Carcere e sanità di Valentina Spagnolo* L’Opinione, 10 dicembre 2016 In accordo alle progettazioni approvate dai Dicasteri della Giustizia e della Sanità, il tavolo di consultazione permanente ha approvato nel 2015 un accordo volto a proporre alle Regioni dei modelli di riferimento innanzitutto per il contenimento e l’organizzazione della rete sanitaria nazionale e regionale, affinché possa essere mantenuto un degno e stabile apporto assistenziale per le persone detenute in carcere. Gli aspetti più generali dell’assistenza sono affrontati secondo delle metodologie operative standard e condivise ai vari livelli; è infatti nel documento raccomandata l’attenzione ai detenuti tossicodipendenti. Il testo normativo prevede l’impegno delle Regioni e delle Asl, attraverso una specifica programmazione, realizzata con il contributo dei Provveditorati regionali dell’Amministrazione penitenziaria. Pertanto è garantita, primariamente, cura adeguata in ambito detentivo, anche attraverso l’attivazione di particolari programmi di sostenimento ed attivazione. Gli aspetti più generali dell’assistenza sono affrontati secondo delle metodologie operative standard, condivise a vari livelli. Il documento raccomanda e pone particolarmente attenzione per i detenuti tossicodipendenti ed alcoldipendenti. I provvedimenti già riferiti dal Dpr 309/90 hanno avuto un riscontro costituzionale, con pieno riferimento alla illegittimità e modifiche alla normativa degli stupefacenti, a partire dalle introduzioni normative del 2006. È stata attuata una distinzione particolareggiata tra sostanze stupefacenti in droghe leggere e droghe pesanti. Pur trattandosi propriamente di un provvedimento "svuota carcere", tale sentenza ha avuto un’ampia conseguenza d’impatto sulla popolazione detenuta. Infatti sono stati stimati, alla fine dell’anno 2014, la percentuale di detenuti presenti, con ascritto il reato di cui all’articolo 73 sino ad un tasso pari al 34 per cento. Inoltre si aggiungono a tali dati forniti dalla disciplina normativa le considerazioni attribuibili nell’ultimo decennio ad un aumento considerevole del numero dei detenuti e del sovraffollamento del carcere. Nonostante questi dati, sin dal 2011 si è notevolmente e progressivamente costituita un’alta contribuzione per far diminuire la popolazione detenuta, soprattutto riportando il rapporto con i posti regolamentari della norma (pari a 139 detenuti ogni 100 posti regolamentari sino al 2005). Sono stati approvati dal 2010 i cosiddetti provvedimenti "svuota carcere", per cui alla fine del 2014 si riscontra un abbassamento del numero dei detenuti, e soprattutto le misure che hanno riguardato brevemente i testi, contribuendo fortemente nel mantenimento della possibilità di una piena dignità del condannato, e soprattutto delle esigenze finalizzate alla rieducazione in veste risarcitoria. La composizione della popolazione detenuta, collocando attualmente il fenomeno in evoluzione a livello europeo, dimostra un’alta presenza di detenuti stranieri, per cui si focalizzano quali sono le aree dei principali Paesi di afflusso: Nord Africa ed Europa dell’Est. I rapporti confermati dalle normative anzidette si attengono a quelli che sono i fenomeni attuali, fornendo così uno spunto di analisi e controllo a livello regionale, per gli istituti di igiene, permettendo così un’accoglienza del tossicodipendente e permettendone un monitoraggio completo per una sana detenzione. È necessario operare questo distinguo, in quanto i soggetti posti in ingresso nel sistema carcerario potrebbero innanzitutto presentare delle problematiche correlate alla droga, oppure completamente di dipendenza. I dettami normativi del 2015 sottolineano infatti l’importanza dei trattamenti olistici, innanzitutto per le finalità anzidette, principalmente orientate ad una considerazione delle carceri attuali come dei luoghi ridimensionati e favorevoli alla rieducazione del condannato, ma soprattutto alla possibilità di condizioni di convivenza sane. Mediante il rispetto di tali condizioni si può quindi esprimere e definire il carcere come una vera e propria comunità. La mancanza di un’adeguata considerazione della complessità e di tutte le peculiarità del sistema sanitario carcerario può evitare il crearsi delle condizioni sfavorevoli alla disomogeneità dei percorsi clinici. Tali negligenze possono quindi evitare il crearsi di quelle condizioni d’integrazione per le cure, attinenti soprattutto all’incontro delle persone in carcere, quindi in tutte le situazioni comportanti un legame madre-figlio, oppure rapporti a distanza tra famiglie disgiunte. Sarebbe quindi non plausibile non immaginare un possibile adeguamento progressivo dei luoghi di detenzione, affinché si realizzi una piena e completa rieducazione del detenuto, ma tutto ciò per favorire una prosecuzione dei legami familiari. *Componente della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo - Lidu Onlus Acat Italia: "Tortura. Sfuma di nuovo la possibilità di vedere approvata la legge" Ristretti Orizzonti, 10 dicembre 2016 "Pur non volendo entrare nel merito dell’attuale crisi di governo, è necessario però rimarcare che qualora questa legislatura terminasse qui il suo mandato sfumerebbe ancora una volta, ogni possibilità di vedere approvata la legge per introdurre il reato di tortura in Italia". Così il presidente di Acat Italia (Azione dei Cristiani per l’abolizione della tortura), Massimo Corti, in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani che si celebra ogni anno il 10 di dicembre. "Unica vaga consolazione - continua Corti - viene dalla speranza che il prossimo eventuale Ddl sia migliore dell’attuale in discussione al Senato. Come Acat non possiamo infatti non condividere quanto affermato dall’On. Luigi Manconi durante il dibattito per l’assegnazione del Premio di Laurea Acat Italia 2016 tenutosi il 7 dicembre; questo testo, ha sostenuto, è "ai limiti della indecorosità", poiché nega l’essenza del reato di tortura, cioè l’essere la tortura l’esercizio di un abuso di potere, una violenza da parte di un pubblico ufficiale che ha la "titolarità legale a custodirmi, a trattenermi", e non lega questo reato ai fini specifici per cui la tortura viene praticata da chi detiene il potere. Tutti aspetti che risultano invece chiarissimi leggendo il testo della Convenzione Onu contro la tortura, Convenzione che l’Italia ha approvata il primo gennaio 1988, impegnandosi formalmente a legiferare in merito". "Al rammarico, ampiamente espresso, per la "trascuratezza" dello Stato italiano - ha concluso il presidente di Acat - si aggiunge anche il timore, condiviso con l’associazione Antigone, che l’Italia diventi una sorta di "porto franco" per i torturatori mondiali, poiché la mancanza della fattispecie di reato nel nostro ordinamento penale rende impossibile accettare specifiche richieste di estradizione per persone accusate e perseguite come torturatori". Giornata per i Diritti degli Animali: "mai più crudeltà senza carcere" di Silvia Morosi Corriere della Sera, 10 dicembre 2016 In occasione della ricorrenza del 10 dicembre, Michela Vittoria Brambilla, presidente della Lega italiana per la difesa degli animali e dell’ambiente, spera in un cambio di passo per i diritti di tutte le specie: "Pene severe e carcere per chi uccide gli animali". "Deve andare in carcere chi maltratta gli animali e li uccide con crudeltà e senza necessità". Alla vigilia della Giornata internazionale per i diritti degli animali che si tiene il 10 dicembre, promossa quasi vent’anni fa - nel 1998 - dall’associazione inglese Uncaged campaigns, l’onorevole Michela Vittoria Brambilla, presidente della Lega Italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente, annuncia "una svolta" nell’impegno e nella mobilitazione dell’organizzazione. "Possiamo farlo - spiega l’ex ministro - perché è finalmente caduto il governo che, tra tutti quelli della Repubblica, ha mostrato più indifferenza e disprezzo per i diritti degli animali", con un chiaro riferimento anche al 10 dicembre del 1948, quando l’assemblea delle Nazioni unite approvò la Dichiarazione universale dei diritti umani. È necessario - sottolinea la parlamentare di Fi - cominciare dall’inasprimento delle pene per maltrattamento ed animalicidio, "in un contesto sociale dove si moltiplicano i casi segnalati e di conseguenza, a maggior ragione, quelli non segnalati". "Addio al governo dei cacciatori" - "Il governo Renzi - continua Brambilla - ha impiegato il suo tempo non per andare avanti, ma per tornare indietro. Un esecutivo dei cacciatori a cui dare l’addio". L’onorevole sottolinea come durante la legislatura ci sia stata l’abolizione del Corpo forestale dello Stato, l’eliminazione della Polizia provinciale (specializzata nella vigilanza venatoria), l’improcedibilità per "tenuità del fatto" (che di fatto regala l’impunità a chi maltratta o uccide un animale), il via libera alle leggi regionali che prevedono stragi di ungulati (dai cinghiali ai caprioli), la legge sull’eradicazione della nutria, il parziale mantenimento della barbarie dei richiami vivi (si possono ancora allevare uccelli a questo scopo), la deroga al divieto di caccia sulla neve, la possibilità di caricare con più cartucce (fino a 5) le armi semiautomatiche per la caccia al cinghiale. 15.000 cani e gatti torturati in un anno - In questa giornata attivisti da ogni parte del mondo organizzano eventi per mostrare al pubblico la realtà dello sfruttamento e della sofferenza degli animali, in tutti i campi. Basta ricordare che i cani e i gatti che vengono torturati e uccisi ogni anno, secondo i dati diffusi dalla Associazione Italiana Difesa Animali e Ambiente (Aidaa) in occasione della "Prima Giornata nazionale contro la violenza sugli animali" (8 dicembre) sono circa 15.000. Pari a 142 animali al giorno (un animale ogni dieci minuti). Molti casi vengono alla luce grazie al fatto che gli autori, spesso minorenni, li pubblicano sui social. Uno strumento di comunicazione, informazione e denuncia che, in alcuni casi, fa da effetto boomerang e fa nascere violenza contro violenza. "La prima giornata - ha ricordato il presidente di Aidaa Lorenzo Croce - si svolge nel nome e nel ricordo del cane Angelo, torturato ed ucciso da quattro delinquenti a Sangineto in Calabria, ma purtroppo sono centinaia i casi ogni anno di cani, gatti ma anche decine di altre specie di animali che vengono torturate ed uccise da veri e propri killer. E troppo spesso questi torturatori, molti dei quali minorenni la fanno franca". Un tema (sempre) attuale - Ribadire la necessità di tutelare i diritti degli animali è un tema di grande significato e attualità. Sul piatto ci sono tante questioni: dalla vivisezione alla caccia, dal bracconaggio al traffico illecito, dall’uso di animali nei palii e al circo, passando per la sperimentazione animale, l’abbandono e gli allevamenti intensivi. Dell’Utri: "io prigioniero della guerra a Silvio e della giustizia" di Errico Novi Il Dubbio, 10 dicembre 2016 "Carta vince carta perde, proprio così: siamo andati in Cassazione e l’incidente di esecuzione non è passato perché, ci hanno detto, bisogna seguire un’altra strada, quella della revisione del processo", ricorda il difensore. "Come se non avessimo già esperito un tentativo simile, in Corte d’Appello, dove pure abbiamo battuto inutilmente la testa". Il professor Padovani, tra i più apprezzati studiosi di Diritto penale del Paese, usa parole forti e inconsuete. Ma il paradosso c’è eccome. A spiegare il punto di innesco è un costituzionalista come Valerio Onida, il quale interpellato dal Dubbio ricorda come all’origine dello stesso pronunciamento su Contrada ci sia "il caso Scoppola, con cui è emersa l’incostituzionalità della mancata previsione delle sentenze della Corte europea tra i motivi che possono condurre a una revisione del processo". Mancherebbe un elemento che consente appunto di riaprire un procedimento passato in giudicato sulla base di una pronuncia favorevole dei giudici di Strasburgo. Eppure Padovani spiega come "non sia necessario altro, in realtà, non c’è bisogno di una norma ulteriore: ce n’è già una che è quella in base alla quale abbiamo presentato appunto l’incidente di esecuzione davanti alla Suprema corte. Sarebbe bastato che non chiudessero gli occhi, che manifestassero un po’ di buona volontà. E invece ci siamo trovati di fronte a una sentenza farsesca". Padovani definisce così dunque la decisione firmata lo scorso 11 ottobre dalla prima sezione penale. Dell’Utri ne parla con serena rassegnazione. Anzi se la prende con se stesso, dice che nel 1996, quando aveva capito che piega avessero preso i pm sul suo caso, non avrebbe dovuto farsi eleggere "per difendermi nei processi". Perché così "oggi sarei libero, invece mi trovo qui dentro a 75 anni, vedo avvicinarsi il finale di partita e sinceramente mi dispiace passarlo qui anziché con la mia famiglia". Amarezza al limite, non rabbia. Resta il fatto che i reati contestati all’ex senatore sono compresi in un arco temporale che arriva fino al 1992, mentre la giurisprudenza ha definito il reato di concorso esterno solo nel 1994. Dell’Ultri è in galera dunque per un’accusa che, all’epoca del suo presunto concorso esterno, neppure poteva essere contestata. Non a caso persino chi come Emanuele Macaluso mai ha pensato di iscriversi al partito degli innocentisti, non ha problemi ad ammettere che "così com’è la questione del concorso esterno risulta poco convincente, e non parlo solo dei reati commessi prima che la Cassazione definisse il reato: siamo sicuri sia ragionevole che una fattispecie del genere sia prevista dalle sentenze ma non dalle leggi? Io dico che il concorso esterno non può continuare a esistere solo sul piano dottrinario: o si decide di non punirlo più o, cosa evidentemente più sensata, si provvede a codificarlo per legge. Le norme penali sono quelle scritte dal Parlamento", dice l’ex direttore dell’Unità, "non si può restare fermi alla giurisprudenza". Difficile che cambi qualcosa nel frattempo, più probabile che Marcello Dell’Utri esca di cella tra poco meno di 3 anni quando, al netto degli sconti, la sua pena sarà estinta. Ha comunque mantenuto il buonumore, Bianconi lo restituisce bene, così come dall’intervista al Corriere si apprezza un uomo che a 75 anni ha ancora la pazienza di prendersi un’altra laurea, stavolta in lettere. Pazienza ne ha avuta anche con Berlusconi, che pure Dell’Utri ricorda solo come vittima, e anzi dice di essere un "prigioniero di guerra", della guerra contro Silvio. Che però esattamente dieci anni fa gli diede un dispiacere difficile da dimenticare: prese il suo elenco dei " circoli" e lo affidò a Michela Brambilla, dopo che il cofondatore di Forza Italia ci aveva lavorato per anni ed era riuscito a mettere assieme una parvenza di palestra per la futura classe dirigente azzurra. Non disse nulla, dopodiché il predellino travolse ogni idea di rivincita dal basso e preparò la nuova vittoria del Popolo della libertà. L’ironia, che è funzione indispensabile della pazienza, è la stessa della precedente uscita "pubblica" di Dell’Utri, al congresso del Partito radicale di inizio settembre, quando concluse il breve discorso da detenuto-militante con l’esortazione ai " compagni" pannelliani: "Guardate che a parte voi qui del carcere non parla nessuno, ma visto che ci siamo io sono pronto a battermi, diamoci da fare, guardate che se ci mettiamo vinciamo le elezioni", col sorriso sulle labbra e un entusiasmo che né la cella né il "gioco delle tre tavolette" hanno scalfito. La supervisione del Csm sull’antimafia "Mai più casi Saguto" di Giovanni M. Jacobazzi Il Dubbio, 10 dicembre 2016 Si ampliano le competenze della Sesta Commissione del Consiglio superiore della magistratura. Attualmente le materie trattate riguardano l’ordinamento giudiziario e i rapporti istituzionali nazionali e internazionali. Con la delibera approvata in Plenum questa settimana, relatori il presidente Ercole Aprile e il togato Antonio Ardituro, la commissione estenderà le sue attribuzioni anche in materia di contrasto alla criminalità organizzata e terroristica, mediante l’adozione di pareri e proposte nonché di iniziative volte a promuovere l’efficienza e la funzionalità degli uffici giudiziari. Uno dei temi più importanti riguarderà, certamente, l’aggressione ai patrimoni illeciti nel processo penale e nella misure di prevenzione. In particolar modo la gestione dei beni sequestrati e la destinazione di quelli confiscati. Dopo i fatti di Palermo, con la bufera che si è abbattuta sul presidente della sezione misure di prevenzione Silvana Saguto, si sentiva la necessità di verificare l’idoneità delle soluzioni organizzative degli uffici giudiziari requirenti e giudicanti. Sul terrorismo, altro tema di scottante attualità, si procederà alla verifica del nuovo assetto del coordinamento investigativo interno a seguito della istituzione delle nuove competenza della Procura nazionale antiterrorismo e della effettività della cooperazione e del coordinamento internazionale, in particolare con riferimento alle attività di Eurojust e allo stato di attuazione del progetto di una Procura europea. Verranno previste giornate formative e attività di elaborazione dei dati informativi e statistici al fine di contribuire al miglioramento della normativa di riferimento. Va ricordato, comunque, che già negli anni scorsi il Csm aveva sul tema della criminalità investito risorse specifiche. All’indomani dell’uccisione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, infatti, il Csm istituì un comitato con lo scopo di offrire sostegno ai magistrati impegnati nella lotta contro la mafia e al terrorismo. A L’Aja, sempre questa settimana, l’Assemblea generale dell’Encj ( la rete europea dei Consigli di giustizia) ha deliberato con 92 voti a favore e 12 astensioni la sospensione, dopo la dura repressione di Erdogan seguita al fallito golpe di questa estate, della Turchia dalla rete europea. La Turchia era inserita come paese osservatore. Il Csm è stato rappresentato dal togato Luca Palamara, membro del board, e dal collega Rosario Spina. Il presidente del Csm turco, il cui acronimo è Hsyk, ha fornito giustificazioni sullo stato della giustizia turca che, però, non sono state ritenute attendibili. Campania: Tocco (Garante dei detenuti) "il tema dei minori è una priorità" Agenparl, 10 dicembre 2016 Lunedì convegno con D’Amelio, Cascini e Migliore. "Il tema dei minori ha assunto negli ultimi tempi particolare rilevanza nel territorio campano, sia per il fenomeno delle baby gang, sia per il generale abbassamento dell’età punibile di coloro che commettono reati". Su questo tema verterà il convegno organizzato dalla Garante dei detenuti, Adriana Tocco dal titolo "L’universo minorile: nuova criminalità, strumenti di contrasto, speranze di recupero" e che avrà luogo lunedì 12 dicembre dalle ore 9,30 alla Sala consiliare del Consiglio regionale della Campania. Le ragione del convegno saranno esposte dal Garante regionale dei diritti dei detenuti, i saluti istituzionali affidati a Rosetta D’Amelio, presidente del consiglio regionale della Campania, Giuseppe Centomani, Direttore del Centro di giustizia minorile e Patrizia Esposito, presidente del Tribunale dei minorenni di Napoli. La relazione introduttiva sarà affidata a: Francesco Cascini, Capo del Dipartimento nazionale della Giustizia minorile e di comunità, Cesare Romano, Garante regionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e Maria De Luzenberger, Procuratore Capo della Procura per i minorenni di Napoli. Il convegno le cui conclusioni saranno affidate al Sottosegretario di Stato alla Giustizia, Gennaro Migliore, vedrà anche le testimonianze di Rosa Vieni, educatore IPM Airola e Ignazio Gasperini, educatore Ipm Nisida. Roma: Villa Sciarra "orfana" dei detenuti rischia di piombare nel degrado di Maria Egizia Fiaschetti Corriere della Sera, 10 dicembre 2016 Scade il 20 dicembre l’accordo fra il Comune e Rebibbia: senza il contributo dei reclusi la manutenzione ordinaria potrebbe non essere più garantita. L’area, sette ettari di biodiversità, necessita di un piano di recupero complessivo degli arredi. Luogo del cuore trai i più votati dai romani (3.450 preferenze) sul sito del Fai, preferito ai Fori Imperiali e al parco degli Acquedotti: è Villa Sciarra, sette ettari di verde alle pendici del Gianicolo dove la biodiversità convive con statue allegoriche e arredi dal gusto neoclassico. E il foliage, in questi giorni, è da sindrome di Stendhal. Tra i più ammirati gli alberi di gingko: nuvole d’oro su cielo indaco. Un capolavoro di arte e natura, se non fosse che la manutenzione è in bilico: affidata allo spontaneismo. Lo sanno bene i volontari dell’associazione "Amici di Villa Sciarra" che il giorno dell’Immacolata hanno riparato la staccionata in legno sul lato della collina che affaccia su via Ugo Bassi. "Da maggio la pulizia è migliorata grazie al coinvolgimento dei detenuti di Rebibbia - racconta il presidente dell’associazione, Federico Marolla -, ma dal servizio Giardini ci hanno detto che l’accordo scade il 20 dicembre e non sanno se sarà rinnovato: il personale è insufficiente, senza rinforzi il degrado è inevitabile". L’impegno degli ultimi mesi, ovvero la sinergia virtuosa tra cittadini e istituzioni, rischia di essere vanificato. Se finora per la gestione ordinaria il triangolo Comune-sovrintendenza-volontari ha funzionato, per la rinascita di Villa Sciarra servirebbe un intervento di più ampio respiro. Basta inoltrarsi negli angoli più nascosti per imbattersi nell’abbandono: la "gloriette", tempietto in Aurisina fiorita, marmo originario del Carso, è scheggiata in più punti e coperta di graffiti. Scarpe, rifiuti di cibo, spazzatura, raccontano la trasformazione in dormitorio e luogo di bivacchi. A pochi metri, sotto un folto cespuglio, si intravede il giaciglio di un clochard. Dal lato opposto della villa, vicino all’ex chiosco (mai rimosso), un altro invisibile occupa l’antica garitta. I bagni pubblici sono inutilizzabili: recintati e chiusi con una catena. "Non sono a norma, manca l’accesso per disabili - spiega il presidente dell’associazione: è assurdo, quando il Comune con un piccolo contributo per il servizio potrebbe guadagnarci". Transennato pure il ninfeo accanto al laghetto con le tartarughe: "Hanno rubato la conchiglia che decorava la vasca - esclama incredulo Marolla - fino a qualche giorno fa c’era". Tra i molti contrasti - siepi potate al millimetro che delimitano l’esedra con le statue dei 12 mesi tutte rovinate - spicca il castelletto Wurts (dal mecenate americano che acquistò la villa nel 1902 per poi donarla a Mussolini, ndr): "È tutto pronto per il Museo della matematica - sospira Marolla - persino i touch screen... Non si capisce cosa aspettino ad aprirlo". Genova: Marassi, il carcere apre un chiosco per sfamare i tifosi durante le partite di Erica Manna La Repubblica, 10 dicembre 2016 Anche il carcere di Marassi avrà il suo ristorante. E seguirà l’esempio della casa circondariale di Bollate, vicino a Milano: dove ha aperto "InGalera", il primo locale d’Italia che vede impegnati in cucina e in sala i detenuti, diretti da uno chef, e per riuscire a sedersi a tavola bisogna prenotare con largo anticipo. Ma quello di Genova sarà un punto di ristorazione diverso: improntato sullo street food. "Perché per aprire un ristorante vero e proprio avremmo avuto bisogno di uno spazio a piano terra, che non c’era - anticipa il direttore della casa circondariale di Marassi Maria Milano - il nostro, invece, sarà all’aperto: nell’angolo nord, all’interno del piccolo giardino sotto la pianta di magnolia, tra il carcere e lo stadio. Le cucine ci sono già. E ci potranno lavorare sette o otto detenuti". Il luogo è strategico: sarà il punto di ristorazione durante le partite. Maria Milano ha già incontrato il presidente della Camera di Commercio, Paolo Odone: la ricerca è cominciata. Perché serve un imprenditore di buona volontà: disposto a investire. Le idee e i progetti ci sono: quello che manca, nella missione del lavoro in carcere, sono i fondi. E infatti, "solo il 5 per cento dei detenuti di Marassi lavorano - sottolinea il direttore Maria Milano - il problema, infatti, è duplice: da un lato non tutti hanno la capacità di lavorare, di rispettare impegni, orari e rimi. Spesso vanno proprio rieducati in questo senso. E poi, c’è il salto nel buio per le imprese disposte a investire: perché i detenuti lavorano sei ore e 40, hanno i colloqui, una serie di distrazioni. Insomma, sono meno redditizi rispetto a un dipendente libero". Eppure, il potere e gli effetti dell’attività lavorativa dentro al carcere sono dirompenti: e la dimostrazione è qui, in piazza Matteotti, nel gazebo Freedhome appena inaugurato e aperto fino al 24 dicembre che, con un gioco di parole, per la prima volta porta in centro il mercatino allestito da Bottega Solidale che da anni gestisce il laboratorio O’Press nella quinta sezione del carcere di Marassi. Dove cinque detenuti sono assunti per produrre t-shirt e abiti serigrafati. Un nuovo marchio, nato a luglio di quest’anno: composto da una rete di 13 cooperative e imprese. Tutte con l’obiettivo di promuovere la cultura del lavoro in carcere, inteso come luogo di opportunità e non solo di pena. E per favorire la commercializzazione dei prodotti. Il risultato è che la rete - che ha appena aperto un punto vendita fisso a Torino - fattura cinque milioni di euro all’anno e impiega 80 detenuti. Non ancora molti, ma "vale la legge dei piccoli passi", racconta Pasquale Nocera mentre mostra le magliette una a una, dove campeggiano le parole di Fabrizio De André. Pasquale ha 55 anni, molti dei quali passati in cella: da oggi è uno dei commessi del gazebo. È uscito da due mesi e mezzo, "sono ubriaco di libertà", racconta con la voce rotta dall’emozione. Lui era uno dei cinque detenuti impiegati da O’Press: a ideare, serigrafare, stampare le scritte sulle magliette. "Eravamo impegnati a creare qualcosa: dal disegno alla grafica - racconta - il laboratorio è stata un’esperienza illuminante. Alle 8.30 uscivo dalla cella, era quasi come recarmi in ufficio. Avevo praticamente dimenticato di vivere in carcere. Perché quando lavori non pensi, evadi con la mente. Mentre se ozi, ti abbrutisci". A far parte della rete di Freedhome ci sono altre dodici case circondariali, ognuna con la sua cooperativa e la sua attività: la Banda Bassotti che sforna dolci a Verbania, Sprigioniamo sapori che prepara torrone di mandorla a Ragusa, a Forlì c’è il laboratorio di carta Mano libera. Nomi che hanno la forza dei desideri, e l’antidoto dell’ironia. Brescia: diritti dell’uomo e carcere, storie di un riscatto possibile di Jacopo Manessi Brescia Oggi, 10 dicembre 2016 Il progetto realizzato a Canton Mombello per la Giornata mondiale della Dichiarazione universale. Il prodotto materiale del percorso intrapreso è un piccolo volume colorato: dentro, declinata in diverse lingue del mondo, c’è la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Proposta, insieme a una serie di disegni evocativi, in diverse lingue del mondo: quelle più rappresentate all’interno della Casa Circondariale "Nerio Fischione" di Canton Mombello. Che, ieri mattina, ha aperto i suoi portoni di ferro e i suoi corridoi consunti dal tempo per un appuntamento speciale. I protagonisti? Non potevano che essere alcuni detenuti, impegnati nel progetto di realizzazione dello stesso libro sui Diritti Umani - sotto la guida della garante dei detenuti Luisa Ravagnani, in collaborazione con l’Istituto Tartaglia-Olivieri - con una serie di riflessioni proposte come accompagnamento, a metà strada tra danza, lettura, e musica. Ad assistere un pubblico d’eccezione, capitanato in prima fila dal sindaco di Brescia Emilio Del Bono, insieme ad alcuni assessori e consiglieri, a Monica Lazzaroni (presidente del Tribunale di Sorveglianza di Brescia) ed Ezia Gardoni (magistrato del Tribunale di Sorveglianza), oltre che a un gruppo di detenuti reclusi nella struttura cittadina, che non hanno fatto mancare i loro applausi e il loro apporto. Le storie sono quelle di Mohammed, di Radenko, di Endrurance, ma anche di Aldo, Roberto, Sebastiano. Uomini nel cerchio, impegnati in un cammino di redenzione e, soprattutto di preparazione: a riaccogliere il mondo esterno, una volta usciti dal carcere, a sfondare il muro della diffidenza, giorno dopo giorno, e a reinserirsi in una società pronta ad accoglierli nuovamente. Un messaggio che, con la Giornata Mondiale dei Diritti dell’Uomo festeggiata tutti gli anni oggi, 10 dicembre, assume un valore doppio. "Lavoriamo incessantemente ogni giorno per il mantenimento di questi diritti, anche se non è facile, a maggior ragione in un luogo chiuso come questo - ha raccontato Francesca Gioieni, direttrice del carcere bresciano - il riconoscimento parte innanzitutto dall’ascolto. Qui però ci sono circa 50 nazioni al mondo rappresentate, e non in tutte il termine ha lo stesso significato. Dobbiamo superare l’idea che la sicurezza si ottenga con pene detentive più lunghe o con mura più alte. Noi crediamo in un altro metodo rieducativo, e con queste iniziative vogliamo dimostrarlo". Quattro sono in particolare gli articoli della Dichiarazione intorno a cui i detenuti coinvolti nel progetto hanno rivolto la loro attenzione: l’1, il 3, il 19 e il 29. Con focus rispettivamente puntato su libertà e uguaglianza, diritto alla vita, libertà di opinione e solidarietà sociale. E quindi una serie di esempi concreti, letti come testimonianza e risposta su cosa significhino davvero queste parole. "Ci siamo sentiti persone, non detenuti", il sottofondo emerso con forza sempre maggiore. Gli esercizi di prossemica, i movimenti verso l’altro, gli abbracci, la musica: "Sunday Bloody Sunday" degli U2, "I Clandestini" di Riccardo Cocciante, "Mandela Day" dei Simple Minds. E ancora Fiorella Mannoia, la letteratura di Gianni Rodari, con il racconto "Giacomo di cristallo" e tanto altro ancora: pagine d’arte scomposte e assimilate secondo la particolare visione dei detenuti e il significato da loro conferitogli. Sino all’ultimo cerchio comune, con le note di "Alegria" del Cirque du Soleil, tradizionale chiusura degli incontri di arte-terapia. Prima del dono conclusivo dei libri alle autorità e il saluto del sindaco Emilio Del Bono, a mò di riassunto della giornata: "Grazie, perché ci avete donato una mattinata di emozioni. Aiutandoci a ritrovare il meglio di noi stessi". Torino: "aiutiamo i detenuti che studiano perché tutti hanno diritto di sperare" di Maria Teresa Martinengo La Stampa, 10 dicembre 2016 Angelica Musy alla vigilia del concerto di Paolo Conte. "Ce la stiamo facendo". Con il nostro progetto stiamo sostenendo persone detenute perché non restino, una volta scontata la pena, in mezzo alla strada. E lunedì sera sarà bello ritrovarsi con tante persone che con noi sostengono questa idea". A raccontare, con la forza che i torinesi le hanno sempre riconosciuto, è Angelica Musy. Lunedì Paolo Conte terrà un concerto al Teatro Regio il cui ricavato andrà al Fondo Alberto e Angelica Musy, l’opera con cui la famiglia ha voluto ricordare il consigliere comunale e docente universitario ucciso. Nel 2015 sei persone hanno iniziato a beneficiare delle borse lavoro sostenute dal Fondo. "Appoggiamo i detenuti del Polo Universitario della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno nel loro percorso di studi, li sosteniamo attraverso l’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo, nell’ottenere tirocini. Se ce la fanno queste persone che partono da un gradino così basso, il carcere, allora - dice la vedova Musy - possiamo farcela anche noi a riprendere la vita. Abbiamo pensato questo. La nostra storia è di dolore, volevamo qualcosa che rappresentasse un rimettersi in piedi". Una scelta che colpisce, visti i fatti che hanno segnato questa famiglia. "Il sentimento che ci muove è aiutare chi difficilmente viene aiutato. Oggi si parla di carcere un po’ più che in passato, ma non c’era un progetto che completasse quanto fa la Compagnia di San Paolo. Noi abbiamo iniziato in piccolo, ma qualcosa abbiamo fatto. Ci premeva ringraziare la città che è stata così solidale". Le borse lavoro e i tirocini del Fondo Musy consentono ai detenuti di pagarsi le necessità che derivano dalla frequenza degli studi fuori dal carcere. La signora Angelica ha incontrato le persone che aiuta. "Sanno che facciamo qualcosa per loro. Chi ha commesso un danno deve scontare la pena, va punito, allontanato dalla società. Ma poi serve la riabilitazione. Lo hanno capito anche le mie figlie. Ho spiegato. È un tema che capiscono e condividono. Avere la libertà di riprendersi la vita tra le mani... Io mi occupo di reperire fondi, il resto lo fa l’Ufficio Pio. Ci sono tante persone coinvolte. E lunedì sera sarà bello ritrovare tanti amici". Roma: da Rebibbia un volume di poesie per Ussita di Cristina Tilio viverecamerino.it, 10 dicembre 2016 Dal Carcere femminile di Rebibbia un volume di poesie per la popolazione del Comune di Ussita colpita dal terremoto. L’iniziativa è dell’editore Luciano Lucarini della Casa Editrice Pagine attento da anni al sociale e al disagio attraverso le antologie di poesie che raccolgono i contributi delle detenute che hanno partecipato al "Laboratorio di Poesia", giunto alla sua terza edizione, tenuto da Plinio Perilli, Nina Maroccolo e la professoressa Antonella Cristofaro. L’editore ha deciso di regalare per Natale ad ogni abitante del comune terremotato di Ussita, una copia del testo in questione, l’annuncio è stato dato durante il Festival del libro di Roma "Più libri, più liberi", e accolto con piacere dal Sindaco di Ussita Marco Rinaldi. "Ci complimentiamo con la lodevole iniziativa dell’editore e lo ringraziamo moltissimo per il gentile pensiero,- ha detto Marco Rinaldi Sindaco di Ussita - la poesia può dare un aiuto concreto a superare i problemi della drammatica realtà che si sta vivendo, ci fa vedere le cose sotto un aspetto diverso, più profondo, e spesso lontano da quello che noi pensiamo. È una forma di pensiero laterale, che ci permette di cambiare prospettiva, di vedere le cose in modo diverso e quindi aiuta a vivere meglio". "Sostengo ormai da anni questa iniziativa splendida e toccante - spiega l’editore Lucarini - grazie anche alla sensibile collaborazione della direttrice del braccio femminile del carcere di Rebibbia, Ida Del Grosso, e lo faccio perché la poesia può incanalare le emozioni positive e regalare quella libertà che alle detenute manca. La poesia in carcere può essere uno strumento di crescita. Ecco perché, quest’anno, ho voluto estendere questo anelito di speranza alle tante famiglie di Ussita, che necessitano di credere in una ricostruzione. È un piccolo gesto simbolico ma, ritengo, molto importante". Milano: al Piccolo "San Vittore Globe Theatre - Atto II" La Repubblica, 10 dicembre 2016 Il 10 e l’11 dicembre al Piccolo Teatro Studio Melato va in scena San Vittore Globe Theatre - Atto II. Con questo spettacolo, dedicato a Shakespeare e interpretato interamente al femminile, torna al Piccolo il Centro Europeo Teatro e Carcere e la sua compagnia aperta di artisti, cittadini e detenuti, un teatro viaggiante che conquista in scena la "libera uscita". Tempeste e naufragi diventano specchio della deriva del singolo mentre il teatro si fa strumento di salvezza. Un teatro provato nei corridoi e nei cortili, rappresentato nella Rotonda del carcere milanese, nelle biblioteche carcerarie e negli spazi di socialità, che con la collaborazione della Direzione del Carcere e della Magistratura, conquista la "libera uscita". Monologhi e dialoghi tratti dalla Tempesta e da altre opere del Bardo, interpretati dalle attrici detenute e non. Il lavoro è il risultato di un laboratorio di "auto drammaturgia" Dentro/Fuori San Vittore condotto dalla regista e drammaturga Donatella Massimilla, che unisce i versi shakespeariani ai versi delle detenute. Tolmezzo (Ud): teatro in carcere, per avvicinare i bambini e i famigliari dei detenuti udinetoday.it, 10 dicembre 2016 Le festività natalizie si avvicinano, e anche il carcere può diventare un luogo dove le famiglie possano ritrovarsi e stringersi assieme. La Casa Circondariale di Tolmezzo, nell’ambito delle attività socio culturali curate dal CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia all’interno delle carceri della Regione, accoglierà i bambini e i famigliari dei detenuti. Per un momento di incontro e di condivisone martedì 13 dicembre andrà in scena nel Carcere di Tolmezzo lo spettacolo di burattini Giragiocomondo della compagnia La Casa degli gnomi. Al termine dello spettacolo Luicia Osellini e Santosh Dolimano terranno un laboratorio per far costruire a genitori e figli il proprio pupazzo, che rimarrà il regalo in ricordo di questo Natale. Durante l’incontro, realizzato con il sostegno dell’Azienda per i Servizi Sanitari n.3 Alto Friuli e dall’Ente gestore del Servizio Sociale dei Comuni nell’Ambito 3.2 in collaborazione con la Casa Circondariale di Tolmezzo, le famiglie avranno l’occasione di riunirsi e scambiarsi gli auguri in un contesto il più famigliare possibile. L’intervento sociale destinato alla popolazione detenuta vede il CSS come soggetto promotore e coordinatore di numerose attività nelle Case circondariali e carceri dell’intera regione a Udine, Tolmezzo, Pordenone e Gorizia. Sono promossi corsi annuali di teatro che negli anni hanno dato vita a una vera e propria compagnia teatrale - la Talenti Inside - che ogni anno si esibisce davanti agli altri detenuti e davanti alle loro famiglie, nei momenti di visita. Nel 2017 questo percorso teatrale proseguirà, curato dal regista e attore Manuel Buttus, e si arricchisce del contributo di due videomaker che lo affiancheranno in un percorso che intreccia il teatro e la ripresa video. Si rinnovano anche i corsi musicali, quelli di canto e percussioni curati dal percussionista e musico terapeuta Michele Budai e il corso di chitarra diretto da Michele Pucci. Sono laboratori dove la musica e la pratica musicale d’insieme con il coinvolgimento dei detenuti musicisti, sia più esperti che alle prime esperienze musicali, crea coesione, relazione, scambio, espressione profonda. Lanciano (Ch): "Bambinisenzasbarre", partita di calcio per i diritti dei figli dei detenuti chietitoday.it, 10 dicembre 2016 I detenuti con e senza figli si sfideranno per dare voce e visibilità agli oltre 100mila bambini che in Italia hanno un genitore recluso, con l’obiettivo di sensibilizzare istituzioni, sistema carcerario, media e opinione pubblica affinché non vengano emarginati solo perché figli di detenuti. Una partita di calcio per sostenere la campagna sui diritti dei bambini figli di detenuti, per la seconda edizione di Bambinisenzasbarre, sabato prossimo (14 dicembre) alla casa circondariale di Lanciano, a Villa Stanazzo. I detenuti con e senza figli si sfideranno per dare voce e visibilità agli oltre 100mila bambini che in Italia hanno un genitore recluso, con l’obiettivo di sensibilizzare istituzioni, sistema carcerario, media e opinione pubblica affinché non vengano emarginati solo perché figli di detenuti. L’adesione è altissima: si gioca a dicembre in tutte le regioni italiane. I calciatori scenderanno in campo con la maglietta di Bambinisenzasbarre, azzurra e gialla come i colori dell’associazione e con la scritta "I diritti dei grandi iniziano dai diritti dei bambini". Le famiglie potranno assistere alle partite, e i bambini tifare per il loro papà in campo. In totale giocheranno più di 400 detenuti in circa 40 istituti penitenziari, compreso quello di Chieti. La partita Bambinisenzasbarre fa parte delle iniziative all’interno della campagna nazionale di sensibilizzazione "Non un mio crimine, ma una mia condanna. I diritti dei grandi iniziano dai diritti dei bambini", per promuovere dal 20 novembre al 20 dicembre la "Carta dei figli dei detenuti", rinnovata lo scorso settembre dal ministro Orlando, dalla Garante dell’Infanzia Albano e da Bambinisenzasbarre e per portare all’attenzione il tema dei 100mila bambini che entrano ogni giorno ogni anno in carcere per mantenere il legame con i propri genitori, e che oggi vedono riconosciuti i propri bisogni trasformati in diritti. L’Italia è la prima in Europa ad avere un documento che impegna il sistema istituzionale del nostro Paese e la società civile a confrontarsi con la presenza in visita del bambino in carcere, e con il peso che la detenzione del proprio genitore comporta. Noi diciamo che "I diritti dei grandi iniziano dai diritti dei bambini". L’esperienza della Carta dei figli dei detenuti ha portato l’Italia a essere capofila a livello internazionale e l’intergruppo del Parlamento Europeo per i diritti dell’infanzia ha deciso di proporre formalmente che la Carta dei figli dei detenuti italiana sia adottata da tutti i Paesi dell’Unione Europea. In queste settimane i deputati del Parlamento Europeo stanno raccogliendo le firme necessarie alla Dichiarazione Scritta n.84, per avviare l’iter di adozione della Carta italiana. Cassino (Fr): nella Casa Circondariale il Vescovo incontra i detenuti di Adriana Letta diocesisora.it, 10 dicembre 2016 Non trascurare mai le periferie, soprattutto quelle "esistenziali", come le ha chiamate Papa Francesco, dove le persone soffrono e si sentono spesso emarginate e abbandonate. Ed è così che il Vescovo Mons. Gerardo Antonazzo ha intrapreso le visite per portare gli auguri natalizi. Dopo aver visitato i malati ricoverati in ospedale a Cassino e a Sora, venerdì si è recato presso la Casa Circondariale di Cassino, accompagnato da Don William Di Cicco. Per prima cosa ha incontrato la Direttrice dott.ssa Irma Civitareale ed i suoi collaboratori nonché il cappellano Don Lorenzo e la Caritas nelle persone di M. Rosaria e Geppino Lauro: con loro ha parlato dello stato delle cose, dei progetti da portare avanti, della situazione dei detenuti. Poi ha visitato i reclusi di tutte le sezioni, di tutti i piani, tutti. Per ognuno di loro ha avuto una parola speciale, un sorriso, una pacca sulla spalla o una stretta di mano, con cordialità, familiarità, con una comunicazione particolarmente atta a ridare speranza e fiducia a chi si sente sfiduciato. "Stare chiusi qui dentro, ha detto, non significa tenere chiuso il cuore alla speranza". Un’altra vita è possibile, da vivere in positivo lasciandosi alle spalle gli errori commessi. E ad ognuno ha consegnato, materialmente, un dono, che la Caritas aveva preparato con cura: un pacco dalla carta rossa, contenente un panettone e prodotti per l’igiene personale, un simbolo natalizio e un aiuto concreto. Inoltre ha lasciato in dono il suo biglietto di auguri per Natale, alcune pubblicazioni della Chiesa diocesana con messaggi e preghiere e, in più, un calendario della Basilica Santuario di Canneto che ripercorreva i luoghi della Peregrinatio della Vergine Bruna, tra cui la Casa Circondariale di Cassino. Questo era un regalo mandato personalmente dal Rettore del santuario, Don Antonio Molle, il quale in quell’occasione aveva incontrato i detenuti ed era nato un sentimento reciproco forte di comprensione e fratellanza, che i detenuti non hanno dimenticato. E neppure Don Antonio, che si è fatto vicino attraverso quel dono, che è stato molto gradito. Ultimo ma non ultimo, ha porto gli auguri di Natale, auguri di pace, speranza e salvezza destinati a tutti, non solo a quelli di religione cattolica. Auguri molto graditi. Percorso lungo, quello del Vescovo all’interno del carcere, ma ricco di spirito cristiano e di misericordia. Uno di quei percorsi che si stampano nel cuore e ci restano, per tornare ogni tanto in evidenza e suscitare una preghiera, un pensiero, un’invocazione a Dio. Stati Uniti: pena di morte con tortura, il condannato muore dopo 13 minuti di sofferenze globalist.it, 10 dicembre 2016 Ci sono voluti tredici minuti di agonia dopo l’iniezione letale per uccidere un detenuto dell’Alabama condannato alla pena capitale. L’uomo continuava a muoversi, a tossire, sembrava anche voler pronunciare qualche parola, e questo mentre veniva sottoposto ad un test per verificare che il cocktail di medicinali abbia fatto effetto. Il decesso di Ronald Bert Smith, di 45 anni, è stato dichiarato poi ufficialmente alle 23.05 ieri sera, 30 minuti dopo l’inizio della procedura. Smith era stato condannato nel 1994 per l’omicidio di un impiegato in un negozio di Huntsville contro il quale aveva aperto il fuoco. La condanna alla pena capitale era stata contestata, ma la Corte suprema aveva respinto il ricorso. I legali del detenuto avevano inoltre messo in discussione l’efficacia dei farmaci utilizzati per l’iniezione letale senza tuttavia essere in grado di fermarne l’esecuzione. Le autorità hanno affermato che sarà adesso un’autopsia a fare chiarezza. Francia. Libero il dissidente kazako Ablyazov, rifiutata l’estradizione in Russia La Stampa, 10 dicembre 2016 La moglie Alma Shalabayeva venne espulsa dall’Italia nel maggio del 2013 insieme alla figlia di sei anni dopo un blitz avvenuto con modalità tuttora oggetto di indagini. Un alto tribunale francese ha rifiutato di consegnare alla Russia Mukhtar Ablyazov, banchiere kazako dissidente accusato di essersi appropriato indebitamente di grandi somme di denaro, sostenendo di considerare la richiesta ispirata da "motivi politici". Poco dopo, Mukhtar Ablyazov ha lasciato la prigione francese in cui era detenuto. Ad attenderlo suo figlio, suo fratello e il suo avvocato. La sua liberazione ha rappresentato una svolta in una vicenda giudiziaria durata anni e che ha coinvolto diversi Paesi, tra cui l’Italia. La moglie di Ablyazov, Alma Shalabayeva, venne espulsa dall’Italia nel maggio del 2013 insieme alla figlia di sei anni dopo un blitz avvenuto con modalità tuttora oggetto di indagini, e vi ha poi fatto ritorno. Ablyazov, che sfuggì allora alla cattura, era detenuto in Francia dal 31 luglio 2013, dopo il suo arresto in una villa in Costa Azzurra. Mukhtar Ablyazov è accusato in diversi procedimenti in Russia, Ucraina e Kazakistan per truffa e appropriazione indebita, con riferimento alle attività svolte quando era top manager della banca Bta. Nei mesi scorsi la giustizia francese aveva dato il via libera all’estradizione verso la Russia, giudicando la richiesta legittima e prioritaria rispetto a quella presentata dall’Ucraina. I legali di Ablyazov si erano tuttavia opposti, chiedendo al Consiglio di Stato di bloccare la sua estradizione, temendo che la Russia potesse rispedirlo in breve tempo in Kazakhstan. Il Consiglio di Stato francese ha motivato la sua decisione con i "ripetuti negoziati" intercorsi tra Russia e Kazakhstan, che confermerebbero la natura "politica" della richiesta di estradizione. Uno dei legali di Ablyazov in Francia, Peter Sahlas, ha commentato il rilascio del suo assistito come "un grande passo nella difesa dei diritti civili in Francia e in Europa". Secondo la Russia, invece, Ablyazov deve rispondere di appropriazione indebita nei confronti di numerosi clienti della banca. Siria. Aleppo, il mistero dei giovani scomparsi di Simona Verrazzo Il Messaggero, 10 dicembre 2016 L’allarme dell’Onu: "A centinaia rapiti e uccisi dopo che sono entrati nell’area controllata dal governo. Salve le donne" L’esercito di Assad continua a bombardare la città ormai allo stremo. Fuga in massa di civili, tra loro tremila bambini. Centinaia di civili, tutti di sesso maschile, ragazzi, giovani uomini e adulti di età inferiore ai 50 anni, scomparsi mentre erano in fuga da Aleppo est, la parte più colpita della già martoriata città simbolo, in questi mesi, dell’infinita guerra civile siriana. Il pericolo - A lanciare l’allarme è stato ieri l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. "È molto difficile stabilire la realtà dei fatti in una situazione tanto fluida e pericolosa - ha dichiarato Rupert Colville, portavoce dell’agenzia Onu - ma abbiamo ricevuto informazioni assai allarmanti, secondo cui centinaia di uomini sono spariti dopo essere entrati nelle zone di Aleppo controllate dal governo". Sempre stando a Colville, prima di scomparire coloro che mancano all’appello risulterebbero "separati dalle mogli e dai figli". Sarebbero stati gli stessi congiunti a denunciare di aver perso ogni contatto con loro dopo la fuga dal settore orientale, con sacche ancora in mano ai ribelli, a quello occidentale, che è sotto controllo dell’esercito fedele al presidente Bashar al Assad. A conferma della complessità e pericolosità della situazione c’è la presenza di circa 150 attivisti dell’opposizione che, si trovano ancora nella parte est e che hanno manifestato il timore di essere "catturati se tentassero di allontanarsene". Gli arresti - Il pensiero, anche come ricordato dal portavoce dell’Onu, è "la terribile cronistoria di arresti arbitrari, torture e sparizioni forzate da parte delle forze governative", cui più di recente si sarebbero aggiunte sistematiche "rappresaglie nei confronti dei civili sospettati di appoggiare i gruppi oppositori". Inoltre, sempre come riferito da Colville, almeno due sigle dei ribelli impedirebbero ai civili di lasciare la zona orientale. Si tratterebbe degli ex qaedisti di Jabhat Fateh al-Sham, l’ex Fronte al-Nusra, e dei salafiti del Battaglione Abu Amara, confluiti in Ahrar al-Sham. Nell’incertezza dei numeri c’è la Russia che fornisce dati sui civili in fuga. Secondo il Centro russo per la riconciliazione in Siria, sono poco meno di 8.500 i residenti di Aleppo che hanno lasciato i quartieri controllati dai ribelli: esattamente 8.461, di cui quasi tremila (2.934) i bambini. Nella seconda città del paese sono al lavoro le squadre di artificieri inviate da Mosca e arrivate nella base di Hmeymim il 3 dicembre. Si tratta, sempre secondo fonti russe riprese dall’agenzia Tass, di specialisti che hanno già operato a Palmira. Sul fronte militare sempre la Russia ha annunciato che il 93 per cento di Aleppo è nella mani delle truppe lealiste fedeli al regime di Damasco, arrivando a conquistare 52 settori della parte orientale. I raid - Le forze di Damasco sembrano non volersi fermare se non fino alla resa totale della città. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione vicina all’opposizione con sede a Londra, da ieri pomeriggio sono ripresi i raid dell’aviazione regolare siriana, almeno dodici, che lasciano immaginare come la "pausa-umanitaria" per permettere l’evacuazione dei civili si sia già conclusa. Ieri in serata è arrivata la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per un cessate il fuoco immediato, così come hanno chiesto sei governi (Canada, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti) in un comunicato pubblicato sul sito della Casa Bianca. E il segretario di Stato Usa uscente, John Kerry, ha annunciato che oggi incontrerà a Ginevra il collega russo, Sergej Lavrov, per "salvare Aleppo da una distruzione assolutamente totale e completa". Brasile. Sei omicidi all’ora, gli italiani preparano le valigie di Emiliano Guanella La Stampa, 10 dicembre 2016 La crisi economica fa impennare la delinquenza nelle grandi città. Turismo a rischio. Un quarto d’ora di pure terrore, il figlio diciassettenne in casa con tre banditi armati che rovistano ovunque, preoccupato che la madre non si svegli. Alessandra Vannucci, professoressa e regista teatrale genovese da 18 anni in Brasile, ha deciso quel giorno che avrebbe dovuto lasciare Santa Teresa, il quartiere che l’aveva accolta nella città carioca. Lo stesso dove ha trovato la morte questa settimana Roberto Bardella, motociclista cinquantaduenne di Jesolo che stava viaggiando in moto per il Sudamerica con il cugino ed è stato ucciso per essersi imbattuto per sbaglio in una zona controllata dalla criminalità organizzata. Dopo aver ospitato Mondiali di calcio e Olimpiadi, Rio de Janeiro è una città segnata dalla violenza, della disorganizzazione e dalla paura. "Sembra paradossale - spiega Vannucci, ma l’abbandono di Santa Teresa è arrivato proprio a causa delle Olimpiadi; mentre si costruiva in altre zone della città, qui hanno chiuso il cantiere per la linea dell’autobus che porta la gente dal centro della città e il degrado si è fatto sentire". Grazie al sangue freddo di suo figlio, che ha dato ai ladri tutto quello che volevano senza opporre resistenza, Alessandra può raccontare questa storia. "Per molto tempo il quartiere è stato un’isola felice, oggi a malincuore è diventato come altre parti della città. A Rio ci sono regole non scritte che devi saper rispettare sempre. Facciamo fatica noi che ci viviamo da tanto tempo, figuriamoci i turisti". La piemontese Costanza Assereto, invece, ha deciso di lasciare la sua attività a Lapa e tornerà presto in Italia. "Lapa è il centro della movida ed è abbastanza vigilato. Le zone turistiche come Copacabana e Ipanema sono più pericolose, per scippi e assalti in spiaggia. Posso dire che Rio è una città difficile e faticosa sotto molti punti di vista; il fattore sicurezza è un’aggravante. C’è sempre il pericolo che ti rubino il cellulare o le cose lasciate in spiaggia, ma anche che ti crolli una pista ciclabile appena costruita, come successo prima delle Olimpiadi". Oltre al glamour, insomma, resta ben poco della cidade maravilhosa. Questa settimana si sono viste scene di guerra in pieno centro, fuori dal palazzo dell’assemblea statale con i poliziotti in tenuta anti-sommossa sparando gas lacrimogeni contro i funzionari pubblici in agitazione per la proposta di taglio del 30% del salario. Lo Stato è in bancarotta, la crisi economica genera nuove sacche di povertà ed alimenta il serbatoio enorme della delinquenza, dalle piccole gang di scippatori minorenni alle grosse fazioni del narcotraffico. Uno dei pericoli è quello di finire nella zona sbagliata, cosa non rara se ci si affida ad un’autista di Uber, che non conosce la città e si muove solo con il gps. Ad ottobre i morti ammazzati nello Stato sono saliti a 482, il 10% in più rispetto all’anno scorso. Se si guarda all’intero Brasile i numeri sono da conflitto; 60.000 nel 2014, una tassa di 29 omicidi ogni 100.000 abitanti, la terza più alta al mondo dopo El Salvador e il Messico. Le forze dell’ordine sono spesso accusate di essere parte del problema invece che la soluzione; esecuzioni sommarie, vincoli con il narcotraffico, persecuzioni in pieno giorno o sparatorie che causano morti innocenti. Le "balas perdidas" uccidono bambini nelle viottole delle baraccopoli o passanti per le vie del centro delle principali città. I turisti sono più a rischio perché non sanno leggere le difficoltà. Intanto calano le prenotazioni degli hotel e anche le richieste per gli scambi universitari con studenti dall’Europa o dagli Stati Uniti. Ma se ci sono italiani ed europei e che se ne vanno, c’è anche chi cerca di rispondere alla cattiva pubblicità. Michele Vassallo è proprietario del ristorante italiano più gettonato a Pipa, nello stato di Rio Grande di Norte. "È importante sottolineare che la violenza è concentrata soprattutto nelle grandi capitali e non nei piccoli centri come il nostro. Se si fa di tutta l’erba un fascio, si fanno scappare i turisti europei in un momento già delicato, perché la crisi ha fatto diminuire la domanda interna". Le autorità consolari non si stancano di dare le raccomandazioni utili: non frequentare luoghi isolati o le spiagge di notte, contrattare servizi autorizzati e non taxi abusivi, non portare oggetti di valore o gioielli. Affinché una vacanza ai tropici non si trasformi in una terribile tragedia.