Le carceri: diritti da affermare, dignità da preservare, identità da ricostituire blastingnews.com, 26 dicembre 2016 Le condizioni di chi vive nelle carceri italiane. Dall’obiettivo del reinserimento sociale alla concretizzazione del processo di disumanizzazione. Nel gennaio 2016 la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani, che vieta la tortura, il trattamento disumano e/o denigrante. La causa scatenante è stata una denuncia da parte di alcuni detenuti di Busto Arsizio e Piacenza, che lamentavano il dover dividere piccoli ambienti con altre 3 o 4 persone, senza acqua calda e con scarsa luce. Le carceri italiane sono caratterizzate in primis dal sovraffollamento ed in più dalla mancanza di adeguate cure e assistenze. I detenuti reclusi, in base alle stime stilate in questo ultimo anno, sono 65701, nonostante la capienza sia di 47040. Numerosi i decessi, come quello di Danilo Orlando, avvenuto nel 2013, ragazzo arrestato per resistenza a pubblico ufficiale, condannato a sei mesi di reclusione e deceduto a pochi giorni dal congedo. La causa, stando a quanto aveva affermato la polizia penitenziaria, era un infarto, eppure la mamma, che era stata a colloquio con lui poche ore prima ed aveva notato il suo stato di malessere, ha richiesto l’autopsia dalla quale si è scaturito che non si è trattato di un infarto, ma di "polmonite bilaterale massiva", non diagnosticata e quindi non curata. Oltre ai decessi, numerosi sono anche i suicidi, come quello tentato da un detenuto disabile del reparto G11 di Rebibbia, salvato poi dal compagno di celle in sedia a rotelle. Le altre criticità vanno ricercate nel fatto che più del 40% si trovano in #carcere perché in attesa di giudizio. Le opportunità di lavoro, prima estese a tutti, ora sono destinate a chi ha pene alte e a chi non ha la possibilità di fare colloqui. Un quarto dei detenuti, inoltre, presenta disturbi psichici. Si registra, poi, una crescente discriminazione nei confronti degli stranieri, che hanno maggiore difficoltà ad accedere alle misure alternative. Un’ultima criticità è da ricercare nello scarso investimento di risorse in aspetti trattamenti, oltre che custodiali. Chi è sottoposto a misura detentiva è colpevole di aver violato norme e comportamenti del buon vivere sociale. L’atteggiamento di devianza, tramite il percorso carcerario, viene corretto, in virtù di un reinserimento sociale. Tuttavia le iniziative sociali di rieducazione, informazione ed orientamento sono poche. Uno degli strumenti di socializzazione, attraverso cui i detenuti impegnano le proprie forze, nonché la psiche, è l’arte, centrale nell’iniziativa promossa dalla psicologa D’Andrea a Rebibbia. La stessa, partendo dalla proiezione di un video inerente i quartieri periferici di Roma, ha smosso l’entusiasmo dei detenuti, che le hanno mostrato interesse nel dipingere. Il coinvolgimento attiva risorse e capacità. Le voci dei detenuti e le stime degli esperti hanno smosso alcuni politici italiani, i quali hanno visitato le carceri e toccato con mano la realtà delle stesse. Anche la Chiesa, annunciando la "Giornata del detenuto", ha definito l’ergastolo un ostacolo alla realizzazione del futuro. Alla luce di quanto emerso, il 22 dicembre 2016 si è tenuta la Conferenza stampa di presentazione delle visite nelle carceri, presenziata da Rita Bernardini. Oltre a mostrare le firme dei 19056 detenuti che hanno digiunato a favore dell’amnistia e a confermare le criticità già rilevate ad inizio anno, politici e magistrati hanno aggiunto che le condizioni di vita di chi è ospite delle celle sono peggiorate, dato che mancano visite specialistiche, i servizi igienici sono quasi ovunque attigui alla stanza e privi di areazione e numerosi sono i problemi per stranieri spesso non identificati. L’avvocato e membro dei radicali, Maria Laura Turco, parla di un detenuto iraniano dichiarato morto dalla moglie, così da giovare della pensione, mentre lui così non può tornare nel suo Paese per mancanza di identificazione. È necessario incentivare politiche e percorsi sociali a sostegno della persona. Al di là della pena da scontare, ci sono diritti da affermare e dignità ed identità da preservare. Carceri, armi spuntate contro la radicalizzazione di Francesco Peloso lettera43.it, 26 dicembre 2016 Il fondamentalismo prolifera grazie alla esclusione sociale. Garantire la libertà religiosa può contrastarlo. Ma non senza un’assistenza qualificata. Che spesso le carenze croniche del sistema non permettono. Marginalità, esclusione sociale e infine carcere: i luoghi in cui crescono i nuovi attentatori fondamentalisti stanno cambiando e ora le prigioni, sovraffollate, dove covano rabbia e frustrazione, e all’interno delle quali si mischia ogni forma di violenza - sopruso, criminalità, estremismo religioso - sembrano diventate uno dei centri di reclutamento favoriti dal fondamentalismo. È di certo una religione spuria quella che alleva i nuovi militanti, autentici o semplici imitatori dell’Isis di al Baghdadi, un coacervo di convinzioni spesso poco ortodosse che parlano di vendetta, di sangue. È questo anche il caso dell’attentatore di Berlino, Anis Amri, entrato appunto in contatto con il radicalismo a sfondo religioso nelle carceri siciliane dove è rimasto per alcuni anni per poi far perdere le sue tracce. Controlli crescenti nelle moschee clandestine. I luoghi di preghiera improvvisati, le moschee ‘clandestinè, o a volte riconosciute, sono al contrario sempre più controllate, in parte dalle forze di sicurezza, in parte ormai dagli stessi imam che prendono le distanze dai loro confratelli più estremisti o lanciano l’allarme quando individuano personalità pericolose. Anche le comunità di fede o tradizione musulmana cercano spesso di rendere nota la loro estraneità di fronte a episodi efferati. Da una parte temono ritorsioni, dall’altra non si riconoscono nel gesto nichilista estremo che cancella forme di convivenza ormai acquisite (il caso dell’attentato di Nizza del 14 luglio scorso è il più clamoroso: vi trovarono la morte infatti una trentina di musulmani, cioè in gran parte di francesi di fede islamica). Sempre più condanne dagli imam. E poi ci sono accordi come quello che la Francia ha stretto con il Marocco, per la formazione di imam che siano lontani da una visione fondamentalista. Da non sottovalutare, inoltre che, nel corso dell’ultimo anno, si è assistito a un salto di qualità nella critica e nella condanna sollevate dalle comunità musulmane europee contro gli attentatori più o meno kamikaze che hanno devastato il Belgio, la Francia e ora la Germania. Non più una presa di distanza formale, ma una condanna assoluta per quella che da molti viene giudicata una sorta di perversione diabolica dell’Islam, un’eresia. Qualcosa si è visto l’estate scorsa, il 26 luglio, quando vicino Rouen, nella parrocchia di Saint Etienne du Rouvray, è stato ucciso in chiesa padre Jacques Hamel, sacerdote amico da sempre dei musulmani della regione che infatti ha partecipato in massa alle sue esequie separandosi così, in modo pubblico, dal fondamentalismo marcato Isis. Tutto questo complica non poco il problema del proselitismo da parte dei gruppi radicali; il giornale cristiano libanese L’Orient le jour, attento osservatore del mondo arabo, qualche anno fa, quando l’Isis cominciò a diffondere le immagini delle raccapriccianti esecuzioni che metteva in atto, parlò di una strategia costruita sulla "pornografia della violenza". Non a caso l’attentatore di Nizza, Mohamed Lahouaiej Bouhlel, si nutriva di questo materiale, aveva trascorso anche lui un periodo in prigione ed era a tutti gli effetti noto nella sua stessa comunità, nel suo quartiere e fra i suoi vicini di casa, come un emarginato. Anche la Chiesa, che vanta una ramificata presenza di cappellani e volontari nelle carceri, ha affrontato il tema della radicalizzazione nelle prigioni. Il vertice europeo di giugno. Già nel giugno scorso, un nutrito gruppo di sacerdoti cattolici che operano nei penitenziari, insieme a cappellani di chiese ortodosse e protestanti e operatori pastorali di fede musulmana, con rappresentanti del Consiglio d’Europa, si sono ritrovati a Strasburgo, su invito del Consiglio delle conferenze episcopali europee (Ccee), per concordare una strategia comune. Nel frattempo lo stesso Consiglio d’Europa - organismo del quale sono membri 47 Stati - ha messo a punto delle linee guida "per i servizi carcerari e di libertà vigilata in materia di radicalizzazione ed estremismo violento", segno che il problema è sentito eccome. Il nodo da sciogliere resta quello di condizioni di vita nelle prigioni spesso proibitive alle quali si aggiunge, trovando terreno fertile, la diffusione di propaganda fondamentalista. Il nodo della libertà religiosa in carcere. Per questo viene sollevata la questione della libertà religiosa nei penitenziari: garantirla significa contrastare il fondamentalismo, instaurare rapporti fra operatori religiosi, volontari e detenuti. Non a caso le linee guida del Consiglio d’Europa, si spiega nel documento redatto dai cappellani dei penitenziari, "incoraggiano la creazione di accordi con le denominazioni religiose al fine di consentire a un certo numero di rappresentanti religiosi approvati, opportunamente formati, di entrare nelle istituzioni; sottolineano l’effetto benefico del coinvolgimento di rappresentanti religiosi, volontari, colleghi e familiari in vista di un efficiente reinserimento di coloro che hanno commesso un reato". Il testo elaborato dall’organismo europeo nel 2016, insomma, è un primo riferimento importante. Il tema naturalmente non è nuovo: il carcere che trasforma il detenuto, magari arrestato per piccoli reati come furti o danneggiamenti, in criminale a tutto tondo, capace di commettere atti impensabili, con la spinta psicologica derivata da confuse e perverse motivazioni religiose. In questo contesto, osservano i cappellani delle prigioni appartenenti a varie confessioni, "la libertà religiosa nelle carceri è inattuabile senza l’assistenza dei rispettivi rappresentanti religiosi. Questa assistenza è essenziale affinché i detenuti possano esercitare i loro diritti religiosi. Secondo la nostra esperienza, il rispetto del diritto alla libertà religiosa non solo è compatibile con le condizioni di vita in carcere, ma rappresenta anche un fattore decisivo nella lotta contro l’estremismo violento". Le carenze croniche del sistema. Personale religioso qualificato, ruolo dei cappellani cristiani nel dialogo con queste persone e gruppi, anche i più violenti, presenza di esponenti qualificati di altre fedi, percorsi riabilitativi, tutela dei diritti fondamentali dei detenuti, denuncia dei maltrattamenti subiti in carcere, capacità di seguire l’iter delle persone più pericolose anche fuori dalla prigione (cosa che, stando alle prime ricostruzioni, non è avvenuta proprio nel caso di Anis Amri): è un percorso complesso quello di cui c’è bisogno, che si scontra con carenze croniche anche dei nostri sistemi penitenziari o più semplicemente con l’incomunicabilità fra i diversi settori dell’amministrazione o fra i Paesi europei e i loro alleati (dopo la strage del Bataclan nella capitale francese si rincorsero le notizie relative al fatto che la Turchia e altri Paesi avevano avvertito - senza esito - Parigi della pericolosità di alcuni individui). Un brodo di coltura pericoloso. Tuttavia, come emerge sempre di più dalla ormai lunga serie di violenze terroristiche fondamentaliste, marginalità sociale e clandestinità, assenza di ogni forma di cittadinanza e di dialogo come comunità musulmane e rappresentanti religiosi islamici (chiamati ad assumere insieme ai diritti anche i doveri) diventano il brodo di coltura migliore per le organizzazioni jihadiste. Così una politica "ancillare" delega ai magistrati le liti tra correnti di Francesco Verderami Corriere della Sera, 26 dicembre 2016 A Roma la grillina Lombardi ha preferito la via giudiziaria. Oggi i partiti sfruttano le inchieste a fini di consenso con il gioco perverso del garantismo e del giustizialismo. C’era una volta la giustizia a orologeria. E sembra che ci sia ancora, a seguire i casi che coinvolgono i sindaci di Roma e Milano, Virginia Raggi e Giuseppe Sala, e il ministro Luca Lotti. In realtà rispetto al passato - quando le inchieste segnavano i destini di singoli leader e di interi partiti - è cambiato tutto. Dallo scontro tra il sistema politico e l’ordine giudiziario, si è arrivati a una devoluzione di poteri dalla politica alla magistratura, che infatti non è più accusata di ordire golpe contro il Palazzo ma gestisce in modo ordinario i vuoti di potere lasciati dal Palazzo. L’esempio più clamoroso è accaduto nella Capitale, dove l’affare Marra ha portato alla luce la lotta di potere dentro i Cinquestelle. Invece di affrontare politicamente la questione dell’opaco rapporto tra il sindaco e il suo "braccio destro" in Campidoglio, la grillina Lombardi ha preferito risolvere il problema giudiziariamente, presentando un esposto alla procura di Roma: un tempo si usavano le mozioni di sfiducia per i contenziosi nei partiti; ora che i partiti non ci sono più, si delega la magistratura per dirimere le vertenze interne. E che l’anti-politica abbia assunto gli stessi vizi della politica diventa tema secondario rispetto al fatto che la politica si mostra ancillare rispetto alle toghe. "Funzionari elevati a casta" - Oggi i partiti (o quel che ne resta) cercano di sfruttare le inchieste a fini di consenso attraverso il gioco perverso del garantismo e del giustizialismo, applicati con disinvoltura - a seconda dei casi - ad amici o avversari (interni o esterni). Ma non c’è forza politica della Seconda Repubblica che sia rimasta immune da un’inchiesta, e non c’è governo politico della Seconda Repubblica che non sia stato colpito da un’inchiesta. Ad eccezione del gabinetto Monti, che per la sua natura tecnica aveva commissariato la politica. Sarà stata solo una coincidenza, di certo si è trattata di una breve parentesi, se è vero che anche in questa legislatura gli esecutivi Letta e Renzi hanno pagato un obolo alla giustizia, con le dimissioni di alcuni loro ministri nemmeno indagati. Eppure c’era stato un momento in cui, tre anni fa, la politica aveva dato l’impressione di volersi riprendere il primato. Con la polemica sulle ferie dei magistrati, Renzi sembrava voler affermare l’idea della modernità rispetto a "funzionari dello Stato" - così li aveva definiti - che si erano elevati a casta. È di quei tempi l’accelerazione sulla riforma della giustizia e la volontà di regolamentare la pubblicazione delle intercettazioni, che sui media trasformano in condannati dei semplici indagati e in molti casi entrano nelle vite di chi non è neanche coinvolto nell’indagine. Non se n’è fatto nulla. Renzi come Craxi - Già in passato il sistema - afflitto da gravi patologie - nel tentativo di difendersi si era prima sbarazzato delle guarentigie parlamentari, che erano l’argine costituzionale nella separazione tra poteri dello Stato, e poi aveva liquidato il principio dei costi della democrazia, che è cosa ben diversa dai costi della politica. Così a Roma il nuovo che avanza sembra il vecchio che ritorna, mentre a Milano Sala denuncia ciò che ventidue anni fa denunciava Berlusconi: "È ingiusto sapere di essere indagati dalla stampa". Dentro l’anarchia provocata dalla politica, ogni politico si difende come può: si va dall’auto-sospensione dal partito all’auto-sospensione dalla carica, espedienti che servono a tirare avanti mentre il ticchettio delle inchieste - emerse all’indomani del referendum - evoca la stagione della giustizia ad orologeria. In realtà non è così. Anzi è il contrario, perché - a dimostrazione del primato ormai acquisito - la magistratura ha atteso il responso delle urne prima di rendere pubblico ciò che nel Palazzo già intuivano. Un tempo la politica accusava la giustizia di interferenza. Ora, paradossalmente, è il contrario. Ed è bastato che il renziano Lotti finisse indagato perché nel Palazzo si ricordasse la frase pronunciata da D’Alema poco prima del 4 dicembre: "Renzi perderà il referendum. Poi mi toccherà difenderlo come feci con Craxi". Giustizia a Milano, la caduta di un teorema di Antonio Fanna ilsussidiario.net, 26 dicembre 2016 Molti sono stati i commenti alla sentenza del Tribunale di Milano che ha condannato ad una pena severa - si dovranno in ogni caso attendere i successivi gradi di giudizio - l’ex presidente di Regione Lombardia Roberto Formigoni. Tuttavia i commenti non hanno sottolineato un aspetto fondamentale della sentenza. Il tribunale di Milano, pur condannando l’uomo politico per corruzione, lo ha assolto dall’accusa di associazione a delinquere, come ha assolto da tale accusa l’ex direttore generale della Regione, Nicola Maria Sanese, e il direttore generale dell’assessorato alla Sanità, Carlo Lucchina, sancendo anche che non vi è stato alcun atto illegittimo nella gestione della sanità lombarda. La sentenza separa quindi il comportamento personale di Roberto Formigoni dall’assetto generale della Regione Lombardia. Le sentenze dei successivi gradi di giudizio confermeranno o meno le accuse verso Formigoni, ma contrariamente al teorema dell’accusa il Tribunale di Milano ha assolto il sistema intero messo sotto accusa dalle tesi della procura. Rimane quindi solo il fatto incontrovertibile che il sistema sanitario lombardo ha assicurato il raggiungimento di risultati di indubbia utilità per l’intera nazione - si pensi alle cure prestate ai malati di altre Regioni. I bilanci in pareggio della Sanità lombarda costituiscono un’eccezione sul territorio. L’integrazione del sistema pubblico e privato, mediante l’utilizzo di DRG e funzioni, ha assicurato un sistema equilibrato e attento alle spese ed è stato garantito un servizio di qualità in favore della comunità. Un sistema giudiziario di un paese veramente civile è quello in grado di non dare giudizi sommari frutto di teoremi non provati. Troppe volte nel recente passato abbiamo visto tentativi giudiziari di condannare collettivamente tutto e tutti senza avere prove documentali a supporto di illazioni, con l’evidente scopo di dare letture della storia recente mosse da ideologie di parte. Il Tribunale di Milano ha evitato con la sentenza dell’altro ieri ha evitato che questo avvenisse una volta di più. Abruzzo: carceri, la Regione viola i diritti umani di Mattia Fonzi cityrumors.it, 26 dicembre 2016 Quello che ricorre oggi è il primo Natale dopo la morte del leader radicale Marco Pannella, e il quinto che vede i detenuti nelle carceri abruzzesi vedere lesi i loro diritti. Nonostante una legge nazionale avesse istituito già cinque anni fa una figura regionale del Garante dei detenuti, l’Abruzzo è l’unica regione in Italia a non averlo ancora nominato. Una vergogna nazionale, per quanto riguarda i diritti nelle carceri. Aggravata dal fatto che per la nomina abruzzese è stata indicata Rita Bernardini, leader radicale e tra le maggiori conoscitrici del mondo penitenziario italiano. Come da consuetudine radicale, Bernardini anche quest’anno ha visitato assieme ad altri compagni di partito una quarantina di istituti di pena in tutto il Paese: "La nostra presenza, ramificata e radicata laddove lo Stato è in una palese condizione di violazione della legge, rappresenta lo sforzo di non mollare nemmeno di un millimetro affinché il prossimo governo affronti perentoriamente il gravissimo problema dell’illegittimità dell’esecuzione penale", ha affermato. "Infami carceri italiane", le chiamava Pannella. Il Garante dei detenuti nasce con la funzione di vigilare su tutte le forme di privazione della libertà, dalle carceri, alla custodia nei luoghi di polizia, alla permanenza nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie), alle residenze di esecuzione delle misure di sicurezza psichiatriche (Rems), fino ai trattamenti sanitari obbligatori (tso). Proprio Pannella, prima di morire, propose Rita Bernardini a garante dei detenuti della regione nella quale era cresciuto e in cui si era formato come leader politico. Poi una incredibile maretta da parte del Consiglio regionale, fomentata da una legge definita "cloaca", ha portato nonostante presidi, appelli e polemiche al nulla di fatto di oggi. Per l’elezione del garante si necessita di una maggioranza qualificata, ossia di 21 voti in Consiglio. La maggioranza di governo arriva a 18: le opposizioni di centrodestra non votano per mera contrapposizione politica, mentre il Movimento 5 Stelle è addirittura contrario alla nomina di Bernardini a causa di una sua vecchia condanna per azioni politiche legate alla legalizzazione delle droghe leggere. Dall’istituto di Sulmona (L’Aquila) che ha fatto discutere per anni a causa dell’elevato numero di suicidi, fino alle "Costarelle" dell’Aquila, sede di diversi regimi di 41-bis e passando per l’ala femminile di Castrogno (Teramo), i detenuti negli istituti abruzzesi subiscono passivamente il balletto e le gravi responsabilità della politica regionale, di fatto incapace di far rispettare diritti umani sanciti da una legge nazionale. Milano: una lavanderia industriale nel carcere per dare lavoro ai detenuti di Giulia Polito Corriere della Sera, 26 dicembre 2016 Metti un insieme di aziende profit, una fondazione è un’amministrazione penitenziaria con la voglia di costruire e incentivare un rapporto diretto con il proprio territorio, donando una seconda possibilità (e una seconda vita) ai propri detenuti. Ne verrà fuori un progetto con un’idea semplice, ma che pensa in grande. Soprattutto perché conta su una rete variegata di attori, sulla costituzione di una nuova società e sull’idea che fare impresa in carcere sia possibile. "Un passaggio storico: per il nostro carcere questa è una bellissima novità". Roberto Cavalieri, Garante dei detenuti del Comune di Parma, presenta così il nuovo progetto all’interno del carcere, un’iniziativa in cui tutti i protagonisti sono uniti da un unico obiettivo: offrire lavoro a 16 detenuti entro il prossimo anno. "Sprigioniamo lavoro" è il nome del progetto. Cinque aziende (Gruppo Genis Proges, la cooperativa sociale Biricca, GSC Srl, Multiservice società cooperativa, Bowe 2014 srls) daranno vita ad una nuova realtà, la Newco, che si occuperà della gestione di una lavanderia all’interno del penitenziario. Una delle maggiori novità è dettata dal fatto che 6 dipendenti delle aziende coinvolte cambieranno la loro sede lavorativa per portarla all’interno del carcere. Gli obiettivi dichiarati sono ambiziosi: saranno lavorati 14 mila chili di biancheria a settimana per strutture alberghiere e sanitarie. Determinante per la riuscita del progetto sarà il contributo di Fondazione Cariparma, che si è impegnata a sostenere le spese per i macchinari industriali e l’adeguamento degli impianti energetici. Da parte sua, la Newco si farà carico dei costi di tirocinio formativo dei detenuti coinvolti. E non solo, perché nel futuro sono previsti altri interventi, altri progetti, altre occasioni di lavoro. "Le persone del Carcere di Parma sono state dimenticate per tanto tempo - conclude Cavalieri -, questa è una buona occasione per iniziare a pensare anche a loro". Torino: magistrati in rivolta "quel dirigente è incapace" di Massimiliano Peggio La Stampa, 26 dicembre 2016 Polemica in Procura per la nomina del nuovo capo del personale. Nomina nel mirino. La nomina di Valerio Tenga a dirigente amministrativo della Corte d’Appello è contestata dal presidente della stessa Corte, dalla Procura Generale e il Consiglio Giudiziario di distretto. Come può un alto funzionario della giustizia "assicurare un ottimo servizio presso la corte d’Appello di Torino" se non è stato in grado di "svolgere le proprie competenze presso il Tribunale di Biella" rivelandosi "incapace ad assicurare la buona funzionalità del suo Ufficio"? È la domanda che si pone il presidente della corte d’Appello, Arturo Soprano, manifestando il suo disappunto al ministro Andrea Orlando e ai vertici del personale del ministero per la nomina del dottor Valerio Tenga a dirigente amministrativo della Corte, cioè il capo del personale della giustizia nel distretto di Piemonte e Valle d’Aosta. Ruolo di vertice da cui dipende la buona o la cattiva funzionalità di tutti gli uffici. La nomina, avvenuta con provvedimento ministeriale lo scorso 8 novembre e con scadenza a fine 2019, ha scatenato una rivolta ai piani alti del Palagiustizia, compresa la Procura Generale e il Consiglio Giudiziario di distretto, organo di vigilanza degli uffici giudiziari. Anche i sindacati del personale sostengono la battaglia dei giudici. Protesta totale. In più missive inviate a Roma, finora senza risposta, il presidente Soprano ha bocciato la scelta del ministero, anche perché la nomina è avvenuta "in assenza di concorso". E quando i giudici s’infuriano usano le parole come artigli. "Il dottor Tenga - scrive Soprano - verrebbe a svolgere funzioni in un distretto al quale appartiene anche il tribunale di Biella dove lo stesso ha svolto in passato analoghe funzione concluse con la richiesta del suo allontanamento". Frutto di "estremi contrasti" con il presidente di quel tribunale e con l’Ordine degli avvocati. Del suo caso si era anche occupato il consiglio giudiziario, con un’istruttoria. Tutti gli episodi contestati, a detta del consiglio, avrebbero trovato conferma. Non solo con le audizioni di giudici e avvocati, e con le "ammissioni dello stesso interessato". Ma anche per ulteriori fatti "che comprovano l’incapacità del dottor Tenga ad attenersi strettamente alle proprie competenze". Istruttoria chiusa con la richiesta al ministero di revoca dell’incarico. Partendo da queste premesse, dalle decisioni del Consiglio Giudiziario del 2012, il presidente Soprano rincara oggi la dose affermando che "balza evidente, ictu oculi, che con questa assegnazione alla Corte d’Appello, si verrebbe a creare una situazione di assoluta incompatibilità di tale funzionario, già ritenuto dal consiglio giudiziario incapace di svolgere le delicate funzioni dirigenziali in un tribunale di piccole dimensioni". Come si è potuto allora, si chiede il giudice rivolgendo la domanda al direttore del personale del ministero della Giustizia, destinare questo funzionario "ad una Corte d’Appello che, per dimensioni e rilevanza, è la quarta in Italia e vanta una tradizione di efficienza e correttezza dei pubblici funzionari". Ma ciò che appare più grave al giudice, è che la decisione del ministero sia avvenuta "senza acquisire alcun parere della Presidenza e dello stesso Procuratore Generale, omettendo di tener conto delle gravi condotte poste in essere a Biella". Malgrado i buoni giudizi espressi dagli ex colleghi biellesi per le competenze informatiche del funzionario, a cui andrebbe il merito di aver reso quel tribunale uno dei più tecnologici d’Italia, Soprano non ha dubbi nel chiedere a Orlando di revocare la delibera di nomina. Richiesta condivisa all’unanimità dal Consiglio Giudiziario. Genova: i cenoni in trasferta di Sant’Egidio, festa con migranti e detenuti di Erica Manna La Repubblica, 26 dicembre 2016 Le associazioni "donano" i 35 euro giornalieri ai profughi che ospitano. Oggi anche i migranti avranno il loro regalo di Natale. A consegnarglielo, le associazioni genovesi che li ospitano: e che hanno deciso di devolvere a loro l’intera somma dei 35 euro che il Ministero dell’Interno corrisponde per ogni profugo. Cifra che, normalmente, va alle cooperative e alle strutture e serve per pagare affitti, bollette, cibo: ai migranti, in mano, restano solo 2,50 euro al giorno di pocket money. Ma per un giorno non sarà così: "Abbiamo deciso di togliere a noi questa cifra per farli sentire accolti, in un giorno in cui tutti si scambiano regali", spiega Enrico Costa di Ceis: è la prima volta, in Italia, che questo accade. Genova, in queste feste, sarà ancora una volta una città capace di solidarietà: lo dimostrano le tavolate sempre più piene di persone in difficoltà, invitate dalla Comunità di Sant’Egidio. Che il giorno di Natale e il 6 gennaio festeggerà con i migranti di Ventimiglia. Imbandendo le tavole al campo Roja, a Ventimiglia. È qui, dunque, tra i migranti diventati il simbolo di un’Europa che si fa imbuto e chiude le frontiere, che i giovani universitari della Comunità di Sant’Egidio porteranno "in trasferta" la festa il 25 dicembre. E replicheranno il giorno dell’epifania. I richiedenti asilo, in ogni caso, quest’anno saranno - in proporzione - gli ospiti più numerosi, alle tavole della Comunità di Genova. Oltre settemila persone ci si siederanno, nel periodo prima di Natale e anche dopo: alla basilica dell’Annunziata, a Palazzo Ducale, sul terrazzo del Museo Galata, nelle parrocchie delle periferie, da Prà a Begato, da Cornigliano a Sampierdarena, in decine di istituti per anziani, a Marassi e a Pontedecimo. Di questi settemila, duecento sono migranti. Il giorno di Natale, ai magazzini del Cotone, ci saranno anche i richiedenti asilo accolti alla Fiera del Mare. Con i volontari che allestiranno le tavole, e tra una portata e l’altra si siederanno con loro: per farli sentire, in qualche modo, a casa. Alla casa circondariale di Marassi, poi, dall’anno scorso tutti i detenuti sono invitati: non più soltanto alcuni. E così, il 28 dicembre, si festeggerà ancora: con i detenuti della prima sezione. E ancora il 29, e poi il 9 gennaio, con la quinta sezione. Con un menù che alterna cous cous e lasagne al pesto, il pandoro, il panettone e i cioccolatini, magari da conservare in tasca, per regalarli ai figli al momento del colloquio. "Le tavolate che imbandiremo a Natale - spiega Andrea Chiappori, responsabile della Comunità di Sant’Egidio in Liguria - ci restituiscono un’immagine autentica delle nostra città, così diversa da quella che, spesso, sentiamo raccontare in modo semplificato. Una città complessa, con molte difficoltà, ma anche molte risorse. Il Natale vissuto insieme forse non è la risposta a tutti i problemi, ma l’indicazione chiara di un processo da portare avanti tutto l’anno: quello dell’incontro e dell’inclusione. La presenza accanto ai detenuti vuol rappresentare proprio questo tentativo di superare la durezza e i giudizi per vivere la misericordia che aiuta tutti ad essere migliori". Sassari: musica e parole per evadere dal carcere di Roberto Sanna La Nuova Sardegna, 26 dicembre 2016 Gli Istentales, gli studenti delle medie 5 e 12 e la Coldiretti protagonisti nell’istituto penitenziario di Bancali. Sentirsi liberi. Di cantare a squarciagola "Vagabondo". Di vedersi dedicare uno scritto dai ragazzi delle scuole medie. E anche di gustare un pranzo preparato apposta per loro da chi ogni giorno lavora per essere un’eccellenza di Sardegna. È durato lo spazio di un mattino, ma sicuramente per i cento detenuti e detenute del carcere di Bancali che ieri hanno partecipato all’iniziativa "Natale oltre, la Terra non dimentica" organizzata dalla Coldiretti sarà un Natale un pò più leggero. Musica degli Istentales, parole degli studenti delle medie 5 e 12 di Sassari, buffet offerto dalla Coldiretti e il grande salone del carcere sassarese è diventato un luogo di incontro e festa. Gli Istentales non sono stati invitati a caso e hanno tenuto fede alle aspettative. Un pò perché "qualche anno fa li avevo già visti esibirsi a San Sebastiano e sono stati bravissimi, così ho deciso di invitarli qui a Bancali" ha detto la direttrice dell’istituto di pena Patriza Incollu, un pò perché sono dei veri e propri specialisti di queste occasioni particolari visto che hanno suonato anche in altri carceri (anche della penisola: Milano, Volterra, Padova e Spoleto) e intrattengono una regolare corrispondenza con numerosi detenuti. Sono stati accolti come una "cult band" e il loro concerto è stato il filo conduttore di uno spettacolo che ha visto il cappellano don Gaetano Galia introdurre i diversi interventi. Musica e parole, a volte commosse come quelle di Antonello Salis, titolare dell’azienda "La genuina" di Ploaghe che non è riuscito a trattenere le lacrime al microfono quando ha offerto i salumi (anche di pecora, per i detenuti di religione musulmana) del pranzo. Un buffet che verrà... prolungato, perché la Coldiretti ha portato cibo anche per l’appuntamento col pranzo con le famiglie. "Dovete sentirvi liberi, perché è libero chi, anche in carcere, riesce a mantenere una sua dignità e noi siamo qui per aiutarvi in questo" ha detto don Gaetano Galia. "Facciamo un pò di musica d’evasione" ha scherzato Gigi Sanna, cantante degli Istentales, riprendendo poi seriamente "tempo fa ho incontrato a Buoncammino qualcuno che oggi vedo qui e non mi fa piacere, a volte diventa un problema fare uscire la gente dal carcere. Vogliamo regalarvi un pò di libertà, dimentichiamo dove siamo e liberiamo il pensiero, anche se è difficile in questi giorni non pensare alle famiglie e agli amici che stanno fuori". "Osposidda" è stata la canzone scelta per aprire l’esibizione e le canzoni venivano inframmezzate dagli interventi. Inizialmente era previsto anche quello in persona degli studenti ma, dopo un’approfondita discussione, è stato deciso di non farli entrare in carcere. A leggere tre temi dedicati ai detenuti sono state così alcune insegnanti, in un silenzio assoluto rotto soltanto dall’applauso dei destinatari, alcuni con gli occhi umidi quando hanno sentito scandire che "conta soltanto la libertà, quella vera, che sta nel pensiero". E poi tanta musica, in un crescendo che ha visto gli Istentales sciorinare i brani più famosi del loro repertorio integrata da "Si deus cheret (E sos carabineris lu permittini)" di Piero Marras alla quale è seguita la loro versione in musica della celebre poesia di Peppino Mereu "Deo no isco, sos carabineris", in passato interpretata anche dal Coro di Orgosolo e dai Kenze Neke. Gigi Sanna, padrone assoluto della scena, ha avuto il via libera per un quarto d’ora finale a ruota libera e ha rotto argini e protocollo. Ha chiamato vicino a sé una ragazza con la quale ha cominciato a intonare il grande classico dei Nomadi "Vagabondo". E poi l’ha finita irrompendo tra le poltroncine e invitando i detenuti a cantare insieme a lui, trasformando tutto in un coro a metà tra il karaoke e lo stadio. Spenta la musica, è stato il momento del buffet. Non meno gradito e atto conclusivo di una mattinata all’insegna della normalità. Senza falsi buonismi e con la consapevolezza che talvolta si può evadere anche rimanendo in carcere. Verona: carcere, una stoccata alla routine della cella di Alessio Faccincani L’Arena, 26 dicembre 2016 Scherma. Progetto speciale tra la società sportiva scaligera e la struttura di Montorio. Dieci detenuti parteciperanno a un corso settimanale cimentandosi con il fioretto, la spada e la sciabola. Magnani: "Àncora di recupero per chi sconta la pena". Si tratta di sport, ma più concretamente di grande opportunità formativa. Da alcune settimane infatti è iniziato un progetto sociale di indubbio rilievo. È quello che si sta sviluppando fra la scuola di VeronaScherma e il carcere di Montorio. Una piattaforma di condivisione comune che sta producendo grandi risultati. L’iniziativa concretamente prevede un corso di scherma rivolto ad un gruppo ristretto di carcerati, circa dieci persone e con cadenza settimanale. Una possibile àncora di recupero per chi dentro ad un carcere deve certamente scontare una pena, ma anche essere rieducato e reintrodotto alla vita quotidiana. "Abbiamo davvero trovato uno straordinario interlocutore nel carcere di Montorio", spiega Cristiano Magnani, presidente di Verona Scherma. "Ci siamo proposti noi. La nostra segretaria Silvia ha avuto questa idea, che ha subito avuto riscontri favorevoli. Inizialmente credevamo non fosse così scontato entrare in sintonia con le istituzioni carcerarie. Invece siamo stati prontamente smentiti. La direttrice Maria Grazia Bregoli ha abbattuto tutti gli ostacoli con la forza del buonsenso. E ha subito accolto con favore la proposta. Ha davvero facilitato le cose, con grande dinamismo". Il corso di scherma, già attivo da qualche settimana, sta ovviamente insegnando soltanto i primi rudimenti della disciplina ai detenuti. Anche se non è questo il parametro principale del progetto. A contare sono soprattutto la condivisione e il sentimento suscitato nei partecipanti. "I detenuti hanno risposto con entusiasmo", va avanti Magnani. "L’iniziativa piace nella sua semplicità. Non ci sono accorgimenti particolari. La scherma è una disciplina conosciuta. I carcerati stanno sviluppando anche delle buone capacità di base. Stanno vivendo l’esperienza con grande trasporto. Verona Scherma si è occupata di tutta l’attrezzatura del caso e i detenuti attendono questo appuntamento come svago dalla routine carceraria". Tanto che Verona Scherma ha deciso di investire ancora di più nel progetto. L’ultima lezione del corso infatti vedrà partecipare anche i giovani tesserati della scuola, che varcheranno le porte del carcere per un allenamento condiviso. "Saranno sicuramente ore stimolanti", ipotizza il presidente di Verona Scherma. "Per i nostri ragazzi sarà uno straordinario momento educativo. Comprenderanno sicuramente parecchi risvolti di non poco conto. Quel pomeriggio varrà più di mille ore di teoria. Anche personalmente lo attendo con ansia. Non ho dubbi, si creerà una sinergia speciale. Le premesse ci sono tutte". Merito di Verona Scherma, ma soprattutto di istituzioni carcerarie particolarmente sensibili. Una sinergia tutta veronese, da prendere come punto di riferimento. "O meglio come punto di partenza per successive interazioni", conclude Magnani. "La condivisione produce sempre risultati positivi. Questa ne è la dimostrazione più lampante. Verona Scherma è orgogliosa di far parte di questo progetto. Speriamo davvero ne possano seguire tanti altri". Torino: una gara di solidarietà per i regali di Natale ai giovani reclusi del Ferrante Aporti di Jacopo Ricca La Repubblica, 26 dicembre 2016 Molti doni dopo l’appello su Repubblica della garante per i detenuti. "Ah Ferrante Aporti terra senza amore". Erano gli anni Settanta quando Lucio Dalla, usando i versi del poeta Roberto Roversi, cantava il dolore e la ruvidezza del carcere minorile. Oggi sono proprio i torinesi, gli abitanti di quella "terra senza amore", che cercano di addolcire il Natale dei giovani carcerati. Il primo è stato un ragazzino con il modellino di una Fiat 500, ma ancora ieri sera qualcuno bussava alla porta del carcere minorile "Ferrante Aporti" con pacchi e doni da scambiarsi in uno dei momenti più duri per chi è costretto dietro le sbarre. Sono decine le persone che hanno scelto di portare un regalo, rigorosamente non impacchettato per poter superare i controlli, ai 37 giovani detenuti della struttura di via Berruti e Ferrero. Il Natale è diventato felice all’improvviso, nonostante tagli e difficoltà, grazie alla generosità dei torinesi che hanno risposto all’appello della garante dei detenuti della Città, Monica Gallo, che proprio sulle pagine di Repubblica aveva lanciato "Da noi a loro", una proposta per raccogliere regali che andassero a integrare i pochi che la direzione del carcere potrà mettere domani sotto il grande albero che colora la "piazza della struttura": "Sono felice per i ragazzi e sono contenta di come ha risposto la città - commenta soddisfatta Gallo - Questa iniziativa è anche un modo di avvicinare due mondi che dialogano troppo poco fra loro". Senza la gara di solidarietà ci sarebbero stati solo una t-shirt, un quaderno e un fumetto per ciascuno, ma invece è arrivato davvero di tutto: felpe, scarpe, palloni, giochi da tavola, maglioni e tanti libri. Quelli donati da privati cittadini, ma anche quelli che la biblioteca civica di Nichelino farà scegliere ai detenuti. Alla direttrice Gabriella Picco sono arrivate numerose proposte di collaborazione. "Anche i creatori di Torinopoli (la versione sabauda del Monopoli ndr) hanno risposto all’appello - racconta Gallo - Avevano finito le confezioni da vendere, ma sono riusciti a recuperarne due da donare ai ragazzi del carcere e altre due per il Regina Margherita". C’è chi ha scoperto dove fosse il Ferrante Aporti solo ieri per poter portare il suo grande pacco pieno di regali per i ragazzi, ma la voglia di aiutare c’è anche tra i bambini: "Una scolaresca ha scelto di autotassarsi per poter fare ciascuno un piccolo regalo a chi ha pochi anni più di loro, ma già si è trovata a vivere la detenzione - continua la garante - Le Acli di Torino hanno cancellato lo scambio di regali e hanno scelto di donare i pacchi proprio ai ragazzi del carcere". Quest’anno il Natale sarà ricco anche al Ferrante Aporti. Sanremo (Im): addetti della mensa delle carceri senza stipendio, agenti saltano pranzi e cene di Giò Barbera riviera24.it, 26 dicembre 2016 Lorenzo Michele, segretario nazionale del Sappe: "Situazione assurda con gli agenti costretti a portarsi da mangiare da casa". Da oggi al 27 dicembre in carcere non si mangia. "La mensa è bloccata perché l’impresa appaltatrice non avrebbe corrisposto gli stipendi agli addetti", ad annunciarlo sono i sindacalisti del Sappe. "Una situazione assurda che comunque avevamo già segnalato tempo fa anche alla direzione regionale - avverte Michele Lorenzo, segretario nazionale del sindacato dei baschi azzurri - Purtroppo proprio oggi abbiamo avuto notizia di questa protesta che ha bloccato la distribuzione dei pasti per i nostri agenti. Ovviamente è enorme il disagio se si pensa che gli agenti in servizio sono costretti a portarsi il panino da casa per sopperire alle emergenze. Ma è comunque grave che questa situazione non sia stata preventivata da nessuno. E oggi, alla vigilia di Natale e sino a martedì a subire le conseguenze sono coloro che dovranno prestare servizio nel penitenziario". Lo stesso Lorenzo Michele sottolinea come "il lavoro degli agenti sia diventato difficile. Il carcere di Sanremo è di fatto esploso con un numero elevato di detenuti da controllare. Ma è carente l’organico e lo abbiamo sottolineato più volte. Siamo in piena emergenza e nessuno muove un dito per risolverla. Non ci sono neppure i mezzi adeguati per svolgere i servizi, c’è poi una parte del nostro personale distaccato presso il tribunale di Imperia ma non ne conosciamo il motivo. Insomma qualcuno dovrà prendere atto che questo che lanciamo è un grido d’allarme preoccupante che non può essere ignorato dalle istituzioni e sopratutto dalla direzione regionale delle carceri". Trento: il nuovo cappellano del carcere "saranno i reclusi a insegnarmi cos’è" di Donatello Baldo ildolomiti.it, 26 dicembre 2016 "Per me è una missione tra gli ultimi, i poveri, gli stranieri". Si chiama Stefano Zuin e questa sera celebrerà la messa della Vigilia di Natale con l’arcivescovo a Spini di Gardolo. È un padre comboniano. Arriva dalle missioni africane, ha fatto esperienza in Sud America. "Sono un missionario, ho sempre la valigia pronta. Tisi mi ha detto "vai lì dentro che c’è tanto Sud del mondo" Si chiama Stefano Zuin il padre comboniano che prenderà possesso del suo nuovo incarico proprio nel giorno della vigilia di Natale. Stasera celebrerà la messa nella casa circondariale di Spini di Gardolo assieme al vescovo Lauro Tisi. Sarà il nuovo cappellano del carcere di Trento. Lui è un missionario, "uno con la valigia in mano, pronto a partire in ogni momento". Sessantasette anni, di esperienze ne ha fatte da vendere: America Latina, "la mia prima missione, 10 anni in Equador", poi in Africa, "sono stato 19 anni tra il Malawi e l’o Zambia". Quando mi offre un caffè e dico no perché mi fa venire il mal di stomaco mi guarda e dice: "Avrai la gastrite, e darai la colpa allo stress. Ma lo sai che in Africa lo stress no ce l’ha nessuno? Solo qui in Europa. I poveri non hanno tempo per lo stress". Padre Stefano, lei sarà il nuovo cappellano del carcere. Ho ricevuto la nomina solo qualche giorno fa. Sono stato indicato dal vescovo Tisi ma poi la benedizione me la dovevano dare anche dal Ministero di Grazia e Giustizia. Ed è arrivata pochi giorni fa, oggi è il mio primo giorno. E quando il vescovo le ha chiesto la disponibilità cosa ha fatto, ci ha pensato molto prima di accettare? Ad essere sincero credo che questa sia stata una delle obbedienze più veloci della mia vita. ‘Ho pensato a tè, mi ha detto il vescovo. Ho risposto che non ho nessuna esperienza, che imparerò strada facendo, ma ho detto subito di sì. Ma l’ho anche avvertito che sono un missionario. In che senso? Che la mia valigia è sempre pronta, che il mio modo di vedere la missione è quello comboniano, America Latina, Africa. Ma in fondo... In fondo anche questa è una missione... Infatti condivido il punto di vista del vescovo, anche qui c’è da fare, anche nella ricca Europa ci sono poveri e ultimi, e in carcere ci sono ultimi, poveri e stranieri. Chissà perché il vescovo ha pensato proprio a lei... Me l’ha detto: "Ci sono tante persone del Sud del mondo in carcere, più della metà, e anche lì potrai mettere al servizio il tuo carisma di padre comboniano". Il carisma di essere "per i più poveri e per i più abbandonati", come diceva il nostro fondatore. Lei sostituirà padre Fabrizio Forti che è morto pochi mesi fa. Sì, una persona che non conoscevo in modo approfondito ma di cui si sente il forte carisma da come ne parlano i carcerati e le persone che in carcere ci lavorano. Una persona diretta, mi dicono, anche rude a volte. Ai detenuti diceva questo: "Devi chiedere scusa di quello che hai fatto. A Dio, alla tua famiglia. E devi ricominciare una vita nuova". Sarà difficile sostituirlo, lui che aveva una così grande esperienza del mondo della povertà e dell’esclusione trentina. Per me il carcere è un mondo tutto da scoprire. Ci vado in punta di piedi, mettendo in pratica la frase che più mi è rimasta impressa fin da quando ero bambino: "I sentieri si aprono camminando". E voglio camminare con loro, saranno i carcerati stessi a insegnarmi il carcere. Il carcere si scopre anche leggendo il Vangelo: le Beatitudini lo dicono chiaramente: "Beati i poveri, i perseguitati dalla legge, gli stranieri, gli assetati e gli affamati di giustizia" Piano piano, ma il Signore non dice beati voi che avete fatto tutte queste cose e magari anche violenza e altri reati. Non si tratta di una giustificazione, la beatitudine per un carcerato sta nella capacità di pentirsi, di vivere il perdono, di convertirsi, nel cambiare vita e nel non perdere la speranza. Ma di certo qualcuno ci precederà... Verso il Regno dei Cieli dice? Ah sì, qualche ricco, anche qualche cardinale si vedrà passare avanti una povera vecchietta sulla via verso il Cielo, o un carcerato, o perché no una prostituta. Perché noi ora misuriamo le persone con la legge, ma Dio tiene conto di molte altre cose per giudicarci. Anche questo dice Matteo: "Ero prigioniero e mi avete visitato"... Ma il carcere è messo ai margini della comunità, il detenuto è un emarginato, una persona a cui spesso non viene data un’altra chance. Ci sono cristiani che si sentono già arrivati e giudicano. Ma non giudicate, spetta al Signore questo. Dobbiamo invece perdonare, e dare a tutti la possibilità di cambiare. E la comunità deve dare sostegno al cambiamento, deve accogliere. So che ci sono volontari, cooperative, insegnanti che operano a Spini. Questo è il senso del carcere con finalità rieducative e non di pura condanna. Chi lavora all’interno deve avere uno sguardo di misericordia. A differenza che altrove, rispetto ad altre realtà la struttura di Trento è bella, è nuova, ma non basta. Bisogna animarla tutti i giorni con un’umanità autentica. A questo sono chiamati anche i lavoratori che operano all’interno, i dirigenti che guidano la struttura. Come sono le carceri nel mondo, lei avrà visto tante situazioni nei suoi anni di missione? In alcune parti del mondo il carcere è un castigo, oppure tortura continua, oppure fame e sete. Ho visto le carceri sudamericane, africane. In Europa per fortuna vale ancora l’insegnamento di Cesare Beccaria. E questo è un vantaggio per improntare un percorso di correzione e di cambiamento. Forlì: pranzo di Natale in carcere e doni per i detenuti. di Serena Zavalloni romagnagazzette.com, 26 dicembre 2016 Si è tenuto mercoledì 21 dicembre presso la Casa Circondariale di Forlì il pranzo di Natale che ha visto sedere allo stesso tavolo 114 detenuti, operatori, formatori e volontari. Il pranzo è stato realizzato da 10 detenuti che, a seguito di un corso di cucina appena terminato, hanno preparato dall’antipasto al dolce per complessive 170 persone. Il tutto è stato coordinato da Massimiliano Cameli, titolare e chef del ristorante "Il Vecchio Convento" di Portico di Romagna che ha tenuto il corso in qualità di docente ed ha diretto i detenuti nella preparazione dei cibi e nella relativa distribuzione. Corso e pranzo sono stati resi possibili grazie al contributo di volontari dell’ente pubblico di formazione Techne e delle numerose associazioni di volontariato che operano in carcere. "Un bellissimo momento - sottolinea Palma Mercurio, direttrice della Casa Circondariale di Forlì - per un sincero scambio di auguri e per un breve spazio di convivialità che restituisce dignità alle persone in esecuzione penale e che porta un pò di calore natalizio in carcere. È d’obbligo ringraziare per questo pranzo - continua la Mercurio - l’Associazione Lions Club Forlì, che ha fornito le bibite ed i panettoni messi a disposizione dalla ditta Flamigni, il CdS di Forlì per gli allestimenti, l’imprenditore Tonino Montanari, il gruppo musicale TripparDò, il tenore Maurizio Tassani e la ditta Gobbi di Cesena che ha donato le verdure". In occasione del pranzo di natale, i detenuti hanno inoltre ricevuto da Techne, abbigliamento intimo e pigiami, ovvero beni di prima necessità che, a causa dell’indigenza in cui versano, rappresentano un bene prezioso. Techne si inserisce nell’accordo di collaborazione tra Istituto Don Calabria di Verona e Calzedonia Spa, nota ditta italiana produttrice di abbigliamento intimo, volto a devolvere a persone bisognose i capi fallati di propria produzione. "La nostra scelta - spiega Lia Benvenuti direttore generale di Techne - è stata quella di devolvere tali indumenti, confezionati in pacchi regalo, ai detenuti e detenute più bisognosi del nostro carcere. Si tratta di indumenti nuovi, con cartellino e prezzo ancora inseriti -continua la Benvenuti - che hanno difetti di produzione, spesso davvero impercettibili come scuciture, scoloriture in qualche punto del capo, in genere imperfezioni davvero minimali". Il carcere di Forlì ospita attualmente 114 persone, di cui indicativamente una quindicina sono donne. "Ringraziando Calzedonia e Techne per la sensibilità e disponibilità dimostrate - evidenzia Palma Mercurio - siamo convinti che il "pigiama di Natale" rafforzi il legame col territorio, rappresentando il simbolo dell’incessante e operoso lavoro che, tutto l’anno, senza sosta, i volontari delle diverse associazioni compiono nei confronti dei detenuti più bisognosi". Pescara: la Croce Rossa porta la tombola nel carcere di San Donato cityrumors.it, 26 dicembre 2016 Si è ripetuta ieri nella Casa Circondariale di Pescara la tradizionale Tombolata di auguri con i detenuti organizzata dalla Croce Rossa Italiana di Pescara. Come premi per la tombolata, dei piccoli regali concreti. Sono stati messi a disposizione cesti natalizi, dolci, diversi articoli di quotidiana utilità che i nostri volontari hanno raccolto e preparato appositamente per l’occasione grazie all’aiuto di realtà commerciali locali. Un momento di vicinanza e divertimento, quello della tombolata, al quale hanno preso parte numerosi detenuti e volontari allietati, oltre che dal gioco della tombola, dalle gag dei bravissimi clown dottori della Croce Rossa. Quest’iniziativa da molto tempo, ormai, è diventato un appuntamento importante per i volontari del Comitato di Pescara. "La Croce rossa di Pescara - ha sottolineato Fabio Nieddu, Presidente del Comitato nonché Garante per i diritti dei detenuti del Comune di Pescara - è entrata in questa realtà già da qualche anno per cercare di ricostruire quel concetto di Comunità che purtroppo spesso oggi manca, in particolare della famiglia; occorre sempre rammentare che il detenuto è, prima di tutto, una persona che ha certamente sbagliato ma alla quale occorre dare una possibilità di riscatto, occorre riabilitare l’uomo affinché comprenda di essere portatore di talenti. La Cri di Pescara durante l’anno, di concerto con la direzione e con l’area trattamentale del Carcere Pescara, organizza attività specifiche, consapevole del fatto che il detenuto può rappresentare una risorsa per la società e, in occasione del Natale, si è cercato di ricostruire quell’atmosfera di festa che normalmente si vive nelle proprie famiglie, giocando a tombola, cantando e ballando insieme". Santa Maria Capua Vetere: i detenuti del Culto Evangelico ringraziano il pastore Turco ottopagine.it, 26 dicembre 2016 I detenuti che frequentano il Culto Evangelico nel Carcere di S. Maria Capua Vetere hanno inviato una lettera al Pastore Evangelico Cesare Turco e la moglie Maria Garofalo. "Siamo un gruppo di detenuti del carcere di S. Maria Capua Vetere (Ce). Tutti i lunedì frequentiamo il Culto nella sala teatro di questo istituto. Lo scopo di queste poche parole è quello di esprimere al Pastore Cesare e la moglie Maria tutta la nostra gratitudine per la loro preziosa assistenza spirituale. Dopo tanto tempo, noi tutti che abbiamo incontrato Cristo in questo carcere, siamo tornati a vivere. Preghiamo Cristo che vi dia sempre forza di portarci la sua Parola che per noi è vita e libertà anche in questo carcere. Infatti, la vostra assistenza, la perfetta conoscenza del dell’Evangelo praticato, il sapiente uso della spiritualità donatovi da Cristo, ci danno la certezza di trovarci davanti a dei veri e propri missionari dotati di una chiamata divina specifica e non a chi è costretto a rubare un pò di tempo alle attività quotidiane in questo carcere per "appagare la coscienza". Crediamo che non ci sia bisogno di parole per sottolineare il grande gradimento, confermato anche dall’essere costanti nelle nostre presenze ai Culti, che hanno e tuttora contribuiscono all’edificazione di tutti i presenti. Gratificazione tanto più valide se si considera che quasi il cinquanta per cento dei partecipanti ai Culti sono di nazionalità non italiana e, tra gli italiani, molti sono di regioni lontane dal centro e nord Italia e pertanto più "diffidenti" culturalmente, e che davanti ai massaggi evangelici si sono piegati e si piegano facilmente dinnanzi al Cristo presente. Credo, cari coniugi Turco, che la vostra determinazione nel visitarci, l’amore profondo ed evidente che avete per l’opera di Dio, potrebbe essere spesa in altri ambienti più "dignitosi" di un squallido carcere, un luogo considerato l’isola dell’emarginazione, tuttavia, non ci avete mai fatto sentire a disagio. L’amore che ci mostrate, le cure che ci date, il sostegno spirituale che non fate mancare a noi e alle nostre famiglie gratifica il nostro cuore e da gloria al nostro Signore. Concludendo, rappresentando i detenuti dell’alta sicurezza, i fratelli dei reparti Tevere, Tamigi e le Detenute del reparto Femminile Senna e altri comuni del Nilo, vi ringraziamo di quanto fate per noi e per altri carcerati degli altri istituti. Preghiamo il nostro buon Dio che vi dia sempre forza e salute per continuare questa grande missione che Egli vi ha affidato. Virtualmente firmato da tutti i vostri fratelli carcerati". Ventimiglia, giovane migrante muore travolto dal treno di Andrea Di Blasio La Repubblica, 26 dicembre 2016 Stava costeggiando la ferrovia nella frazione Latte per arrivare in Francia. Nei mesi scorsi tre persone erano state travolte sull’autostrada. È un algerino di circa 25 anni, il cui nome è ancora in fase di accertamento, il migrante travolto e ucciso da un treno delle linee francesi a Ventimiglia mentre cercava di raggiungere la Francia costeggiando la ferrovia. Il giovane si era registrato, intorno alle 17.30 di ieri, al centro di accoglienza del Parco Roja di Ventimiglia e dopo aver cenato si è allontanato con una trentina di migranti di nazionalità diverse per tentare di espatriare. Assieme al gruppo di persone aveva appena imboccato la ferrovia, ma non si è accorto dell’arrivo del convoglio e è stato investito. In queste ore, gli operatori della Croce Rossa che gestiscono il centro stanno cercando di mettersi in contatto con un parente della vittima che si trova a Milano, per concludere assieme alla polizia le procedure di identificazione e iniziare quelle di rimpatrio della salma. Al centro di accoglienza di Ventimiglia ci sono alcuni amici della vittima che stanno contribuendo al riconoscimento. Lo scorso anno erano stati registrati alcuni investimenti in territorio francese, mentre dall’estate a oggi sono tre i migranti morti sull’autostrada al confine tra Italia e Francia, dove da qualche tempo si può leggere un’avvertenza: "Possibili pedoni, prudenza". Il vescovo di Ventimiglia monsignor Suetta, celebrando il rito funebre per Milet Tesfamariam Bouhlel, la diciassettenne eritrea travolta da un tir a ottobre, aveva parlato di "vittime della frontiera". Terrorismo. Il killer, le minacce e le regole di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 26 dicembre 2016 Nella breve esistenza di un ventiquattrenne ucciso in strada dopo aver commesso una strage e un tentato omicidio, sono racchiusi i drammi e le incognite dell’immigrazione clandestina. Il cadavere di Anis Amri riverso sull’asfalto di Sesto San Giovanni è l’emblema di un percorso folle e tragico cominciato almeno cinque anni prima della sparatoria finale, e contiene molti aspetti della nuova minaccia in cui siamo intrappolati. Se non tutti, quasi. Nella breve esistenza di un ventiquattrenne ucciso in strada dopo aver commesso una strage e un tentato omicidio, sono racchiusi i drammi e le incognite dell’immigrazione clandestina, della radicalizzazione religiosa e della pratica terroristica che ne deriva, frazionata e imprevedibile. Mettendo in luce le difficoltà a contenere, contrastare e prevenire questi fenomeni, ma anche l’efficacia di un sistema di controllo del territorio diffuso e capillare. C’è da augurarsi che le polemiche sulla divulgazione dei nomi e delle foto dei poliziotti coinvolti, conseguenza di una scelta discutibile, non offuschino il significato di un episodio paradigmatico di un metodo che continua a risultare vincente. Il conflitto a fuoco notturno nell’hinterland milanese, per come è stato ricostruito dalle autorità, ricorda quello avvenuto tredici anni fa, di domenica mattina, su un treno di seconda classe a Castiglion Fiorentino. Allora una pattuglia della polizia ferroviaria intercettò durante una verifica di routine i due neobrigatisti rossi Mario Galesi e Nadia Lioce; alla richiesta dei documenti il terrorista sparò, freddò il sovrintendente Emanuele Petri e venne a sua volta ucciso dalla reazione dell’altro agente. Era il 2 marzo 2003 e il terrorismo di matrice islamica stava già catalizzando l’attenzione delle forze di sicurezza: un’emergenza che in seguito è cresciuta e s’è ramificata, assumendo forme sempre più frastagliate e complicate da ostacolare. Come dimostra proprio la storia di Anis Amri. Nessuno potrà mai dire se quando approdò a Lampedusa nella primavera del 2011, confuso tra le migliaia di immigrati in fuga da guerre e povertà, avesse già l’intenzione di diventare un soldato dell’Islam. Di certo la tendenza a delinquere l’ha portato nelle carceri italiane, dove il proselitismo estremista tra i detenuti di religione musulmana (più di 8.000 praticanti) è un problema che continua a destare preoccupazione. Le persone segnalate per la loro potenziale pericolosità sono salite a 370; percentuale minima e persino fisiologica, ma purtroppo s’è visto che ne basta uno per fare una carneficina. Uno come Amri, che a fine pena l’Italia non è riuscita a espellere a causa del rifiuto tunisino a riaccoglierlo. Ed è altrettanto fisiologico che nonostante le segnalazioni da cui derivano migliaia di monitoraggi, intercettazioni e altre attività info-investigative, qualcuno riesca a sottrarsi alla rete di prevenzione e dileguarsi. Magari all’estero, magari in Germania, dove il tunisino divenuto seguace dell’Isis ha potuto godere di regole grazie alle quali, fallito nuovamente il tentativo di rimpatrio, il decreto di espulsione è stato addirittura sospeso. Così un soggetto ufficialmente pericoloso ha potuto continuare a coltivare i contatti con altri militanti che quasi sicuramente l’hanno affiancato nella fase di "mobilitazione" che precede l’azione individuale. Il fatto stesso che Amri abbia girato e consegnato a esponenti dello Stato islamico il video diffuso dopo la morte è la prova del suo inserimento in un’organizzazione strutturata. Il lupo è solitario - forse - quando sceglie l’obiettivo e gli si scaglia contro con un tir, una cintura esplosiva o un kalashnikov; ma prima ha fatto parte di un branco. Che seppur piccolo ha probabilmente consentito al fuggitivo della strage di Berlino di contare su qualche appoggio nel suo girovagare per l’Europa, durante il quale nessuno l’ha fermato né controllato in tre giorni. In Italia è successo dopo poche ore, grazie a un sistema collaudato che fin qui s’è dimostrato utile quantomeno a ridurre i rischi. Nella consapevolezza che evitarli del tutto, come suggerisce ancora la parabola criminale di Anis Amri, è pressoché impossibile. Il terrorismo fa paura: 6 milioni di italiani a fine anno rinunciano alla vacanza fuori casa La Stampa, 26 dicembre 2016 Cresce in Italia la paura di un attentato terroristico, alimentata dalla strage dei mercatini di Natale a Berlino e dal recente attentato a Nizza. A pensarlo ben il 75% dei cittadini, giovani in testa, molti dei quali, circa 6 milioni, hanno deciso di rinunciare alle vacanze "fuori casa" di fine anno nelle città italiane o all’estero dopo i recenti attentati terroristici, preferendo le "più sicure" mura domestiche. Insomma, il terrorismo condiziona gradualmente la quotidianità collettiva, a tal punto che, poco più della metà degli italiani (54,1%) sta cambiando le proprie abitudini. A cambiare programmi, decidendo di disdire la vacanza fuori casa, sono principalmente i giovani nel 18,5% dei casi. Sul versante opposto, gli italiani che non ci stanno a farsi cambiare le abitudini e le decisioni di viaggio per le festività imminenti superano di poco il 30% del panel intervistato. Lombardia e Lazio si confermano, per il secondo anno consecutivo, le realtà territoriali più "esposte" al terrorismo secondo l’Italian Terrorism Infiltration Index 2016 ideato dall’Istituto Demoskopika, che ha tracciato una mappa delle regioni più a rischio potenziale di infiltrazione terroristica sulla base di tre indicatori ritenuti "sensibili": le intercettazioni autorizzate, gli attentati avvenuti in territorio italiano e gli stranieri residenti in Italia provenienti dai primi cinque paesi considerati la top five del terrore dall’Institute for Economics and Peace (lep) nello studio "Global Terrorism Index 2016": Iraq, Afghanistan, Pakistan, Nigeria e Siria. Europa e Italia devono considerarsi in guerra e sotto assedio: è la percezione nutrita dal 75,6% dei cittadini secondo la rilevazione, effettuata all’indomani della strage ai mercatini di Natale nella capitale tedesca. La paura di un attacco terroristico in Italia è assolutamente trasversale per le classi di età (giovani, adulti e anziani). Qualche differenza, invece, analizzando l’area territoriale: la paura maggiore sembra essere avvertita al Sud (78,1%) e nelle realtà regionali del Nord Ovest (74,8%). Inoltre, per 8 individui su 10 del campione (81,6%) occorrono maggiori controlli interni per garantire più sicurezza e il 60,8% si spinge a ritenere necessaria la chiusura delle frontiere del nostro Paese per non far giungere nuovi immigrati dai paesi a maggiore "vocazione terroristica". Demoskopika rileva anche che dal 2005 al 2014 il numero delle utenze telefoniche controllate dietro autorizzazione delle procure italiane, per indagini relative a reati di terrorismo internazionale e interno, è stato complessivamente pari a 7.991 ma che l’attività di "ascolto" nel 2014 è cresciuta del 30,4%. Sono 59 gli attacchi terroristici avvenuti in Italia negli ultimi 10 anni, inclusi nel Global Terrorism Database. Dall’analisi di Demoskopika emerge che la regione che ha subito il maggior numero di attacchi terroristici in questo arco temporale è stato il Lazio, con 15 episodi (25,4% del totale), la Lombardia con 11 eventi (18,6%) e il Piemonte con 8 eventi (13,6%). L’amnistia di Natale in Austria ed in Germania di Armin Kapeller altalex.com, 26 dicembre 2016 Come avviene sin dal 1946, anche quest’anno, nella seconda decade di dicembre, ad alcuni detenuti in Austria è stata concessa la c.d. Weihnachtsamnestie. A scanso di equivoci, va subito precisato che non di amnistia (come viene intesa nell’ordinamento italiano) si tratta, ma di provvedimenti di grazia che hanno fatto sì che dodici detenuti (una donna e 11 uomini) possono trascorrere le feste di Natale e di Capodanno con i propri familiari. Si tratta, per la precisione, di individuelle Gnadenakte, com’erano usuali nel periodo della monarchia; di una prerogativa spettante al Capo dello Stato für Einzelfälle come prevede l’art. 65, 2° c., lett c, del B-VG (Bundesverfassungsgesetz). Per quanto concerne la "Weihnachtsamnestie 2016", la stessa non poteva essere concessa dal Bundespräsident (Pres. d. Rep.) dato che l’Amtszeit del Capo dello Stato H. Fischer era già scaduta da mesi (da oltre 20 gg.) e il suo successore non ha ancora prestato il prescritto giuramento. Prevede l’art. 64 B-VG che in casi d’impedimento dello Staatsoberhaupt, se la Verhinderung si protrae per oltre 20 giorni, le funzioni del BP sono esercitate da un organo collegiale costituito dal Presidente del Nationalrat e dai due Vicepresidenti di quest’assemblea parlamentare. Pertanto la diesjährige "Weihnachtsamnestie" è stata concessa da quest’organo collegiale, il quale, nell’emanare i relativi provvedimenti (mediante Bescheid), si è attenuto alle proposte formulate dal Ministro della Giustizia. I provvedimenti di grazia diventano esecutivi soltanto una volta che il graziato abbia dato il proprio consenso (Zustimmung) all’Haftentlassung. I detenuti "fortunati" che il 17.12.2016 hanno lasciato le Justizvollzugsanstalten - JVA, cioè le carceri, sono stati, come già detto, 12. Presupposti per fruire di questa "anticipata scarcerazione" (vorzeitige Haftentlassung) sono : 1) la condanna riportata deve essere inferiore a 5 anni di reclusione, 2) almeno un terzo della pena inflitta deve essere stata scontata, 3) il residuo di pena ancora da espiare, non deve essere superiore a 18 mesi. Non potevano fruire di questa "Weihnachtsamnestie" i condannati per gravi reati di violenza, per reati di natura sessuale e per violazione del Suchtmittelgesetz (Legge sugli stupefacenti). Il numero dei Begnadigten è stato, quest’anno, inferiore a quello degli anni precedenti; infatti, era stato di 18 nel 2013, di 30 nel 2014 e di 20 nel 2015. Molto più fortunati possono ritenersi invece i detenuti nelle carceri della RFT. Anche nella RFT si parla - impropriamente - di "Weihnachtsamnestie". Coloro che possono lasciare le JVA in corrispondenza delle feste natalizie sono c. a. 2000 (duemila) e beneficiano, di fatto, di una riduzione di pena. Per la precisione si tratta di uno Straferlass (una specie di condono) se la fine della pena sarebbe stata tra alcune settimane. Nella RFT non soltanto la Justiz è Ländersache (competenza dei Länder e non del Bund), ma anche lo Strafvollzug. Da ciò consegue che ogni singolo Land decide, se: 1) concedere la "Weihnachtsamnestie", o, meglio, la liberazione anticipata di detenuti in occasione delle festività natalizie e 2) quali sono i presupposti per questo "beneficio". Analogamente a quanto avviene in Austria, anche nella RFT ogni singolo caso viene esaminato dalle Justizbehörden. Vengono prese in considerazione soltanto domande inoltrate da detenuti che durante la carcerazione hanno tenuto un comportamento irreprensibile. Inoltre deve essere certo che dopo il rilascio dalle JVA abbiano una sistemazione abitativa e siano in grado di provvedere al proprio mantenimento. Condannati per reati a sfondo sessuale sono esclusi in tutti i Länder dalla "Weihnachtsamnestie". Sopra abbiamo accennato al fatto che lo Justizvollzug è Ländersache. Ciò comporta che i presupposti per beneficiare della "Weihnachtsamnestie" possono variare notevolmente secondo la JVA in cui il recluso sta scontando la pena. Ogni singolo Land decide anche sul numero dei detenuti che possono beneficiare della "Weihnachtsamnestie". Così p. es., nel Nordrhein-Westfalen il loro numero è stato di oltre 700, mentre in altri Bundesländer non supera il centinaio o alcune decine. Va poi osservato che nel Sachsen-Anhalt, nel 2016, è stato di 28 (31 nel 2015), a Hamburg i fortunati, nel 2016, sono stati 32 (35 l’anno precedente); a Berlin, 82 quest’anno e 69 nel 2015, mentre in alcuni anni precedenti erano stati ben 300. In alcuni Bundesländer non viene concessa "Weihnachtsamnestie" in quanto si ritiene che le conseguenti "liberazioni anticipate" sarebbero contrarie al principio di certezza della pena e di eguaglianza. Alcuni ministri della Giustizia sono contrari alla "Weihnachtsamnestie", asserendo che l’Entlassungszeitpunkt (del detenuto) kann keine Frage der Jahreszeit sein (non può dipendere dalla stagione: in inverno sì, in estate no). Affinché possa essere concessa "Weihnachtsamnestie", il ministero della Giustizia dei Länder determina i presupposti in base ai quali i detenuti possono fruirne e autorizza (ermächtigt) le Staatsanwaltschaften a emanare i singoli provvedimenti di vorzeitiger Entlassung. Di solito possono beneficiarne coloro che avrebbero da scontare un residuo di pena di alcune settimane o al massimo 2 o 3 mesi. Sono esclusi i detenuti per reati gravi di violenza e quelli che nel corso dell’espiazione della pena non hanno tenuto una condotta esemplare; ovviamente anche chi, durante il periodo di carcerazione, ha commesso reato (p. es. contro un agente di custodia o ha intrapreso un tentativo di fuga). In alcuni Bundesländer i presupposti per accedere alla "Weihnachtsamnestie" sono particolarmente severi. Così p. es. rimangono esclusi dalla vorzeitigen, weihnachtlichen Haftentlassung coloro che stanno espiando un’Ersatzfreiheitsstrafe. In altri Länder sono esclusi i detenuti la cui espiazione è iniziata soltanto a decorrere dal mese di giugno 2016. Presupposto indispensabile per la "Weihnachtsamnestie" è anche che il detenuto manifesti il proprio consenso (Zustimmung) alla liberazione anticipata. È stato detto che il motivo per cui viene concessa la "Weihnachtsamnestie" non è da ricercare (soltanto) nella c.d. christlichen Nächstenliebe o nella gepflegten Mitmenschlichkeit. Ogni giorno di detenzione costa allo Stato un importo notevole. Dato che nella RFT le carceri sono in buona parte überbelegt (sovraffollati) e il numero degli agenti di custodia è spesso inferiore alla c. d. Sollstärke, una diminuzione del numero dei detenuti porta benefici non soltanto agli stessi. Da quanto esposto risulta che la "Weihnachtsamnestie" non si basa su sentimentalismo o sulla c. d. christlichen Nächstenliebe, ma su considerazioni di tutt’altro genere. In alcuni Länder la facoltà di concedere "Weihnachtsamnestie" è stata introdotta soltanto ca. una ventina di anni fa e sulla domanda intesa a ottenere la liberazione anticipata, in corrispondenza delle feste natalizie, decide il dirigente della JVA; in altri, il ministro della Giustizia. I fautori della "Weihnachtsamnestie" sostengono che questa liberazione anticipata (o, forse, meglio, il condono della pena residua (di qualche settimana o mese)) avrebbe effetti favorevoli ai fini del reinserimento sociale dei detenuti. La "Weihnachtsamnestie" suscita ogni anno anche polemiche. C’è chi la indica come Relikt des Obrigkeitsstaates (monarchia). Altri sostengono che sarebbe intollerabile che la liberazione anticipata possa dipendere soltanto dal Land, nel quale il detenuto espia la pena. Sopra abbiamo visto che il Nordrhein-Westfalen è stato molto generoso nel concedere la "Weihnachtsamnestie" (a oltre 700 detenuti), mentre in altri Länder il loro numero è stato esiguo (non supera una cinquantina). In Baviera e nel Freistaat Sachsen non viene concessa "Weihnachtsamnestie". È stato detto che Gnade ist nicht justiziabel e che le categorie giuridiche Gerechtigkeit und Gleichbehandlung können dieses Phänomen nicht erfassen. Gnade ist Abwesenheit von rechtlichen Maßstäben. Tornano alla mente in proposito le parole di Gustav Radbruch (noto filosofo del diritto) secondo il quale „Gnadenerweis ist das gesetzlose Wunder innerhalb der juristischen Gesetzeswelt". Lo Stato, concedendo il Gnadenerweis in prossimità delle feste natalizie, „zeigt willkürlich und überheblich seine Macht". Così la durata della pena diventerebbe unberechenbar. È stato però osservato che Gnadenerweise, se praticati entro limiti ragionevoli, dimostrano, dass es nicht nur die Welt des Rechtes gibt e che il principio: "Fiat iustitia, pereat mundus", se attuato con troppo rigore, può portare anche all’Ungerechtigkeit. Alla fine mi sia consentito di citare una frase che avrebbe pronunziato Anacleto II (Pontifex Max. dal 1090 a 1138): "Sulla Terra c’è l’amore, in Cielo la grazia e soltanto nell’Inferno c’è la giustizia". Sri Lanka: in occasione del Natale grazia per 567 detenuti sda-ats.net, 26 dicembre 2016 Il presidente dello Sri Lanka Maithripala Sirisena ha disposto oggi in occasione del Natale il condono della pena di oltre 550 detenuti responsabili di reati minori. Lo riferisce il quotidiano online ColomboPage. Il commissario alle Prigioni governative T.N. Upuldeniya ha precisato al riguardo che del provvedimento, raccomandato dal ministro per la Riforma penitenziaria, hanno beneficiato 567 persone che si trovavano in carcere per aver violato in modo non gravissimo il Codice penale dello Sri Lanka. Fra i detenuti che saranno rilasciati, ad esempio per non essere stati in grado di pagare multe loro imposte, si trovano anche sette donne. Il Dipartimento delle prigioni, si è infine appreso, ha previsto durante le festività natalizie, permessi speciali per permettere ai famigliari dei detenuti cristiani di visitarli nelle migliori condizioni possibili in carcere. Russia, aereo Difesa precipita nel Mar Nero, non escluso il sospetto di un attentato di Antonella Scott Il Sole 24 Ore, 26 dicembre 2016 Un guasto tecnico, o un errore dell’equipaggio: le autorità russe non sembrano avere dubbi mentre escludono categoricamente l’ipotesi terrorismo tra le possibili cause di una tragedia comunque legata all’intervento militare in Siria: laggiù, nella base aerea di Hmeymim sul Mediterraneo, era diretto il Tupolev-154 del ministero della Difesa precipitato domenica mattina sul Mar Nero, poco dopo il decollo da Sochi. A bordo, 92 passeggeri: nove giornalisti, militari, e i componenti dell’Ensemble Alexandrov, più nota come Coro dell’Armata Rossa. Una perdita nella perdita. Nessun superstite. Mentre vengono recuperati i primi corpi, e rinvenuti in mare frammenti dell’aereo, tra gli esperti torna insistente il sospetto di un attentato: sospetto inaccettabile, per il Cremlino, immaginare che la mano di terroristi decisi a vendicare la presa di Aleppo sia riuscita a violare la sicurezza costruita attorno a un volo militare. Tra le vittime confermate un altro personaggio molto famoso in Russia: Elizaveta Glinka, "dottor Lisa". Componente del Consiglio della presidenza per i diritti umani, medico sempre in prima linea nell’assistenza sociale: in Siria dottor Lisa avrebbe accompagnato un carico di aiuti umanitari diretti all’ospedale di Latakia. L’aereo, partito da Mosca, è scomparso dai radar alle 5.25 della mattina di Natale (le 3.25 in Italia), a due minuti dal decollo dall’aeroporto di Adler/Sochi dove si era fermato per rifornimento: senza lanciare alcun allarme e in condizioni metereologiche descritte come buone. Frammenti del Tupolev, comunica il ministero della Difesa, sono stati rinvenuti nelle prime ricerche a un chilometro e mezzo dalla costa di Sochi, alla profondità di 50-70 metri. Nelle ricerche, ha dichiarato il portavoce del ministero della Difesa, generale Igor Konashenkov, sono impegnati 3.000 uomini e quattro navi, cinque elicotteri e un drone, anche se con il passare delle ore il tempo viene dato in peggioramento, con nebbia che renderà più difficile le operazioni. In costante contatto con il ministro della Difesa, Serghej Shoigu, Vladimir Putin ha incaricato il primo ministro Dmitrij Medvedev di formare una commissione governativa di inchiesta per far luce sulla tragedia. Per il 26 dicembre in Russia è stata proclamata una giornata di lutto nazionale. "Escludo totalmente la tesi dell’attentato - ha subito dichiarato il capo della Commissione Difesa del Senato russo, Viktor Ozerov. L’aereo apparteneva al ministero della Difesa russo, ed è precipitato nello spazio aereo russo. Una simile tesi è impossibile". L’inchiesta penale aperta ipotizza un errore del pilota. Ma sono sempre più numerosi gli esperti di aviazione perplessi. Dalla rapidità, per cominciare, con cui le autorità hanno scartato l’ipotesi terrorismo, così come avvenne lo scorso anno con la tragedia dell’aereo di linea precipitato in Sinai. "La domanda che mi pongo - dice Aleksandr Golz, osservatore militare - è: perché le autorità, i deputati e i senatori, hanno escluso immediatamente, come spaventati, la versione dell’attentato? La presenza di frammenti nel raggio di una decina di chilometri non permette di escludere categoricamente la possibilità". "Lo posso dire con certezza, certi aerei non vengono giù in questo modo", sottolinea Vitalij Andreev, ex controllore di volo, sul sito del quotidiano Kommersant. Secondo Anatolij Zyganok, analista militare, non è facile immaginare che qualcuno sia riuscito a salire a bordo di un aereo militare strettamente sorvegliato. Il che non esclude l’ipotesi di un tradimento: "Qualcuno potrebbe essere riuscito ad approfittare della soste rifornimento per manomettere il carburante". Oppure qualcuno, osserva l’istruttore pilota Andrej Krasnoperov, avrebbe potuto infilare una valigia al posto di quelle controllate, in mezzo agli strumenti musicali dell’ensemble Alexandrov. Tra i 64 componenti del Coro dell’Armata Rossa confermata anche la presenza del direttore dell’ensemble, Valerij Chalilov. Con la sua orchestra, fondata in era sovietica nel 1928, avrebbe celebrato le feste per il Nuovo Anno insieme ai militari russi impegnati in Siria.