustamente persecutoria e che fuoriesce del tutto dalle ordinarie modalità di esplicazione dell’azione di controllo e prevenzione demandatagli nei confronti del privato destinatario: integrano la fattispecie anche i casi in cui il pubblico ufficiale abbia consapevolmente travalicato i limiti e le modalità entro cui le funzioni pubbliche devono essere esercitate o abbia posto in essere attività palesemente sproporzionata rispetto alla finalità perseguita. • Corte cassazione, sezione VI, sentenza 19 aprile 2016 n. 16101. Mancato rispetto di posto di blocco - Lesioni personali - Resistenza a pubblico ufficiale - Sussistenza. Integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale la condotta di colui che, per sottrarsi alle forze di polizia, non si limiti alla fuga in macchina, ma proceda a una serie di manovre finalizzate a impedire l’inseguimento, così ostacolando concretamente l’esercizio della funzione pubblica e ponendo deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida obiettivamente pericolosa, l’incolumità degli agenti inseguitori o degli altri utenti della strada. • Corte cassazione, sezione VI, sentenza 27 aprile 2016 n. 17378. Resistenza a pubblico ufficiale - Violenza sulle cose - Esclusione per mancata prova di volontaria aggressione dei beni - Configurazione mancata collaborazione dell’imputato. Il reato di resistenza a pubblico ufficiale può essere integrato anche nel caso di violenza sulle cose, ove finalizzata ad opporsi al compimento da parte del pubblico ufficiale di un comportamento doveroso. (Nel caso di specie, secondo i giudici, poiché, non sussiste prova di una volontaria aggressione dei beni per operare un diretto condizionamento dell’azione degli agenti, ponendo in essere così una diretta condotta oppositiva, deve escludersi la natura violenta dell’azione e concludersi che questa si sia risolta in una mancata collaborazione non sufficiente ad integrare il reato). • Corte cassazione, sezione VI, sentenza 10 febbraio 2015 n. 6069. Cagliari: Igor e i suicidi in carcere. Caligaris (Sdr): "in cella le persone fragili sono sole" di Francesca Mulas Sardiniapost.it, 7 dicembre 2016 "Se questo ragazzo si è ucciso la colpa è di un intero sistema che non lo ha protetto: a prescindere dal crimine per cui una persona è in carcere non dovrebbe essere abbandonata a se stessa ma aiutata e sostenuta". Maria Grazia Caligaris, da anni accanto alle persone che vivono situazioni di disagio e difficoltà come presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, commenta con amarezza il suicidio di Igor Diana, il giovane che nel maggio scorso ha ucciso i suoi genitori adottivi prima di essere arrestato durante un tentativo di fuga. Igor, 28 anni compiuti in carcere, si è impiccato ieri pomeriggio nella sua cella con i lacci delle scarpe. Era rimasto solo dopo aver avvisato il compagno di stanza che lo avrebbe raggiunto dopo pochi minuti al cineforum, e quando gli agenti lo hanno trovato era ormai privo di vita. Ci si interroga ora sullo stato psicologico del giovane: aveva già dato segnali sulle sue intenzioni di togliersi la vita? Era seguito da uno specialista? Il suicidio poteva essere evitato? "Il caso del giovane Diana conferma ancora una volta che il sistema penitenziario italiano è sbagliato - afferma Caligaris - questo ragazzo si è trovato isolato da tutti e senza alcun sostegno, mentre la società e i media ne avevano già decretato la condanna. Non giudichiamo un reato così efferato, sul quale c’era ancora un’indagine in corso, ma è certo che non si possono tenere le persone così, tutte insieme in una stessa struttura dove convivono tossicodipendenti, detenuti per piccoli reati e omicidi, persone già condannate o persone in attesa di giudizio, ognuno con un vissuto diversissimo. Igor era immerso in una fragilità estrema, acuita dalla situazione che aveva vissuto in orfanotrofio, e in carcere si è trovato completamente solo. Mi viene in mente quello che è successo in Norvegia per Anders Breivik, il responsabile della strage di Utoya del 2011: è stato condannato a 21 anni di carcere ma è costantemente seguito da una equipe di psichiatri e i suoi diritti in carcere sono rispettati. Questo da noi non succede, e un suicidio come questo conferma che non ci prendiamo cura dei detenuti più fragili". Il suicidio di Igor non era prevedibile, ma gli avvocati Antonella Marras e Federico Aresti hanno sempre sostenuto che il giovane non poteva reggere il regime carcerario. Alle spalle c’era un’infanzia difficile e un presente tormentato da droghe e alcol: per questi motivi i legali avevano depositato in tribunale una perizia psichiatrica che sosteneva la seminfermità mentale. I compagni di carcere invece lo vedevano sereno: "Sono tutti molto scossi e sconcertati - sottolinea ancora Maria Grazia Caligaris, che questa mattina è stata in visita proprio nel carcere di Uta dove Igor era rinchiuso - e la convinzione diffusa è che il ragazzo aveva già da tempo scelto di togliersi la vita: sembrava tranquillo, quasi sereno nella consapevolezza della sua decisione". La morte di Igor Diana non è un caso isolato: già il 22 ottobre scorso, sempre a Uta, un altro giovane in attesa di giudizio aveva tentato il suicidio ed era poi morto in ospedale. Nel corso dell’anno ci sono stati altri tre tentativi: il più recente risale a 2 mesi fa, quando il responsabile dell’omicidio di Is Mirrionis ha cercato di uccidersi in cella, a Uta: dopo il ricovero in ospedale è stato riaccompagnato in carcere. Due i casi nel carcere di Bancali a Sassari: tra questi, il giovane 19enne che aveva massacrato la fidanzata con una spranga, ha tentato di impiccarsi nella cella di isolamento in cui era rinchiuso ma è stato soccorso dagli agenti. Nel 2015 in Sardegna si sono registrati 4 tentativi di suicidio: il 3 giugno 2015 un detenuto di 45 anni è stato soccorso prima di morire, il 22 dicembre gli agenti hanno sventato il terzo tentativo di un 29enne, tossicodipendente e con problemi psichici; a luglio due tentativi, nel carcere di Uta e in quello di Massama. In tutti i casi, i detenuti sono stati soccorsi, curati e poi riportati in cella. "Ci sono situazioni in cui l’intervento degli agenti è provvidenziale - conclude Caligaris - ma non sempre succede e non possiamo affidare al caso la salvezza di persone così fragili: mancano agenti, educatori, personale specializzato. La responsabilità di queste morti non è del singolo, ma di un intero sistema che avrebbe bisogno di essere rivisto in chiave umana e personale, non solo più come sistema di detenzione". Cagliari: Sappe "contro i suicidi servizio d’intervento efficace, salvati migliaia di detenuti" Ansa, 7 dicembre 2016 "Questo nuovo drammatico suicidio di un altro detenuto evidenzia come i problemi sociali e umani permangono nei penitenziari, lasciando isolato il personale di Polizia penitenziaria, che purtroppo non ha potuto impedire il grave evento, a gestire queste situazioni di emergenza. Il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri", lo ha dichiarato il segretario generale del sindacato autonomo Polizia penitenziaria Sappe, Donato Capece, all’indomani del suicidio, nel carcere di Cagliari-Uta, di un detenuto di 28 anni, di origini russe, da sette mesi in cella per avere ucciso nel maggio scorso i genitori adottivi. "Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un detenuto - ha sottolineato Capece - rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti". "Per queste ragioni - ha aggiunto - un programma di prevenzione del suicidio e l’organizzazione di un servizio d’intervento efficace sono misure utili non solo per i detenuti ma anche per l’intero istituto dove questi vengono implementati. È proprio in questo contesto che viene affrontato il problema della prevenzione del suicidio nel nostro Paese. Ma ciò non impedisce, purtroppo, che vi siano ristretti che scelgano liberamente di togliersi la vita durante la detenzione. Negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 19mila tentati suicidi ed impedito che quasi 145mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze". Pavia: tragedia in carcere, detenuto muore 4 ore dopo la visita medica di Adriano Agatti La Provincia Pavese, 7 dicembre 2016 Visitato in pronto soccorso viene dimesso e muore dopo alcune ore nell’infermeria del carcere di Torre del Gallo. Protagonista della drammatica vicenda è Luciano Finotti, un uomo che aveva 68 anni e abitava a Inverno e Monteleone. Era detenuto nel carcere di Pavia perché doveva scontare una condanna di sei anni di reclusione per una violenza sessuale ai danni di una ragazzina disabile. Per una beffa del destino sarebbe dovuto uscire dal carcere giovedì prossimo. Non ha avuto il tempo di riassaporare la libertà. La tragica vicenda è iniziata sabato mattina nel carcere di Torre del Gallo. Luciano Finotti era già molto malato e ha anche accusato problemi cardiaci. Si è sentito male mentre era in cella e il medico del carcere (erano di poco passate le dieci del mattino) ne ha disposto il trasporto al pronto soccorso dell’ospedale San Matteo. Luciano Finotti è stato caricato sull’ambulanza del 118 e, accompagnato da due agenti della polizia penitenziaria, è stato accompagnato in pronto soccorso. Qui è stato sottoposto a diversi esame come, ad esempio, ad un elettrocardiogramma. Accertamenti per verificare se ci fosse un infarto in corso in una situazione clinica già compromessa da altre patologie molto gravi. L’arrestato è rimasto a lungo in ospedale perché i medici volevano avere la sicurezza che non ci fossero gravi problemi cardiaci. Luciano Finotti è rimasto in pronto soccorso sino alle dieci e mezzi di sabato sera. Il medico di turno, dopo aver esaminato gli esiti degli esami, ha disposto il rientro nella struttura carceraria. La situazione sembrava essersi stabilizzata. Purtroppo non è stato così. Luciano Finotti al rietro in carcere è stato aggregato all’infermeria. E qui, verso le due e mezzo di notte, ha accusato un ennesimo malore. Questa volta decisamente più serio. Il personale sanitario di Torre del Gallo lo ha rianimato e, nel frattempo, è stato chiesto l’intervento del personale del 118. Sul posto sono intervenute sia l’automedica che l’ambulanza ma è stato inutile. Il medico non ha potuto far altro che constatare il decesso. Sul corpo del detenuto sarà eseguito un accertamento diagnostico per chiarire le cause del decesso. La polizia penitenziaria ha avvisato i parenti e il corpo sarà messo a disposizione dei familiari. L’Aquila: Uil-Pa "le celle dei detenuti più spaziose delle camere degli agenti penitenziari" primadanoi.it, 7 dicembre 2016 Un detenuto ristretto nel carcere de L’Aquila ha più spazio a disposizione nella sua cella rispetto a un agente nella sua camera. E non solo: a breve gli agenti corrono il rischio di dover pagare un affitto se vorranno conservare il loro posto letto. La denuncia è di Mauro Nardella, segretario generale Uilpa Polizia che cita la circolare Gdap Pu 146311 del 29 aprile scorso che stabilisce che l’Amministrazione Penitenziaria, anche per l’Istituto Aquilano, vorrebbe mettere mano nel portafoglio dei dipendenti anche se, alcuni agenti, sono loro malgrado costretti a dover far uso della caserma per poter garantire il servizio. Ad oggi gli agenti aquilani sono costretti a vivere, spesso in due ed in pochissimi metri quadrati. Spazio di sicuro inferiore rispetto a quello che ha portato la Corte europea per i diritti umani ad emanare una sentenza che sta di fatto prosciugando le casse statali a seguito delle continue richieste di risarcimento danni avanzate dai detenuti. L’Agente di Polizia Penitenziaria invece non solo non può chiedere il risarcimento ma deve addirittura pagare. Nardella ricorda che dopo il sisma del 2009 trovare un alloggio in affitto in un contesto come quello dove si trova la Casa Circondariale dell’Aquila più che difficile risulta impossibile. "L’Amministrazione Penitenziaria italiana", contesta il sindacato, "vorrebbe riscuotere pigioni anche da persone che, malgrado siano state martoriate nel corpo e nella mente da un così terribile evento, non esitano a garantire il proprio dovere in uno degli istituti di pena più pericolosi d’Italia con spirito di sacrificio ed innata abnegazione". Ma Nardella denuncia anche lo stato di autentico abbandono nel quale si trova l’attuale caserma: "ascensori non funzionanti, muri scrostati, servizi igienici scandalosi, manutenzione ordinaria del tutto assente". La Uil-Pa chiede dunque lo stralcio per tutti gli istituti penitenziari ricadenti nelle zone terremotate di quanto previsto dal Dpr del 15 novembre 2006, n. 314 ma anche l’ampliamento delle stanze e ripristino della normale vivibilità delle stesse con l’attivazione di tutte le procedure di manutenzione previste. E poi ancora il rispetto di tutte le condizioni previste dal d.lgs n.81/2008 in materia di salubrità e sicurezza. "Sin da ora che sino a quando non si avranno risposte risulta indetto lo stato di agitazione di tutto il personale", chiude Nardella. Nuoro: infermieri delle carceri senza contratto, attesa per le decisioni della Regione La Nuova Sardegna, 7 dicembre 2016 Gli infermieri delle carceri di Badu e Carros e Mamone a cui il primo dicembre è scaduto il contratto di lavoro sono in attesa di notizie dalla Regione. Sperano di ottenere una proroga in deroga anche in vista di una loro possibile stabilizzazione. Come richiesto dall’assessorato alla Sanità, ognuno di loro ha consegnato la documentazione sulla propria posizione lavorativa, che ora è al vaglio degli uffici regionali. Un segnale forse di buon auspicio per gli infermieri, che nelle prossime ore potrebbero avere le idee più chiare sul loro futuro. Nel frattempo la Asl, per evitare interruzioni di servizio nell’erogazione dell’assistenza sanitaria ai detenuti, ha provveduto a inviare a Badu e Carros personale infermieristico di ruolo all’ospedale San Francesco, mentre la situazione sembra più complicata a Mamone, dove sarebbero in servizio solo due infermieri su quattro. Se non si arriverà prima a una soluzione, a breve del caso si occuperà anche il Consiglio regionale, dove verrà discusso l’ordine del giorno proposto dall’esponente di Sel, Daniele Cocco. Torino: in carcere il reinserimento sociale attraverso i libri, due progetti del Comune 12alle12.it, 7 dicembre 2016 Promozione della lettura, incontri con gli scrittori e momenti di formazione in materia di catalogazione e laboratori e programmi artistici e culturali. Sono i due progetti approvati oggi dalla giunta di Torino, su proposta della sindaca Chiara Appendino, per la realizzazione di iniziative di reinserimento sociale alla Casa Circondariale Lorusso e Cutugno e all’Istituto Penale minorile Ferrante Aporti. In particolare nella biblioteca del carcere partiranno dei programmi per il coinvolgimento nella lettura dei detenuti e saranno organizzati alcuni momenti di formazione sul tema della catalogazione dei libri oltre a incontri con scrittori e con responsabili delle case editrici. Al Ferrante Aporti verranno invece promossi programmi artistici e culturali rivolti ai ragazzi ospitati, con attività di laboratorio, incontri e lezioni volte all’integrazione. I progetti rientrano nel programma di azioni per il reinserimento attraverso la formazione professionale, l’istruzione e le attività ricreative e sportive, in continuità con le azioni della Garante dei diritti delle persone private della libertà. Milano: presentazione del libro "Mamme dentro", con l’ex sindaco Giuliano Pisapia di Carla Forcolin (Ass. "La gabbianella e altri animali") Ristretti Orizzonti, 7 dicembre 2016 Il 2 dicembre scorso è stato presentato a Milano, presso la libreria Utopia, di via Marsala, il libro "Mamme dentro. Figli di madri detenute: testimonianze, riflessioni proposte". Assieme all’ex sindaco Giuliano Pisapia, il pubblico era costituito quasi totalmente da operatori del settore, nei diversi ambiti in cui si espande la cura delle madri detenute con figli al seguito: dall’Icam alla casa famiglia Ciao, fino a magistrati minorili e al mondo del volontariato e della cultura. In tale ambito sono emersi alcuni dei più importanti problemi con cui ci si scontra spesso nel delicato lavoro che si fa in questo settore per contenere e "rieducare" le donne che hanno commesso reati e curarne i figli senza staccarli dalle madri. Così, partendo dalla contraddizione in termini dell’innocente per antonomasia in carcere, si è finito per parlare della necessità di evitare il riperpetuarsi della delinquenza di genitore in figlio. Anche se tale contenuto è emerso per ultimo, la necessità di fare il possibile per integrare nel nostro mondo i bambini che vivono negli Istituti a custodia attenuata o in case famiglia o anche nei vecchi nidi, è emersa subito. Nessuno si è nascosto che queste strutture sono comunque dei luoghi dove i bambini capiscono benissimo che non c’è la libertà per le loro madri. Finché le madri non potranno uscire con i figli saranno in carcere; finché esse saranno sottoposte alle agenti, con divisa o meno, saranno in carcere; finché non potranno incontrare parenti e amici o telefonare loro saranno in carcere; finché non potranno maneggiare normalmente coltelli, forbici, ecc saranno in carcere; ecc. Se le madri sono detenute, quale vita possono fare i bambini per non soffrirne troppo? Si è convenuto che è fondamentale per i piccoli frequentare l’asilo nido e la scuola materna, quando non anche le elementari, se superano la soglia dei sei anni. Tra gli enti locali, si nota che al momento solo il comune di Milano mantiene l’aiuto che, da anni, dà all’ICAM con vari educatori pagati dal Comune stesso. Il comune di Venezia e la Regione Veneto non pagano gli accompagnamenti dei bambini all’asilo e tanto meno ad attività ricreative nei momenti di vacanza. Il comune di Roma non fornisce Rebibbia, dove non c’è nemmeno per ora un ICAM (ma ci si avvia a dar vita ad una casa famiglia), di un mezzo di trasporto necessario per accompagnare i bimbi alla scuola materna e gli stessi vivono di fatto reclusi con le madri per sei giorni alla settimana. Di sabato l’associazione "A Roma insieme" li accompagna all’esterno. I bambini del carcere femminile della Giudecca, di cui si parla nel libro "Mamme dentro", escono tutti i giorni, per andare all’asilo nido e alla scuola materna nei giorni feriali e in luoghi ricreativi nei giorni festivi. Ma la qualità della loro vita è parzialmente demandata all’associazione "La gabbianella", che dal 2010 non è sostenuta economicamente da nessuna istituzione pubblica. Il volontariato stesso vive poi la contraddizione di avere il peso maggiore della cura dei bambini senza avere nessun ruolo o potere reale nel rapportarsi alle madri. Emergono, durante il dibattito, le stesse tematiche a cui nelle due città di Milano e Venezia spesso vengono date risposte diverse. Bisogna che le madri diano cura prioritaria ai figli o al lavoro che si può svolgere nell’istituto? Bisogna lasciare che siano le madri o i parenti esterni a decidere se e quanto i bambini devono stare con la madre o pretendere che un progetto sui bambini sia fatto da operatori e madri insieme? In altri termini: si può permettere ad una madre di far entrare e uscire il figlio/a senza che nessun altro intervenga? Si può permettere che una madre neghi l’asilo e la scuola materna al figlio/a o gli/le neghi le cure mediche, tra cui la cura dei denti? Quale ruolo devono avere all’interno dell’ICAM i Servizi Sociali, a tutela dei diritti e dei bisogni dei bambini? A questi problemi, comuni a Milano e a Venezia, ma probabilmente a tutte le realtà simili, si risponde in modi diversi. Talora si ha più a cuore l’interesse dei bambini, talora la tranquillità dell’Istituto di Pena. Infatti non c’è nulla che faccia maggiormente reagire le madri che l’essere contrastate sulle scelte riguardanti i bambini e talora si preferisce non inquietarle per la serenità generale dell’Istituto che le ospita. Ma ciò che è più importante di tutto e per molti è il dopo carcere. Dove la maggioranza delle madri, che sono extra comunitarie non ha il permesso di soggiorno e di conseguenza non ha proprio nessuna possibilità di integrarsi nel nostro mondo assieme ai figli. Senza documenti in regola non si può trovare un lavoro regolare, né affittare un appartamento, né avere l’assistenza medica, né mandare i bambini all’asilo. Per i bambini che escono con madri in queste condizioni esiste solo la possibilità di seguirle o in un’espulsione verso i paesi di provenienza o in una vita da clandestini, dove tutte le forme di povertà economica e culturale, nonché etica confluiscono. Fingere che il problema non ci sia è un vanificare a priori qualsiasi intervento che si possa fare per recuperare le madri ed educarne i figli, mentre vivono uno stato di detenzione. Bisogna mettere mano a leggi come quella sulla cittadinanza per i bambini che nascono in Italia e vi crescono (jus soli temperato), a regolamenti che prevedano l’obbligo di mandare i bambini del carcere all’asilo e alla scuola materna, a spese del Ministero di Giustizia (che potrebbe avvalersi di accordi con il Volontariato), a regolamenti che prevedano figure di tutela obbligatoriamente poste accanto a bambini in grande difficoltà, come quelli che finiscono negli ICAM, asili nido, case famiglia. Se si continuerà a non fare queste cose, i bambini che oggi fanno tenerezza domani saranno in grande misura dei delinquenti, capaci solo di rubare, in modo più o meno violento. Se vogliamo che il nostro paese si tuteli dalla criminalità dobbiamo prevenirla e integrare i bambini esposti a questo rischio fin da piccoli. Il nostro paese ne guadagnerà anche in termini economici oltre che in termini di sicurezza, con tutto ciò che ne deriva. Siena: detenuti protagonisti di una mostra di pittura e di uno spettacolo teatrale sienafree.it, 7 dicembre 2016 Gli appuntamenti inseriti nel programma del Festival Siena Città Aperta. Tanti eventi per celebrare la Giornata Internazionale dei Diritti Umani tra teatro, musica, danza e performance. Il Festival "Siena Città Aperta" celebra la Giornata Internazionale dei Diritti Umani con una serie di eventi che prenderanno il via mercoledì 7 dicembre per concludersi martedì 13 dicembre. Teatro, pittura, street dance, concerti e danze etniche per sensibilizzare l’opinione pubblica su quei princìpi che il 10 dicembre del 1948 spinsero l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ad adottare la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza". Il primo articolo della Dichiarazione Universale viene celebrato da "Siena Città Aperta" con otto eventi che vedranno protagonista la cultura come strumento per superare il disagio e l’emarginazione come nel caso dei detenuti delle Case Circondariali di Siena e San Gimignano che da venerdì 9 dicembre saranno al centro di "Ricordo, Sogno e Libertà", una mostra di pittura inedita con i lavori realizzati in carcere. Inoltre la Casa Circondariale di Siena lunedì 12 dicembre si trasformerà in un palcoscenico teatrale per ospitare "Ho sognato un mondo nuovo" lo spettacolo dei detenuti nato a conclusione dei laboratori teatrali organizzati da Serena Cesarini Sforza e da Sobborghi Onlus. "Pace, tolleranza, diritti umani sono alla base della settimana di eventi dedicati alla ricorrenza del 10 dicembre e più generale all’intero Festival Siena Città Aperta - spiega l’assessore Francesca Vannozzi - per dare un forte segnale, attraverso la cultura, in difesa di quei principi etici e morali che dovrebbero guidare i cittadini nella scelta di un mondo non di differenze ma di solidarietà". L’innovativo cartellone di Siena Città Aperta vedrà protagonisti infatti anche teatro, danza, musica e performance dal vivo con tanti appuntamenti dedicata alla Giornata Internazionale dei Diritti Umani". Danza. A dare il via al programma delle iniziative, mercoledì 7 dicembre, tre eventi, tutti ad ingresso gratuito, che si terranno al Rettorato dell’Università di Siena. Si inizia alle 19 con "L’anima del Movimento", una performance di street dance nata e ispirata da una citazione di Martin Luther King e curata dall’ associazione Fundanza. Alle 19.30 " Aires De Tango" racconterà, attraverso la musica, il legame tra il tango argentino e l’immigrazione europea. Un concerto, a cura dell’associazione Diapason, per mostrare come l’integrazione e l’unione dei popoli può dare vita a nuove energie culturali e generare forme comunicative universalmente condivisibili. L’esecuzione vedrà protagonisti chitarra, violino e flauto con i Maestri Dario Vannini, Gabriele Centorbi e Sara Ceccarelli. Alle 20.30 teatro e danza indiana, si fonderanno per dare vita a "Scene dal Mahabharata, Draupadi e il tiro dei dadi", uno spettacolo, portato in scena dall’associazione Natanavedica East/West Performing Arts. È la storia di Draupadi, una donna calpestata ma mai distrutta che trovandosi in una situazione di grande disperazione ne uscirà trionfante con la sua intelligenza e fede. Maresa Moglia interpreterà la principessa indiana. A seguire si terrà la narrazione di un breve brano dal titolo "Struggle" tra danza classica e contemporanea con Matthias Buccianti, Gioia Guerrini, Giulia Marchetti, Elena Ristori, Ashley Sheakoski. Teatro. I temi dell’emigrazione e della clandestinità saranno al centro di "Bilal - Nessun viaggiatore è straniero", spettacolo portato in scena da Egumteatro in una serata che vedrà la partecipazione di Medici Senza Frontiere al Teatro dei Rozzi domenica 11 dicembre dalle ore 18. Sul palco un unico attore, Leonardo Capuano, che si esibirà in un monologo tratto dal reportage del giornalista del settimanale "L’Espresso" Fabrizio Gatti (Bilal - viaggiare, lavorare, morire da clandestini, premio Tiziano Terzani nel 2008). Si tratta della testimonianza del suo viaggio, travestito da curdo, dall’Africa Subsahariana a Lampedusa. La narrazione, ricrea le emozioni e le sensazioni che scaturiscono dalle drammatiche storie presentate e insieme stabilisce un imprescindibile legame tra attore e pubblico. Musica. Le celebrazioni per la Giornata Internazionale dei Diritti Umani vedranno protagonista la musica con il concerto, in programma il 10 dicembre alle 17.30 nella Sala delle Lupe di Palazzo Pubblico dal titolo "La voce oltre i confini": il coro dei Polifonici Senesi eseguirà musiche di Musiche di C. Debussy, J. de Wert, A. Marri, J. Brahms, W. Byrd, I. Stravinsky, e J. Busto. Performance. A chiudere le iniziative sarà "Erase", in programma martedì 13 dicembre nel suggestivo scenario dei Voltoni dell’ex ospedale psichiatrico San Niccolò. Uno spettacolo, gratuito, a cura della compagnia Motus che si aprirà alle ore 19.30 con l’inaugurazione della mostra fotografica "Diritto Violato" di Carlo Pennatini. Foggia: la violenza e le sue sfumature in un convegno all’ASP Zaccagnino di Valentina de Biase Ristretti Orizzonti, 7 dicembre 2016 Come ogni colore ha diverse tonalità, anche la violenza presenta molteplici sfumature che rispondono al nome di caporalato, mobbing, bullismo, stalking, femminicidio. Tematiche cocenti dai dati sempre più sconcertanti che non trovano spazio solo in qualche lettura statistica o pagina di cronaca, ma facilmente riscontrabili nella quotidianità di amici, colleghi, familiari… se non proprio nella nostra. Purtroppo, però, nonostante se ne parli molto ancora s’ignora come riconoscere la violenza, a chi rivolgersi, come difendersi o a quali figure o istituzioni ricorrere in caso di abusi. Con queste argomentazioni si è aperto venerdì scorso il convegno, all’ASP Zaccagnino, dal titolo "I labirinti della violenza, quali sono e come difendersi" promosso da: Costanza Ciavarrella, responsabile del Centro Mobbing e Stalking Foggia; Antonietta Colasanto, consigliere delle pari opportunità della provincia di Foggia, - attenta alle tematiche di genere, promuovendo numerose iniziative d’informazione e sensibilizzazione - e dalla fondazione Zaccagnino, nella persona di Patrizia Lusi. La Ciavarella sta portando avanti nel territorio sannicandrese la sua missione di sensibilizzazione su tematiche riguardanti i lavoratori, la violenza assistita ed il difficile rapporto tra minori, bullizzati e bulli: entrambi vittime, facce di una stessa medaglia. Un percorso - dichiara la Ciavarrella - ancora tutto in salita a causa di una cultura omertosa e di una scarsa attenzione da parte di talune istituzioni che sono assenti, anche in una giornata importante come questa. Tra gli invitati al meeting Antonio Russo, autore del libro "Stop allo stalking… come difendersi", e l’artista foggiana Maria Luigia Cirillo con la mostra "Le Donne X Le Donne", ritratti di donne di ogni età ed etnia quale espressione della solidarietà al femminile contro la violenza di genere. A fare gli onori di casa la neo-presidentessa Patrizia Lusi che cura, insieme alla cooperativa San Giovanni di Dio, la gestione di una comunità per minori ‘Don Tonino Bellò. I bambini - afferma la Lusi- erano il punto focale dei sogni di Vincenzo Zaccagnino in quanto soggetti fragili da mettere al centro della vita sociale di ogni comunita` cittadina. Da madre e presidentessa di questa fondazione avverto l’obbligo morale di liberarli dall’indifferenza degli adulti educandoli ad essere buoni cittadini per una societa` di eguali. I bambini di oggi saranno gli adulti del domani, e se si vuole un territorio sano dobbiamo educare i nostri figli, le nuove generazioni al rispetto verso se stessi e l’altro, poiché solo così si potranno combattere gli abusi. Inoltre la Lusi ha sottolineato l’importanza dell’incontro sotto ogni prospettiva, anche futura, per la costruzione di nuove sinergie e di una rete solida con la quale dar vita ad importanti progetti finalizzati allo sviluppo e crescita del territorio. La platea, composta prevalentemente da bambini accompagnati dalle loro mamme, ha ascoltato interessata le storielle raccontate con linguaggio favolistico di Maria Cirillo, partecipando attivamente con domande e riflessioni volte sia alla Colasanto che all’autore. Il libro di Russo è una sorta di vademecum che aiuta il lettore a riconoscere lo stalker, chiarendo cosa fare e come difendersi da questi falliti emotivi e a chi rivolgersi in caso di violenza. Un lavoro utile per tutte quelle donne che stanno vivendo tali difficoltà. Purtroppo le vittime di abusi assecondano e concedono molto ai loro carnefici che spesso non denunciano perché temono una loro dura reazione. Non bisogna cadere nell’errore di considerare forti quei soggetti che sopraffanno i più fragili poiché, come sosteneva Voltaire, soltanto i deboli commettono crimini: chi è potente e chi è felice non ne ha bisogno. Trani: studenti fasanesi in visita al carcere nell’ambito di un progetto formativo gofasano.it, 7 dicembre 2016 Nell’ambito del progetto "Vivi le Istituzioni" dell’Istituto Professionale per i Servizi di Enogastronomia e di Ospitalità Alberghiera e dell’Istituto Tecnico Economico "G. Salvemini" di Fasano, gli alunni delle classi quinta sezione A (Itet) e quarta sezione C e quinta sezione C (Ipseoa) hanno visitato il carcere di Trani. La dirigente scolastica dell’Istituto di istruzione secondaria superiore "Salvemini" di Fasano, Rosanna Cirasino, i docenti accompagnatori Mina Piccoli, Giuseppe Montanaro, Dora Tagliente e Angela Cupertino e gli alunni sono stati ricevuti con la massima cordialità dal personale in servizio al carcere di Trani. Il vice comandante Ruggiero e la dott.ssa Pellegrini hanno presentato la struttura e il suo funzionamento: numero, tipologia di reati ed età dei detenuti (300 circa), tra i quali ci sono molti rumeni e albanesi. "Gli studenti - dice la dirigente scolastica Rosanna Cirasino - hanno visitato la struttura carceraria, distinta in zona Blu, dove ci sono i detenuti in attesa di processo, e sezione Italia, dove invece ci sono i condannati a un massimo di 5 anni di reclusione. La casa circondariale - prosegue la dirigente Cirasino - ospita tre aule per garantire ai detenuti l’istruzione obbligatoria. All’interno della stessa c’è il Tarallificio Campo dei Miracoli, gestito dai detenuti. Abbiamo assaggiato e apprezzato i taralli al pepe che sono commercializzati nel Nord Italia. La cucina, inoltre, è gestita da uno chef e 4 detenuti che provvedono ai pasti. L’alimentazione è a norma ed è seguita dai dietologi". Un’esperienza, dunque, altamente formativa per gli studenti del "Salvemini" di Fasano, che hanno potuto seguire una simulazione d’intervento da parte della Polizia Penitenziaria. "Questa simulazione - aggiunge la dirigente Cirasino - ha permesso agli studenti di apprendere come si può controllare la forza di sovrasterzo e sottosterzo delle auto in caso di inseguimento. C’è stata anche una simulazione d’intervento con le armi, sempre da parte del personale in servizio al carcere di Trani. E per finire gli studenti hanno assistito alla simulazione d’intervento delle unità cinofile per individuare la presenza di sostanze stupefacenti. L’esperienza è risultata forte, emozionante e molto educativa - conclude la dirigente Cirasino - e ha spinto gli studenti a riflettere sulle necessità di evitare di commettere un errore che, a volte, diventa irrimediabile; a riflettere sul valore della dignità umana che deve essere sempre rispettata in qualsiasi luogo". "Il modo giusto per parlare del carcere ai ragazzi - dice la professoressa Dora Tagliente dell’Ipseoa "Salvemini" di Fasano - era quello di parlare della vita in cella. Non di qualcosa di astratto che potesse essere troppo lontano dal mondo degli adolescenti. Mettendo di fronte a loro una storia, invece, si mostra loro che il carcere è fatto da persone. E che queste persone hanno il diritto di riscattarsi, di rifarsi una vita e di far tesoro degli errori commessi. Credo si sia riusciti nell’intento di togliere la distanza che c’è tra il carcere e il "mondo là fuori": all’uscita dal penitenziario, se la fisiognomica non inganna, le facce dei ragazzi hanno lasciato trapelare che l’obiettivo prefissato è stato centrato". Perugia: match di calcio nel carcere di Capanne per la campagna "Bambinisenzabarre" perugia24.net, 7 dicembre 2016 Un match di calcio per sostenere la Campagna sui diritti dei bambini figli di detenuti: la Casa Circondariale di Perugia Capanne parteciperà il prossimo 13 dicembre, alle ore 10 alla Seconda edizione della partita di calcio di Bambinisenzasbarre. I detenuti con e senza figli si sfideranno per dare voce e visibilità ai bambini - oltre 100mila ogni anno in Italia - che hanno un genitore recluso, per sensibilizzare istituzioni, sistema carcerario, Media e opinione pubblica affinché non vengano emarginati solo perché figli di detenuti. Una delegazione del settore giovanile agonistico dell’AC Perugia Calcio parteciperà all’evento, arbitrando la partita e regalando ai detenuti calciatori e ai loro bambini dei gadget. L’adesione è altissima: si gioca a dicembre in tutte le regioni italiane. I calciatori scenderanno in campo con la maglietta di Bambinisenzasbarre, azzurra e gialla come i colori dell’associazione e con la scritta "I diritti dei grandi iniziano dai diritti dei bambini". Le famiglie potranno assistere alle partite, e i bambini tifare per il loro papà in campo. In totale si giocherà in circa 40 istituti penitenziari, a partecipare saranno oltre 400 persone detenute. La "Partita di calcio Bambinisenzasbarre" fa parte delle iniziative all’interno della Campagna nazionale di sensibilizzazione "Non un mio crimine, ma una mia condanna. I diritti dei grandi iniziano dai diritti dei bambini", per promuovere dal 20 novembre al 20 dicembre la "Carta dei figli dei detenuti" rinnovata lo scorso settembre dal ministro Orlando, dalla Garante dell’Infanzia Albano e da Bambinisenzasbarre e per portare all’attenzione il tema dei 100mila bambini che entrano ogni giorno, ogni anno, in carcere per mantenere il legame con i propri genitori, e che oggi vedono riconosciuti i propri bisogni trasformati in diritti. L’Italia è la prima in Europa ad avere un documento che impegna il sistema istituzionale del nostro Paese e la società civile a confrontarsi con la presenza in visita del bambino in carcere, e con il peso che la detenzione del proprio genitore comporta. Noi diciamo che "I diritti dei grandi iniziano dai diritti dei bambini". L’esperienza della Carta dei figli dei detenuti ha portato l’Italia a essere capofila a livello internazionale. L’Intergruppo del Parlamento Europeo per i diritti dell’infanzia ha deciso di proporre formalmente che la Carta dei figli dei detenuti italiana sia adottata da tutti i Paesi dell’Unione Europea. In queste settimane i deputati del Parlamento Europeo stanno raccogliendo le firme necessarie alla Dichiarazione Scritta n.84, per avviare l’iter di adozione della Carta italiana. Per partecipare all’iniziativa è necessario inviare i documenti di giornalisti e fotografi interessati a seguire l’evento agli indirizzi email cc.perugia@giustizia.it e associazione@bambinisenzasbarre.org per richiedere l’autorizzazione dell’ufficio stampa DAP di Roma. Istat: il 28,7% dei cittadini a rischio povertà, allarme al Sud di Valentina Santarpia Corriere della Sera, 7 dicembre 2016 Quasi 1 su 2 ovvero quasi la metà dei residenti nel Mezzogiorno risulta a rischio povertà o esclusione sociale. Lo stima l’Istat calcolando che nel 2015 la percentuale di esposizione nell’Italia meridionale è pari al 46,4%, in rialzo sul 2014 (45,6%) e notevolmente maggiore rispetto alla media nazionale (28,7%). Oltre uno su quattro, il 28,7% delle persone residenti in Italia, nel 2015 è "a rischio di povertà o esclusione sociale". Lo stima l’Istat. Si tratta di una quota, scrive l’Istituto nazionale di statistica, "sostanzialmente stabile rispetto al 2014 (era al 28,3%)". Il risultato è la sintesi di "un aumento degli individui a rischio di povertà (dal 19,4% a 19,9%) e del calo di quelli che vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa (dal 12,1% a 11,7%)". Resta invariata la stima di chi vive in famiglie gravemente deprivate (11,5%). Complessivamente lo scorso anno secondo l’Istat in Italia c’erano 17 milioni 469 mila persone a rischio povertà o esclusione sociale. Numeri che, scrive l’Istituto, vedono gli obiettivi prefissati dalla Strategia Europea 2020 "ancora lontani". Entro il 2020, infatti, l’Italia dovrebbe ridurre gli individui a rischio sotto la soglia dei 12 milioni 882 mila. Oggi la popolazione esposta è invece "superiore di 4 milioni 587 mila unità rispetto al target previsto". Dalla crisi economica il dato "è peggiorato", denuncia il Codacons, sottolineando che in cinque anni altri 2,7 milioni di italiani sono entrati nella fascia povertà-esclusione sociale. Mentre Coldiretti punta il dito sul cibo: sono 7,2 milioni gli italiani che dichiarano di non potersi permettere un pasto adeguato almeno ogni due giorni. Metà delle famiglie vive con 2000 euro al mese - In Italia la metà delle famiglie residenti può contare su un reddito netto non superiore a 24.190 euro, ovvero a 2.016 euro al mese. Lo stima l’Istat su dati relativi al 2014, ultimo aggiornamento disponibile. Rispetto all’anno precedente l’Istituto rileva un "valore sostanzialmente stabile". Una novità visto che, sottolinea l’Istat, il reddito familiare in termini reali interrompe "una caduta in atto dal 2009, che ha comportato una riduzione complessiva di circa il 12% del potere d’acquisto delle famiglie". Negli ultimi anni in Italia la forbice dei redditi si è allargata. Ecco che, divisa la popolazione in cinque fette, l’Istat stima che "dal 2009 al 2014 il reddito in termini reali cala più per le famiglie appartenenti al 20% più povero, ampliando la distanza dalle famiglie più ricche il cui reddito passa da 4,6 a 4,9 volte quello delle più povere". Il gap del Sud - Si stima che quasi la metà dei residenti nel Sud e nelle Isole (46,4%) sia a rischio di povertà o esclusione sociale, contro il 24% del Centro e il 17,4% del Nord. I livelli sono superiori alla media nazionale in tutte le regioni del Mezzogiorno, con valori più elevati in Sicilia (55,4%), Puglia (47,8%) e Campania (46,1%). Viceversa, i valori più contenuti si riscontrano nella provincia autonoma di Bolzano (13,7%), in Friuli-Venezia Giulia (14,5%) ed Emilia-Romagna (15,4%). Peggioramenti significativi si rilevano in Puglia (+7,5%), Umbria (+6,6 punti percentuali), nella provincia autonoma di Bolzano (+4%), nelle Marche (+3,4%) e nel Lazio (+2,3%), mentre l’indicatore migliora per Campania e Molise. Quattro individui su dieci sono a rischio di povertà in Sicilia, tre su dieci in Campania, Calabria, Puglia e Basilicata. Livelli di grave deprivazione materiale più che doppi rispetto alla media italiana si registrano in Sicilia e Puglia dove più di un quarto degli individui si trova in tale condizione. La Sicilia (28,3%) è anche la regione con la massima diffusione di bassa intensità lavorativa, seguita da Campania (19,4%) e Sardegna (19,1%). La fuga dall’Italia - Forse proprio per sfuggire alla povertà, gli italiani scappano. Nel 2015 cresce il numero delle emigrazioni (cancellazioni dall’anagrafe per l’estero): sono state 147mila, l’8% in più rispetto al 2014. Tale aumento è dovuto esclusivamente alle cancellazioni di cittadini italiani (da 89 mila a 102 mila unità, pari a +15%), mentre quelle dei cittadini stranieri si riducono da 47mila a 45 mila (-6%). E sono sempre di più i laureati italiani con più di 25 anni di età che lasciano il Paese, quasi 23 mila nel 2015, +13% sul 2014. Egitto. Caso Regeni, il Pg ai genitori "l’inchiesta va avanti fino a cattura dei responsabili" La Repubblica, 7 dicembre 2016 Il procuratore Sadek ha espresso le condoglianze delle istituzioni e del popolo egiziano. "L’impegno è quello di non chiudere l’inchiesta fino a quando non saranno catturati i responsabili del delitto". Sono le parole pronunciate oggi dal procuratore generale della Repubblica Araba d’Egitto Nabil Ahmed Sadek, dopo aver incontrato i genitori di Giulio Regeni. Il caso del ricercatore barbaramente ucciso ha creato una forte tensione diplomatica tra Italia e Egitto. Ai primi di novembre le autorità egiziane avevano restituito alla famiglia i documenti del figlio. Paola e Claudio Regeni hanno apprezzato le parole del procuratore egiziano, ricordando che loro figlio "amava la cultura araba" e sottolineando come queste parole rappresentino un segnale che deve essere apprezzato proprio perché provengono da quello che loro figlio amava. Ai coniugi Regeni, durante l’incontro avvenuto nella scuola della Polizia in via Guido Reni, il procuratore Sadek ha espresso le condoglianze delle istituzioni e del popolo egiziano. Un gesto apprezzato dai genitori, che sono rimasti a colloquio con il magistrato per 50 minuti, durante i quali si è affermato che il ricercatore friulano "è un portatore di pace e che, come hanno sottolineato i genitori, amava il mondo e la cultura araba". Dopo il colloquio è cominciato quindi l’incontro tra la delegazione egiziana e i magistrati romani. Incontro che proseguirà domani e al termine del quale un documento riassumerà qual è stato lo scambio di informazioni e l’impegno a portare avanti l’indagine. Torturato e seviziato per giorni. Giulio Regeni fu torturato e seviziato per giorni dalle persone che lo hanno sequestrato e poi abbandonato sul ciglio di una strada. Il sospetto è che sia stato rapito da forze speciali segrete egiziane collegate a polizia e servizi segreti. Ma il motivo di tanta brutalità non è mai stato chiarito. L’università inglese di Cambridge, per conto della quale Regeni stava svolgendo in Egitto alcune ricerche, ha scelto il silenzio, rifiutandosi di rispondere alle domande dell’autorità giudiziaria italiana, ostacolando in questo modo la ricerca della verità. Il governo egiziano ha sempre detto di voler collaborare alle indagini, in realtà non ha mai fornito i documenti richiesti dalla procura di Roma che sulla vicenda sta indagando. E sul conto del ricercatore italiano ha diffuso ogni sorta di cattiveria coniugi Regeni, costretti in questi mesi a sopportare ogni genere di cattiveria, fatto passare per gay, per spia, per consumatore di stupefacenti o, addirittura, per trafficante di reperti archeologici nell’ambito di una campagna diffamatoria che, con la complicità di certi ambienti deviati, sin da subito ha puntato a ostacolare l’indagine della magistratura egiziana e a screditare la vittima, alimentando depistaggi e ogni genere di falsità. Germania. "Profughi, più espulsioni". La Merkel svolta a destra sull’accoglienza di Tonia Mastrobuoni La Repubblica, 7 dicembre 2016 Retromarcia elettorale, la Cdu la riconferma al vertice. E sull’Islam: "Il velo integrale dovrebbe essere vietato". Nella capitale del carbone e dell’acciaio, nella città simbolo dell’industrializzazione e di un secolo e mezzo di immigrazione, Angela Merkel si è presentata ai mille delegati con una giacca rosso fuoco e richiamando con forza i valori delle democrazie liberali. Ma non ha potuto evitare la virata a destra del suo partito. Anzi, per incassare una riconferma alla guida della Cdu con un voto apparentemente bulgaro, 1’89,5% di sì, ma in realtà inferiore alla sua storica media, quasi sempre al di sopra del 90%, Angela Merkel ha dovuto chinare il capo ad una decisa stretta sulle politiche migratorie. "Non tutti gli 890mila profughi arrivati qui nel 2015 potranno rimanere" ha detto. Niente tetto ai profughi: però la cancelliera ha scandito che "una situazione come quella della tarda estate 2015 non può e non deve più ripetersi". Ed ha avuto parole chiare anche rispetto all’Islam. "Il nostro diritto deve avere il primato rispetto a regole di tribù, di clan e anche della sharìa. E il velo integrale dovrebbe essere vietato". La leader dei conservatori tedeschi ha anche ricordato che un terzo delle richieste di asilo "è stata respinta: quelle persone devono lasciare il Paese". Al termine di quest’ annus horribilis 2016, in cui la Cdu ha subito crolli mostruosi in cinque elezioni regionali, il congresso l’ha premiata comunque con una standing ovation di 11 minuti Anche perché non c’è alternativa alla "cancelliera dei profughi". E molte leggi più restrittive, in realtà, sono già state approvate. Tanto che i passaggi più forti, più sentiti del suo discorso sono stati quelli dedicati alla politica estera e alla necessità di proteggere i valori "della "C" della Cdu", quelli cristiani dell’inclusione e della difesa dei diritti umani. La figlia di un pastore protestante ha sottolineato che "chi è cresciuto nella Ddr sa apprezzare la democrazia" e ha raccontato che "nell’89 un amico mi disse "vai, apriti, assapora la libertà". E, a proposito dell’89, Merkel ha detto che lo slogan di Pegida e dell’Afd, "noi siamo il popolo", è un abuso. "Noi siamo tutti il popolo, e non una minoranza, solo perché grida più forte". Merkel sa bene di incarnare, al livello internazionale, un baluardo di un mondo finito in trincea dinanzi ai crescenti populismi autoritari e nazionalisti. Ma sa anche che il sostegno dei cristianodemocratici nel suo Paese non può prescindere da un cambiamento di rotta, anche nel processo decisionale. "Quando riflettevo sulla mia candidatura, mi dicevano "devi, devi, devi". Quindi ora vi dico "dovete, dovete, dovete aiutarmi". Niente più fughe in avanti, niente più assoli come sulle "porte aperte ai profughi", è questo il messaggio. Merkel si è detta scandalizzata che la gente scenda in piazza contro l’accordo transatlantico Ttip e non per le bombe su Aleppo dei russi e degli alleati di Assad. "Qualcosa non va", ha scandito: "Aleppo è una vergogna, perché non si riescono a garantire corridoi umanitari e non c’è un’indignazione internazionale". La cancelliera ha anche detto che l’Europa "non può uscire dalla crisi più debole di come vi è entrata - vale sempre quanto sosteneva Helmut Kohl: l’Europa è una questione di vita o di morte". Soprattutto, "non possiamo tollerare una seconda crisi dell’euro: dobbiamo rispettare il patto di stabilità". Un passaggio importante è stato quello dedicato alla digitalizzazione, una delle "grandi sfide" del suo prossimo governo, se tornerà cancelliera: "Da essa dipende il nostro benessere". L’accesso a internet, ad esempio, "dovrà essere considerato essenziale, come l’accesso all’elettricità o all’acqua". Cina. Abusi, pestaggi e torture, la cura per i corrotti di Valerio Sofia Il Dubbio, 7 dicembre 2016 Denuncia di Hrw: prigioni segrete per i funzionari del pc. In un Paese gigantesco come la Cina, con un gigantesco sistema statale e burocratico, anche la corruzione ha dimensioni gigantesche, e altrettanto si può dire della grande campagna lanciata dal regime per il contrasto a questo problema. Ma tutto ha un prezzo, e il costo di questa lotta viene denunciato in un rapporto dall’ong Human Rights Watch, basato sulle interviste a quattro ex detenuti, sull’analisi di sentenze giudiziarie e su casi di corruzione riportati dalla stampa. Per l’ong il governo cinese fa ricorso ad un sistema di prigioni segrete e torture, chiamato shuanggui, per costringere i membri del Partito Comunista accusati di corruzione a confessare. Secondo lo studio, negli ultimi anni decine di ex funzionari sono stati sottoposti a torture come la privazione del sonno, del cibo e dell’acqua, e a violenti pestaggi. Almeno 11 di questi detenuti sono morti in queste prigioni segrete, che "fuori dal controllo del sistema giudiziario penale". È infatti una commissione del Partito ad avere "l’autorità di convocare qualsiasi membro degli 88 milioni di iscritti del partito sulla base di accuse di corruzione e appropriazione indebita", e a decidere sulle conseguenti de- tenzioni. Secondo il rapporto, "una volta convocati, gli accusati vengono privati della libertà per giorni, settimane, mesi durante i quali vengono ripetutamente interrogati e spesso torturati". Per Hrw queste pratiche risalgono agli anni 90. La campagna anticorruzione è stata lanciata come priorità dal presidente Xi Jinping alla sua elezione nel 2012, quando il leader promise di colpire "tigri e mosche", riferendosi ai potenti e ai piccoli funzionari. Nel 2015 la lotta alle tangenti era stata riconfermata nei quattro pilastri della strategia del Pcc, e nello scorso ottobre a Pechino il sesto plenum del partito a porte chiuse è stato dedicato allo stesso tema, ribadendo la volontà "di governare il partito in maniera stringente". Si è quindi deciso di varare nuove regole di condotta per i quadri politici ma anche per i membri dell’esercito. Insomma, Pechino punta forte sulla lotta alla corruzione, e però lo fa con i criteri cui è abituata, molto lontani dagli standard umanitari. Ecco dunque che non suona strana la denuncia di HRW sulla conduzione extragiudiziale dei processi e sull’esistenza di prigioni segrete in cui si pratica la tortura, dato che in Cina esiste ancora un fitto sistema di campi di concentramento per detenuti di ogni tipo, compresi i dissidenti politici. Allo stesso modo non può stupire che questo sforzo di moralizzazione sia però stato usato anche per regolamenti di conti personali e politici. Molti grossi papaveri sono caduti in questa rete, ma è difficile sapere se erano più colpevoli di altri o se sono stati semplicemente fatti fuori. Allo stesso tempo è ovvio che uno sforzo così grande e centrale sia accompagnato da una propaganda molto forte. Talmente forte da trasformare in show televisivi le confessioni dei " pentiti" che ammettono di essere stati corrotti. Anche nelle scorse settimane sono andati in onda casi di primo piano che sono stati molto apprezzati dagli spettatori, invitati anche a votare in un sondaggio per la confessione migliore. Se poi queste confessioni fossero sincere o se sono frutto del sistema denunciato da Hrw è una domanda che resta aperta. Arabia Saudita: 15 condanne a morte per " spie" filo-iraniane Il Dubbio, 7 dicembre 2016 Un tribunale dell’Arabia saudita ha condannato alla pena capitale quindici componenti di un gruppo di 32 persone accusate di spionaggio in favore della Repubblica sciita dell’iran, storico nemico geopolitico per la monarchia dei Saud. I 15 - riferiscono giornali locali - sono stati riconosciuti colpevoli di alto tradimento. Altri 15 appartenenti al gruppo sono stati condannati a pene varianti tra i 6 mesi e i 25 anni di prigione, mentre due tra di loro sono stati assolti. Da quando è scoppiato il conflitto in Yemen, con i ribelli sciiti Houti che hanno preso il controllo del nord del paese scontrandosi con i filosauditi, la tensione tra Ryad e Teheran è salita alle stelle. Gambia: un avvocato vince le elezioni e scarcera i prigionieri politici Il Foglio, 7 dicembre 2016 Ousainou Darboe è un avvocato del Gambia, ha settantotto anni, gli occhi profondi di chi da sempre si batte per qualcosa: lui per i diritti umani e la democrazia, termine quest’ultimo quasi impronunciabile in questa nostra terra europea improvvisamente stanca del volere popolare e invece preziosissimo in Africa o nelle nazioni che la democrazia non la conoscono, non l’hanno mai vissuta, e la sognano (alla pari dei camminatori siriani che scappano da Stato islamico e bombe assadiste e putiniane e non si fermano davanti alle barriere europee e gridano "libertà", ricordandoci per che cosa, noi occidentali, siamo famosi). Darboe è il leader del Partito democratico unito del Gambia, dal 1994 si candida e perde, un po’ per i brogli, un po’ perché la sua visione illuminata non attecchisce in questo paese minuscolissimo, un milione e ottocentomila abitanti che si sono nel tempo adeguati alla mano dura di Yahya Jammeh, dittatore del Gambia dal colpo di stato del 1994 fino a qualche giorno fa. In 22 anni di regime, sono scomparsi attivisti e giornalisti, sono stati massacrati studenti e migranti, i gay sono stati minacciati - se vi trovo, vi taglio la gola - e nel 2015 il paese è stato rinominato Repubblica islamica del Gambia, perché la religione islamica prevalente deve permeare tutta la società. Ousainou Darboe, capo dell’opposizione, è stato incarcerato nell’aprile del 2015 dopo aver organizzato una protesta nella capitale: è dalla prigione che ha assistito all’ultima tornata elettorale, che è stata condotta per il suo partito da Adama Barrow, un immobiliarista cinquantenne che ha studiato all’estero (a Londra), è tornato appena si è laureato, ha creato una società di real estate e vi lavora da allora. Senza esperienza politica, Barrow è riuscito in un’impresa straordinaria, cioè rovesciare il regime di Jammeh con un’elezione, la prima in cui si elegge un presidente dall’indipendenza dal Regno Unito, che risale al 1965. Due mogli, cinque figli e una forte devozione all’islam, Barrow giurerà a gennaio, ma intanto i tribunali hanno iniziato a liberare attivisti politici e dissidenti che erano stati messi in prigione da Jammeh. Il primo è stato Ousainou Darboe, che con la sua lunga tunica blu è uscito dal tribunale con un sorriso e la folla, finalmente libera anch’essa di parlare, ha gridato: "Ecco il nuovo Gambia".