Il coraggio di trattare da esseri umani anche i "cattivi per sempre" di Ornella Favero (Direttrice di Ristretti Orizzonti) Ristretti Orizzonti Sono ben strani, gli esseri umani, vedono tutto il male degli altri, dimenticano con facilità il proprio. Io non sono credente, ma sono cresciuta con alcuni principi della fede e ricordo bene il Vangelo e quelle parole così ficcanti: "Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati!" e poi ancora "Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello". Non sono naturalmente così ingenua da pensare che non ci debba essere una Giustizia terrena, con le sue condanne e le sue pene, ma sono stanca di vedere le semplificazioni, ampliate e rafforzate da certa informazione, e spacciate per "tutela della sicurezza dei cittadini", e credo anche che quella trave ce la dobbiamo togliere dagli occhi, altrimenti continueremo a illuderci che "i cattivi" sono solo gli ALTRI, e Noi cittadini onesti non cadremo mai, non sbaglieremo mai. E se magari siamo nati al Nord del nostro Paese, è un merito nostro, e non per certi versi una fortuna. Ho sentito Francesco Cascini, un magistrato che per anni ha operato in una zona "calda", la Locride, e ora invece è il Capo del Dipartimento della Giustizia minorile e di Comunità, dire che finché, per esempio, le persone che vivono in certe zone del nostro Paese saranno costrette, se si ammalano, a cercarsi un ospedale decente a nord di Roma, lo Stato non potrà sentirsi la coscienza tranquilla. In questi giorni Mario Pace, un ergastolano, che da anni sta facendo un percorso, lavora, esce in permesso, partecipa alle attività, è stato denunciato per un traffico di droga, pare per fatti che vanno dal 2011 al 2013. Non sono in grado naturalmente di dire nulla su questa indagine, tranne il fatto che detesto un giornalismo da "colore locale" che dice che dal carcere Pace "coordinava con i ‘pizzini’ l’attività illegale della sua cosca". Perché allora senza bisogno di scomodare i pizzini bisogna dire che le persone detenute possono scrivere a casa e a chi vogliono, tranne nei rari casi in cui hanno la censura: e allora cosa bisogna fare, farli vivere tutti come bestie, senza affetti e senza umanità, perché uno tradisce la fiducia, e dico forse perché è ancora presunto innocente, e non parlare di tutti quelli che stanno faticosamente ricostruendosi una vita dignitosa e ridando alle loro famiglie la voglia di sperare? Scrive ancora un quotidiano locale: "Della chiusura della massima sicurezza al Due Palazzi (…) se ne parla dopo l'inchiesta-scandalo su un reparto del carcere padovano trasformato in un supermarket fuorilegge dove tutto aveva un prezzo". E poi in quello stesso articolo si spara a zero sulla scelta di declassificare alcuni detenuti dell’Alta Sicurezza, che significa farli passare in una sezione di Media Sicurezza, dopo anni, a volte decenni di detenzione. È curioso però che dove si parla di "supermarket fuorilegge" non si dice affatto che quel supermarket era organizzato e gestito da alcuni agenti, e questo non è un sospetto, nel senso che sono già stati processati e condannati. Ma io non ho mai pensato che "gli agenti" sono dei delinquenti, ho pensato, dopo anni in cui gli esseri umani li ho conosciuti, frequentando le carceri, un po’ meglio di quando da cittadina per bene frequentavo solo le persone simili a me, che NOI UMANI siamo anche deboli, cattivi, soggetti a tentazioni, e che questo succede in tutti gli ambienti, anche nella Polizia penitenziaria, di cui però conosco ogni giorno, per la stragrande maggioranza, l’impegno, la serietà, la competenza. Nei giorni scorsi ho incontrato molti famigliari di quei "mafiosi" rimasti a Padova, che vedendo i loro cari trattati in modo umano hanno riacquistato un po’ di fiducia nelle istituzioni. Il 20 gennaio nella Casa di reclusione di Padova ci sarà una grande Giornata di studi "Contro la pena di morte viva, per il diritto a una pena che non uccida la vita", in cui saranno proprio figli, mogli, genitori, fratelli e sorelle di persone detenute a parlare di quanto importante sia per loro sapere di essere considerati persone, e non "i figli, i famigliari del mafioso". Noi di Ristretti Orizzonti, quando raccontiamo le storie delle persone che hanno scelto la strada della criminalità organizzata, non siamo teneri, non sono tenere le persone stesse, che parlano delle loro scelte disastrose, delle loro responsabilità, della loro incapacità di rispettare anche i loro figli. Allora cosa dobbiamo fare, tornare a considerare tutti dei "mostri" e rinunciare a combattere perché quei "mostri" tornino a riprendersi in mano la loro umanità? Io preservo ancora il ricordo della mia educazione cattolica, che mi insegnava altro, e poi da laica ho continuato a crederci: che una società ha più da guadagnare da una Giustizia attenta agli esseri umani, mite, consapevole dei suoi limiti, che da una Giustizia che i "cattivi" li considera "cattivi per sempre". L’importanza della terapia psicologica di gruppo nei carceri di Alessandra Argentiere Il Fatto Quotidiano, 3 dicembre 2016 Mi è capitato di leggere un articolo pubblicato da Internazionale "In Argentina la psicoanalisi è così popolare che anche i detenuti vanno in analisi". Ho pensato subito: "Beh, senza saperlo ho portato un pò di Argentina in Molise". Lavoro, infatti, come psicologa per l’Azienda sanitaria regionale del Molise, in un presidio sanitario interno ai tre istituti penitenziari per adulti (uomini) della Regione. Essendo tre istituti differenti tra loro, per semplicità espositiva, prenderò ad esempio uno dei tre, quello in cui lavoro per più ore. L’Istituto ha due sezioni per detenuti di media sicurezza, una di alta sicurezza, una di familiari di collaboratori di giustizia e una a custodia attenuata. Il mio lavoro è finalizzato all’assistenza psicologica dei detenuti. Effettuo un colloquio di primo ingresso rivolto a tutti i nuovi arrivati. Cerco di comprendere la storia personale e clinica, di indagare la presenza di precedenti suicidari, l’eventuale stato di tossicodipendenza, le patologie psichiche e lo stato attuale. Il colloquio è orientato a comprendere la capacità di adattamento del soggetto rispetto alla realtà detentiva, per poter elaborare un’ipotesi di trattamento e valutare la necessità di un percorso terapeutico. Cerco di dare priorità ai detenuti che arrivando dalla libertà, solitamente si trovano in uno stato di confusione e labilità emotiva forti e che maggiormente beneficiano dell’incontro con una figura con cui poter parlare di sé e dell’esperienza in cui si trovano. Il mio lavoro procede con colloqui individuali, rivolti a detenuti segnalati dall’istituzione o a coloro che, attraverso la cosiddetta "Domandina", richiedono personalmente un colloquio con me. Nel corso dei colloqui, valuto se seguire il paziente individualmente o attraverso una psicoterapia di gruppo, che è sicuramente un lavoro innovativo negli istituti penitenziari e, a mio parere, molto utile. Il dispositivo gruppale consente di contenere e trasformare i vissuti portati dai singoli individui, favorendo il cambiamento e la crescita e valorizzando le specificità di ognuno. L’evoluzione di uno dei membri diventa un forte elemento trasformativo per gli altri. La mia proposta di avviare un gruppo di psicoterapia è stata accolta positivamente dall’istituzione e dai pazienti coinvolti - selezionati a seguito di alcuni colloqui individuali - che hanno accettato volentieri. Dopo qualche settimana dall’avvio del gruppo, ho ricevuto diverse richieste di poter essere inseriti al "corso di gruppo" da parte di altri detenuti. Nell’istituzione penitenziaria vengono attivati numerosi corsi (musica, canto, teatro, etc.), ai quali i detenuti possono richiedere di partecipare. Il gruppo terapeutico inizialmente veniva visto come uno dei tanti corsi a cui poter accedere facendo richiesta. Il proseguire del lavoro ha permesso la comprensione del dispositivo terapeutico gruppale, differente dai corsi, in quanto nessuna persona esterna può assistere e in cui "non si insegna nulla, ma si può imparare molto" (citazione di un paziente durante una seduta di gruppo). Il mio lavoro non si esaurisce con i colloqui individuali e le sedute di gruppo, ma continua con la partecipazione e osservazione delle attività trattamentali. Nell’istituto sono presenti anche la scuola primaria, la secondaria di primo grado e due istituti superiori tecnici, quello agrario e quello alberghiero. Alcuni detenuti sono iscritti all’Università. Percorro i corridoi della scuola, parlo con i detenuti che entrano in classe, li vedo occupati nelle attività di laboratorio mentre cucinano o allestiscono la sala con i professori. Ascolto quali sono gli ingredienti delle ricette che preparano, vedo gli ortaggi che hanno appena raccolto e guardo i prodotti di legno realizzati al laboratorio di falegnameria. C’è movimento nella ripetizione, gioia nella sofferenza. Tra questi opposti e ambivalenze si orienta il mio lavoro, tra quelle mura può nascere un pensiero e un (ri)pensarsi. Intercettazioni, l’incubo spionaggio nel vuoto normativo di giulia merlo Il Dubbio, 3 dicembre 2016 Il caso della Società "Area" che cede dati ad Assad ripropone il nodo del far west sugli ascolti. E se i servizi segreti di Assad e le Procure italiane si servissero della stessa azienda per gestire il servizio delle intercettazioni? La notizia, anticipata da Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera, prende piede da un’inchiesta a carico di Andrea Formenti, presidente e socio unico di Area, la società che si occupa delle intercettazioni ordinate da oltre 100 uffici giudiziari italiani. Il gip di Milano ha ordinato il sequestro di 7,7 milioni sui conti della società e l’ipotesi dell’accusa è la violazione dell’embargo comunitario per la vendita di tecnologie informatiche alla Siria. I filoni dell’inchiesta sono due. Il primo nasce da lontano ed era già stato rivelato dall’agenzia Bloomberg: tra il 2010 e il 2011 Area avrebbe esportato in Siria - dietro compenso di 13 milioni di euro - un software per monitorare telefonate e traffico web degli oppositori del regime. Il servizio sarebbe stato ufficialmente acquistato dall’agenzia di telecomunicazione statale, la Syrian Telecommunication Establishment, ma - secondo gli inquirenti - la società di Formenti era al corrente del fatto che, in realtà, i software sarebbero stati utilizzati dai servizi segreti del governo. Il prodotto tecnologico fornito, infatti, può essere utilizzato per un "duplice uso", sia civile che militare. Il tutto, inoltre, sarebbe avvenuto senza le autorizzazioni di legge: in un primo periodo aggirando i controlli doganali, poi con un’autorizzazione del ministero dello Sviluppo ma ottenuta con dichiarazioni fraudolente. Secondo le rivelazioni di un ex manager di Area, Formenti avrebbe spiegato, per liquidare qualsiasi remora di carattere etico, che "Area è come una fabbrica di coltelli e i coltelli possono essere usati in cucina come per uccidere persone". In buona sostanza, Area fornisce software utilizzabili in modo proprio (le intercettazioni della Procura) ma anche improprio (i servizi segreti siriani contro gli oppositori). La ricostruzione dei pm procura è stata smentita dalla difesa di Area che, pur ammettendo di avere rapporti economici in Siria, ha definito "insussistenti le accuse" e dato la sua disponibilità a collaborare. Un secondo fronte dell’inchiesta, invece, si è aperto con la scoperta da parte dei pm di Trieste di migliaia di intercettazioni provenienti da 14 Procure italiane e archiviate nel computer di una addetta all’help desk della sede di Area a Malpensa. Il reato ipotizzato a carico della dipendente e dell’amministratore delegato della società è accesso informatico abusivo: Area, infatti, lavora in appalto per la gestione delle intercettazioni sul territorio nazionale, ma l’azienda non dovrebbe avere copia dei file, che dovrebbero "risiedere" fisicamente solo sui server delle Procure. Sui pc aziendali è stato anche ritrovato un programma illegale, in grado di recuperare in qualsiasi momento le intercettazioni in corso e di trascriverle. In questi giorni, dunque, la Procura friulana ha copiato i contenuti dei 20 terminali della sede della società, con l’obiettivo di scoprire se Area abbia creato illegalmente una sorta di banca dati privata delle intercettazioni che gestisce per conto degli uffici giudiziari. A monte di inchieste come questa, emerge uno dei problemi più pressanti dell’attuale normativa sulle intercettazioni: la mancanza di previsioni di legge aggiornate e organiche, che consentano di regolare sì l’utilizzo delle intercettazioni, ma anche i soggetti idonei a gestire tecnicamente il servizio. Il pacchetto di norme - nelle quali è compresa anche la disciplina dei software spia Trojan Horse - è contenuto nel progetto di riforma del processo penale: un disegno di legge omnicomprensivo ma, soprattutto, dall’iter di approvazione incerto e accidentato, visti i profili delicati che contiene (non solo le intercettazioni ma anche la prescrizione). Proprio sul Trojan Horse, infatti, il disegno di legge fermo al Senato prevede una delega governativa al ministero della Giustizia, che detti i principi per la scelta dei provider del nuovo sistema di captazione. In assenza del decreto, però, si ripropone la questione dell’assenza di norme certe per regolare la gestione del servizio e i conseguenti dubbi sulla sua opacità. L’unico elemento certo, di contro, è che quello che la gestione informatica delle intercettazioni è un business capace di far gola a molti e di pesare sulle casse statali (e nei conti dei privati che li incassano) per circa 250 milioni di euro l’anno. Orlando e il Commissario Ue: "sì alla Procura europea" Il Dubbio, 3 dicembre 2016 L’alleanza tra guardasigilli e Commissario Ue alla Giustizia. "Paesi che prima avevano partecipato all’idea di istituire una Procura europea si stanno sfilando: la prima è stata l’Olanda, ora ci risulta che altri stiano andando in questa direzione". Lo ha affermato il ministro della Giustizia Andrea Orlando che ha incontrato ieri a Roma il commissario europeo per la Giustizia, la tutela dei consumatori e l’eguaglianza di genere, Vera Jourova. Quello della Procura europea, ha spiegato il guardasigilli è "un tema importante e delicato" e l’Italia continua a chiedere che si giunga a formare "una Procura forte e in grado di incidere significativamente ed essere uno strumento utile contro le diverse forme di criminalità e terrorismo e contro le mafie". Orlando ha ribadito che "l’Italia è assolutamente favorevole alla creazione di una Procura europea ma non è affatto soddisfatta della piattaforma elaborata finora, che non ha sufficiente ambizione. Serve maggiore determinazione". A sua volta il commissario Jourova ha denunciato il fenomeno ancora troppo esteso delle "frodi carosello sull’Iva", il cui ammontare in Europa è di "50 miliardi di euro l’anno". Nella conferenza stampa tenuta al termine con il responsabile del dicastero di via Arenula, la rappresentante della commissione europea ha innanzitutto assicurato di voler esercitare "tutta la pressione che mi sarà possibile per convincere gli altri Paesi" dell’importanza della Procura Europea. "Alcuni, tra l’altro, beneficiano di massicci fondi Ue e voglio coinvolgerli". I Paesi scettici sostengono che "le proprie Procure nazionali funzionano bene e di non aver bisogno" di un ufficio inquirente comunitario. "Ma questa struttura non vuole migliorare le Procure nazionali, casomai rappresentare un livello ulteriore di controllo. Di fronte alle frodi transfrontaliere, che coinvolgono più Paesi, anche la cooperazione investigativa è spesso insufficiente. Giovedì", ha spiegato Jourova, "arriverà il momento decisivo: noi sosterremo la presidenza slovacca e anche se non raggiungeremo l’unanimità, dobbiamo dare una chance al progetto della Procura europea". Mafia Capitale, chiesto il processo per altri 24 di Ivan Cimmarusti Il Sole 24 Ore, 3 dicembre 2016 Appalti manipolati e informazioni segrete. Erano i vantaggi che Mafia Capitale avrebbe comprato con le tangenti. Si chiude l’ultima tranche della maxi inchiesta della Procura di Roma, con 24 nuove richieste di rinvio a giudizio. A rischio processo anche Francesco D’Ausilio, ex capogruppo Pd al Consiglio comunale, accusato di corruzione. Le istanze sono state formulate al giudice per le indagini preliminari, che ora dovrà vagliare la fondatezza dell’accusa ipotizzata dal procuratore capo Giuseppe Pignatone, dagli aggiunti Paolo Ielo e Michele Prestipino e dai sostituti Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli. Tra i 24 figurano - assieme a D’Ausilio e diversi ex funzionari dell’amministrazione capitolina - anche Giovanni Fiscon, l’ex direttore generale di Ama (municipalizzata dei rifiuti di Roma), il sindaco del Comune di Sant’Oreste, Sergio Menichelli, e Cosimo Giampaolo De Pascali, appuntato all’epoca dei fatti in servizio all’ufficio Sovrintendenza centrale servizi di sicurezza della presidenza della Repubblica. Nei confronti di tutti sono ipotizzati, a vario titolo, i reati di corruzione, turbata libertà degli incanti e rivelazione dei segreti d’ufficio. I presunti manovratori sarebbero stati Salvatore Buzzi, sospettato di essere il braccio imprenditoriale di Mafia Capitale, e Massimo Carminati, ritenuto dalla Direzione distrettuale antimafia capitolina il boss dell’organizzazione. I due sono già alla sbarra degli imputati nel maxi processo sull’associazione mafiosa che si sta svolgendo all’aula bunker del carcere di Rebibbia. Tuttavia ora il fronte giudiziario prende una ulteriore via e potrebbe costare il processo anche a D’Ausilio e al suo ex capo segreteria, Salvatore Nucera. Per liquidare alcuni debiti che Buzzi vantava verso il Comune e per manipolare dieci lotti di un maxi appalto per il verde pubblico, l’ex capogruppo Pd al Campidoglio avrebbe ricevuto "la promessa di corresponsione di una porzione della somma di 130mila euro (almeno 50mila euro)" più altri 12.240 euro e "la promessa di corresponsione del 5% del valore economico del 50% dei lotti assegnati" dell’appalto. Padova: ergastolani trattati da detenuti comuni, aperta un’inchiesta sul carcere di Nicola Munaro Corriere del Veneto, 3 dicembre 2016 Criminali in regime di alta sicurezza godono di svariati vantaggi: chi ha firmato?. Dall’aprile 2015 il Due Palazzi è un carcere comune. Un anno e mezzo dopo gli arresti del luglio 2014 che scoperchiavano un vaso di Pandora alimentato da detenuti e poliziotti dediti al commercio di droga, cellulari e schede sim nei bracci del penitenziario, il Dap (il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) aveva emesso la sua sentenza decidendo di revocare al carcere della città del Santo la specifica "As1", ovvero quell’Alta Sicurezza che aveva portato a Padova mafiosi, pluriomicidi e pentiti. Un declassamento istituzionale a cui erano seguiti a cascata altri declassamenti. Retrocessioni che però non riguardavano le istituzioni ma una decina di detenuti in regime "As1", nell’ultimo anno solare trasformati in detenuti comuni e quindi rimasti a scontare la propria pena a Padova. Ed è proprio questo il nocciolo di una nuova inchiesta che ha messo il penitenziario di via Due Palazzi sotto la lente d’ingrandimento della procura e dei carabinieri. Il fascicolo al momento è il più generico possibile, non ci sono accuse né indagati. Si tratta quindi di un incartamento in fase embrionale che però potrebbe riservare non poche sorprese. Quello che procura e Arma vogliono valutare è la trasformazione in detenuti comuni di persone con condanne all’ergastolo per reati di associazione mafiosa o di particolare crudeltà. Persone tuttora in cella al Due Palazzi che però necessiterebbero di una detenzione ad alta sicurezza di cui Padova è stata privata dalla fine di aprile dell’anno scorso. Una risposta gli inquirenti hanno iniziato a cercarla acquisendo le pratiche e le cartelle che il carcere riserva ai propri ospiti. È lì che si vede chi ha firmato le autorizzazioni e i declassamenti. Ma non c’è solo la normalizzazione di soggetti a rischio a fare da fondamenta all’inchiesta. Nel mirino degli inquirenti sono finiti anche gli svariati vantaggi di cui questi detenuti pericolosi fino a un anno e mezzo fa e poi messi alla pari - di colpo - a semplici spacciatori, hanno iniziato a beneficiare proprio negli ultimi venti mesi. Storie simili a quelle di Mario Pace, 57 anni, un’etichetta da grosso esponente del clan siciliano Pillera-Cappello e sulle spalle un ergastolo per omicidio e associazione mafiosa da scontare a Padova, arrestato (in carcere) l’altro giorno per spaccio. Dalla sua cella gestiva in giro di cocaina dall’Olanda alla Sicilia. Un detenuto particolare, Pace. Il suo profilo è uno dei dieci analizzati dalla nuova inchiesta della procura padovana. Negli anni scorsi infatti era stato declassato da detenuto ad alta sicurezza a detenuto comune, aveva trovato un lavoro come centralinista della cooperativa Giotto, godeva di permessi premio e passava lontano dai bracci gran parte della giornata. Padova: carcere morbido per i mafiosi, scatta l'inchiesta della procura di Marco Aldighieri Il Gazzettino, 3 dicembre 2016 Mafiosi e assassini detenuti in regime di alta sicurezza sono stati declassati a carcerati comuni. È stata aperta un'inchiesta in Procura su dieci detenuti del Due Palazzi che dal regime di alta sicurezza sono stati declassati a reclusi comuni, quindi con possibilità di avere un lavoro all'interno del penitenziario e di godere di permessi premio. I carabinieri stanno indagando per capire chi ha voluto ammorbidire la loro permanenza dietro alle sbarre e perchè. Il Due Palazzi era già finito nel mirino della Procura padovana nel luglio del 2014. L'altro giorno, invece, è stato scoperto che un boss catanese recluso al Due Palazzi usufruiva di premi e gestiva da Padova un traffico di droga internazionale. La casa di reclusione Due Palazzi è finita nuovamente nel mirino della Procura. Almeno una decina di detenuti in regime di alta sicurezza, sono stati declassati a reclusi comuni. In questo modo hanno potuto godere di un impiego all'interno del penitenziario e di permessi premio. Si tratta di assassini, ergastolani e mafiosi (regime di 41 bis) dietro alle sbarre del Due Palazzi prima dell'aprile del 2015, quando il carcere è stato dichiarato dal Dap non più di massima sicurezza ma di media sicurezza. Una decisione maturata anche a seguito dello scandalo dei telefoni cellulari e della droga fatti circolare nella casa di reclusione sia dai detenuti e sia da alcuni agenti penitenziari. E così la Procura ha dato mandato ai carabinieri di indagare sul perchè e su chi ha concesso a questi dieci carcerati in regime di alta sicurezza di passare a una detenzione molto più morbida. E giusto mercoledì i carabinieri, questa volta del comando di Catania, hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti del 57enne Mario Pace rinchiuso al Due Palazzi con una condanna di ergastolo per omicidio e associazione mafiosa. Il detenuto, che usufruiva di permessi premio, dalla sua cella gestiva lo spaccio di droga in Sicilia. Gli bastavano un computer e i pizzini che riusciva a passare alla sorella durante le visite in carcere. Così Pace riusciva a inviare le direttive nel catanese e a pilotare un giro d'affari internazionale. I guai per il Due Palazzi sono iniziati nel luglio del 2014 quando gli uomini della Squadra mobile, coordinati dal sostituto procuratore Sergio Dini, hanno scoperto che nel carcere entrava droga, telefoni cellulari e chiavette usb. Tutto il traffico illecito era in mano a due esponenti della malavita organizzata che, con la complicità di alcuni agenti della penitenziaria, si dividevano i profitti vendendo la mercanzia ai reclusi. Ma il blitz della polizia non è servito a bloccare l'entrata dei telefoni cellulari al Due Palazzi: nel novembre dell'anno scorso gli agenti della penitenziaria hanno trovato e sequestrato altri otto telefoni cellulari. Da un primo accertamento gli apparecchi erano stati trasportati all'interno di alcune torte destinate a un paio di detenuti. Fino a fine settembre, quando gli uomini della polizia penitenziaria, dopo essersi accorti di alcuni strani movimenti tra i detenuti sottoposti a vigilanza dinamica e quindi liberi di girare per la sezione detentiva, hanno deciso di passare al setaccio tutte le celle. In una, occupata da un recluso italiano, hanno trovato un telefono cellulare nascosto nel bagno. Gli inquirenti credono che i telefoni cellulari entrati negli ultimi due anni in carcere siano più di cento. I due boss che riempivano la casa di reclusione di telefoni cellulari, droga e Sim card erano Gaetano Bocchetti esponente del clan camorristico di Secondigliano e Sigismondo Strisciuglio della Sacra Corona Unita. I capi malavitosi rifornivano di soldi gli agenti penitenziari ottenendo in cambio hashish, eroina, ma anche chiavette Usb, computer e telefoni cellulari, con cui poter mantenere senza difficoltà i contatti con le rispettive organizzazioni criminali. Padova: detenuti non pericolosi, scatta l'indagine di Carlo Bellotto Il Mattino di Padova, 3 dicembre 2016 La procura vuole fare luce su una decina di carcerati passati dal regime di massima sicurezza a quello normale. Una decina di detenuti del Due Palazzi sono passati da un regime di massima sicurezza ad uno di media sicurezza o comune, nell'ultimo anno. I carabinieri della compagnia di Padova stanno indagando su ordine della procura: c'è un'inchiesta aperta su queste ingente "declassificazione". Chi le ha autorizzate? Per ora non ci sarebbero indagati ma si stanno acquisendo tutti i documenti che hanno portato questi detenuti ad avere una vita carceraria - per quanto possibile -più agevole. Tutto sarebbe nato quando è stata chiusa la sezione alta sicurezza che occupava un piano della casa di pena del Due Palazzi. Nella primavera del 2015 il Dap (Dipartimento dell'amministrazione carceraria, una branca del ministero della Giustizia) aveva annunciato la chiusura della sezione. Erano un centinaio circa i detenuti sottoposti al regime di alta sicurezza a Padova, regime che contempla due alternative: una più restrittiva (ex capi mafia) che riguardavano 37 persone e una un tantino meno restrittiva (riguarda una settantina di detenuti). Molti sono stati trasferiti e quelli rimasti sono ora oggetto di una inchiesta. Un'indagine tutt'altro che conclusa che potrebbe avere nuovi sviluppi. Si sta cercando di capire come si è deciso che andava trasferito e chi poteva rimanere a Padova, classificato un carcere modello, almeno per le molte attività lavorative che si svolgono all'interno. Fa riflettere la situazione al Due Palazzi con l'inchiesta chiusa l'altro giorno dai carabinieri di Catania che hanno arrestato 15 persone per un traffico di droga. La banda riceveva le direttive dal carcere di Padova, dove è detenuto l'ergastolano Mario Pace, siciliano di 57 anni, ex esponente dei Pillera-Cappello e condannato per omicidi e mafia. Pace ha avuto dei permessi dal tribunale di Sorveglianza e spesso si trovava fuori dal carcere durante il giorno. Pace consegnava dei pizzini alla sorella (è stata indagata) durante i colloqui, e impartiva le direttive alla banda su un traffico di droga dai Pesi Bassi, anche grazie ad un computer che aveva nella sua cella. Della chiusura della massima sicurezza al Due Palazzi (ora nel Triveneto resta solo il carcere di Tolmezzo) se ne parla dopo l'inchiesta-scandalo su un reparto del carcere padovano trasformato in un supermarket fuorilegge dove tutto aveva un prezzo. L'alta sicurezza è riservata a condannati per reati di tipo associativo (mafia, traffico di droga a livello internazionale, sequestri di persona, reati di terrorismo) sottoposti ad una sorveglianza più stretta rispetto ai cosiddetti comuni, in quanto inseriti nella criminalità organizzata. Nel gennaio 2015, l'allora direttore del carcere, Salvatore Pirruccio, in merito alla posizione di diversi detenuti preoccupati di trasferimenti a breve proprio quando stanno tentando di portare avanti un percorso di cambiamento, garantiva: “Chi ha intrapreso un percorso rieducativo-trattamentale, per esempio andando a scuola, frequentando corsi, lavorando, potrebbe essere escluso da trasferimenti come prevede la chiusura dell'alta sicurezza”. Viterbo: Fns-Cisl; il carcere è sovraffollato e manca personale viterbonews24.it, 3 dicembre 2016 Mammagialla, un carcere sovraffollato, 160 detenuti in più, in cui il personale è carente. Una situazione di disagio questa che riguarda Viterbo come tutta la regione laziale, la denuncia arriva da Fns-Cisl Lazio. Nei carceri del Lazio aumentano detenuti e manca personale. C’è necessità di correttivi per una maggiore consistenza effettiva del personale di polizia penitenziaria. Continuano ad aumentare i detenuti nel Lazio rispetto al mese scorso, infatti ne risultano 83 più. Il dato al 30 novembre del sovraffollamento risulta essere di 910 detenuti, considerato che n. 6.147 risultano essere i detenuti reclusi nei 14 istituti del Lazio, rispetto ad una capienza regolamentare di detenuti prevista di n. 5.237. Preoccupante risulta essere il dato delle case circondariali di Cassino (+102), Frosinone (+49), Latina (+63), in crescita rispetto ai mesi precedenti in modo esponenziale, Rieti (+42), Civitavecchia(+95), Rebibbia (+224), Regina Coeli (+320), Velletri (+157) e Viterbo (+160). Per la Fns-Cisl Lazio pur apprezzando le nuove normative in tema di esecuzione penale, istituendo il nuovo dipartimento giustizia minorile e di comunità, i risultati concreti purtroppo tardano ad arrivare. Occorre, altresì, in tutti gli istituti penitenziari del Lazio una maggiore consistenza effettiva di personale di polizia penitenziaria tale da coprire le reali esigenze degli istituti e ciò può realizzarsi solo mediante lo scorporo del personale in servizio presso servizio extra moenia dagli istituti penitenziari. Cassino (Fr): proteste in carcere, cella a fuoco e mobili distrutti di Paola E. Polidoro ciociariaoggi.it, 3 dicembre 2016 Non c’è pace dietro le sbarre al San Domenico. Dopo il crollo del pavimento della sala Regia di mercoledì mattina, in serata un detenuto ha letteralmente distrutto la sua cella. Dopo cena, un detenuto italiano quarantenne di origine napoletana, che finirà di scontare la sua pena a maggio 2017 e ristretto per reati di droga, trasferito dal penitenziario romano di Rebibbia in regime sex offender, ha distrutto completamente la cella come forma di protesta poiché voleva andare in un altro istituto in modo da avvicinarsi alla famiglia. Nella tarda mattinata di ieri le proteste sono continuate in un’altra sezione, dove alle 11.20 circa, un altro detenuto, di origine palestinese e di quaranta anni, che finirà di scontare la sua pena ad agosto 2017 per i reati di furto, rapina e resistenza a pubblico ufficiale, ha dato fuoco alla propria cella come forma di rimostranza perché pretendeva un lavoro. Il personale di Polizia è intervenuto prontamente mettendo in sicurezza gli altri detenuti e spegnendo l’incendio. L’uomo ha dato fuoco a tutti i suoi indumenti, e solo grazie al repentino intervento dei baschi blu, l’intero mobilio della cella, compreso il materasso, non sono andati bruciati. Il fumo però ha creato dei disagi dando luogo ad una situazione critica. Il detenuto è stato spostato perché con il suo gesto ha compromesso la vivibilità della cella che adesso dovrà essere bonificata prima di essere riassegnata. Ogni giorno il personale di polizia penitenziaria lavora per fronteggiare situazioni difficili. Dal sindacato Maurizio Somma, segretario nazionale per il sindacato autonomo di polizia penitenziaria per il Lazio ha inviato una nota nella quale esprime massimo riconoscimento per l’impegno mostrato dai colleghi. Intanto procedono i lavori per la ristrutturazione del pavimento crollato mercoledì mattina. Tutti gli uffici adiacenti all’area crollata, compresi corridoio e celle di sicurezza, sono stati chiusi, poiché ritenuti pericolanti. Il Natale è alle porte ma dietro le mura del San Domenico gli animi sono incandescenti e pronti a dar fuoco alle polveri. Venezia: morto Raffaele Levorato, donne e uomini delle carceri veneziane gli devono molto di Giorgio Malavasi Gente Veneta, 3 dicembre 2016 Un generoso puro. Ecco chi era Raffaele Levorato, morto mercoledì 30 novembre, a 82 anni, nella sua casa al Lido di Venezia. Raffaele Levorato è stato il fondatore e l’anima, per più di vent’anni, della cooperativa Rio Terà dei Pensieri. La coop nacque nel 1994, a seguito della tragica morte del Provveditore al Porto Di Ciò, per realizzare due obiettivi: formare i detenuti al lavoro e aprire loro, una volta usciti, delle opportunità concrete nelle attività produttive. Levorato ha guidato l’esperienza fin dall’inizio, con passione e altruismo. Raccontava che la sua preoccupazione era quella di far lavorare i detenuti, sì, ma di evitare con la massima attenzione che quell’occupazione potesse essere sfruttata da qualcuno. Negli anni sono state molte le realizzazioni della cooperativa, grazie all’impegno di Levorato: corsi di formazione, la creazione di un laboratorio di serigrafia a Santa Maria Maggiore, di uno di cosmetica e dell’Orto delle Meraviglie nel carcere femminile della Giudecca. Oggi presieduta da Liri Longo, la cooperativa Rio Terà dei Pensieri e il mondo carcerario devono molto a Raffaele Levorato che, tre anni fa, aveva avuto la soddisfazione di vedersi consegnare la medaglia di "Giusto tra le nazioni" in memoria dei suoi genitori Stella e Giulio i quali, tra il 1943 e il ‘45, nella loro casa di Castello, nascosero due famiglie ebraiche, salvandole dalle deportazioni naziste. "Mio padre e mia madre - aveva commentato in quell’occasione Raffaele Levorato - erano persone semplici, che avevano un gran cuore e che hanno svolto la propria esistenza secondo il concetto evangelico di amore verso il prossimo: il loro gesto va ricondotto unicamente a questo principio morale". Un principio che ha intriso anche tutta la sua vita. I funerali di Raffaele Levorato saranno celebrati sabato 3 dicembre, alle ore 15, nella chiesa di San Nicolò del Lido di Venezia. Agrigento: Rita Bernardini "perquisiti i pannolini dei bimbi, ecco le condizioni del carcere" livesicilia.it, 3 dicembre 2016 La radicale Rita Bernardini ha visitato il carcere Petrusa di Agrigento e ha scritto alla Procura. Ecco uno stralcio della sua denuncia. "Molti detenuti in regime di AS3 del carcere di Agrigento mi hanno rappresentato le modalità con cui vengono effettuate le traduzioni in occasione delle udienze che si svolgono presso i Tribunali di Palermo o Catania. Da segnalare il fatto che trattasi di detenuti che hanno sia i familiari che le udienze a Palermo o Catania e che sono stati trasferiti dagli istituti delle due città a quello di Agrigento, il che non si spiega visto che Agrigento è anch’esso gravemente sovraffollato, che diviene gravoso avere i colloqui familiari e che per il trasporto alle udienze i detenuti subiscono un trattamento fortemente lesivo della salute fisica e mentale e ciò senza considerare i costi aggiuntivi che l’Amministrazione penitenziaria deve sopportare. Secondo quanto mi è stato raccontato, i detenuti vengono svegliati la mattina prestissimo, caricati nel furgone blindato e sistemati -ammanettati- ciascuno all’interno di "gabbiette minuscole" prive peraltro di cinture di sicurezza. Da Agrigento il blindo si dirige poi verso altri istituti penitenziari per raccogliere altri detenuti che hanno udienze a Palermo o Catania, così che il "viaggio" duri un’infinità di ore, anche cinque o sei. Fatta l’udienza (ed è facile intuire in che stato di frustrazione psicologica e fisica), stesso percorso a ritroso fino a ritornare al luogo di partenza di sera tardi o a notte fonda. Considerata l’inesistente manutenzione delle strade siciliane e lo stato dei blindi, non è difficile immaginare come debba sentirsi chi si trovi all’interno del furgone blindato. Non si può peraltro escludere un incidente lungo il percorso. A questo "trattamento" vengono sottoposti anche detenuti malati, magari appena operati al cuore come ci è stato testimoniato nel carcere Petrusa di Agrigento nel corso della visita. Altro "trattamento" che mi preme segnalare e che mi è stato rappresentato dai detenuti in Alta Sicurezza 3, riguarda le perquisizioni che vengono effettuate in occasione dei colloqui con i familiari. Prima dell’incontro con i familiari, i detenuti vengono fatti spogliare nudi a gruppi di 4 in locali sporchi, fatiscenti e privi di riscaldamento. Non si comprende il motivo per il quale il detenuto sia costretto a farsi vedere nudo da altri che non siano le forze dell’ordine addette alla sicurezza. Anche i bambini vengono perquisiti in vista del colloquio con il genitore detenuto: vengono tirate giù le mutandine di bambini e bambine e controllato il pannolino. Anche in questo caso non si comprendono le ragioni di tali modalità di perquisizione che possono essere traumatizzanti, considerato che i colloqui sono videoregistrati e si svolgono alla vista del controllo degli agenti". La Spezia: nel carcere di Villa Andreino detenuti e agenti penitenziari al freddo cittadellaspezia.com, 3 dicembre 2016 La denuncia arriva da Fabio Pagani segretario regionale Uil Polizia penitenziaria: "La nostra denuncia è stata fatta già mesi fa e di soluzioni non se ne trovano". "Mentre all’interno del Villa Andreino della Spezia i circa 183 detenuti presenti, dormono con le finestre aperte, nella caserma Agenti i Poliziotti Penitenziari soffrono il grande freddo - così Fabio Pagani, Segretario Regionale Uil Polizia Penitenziaria, denuncia quanto sta accadendo alla Spezia e soprattutto punta nuovamente il dito verso la Direzione e al suo disinteresse - non è possibile prosegue accorato Pagani - fingere meraviglia di fronte a ciò è e sarebbe perfettamente ipocrita - anzi c’è un interrogativo molto inquietante da porsi - il Direttore sa delle condizioni in cui vivono e soffrono gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria? - da mesi denunciamo in ogni sede e con ogni legittimo strumento le difficoltà di gestione dell’istituto, a ciò si aggiunge l’incapacità di trovare immediate soluzioni - chiosa ancora Pagani - addirittura ed è bene saperlo che i poliziotti alla Spezia stanno nuovamente imparando a parlare utilizzando segnali di fumo perché anche il sistema di comunicazione (telefoni interni) è andato completamente in tilt - così facendo è facile comprendere che non è solo a rischio la salute del personale (colpito dal freddo), ma soprattutto la sicurezza dell’istituto che senza il perfetto funzionamento di tali strumenti sono pressoché impossibili le migliaia e indispensabile comunicazioni - spero vivamente - afferma il sindacalista Uil - che non si attenda che succeda l’irreparabile prima di iniziare ad occuparsi seriamente dei problemi penitenziari, anche perché in assenza di interventi pragmatici, immediati ed efficaci non ci vuole certo una profezia per capire che manca davvero poco prima che accada". Sassari: "è una realtà di qualità", il ministro promuove il carcere di Bancali di Luca Fiori La Nuova Sardegna, 3 dicembre 2016 Orlando: "È una realtà di qualità, ma con problemi di organico". Critici i sindacati esclusi dal tour. "È un carcere nuovo, funziona, ci sono naturalmente problemi legati ai vuoti di organico, ma rispetto alla media degli istituti penitenziari del paese onestamente è una realtà di qualità". È uscito soddisfatto ieri mattina dalla visita al carcere sassarese di Bancali il ministro della Giustizia Andrea Orlando che prima di fare rientro a Roma, dopo l’incontro per la campagna referendaria di mercoledì sera a Sassari, ha deciso di incontrare il personale in servizio nell’istituto di pena inaugurato tre anni fa. Durante il sopralluogo di oltre due ore in compagnia dei vertici dell’istituto e della deputata del Pd Giovanna Sanna, il ministro ha visitato tutti i settori, compreso il braccio che ospita i detenuti in regime di 41 bis. C’è stato anche il tempo per un curioso siparietto con un detenuto accusato di terrorismo di matrice islamica. "Ho visto un suo dibattito in televisione - ha detto al ministro il detenuto straniero - domenica sarà dura, in bocca al lupo per il referendum". Dopo gli sguardi perplessi e divertiti e gli scongiuri fatti dallo staff del ministro la visita è proseguita per le altre sezioni. "Ha garantito il suo impegno e quello del Governo - ha spiegato dopo la visita la direttrice Patrizia Incollu - per l’assunzione in tempi brevi di nuovo personale della polizia penitenziaria. Che ci sia una carenza di personale del resto non è una novità". Per il ministro quello di Bancali, carenza di personale a parte, è comunque un carcere "dotato di spazi che rispondono ad un’idea positiva dell’esecuzione penale. Naturalmente - ha concluso Orlando - molto ancora è da fare". La visita del ministro della Giustizia, che due giorni fa ha rassicurato i capi degli uffici direttivi giudiziari di Sassari sulla stabilità della sezione della Corte d’appello sassarese, ha creato un pò di malumore tra i rappresentanti sindacali che si sono sentiti esclusi. "Apprendiamo in modo casuale e con sorpresa che il ministro Orlando ha fatto visita all’istituto di Bancali - spiega Antonio Cannas della segreteria regionale della Unione dei sindacati della polizia penitenziaria - in qualità di sigla sindacale che annovera nello stesso istituto, il maggior numero di associati e dopo aver fatto 120 segnalazioni solo nell’anno in corso, tese a denunciare le innumerevoli lacune di gestione, ci aspettavamo che il ministro ci incontrasse insieme alle altre sigle sindacali. Avremo saputo, nell’occasione dipingergli il triste quadro della situazione, di cui l’amministrazione non può di certo andare fiera - aggiunge Cannas - inoltre ci chiediamo se il ministro intenda visitare l’istituto di Tempio, dove né i colleghi e né i detenuti usufruiscono di acqua potabile e acqua calda, nonostante, per i poliziotti, venga preteso il pagamento dell’affitto della camera, senza poter usufruire dei servizi essenziali". Vicenza: in carcere scatta l’allarme Tbc, la denuncia della Uil-Pa di Matteo Bernardini Giornale di Vicenza, 3 dicembre 2016 La notizia è stata diffusa ieri sera attraverso un comunicato della Uil-Pa, la sigla sindacale della polizia penitenziaria del Triveneto: un detenuto del carcere San Pio X sarebbe risultato positivo alla tbc. "Nella tarda serata di ieri siamo stati informati che un detenuto extracomunitario del carcere San Pio X è stato trovato positivo alla tbc", scrive il segretario regionale della Uil-Pa, Leonardo Angiulli. "A quanto ci risulta - continua Angiulli - il detenuto straniero, dopo essere rimasto in stato di isolamento, era tornato assieme agli altri compagni perché sembrava non fosse più contagioso. In realtà però le cose non stavano così". Secondo il sindacalista, infatti, proprio ieri sera sarebbe arrivata una comunicazione dall’ospedale San Bortolo, dove evidentemente il detenuto nei giorni scorsi era stato sottoposto a degli accertamenti, con la disposizione di ricoverare lo straniero nel reparto malattie infettive visto che sarebbe stata accertata la sua positività alla tubercolosi. E la situazione ha subito cominciato a creare forte preoccupazione negli agenti penitenziari e nei loro rappresentanti sindacali. "Non possiamo che esprimere amarezza per quanto abbiamo saputo - riprende il segretario regionale della Uil-Pa - e naturalmente forte preoccupazione per le circostanze e il rischio contagio per tutti gli operatori che in queste settimane, a causa del loro lavoro, sono entrati in contatto con il detenuto". La nota del sindaco, ieri sera, è cominciata a circolare non solo tra gli agenti penitenziari iscritti al sindacato, ma anche tra i loro colleghi; e una copia è arrivata al medico del San Pio X, al responsabile della sicurezza del carcere e al resto del personale. "Siamo difronte a un altro episodio che getta una certa inquietudine anche in considerazione dei recenti fatti di cronaca che hanno visto al centro il penitenziario di Vicenza", conclude Angiulli. Un paio di settimane fa infatti al San Pio X si era registrata l’aggressione ai danni di tre guardie da parte di un detenuto nonché due tentativi di suicidio e un altro pestaggio, questa volta ai danni di un recluso. E anche in quell’occasione intervenne, per stigmatizzare l’accaduto, il segretario della Uil penitenziaria. "Siamo sotto organico e il nuovo padiglione ha complicato ancora di più le cose", aveva ricordato Angiulli. Ora invece, come già avvenne circa tre anni fa con un altro caso di detenuto affetto da tbc, il problema pare essere quello della malattia infettiva e dei controlli e di conseguenza della sicurezza sanitaria degli agenti di sicurezza che si trovano quotidianamente a contatto con i detenuti. Firenze: i detenuti di Sollicciano ricordano lo storico docente Nicola Zuppa Redattore Sociale, 3 dicembre 2016 Sabato 3 dicembre, alle ore 9, presso il campo sportivo della casa circondariale di Sollicciano i reclusi disputeranno un triangolare di calcio a 11 in suo ricordo. I detenuti di Sollicciano ricordano Nicola Zuppa, storico docente dell’istituto penitenziario fiorentino scomparso a settembre. Sabato 3 dicembre, alle ore 9, presso il campo sportivo della casa circondariale di Sollicciano i reclusi disputeranno un triangolare di calcio a 11 in suo ricordo. Al torneo prenderanno parte tre squadre: la polisportiva Scarcerarci, fondata dallo stesso Zuppa e punto di aggregazione per coloro che usufruiscono di misure alternative come semilibertà e le due squadre di detenuti ospiti dei due istituti fiorentini (Sollicciano e Gozzini) condotte e animate da operatori UISP e inserite nel progetto "Sport in Libertà", sostenuto dal Comune di Firenze. Il torneo si disputerà dentro le mura di Sollicciano e vedrà incontrarsi le tre squadre in partite di calcio a 11 non competitive di 30 minuti. Alla giornata prenderanno parte rappresentanti istituzionali del Comune di Firenze e del Ministero della Giustizia, giornalisti e volontari e referenti delle associazioni coinvolte. A conclusione degli incontri si terrà una cerimonia in ricordo di Nicola Zuppa e, alla presenza della famiglia, verrà apposta una targa commemorativa in un’aula a lui dedicata. Pescara: pensieri e murales, parte il progetto "Sulle ali della libertà" di Francesco Rapino abruzzonews.eu, 3 dicembre 2016 Un importante, impegnativo e prezioso esperimento di carattere nazionale, che si terrà nel carcere San Donato di Pescara, è stato promosso dall’Assessorato alle Politiche sociali. "Sulle ali della libertà, questo è il titolo che abbiamo dato all’iniziativa promossa dall’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Pescara - ha detto l’assessore comunale, Antonella Allegrino - e abbiamo messo insieme diverse realtà, la Casa Circondariale, in particolare le persone detenute all’interno e l’Istituto Misticoni Bellisario che sarebbe il Liceo Artistico, lo Spazio di Sophia che si occupa di Filosofia Pratica e la Croce Rossa Italiana. Queste realtà insieme portano avanti appunto riflessioni di Filosofia Pratica ed il contatto tra le persone detenute ed i ragazzi per la realizzazione di due murales nel Carcere. Sulle ali della libertà è un titolo significativo su quello che vuole essere il recupero e la relazione che l’individuo ha dimostrato di recepire attraverso la voglia ed il desiderio di essere libero innanzitutto concettualmente e poi anche concretamente". Il progetto, denominato "Sulle ali della libertà", prevede la realizzazione di incontri di filosofia pratica, con scambio di riflessioni su momenti di vita stimolato da frasi di Simone Weil, e di esperienze tra giovani e detenuti. Nel progetto saranno coinvolti anche gli studenti del Liceo artistico musicale coreutico "Misticoni-Bellisario", che collaboreranno con i reclusi nella realizzazione di due murales. "Un impegno importante che si inserisce in un progetto molto più ampio che riguarda la genitorialità - ha sottolineato il direttore della Casa Circondariale di Pescara, Franco Pettinelli - abbiamo un progetto con il Telefono Azzurro abbastanza noto in cui i detenuti fanno i colloqui con i figli minori, quasi nell’arco dell’intera giornata. Questo progetto ci consente di allestire una sala colloqui soprattutto per questi bambini che non devono subire le conseguenze del reato del padre. Quindi grazie a questo progetto, con le associazioni andremo a compiere insieme ai detenuti dei disegni nella sala in modo da rendere l’ambiente meno cupo di quello che è. L’iniziativa è rivolta a tutti i detenuti, in base al loro valore, anche perché un minimo di capacità artistica la devono avere e convergono tutti in questo progetto. In questo caso riguarda la capacità specialmente artistica, soprattutto la capacità di realizzare murales, vorremmo estendere questo progetto a tutto l’Istituto. Abbiamo anche altri progetti in corso e credo che sia una bella cosa che riguarda molto la fascia giovanile. L’idea nasce proprio dagli stessi detenuti, sia da padri che volevano una sala un pò più accogliente, ma anche dagli altri detenuti che volevano aderire ad un progetto importante". San Gimignano (Si): da Ranza alle classi di Poggibonsi per evadere con le favole di Esopo valdelsa.net, 3 dicembre 2016 Una favola per "evadere". Si chiama "Su ali di carta con Oscar" ed è un libro che con le favole di Esopo che ha coinvolto i detenuti del carcere di Ranza a San Gimignano attraverso Maria Angela Oliva. "Si tratta di un lavoro - ha detto l’insegnante durante la presentazione, durante la quale sono state consegnate alcune copie del volume alla biblioteca del Cpia "Sandro Pertini" di Poggibonsi - su 100 favole di Esopo perché parlava esempi concreti di giustizia, dava esempi positivi da seguire". Una favola per "evadere". Si chiama "Su ali di carta con Oscar" ed è un libro che con le favole di Esopo che ha coinvolto i detenuti del carcere di Ranza a San Gimignano attraverso Maria Angela Oliva, insegnante che ieri ha presentato il volume ai ragazzi delle classi 5a C e D e 4a C e D della scuola Primaria "Marmocchi" dell’Istituto Comprensivo 1 di Poggibonsi. "Si tratta di un lavoro - ha detto Oliva durante la presentazione, durante la quale sono state consegnate alcune copie del volume alla biblioteca del Cpia "Sandro Pertini" di Poggibonsi - su 100 favole di Esopo perché parlava esempi concreti di giustizia, dava esempi positivi da seguire". Nella mattinata i bambini sono stati coinvolti nell’iniziativa e hanno raccontato con i colori (nero, rosso, giallo), le sensazioni che hanno quando si parla di carcere. Per la vicaria del Comprensivo 1, Antonella Benini, "L’iniziativa va nella direzione di sensibilizzazione verso temi delicati come quello del carcere. La nostra scuola è attenta a tutti ambienti dove sono parla di sicurezza e di vivere civile". "Abbiamo pensato - continua - che fosse giusto ed educativo far vedere ai bambini luoghi e ambienti del territorio senza tabù. Un progetto dentro al quale c’è anche la presentazione del libro sulle favole di Esopo". La mattinata ha avuto lo scopo di descrivere e raccontare, attraverso giochi e un linguaggio semplice, il carcere come luogo dove si trovano le persone adulte che non hanno rispettato le regole. Un luogo dove imparano a cambiare e a migliorarsi attraverso varie attività e corsi. Ma è anche un luogo dove, soprattutto, imparano a rispettare la legge. All’iniziativa erano presenti anche Oscar, cane di razza Terranova e un bracco italiano, già inseriti in un progetto di pet therapy "Vi presento Oscar". La giornata è stata curata da Emanuela Cimmino, responsabile educatrice Carcere di Ranza e da Monica Sarno responsabile detenuti Prap. Firenze e da Sara Cherubini segretario del progetto "Vi presento Oscar". Rimini: questa sera spettacolo teatrale con una raccolta-fondi per i figli dei detenuti altarimini.it, 3 dicembre 2016 Uno spettacolo per raccogliere fondi destinati ai figli dei detenuti attualmente in carcere presso la Casa Circondariale di Rimini: per incentivarli, non lasciarli soli, supportarli nelle attività sportive e di doposcuola. L’iniziativa, realizzata dai musicisti e dai cantanti dell’associazione culturale Klangwelt, si terrà sabato 3 dicembre 2016 alle ore 21.00 presso il Teatro degli Atti. Attualmente ai Casetti ci sono 113 detenuti: 50 di questi hanno figli. Il titolo dello spettacolo è: "L’oceano, il mare, il vento". Comunicato stampa - Continuare ad essere genitori oltre le sbarre è una necessità, una sfida, un impegno che necessita di quotidiano supporto, sostegno e speranza per i detenuti. Non solo, le sbarre delle loro celle rischiano giorno dopo giorno di limitare anche le prospettive e le possibilità dei loro figli. Per non lasciarli soli e supportarli nelle loro attività genitoriali sono stati così pensati diversi momenti di incontro e confronto, da cui è nata anche l’idea di una raccolta fondi tramite uno spettacolo di beneficenza realizzato dai musicisti e cantanti dell’associazione culturale "Klangwelt", che lo scorso inverno ha condotto un appassionante laboratorio di "lettura scenica" presso la Casa Circondariale di Rimini, che ha visto la partecipazione di circa trenta detenuti. Lo scopo della raccolta è quella di creare un fondo che supporti e incentivi i figli dei 50 padri detenuti presso la Casa Circondariale di Rimini nello svolgimento di attività sportive e di doposcuola, al fine di valorizzare il diritto di ogni bimbo a crescere e confrontarsi con i coetanei in modo equilibrato e sviluppare le proprie abilità. Questo il fine della raccolta fondi attraverso il ricavato dello spettacolo "L’oceano, il mare e il vento. Favole e Ballate" in programma domani sera alle ore 21 al teatro degli Atti e organizzato dall’Associazione Madonna della Carità grazie alla collaborazione della Casa Circondariale e del sostegno del Comune di Rimini. La dimensione ludica è una importante opportunità di socializzazione e strumento di valorizzazione di sé e di autostima, elementi che contribuiscono a riacquistare equilibrio e normalità all’interno delle famiglie che rimangono "fuori", al di là delle sbarre. Oltre ai 30 detenuti partecipanti ai laboratori espressivi, sono 36 quelli frequentanti corsi di alfabetizzazione o di didattica di scuola media, 28 quelli impegnati in laboratori professionali come pasticceria, ceramica o fotografia. Oltre questo tipo di attività anche la leva lavorativa rappresenta un importante momento di riscatto e progressiva autonomizzazione; sono circa 30 i detenuti a Rimini che svolgono attività retribuita all’interno dell’Istituto, mentre altri 9, tra quelli in stato di semilibertà e detenuti lavoranti all’esterno, escono ogni giorno dal carcere per svolgere la loro attività lavorativa, formativa o di volontariato. "La musica e la lettura, la musica e l’animazione come strumenti - commenta Gloria Lisi, Vicesindaco con delega alla protezione del Comune di Rimini - per investire sui figli dei detenuti, affinché non siano i piccoli a pagare le colpe dei grandi. Attività normali di tutti i giorni che per i figli dei detenuti rischiano invece di diventare complicati e a volte impossibili. Un evento doppiamente interessante perché, da una parte sviluppa le capacità espressive dei detenuti, tramite i corsi e i laboratori di teatro, scrittura e lettura, e dall’altra permetterà di finanziare attività sportive, ricreative e di studio per i loro figli. Un approccio alla detenzione che va oltre al concetto di pena, cercando nella dimensione educativa un’occasione di riscatto". Forlì: scambio di auguri in carcere, c’era anche Techné forlitoday.it, 3 dicembre 2016 Si è tenuto venerdì lo scambio di auguri in occasione del Natale tra i detenuti del laboratorio produttivo di assemblaggio, Altremani, interno alla Casa Circondariale di Forlì e i numerosi ospiti. Si è tenuto venerdì lo scambio di auguri in occasione del Natale tra i detenuti del laboratorio produttivo di assemblaggio, Altremani, interno alla Casa Circondariale di Forlì e i numerosi ospiti tra cui istituzioni, associazioni e imprese del territorio. Il momento degli auguri è stato anche l’occasione per tirare le somme di fine anno, facendo un bilancio in termini economici, etici e sociali, di questa importante esperienza. Il laboratorio, nato nel 2006, rappresenta un’iniziativa di grande successo, per nulla scontato all’interno di un carcere, sia in termini occupazionali che economici. Questa realtà tutta forlivese, infatti, rappresenta un’eccellenza nel panorama carcerario nazionale non solo per gli oltre 55 detenuti che in questi anni ha assunto, ma anche grazie all’indipendenza economica raggiunta, superando le difficoltà strutturali, logistiche, normative e relazionali caratterizzanti le attività in carcere che spesso ne compromettono non solo l’autosufficienza economica ma la stessa sostenibilità. A febbraio ha festeggiato i suoi primi 10 anni di vita e di successi, grazie tra gli altri alle due imprese virtuose del nostro territorio Mareco Luce e Vossloh Schwabe che, dimostrando una forte responsabilità sociale, forniscono le commesse che permettono al Laboratorio di sostenersi e svilupparsi. A questi due grandi protagonisti, si aggiunge l’ente di formazione Techne che coordina e monitora quotidianamente le attività e la cooperativa Lavoro Con che si fa carico dell’assunzione dei detenuti, permettendo di raggiungere indici produttivi e qualitativi di ottimo livello. "Anche quest’anno abbiamo voluto rinnovare gli auguri ai 4 detenuti che lavorano nel laboratorio di assemblaggio Altremani - spiega Lia Benvenuti, direttore generale di Techne - a testimoniare, anche e soprattutto a Natale, che il lavoro è l’unico vero strumento per rieducare le persone alla legalità e alle regole della società civile". "È un piacere accogliere tanti ospiti per festeggiare con noi il Natale ed i risultati di fine anno per nulla scontati di questo laboratorio - sottolinea Palma Mercurio, direttrice della Casa Circondariale di Forlì - ottenuti grazie al lavoro e alla collaborazione di una rete territoriale fatta di enti pubblici e privati nonché di preziosi collaboratori interni ed esterni al carcere. Il 2016 - continua la Mercurio - chiude con un valore della produzione di circa 45.000 euro, dato significativo che fa di questa esperienza una buona pratica da replicare in altri contesti detentivi". Il carcere di Forlì conta ad oggi 122 detenuti di cui 22 donne ed è fortemente impegnato in 4 laboratori produttivi nati per dare lavoro ai detenuti ed insegnare loro un mestiere: il laboratorio di cartiera artigianale Manolibera, il laboratorio di recupero apparecchiature elettriche ed elettroniche, il laboratorio di riparazione bici "Liberi di pedalare" e appunto Altremani. "In Italia - sottolinea Damiano Zoffoli - c’è un tasso di recidiva del 50% tra i detenuti ma di fronte ad esperienze di lavoro in carcere, quali i Laboratori del carcere di Forlì, la recidiva si abbassa fino quasi ad azzerarsi. Sono convinto - continua Zoffoli - che grazie al lavoro durante la detenzione si riesca a raggiungere una reale rieducazione, riabilitazione e reinserimento del detenuto nella società, offrendo una concreta possibilità di riscatto. Hanno partecipato allo scambio di auguri, oltre ai protagonisti che hanno fatto e tuttora fanno la storia del Laboratorio, numerose imprese del territorio nonché autorità locali e regionali tra cui Paolo Zoffoli e Valentina Ravaioli Consiglieri Regionali Emilia Romagna; Raoul Mosconi, Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Forlì e Presidente del Clepa (Comitato Locale Esecuzione Penale Adulti) e l’europarlamentare Damiano Zoffoli. Ravenna: il Natale in carcere fra mercatini aperti a tutti e tombolate ravenna24ore.it, 3 dicembre 2016 È stato reso noto il calendario delle attività e degli eventi programmati presso l’istituto penitenziario di Ravenna per il periodo natalizio. La festa del Babbo Natale e il torneo di ping pong "Bambinisenzasbarre" saranno momenti di incontro tra i detenuti padri e i loro figli; il brunch sarà un’occasione conviviale tra il carcere, le Istituzioni e i rappresentanti delle varie organizzazioni ed associazioni che sostengono in maniera importante le varie attività dell’Istituto; infine il Mercatino di Natale di via Port’Aurea è aperto a tutta la cittadinanza che potrà ammirare ed acquistare i prodotti realizzati a mano dai detenuti. Le tombolate e il pranzo di Natale, come pure la Santa Messa che si celebrerà il 25 dicembre, saranno invece rivolte esclusivamente alla popolazione detenuta. Nelle stesse giornate dei mercatini, sarà possibile visitare all’interno della Casa Circondariale il presepe realizzato dai detenuti. Ferrara: il giubileo del carcere chiuso a ritmo funky La Nuova Ferrara, 3 dicembre 2016 Settanta detenuti dell’Arginone ballano per salutare e ringraziare Francesco "Il Papa è pop" merita un bis. L’appello a non dimenticare i carcerati. La musica e la danza come linguaggi universali, meglio che l’inglese usato durante le prove per farsi capire anche da chi mastica a fatica l’italiano. Una coreografia funky per salutare il Papa al termine dell’anno santo e ringraziarlo per le riflessioni sulla misericordia, più prosaicamente per aver tenuto accesa l’attenzione sui problemi delle carceri: i detenuti dell’Arginone l’avevano preparata sperando di poterla mettere in scena proprio davanti al Santo Padre, che la scelta della casa circondariale di Ferrara come struttura in cui chiudere ufficialmente il Giubileo degli istituti di pena fosse la premessa per l’arrivo di Francesco. Come a Rebibbia per l’apertura della Porta santa, è stato il refrain nelle settimane di avvicinamento all’evento di ieri. Ci credevano, i detenuti. L’hanno sperato fino alla vigilia; e con loro i vertici della casa circondariale e gli agenti di custodia. Hanno avuto il vescovo, le autorità cittadine e gli agenti per pubblico, e l’attenzione dei media sul messaggio "Pope is pop", "il Papa è pop" che ha riscontrato curiosità anche negli Stati Uniti, in Russia e in Brasile, come sottolinea la comandante della polizia penitenziaria, Annalisa Gadaleta. Nel teatro dell’Arginone hanno concesso il bis. Il carcere è sempre un microcosmo. Quello di Ferrara vive una fase caratterizzata da un’osmosi importante con la città, con detenuti che studiano nella sezione staccata del Vergani o provano a laurearsi grazie ad una convenzione con Unife e compagni che nei corsi di tirocinio trovano un piccolo guadagno e imparano un mestiere utile al reinserimento. La "rieducazione del condannato", pilastro costituzionale che nessuna riforma si sogna di manomettere è concetto su cui si sono soffermati in molti, nell’incontro che ha preceduto lo spettacolo. Ne ha parlato il direttore Paolo Malato, lo ha affrontato Ilse Runsteni, provveditore interregionale alle carceri che ha comunicato il dato ufficiale di Ferrara, a ieri: 334 detenuti, di cui 126 stranieri. Non tutti cristiani, tanto meno cattolici. Ma Francesco è un papa che piace, al di là del personale credo. E il messaggio della Misericordia, come ha ribadito il vescovo Luigi Negri, è universale. "Chiama in causa tutte le religioni - ha detto ieri salutando gli organizzatori dell’evento - e le spinge ad interrogarsi sulla propria natura. Perché non tutte le religioni, che pure convivono in un carcere, in una città, nello spazio europeo, passano l’esame della misericordia". Al termine dell’esibizione l’appello di un detenuto, a nome di tutti: a non aver pregiudizi. E a non dimenticarli, varcando in uscita quei cancelli. Firenze: Festival dei Popoli, a teatro con i rifugiati detenuti di Holot di Marco Cardini stamptoscana.it, 3 dicembre 2016 Holot è un centro di detenzione nel deserto israeliano vicino al confine con l’Egitto. Holot ospita richiedenti asilo che arrivano dall’Eritrea e dal Sudan. I rifugiati non possono rimpatriare nel loro paese né sono integrati dallo Stato di Israele. Il cineasta israeliano Avi Mograbi ed Chen Alon decidono di organizzare un laboratorio teatrale per alcuni rifugiati, all’interno del carcere Holot, seguendo i principi del "teatro dell’Oppresso" creato da Augusto Boal durante la dittatura in Brasile nel 1960. Questo metodo teatrale permette ai rifugiati di rivivere le esperienze di discriminazione e violenza che hanno subito da parte degli israeliani. Il laboratorio teatrale condotto dal cineasta israeliano diventa un luogo di messa in discussione delle politiche repressive di Israele. Al laboratorio partecipano anche dei giovani israeliani che recitano nella parte dei rifugiati. Mograbi decide di far recitare agli israeliani la parte dei rifugiati e viceversa. La scelta di invertire le parti è un momento fondamentale del processo teatrale, i rifugiati nel diventare israeliani si liberano della violenza psicologica interiorizzata. Gli israeliani nel diventare i rifugiati percepiscono la condizione di ingiustizia e sofferenza che stanno vivendo i richiedenti asilo. Il cineasta Avi Mograbi, presente ieri sera in sala, ha ricordato che gli israeliani, come del resto i suoi genitori, erano dei profughi quando sono arrivati in Palestina. Il cineasta ritiene che gli israeliani dovrebbero riconoscere e accogliere i rifugiati contestando la politica repressiva e razzista del governo israeliano contro i profughi. Avi Mograbi è uno dei maggiori documentaristi israeliani, ha diretto circa 20 film tra cui opere emblematiche come The Reconstruction (1994) e Z32 (2008), con un linguaggio e uno stile sperimentale e anticonformista che ritroviamo in Between Fences, uno dei documentari più significativi del festival dei Popoli. "Robinú". Michele Santoro e la Napoli della criminalità minorile di Federico Raponi L’Opinione, 3 dicembre 2016 Le bande della droga, quelle di una parte consistente dell’adolescenza partenopea, vengono raccontate da Michele Santoro in un documentario che - dopo la presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia - avrà un’uscita-evento in circa duecento sale il 6 e 7 dicembre. Per l’occasione, rivolgiamo alcune domande al giornalista/regista. Di cosa parla "Robinú"? Racconta la storia della formazione di bande di ragazzi giovanissimi, che a Napoli hanno preso il controllo delle piazze di spaccio e si ribellano anche al vecchio gioco di potere dei boss tradizionali, pretendendo di redistribuire la ricchezza che una volta essi accumulavano. È stato un lavoro di squadra? Ci sono voluti molti mesi, a partire dal "casting", perché il carattere straordinario di "Robinú" sta nel fatto che siamo abituati a racconti di questo mondo fatti attraverso la fiction, oppure tramite le parole dei pentiti; stavolta, invece, a parlare sono dei ragazzi detenuti. Alcune mie collaboratrici, in particolare Maddalena Oliva e Micaela Farrocco, sono dovute entrare una nel carcere minorile, l’altra a Poggioreale, e creare un lungo percorso di empatia con quelli che poi sono diventati i protagonisti della storia. Come ha avuto origine l’idea? Dalla cosiddetta "paranza dei bambini" di cui parla anche Roberto Saviano (nel suo nuovo, omonimo libro, ndr), cioè quella banda di ragazzi che va a pescare i propri nemici e li stende: a sedici anni sono dei killer consumati, conducono la loro esistenza tra l’attività criminale e il carcere, a volte ai venti non ci arrivano nemmeno. In particolare, siamo partiti muovendoci attorno alla figura di Emanuele Sibillo, personaggio estremamente interessante perché in comunità di recupero aveva avviato un percorso che lo portò addirittura a dichiarare amore per il giornalismo; era una persona - anche dotata, dal punto di vista culturale - che a meno di diciotto anni si è trovato a diventare il leader della banda che pretendeva di prendere il posto della famiglia Giuliano. Con una capacità carismatica che non si era mai vista prima di allora, ereditò quindi quella funzione: aveva un controllo completo sullo spaccio, un rapporto con tutti gli abitanti della zona, e venne ucciso diciannovenne. Il richiamo del titolo? Mentre il film veniva presentato a Venezia, da una persona molto esperta di misteri riguardanti la Camorra mi è stato riferito che già Raffaele Cutolo, nel momento in cui decise di fondare la Nuova Camorra Organizzata, aveva per Robin Hood un’adorazione che poi è continuata nell’azione degli scissionisti - come ci racconta la serie televisiva "Gomorra" - e in quest’ulteriore evoluzione della "paranza". Che realtà avete incontrato e quali elementi vi hanno colpito maggiormente? I ragazzi lavorano intorno allo spaccio di cocaina. Napoli in questo è la più importante piazza d’Europa: l’indotto di questa fabbrica del crimine coinvolge decine di migliaia di persone. Nella parte alta di questa piramide ci sono i boss, che accumulano grandi ricchezze, nella parte intermedia, nel controllo del territorio, ci stanno questi ragazzi, che per lo champagne, le donne, il potere, per spendere tutto in una notte fanno qualunque cosa, pronti ad ammazzare anche per una futile ragione. Sono cinici, spietati killer, però contemporaneamente quando vedono la mamma si sciolgono in lacrime, hanno una tenerezza straordinaria nei confronti delle loro donne, una commovente capacità d’amore, fanno figli a 14-15 anni, a 35 sono già nonni. Poi bisogna tener conto anche del fatto, secondo me molto importante, che ci troviamo di fronte all’unica grande città europea che mantiene ancora un elemento popolare nelle sue viscere, mentre ormai, in tutte le altre, i centri storici sono diventati dei "bed and breakfast". È una situazione incancrenita o ci sono possibilità di riscatto? Le mamme, agli arresti domiciliari, lavorano diciotto ore al giorno - come operai nelle fabbriche - per vendere droga. Nessuno di noi può lecitamente pensare che, se avessero un’alternativa, farebbero la stessa vita rischiando di finire in galera. Per recuperare questo tessuto sociale, che potrebbe essere laborioso, virtuoso e civile, ci vuole però coraggio e uno stato sociale che in tutta Europa si va riducendo. A Napoli la cocaina ci regala uno stato sociale criminale, perché senza quest’attività non si saprebbe quali risposte dare a migliaia di persone. Com’è andata la presentazione del documentario in carcere? Una delle esperienze più belle della mia vita, incontrare detenuti che si commuovevano, partecipavano. Dopo la proiezione abbiamo discusso del film da persone libere, perché quando il cervello si libera l’uomo è libero, anche in una situazione così pesante riesce a volare, a pensare in modo diverso. I ragazzi insistono sul concetto che nei loro quartieri c’è il 50 per cento di disoccupazione, molti di loro hanno la terza media ma non sanno né leggere né scrivere. Una volta espulsi dalla scuola, diventeranno pure criminali, ma è altrettanto criminale lo Stato che di fronte al fenomeno dell’evasione scolastica non reagisce in nessun modo. Migranti. L’Onu: 5mila morti nel 2016 e l’accordo con la Turchia non funziona Gazzetta del Mezzogiorno, 3 dicembre 2016 "La situazione nel Mediterraneo è grave. Quest’anno abbiamo già 4.700 vite perse che a fine 2016 potrebbero arrivare tristemente a 5mila. Per fermare i morti in mare occorre una strategia a lungo termine, ma bisogna agire presto". E l’allarme lanciato dall’Alto commissario Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, al forum "Med Dialogues" in corso a Roma dove la crisi dei migranti è stata uno dei principali temi della seconda giornata di lavori. "L’accordo con la Turchia non è risolutiva del problema" dei migranti "e probabilmente non ripetibile in altre situazioni", ha sottolineato Grandi. "L’Europa deve riformare il proprio sistema di accoglienza: questa è una crisi globale. Quello che noi suggeriamo è una migliore prevenzione sul flusso dei rifugiati. L’Europa deve svolgere un ruolo politico più forte per la soluzione dei conflitti e la gestione nei Paesi d’origine", ha proseguito Grandi. "Inoltre, occorre stabilizzare coloro che comunque fuggono con un’assistenza più mirata ai Paesi ospitanti. Infine, bisogna fornire dei percorsi alternativi per chi si sta spostando". Secondo l’Alto Commissario, occorre cambiare strategie e in questo senso "stiamo ponendo dei suggerimenti molto concreti". "Purtroppo ci sono persone che continuano a tentare di attraversare e i mezzi messi a loro disposizione dai criminali che li sfruttano sono sempre più fragili e quindi il rischio di perdere vite umane si accresce. Questo delle traversate è un fenomeno che può essere risolto solo con strategie a lungo termine", ha concluso Grandi. Sulla crisi dei migranti è intervenuto anche il vice ministro degli Esteri turco, Ahmet Yildiz, il quale ha ribadito l’importanza del lavoro di Ankara: "Il nostro ruolo è quello di aiutare i migranti, di tenere aperta la porta del confine per ragioni umanitarie e di farli vivere nelle migliori condizioni possibili, creando poi una coalizione per risolvere i problemi politici in Siria e in Iraq". Secondo Yildiz, "il nostro accordo" sui migranti "con l’Europa è stato un accordo conveniente per tutti e funziona bene. Se c’è un problema non riguarda i rifugiati, ma l’impegno pluridecennale preso con i cittadini turchi. Noi continueremo a fare quello che abbiamo fatto. Speriamo comunque che la situazione con l’Europa cambi perché sono decenni e decenni che negoziamo e la situazione sta diventando discriminatoria". Per quanto riguarda il sistema di accoglienza e di integrazione dei migranti, al centro della seconda parte dei lavori del forum, secondo Emma Bonino "bisogna avere coraggio e adottare una legge severa sull’immigrazione che possa convincere altri Stati europei all’integrazione". I Med Dialogues sono organizzati dalla Farnesina e dall’Ispi. Turchia. Osservatorio per la libertà di stampa "almeno 146 i giornalisti in prigione" Reuters, 3 dicembre 2016 Sono almeno 146 i giornalisti attualmente detenuti in Turchia, arrestati in maggioranza durante lo stato di emergenza dichiarato dopo il fallito colpe del 15 luglio, con accuse di legami con la presunta rete golpista di Fethullah Gulen o di sostegno al Pkk curdo. Lo rivelano le ultime stime dell’osservatorio per la libertà di stampa P24. Diversi reporter che si trovano all’estero risultano inoltre ricercati. Le autorità di Ankara non forniscono cifre ufficiali in merito, sostenendo tra l’altro l’impossibilità di definire con certezza la professione dei detenuti. Secondo P24, inoltre, il numero dei media chiusi con decreti dello stato d’emergenza è salito a 176. Cina. Dichiarato innocente 21 anni dopo l’esecuzione di Guido Santevecchi Corriere della Sera, 3 dicembre 2016 Nie Shubin fu condannato per omicidio nel 1995. Aveva 21 anni. Nie Shubin aveva 21 anni nel 1995 quando fu condannato per lo stupro e l’assassinio di una donna a Shijiazhuang, nella provincia cinese dello Hebei. Dopo 21 anni Nie è stato scagionato dalla Corte Suprema di Pechino che riesaminando il caso ha trovato "i fatti incerti, le prove insufficienti". Nie Shubin però è morto: giustiziato con un colpo alla testa il 27 aprile 1995 in esecuzione della sentenza capitale. La "prova regina" - L’agenzia Xinhua, che riferisce il caso, scrive asetticamente che "il verdetto è stato revocato" e ricorda come la condanna a morte fosse stata messa in dubbio già nel 2005, quando un altro uomo, tale Wang Shujin, aveva confessato di essere il vero assassino. Un giudice della Corte Suprema ha detto alla Xinhua che "ci sono profonde lezioni" da apprendere da questo errore giudiziario, "tipico" delle condanne basate su prove deboli. La prova regina, nel caso di Nie, era stata la confessione: la polizia cinese usa ancora sistemi drastici (la tortura) per far confessare i sospetti. E la piena confessione, accompagnata da pubblico pentimento, è anche l’unica possibilità di scampare al plotone di esecuzione. Risarcimento - Il tribunale dello Hebei, che 21 anni fa aveva mandato a morte il giovane innocente, ha presentato "scuse sincere" alla famiglia e ha annunciato che comincerà immediatamente la procedura di risarcimento economico. Nel 2014 la famiglia di un altro giustiziato risultato innocente fu compensata con 30 mila yuan (meno di 4 mila euro) e 27 funzionari di polizia furono puniti. Le statistiche ufficiali dicono che ci sono stati 1 milione e 20 mila processi in Cina nel 2015, nei quali sono state condannate 1 milione e 184 mila persone. Il presidente della Corte Suprema del Popolo nella sua relazione ha affermato che sono stati 778 gli accusati dichiarati innocenti: il tasso di condanne è arrivato così al 99,93%. Le sentenze capitali sono stimate in un paio di migliaia all’anno.