Lo scandalo del "braccialetto" per i reclusi di Maurizio Tortorella Panorama, 21 dicembre 2016 Servirebbero per decongestionare le carceri iper-affollate. Ma ne servirebbero 10mila e ce ne sono appena 2mila. E sono costati 173 milioni in 15 anni. È il monile più caro del globo. Dal 2001 a oggi il braccialetto elettronico per i detenuti (che in realtà è una cavigliera) è costato almeno 173 milioni di euro. Soldi pubblici buttati dalla finestra: prima in un estenuante decennio sperimentale che ha visto appena 14 apparecchi impiegati per una spesa di 110 milioni di euro; e poi, dal 2011, in una scombiccherata gestione ordinaria che per la modica cifra di 10-11 milioni l’anno ne ha gradualmente introdotti altri 2 mila circa. Così il mitico braccialetto, che da decenni viene presentato come lo strumento che dovrebbe risolvere l’emergenza carceraria e garantire il pieno controllo a distanza di chi è recluso ai domiciliari, è uno dei più opachi capitoli della giustizia italiana. E oggi diventa un vero scandalo che grida vendetta. Lo è per la spesa pubblica impiegata complessivamente, visto che il risultato finale è che ognuno dei 2 mila braccialetti forniti dalla Telecom, finora unica interlocutrice dei contratti sottoscritti con il ministero della Giustizia e con quello dell’Interno, ci è costato almeno 86.500 euro. Ma lo è anche per come la burocrazia ministeriale ha gestito e continua a gestire la faccenda. Da tempo, infatti, è evidente che i duemila braccialetti sono largamente insufficienti. Alla fine di novembre, ultimo dato disponibile, i reclusi in una cella erano 55.251 (5 mila in più rispetto ai 50.254 posti regolamentari disponibili), cui si aggiungevano altri 781 in semilibertà. Tra i detenuti, quelli in attesa di un primo giudizio sono tantissimi: 9.846, quasi il 18%. Parrà assurdo, ma in Italia nessuno sa quanti sarebbero quelli che potrebbero legittimamente passare da una prigione a una casa, e decongestionare l’emergenza, in virtù di un decreto di tribunale già operativo. Rita Bernardini, l’esponente radicale che sulla nostra vergogna carceraria ha imbastito una meritoria campagna ultradecennale, dice alla Verità di avere personalmente incontrato "tantissimi detenuti che avrebbero ottenuto provvedimenti di scarcerazione con il braccialetto, e invece da mesi aspettano in cella perché gli apparecchi mancano". Da oltre un anno si favoleggia di un bando europeo per un numero imprecisato di nuovi apparecchi: l’iniziativa di quell’appalto spettava all’ex ministro dell’Interno Angelino Alfano, che però è appena trasvolato alla Farnesina. Un mese fa, il 14 novembre 2016, il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha annunciato in tv, a Porta a porta, che il Viminale aveva già da tempo provveduto a lanciare il bando: "Abbiamo utilizzato tutti i braccialetti che c’erano" ha detto il Guardasigilli "ma ora aspettiamo i risultati della gara europea che è stata fatta a giugno". "Giugno? Non è affatto vero" lo smentisce Bernardini. E Riccardo Polidoro, responsabile dell’Osservatorio carcere dell’Unione camere penali (Ucp), l’organizzazione degli avvocati penalisti italiani, conferma: "Il bando non è mai stato fatto. Anzi, a fine novembre lo abbiamo sollecitato al ministero della Giustizia e a quello dell’Interno. Gli uffici del Guardasigilli hanno detto che avrebbero a loro volta sollecitato Alfano. E il Viminale non ci ha nemmeno risposto". L’Ucp calcola che oggi servano almeno 10 mila braccialetti in più. È una stima a spanne, però, e decisamente prudenziale, perché malgrado una ricognizione compiuta presso tutti i tribunali italiani, un lavoro durato ben otto mesi, un numero certo non esiste. Non lo conosce nessuno: "Diciamo che nei tribunali abbiamo incontrato una certa difficoltà a reperire dati" ironizza l’avvocato Polidoro. In compenso, l’Ucp ha fatto altre scoperte sorprendenti: "Abbiamo appurato che la lista d’attesa dei detenuti cui dare il braccialetto viene gestita non dal ministero della Giustizia, bensì dalla Telecom". A questo punto, uno potrebbe domandarsi perché mai la burocrazia ministeriale arrivi a tali aberrazioni. Ma Polidoro aggiunge sconforto allo sconforto: "Speriamo che, quando il bando verrà finalmente fatto, individui almeno caratteristiche tecniche migliori delle attuali". I braccialetti esistenti, a sentire gli avvocati penalisti, non offrono proprio il massimo della funzionalità: per installarne uso prima serve che un tecnico della Telecom misuri il perimetro della casa dove alloggerà il recluso, e a quel punto nell’abitazione viene installata una centralina. Ma se il detenuto ai domiciliari su ordine del giudice deve allontanarsi da casa per andare a lavorare, ogni volta bisogna che la centralina sia disattivata e riaccesa. Con nuove procedure burocratiche e ovvie spese aggiuntive. Eppure basterebbe un semplice gps, in grado di valutare se gli spostamenti in certi orari sono ammessi o no. Come avviene già nei nostri cellulari. E in tutti i Paesi civili che adottano braccialetti elettronici per i loro detenuti. Contro il radicalismo islamico partiamo dalle carceri di Stefano Pasta Famiglia Cristiana, 21 dicembre 2016 Intervista a Paolo Branca, lo studioso islamista dell’Università Cattolica che fa volontariato nei penitenziari italiani. "L’attentato di Berlino ci coinvolge tutti. Alla negligenza dell’Europa saranno i populisti ad approfittarne". "È inevitabile: la situazione di distruzione in Medio Oriente non può che coinvolgere l’Europa. Che però è una dirimpettaia distratta, come mostra la negligenza con cui l’Italia non interviene nel prevenire la radicalizzazione nelle carceri". Lo dice Paolo Branca, islamista dell’Università Cattolica di Milano e responsabile per la Diocesi ambrosiana dei rapporti con l’Islam. Però ricorda: "Non abbiamo a che fare con l’Islam ma con i musulmani: i dati ci dicono che le loro famiglie si fidano del modello educativo cristiano". Dopo Parigi, Bruxelles e Nizza, il terrorismo torna a colpire nel cuore dell’Europa. Qual è il suo primo commento? L’attentato mi pare simile a quello di Nizza, ma le modalità sono secondarie. Quel che conta è rilevare che la situazione di caos, se non addirittura di distruzione quasi totale (come nel caso della Siria), di paesi dell’Area mediterranea non può che coinvolgere anche e soprattutto l’Europa, dirimpettaia distratta e scoordinata di fronte a una delle più gravi crisi regionali che la sfidano nel Secondo dopoguerra. Sono stati colpiti i mercatini natalizi: alcuni commentatori parlano di "terrore islamico sul Natale", con la percezione di un "assalto alla Cristianità". È un’interpretazione corretta? Che in alcuni terroristi vi sia l’intento di colpire anche simboli cristiani è innegabile, si ricordi l’anziano sacerdote francese, Padre Jacques Hamel, assassinato mentre celebrava la Messa... ma interessi ben più concreti stanno dietro i pretesti religiosi. Come non si stanca di ripetere anche Papa Francesco, il commercio delle armi è un grande affare su cui nessuno osa sollevare obiezioni, ma questa è semplice ipocrisia se non aperta e masochistica corresponsabilità. Si può prevedere un aumento dell’islamofobia e xenofobia? Sì, le paure ingigantite dal circo mediatico hanno un ruolo crescente nel confronto politico e sono i populisti ad approfittarne, senza peraltro garantire in nulla una maggiore sicurezza. Per prevenire la radicalizzazione, da anni cerco di lavorare in carcere con detenuti arabi, ma senza alcun esito: che il governo fosse di destra o di sinistra non ha fatto alcuna differenza. Temo che la scarsa efficacia di un sistema in crisi non dipenda dal colore di chi ha il potere, ma dalle gravi omissioni di cui abbiamo quotidiana conferma, anche in questioni molto più "casalinghe" e nelle quali migranti o musulmani non c’entrano per niente. In Europa, la presenza maggiore di musulmani pone di fronte alla domanda: Islam e democrazia, Islam e Occidente, si possono conciliare? È un falso problema. Non abbiamo a che fare con l’Islam, ma con i musulmani: i dati ufficiali della Diocesi di Milano confermano che il 25% dei frequentatori dei circa 1000 oratori ambrosiani sono di fede islamica. Significa che le loro famiglie si fidano del modello educativo dei cristiani, anche se un singolo caso di rifiuto del presepio ogni anno viene talmente enfatizzato da modificare totalmente la percezione della realtà, non si capisce a quale scopo. Spesso si riapre il dibattito sulle comunità islamiche europee: qual è stato il percorso che hanno fatto negli ultimi anni? Non dobbiamo confondere i gruppi islamici organizzati con i musulmani "comuni" che non vi si riconoscono e non frequentano le loro sedi. Condanne del terrorismo non sono mancate da parte di queste realtà, ma soprattutto tra i giovani nati e cresciuti qui ci sono potenzialità ancora in fieri che vengono totalmente trascurate, lasciando che la scena sia occupata solo da chi fa la voce grossa. Fatima, la prima "foreign fighter" italiana, è stata appena condannata a 9 anni di carcere. Spesso si parla di contrasto della radicalizzazione dei giovani. Su questo è stato fatto abbastanza? No, potrei ripetere quanto ho già detto sulle carceri: pochi mesi fa, una circolare del Ministero della Giustizia chiedeva alle università di fornire personale che parlasse arabo per intervenire nelle prigioni a titolo di volontariato. Se non fosse tragico, ci sarebbe da ridere. Nei centri per minori non accompagnati non va meglio. Potrei continuare la lista di negligenze inconcepibili. Per ora, in Italia il fenomeno dei foreign fighters è fortunatamente limitato, ma cullarsi nell’illusione di essere immuni da ciò che succede in altri paesi europei è da irresponsabili. Le Rems sono già piene, si pensa a strutture alternative di Francesco Straface Il Dubbio, 21 dicembre 2016 Convegno al Senato sul trattamento del malato psichiatrico autore di reato. La proposta del magistrato Marcello Bortolato. 241 pazienti in attesa di ricovero "restano in libertà, perché non si sa dove metterli". per l’unione camere penali "vi sono ancora gli Opg da chiudere". Per lasciarsi alle spalle i vecchi manicomi giudiziari, va attuata definitivamente la Legge Marino. È l’auspicio emerso nel convegno sul trattamento del malato psichiatrico autore di reato e la legge n. 9 del 2012, ospitato nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani. Le testimonianze degli operatori hanno acceso i riflettori su ritardi e inadeguatezza delle normative che dovrebbero "riconoscere i diversi livelli di gravità della malattia e di pericolosità degli infermi", ha rimarcato Maria Mussini, vicepresidente del Gruppo Misto e membro della Commissione Giustizia al Senato. Va superata "la dicotomia tra Rems e carcere", assumendosi "la responsabilità della cura dell’ampia fascia di malati che si trova esclusa dalle nuove residenze. Per questo quando la legge arriverà in aula, insisterò sulla strada già aperta" dall’approvazione degli "emendamenti all’art. 12 del ddl Penale". A rischio è la "tutela del diritto alla dignitosa sopravvivenza dei dimenticati". Significativo l’intervento di Marcello Bortolato, magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Padova. I manicomi giudiziari "erano luoghi di segregazione, che andavano chiusi". Bisogna però trovare una soluzione alternativa, sponsorizzata anche dal commissario unico per il superamento degli Opg Franco Corleone. Non vi sono più posti disponibili nelle Rems, che già ospitano 603 pazienti, mentre 241 sono ancora in attesa del ricovero. Tra questi, 176 sono destinatari di misure di sicurezza provvisorie, appena 65 di provvedimenti definitivi: "internati, sottoposti a trattamenti e monitoraggi, la cui posizione è stata definita. La maggior parte attende invece una pronuncia e collocarli nelle residenze è stato un errore. Bisogna quindi creare delle strutture parallele, destinate alla loro accoglienza". Per il magistrato veneto, "restano altrimenti in libertà, perché non si sa dove metterli, soggetti che hanno appena commesso reati, pericolosi in quanto la malattia ha raggiunto una fase acuta". Anche trattenerli in carcere rappresenta una violazione dei loro diritti e non a caso spesso i loro ricorsi alla Corte Europea dei diritti umani vengono accolti. Un tema ribadito da Riccardo Polidoro, responsabile carcere dell’Unione Camere Penali. "Quando venga accertata l’incompatibilità psichica, il detenuto non può essere trattenuto. Dal 2008 si parla del superamento dell’Opg, ma vi sono strutture, come quella di Montelupo fiorentino, che ad inizio 2015 programmavano attività annuali, nonostante dovessero chiudere a breve per legge. È stato fatto molto, ma ancora oggi vi sono locali fatiscenti". Parla di "luci ed ombre" anche la presidente del Gruppo Misto del Senato Loredana De Petris. "Nelle regioni a cui è demandata l’attuazione della Legge Marino si sono registrate buone pratiche ma sono emerse anche gravi lacune. Non possiamo dimenticare ritardi e resistenze. Il passaggio tra Opg e Rems è arrivato in un momento delicato per la sanità negli enti territoriali e non è semplice neppure il ruolo della magistratura di sorveglianza". Giuseppina Guglielmi, gip presso il Tribunale di Roma, ha evidenziato che "non è semplice coordinare le differenti normative" sulle misure di sicurezza provvisorie, "regolamentate ancora dal codice Rocco del 1930". A questo si aggiungono "gli articoli 312 e 313 del codice di procedura civile, quattro successive pronunce giurisprudenziali e la recente legge 81 del 2014". Gianfranco Rivellini, psichiatra e criminologo clinico, ha rimarcato come gli studi dell’Istituto Superiore di Sanità dimostrino che la recidiva è legata spesso "ad un passato criminale del singolo soggetto o della famiglia in cui è cresciuto, ma soprattutto all’abuso di alcool, sostanze o farmaci, che trasformano un malato psichiatrico in criminale". Le Rems sono nate proprio con finalità terapeutiche. Aldo Minghelli, consigliere dell’ordine degli avvocati di Roma, ha ricordato che "vi sono tanti laureati in psicologia che non trovano sbocchi lavorativi. Potrebbero essere impiegati nelle carceri, dove non c’è supporto adeguato per i malati". Franco Corleone: Opg chiusi e Rems tutte aperte e funzionanti entro gennaio 2017 Dire, 21 dicembre 2016 Seconda relazione trimestrale del commissario Franco Corleone. Opg chiusi e Rems tutte aperte e funzionanti entro gennaio. È questa la deadline fissata per gli ospedali psichiatrici giudiziari in Italia da Franco Corleone, commissario unico per il superamento degli Opg, ma il terremoto politico potrebbe rallentare il percorso di riforma di quella che lo stesso Corleone chiama una "rivoluzione gentile" nella seconda relazione trimestrale sulla propria attività". Un testo, la relazione, redatto pochi giorni prima del referendum costituzionale e dell’annuncio delle dimissioni da parte del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che nella premessa auspicava una più celere ripresa dei lavori in Senato sulla legge delega sulla giustizia e sul sistema penitenziario, in calendario il 7 dicembre. Adesso però non è semplice fare previsioni. Le uniche possibili, spiega Corleone, riguardano la tabella di marcia del percorso già avviato, quindi la chiusura degli ultimi due Opg ancora aperti e l’attivazione delle restanti Rems da avviare. Gli Opg da chiudere sono ancora quelli di Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia, e Montelupo Fiorentino, in Toscana. "In questo trimestre sono state aperte due Rems - si legge nella relazione: quella di Santa Sofia d’Epiro, in Calabria, che ha accolto sette persone provenienti dall’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto che finalmente ospita solo internati siciliani; e quella di San Maurizio Canavese, in Piemonte, che ha accolto 10 pazienti provenienti da Castiglione delle Stiviere. Purtroppo, l’apertura della Rems a Genova ha subito un ritardo per ragioni burocratiche e amministrative, ma nel giro di qualche settimana dovrebbero essere risolte e la struttura accoglierà tre internati liguri ancora presenti nell’Opg di Montelupo Fiorentino e 14 pazienti da Castiglione delle Stiviere che a quel punto sostanzialmente avrà presenze di sole persone della Lombardia". Per l’inizio del 2017, inoltre, è prevista l’apertura di un secondo modulo a Caltagirone che consentirà la chiusura dell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto ospitando gli ultimi 141 pazienti siciliani ancora presenti, mentre in Toscana si sta lavorando ad una soluzione che permetterà di mettere un punto anche nella storia dell’Opg di Montelupo. A ottobre 2016, spiega la relazione, la capienza delle Rems presenti sul territorio nazionale e" di 624 posti, mentre i pazienti presenti sono 603. Un dato con un saldo positivo anche grazie alle dimissioni di alcune delle persone ospiti. "Il fatto che delle persone vengano anche dimesse dalle Rems- spiega il commissario nella relazione- è un segnale positivo che porta a pensare che queste residenze siano delle strutture tendenzialmente aperte e, contrariamente agli Opg, non prevedono una presenza senza fine, con quella tragica pratica che era definita come ergastolo bianco. Inoltre, visto il numero irrisorio di reingressi comunicati su richiesta del Commissario, dai responsabili delle Rems, possiamo permetterci di affermare che il sistema in qualche modo stia iniziando a funzionare e che il lavoro svolto dagli operatori delle Rems, in stretta collaborazione con i servizi territoriali, stia dando dei risultati molto positivi". Nonostante i numeri, resta la preoccupazione per le misure di sicurezza non eseguite. Una questione sottolineata dal Commissario già in diverse occasioni, ma ancora non risolta. "Tutti i responsabili delle strutture - si legge nella relazione - fanno emergere quanto sia preoccupante l’aumento di misure di sicurezza provvisorie che prevedono il ricovero in Rems". Al 25 ottobre 2016 sono 241 le ordinanze in questione. Su questo e sulla natura delle Rems doveva tornare il Senato riprendendo la discussione sulla legge delega sulla giustizia e sul sistema penitenziario, ma le dimissioni del presidente del Consiglio hanno cambiato l’agenda politica italiana. "A questo punto tutto è legato al nuovo governo e ai tempi di lavoro che avrà - spiega Corleone. In realtà noi avremmo bisogno di una riforma complessiva a partire dal codice penale. Bisognerebbe fare una pulizia semantica ed eliminare la parola internato, per esempio. E poi riformare le misure di sicurezza. Oggi è urgente un chiarimento". Un punto fermo, spiega Corleone, deve essere quello di un seminario nazionale da organizzare a gennaio per poter presentare l’avvenuto superamento degli Opg. Poi, al Commissario mancherebbe solo un mese (il mandato scade il 19 febbraio) per mettere nero su bianco una roadmap per il futuro. "Voglio chiudere l’esperienza da Commissario avendo adempiuto all’obiettivo primario, cioe" quello di chiudere tutti gli Opg e aprire tutte le Rems - spiega Corleone a Redattore sociale. Fatto questo, però, nell’ultima relazione voglio presentare una valutazione sulle questioni aperte e proporre delle soluzioni. Ci sono ancora persone che sono in Rems fuori dalla propria regione. Vorrei avere un quadro rispettoso della territorialità. Poi bisogna lavorare sulla prospettiva. La riforma ha dimostrato che funziona, ma bisogna andare avanti. È una rivoluzione: diciamolo sotto voce. Si sta concludendo, ma non dobbiamo abbandonarla". Mussini (Misto): rischio di tornare a vecchi manicomi giudiziari "Dopo aver ascoltato le numerose testimonianze degli operatori che sono intervenuti per esporre le loro preoccupazioni sul ritardo con cui sta avvenendo l’attuazione della Legge Marino e la sua inadeguatezza nel riconoscere i diversi livelli di gravità della malattia e di pericolosità degli infermi, sono sempre più convinta che la linea finora perseguita con i miei emendamenti all’art. 12 del ddl Penale approvati in Commissione giustizia è quella giusta". Lo dichiara Maria Mussini, vicepresidente del Gruppo Misto e membro della Commissione Giustizia al Senato, riassumendo il senso del convegno "Dagli Opg alle Rems. Il trattamento del malato psichiatrico autore di reato e la complessa attuazione della Legge 17 febbraio 2012 n. 9". "Da un lato le forze politiche si occupano dei meccanismi per la loro sopravvivenza - aggiunge - dall’altro qualcuno si occupa del diritto alla dignitosa sopravvivenza dei dimenticati. Se non superiamo la dicotomia tra Rems e carcere, assumendoci la responsabilità della cura dell’ampia fascia di malati che si trova stretta tra queste due realtà e quindi esclusa dalle nuove residenze, rischiamo di tornare ai vecchi manicomi giudiziari. Per questo - conclude Mussini - quando la legge arriverà in Aula, insisterò sulla strada già aperta dai miei emendamenti". Intervista al Ministro della Giustizia Orlando "il Pd si occupi della questione sociale" di Maria Zegarelli L’Unità, 21 dicembre 2016 Il Guardasigilli: il referendum un colpo al centrosinistra, ora dobbiamo discutere su come chiudere la legislatura non su come completarla. Di una sua candidatura alla segreteria del Pd non ne vuole parlare, "non è un tema all’ordine del giorno". Il ministro della Giustizia Andrea Orlando dice che il tema, ancora una volta, non è chi si candida nel Pd, ma dove vuole andare il partito e quali questioni intende mettere in cima alla sua agenda. Ministro, per ora in cima ai pensieri del Pd sembra essere la legge elettorale. Matteo Renzi ha rilanciato il Mattarellum ma, a parte la Lega, gli animi sono tiepidi. Lei che ne pensa? "Sicuramente è una questione urgente, ma nel nostro dibattito non smarriamo un tema che è esploso con il referendum: la questione sociale. Comunque non so se è il Mattarellum, pensato in un sistema bipolare, si attagli ugualmente in un sistema tripolare e in un quadro in cui, tra l’altro, la base di partecipazione al voto si restringe sempre di più. Potremmo ritrovarci in uno scenario in cui una netta minoranza potrebbe avere una forte rappresentanza in Parlamento. Il rischio è quello di uno squilibrio tra rappresentanza parlamentare e consenso, circostanza che non si poneva negli stessi termini ai tempi del bipolarismo". Quindi per lei resta ancora in piedi la proposta di Matteo Orfini? "Noi abbiamo depositato una proposta che prevede un premio di maggioranza al partito che arriva primo con la possibilità di inserire i collegi. È un’ipotesi sulla quale si può lavorare e che è stata sviluppata nel documento elaborato dall’apposito gruppo di lavoro". Il M5s chiede di andare al voto con le sentenze della Consulta. Il presidente Mattarella è stato chiaro. Ci vuole una legge elettorale. Se le forze politiche non dovessero arrivare ad un accordo che succede, si va comunque al voto? "Andare al voto con il Consultellum al Senato e l’Italicum corretto alla Camera significherebbe avere la certezza di nessuna maggioranza politica e due maggioranze diverse nei due rami del Parlamento. Se si vuole ridare la parola ai cittadini credo sia opportuno dotare il Paese di uno strumento in grado di farla arrivare questa voce e non di affogarla in un pantano. Ha fatto bene il Presidente della Repubblica a esortare il Parlamento a lavorare rapidamente per una legge omogenea tra Camera e Senato". Si allontana l’orizzonte del voto? "No. Quando sciogliere le Camere è una prerogativa del Capo dello Stato. Ma il carattere costituente della legislatura è stato oggettivamente travolto dal referendum. Ora si tratta di discutere su come chiudere la legislatura, non su come completarla". Il referendum ha travolto anche il Pd. La frattura sembra difficile da sanare. "Non credo che il referendum sia stato un colpo solo per il Pd, penso piuttosto che sia stata travolta la strategia che ha messo in campo il nascente centrosinistra fin dagli anni Novanta. L’idea di fondo era che attraverso la riforma del sistema delle istituzioni saremmo stati m grado di rispondere alla crisi della democrazia e costruire quindi i presupposti capaci di prosciugare l’antipolitica. Quel disegno si è infranto con il referendum, è una strada ormai preclusa. Quindi ne dobbiamo cercare altre". Quali? "Si dovrebbe partire, ad esempio, da una seria riflessione sulla questione sociale, sottovalutata negli ultimi venti anni". Anche durante il governo Renzi? "Il governo Renzi ha provato a dare dei segnali in controtendenza, penso al tema degli ottanta euro, alla ripresa salariale, agli interventi sulle pensioni e sulla povertà. Tutto questo però, è stato giocato dentro una gabbia che si è ristretta sempre di più, che è quella delle compatibilità europee che non abbiamo saputo mettere in discussione per troppi anni". Eppure non è bastato, il 4 dicembre è stato un voto anche contro il governo. Cosa non ha funzionato? "Mi ha convinto molto un passaggio del discorso di Renzi, quando ha detto che una collana non è fatta solo dalle perle ma anche dal filo. E il filo è una visione, è il modo in cui inserisci i provvedimenti in un quadro in cui si denunciano le ingiustizie e si impone una redistribuzione del reddito. Noi, forse, queste parole non le abbiamo scandite con sufficiente forza. Ma va anche detto che erano parole che mancavano nel nostro vocabolario da parecchio tempo". Il nuovo campo progressista lanciato da Giuliano Pisapia può servire per riavvicinare al centrosinistra fette di elettorato perdute in questi anni? "Credo che sia una iniziativa positiva a cui guardare con grande attenzione. Quello di cui c’è bisogno non sono nuove sigle politiche ma nuove idee su cui confrontarsi e se questa esperienza può dare un contributo in questo senso penso che possa essere utile per tutte le forze di centrosinistra, compresa la sinistra radicale". I giovani non votano Pd. Il ministro Poletti l’altro giorno ha detto che è un bene che molti se ne siano andati. Non è un buon inizio per riallacciare il dialogo. Non le sembra? "Un’uscita infelice, che lui stesso per primo ha corretto". Garantisti e politica: conta di più un errore che un avviso di garanzia di Carlo Nordio Il Messaggero, 21 dicembre 2016 Il proclama di Beppe Grillo che l’amministrazione Raggi non sarà fermata con gli avvisi di garanzia è di per sé una buona notizia. Poiché abbiamo sempre sostenuto che questa "informazione" è un atto dovuto che non significa condanna, e nemmeno imputazione, prendiamo atto con gioia che anche la roccaforte del giustizialismo pentastellato è finalmente crollata. È crollata davanti all’evidenza del diritto, perché la funzione dell’avviso è chiaramente deducibile dalla sua stessa formulazione letterale; ed è crollata, con meno dignità, davanti al timore che la Raggi venga eliminata, come tanti altri prima di lei, per via giudiziaria. Come tanti altri? Sì, come moltissimi altri. Perché questa indecorosa e maligna perversione della legge è uno strumento di cui la politica si serve da venticinque anni per sopprimere gli avversari. La vittima più illustre fu Berlusconi, al quale la cartolina fu spedita per via giornalistica, in barba al più elementare segreto istruttorio. E da allora la storia è continuata con un crescendo vergognoso, sì da devolvere di fatto alle Procure la sorte degli eletti e persino dei candidati. Questo scandalo, aggravato dalla sapiente gestione delle intercettazioni telefoniche, ha compromesso e condizionato il panorama istituzionale della cosiddetta seconda repubblica. La formula estromissiva era di un’ipocrisia petulante: la richiesta di un opportuno, responsabile e temporaneo "passo indietro" che in pratica significava la fine politica del destinatario. Ora il Pd annuncia che un’iscrizione nel registro degli Indagati non giustifica e non giustificherebbe il ritiro del sindaco di Milano o di Roma. Speriamo che sia una posizione definitiva, perché non è sempre stato così. La conversione garantista della sinistra ha alcuni padri autorevoli, come Macaluso e Pisapia, ma non è mai stata chiara né definitiva. Lo stesso irrigidimento sull’applicazione a Berlusconi della Legge Severino, che in quanto norma afflittiva non poteva essere retroattiva, ha dimostrato che spesso il Pd ha sacrificato le sue timide aspirazioni libertarie all’occasione propizia di un avversario da rimuovere. Nemmeno con Marino si è rinunciato al colpaccio. Il professore sarà stato un disastro di amministratore, ma è pur sempre stato eliminato, direttamente o meno, per via giudiziaria. Che ora il Pd difenda Sala, e di conseguenza la Raggi, che fu eletta per le ragioni che ora lo stesso Pd ripudia, suona almeno come paradosso. E infine i grillini. La loro fortuna, si dice, è stata costruita sull’incapacità degli altri. Se così fosse, non vi sarebbe nulla di strano né di scandaloso. In politica molte fortune sono state costruite raccattando i cocci altrui. Il fatto è che questi materiali sono stati aggregati con un unico collante: il vanto monopolistico di purezza etica e di verginità processuale. Ed ora che la costruzione rischia di franare, ci si affida a precarie e forse temporanee iniezioni di garantismo, giustificato dall’invocazione dell’ingenuità della neofita. Ma questo è un rischio persino peggiore. Perché, anche se la Raggi fosse coinvolta in un’indagine per colpe altrui, e ne uscisse prosciolta "per ingenuità", il messaggio finale sarebbe non meno grave, risolvendosi nella sostanziale ammissione di incapacità nella selezione dei collaboratori, e di inidoneità al compito assuntosi. A una Raggi "raggirata" resterebbe appiccicato il terribile rimprovero che Talleyrand (o Fouché) rivolse a Napoleone dopo l’esecuzione del duca di Enghien: "Maestà, questo è peggio di un crimine, è un errore". Sala torna in carica grazie alle toghe garantiste di Errico Novi Il Dubbio, 21 dicembre 2016 "Torno a fare il Sindaco - scrive - certo della mia innocenza verso un’accusa che non costituisce un condizionamento della mia attività". Inizia così il post col quale Beppe Sala annuncia ai milanesi il suo ritorno a palazzo Marino. Il sindaco torna. Giusto così. Beppe Sala sospende la sospensione, riassume pienamente il proprio incarico, appena quattro giorni dopo un passo laterale che il rivale Stefano Parisi aveva definito "isterico". Giudizio eccessivo. Anche perché determinante, per il primo cittadino, è stato l’incontro tra il suo difensore Salvatore Scuto e i magistrati della Procura generale. Dal colloquio che l’avvocato ha subito definito "proficuo" sono venute rassicurazioni. Non certo su un atteggiamento di particolare riguardo, da parte del procuratore generale Roberto Alfonso e del sostituto Felice Isnardi. Semplicemente si è fugato ogni timore che questi tempi supplementari dell’indagine Expo potessero assumere un tratto spettacolare. Nessuna ricerca di colpi a effetto, solo correttezza e rigoroso rispetto delle norme. Il che vuol dire di fatto che i magistrati mai si sogneranno di chiedere misure cautelari, dal momento che non ne ricorrono i presupposti. Certo si indagherà, ma solo sulle due ipotesi di reato già note e al di fuori di qualsiasi forzatura persecutoria che forse in prima battuta il sindaco aveva intravisto. Insolito in effetti è un incontro preliminare come quello avvenuto lunedì tra il legale e gli inquirenti. Non accade così spesso che la magistratura si mostri così tattile e premurosa con un indagato. Al di là della specifica richiesta di verifica della posizione presentata da Scuto, l’atteggiamento dei pm può essere considerato un gesto di responsabilità. Milano è una città importante, troppo: non semplicemente la capitale morale, ma una metropoli che corre anche a dispetto dei ritardi registrati nel resto del Paese. In una progressione che proprio nell’Expo ha trovato una spinta decisiva, anche per merito dell’attuale sindaco, all’epoca amministratore delegato della società che ha organizzato l’esposizione. I magistrati non vivono su Marte, queste cose le comprendono anche meglio di altri e si sono regolati di conseguenza. Hanno compreso che un’interruzione traumatica della sindacatura Sala avrebbe potuto compromettere quel circolo virtuoso, e hanno bilanciato l’obbligatorietà dell’azione penale con il massimo della prudenza nella gestione del fascicolo. Fino ad arrivare appunto al colloquio cordiale, distensivo e soprattutto chiarificatore con l’avvocato Scuto. C’è solo capacità di stare al mondo, nella disponibilità del dottor Alfonso? Intanto va segnalato che già nelle stesse ore in cui venerdì il sindaco comunicava al prefetto Alessandro Marangoni la propria autosospensione, lo stesso procuratore generale lasciava trapelare dal proprio ufficio la "piena disponibilità" a incontrare il primo cittadino. Addirittura l’auspicio di ascoltarne eventuali dichiarazioni spontanee. Quasi a voler rimediare subito all’effetto scaturito dall’iscrizione a registro degli indagati: la clamorosa autosospensione di Sala, appunto. Tanta attenzione si spiega forse anche con il contesto che è all’origine del nuovo approfondimento sulla gara principale di Expo. Che è legittimamente un contesto di diversa cultura della giurisdizione. La Procura della Repubblica guidata prima da Edmondo Bruti Liberati e poi da Francesco Greco aveva ritenuto che il reato specificamente attribuibile a Sala fosse penalmente di rilievo così impalpabile da non meritare il processo. I due pm citati appartengono alla stessa corrente, Magistratura democratica. Nel suo atteggiamento fin dall’inizio prudentissimo rispetto alla gestione preparatoria dell’Expo, l’ex capo della Procura aveva isolato deliberatamente il suo vice Alfredo Robledo. Il quale contestava al superiore proprio un eccesso di benevolenza rispetto ad alcuni fascicoli - non solo quelli relativi all’Expo. Da lì lo scontro ben noto, approdato con fragore al Csm poco meno di tre anni fa. Robledo è vicino a una corrente avversaria di Md, Magistratura indipendente. Come rivelato da Giovanni Jacobazzi sul Dubbio di sabato scorso, anche il procuratore generale Roberto Alfonso è di Mi, gruppo che rappresenta la cosiddetta "destra giudiziaria". È ritenuto in particolare sintonia con una delle figure più rappresentative di questa corrente, l’attuale componente del Csm Claudio Galoppi. Non vuol dire certo che Alfonso abbia deciso di avocare il fascicolo della "piastra Expo", per il quale la Procura della Repubblica aveva deciso per la richiesta di archiviazione, in virtù di una sorta di contrappunto infantile ai colleghi del gruppo di sinistra. Ci mancherebbe. Casomai nella vicenda dell’indagine archiviata e poi resuscitata, in cui per la prima volta è finito Beppe Sala, c’è una chiarissima rappresentazione di cosa succede quando due diverse culture della giurisdizione entrano in conflitto. Quella di Md è tenacemente garantista (anche se in proposito Silvio Berlusconi potrebbe muovere alcune contestazioni), quella di Magistratura indipendente è da una parte meno ideologica e più sindacale, dall’altra meno ispirata al garantismo. È qui che si consuma il cosiddetto scontro tra Procure, non certo in una guerra di dispetti personali. Ma sarà bene tenerlo presente, questo quadro così sfumato e meno appassionante del "romanzo tribunale" che le ombre di Bruti e Robledo ormai producono di default. Sarà bene ricordarsi che nelle scelte della magistratura è inevitabile anche ispirarsi a precise culture di riferimento. Non banalizzabili politicamente, non riducibili all’appartenenza ad aree politiche. Non c’è da cedere a semplicistiche analogie. C’è casomai da rassegnarsi all’idea che in un caso come quello di Sala tutte e due le scelte potevano avere i loro buoni motivi: quella di tenerlo fuori, operata dalla Procura della Repubblica, e quella della rigorosissima applicazione del dato formale, seguita dalla Procura generale. Pochi dietrologismi ma una spiegazione: le toghe hanno culture diverse al loro interno. E come in molti altri casi della vita pubblica, anche negli uffici giudiziari non si puoi mai dare nulla per scontato. Roma: Antigone "non mettere in discussione le politiche di risocializzazione dei detenuti" Ristretti Orizzonti, 21 dicembre 2016 Le imputazioni per direttore e agenti di Rebibbia rischiano di costituire un freno al recupero dei detenuti. "L’evasione di tre detenuti dal carcere romano di Rebibbia, pur essendo un fatto grave, non deve mettere in discussione politiche penitenziarie dirette alla responsabilizzazione e alla risocializzazione delle persone detenute. L’imputazione del reato di "colpa del custode" nei confronti del direttore, del comandante di reparto e di un certo numero di poliziotti penitenziari - come emerge da alcuni organi di stampa, può costituire un freno ingiusto nei confronti di chi è impegnato in attività dirette al recupero sociale dei detenuti. Il comandante, come sempre è stato riportato dagli organi di stampa, sarebbe stato accusato tra le altre cose di non aver accompagnato costantemente i detenuti nei loro spostamenti interni al carcere. Ma è lo stesso Consiglio d’Europa a raccomandare che la vita in carcere sia per quanto possibile simile a quella esterna e consenta spazi di libertà capaci di responsabilizzare le persone detenute. La cosiddetta sorveglianza dinamica, che non punta solamente al contenimento, ha fino a oggi avuto buoni risultati. Una simile imputazione penale nei confronti di chi ha ruoli di direzione e di gestione della sicurezza all’interno di un carcere rischia di inibirne una gestione aperta e rispettosa della dignità umana. A tal fine andrebbero riviste o cancellate quelle norme che prevedono una responsabilità colposa e non dolosa degli operatori penitenziari". Andrea Oleandri Ufficio Stampa Associazione Antigone Genova: "Creazioni al fresco", le borse alla moda nascono in carcere di Giulia Mietta Il Secolo XIX, 21 dicembre 2016 Ci sono cinque cancelli chiusi a doppia mandata tra il laboratorio dove prendono forma centinaia di borse e cartelle e il mondo fuori, dove questi prodotti saranno venduti. Eppure "Creazioni al fresco" è un passo concreto verso la libertà per sette donne, detenute nel carcere femminile di Pontedecimo, e coinvolte in un progetto per la qualificazione professionale portato avanti dall’associazione Sc’art. "In tre anni abbiamo creato due laboratori - spiega Etta Rapallo, responsabile dell’associazione - ottenuto uno spazio espositivo nel centro storico, coinvolto 45 donne con trattamenti di borsa lavoro, ne abbiamo assunte tre, e complessivamente abbiamo realizzato e venduto 5.000 tra borse e accessori moda e 2.000 oggetti d’arredo". L’idea alla base di "Creazioni al fresco" è quella di unire il concetto di reinserimento sociale a quello di riciclo creativo. In che modo? Realtà come il museo di Storia naturale, il Festival della Scienza, Coop e altre donano al laboratorio i propri teli pubblicitari in plastica che altrimenti andrebbero distrutti. Con queste stoffe le detenute di Pontedecimo realizzano diversi manufatti, dai porta indumenti ai trasportini per il vino, dalle pochette alle tovagliette all’americana. Un processo simile a quello del brand svizzero Freitag che, riciclando i teloni dei camion trasformandoli in zaini e tracolle, ha creato un impero. "Prima di entrare qui dentro non sapevo fare niente - dice Yesenia, 24 anni. Adesso vedo i prodotti finiti e sono fiera di me", "Siamo in carcere e quindi siamo considerate persone negative - aggiunge Sanela - ma con questo progetto impariamo qualcosa che potremo a nostra volta insegnare ad altri, e questo è un buon modo per rimettersi in pista". Pure Juliet lavora duro per ritrovare il proprio posto, una volta "fuori": "Mi è sempre piaciuto cucire, adesso ho capito che potrà essere un vero impiego". Il laboratorio Creazioni al fresco, una trentina di metri quadri in un’ala del penitenziario, è stato inaugurato pochi mesi fa. "La nostra speranza è di poter organizzare altre attività simili" dice Isabella De Gennaro, direttrice del carcere che, oltre al laboratorio tessile, ospita un corso di teatro, incontri sulla genitorialità, classi scolastiche fino alle superiori e mensa e lavanderia sono gestite dalle stesse detenute. Fermo (Ap): il "Buono dentro", ecco i biscotti realizzati dai detenuti corrierenews.it, 21 dicembre 2016 Si è concluso nei giorni scorsi nel carcere di Fermo il corso di formazione, primo nelle Marche, per aiuto pasticciere. Sabato scorso, davanti al prefetto Mara Di Lullo, al direttore del carcere Eleonora Consoli, al sindaco di Fermo Paolo Calcinaro, al vice sindaco di Montegiorgio Michele Ortenzi, al responsabile dell’area trattamentale Nicola Arbusti, al rappresentante della Caritas Stefano Castagna, ai vertici della Polizia penitenziaria e ai componenti del Laboratorio Piceno della Dieta Mediterranea è stato presentato il "Buono dentro", una serie di biscotti che un gruppo di detenuti ha realizzato dopo aver seguito il corso tenuto dal pasticciere Paolo Totò e dagli chef Benito Ricci e Sandro Pazzaglia del Laboratorio Piceno della Dieta Mediterranea. Due mesi di impegno durante i quali, oltre all’attività in cucina, sono state tenute anche lezioni teoriche proposte dal dietologo Paolo Foglini. Già lo scorso anno i mesi di ottobre e novembre avevano visto la partecipazione dei detenuti ad un altro corso, quello per aiuto-cuoco. Entrambi i progetti avanzati dal Laboratorio Piceno della Dieta Mediterranea sono stati sposati dai vertice del carcere e sostenuti dalla Fondazione Caritas in Veritate. La piccola produzione - sessanta sacchetti distribuiti come omaggio alle autorità locali - è stata possibile grazie ad una rete di solidarietà promossa dal Laboratorio della Dieta Mediterranea: la Distilleria Varnelli Spa ha messo a disposizione prodotti che hanno arricchito l’impasto, Umberto Bachetti di pizza.it ha donato il forno per la cottura, il Rotary Club di Fermo ha appoggiato l’iniziativa, il Comune di Montegiorgio ha offerto le etichette, il Forno Luciani di Fermo ha provveduto al trasporto del forno, la ditta Andolfi & C. di Sant’Elpidio a Mare ha donato gli involucri. "Un segno di grande civismo", ha commentato il prefetto Di Lullo. Il rappresentante dello Stato ha inoltre rimarcato il concetto di rieducazione, invitando i detenuti a guardare al futuro e mettersi subito nell’ottica di una svolta della propria vita. Soddisfazione è stata espressa dalla direttrice Consoli. Per i carcerati, il loro portavoce ha raccontato dell’importanza dei corsi anche sotto un profilo di acquisizioni professionali, augurandosi che si possa continuare su questa linea. Nel biglietto augurale allegato al sacchetto - dove campeggia la riproduzione dell’Adorazione dei Pastori del Rubens - si legge: "Il Buono dentro è il dolce che i detenuti del carcere di Fermo, terminato il corso per aiuto pasticciere, offrono ai rappresentanti della Comunità del Fermano". Milano: quei regali di design che arrivano dalle carceri di Marta Calcagno Baldini Il Giornale, 21 dicembre 2016 In viale dei Mille un consorzio mette in vendita le creazioni dei detenuti, dalla moda ai vini. Siamo in viale dei Mille, al numero 1, zona piazza Dateo: 5 vetrine, per uno spazio di quasi 200mq. In esposizione articoli di abbigliamento come sciarpe, magliette, mantelle, qualche abito e cappellini, oltre ad accessori vari come borsette, agende, quaderni e anche mobili come comodini, vasi e altri oggetti di falegnameria. Articoli con un design giovane e moderno, che attirano subito anche per i nomi che si leggono sui cartellini: "Borseggi" è la marca delle pochette lavorate con motivi floreali o in stile etnico (25 euro), "Gatti Galeotti" sulle T-Shirt che raffigurano due mici al chiaro di luna (15 euro a maniche corte, 20 a maniche lunghe): non resta che aprire la porta di vetro e entrare per capire meglio. Siamo arrivati nel "ConsorzioVialedeiMille", realtà unica in Italia, nata nel 2015 per riunire 5 cooperative sociali che operano nei carceri milanesi di San Vittore, Opera, Bollate e Beccaria: "Il Comune ci dà lo spazio gratuitamente racconta subito Carlo Bussetti, che tutti i giorni è responsabile in negozio e lo tiene aperto. In questo periodo prenatalizio continuo a chiedere di mandare nuovi prodotti: i dolci finiscono subito, come anche le piante, i vestiti e gli accessori. Accettiamo anche, in queste settimane, qualche prodotto ospite, ovvero che viene da carceri non milanesi, come il vino Sentenza, valtellinese". Una stanza per le riunioni, due per esporre e vendere gli articoli, e, adiacente, B4, il Call Center di Bollate che vende energia, luce e gas: "Si tratta di persone che seguono l’articolo 31: possono uscire di giorno, vengono qui a lavorare e poi la sera tornano". In carcere. Lo stesso Carlo è uscito dopo 7 anni: "Il teatro mi ha salvato. Michelina Capato responsabile di E.S.T.I.A, la cooperativa di Bollate che organizza compagnie teatrali e laboratori di falegnameria, manutenzione audio, elettrica, elettronica e insomma tutto ciò che riguarda il teatro oltre alla recitazione-, lei mi ha aperto gli occhi. Mi ha fatto capire, mi ha fatto rendere conto che mi stavo buttando via". Grazie al percorso di reinserimento, Bussetti ora ha un lavoro, e si sposerà a breve. Tra la tipografia di Bollate, 5 detenuti che fabbricano i quaderni, le agende e i blocchi con copertine colorate e fantasiose, più Alice e Borseggi di San Vittore e Opera, a cui lavorano circa 30 carcerati ciascuna tra donne e uomini per produrre le borsette e i vestiti o le sciarpe di lana, e la falegnameria di Estia, Bollate, e Opera in Fiore, cooperativa che si occupa di giardinaggio, frutta e verdura, sono almeno un centinaio nel totale i detenuti che stanno realizzando senza sosta gli oggetti che si possono trovare alla Cooperativa. Sondrio: carcere e celiachia, la soluzione è in un progetto "gluten free" di Nadia Toppino storiedicibo.it, 21 dicembre 2016 Cibo e carcere, cibo e detenuti, cibo dietro le sbarre. I casi da raccontare sono molteplici, eccellenze alimentari prodotte nelle carceri italiane, come attività formativa e riabilitativa dei detenuti, e come formazione per fornire un futuro lavorativo, o per lo meno una forte competenza professionale da far valere una volta fuori dal carcere, al termine del periodo di pena. Uno dei casi, forse il più recente, nato da poco da menti non novelline in questo, è quello del carcere di Sondrio, una casa circondariale situata in pieno centro della cittadina valtellinese, e seguita da poco meno di due anni dalla direttrice Stefania Mussio, arrivata dalla direzione del Carcere di Lodi. Incontro la Dottoressa Mussio nei suoi ufficio di Sondrio a fine novembre, un incontro formale programmato dopo alcune chiacchiere al telefono e via mail, lei per spiegare i progetti in corso e le tempistiche, io per dettagliare l’idea delle "Storie di cibo dietro le sbarre" come filone di racconti nazionali su questa tematica. Vengo accolta a Sondrio in modo "pimpante" ed energico, come poi in effetti si rileva la personalità della direttrice e inevitabilmente di chi collabora con lei. Una donna tenace, decisa, un pozzo di idee che mi racconta, mi illustra e mi presenta con il dettaglio degno di un business plan, e con l’energia propria di un caterpillar! Decisamente questa donna ha un modo di fare che mi piace, e intravedo già delle belle collaborazioni di eventi "di cibo dietro le sbarre" e degli interessanti scambi di idee "culinarie". Ma ritorniamo al motivo dell’incontro, perché giustamente non sono andata a Sondrio solo per una scorpacciata di pizzoccheri. La Dottoressa Mussio, che dopo i preamboli iniziali inizio a chiamare Stefania, mi racconta dell’iter che ha portato alla decisione di un laboratorio di produzione di pasta all’interno del carcere. "Il progetto ha preso il via tempo fa, al mio arrivo qui da Lodi, da dove ho portato l’esperienza dell’importanza di attività culinarie per i detenuti. Come sostiene anche il nostro comandante di Polizia Penitenziaria Luca Montagna di Sondrio, quando fai qualcosa legata ad un gusto non la dimentichi, ti entra dentro". E ha ragione, è per questo che ho sempre puntato alla produzione di qualcosa che diffondesse un buon profumo e avesse un buon sapore, tocca nel profondo i detenuti e chiunque ci lavori". Mi parla del progetto "A mani libere" promosso dalla cooperativa Ippogrifo (alla presidenza Paolo Pomi, e referente del progetto Alberto Fabani), con l’intento di impiegare lo spazio ristrutturato all’interno del carcere con un’attività appropriata, con un laboratorio manuale di produzione di pasta, con un’attenzione particolare al problema della celiachia. Lo scorso settembre (2016) c’è stata la posa dei macchinari e la creazione almeno logistica di un vero pastificio, grazie anche alla collaborazione e all’intervento di alcuni attori istituzionali e privati: la Confartigianato, la Fondazione Pro Valtellina e la Bim Adda. E da qui il discorso legato alla celiachia ha fatto il resto, creando contatti e condivisioni ben oltre i confini provinciali, fino ad arrivare all’Associazione Italiana Celiachia (AIC), all’azienda La Veronese che fornirà la materia prima per la produzione di pasta senza glutine, e allo chef Marcello Ferrarini, massimo esperto di cucina senza glutine dell’AIC stessa. Sabato 17 dicembre il ritrovo di tutti i soggetti coinvolti, per il "taglio del nastro" e l’avvio delle attività che, come ha spiegato il referente di Ippogrifo Fabiani: "prevedono momenti di formazione per imparare a produrre la pasta senza glutine. A partire dai primi mesi del 2017 si pensa di avviare la commercializzazione del prodotto della startup imprenditoriale-sociale. All’inizio saranno coinvolti 4-5 detenuti per la formazione, uno sarà assunto e poi si valuterà". Sono tutti concordi, e anche io credo sia il punto di forza dell’iniziativa, nel considerare la doppia valenza sociale del progetto: da un lato si offre ai detenuti della casa circondariale di Sondrio l’opportunità di apprendere un lavoro e avere delle competenze da spendere in futuro; dall’altro metterà a disposizione delle persone celiache e non solo prodotti di qualità. Perciò un grande progetto "gluten free" dal carcere alla tavola con un laboratorio artigianale che trasforma due limiti, la detenzione e la celiachia, in opportunità di rivalsa e inclusione. Significative anche le parole dello chef Marcello Ferrarini che, celiaco lui stesso, conosce bene i limiti alimentari e promuove ancora meglio la necessità di mangiare alimenti sicuri, ma che siano soprattutto di qualità: "Quello che, come la celiachia, potrebbe essere considerato un disagio, con autostima e lungimiranza si può trasformare in opportunità così come è stato per me! Io cerco di creare un piatto buono e condivisibile anche da chi mangia insieme ad un celiaco ma celiaco non è. La tavola è un aspetto centrale nella nostra cultura e quando ci sediamo a tavola lo facciamo per condividere. Se a questo aggiungiamo anche l’aspetto di crescita e lavoro che si offre ai detenuti, il cerchio si chiude alla perfezione". E proprio per valorizzare l’esperienza dei detenuti e la loro creatività, nelle intenzioni dello chef Ferrarini c’è l’idea di accompagnare la produzione della pasta senza glutine allo studio di alcune ricette, ispirate alle esigenze religiose e culturali dei detenuti stessi. Sono contenta di aver vissuto in prima persona questa bella esperienza, ho fatto appena in tempo a vedere il laboratorio vuoto, pronto per l’utilizzo, ed ecco l’inaugurazione e l’avvio della produzione! Nella mia sosta a Sondrio ho voluto fare anche due chiacchiere con alcuni detenuti. Uno in particolare, giovanissimo, mi è stato indicato dalla direttrice come il più appassionato di cucina, quello che anche nelle varie situazioni "ricreative" o istituzionali segue la cucina e la piccola mensa: Daniel M. 25 anni, originario di queste valli. Mi racconta della sua esperienza lavorativa prima del periodo detentivo: "a 17 anni lavoravo a Saint Mortiz come cameriere e aiuto in cucina in un grande hotel, dove ho conosciuto uno chef valtellinese che mi ha mostrato tutta la sua esperienza, e mi ha messo le basi. Il mio sogno è di prendere un diploma in questo settore, lavorare in cucina, perché lo ritengo uno dei settori più appassionanti, è una cosa infinita, non si finisce mai di imparare e di sperimentare". Ora anche Daniel avrà modo di sperimentare e sperimentarsi nella produzione di paste e ricette e chissà che ne esca un nuovo grande chef specializzato in celiachia. Da parte mia un augurio speciale, a lui, ai suoi "compagni di viaggio" e a tutti gli attori coinvolti, prima tra tutti la direttrice Stefania Mussio che ci mette anima e cuore, nel desiderio condivisibile di diffondere per le stanze della casa circondariale il profumo di pasta fresca e di prodotti appena sfornati. A breve ritornerò alla "base di Sondrio" sia per assaggiare di persona i prodotti sia per organizzare un corso di cucina un po’ fuori dalle righe, anzi, "fuori dalle sbarre". Lo chef è già pronto, io pure, la direttrice avvisata, insomma… a presto. Napoli: ispezione del Partito Radicale presso il carcere femminile di Pozzuoli vocedinapoli.it, 21 dicembre 2016 Una delegazione del Partito Radicale, guidata dall’associazione Pennabianca, si è recata presso il carcere femminile di Pozzuoli per un’ispezione. Il Partito Radicale e l’associazione Pennabianca hanno effettuato, venerdì 16 dicembre, un’ispezione presso il carcere femminile di Pozzuoli. L’iniziativa che ha visto arrivare presso la casa circondariale una delegazione radicale, rientra nell’attività politica promossa da sempre dal partito: la battaglia per una riforma strutturale della giustizia e il miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti. "Come associazione Pennabianca abbiamo fatto la nostra prima ispezione in un carcere per sostenere le iniziative del Partito Radicale. Abbiamo scelto la casa circondariale femminile di Pozzuoli, perché le detenute qui recluse, quando c’è stata la marcia a Roma per l’amnistia, hanno messo in atto una manifestazione pacifica e civile. Quest’atto ha un significato simbolico come se le donne che sono qui avessero partecipato a quell’evento politico", questo ha dichiarato Gennaro Romano, Segretario dell’associazione del Partito Radicale Pennabianca. La situazione nel carcere, secondo quanto riportato dal resoconto prodotto dall’associazione dopo l’ispezione, è molto positiva rispetto ad altre realtà carcerarie italiane. L’aspetto principale è relativo "Al forte senso di comunità penitenziaria che si riscontra dal rapporto che sussiste tra i dirigenti, le agenti e le detenute", ha dichiarato Antonella Casu, tesoriera dell’associazione costituente del Partito Radicale, Non c’è pace senza giustizia. Continuano dunque le iniziative su scala nazionale del partito che persegue nei suoi progetti politici su di un duplice percorso. Il primo è quello relativo al posizionamento, al centro dell’agenda pubblica e mediatica, delle questioni relative alla giustizia, al diritto umano alla conoscenza e di un’unione federale europea. Il secondo rappresenta l’obiettivo più importante: totalizzare un numero di 3mila iscritti entro il 2017 e di altri 3mila per il 2018. Senza il raggiungimento di questo risultato il Partito Radicale rischia la morte. E dopo non ci sarà più nessuno che potrà prenderne il testimone e lottare per questi temi fondamentali per lo sviluppo della nostra democrazia. Sulmona (Aq): era un cosiddetto "furbetto del cartellino", ma ieri si è impiccato di Francesco Straface Il Dubbio, 21 dicembre 2016 Si è conclusa in tragedia la paradossale vicenda di Luigi Paolini, 60enne dipendente del comune di Sulmona, che si è tolto la vita nella notte tra lunedì e martedì. Inserito tra i "furbetti del cartellino", in realtà non era mai assente e l’unica contestazione che gli è stata mossa dalla Guardia di Finanza era legata al fatto che avrebbe timbrato il cartellino anche al posto della dirigente, responsabile dell’ufficio. "Ligio al dovere e sempre presente a lavoro, non ha retto alla vergogna", sottolinea il suo avvocato, Catia Puglielli. "Era la nota stonata di questa inchiesta. Quando è uscito il suo nome sui giornali si è sentito osservato, anche perché Sulmona è pur sempre un piccolo centro. Stava vivendo male l’inchiesta, fin dalla notifica dei primi atti. Non siamo neppure riusciti a tranquillizzarlo". Le contestazioni non erano certo eclatanti. La Corte dei Conti ha quantificato un danno erariale di appena 55 euro, a cui però si erano aggiunti altri 15mila euro per danno d’immagine, richiesti dai giudici contabili a tutti i primi 25 dipendenti del Comune raggiunti dai provvedimenti. Tra loro anche l’istruttore direttivo amministrativo, condannata a pagare la stessa cifra dell’operatore che avrebbe timbrato per lei. Complessivamente 49 i destinatari di un avviso di garanzia, compresi cinque lavoratori delle cooperative. I movimenti dei presunti "furbetti del cartellino", dentro e fuori il Comune, sono stati seguiti per mesi dalla Finanza, anche con il supporto di immagini ricavate montando telecamere attorno al perimetro della sede comunale. Paolini lavorava presso l’Ufficio statistica. Lascia l’attuale compagna e i due figli che la donna aveva avuto da un precedente matrimonio. È stato proprio uno di loro a ritrovare in garage il corpo dell’uomo, impiccato, nella mattinata di martedì. "La famiglia prova grandissimo dolore e rabbia e spera che almeno adesso possa attenuarsi il clamore mediatico", ha aggiunto l’avvocato Puglielli. L’inchiesta coordinata dalla Procura di Sulmona è partita qualche mese fa e ha scatenato una ferocissima campagna mediatica. "Stavamo vagliando la posizione giudiziaria di Luigi - conclude il legale abruzzese. Dopo avere appreso delle indagini dai giornali già da tempo, una settimana fa è arrivata la comunicazione dal Tribunale". Paolini non ha retto alle pressioni e ha deciso di farla finita. Ma una vita non può valere 55 euro e la sua morte è destinata perlomeno a fare riflettere. Prato: Uil-Pa; al carcere della Dogaia incendio in cella e rissa tra detenuti La Nazione, 21 dicembre 2016 Pochi giorni fa un incendio in cella. Da anni il carcere è sovraffollato e il personale carente. Ancora problemi al carcere della Dogaia. Pochi giorni fa un principio d’incendio dopo che un detenuto aveva appiccato il fuoco alla sua cella, intossicando alcuni agenti. Ieri, lunedì, attorno alle 14 una rissa è scoppiata tra alcuni detenuti di nazionalità nigeriana e marocchina, con armi rudimentali in pugno. Nel sedare la rissa quattro agenti di polizia penitenziaria sono stati aggrediti da alcuni detenuti e sono dunque finiti al pronto soccorso (prognosi di quattro giorni ciascuno). "Ai colleghi coinvolti nella vicenda, va tutta la nostra solidarietà e vicinanza auspicando loro una pronta guarigione - dice Il coordinatore territoriale della Uil-pa Polizia Penitenziaria Massimo Lavermicocca. L’istituto pratese, dopo l’attuazione delle misure della sorveglianza dinamica per gli effetti della sentenza Torreggiani, sono ritenute ormai insufficienti e inadeguate a fronteggiare una popolazione detenuta in costante aumento, con una presenza di circa 700 detenuti, infatti nelle sezioni detentive sono aumentati gli episodi di violenza. Di questi il 50% risulta essere di popolazione extracomunitaria, nonché la presenza di detenuti psichiatrici per la chiusura degli Opg". "Il personale di polizia penitenziaria - continua - risulta carente con una forza di circa 220 agenti a fronte dei 345 previsti con una carenza di 125 uomini. Le difficoltà aumentano se consideriamo che anche l’area educativa soffre di una carenza di organico del 50% - risultano in servizio infatti quattro educatori rispetto agli otto previsti - con inevitabile aumento dei carichi di lavoro diventati ormai insostenibili. La Uil Polizia Penitenziaria da tempo denuncia il grave sovraffollamento dell’istituto pratese che rischia di diventare una polveriera, chiede quindi di intervenire con urgenza per ridurre la presenza dei detenuti". Roma: "A Natale un panettone galeotto", iniziativa del movimento Fino a prova contraria Il Dubbio, 21 dicembre 2016 "A Natale un panettone galeotto", s’intitola così l’iniziativa che svolgerà a Roma, organizzata dal movimento "Fino a prova contraria - Until proven guilty" (finoaprovacontraria.it) per una giustizia giusta ed efficiente. A partire dalle ore 18.30, presso la Sala degli Specchi di Palazzo Fiano, in Piazza San Lorenzo in Lucina al civico 4, si confronteranno sul tema del lavoro dietro le sbarre l’ex sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore, il presidente della VII commissione del Csm Claudio Galoppi e Nicola Boscoletto, presidente del consorzio sociale Giotto, la realtà che realizza nel carcere di Padova il prelibato panettone premiato dal Gambero Rosso. Il confronto sarà moderato da Annalisa Chirico, giornalista e presidente di "Fino a prova contraria". "A Natale dichiara Annalisa Chirico vogliamo rivolgere un pensiero a chi trascorrerà le festività da recluso, lontano dalla propria famiglia. L’emergenza del sovraffollamento carcerario non è alle nostre spalle, così come l’uso abnorme della carcerazione preventiva non è un problema risolto. Il 35% dei detenuti attendono un giudizio definitivo, quasi 10mila non hanno ottenuto neppure una sentenza di primo grado. Per il lavoro in carcere, che restituisce dignità e riduce la recidiva, l’Italia è ancora fanalino di coda in Europa". Durante l’evento ci sarà un brindisi e la degustazione del delizioso panettone padovano, modello di una possibile integrazione tra lavoro e detenzione carceraria. Ferrara: l’arte dei detenuti esce dal carcere, una mostra nella Bottega della Cattedrale estense.com, 21 dicembre 2016 I neo artigiani mostrano e vendono le loro creazioni nella Bottega della Cattedrale. Sei detenuti del carcere di Ferrara, aiutati da tre artigiani della città estense, sono gli artefici delle creazioni realizzate negli ultimi mesi in un laboratorio interno alla Casa circondariale di via Arginone e ora in mostra nella Bottega della Cattedrale di via Adelardi, 9. Giovanni di Bono, Edin Ticic, Claudio Luciani, Mohammed Alì, Graziano Navigli e Francesco Micciché (questi i nomi dei "detenuti artigiani") da alcuni anni, almeno un’ora al giorno, sono impegnati nell’officina artigianale del carcere ferrarese, dove realizzano creazioni in legno, rame e altri materiali di recupero. Fino al prossimo 6 gennaio nella Bottega di via Adelardi sono in vendita alcune decine di oggetti, tra cui portafoto, specchi, anelli, collane e bracciali, taccuini e porta-tabacco, oltre a stupende barche a vela realizzate a mano. Lunedì mattina si è tenuta la presentazione dell’esposizione "Arte in libertà" organizzata dal cappellano del carcere monsignor Antonio Bentivoglio e dai volontari dell’associazione "Noi per Loro". Durante l’inaugurazione della mostra, che ha il patrocinio del Comune di Ferrara, erano presenti il direttore del carcere Paolo Malato, la comandante di Reparto Annalisa Gadaleta, l’assessore Chiara Sapigni, il vicesindaco Massimo Maisto, la consigliere comunale Ilaria Baraldi, Monica Tansini, collaboratrice del garante dei detenuti, Loredana Onofri insieme ad altre educatrici della casa circondariale, e i tre artigiani che da un mese aiutano i detenuti nel laboratorio, Alessia Gamberini, Franco Antolini e Marco Pigozzi. Come ha spiegato una delle organizzatrici, la volontaria Rosa, "l’idea della mostra è nata dopo che i detenuti hanno donato al direttore e alla comandante alcune loro creazioni". Mentre la Gadaleta ha spiegato come "in questi anni l’arte artigianale sia stata tramandata con grande zelo, rinnovando anche le tecniche e gli strumenti", il direttore Malato ha elogiato le "potenzialità artistiche dei detenuti, non etichettabili solamente col crimine commesso", e l’assessore Sapigni ha parlato di "un progetto importante, che permette anche ai detenuti un riconoscimento economico e una prospettiva per il futuro". Frosinone: convegno sul tema "Giustizia, solidarietà e redenzione dell’uomo detenuto" di Martina Apruzzese ciociariaoggi.it, 21 dicembre 2016 "Lei è stato condannato all’ergastolo nel 1927, dopo 40 anni si sente riabilitato?". Red: "Riabilitato? Dunque mi lasci pensare... a dire il vero io non so cosa significa questa parola". Membro della Commissione: "Beh, vuol dire essere pronto a rientrare nella società e contribuire…". Red: "Lo so cosa significa per lei figliolo, ma per me è solo una parola vuota, una parola inventata dai politici, in modo che i giovani come lei possano indossare un vestito o la cravatta e avere un lavoro". Questo dialogo è tratto da una scena de "Le ali della libertà", e riassume il senso dell’incontro di oggi nella Casa Circondariale di Frosinone. Quello che è emerso dal convegno a favore della popolazione detenuta, dal tema "Giustizia, solidarietà e redenzione dell’uomo detenuto" è stato, infatti, che siamo di fronte nel nostro paese ad un problema sociale gravissimo. Quello della riabilitazione dei detenuti che hanno scontato la loro pena e che tornano nel mondo senza la minima guida o aiuto nel reinserimento sociale. Il professore Fabio Pietrangeli della facoltà di Lettere dell’Università Tor Vergata parla del suo lavoro all’interno del carcere di Rebibbia. Un progetto importante e molto bello, si. Ma che senso ha se poi in Italia abbiamo delle leggi per cui ad esempio una persona che si laurea in legge all’interno del carcere non può accedere all’esame di stato? La sensazione al termine dei vari interventi di oggi è stata quella di aver portato alla luce un problema gravissimo, pur senza essere riusciti a trovarvi delle soluzioni immediate. Come lo stesso direttore del carcere di Frosinone, Alessandro Cocco, ha fatto notare: "È assurdo come ancora nel 2016 ci si trovi di fronte a un problema sociale di una tale gravità. Non ci sono programmi governativi di reinserimento sociale, e l’unica speranza per questi ragazzi, specie quelli che si ritrovano dopo tanti anni a tornare nel mondo senza aver più una famiglia, sono le associazioni e i progetti dei volontari". Uno dei progetti di cui parla il dottor Cocco è "Sempre Persona" di cui Alfonso Di Nicola è coordinatore. La testimonianza del suo amore che nulla chiede e tutto dá è molto toccante. Il suo progetto risponde proprio a quel bisogno di aiuto per i detenuti che si svolge al di fuori delle carceri. Il progetto prende il via dall’amicizia di penna che Alfonso instaura con un detenuto di Rebibbia, Giorgio. Questi gli chiede di andare a trovare sua madre, di portarle un bacio da parte sua. Dalla reazione della donna il focolarino capisce che queste persone hanno bisogno di molto di più. Nel carcere di via Cerreto questa mattina c’era anche Patrizio, ex detenuto, che ha raccontato come il Progetto Sempre Persona gli abbia salvato la vita: "Sono uscito dal carcere dopo una lunga detenzione, i miei genitori erano morti. Dentro sono stato fortunato, stavo bene. I veri problemi sono iniziati una volta fuori. Per i primi sette mesi ho vissuto come un barbone. Nonostante avessi scontato la mia pena, ero un rifiuto della società. Poi ho incontrato Alfonso, che mi ha spiegato come amare ed aiutare il prossimo, come fare del bene. Da allora la mia vita è cambiata e ogni giorno mi riserba delle sorprese. Anche stare qui oggi è una sorpresa - conclude - avevo giurato a me stesso che non avrei mai più messo piede in un carcere". Dopo il convegno (a cui hanno partecipato anche il vicepresidente di Gruppo Idee e presidente dei Bisonti rugby, Germana De Angelis, il sindaco di Boville dott. Piero Fabrizi, l’Assessore alla cultura di Frosinone Fabrizi, il presidente del Rotary Club e molti altri), il momento che tutti i detenuti aspettavano, il concerto della cantante Ilaria e del suo gruppo, che ha avuto l’onore di essere accompagnata al pianoforte da Beppe Carletti, leader dei Nomadi e da Massimo Vecchi, bassista e cantante della stessa band. Beppe Carletti è in tour in vari carceri italiane, ma anche per lui quella di oggi è stata una giornata diversa: "Tra tutte le carceri che ho visitato finora, qui a Frosinone per la prima volta ho assistito a un convegno così interessante e su un tema importante come questo prima della nostra esibizione. Così dovrebbero essere tutti gli eventi". San Gimignano (Si): detenuti sul palco per ridere di vita vissuta e trovare nuovi stimoli sienafree.it, 21 dicembre 2016 I detenuti della Casa di Reclusione di Ranza, San Gimignano, per una sera attori di teatro con lo spettacolo "Ciak si ride". Sul palcoscenico per ridere della vita. I detenuti della Casa di Reclusione di Ranza, San Gimignano (Si) attori per una sera con lo spettacolo "Ciak si ride", evento finale del laboratorio di espressività creativa condotto dal funzionario giuridico pedagogico Emanuela Cimmino al quale hanno partecipato, da ottobre, tredici detenuti dell’Alta Sicurezza. Una performance, che si è tenuta il 14 dicembre, che ha raggiunto l’obiettivo prefisso, quello di fare ridere il pubblico, e non solo. Infatti non hanno riso soltanto gli spettatori ma tutti quanti, in un clima dove ognuno si è sentito a proprio agio a partire dagli attori. "I protagonisti di Ciak si ride - commenta Emanuela Cimmino, che ha svolto il ruolo di regista e di direttore artistico - hanno rappresentato in chiave ironica le vicissitudini quotidiane con le varie sfaccettature. Dal tema della famiglia, rivisitando la natività ai tempi della crisi economica, a quella di un disguido telefonico chiamando un taxi che condurrà il cliente in una clinica di pazzi. Ma c’era anche la scuola, una classe i cui alunni facilmente si distraggono e prendono l’insegnamento alla leggera mentre un tema si è svolto in una stazione ferroviaria. Qui si trovavano un milanese e un napoletano ad attendere il treno che li avrebbe portati alle loro rispettive famiglie per le festività di Natale. Nella sala d’attesa discutono animatamente delle differenze tra Nord e Sud, ma alla fine si salutano affettuosamente quando arrivano i treni che li porteranno alle loro rispettive destinazioni. E ovviamente è stato trattato anche il Natale in carcere, con lo sketch "La cella", contesto nel quale gli attori hanno rappresentato se stessi". Si è trattato di pezzi di storia vissuta, introdotti da brani musicali per uno spettacolo che alla fine ha avuto l’effetto sorpresa per il numeroso pubblico con un balletto gospel con tanto di cappello rosso e stivali con i pompon. Testi e dialoghi degli episodi sono stati scritti dal funzionario giuridico pedagogico Emanuela Cimmino con la collaborazione degli stessi detenuti. "È stato un lavoro - conclude Cimmino - che ha permesso di esprimersi in maniera creativa, di inviare messaggi ridendo, di rompere gli schemi, e riaffermare se stessi". Castelvetrano (Tp): il Rotaract dona libri ed indumenti ai detenuti della Casa circondariale castelvetranonews.it, 21 dicembre 2016 In data 19 dicembre, il Rotaract Club di Castelvetrano Valle del Belice ha espletato, in collaborazione con l’Amministrazione carceraria, l’attività "Doniamo un libro", che trae origine dal Progetto di Service Nazionale "Sulla scia delle ali della libertà", promosso dal Distretto Rotaract 2120. La donazione dei libri a favore dei detenuti, vista in un’ottica di sensibilizzazione socio-educativa, ha avuto come obiettivo la risocializzazione e la rieducazione degli stessi. Il trattamento penitenziario italiano ha lo scopo di rieducare i soggetti e restituirli alla società, emendati del carattere di devianza e nella prospettiva di una reintegrazione sociale attraverso il contatto con il mondo esterno, derivante anche dalla semplice lettura di un libro. Il Club, da sempre illuminista pioniere, ha altresì provveduto a donare, nel medesimo Istituto Penitenziario, indumenti e peluche per i bambini dei detenuti, da elargire in occasione dei colloqui o dei permessi premio autorizzati. Il Presidente del Club, nella persona di Francesco Giammarinaro, si è mostrato molto soddisfatto della buona riuscita dell’attività, auspicando che la stessa possa proseguire anche oltre il suo anno sociale. Egli ha affermato "l’importanza della condivisione non deve conoscere alcun confine; l’umanità, in ogni sua espressione, va salvaguardata dalle radici. La riflessione, derivata dal confronto tra i soci partecipanti, è stata che il detenuto non è soltanto il crimine che ha commesso, ma molto di più: oltre il reato, c’è un individuo con un proprio patrimonio emotivo, che necessita di stimoli ed incentivi positivi per inserirsi di nuovo nella società in modo costruttivo". Ravenna: le istituzioni in visita in carcere per la colazione-brunch realizzata dai detenuti ravenna24ore.it, 21 dicembre 2016 L’appuntamento è il risultato di un laboratorio di reinserimento. Sono stati impegnati in due intensi giorni di attività gastronomiche i detenuti della Casa Circondariale di Ravenna, attività che hanno portato all’allestimento della colazione - brunch che si è tenuta la scorsa domenica 18 dicembre dalle 9,30 alle 13. L’appuntamento pre-natalizio, a cui hanno partecipato le associazioni che sostengono in maniera importante le varie attività dell’Istituto e tutte le autorità cittadine - fra cui il sindaco De Pascale, il prefetto Russo, l’assessora Morigi, il comandante provinciale dei Carabinieri Cagnazzo, il comandante provinciale della Guardia di Finanza Fiducia, il presidente dell’Autorità Portuale Rossi, il vescovo Ghizzoni, il presidente Rotary Club Ravenna Galla Placidia, e tanti altri - è stata l’occasione, come ha spiegato il direttore del Carcere Carmela De Lorenzo, "per mostrare alla città i notevoli risultati ottenuti dai detenuti, sempre più impegnati in attività di recupero e rieducazione". Anche la colazione-aperitivo di domenica è stata il "prodotto" di uno dei laboratori di reinserimento svoltisi in carcere nei mesi scorsi. A guidare le attività, la maestra Giorgia Lagosti e il coordinatore Gabriele Grossi. Non finiscono qui le iniziative per le feste: oggi si è tenuto, infatti, il pranzo di Natale offerto dalla ditta Felicetti di Verona, mentre per i prossimi giorni sono in programma la festa del Babbo Natale, il torneo di ping pong "Bambinisenzasbarre" - che saranno momenti di incontro tra i detenuti padri e i loro figli - e la Messa di Natale officiata dal vescovo Ghizzoni. Infine continua ancora per il 21 e 22 dicembre il Mercatino di Natale di via Port’Aurea aperto a tutta la cittadinanza che potrà ammirare ed acquistare i prodotti realizzati a mano dai detenuti. Le tombolate di Natale, come pure la Santa Messa che si celebrerà il 25 dicembre, saranno invece rivolte esclusivamente alla popolazione detenuta. Firenze: Sollicciano, il sindaco Nardella suona il violino con le detenute Redattore Sociale, 21 dicembre 2016 Domani pranzo di Natale nell’istituto penitenziario fiorentino, appuntamento promosso dal cappellano e dalla direzione. Presente anche il primo cittadino di Firenze. Pranzo di Natale per 80 detenute del carcere fiorentino di Sollicciano. L’appuntamento, promosso dal cappellano e dalla direzione del carcere, è per domani le 13.30. Al pranzo parteciperanno anche il sindaco di Firenze Dario Nardella, che si esibirà col violino (strumento di cui è appassionato), e l’assessore alle politiche sociali Sara Funaro. Complessivamente, è prevista la partecipazione di quasi 150 persone. "L’obiettivo di questo pranzo - ha detto il cappellano del carcere Don Vincenzo Russo - è creare un’integrazione tra il mondo interno al penitenziario e quello esterno, affinché non siano due mondi distanti e non comunicanti, ma sempre più interattivi tra loro". Venezia: il Sindaco vuole nascondere i poveri "spostiamo le mense dal centro" di Lorenzo Padovan La Stampa, 21 dicembre 2016 Il Chilometro della cultura da una parte, la "Cittadella della povertà" dall’altra. In mezzo, una città, Mestre, da sempre sorellastra di Venezia, che si interroga sul proprio futuro e assiste allo scontro tra il sindaco Luigi Brugnaro e il Patriarca Francesco Moraglia sulla collocazione delle mense per gli indigenti, ora a due passi dalla zona dello struscio. A Mestre una serie di iniziative promozionali sta faticosamente cercando di garantire nuova linfa e opportunità socio-culturali ad un centro perennemente offuscato dalla Perla della laguna. È stato il vulcanico primo cittadino Brugnaro a lanciare la provocazione: "Spostiamo le tre mense che sono ricettacolo di disperazione: dobbiamo armonizzare la presenza di queste persone, liberando quell’area, comunque centrale, da un assembramento ormai insostenibile. Non solo refettori, ma ipotizziamo anche altri servizi complementari. Insomma, una "Cittadella della povertà" che concentri le opportunità per i senza tetto e offra solidarietà, non a scapito dei residenti". Un esercito di clochard che conta su almeno 200 unità: italiani e stranieri, con contaminazioni della delinquenza comune, che nel degrado sguazza e camuffa meglio i propri affari loschi. Nessuna indicazione sull’ubicazione del "Quartiere dei poveri", ma numerosi indizi lo collocherebbero nei pressi del nuovo ospedale dell’Angelo. Peccato che le strutture in odore di trasloco siano di proprietà della Diocesi, che ha subito intimato l’altolà al progetto: "Sono rimasto un po’ sorpreso da questa iniziativa che immagino abbia buone intenzioni - è il pensiero del Patriarca di Venezia Moraglia -. Portare tutto in un luogo deputato alla carità, quasi come se ci fossero barriere divisive all’interno della comunità civica-sociale, non è solo nascondere la verità, è creare una disparità tra una società che crede di aver eliminato la sofferenza e una realtà che, per i suoi bisogni primari, vive ai suoi margini e la vede come un mondo proibito". C’è apertura al dialogo, ma nessun preludio ad accordi che possano anche solo minimamente portare al rischio di ghettizzazione dei senzatetto: "Una riorganizzazione delle mense ci vede favorevoli, per scongiurare difficoltà anche a chi vive nel quotidiano", ha sottolineato il presule. Ma ha aggiunto: "Nello stesso tempo, dobbiamo prendere atto che la società è un corpo che comunica tra i suoi membri. Ci sono ricchezza, povertà, bambini, nonni, adulti, sani e malati e bisogna cercare, nel rispetto, di offrire servizi migliori a tutti, rimanendo attenti all’uomo concreto, alle sue stagioni e sofferenze". Se la Chiesa stoppa il Comune, l’idea di Brugnaro - che a Mestre ha il suo feudo elettorale - è stata accolta dai residenti come un principio rivoluzionario: "Abito in zona da 50 anni - fa sapere Luciano Niero, portavoce del Comitato di via Querini, che già dieci anni fa chiese, invano, un intervento all’allora sindaco Massimo Cacciari, ma adesso siamo al limite. Non si può uscire di casa senza imbattersi in chi urina sulla soglia, defeca sullo zerbino, bivacca per ore avvolto in qualche straccio. Nessuno più investe nel quartiere e le attività commerciali stanno scomparendo. Le parole del Patriarca mi sorprendono perché nel nobile sentimento della carità cristiana non ci sentiamo ricompresi: tutti protesi a stare vicini agli ultimi, ci si scorda dei cittadini invisibili che vivono una sofferenza silenziosa, in un’area che di fatto non è più casa loro". Pena di morte. Moratoria esecuzioni: risoluzione Onu approvata a grande maggioranza di Riccardo Noury Corriere della Sera, 21 dicembre 2016 Il 19 dicembre l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato a schiacciante maggioranza la sua sesta risoluzione in favore di una moratoria sulle esecuzioni in vista dell’abolizione della pena di morte, confermando che è solo una questione di tempo prima che la pena capitale sia destinata ai libri di storia. Su un totale di 193 stati membri delle Nazioni Unite, 117 hanno votato a favore, solo 40 hanno votato contro e 31 si sono astenuti. Gli altri cinque non hanno preso parte alla votazione. La risoluzione, proposta da 89 stati membri guidati da Argentina e Mongolia, è un testo importante e dal considerevole peso politico che stabilisce inequivocabilmente che la pena di morte è un tema di preoccupazione globale per i diritti umani. Il testo della risoluzione contiene forti richieste ai paesi mantenitori, tra cui ridurre il numero dei reati capitali, aumentare la trasparenza rendendo pubbliche le informazioni sulle esecuzioni in programma e applicare procedure eque e trasparenti per chiedere clemenza. Dal 2007 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato sei risoluzioni per la moratoria globale sulla pena di morte con una maggioranza di voti favorevoli sempre crescente. Da quell’anno, 13 paesi hanno abolito la pena di morte per tutti i reati e altri due, Guinea e Mongolia, hanno intrapreso il cammino verso le esecuzioni. Amnesty International ha notato con soddisfazione che voti a favore sono pervenuti per la prima volta da Guinea, Malawi, Namibia, isole Salomone, Sri Lanka e Swaziland. Altro segnale positivo, lo Zimbabwe è passato dal voto contrario all’astensione. Purtroppo Filippine, Guinea Equatoriale, Niger e Seychelles si sono astenuti dopo aver precedentemente votato a favore e le Maldive sono passate dall’astensione al voto contrario. Nel 1945, anno di fondazione delle Nazioni Unite, solo otto dei 51 allora stati membri avevano abolito la pena di morte. Oggi, gli stati abolizionisti per tutti i reati sono 101 e in totale 138 stati membri su 193 hanno abolito la pena capitale per legge o nella prassi. Nel 2015, in 169 dei 193 stati membri, ossia l’88 per cento, non vi sono state esecuzioni. Amnesty International si oppone alla pena di morte in ogni circostanza e senza eccezione, a prescindere dalla natura o dalle circostanze del reato, dalla colpevolezza o dall’innocenza o da altre caratteristiche delle persone coinvolte o dal metodo usato per eseguire le condanne a morte. L’organizzazione per i diritti umani sollecita tutti gli stati che mantengono la pena di morte a istituire una moratoria sulle esecuzioni, a commutare tutte le condanne a morte e ad abolire la pena di morte per tutti i reati. Terrorismo. Noi europei e le paure da vincere di Aldo Cazzullo Corriere della Sera, 21 dicembre 2016 Nonostante tutto, è fondamentale tenere i nervi saldi e non chiudersi in casa. L’attacco alla Francia il 14 luglio, festa laica della libertà, dell’uguaglianza, della fraternità. L’attacco al Natale in Germania, il mercatino, le luci, le bancarelle, la gioia di condividere e stare insieme. Un attacco alla civiltà europea. L’anno scorso al Bataclan morirono ragazzi di 19 Paesi diversi, tra cui un’italiana: Valeria Solesin, 28 anni. A Berlino un’altra famiglia dispera per un’altra giovane donna: Fabrizia Di Lorenzo. L’Europa non è quella che vorremmo. È una sovrastruttura burocratica che fa a volte da moltiplicatore della crisi, a volte da capro espiatorio. Ma l’Europa esiste. E se a definirla non riusciamo noi europei, provvedono i nostri nemici. La libertà delle donne, la democrazia, il sentimento cristiano, la convivenza tra le religioni sono valori che fanno ormai parte delle nostre coscienze, ma rendono gli integralisti islamici feroci sino al sangue. L’Europa del resto è nata dalla più grande tragedia della storia, la seconda guerra mondiale. In un contesto ovviamente diverso, in una capitale-simbolo come Berlino, all’ombra dei resti della chiesa dell’imperatore Guglielmo ribattezzata chiesa della pace, l’Europa si ritrova nel dolore, riconosce se stessa nella volontà di resistere e di reagire. Ma come? È fondamentale tenere i nervi saldi. Non chiudersi in casa. Vivere il Natale nella dimensione spirituale e familiare, delle chiese e anche dei mercatini. Non negare le nostre paure, ma con le nostre paure imparare a convivere, sino a vincerle. Nello stesso tempo, lo spirito irenico con cui una parte dei media e della rete minimizza gli attentati non aiuta né a capire, né a sconfiggere gli attentatori e i loro mandanti. La tesi del lupo solitario, del pazzo isolato non regge più. Saranno anche solitari e pazzi, o meglio plagiati; ma agiscono con una strategia ben precisa, seguendo ordini, seminando terrore. Li anima l’odio per il cristianesimo, nella versione aperta e dialogante uscita dal Concilio, riconciliata con il liberalismo, i diritti dell’uomo, la separazione tra Stato e Chiesa. Il martirio di Berlino è doloroso, come quello di padre Jacques Hamel, sgozzato sull’altare nella sua chiesa vicino a Rouen; ma è ancora più terribile la persecuzione vissuta dai cristiani in Medio Oriente, in Egitto, nel Darfur, nel Nord della Nigeria e in altre zone dell’Africa subsahariana. Tra gli obiettivi del terrorismo c’è quello di indurci a isolare l’Islam europeo, a diffidare in blocco degli immigrati di prima e seconda generazione, a trattarli con maggior durezza in modo che sia più facile radicalizzarli per i predicatori del male. È una trappola in cui non dobbiamo cadere. Immigrazione e terrorismo sono due fenomeni diversi. Ma è fondamentale che i musulmani di casa nostra condannino sempre e a chiara voce la violenza, senza ambiguità. Ed è importante porsi questioni e cercare soluzioni, senza per questo essere tacciati di islamofobia o xenofobia. L’Italia non ha avuto un impero coloniale vasto e duraturo come quello francese e britannico. A differenza della Germania, ha costruito il suo sviluppo industriale con le migrazioni interne e non facendo arrivare milioni di turchi (e poi iraniani e pachistani). Il suo Islam l’Italia se lo sta costruendo in questi ultimi decenni. Ma non scegliendolo; subendolo. Attraverso l’immigrazione clandestina. Non c’è dubbio che la stragrande maggioranza dei migranti voglia solo sfuggire alla guerra e alla fame. Ma in queste condizioni far entrare in Italia quasi mille stranieri al giorno, senza saper bene che farne, è alla lunga insostenibile. Dobbiamo continuare a salvare vite, e a essere orgogliosi dei volontari che lavorano per l’accoglienza. Dobbiamo impedire forme di sfruttamento e di arricchimento ai danni dello Stato. Ma soprattutto dobbiamo far intervenire l’Ue. L’Europa, unificata dal dolore, deve scendere in campo. Soccorrere i profughi siriani e delle altre guerre. Rimpatriare chi non ha diritto all’asilo. Stroncare il traffico degli scafisti, moderni negrieri, padroni della vita e della morte di donne e bambini inermi. Riprendere il controllo dei porti libici, sostenendo l’embrione di Stato che faticosamente si sta creando. Non sono cose che si fanno in poco tempo; ma di tempo in inutili vertici se n’è perso sin troppo. Incalzare i governanti, e superare la paura: non c’è altra strada. Lo dobbiamo a Valeria Solesin, a Fabrizia Di Lorenzo, alle ragazze di una generazione con cui l’Italia è stata poco generosa - quanto infelice suona oggi la frase del ministro Poletti, ma che non hanno piagnucolato, si sono date da fare, hanno studiato all’estero. Il loro percorso è stato interrotto. Non erano eroine; si sono trovate al posto sbagliato nel momento sbagliato. Ma altre ragazze seguiranno le loro orme, si metteranno in gioco, studieranno, ricercheranno; e costruiranno quell’Europa dei popoli e dei valori che il terrorismo islamico vorrebbe distruggere Salute mentale. Il Ministero presenta Rapporto 2015 salute.gov.it, 21 dicembre 2016 Sono 777.035 gli utenti psichiatrici assistiti nel 2015 dai servizi specialistici (mancano i dati della Valle d’Aosta, della P.A. di Bolzano e della Sardegna), di cui 369.569 entrati in contatto per la prima volta durante l’anno con i Dipartimenti di Salute Mentale. Il 90,3% di questi ultimi (333.554) ha avuto un contatto con i servizi per la prima volta nella vita (first ever). Gli utenti sono di sesso femminile nel 54,4% dei casi, mentre la composizione per età riflette l’invecchiamento della popolazione generale, con un’ampia percentuale di pazienti al di sopra dei 45 anni (66,1%). In entrambi i sessi risultano meno numerosi i pazienti al di sotto dei 25 anni (28,5) mentre la più alta concentrazione si ha nelle classi 35-44 anni e 45-54 anni soprattutto nei maschi (rispettivamente 20,0 % e 25,0%); le femmine presentano, rispetto ai maschi, una percentuale più elevata nella classe > 75 anni (7,7% nei maschi e 12,4% nelle femmine) Questi alcuni dati contenuti nel Rapporto sulla salute mentale 2015 presentato a Roma in occasione del convegno del 14 dicembre 2016, Il rapporto rappresenta la prima analisi a livello nazionale dei dati rilevati attraverso il Sistema informativo per la salute mentale (Sism) e un prezioso strumento conoscitivo per i diversi soggetti istituzionali responsabili della definizione ed attuazione delle politiche sanitarie del settore psichiatrico, per gli operatori e per i cittadini utenti del Servizio Sanitario Nazionale. La rilevazione, istituita dal decreto del Ministro della salute 15 ottobre 2010, costituisce, a livello nazionale, la più ricca fonte di informazioni sugli interventi sanitari e socio-sanitari dell’assistenza alle persone adulte con problemi psichiatrici e alle loro famiglie. Il sistema risulta particolarmente utile ai fini del monitoraggio dell’attività dei servizi, della quantità di prestazioni erogate, nonché delle valutazioni sulle caratteristiche dell’utenza e sui pattern di trattamento, inoltre rappresenta un valido supporto alle attività gestionali dei Dipartimenti di salute mentale (Dsm) per valutare il grado di efficienza e di utilizzo delle risorse. L’intento è che esso sia il primo di una serie di rapporti annuali sulla salute mentale che potrà arricchirsi di ulteriori e specifiche analisi dei dati rilevati dal Sism. Germania. "Restiamo un paese libero e aperto", Merkel non cede alla destra di Jacopo Rosatelli Il Manifesto, 21 dicembre 2016 Il discorso alla Germania. Gli attacchi xenofobi e le pressioni della Cdu non piegano la cancelliera. Nessun cambio di rotta ulteriore: la linea sui profughi è già stata "corretta" a inizio anno dopo i fatti di Colonia, le "porte aperte" sono un lontano ricordo. Le prime accuse alla cancelliera Angela Merkel non si sono fatte attendere. Non erano passate nemmeno due ore dalla strage di Berlino che il leader di Alternative für Deutschland (AfD) nel più importante Land del Paese, il Nordreno-Westfalia, già twittava: "Sono i morti di Merkel". Inevitabile: la destra anti-profughi sarebbe irriconoscibile se non provasse a strumentalizzare questo genere di eventi. Ieri ha rincarato la dose il numero due del partito a livello nazionale, Alexander Gauland, con parole più misurate nei toni ma identiche nella sostanza: "Dobbiamo una volta per tutte riconoscere che questo orribile atto è anche una conseguenza della perdita del controllo ai confini tedeschi. Abbiamo sempre fatto notare che la politica sui profughi di Angela Merkel comporta pericoli molto grandi". E ancora: "Questi attentati terroristici non sono casi isolati. Si collegano direttamente all’immigrazione incontrollata dall’area musulmana alla Germania". Lo scontro di civiltà è servito. La cancelliera vuole evitare che gli attacchi degli xenofobi facciano breccia, e per questo ieri ha scelto di mettere le mani avanti: non vuole essere accusata di ignorare la realtà, come in passato le è stato rimproverato, anche dentro la sua Cdu. E così nella dichiarazione ufficiale, resa prima che emergessero i dubbi sul presunto colpevole, la leader democristiana aveva esplicitamente citato la possibilità che il responsabile fosse un profugo: "Sarebbe ripugnante, particolarmente nei confronti dei tanti tedeschi che quotidianamente sono impegnati nell’accoglienza. E anche - ha continuato Merkel - di fronte a quelle tante persone che hanno bisogno della nostra protezione e che cercano di integrarsi nel nostro Paese". Parole chiare, ma nessun cambio di rotta ulteriore: la linea sui profughi è già stata "corretta" a inizio anno dopo i fatti di Colonia, le "porte aperte" sono un lontano ricordo. Eppure, per il governatore della Baviera e leader della Csu, Horst Seehofer, ogni occasione è buona per chiedere un ulteriore giro di vite: di fronte ai microfoni ieri mattina ha lanciato una cinica frecciatina all’amica-nemica cancelliera, chiedendo di "ripensare la politica sull’immigrazione". Un preannuncio di nuove serie turbolenze con il partito-fratello Cdu. Il presidente della Repubblica Joachim Gauck invita a non farsi trascinare in una spirale di odio, mentre la grande stampa prende nettamente le distanze dalle infami strumentalizzazioni della Afd: in un durissimo commento l’autorevole testata liberal-conservatrice Frankfurter Allgemeine (Faz) stigmatizzava "ogni tedesco democratico" che stia prendendo in considerazione l’ipotesi di votare la destra populista alle elezioni politiche di settembre. "Ragionevolezza e misura" chiede la Linke attraverso i suoi cosegretari Bernd Riexinger e Katja Kipping: "Chi aizza contro gli stranieri attraverso indebite generalizzazioni, o chi chiede un inasprimento delle regole sui profughi distorce intenzionalmente la realtà". Stati Uniti: il presidente Obama grazia altri 231 detenuti Nova, 21 dicembre 2016 Il presidente uscente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha annunciato a pochi giorni dalla fine del suo secondo mandato la concessione della grazia a 78 detenuti e il commutazione della pena per altri 153: il presidente ha totalizzato così ben 1.324 atti di clemenza nel corso dei suoi otto anni alla Casa Bianca, un record assoluto nella storia del paese, sottolinea il "New York Times". Ancora una volta, gran parte dei beneficiari della clemenza presidenziale sono soggetti condannati a lunghe pene detentive per reati di droga non violenti, inclusa la semplice detenzione di sostanze stupefacenti. La Costituzione Usa attribuisce al presidente il potere di concedere il perdono a soggetti che abbiano violato la legge; quasi tutti i presidenti nella storia del paese hanno fatto ricorso a questo potere, ma solo Obama se ne è servito sistematicamente, concedendo 50 volte più grazie del suo predecessore, George W. Bush. Obama ha già affermato in diverse occasioni di voler promuovere un orientamento della giustizia Usa da finalità "punitive" a "rieducative", specie per quanto riguarda reati "minori" come quelli non violenti legati alla droga. Negli ultimi tre decenni, la Giustizia Usa ha arrestato migliaia di persone, perlopiù afroamericani e ispanici, nel tentativo di combattere l’abuso di stupefacenti nel paese. Molti di questi individui sono stati condannati a pene detentive decennali o pluridecennali. L’amministrazione Obama ha anche segnalato di voler procedere al trasferimento di altri 17 o 18 detenuti dal penitenziario speciale di Guantànamo Bay. I detenuti verranno trasferiti in Italia, Oman, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Ad oggi sono ancora detenuti a Guantànamo 59 prigionieri. Stati Uniti. Obama trasferirà 18 detenuti di Guantànamo, uno accolto in Italia ilfogliettone.it, 21 dicembre 2016 L’amministrazione Obama ha intenzione di trasferire 17 o 18 dei 59 detenuti ancora presenti nel carcere di Guantànamo. Secondo il New York Times, l’Italia ne accoglierà uno, come promesso dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, al presidente Barack Obama, durante l’ultima cena di Stato alla Casa Bianca, lo scorso ottobre. Prima che l’accordo fosse stipulato, racconta il New York Times, Renzi si è dimesso. Così, il giorno dopo la formazione del governo Gentiloni, il segretario di Stato, John Kerry, ha telefonato all’ex ministro degli Esteri per congratularsi, ma anche per chiedergli di rispettare l’impegno di Renzi. Gentiloni, secondo il quotidiano, ha ribadito l’impegno; l’Italia ha già accolto, la scorsa estate, un cittadino yemenita detenuto a Guantànamo. L’urgenza con cui gli Stati Uniti si sono rivolti all’Italia dimostra la volontà dell’attuale amministrazione di fare il possibile per trasferire il più alto numero di detenuti, visto che in 22 hanno ottenuto il via libera per il trasferimento. Dato che il Pentagono deve notificare un trasferimento al Congresso con 30 giorni di anticipo, il termine ultimo per l’attuale amministrazione era ieri. Per questo, è stata presentata una richiesta per il trasferimento di 17 o 18 detenuti; se tutto andrà come previsto, a Guantànamo resteranno 41 o 42 detenuti. Il presidente eletto, Donald Trump, ha più volte detto di voler tenere aperto il centro di detenzione e di volerlo "riempire di cattive persone". Afghanistan. Le donne afghane assassinate, emancipazione più lontana di Lorenzo Cremonesi Corriere della Sera, 21 dicembre 2016 Con il crescere dei territori controllati dai talebani, in competizione con le nuove colonne di Isis, sono diminuite le opportunità per le donne, oltre a crescere situazioni di abusi e persecuzione. Non serve scomodare Marx e la frase celebre sulla posizione sociale delle donne quale cartina al tornasole del progresso. In Afghanistan è un concetto che s’impone da solo, ma in senso inverso: più le donne vengono perseguitate, abusate, costrette in casa, impedite di studiare e lavorare, e più le forze legate al fronte dal radicalismo islamico talebano tornano ad imporsi. Ultimo di una lunga catena di omicidi e vessazioni è stato l’assassinio a sangue freddo sabato scorso di cinque giovani afghane, addette al controllo delle passeggere all’aeroporto di Kandahar. "Le hanno attaccate a raffiche di kalashnikov, per loro non c’è stato nulla da fare", spiega Abdul Al Shamsi, vice governatore di questa provincia confinante con il Pakistan dove i talebani dal tempo dell’invasione americana del 2001 non sono mai spariti del tutto. Le donne viaggiavano nel minibus che le stava portando al lavoro, quando verso le sei e mezza di mattina sono state affiancate da due uomini in motocicletta che hanno aperto immediatamente il fuoco. Tra loro, la ventiduenne Bibi Assilah lavorava per pagarsi gli studi di medicina all’Università Malalai. Un sogno per lei, nato e cresciuto nell’Afghanistan post-2001, dove le donne potevano sperare davvero di emanciparsi. Ma ormai da tre o quattro anni la situazione per loro è in netto peggioramento. Con il crescere dei territori controllati dai talebani, in competizione con le nuove colonne di Isis, sono diminuite anche le opportunità. Il ministero della Difesa a Kabul segnala che oggi sono soltanto 877 le donne nell’esercito e 2.866 le poliziotte. Qualche anno fa si pensava a numeri almeno dieci volte più grandi. Ma da allora il governo centrale perde autorità. Le donne hanno una qualche rilevanza nella sanità pubblica, dove sono il 13% dei dipendenti, e nelle scuole, 30%. Eppure anche qui il loro numero decresce.