Nuovo processo penale, settembre sarà decisivo di Sara Menafra Il Messaggero, 16 agosto 2016 L’accordo sulla riforma del processo penale (che contiene i punti principali degli interventi sulla giustizia) sembra ormai blindato. Il voto della commissione è arrivato al fotofinish, la notte tra l’1 e il 2 agosto e subito dopo il testo è stato incardinato in aula così che il prossimo 13 settembre, alla riapertura dei lavori, il voto dovrebbe arrivare in tempi rapidi. Se non si rispetterà la promessa del Ministro Andrea Orlando - "sì entro la fine dell’estate il 21 settembre", ha continuato a ripetere - non ci si allontanerà di molto da quel traguardo, assicurano dalla maggioranza. Il provvedimento, un po’ nell’articolato un po’ nelle deleghe, contiene tre punti di intervento particolarmente spinosi. Il primo è quello relativo alla riforma della prescrizione: il nuovo testo prevede di bloccare il conto alla rovescia di un anno e mezzo tra primo e secondo grado e di un tempo altrettanto lungo tra secondo e appello. "Troppo poco, molti processi continueranno ad andare comunque al macero", ha commentato il relatore Pd Felice Casson. Ma visto che su questo "mini" blocco si è trovata l’unica intesa possibile con Ap e il parere favorevole del presidente della commissione Nico D’Ascola, sembra ormai scontato che la riforma non sarà più toccata. A pro- mettere battaglia sul punto è soprattutto Forza Italia. L’altro nodo dell’intervento riguarda le intercettazioni, per le quali è stato approvata una delega al governo che provvederà materialmente a scrivere l’articolato (senza ulteriori voti sul testo dettagliato). Al governo si dà il compito di limare l’accesso agli atti anche se il ministro della giustizia Andrea Orlando ha specificato che nella stesura dell’articolato sarà sentito il parere della Federazione della stampa e dell’Ordine dei giornalisti. Il testo fa riferimento ad alcune "buone prassi" in uso nei principali tribunali e cita gli interventi della corte di Strasburgo in materia di libertà di cronaca. Negli ultimi giorni prima della pausa estiva, forse un po’ a sorpresa, sono stati però gli articoli sull’utilizzo dei trojan (virus che permettono di intercettare ogni cosa contenuta nel dispositivo e usarlo da telecamera o registratore) in computer e cellulari ad accendere gli animi. Il testo non prevede strette per i reati più gravi, come mafia e terrorismo, ma si precisa che le intercettazioni ottenute con questi virus possono essere utilizzati come prova soltanto per i reati oggetto del provvedimento autorizzativo. In aggiunta si prevede che "non possano essere in alcun modo conoscibili, divulgabili e pubblicabili i risultati di intercettazioni che abbiano coinvolto occasionalmente soggetti estranei ai fatti per cui si procede". Gli M5S si sono inalberati, però, parlando di un testo "salva-politici". Terrorismo. Alfano: rischio radicalizzazioni nelle carceri, ma la prevenzione funziona Il Sole 24 Ore, 16 agosto 2016 "Nelle carceri c’è il rischio di radicalizzazioni e noi abbiamo lavorato per ridurlo". Lo ha detto il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, nella tradizionale conferenza stampa di Ferragosto. Contro il pericolo delle radicalizzazioni nei penitenziari è stato realizzato un programma complesso, fatto non solo di sanzioni, per evitare che si propagasse, ha spiegato Alfano, e il lavoro fatto "sta dando i suoi frutti". Il ministro ha aggiunto che "il nostro paese non ha nulla a che invidiare a nessun paese al mondo" e "il sistema di prevenzione anti terrorismo sin qui ha retto". "Il nostro Paese può essere considerato sicuro", ha poi spiegato Alfano, riferendo le conclusioni emerse dal Comitato per l’ordine e la, sicurezza pubblica che si è tenuto stamani. Non solo. "Gli investimenti per la sicurezza crescono, il contrasto alla criminalità organizzata ha ottenuto importanti risultati sia sul piano della cattura dei latitanti che del sequestro dei beni", ha aggiunto tra l’altro il ministro. Questi alcuni dei dati forniti dal ministro: ottantacinque estremisti per terrorismo islamico arrestati e 110 foreign fighters monitorati. Quanto all’allarme, rilanciato dal Copasir, sulle possibili infiltrazioni di terroristi jihadisti sui barconi dei migranti dopo la liberazione della roccaforte Is di Sirte in Libia, Alfano ha spiegato che "c’è stata la smentita del capo dell’Is rispetto a quanto pubblicato dai giornali in questi giorni, ma già prima ero in grado di dirvi che non c’erano riscontri a quanto era stato scritto: Sirte non si è manifestata come luogo di partenza di tante persone che arrivano sulle sponde del Mediterraneo". Finora, ha reso noto il ministro dell’Interno, 85 estremisti per terrorismo islamico arrestati e 110 foreign fighters monitorati. Quella della sicurezza resta comunque una priorità per il ministro dell’Interno, che ha annunciato l’intenzione di chiedere al presidente del Consiglio di porre il ddl sulla sicurezza delle città "tra i primi provvedimenti da assumere alla ripresa" dopo la pausa estiva, trattandosi, a suo avviso, di un tema "strategico e prioritario" Intanto, a Milano, dopo il recente allarme terrorismo internazionale, il sindaco Giuseppe Sala ha affermato riferendosi all’immigrazione che "I dati del Viminale sulla diminuzione percentuale dei reati sono buoni, ma non è che ci mettano tranquilli, i tempi sono quelli che sono e i cittadini hanno una loro percezione della quale dobbiamo tener conto". "Il punto vero è che questo screening rigoroso delle persone che arrivano sul suolo italiano deve essere fatto appena mettono piede a terra", ha poi aggiunto Sala, a margine della visita di Ferragosto al Comando della Polizia locale. "Noi comunque faremo la nostra parte anche con verifiche nei centri di accoglienza del Comune. Da settembre, inoltre, cercheremo di coordinare ancor di più le varie forze dell’ordine che operano sulla metropoli, la soluzione è quella". E a chi gli ha fatto notare le lunghe file per entrare in Duomo ha detto che "sì, c’è qualche code ma credo che la sensazione della gente sia "ci sono code perché ci sono i controlli"". Sicurezza: reati giù del 7%, in calo omicidi e rapine Il Sole 24 Ore, 16 agosto 2016 Reati in calo. In particolare diminuiscono scendono omicidi, rapine e furti. È quanto emerge dai dati del Viminale diffusi in occasione della tradizionale conferenza stampa di Ferragosto del ministro dell’Interno Angelino Alfano. I numeri rivelano anche che nell’ultimo anno sono stati arrestati 1.654 mafiosi, 85 estremisti legati al terrorismo internazionale e 793 scafisti. Ma guardiamo alle cifre più nel dettaglio. Nell’ultimo anno (il riferimento è al periodo compreso tra agosto 2015 e luglio 2016) i reati commessi sono stati 2.416.588, il 7% in meno di quelli compiuti tra agosto 2014 e luglio 2016. Scendono soprattutto gli omicidi (398, di cui 49 attribuibili alla criminalità organizzata), che fanno registrare una diminuzione del 11,3%; e sono in contrazione anche rapine (32.192, cioè -10,6%) e furti (1.346.501, -9,2%). In particolare i femminicidi sono stati 138, cioè il 32,91% del totale degli omicidi: la quasi totalità sono stati commessi dal partner (92,59%) o dall’ex (88,23%) o da un altro familiare (51,56%). Mentre le denunce per stalking sfiorano quota 10 mila (9.875). Oltre agli 85 arrestati, 109 persone sono state espulse per motivi di sicurezza e 110 i "foreign fighters" monitorati. Sono stati verificati 406.338 contenuti web e 527 sono stati oscurati dalle forze di polizia. In tutto sono state controllate 164.160 persone e 35.022 veicoli. Nel periodo preso in considerazione dal Viminale sono stati catturati 64 latitanti di rilievo, di cui 10 ritenuti di massima pericolosità. Sono stati sequestrati beni per 1.878 milioni di euro, mentre è stato pari a 1.916 milioni il valore di quelli confiscati. In particolare alla mafia sono stati sequestrati 6.865 beni pari a 1.651 milioni di euro. I dati del Viminale danno conto anche delle persone sbarcate: sono state 154.047 nell’ultimo anno e in quello in corso il 90% di loro sono state foto segnalate. Il 67% degli sbarchi è avvenuto in Sicilia, il 20 in Calabria, il 7 in Puglia, il 5 in Sardegna e solo l’1 per cento in Campania. Sono aumentate le richieste di asilo (passate da 71.539 a 105.867): ne sono state esaminate 94.027, ma due terzi sono state respinte (60.365). Dei migranti, 139.724 sono ospitati in strutture temporanee, centri governativi e Sprar. In tutto gli stranieri con regolare permesso di soggiorno sono oltre 4 milioni (4.004.376) e quasi 700mila (693.236) sono minori. Alfano: la prevenzione regge, Italia sicura. Sirte, nessuna prova porto dei jihadisti di Alberto Custodero La Repubblica, 16 agosto 2016 Il ministro dell’Interno dopo la riunione de Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica al Viminale. "Grazie ai 47mila italiani in divisa in servizio nel primo Ferragosto con la legge sull’omicidio stradale in vigore". "A Renzi chiederò ddl sicurezza città primo provvedimento post ferie". "Lo stato della sicurezza del nostro Paese è positivo. Gli investimenti crescono, i reati calano, il sistema di prevenzione sull’antiterrorismo ha fin qui retto, il contrasto alla criminalità organizzata ha dato risultati importanti. È un sistema che in questo momento non ha niente da invidiare a nessun altro Paese al mondo e che si avvale di 7050 militari delle Forze Armate che partecipano a servizi di ordine pubblico nell’ambito dell’operazione Strade Sicure. Grazie ai vertici delle forze dell’ordine, dell’Esercito e della Protezione civile che hanno fatto sì che il nostro Paese possa essere considerato sin qui sicuro, pur in un contesto in cui il rischio zero non esiste". "Paese sicuro perché la prevenzione funziona". Stimolato dalle domande dei giornalisti, Alfano ha esposto la sua teoria per spiegare perché a suo dire l’Italia sia un "Paese sicuro", e perché fino a ora non sia stata presa di mira da attentati terroristici. "C’è chi si affida alla Madonna Assunta - è la tesi del ministro -. Io non mi affido alle preghiere, ma dico che il sistema prevenzione ha funzionato. L’obiettivo della prevenzione è far sì che non si verifichi niente, un lavoro faticoso e svolto nel grigiore: se non succede niente perché o per che cosa dovrebbero ringraziarti? Però abbiamo monitorato 110 foreign fighter alcuni dei quali sono morti. Ottantacinque estremisti per terrorismo islamico sono stati arrestati. Abbiamo oscurato 527 contenuti web, controllato 14 mila persone, 132 mila veicoli e 149 motonavi. Ripeto, si può invocare la cabala e interrogare l’oroscopo. Per me è la prevenzione che ha funzionato". "Ma le espulsioni per motivi di sicurezza nazionale - ha precisato il titolare del Viminale - non vanno confuse con le espulsioni dei migranti che non hanno il diritto di rimanere in Italia". Così il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, nel corso della consueta conferenza stampa di Ferragosto al termine della riunione del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica a cui partecipano il viceministro Filippo Bubbico (Pd), il capo di gabinetto del ministro, i vertici delle forze dell’ordine e dei servizi di intelligence e il nuovo capo dei vigili del Fuoco, il prefetto Bruno Frattasi, ex capo del Legislativo, ex prefetto di Latina durante il caso-Fondi. I delitti in calo e l’attacco di Salvini. Alfano ha replicato a Matteo Salvini, il segretario leghista che, nei giorni scorsi, aveva imputato il calo dei delitti alla rinuncia della gente a denunciare piccoli reati. "Molti - aveva detto Salvini a ‘Radio 24’ - i piccoli reati non li denunciano più sapendo che in nove casi su dieci non si becca il responsabile. Quindi non sempre il numero dei reati corrisponde al numero delle violenze effettivamente perpetrate". La replica di Alfano. "Le statistiche non è che sono affidabili quando sei al governo (il riferimento è di quando la Lega aveva il ministro dell’Interno Roberto Maroni durante l’ultimo governo Berlusconi, ndr), e non sono attendibili quando sei all’opposizione. E le statistiche ci dicono che i reati sono arrivati al punto più basso degli ultimi dieci anni". "Chiederò al presidente del Consiglio - ha aggiunto - che il ddl sulla sicurezza nelle città sia tra i primi provvedimenti di legge da assumere al ritorno dalle ferie estive". "La sicurezza è una priorità nazionale - ribadisce il ministro - e le risorse in questo triennio sono cresciute invertendo la rotta dei tagli dei precedenti governi. Dal 1 agosto 2015 al 31 luglio scorso abbiamo assunto 1.821 persone nella polizia di Stato e altre 500 arriveranno entro la fine dell’anno. Da Ferragosto 2015 a Ferragosto 2016 sarà stato assunto un numero di forze dell’ordine pari a quello di quanti vanno in pensione". Il bilancio della sicurezza. Incontrando la stampa, il ministro dell’Interno passa in rassegna temi relativi a ordine pubblico, criminalità. violenza di genere, sicurezza stradale, migranti, infiltrazioni negli enti locali, terrorismo, contrasto all’abusivismo, le risorse su sicurezza e difesa, il soccorso pubblico. E ringrazia "i 47mila italiani in divisa in campo oggi per garantire un Ferragosto sicuro". A Napoli il generale della guardia di finanza Gianluigi D’Alfonso ha annunciato il sequestro di 9 tonnellate sigarette. Il sequestro di 7 milioni di prodotti contraffatti nei mesi scorsi. E il sequestro di 97 milioni di euro tra beni immobili e aziende ai camorristi. A Messina il questore Giuseppe Cucchiara s’è soffermato "sull’imponente servizio di ordine pubblico in occasione della festa della Madonna Assunta". Il direttore del carcere Opera di Milano ha presentato i primi dati sulla raccolta dei dati biologici tra i detenuti che andrà a costituire la banca nazionale del Dna di recente costituzione soprattutto ai fini di antiterrorismo. "Da quando è stata istituita la banca dati - ha riferito il direttore di Opera - sono stati fatti 6 mila prelievi in corso di analisi presso il centro di riferimento di Roma". Immacolata Postiglione della Protezione civile di Roma ha poi escluso calamità naturali: "Non è previsto alcun evento sismico. Non sono previste emergenze idrogeologiche. Stiamo seguendo l’apertura di una nuova bocca nel cratere Voragine dell’Etna. Un Canadair italiano è impegnato in Portogallo nell’ambito della cooperazione europea antincendio". Loris Munaro comandante dei Vigili del fuoco di Venezia ha annunciato "il ritrovamento di una bomba a mano della Seconda Guerra in una spiaggia. E il salvataggio di un marinaio avvenuto grazie a ‘occhi agli infrarossì che era svenuto nella sala macchine di un mercantile turco che aveva preso fuoco". Domenico Santisi della Guardia Costiera di Rimini ha fornito le cifre dell’affollamento dei turisti: "Due milioni di persone sono sulle spiagge, 200 le barche da diporto in mare". Omicidio stradale. Alfano tiene a sottolineare come si tratti del "primo Ferragosto in cui è in vigore la legge sull’omicidio stradale, per contrastare chi confonde la patente di guida con la patente di uccidere". "Abbiamo voluto colpire in modo molto duro - aggiunge il ministro, collegato in videoconferenza con il comando provinciale di Palermo dei Carabinieri - e mi auguro che vi sia da parte delle forze dell’ordine e dalla magistratura, che ringrazio, la sensibilità adeguata per far sì che il rodaggio sia più breve possibile". Il comandante Provinciale dei carabinieri di Palermo, colonnello Giuseppe De Riggi, ha annunciato che nella notte tra sabato e domenica un motociclista è stato ucciso da un automobilista risultato positivo al test antidroga. E per questo subito arrestato per omicidio stradale. Is: radicalizzazione nelle carceri. "Nelle carceri c’è il rischio di radicalizzazioni", ricorda il ministro dell’Interno, rilanciando l’allarme di qualche giorno fa del ministro della Giustizia Andrea Orlando. "Noi abbiamo lavorato per ridurre il fenomeno - ha aggiunto -. Non solo con sanzioni, abbiamo lavorato per la deradicalizzazione, per espiantare il germe dal carcere. Lavoro in carcere che sta dando frutti ma che non è facile: se si rendono conto, ad esempio, che ci sono provvedimenti contro chi esulta in carcere, si organizzano per non farsi individuare. E così a noi tocca a nostra volta riorganizzarci". La sicurezza dei trasporti. Gli episodi di aggressioni in treno in Germania non sono evidentemente passati inosservati. "Abbiamo potenziato nei limiti del possibile i controlli sui treni e ci sono più persone di quelle che si vedono in divisa. Lo schema a cui qualcuno ambisce è 60 milioni di italiani per 60 milioni di poliziotti, ma non è realizzabile. Noi ci impegniamo con uno sforzo immane. In un contesto in cui non c’è il rischio zero abbiamo incrementato i controlli di navi, passeggeri e aeroporti". Sirte porto di imbarco: la smentita in diretta. Alfano poi tende a smontare la teoria di Sirte, roccaforte libica appena liberata dall’occupazione dell’Is, che sarebbe porto di imbarco dei jihadisti per "Roma", come suggerito da una scritta su un muro della città. "Eravamo già in grado di dirvi che non c’erano riscontri di quanto pubblicato sui giornali - ha detto Alfano - Non abbiamo evidenze certe che Sirte sia un luogo di partenza per chi intenda arrivare sull’altra sponda del Mediterraneo. Il nostro sistema di controllo dei migranti avviene ormai con grande perizia. Non era così nel 2014. Oggi usiamo la fotosegnalazione con un livello maggiore di identificazione. Contiamo di aprire delle sedi distaccate per effettuare il rimpatrio di chi non ha titolo per restare in Italia". A proposito di immigrazione, il ministro ha "ringraziato la Capitaneria di porto e la Guardia costiera per il ruolo nella gestione dell’emergenza migranti. Il loro protagonismo è stato straordinario". "Sembrano cifre burocratiche - ha detto - ma per ciascun numero c’è una donna, un bambino, una vita salvata". La Forestale: "Galloni di polizia giudiziaria sul campo". Alfano poi esprime "la grande stima del governo nei confronti del Corpo forestale, che dal gennaio del prossimo anno transiterà nei ranghi dell’Arma dei carabinieri. E che si è guadagnato sul campo i galloni di polizia giudiziaria. Grazie per lealtà dimostrata in questo periodo di transizione che porterà la polizia ambientale a diventare tra le più specializzate in Europa. Con 1580 uomini, 53 pattuglie, 3 natanti. Protagonista di indagini sulla filiera agropastorale e prevenzione incendi". A proposito del "crimine all’ambiente dell’incendio boschivo", la dottoressa Daniela Piccoli ha parlato di "un nuovo metodo sviluppato insieme all’Università di Napoli che consente, anche con l’aiuto di droni, di risalire dopo l’incendio all’area dell’innesco per trovare là, in quella zona, indizi che portino al piromane. È un metodo dai grandi risultati, gli incendi si sono ridotti del 25% in meno rispetto all’anno scorso, del 15% rispetto agli ultimi 5 anni. Sono state denunciate 6000 persone, 183 arrestate". I Radicali: "giustizia, primo problema d’Italia". In carcere a Ferragosto senza Pannella La Repubblica, 16 agosto 2016 Una delegazione con Rita Bernardini e Roberto Giachetti in visita nel penitenziario romano di Rebibbia come faceva da anni il leader scomparso a maggio. "Continuiamo la battaglia di Marco per gli ultimi: qui, il primo settembre, il nostro congresso". La prima volta senza Pannella, dirigenti e militanti del partito radicale sono entrati a ferragosto a far visita nel carcere romano di Rebibbia come ha fatto per decenni il loro leader scomparso lo scorso 19 maggio. "Quando entravamo con lui", ha ricordato a margine della visita Rita Bernardini, tesoriere del Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei "c’era uno scroscio di applausi e tante voci che dicevano "Marco, sei uno di noi". Con Bernardini, anche Roberto Giachetti, vice presidente Pd della Camera dei Deputati sempre è stato al fianco di Pannella nelle visite in carcere durante le festività più importanti dell’anno e che in un tweet scrive: "Oggi come ogni anno a Rebibbia con detenuti e agenti. La Costituzione la difendo e onoro così, non con chiacchiere". "Proseguiamo l’impegno di Marco a fianco degli ultimi, di chi finisce in carcere: per la maggior parte dei casi di tratta di persone emarginate, tossicodipendenti o malati psichiatrici che dovrebbero essere curati e migliaia di altri che avrebbero diritto a pene alternative, e invece possono fare poco e niente", ha aggiunto la ex deputata radicale. E ancora microfoni aperti su una delle battaglie più sentite dai pannelliani: "Il problema dell’Italia è il problema della giustizia, col suo carico di milioni e milioni di procedimenti penali pendenti. Questa è la battaglia di Marco per far funzionare il paese e noi la proseguiamo". Con un post sui social che evidenzia #?sovraffollamento #?acquafredda #?cessocucina #?noeducazione #?nolavoro #?novisite #?nomedicine #?nodottori #?nogiustizia #?nofuture. E con l’annuncio che, per dare contenuti concreti al tema politico, si terrà proprio a Rebibbia dall’1 al 3 settembre il 40° congresso straordinario del partito, il primo convocato - a norma di statuto - da un terzo degli iscritti al Partito Radicale da almeno sei mesi, col titolo "Da Ventotene a Rebibbia" in continuità con i padri fondatori dell’Europa che, dal carcere e dal confino, concepirono il potente manifesto del federalismo europeo. Sigarette, risotto e Platone. La vita in cella di Gramazio jr di Francesco Bei La Stampa, 16 agosto 2016 L’ex capogruppo Pdl arrestato per Mafia Capitale è a Rebibbia con i detenuti del 41 bis. Carcere di Rebibbia, braccio G 12 Alta Sicurezza. Le porte blindate si aprono e si richiudono con un ronzio metallico alle spalle dei visitatori, le vecchie chiavi di ferro in questo penitenziario modello, dove sono rinchiusi pericolosi criminali da 41 bis, le hanno abolite da tempo. In quella che sembra un’aula scolastica, con la lavagna e le sedioline di legno da scuola media, un ragazzone alto e magro arriva inquieto e sospettoso. Un tempo, nemmeno un anno e mezzo fa, era il capogruppo del Pdl nel consiglio regionale del Lazio, il più votato a Roma e provincia. Figlio ed erede politico di un altro potente della destra missina: Domenico Gramazio detto er Pinguino. Oggi Luca Gramazio, 35 anni, è solo un detenuto come gli altri, in custodia cautelare dal quell’alba del 5 giugno 2015, quando lo misero dentro per Mafia Capitale. Soldi e assunzioni in cambio di appalti per le cooperative di Buzzi e Carminati, dai campi nomadi alle piste ciclabili di Roma. È questa l’accusa, era a libro paga del mondo di mezzo. "Riceveva costantemente erogazioni di denaro da parte di Salvatore Buzzi, che agiva di concerto con Massimo Carminati. 98 mila euro in contanti e 15 mila con bonifico - scrisse il Gip Flavia Costantini - per un finanziamento al comitato Gramazio, più l’assunzione di dieci persone". Gramazio si è difeso in aula: "Le assunzioni sono state 5-6 re di Forza Italia Francesco Giro, per oltre un anno nessuno lo è andato a trovare. Si capisce che sia all’inizio un po’ sospettoso. Dimagrito - dai 105 chili è sceso in un anno di prigione a 84, capelli corti e barba curata, Gramazio non si mostra sorpreso di essere stato "dimenticato". Gli fa piacere tuttavia sapere che sui social, grazie anche al pressing di Francesco Storace, è scattata una mobilie tazione per fargli avere, almeno, i domiciliari. Ma non si fa illusioni. "Resterò qui dentro fino alla sentenza". Una sigaretta tira l’altra, il posacenere ricavato da una scatoletta di tonno Mareblù si riempie subito. Le giornate in galera non passano mai, il tempo è fin troppo. Per questo Gramazio legge, come forse non aveva mai fatto prima. Era conosciuto per il suo carattere rude, uno da cortei, vicino a Casapound, non un intellettuale. Prima si è fatto fuori tutta la collezione di Francesco Alberoni che ha trovato nella biblioteca di Rebibbia, poi è passato a qualcosa di più impegnato: la Politica di Aristotele, i Dialoghi di Platone. Dopo qualche mese di carcerazione, finalmente lo scorso novembre è iniziato il processo. E Gramazio Jr non si è perso un’udienza. "Dal lunedì al giovedì c’è il processo, udienza la mattina e il pomeriggio. Poi venerdì sabato e domenica mi butto sulle carte. Sono decine di migliaia, ordinanze, intercettazioni, faldoni interi. C’è così tanto da studiare. Il dibattimento è ben condotto, ho molta fiducia nei giudici". Certo, dentro non è una passeggiata. Il cibo all’inizio è respingente. "Ma in cella, dove sto con altri tre romani, c’è per fortuna un compagno che chiamiamo Masterchef. Noi gli facciamo la spesa allo spaccio interno e lui cucina: ieri c’ha preparato in cella un risotto alla provola e salmone, squisito". Quando non è in cella o nell’ora d’aria, dove una volta ha incrociato Marcello Dell’Utri, trasferito a Rebibbia dal supercarcere di Parma, Gramazio si tiene in forma come può. Palestra, si è iscritto al torneo di calcetto e ha pure vinto. Quando lo racconta sorride e sorridono pure l’ispettore della Penitenziaria Luigi Giannelli e la dirigente del carcere Ida Passaretti, due professionisti che provano a rendere questa istituzione più umana possibile. Sembra quasi una normale conversazione in un caffè, distesa. Salvo quando, sul finire, Giro accenna al figlio Valerio. Il volto di Gramazio si indurisce, lo sguardo si perde altrove. La moglie era al nono mese quando i carabinieri lo vennero a prendere. Valerio è nato 20 giorni dopo, ha poco più di un anno, l’età della detenzione del padre. Ma Luca Gramazio non lo ha mai voluto vedere, ha chiesto a Patrizia e ai nonni di non portarlo in visita. "Lo abbraccerò soltanto da uomo libero". Se le cose vanno così, visto che siamo ancora al primo grado, gli avvocati dicono che non se ne parlerà prima del 2019. Il Gip non può ipotizzare più reati di quelli indicati dal Pm di Patrizia Maciocchi Il Sole 24 Ore, 16 agosto 2016 Corte di cassazione, sentenza 12 agosto 2016, n. 34881. Il giudice per la indagini preliminari non può invadere il campo del pubblico ministero rispondendo alla sua richiesta di archiviazione con l’invito a formulare un ulteriore reato oltre a quelli indicati. La Corte di cassazione, con la sentenza 34881/2016, bolla come abnorme e dunque annullabile l’atto con il quale il Gip, in un eccesso di zelo, vede gli estremi per contestare all’indagato un reato in più rispetto a quelli per i quali è già stato iscritto nel registro degli indagati. Nel caso esaminato, alla ricorrente erano state mosse diverse accuse tutte per dei comportamenti non proprio ortodossi nei confronti di un pubblico ufficiale. La donna era accusata di resistenza, oltraggio e lesioni (articoli 337, 341-bis e 582 del Codice penale), un "pacchetto" che il Gip aveva chiesto di archiviare. Il giudice per le indagini preliminari, però, invece di accogliere la richiesta, aveva segnalato alla pubblica accusa anche il possibile reato di calunnia (articolo 368 del Codice penale), ipotesi non presa in considerazione dal Pm. Per la Cassazione il Gip è andato oltre il suo "mandato" che è quello di ordinare le iscrizioni nel registro delle notizie di reato senza tracciare con la sua decisione un percorso che finisce con l’espropriare il Pm del suo diritto-dovere di esercitare l’azione penale, privandolo della capacità di decidere al riguardo. Carcere. Il principio è quello della disuguaglianza di Laura Coci Il Cittadino, 16 agosto 2016 Nel maggio scorso, a Lodi, carcerazione e carcere sono stati protagonisti del discorso pubblico, con eco perduranti. Eppure ogni giorno, in Italia, sono tratte in arresto alcune centinaia di donne e uomini (73.958 nel 2014, per opera della sola Arma dei Carabinieri) e ogni giorno sono migliaia le segnalazioni relative a persone denunciate e successivamente arrestate o fermate dalle forze di polizia (980.854 nel 2014; fonte: Istat). Alle persone tratte in arresto è applicata, di norma, la misura della custodia cautelare (che dovrebbe rappresentare, invece, una procedura d’eccezione), custodia che si protrae ben oltre undici giorni; non poche delle persone detenute saranno poi riconosciute innocenti (nel 2014 sono state accolte 995 domande di risarcimento per ingiusta detenzione e liquidati 35,2 milioni di euro; fonte: Ministero della Giustizia). Gli uomini detenuti, in particolare, conoscono l’internamento in una istituzione totale: un luogo di disperazione, di povertà materiale, di malattia fisica e psichica. E, ora, nuovamente sovraffollato: al 30 giugno 2016 il numero dei ristretti è salito a 54.072, a fronte di una capienza regolamentare di 49.701 posti (fonte: Antigone). Un numero certo lontano dalle 69.155 unità con le quali il 30 novembre 2010 l’Italia raggiunse il massimo storico della popolazione carceraria, ma in allarmante controtendenza rispetto al passato recente. Che dire infine delle familiari (madri, sorelle, spose, compagne, figlie) dei ristretti? Affrontano pazienti il dolore e la corvée della richiesta di permesso, della consegna di pacchi e denaro, della perquisizione corporale, dell’attesa in sale dagli orologi rotti. Lavorano per mantenere sé stesse, i figli, il proprio uomo recluso (se non è ricco di famiglia). Tutto questo, di norma, in un silenzio indifferente, se non peggio: "Se la sono cercata, se la godano" è l’espressione del sentire comune. Quasi che il carcere sia un mondo a parte che inghiottisce un’umanità minore, degradata e violenta, indegna. E quasi che l’appartenenza a un ambito sociale e culturale rispettabile (e privilegiato) metta al riparo dalla possibilità stessa della detenzione. Allora, soltanto allora, il carcere diviene protagonista del discorso pubblico, che si esprime con accenti di sdegno e stupore (e di solidarietà) impensabili per "detenuti comuni". Perché la legge non è uguale per tutti, nelle intenzioni forse, nei fatti no. Una condizione economicamente agiata consente la difesa da parte di un legale esperto (o di un collegio di legali), dunque maggiori possibilità di far valere le proprie ragioni, di ottenere misure alternative o rimessione in libertà, se non dilazione del procedimento giudiziario o prescrizione del reato. Esiti differenti, molto differenti, che cambiano vite e destini. È vero: di norma, in carcere finiscono gli ultimi, i perdenti, ma possono finire anche i primi. E non è detto che questi siano meno colpevoli, per quanto autori - se riconosciuti autori - di reati non ascrivibili alle categorie contro la persona o il patrimonio. Platone, filosofo greco annoverato tra i padri del pensiero occidentale, sostiene - nelle Leggi - che l’ingiustizia e il male sono il risultato del predominio nell’anima di rabbia e paura, nonché del desiderio di piaceri. Di queste emozioni, le prime conducono ai reati d’impeto, agiti da parte di coloro che non hanno adeguati strumenti di discernimento del bene e di controllo dei propri stati d’animo: gli ignoranti, quelli che non sanno, che vagano brancolando nelle tenebre e commettono i crimini in risposta alle avversità della propria esistenza, in una spirale di distruzione e autodistruzione (è la tesi espressa dal filosofo Baruch Spinoza nell’Etica). Dalle tenebre, tuttavia, è possibile affrancarsi grazie alla conoscenza, che, con la guida della ragione, conduce alla saggezza e alla verità. Certo, come afferma Dante nel Convivio, occorre che gli esseri umani abbiano la possibilità di accedere al sapere, che non siano gravati da uno stato di necessità materiale che li pieghi ad altro. I sapienti e i saggi, e tra questi coloro che reggono le sorti dello stato, i governanti, hanno conoscenza, discernimento e controllo - sostiene Platone nella Repubblica -; posseggono strumenti per comprendere e interpretare la realtà e dunque hanno responsabilità maggiori nel consesso umano; non possono agire contro la legge e, se lo fanno, decadono dalla propria condizione di saggi atti al governo. Riflettere sulla filosofia della pena non significa negare imparzialità e distanza nel giudizio, perché il giudizio - pur rifuggendo dalla soggettività del magistrato e pur ascrivendo ciascun reato entro una categoria data - non può ignorare la soggettività di chi commette un delitto e le circostanze in cui questo è agito. È una valutazione morale? No, è un principio etico. È un concetto che non pertiene alla giurisprudenza? No, perché l’idea stessa di crimine varia nel tempo e nello spazio, più o meno coerentemente con le trasformazioni sociali e culturali. Valga per tutti l’esempio della schiavitù, il più grande crimine della storia umana, per millenni legittimato e non riconosciuto come tale. Esistono dunque crimini dei deboli (talvolta dettati dal bisogno, il "padre di delitti" che - scrive Giuseppe Parini in una celebre ode - facilmente persuade a violare i diritti altrui) e crimini dei potenti, i quali, nonostante la loro condizione di privilegio, le ricchezze di cui dispongono, il tessuto di relazioni di cui godono, violano la legge, o meglio, la rideterminano ("la giustizia è la legge con la quale i forti impongono il loro vantaggio", afferma Trasimaco nella Repubblica di Platone), in ragione del principio economico di utilità (è "bene" o "giusto" ciò che aumenta il benessere dei cittadini). "Le ineguaglianze sociali determinano gradi diversi di libertà - scrive Vincenzo Ruggiero. Maggiore il grado di libertà goduto, maggiore, perché più ampia, la gamma delle scelte disponibili, insieme al repertorio di decisioni potenziali e alla possibilità di prevederne realisticamente gli effetti" (in Perché i potenti delinquono). Chi è più potente possiede certamente maggiori conoscenze e libertà e, soprattutto, "maggiore possibilità di attribuire le definizioni di criminalità agli altri e di respingere quelle che gli altri gli attribuiscono. Ha anche maggiori possibilità di controllare gli esiti della propria condotta criminale, generalmente non facendola apparire come tale" (in Crimini dei deboli e dei potenti). Le leggi dell’economia, che la società neoliberista ha assunto a criterio universale, riconducono al punto di partenza: che un debole, un disperato, che non produce nulla, sia inghiottito dal carcere importa poco; che un potente, un governante, che produce valore, vi transiti per qualche giorno scatena il dibattito pubblico. Il principio di disuguaglianza è dato. Asti: i Garanti dei detenuti visitano il carcere di Selma Chiosso La Stampa, 16 agosto 2016 Bruno Mellano, Garante regionale dei detenuti (ex deputato radicale) e Anna Cellamaro, Garante comunale, oggi visiteranno il carcere ad alta sicurezza di Asti. La "visita" di Ferragosto è un po’ una tradizione. Bruno Mellano ha scelto Asti per affrontare la questione "Alta sicurezza" che riguarda non solo Asti ma anche altri istituti del Piemonte. A breve dovrebbero concludersi i "ritocchi" al nuovo padiglione di Saluzzo, in realtà praticamente terminato circa quattro anni fa ma mai entrato in funzione per problemi legati a una ditta che stava ultimando i lavori. Tra settembre e ottobre dovrebbe essere inaugurato e accogliere detenuti Alta sicurezza alleggerendo gli altri istituti di pena e tra questi, come ha preannunciato la consigliera regionale Angela Motta anche quello di Asti. Si intrecciano due fattori: da un lato la preparazione del personale di polizia penitenziaria che deve trattare con questa tipologia di carcerati, dall’altra lo studio, il lavoro, le attività a lungo termine, a cui questi detenuti hanno diritto. Spiega Bruno Mellano: "Il carcere di Asti è sovraffollato, speriamo nella soluzione "Saluzzo. Incontreremo la direttrice Elena Lombardi Vallauri per organizzare una strategia educativa. Intanto la Compagnia di San Paolo finanzierà per Asti un "corso" per la polizia penitenziaria e il 1 ottobre ci sarà un convegno in Comune, sempre ad Asti". Parma: visita di Ferragosto ai detenuti dei reparti sanitari e per disabili Ristretti Orizzonti, 16 agosto 2016 Questa mattina il Garante dei detenuti del Comune di Parma, Roberto Cavalieri, si è recato in visita agli Istituti penitenziari di Parma in occasione della ricorrenza del Ferragosto. Accompagnato dalla vice direttrice dr.ssa Lucia Monastero e dal Commissario della Polizia Penitenziaria Claudio Ronci sono stati visitati i reparti e le celle del Centro diagnostico terapeutico dove sono reclusi detenuti con gravi patologie e assegnati dal Dipartimento della amministrazione penitenziaria all'istituto di Parma per ricevere cure adeguate e normalizzare le condizioni cliniche dei reclusi. Il reparto ospita complessivamente 20 detenuti (di cui 7 in regime 41 bis e reclusi in un'area indipendente) assistiti da 4 detenuti comuni. La visita è poi proseguita nelle sezioni per persone con disabilità. La sezione paraplegici, nella quale si trovano 8 detenuti assistiti da 3 detenuti comuni. Qui il Garante ha acquisito copia della documentazione sanitaria da parte di un detenuto nella quale si certifica l'impossibilità di potere assicurare una adeguata presa in carico da parte dei sanitari del carcere per la grave patologia di cui soffre il paziente. Il caso sarà sottoposto all'attenzione del Magistrato di sorveglianza. Nella sezione cosidetta per Minorati fisici, detenuti che conservano un certo grado di autosufficienza, si trovano 32 detenuti compresi alcuni adibiti all'assistenza. I detenuti presenti nel giorno della visita sono 574 di cui 306 nel circuito di media sicurezza, 36 AS1 (criminalità organizzata di tipo mafioso), 169 AS3 (reati associativi di tipo mafioso) e 63 nel reparto 41 bis. Gli ergastolani presenti sono 88, 34 i detenuti con pene di oltre 20 anni, 10 quelli che accedono alla misura alternativa della semilibertà e 9 al beneficio del lavoro esterno. Dallo scorso 3 agosto una nuova disposizone della direzione del carcere autorizza anche per le tre sezioni della media sicurezza del lato B, nelle quali sono reclusi i detenuti nuovi arrivati, giudicabili o con problemi disciplinari, un ampliamento delle ore di accesso ai passeggi all'aria o alla socialità in sezione o nelle celle. A questo si aggiunge l'accesso alle docce nell'arco della intera giornata. L'invito alla direzione del carcere e alla direzione sanitaria dell'istituto è quello di attivare ogni possibile intervento affinché si possa offrire ai detenuti con gravi patologie e disabili un più efficace e significativo accesso alle attività trattamentali, al contatto con i volontari penitenziari e, dove lo stato di salute lo permette, alle attività scolastiche ed educative. Reggio Calabria: il Garante dei detenuti visita le carceri a Ferragosto strill.it, 16 agosto 2016 "Ho sentito il dovere istituzionale, oltre che umano e personale, di recarmi presso gli istituti penitenziari di Reggio Calabria, Arghillà e "Panzera", per i quali sono competente in ragione delle funzioni che esercito quale garante comunale dei diritti dei detenuti, al fine di dare un segno della presenza, e della non dimenticanza, istituzionale e funzionale dell’Ufficio del Garante a quanti si trovano ristretti nei due istituti penitenziari reggini”. Così in una nota Agostino Siviglia, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, che aggiunge: “Quella delle visite in carcere nel giorno di ferragosto è peraltro una consuetudine oramai consolidata in seno al coordinamento nazionale dei garanti territoriali, sulla scorta delle iniziative promosse dai radicali ed in particolare da Marco Pannella, a cui va un particolare e sentito ricordo per le innumerevoli battaglie sostenute sul fronte dei diritti dei detenuti. Ringrazio, innanzitutto, il personale di sorveglianza penitenziario di Arghilla’ e del ‘Panzera’ che mi ha accompagnato durante le visite carcerarie, nelle persone degli Ispettori di Polizia Penitenziaria Maria Ferrara e Daniela Iriti e dell’Assistente Capo Bruno Serra. Mi ha colpito il silenzio assordante ed il senso di vuoto ed isolamento che nella giornata di ferragosto ho potuto respirare in entrambi gli istituti di pena, anche perché non erano previsti colloqui con i familiari, dal che quella del garante e di qualche volontario oltre che dei sacerdoti che officiavano la messa in occasione della festività dell’Assunta hanno finito per essere l’unico segnale tangibile della presenza della comunità esterna. Eppure la legislazione penitenziaria sancisce la indispensabilità di una interazione ‘ufficiale’ fra il ‘mondo ufficiale’ ed il ‘mondo del carcere': tanto ancora dovrà farsi su questo fronte, non senza esprimere un sentito encomio per quanti prestano gratuitamente il proprio servizio nelle carceri reggine. La visita ufficiale del Garante, in questo senso, ha voluto informarsi, sopra di ogni altra cosa, del significato di un gesto di umanità, nel solco beninteso di quel ‘senso di umanità’ sancito all’art.27 della Costituzione, che i padri costituenti ritennero di riservare proprio alla esecuzione delle pene. Ed evidentemente non è un caso che la parola ‘umanità’ viene usata solo una volta nella Costituzione repubblicana, allorquando si sancisce che ‘le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato’. Certo le diverse tipologie di detenuti ristretti nei due differenti istituti reggini meritano un approfondimento di analisi e di possibilità di intervento sul fronte della individualizzazione del trattamento rieducativo che, evidentemente, non possono trovare compiutezza in questa sede. Tuttavia anche durante queste due visite ferragostane l’occasione è stata utile per raccogliere e focalizzare una serie di istanze, per vero già note all’Ufficio del Garante, prima fra tutte quella relativa alla carenza di personale di polizia penitenziaria che si riverbera negativamente sul fronte del trattamento rieducativo e conseguentemente su quello dell’abbattimento della recidiva del reato. Pur se paiono oramai superati i periodi cronici del sovraffollamento carcerario (ad Arghilla’ sono presenti 292 detenuti su una capienza di 350 ed al ‘Panzera’ 149 su un capienza regolamentare di 160) permangono le sfide in tema di reinserimento socio-lavorativo dei detenuti e dei soggetti in misura alternativa alla detenzione, oltre che alcune strutturali carenze, in specie relative all’istituto di Arghilla’, ancora privo di un campo da calcio, di una cappella e di uno spazio teatro, come già in altre occasioni questo Ufficio non ha mancato di segnalare, e continuerà a segnalare, ai Dirigenti apicali dell’Amministrazione Penitenziaria. Per converso, entro la fine del mese di agosto o al massimo entro i primi giorni del mese di settembre si avvieranno i lavori di pubblica utilità dei detenuti dello stesso carcere di Arghilla’ che svolgeranno lavori volontari e gratuiti in favore della collettività, in una prima fase occupandosi della manutenzione del verde pubblico. Per vero, non senza qualche ritardo burocratico-amministrativo, considerato che il Protocollo fra carcere, comune, tribunale di sorveglianza e uepe è stato sottoscritto lo scorso 7 giugno, appaiono oramai superati gli ultimi adempimenti necessari all’imminente avvio e quindi all’implementazione sistemica di queste e di ulteriori attività in tema di ‘giustizia riparativa’, mediante lavori volontari e gratuiti in favore della collettività, sia esterni che interni al carcere. In ultimo, una particolare attenzione merita la visita riservata alla sezione femminile del ‘Panzera’, una delle due sezioni femminili insieme a Castrovillari di tutta la Calabria, per la evidente specificità del trattamento rieducativo relativo alle donne detenute. Alcune positive iniziative sono state già realizzate negli scorsi anni ma di certo la possibilità di ‘occupare’ le donne detenute, anche e soprattutto con attività interne al carcere, risulta non solo doverosa ma anche strategica nell’ottica della individualizzazione trattamentale e della positiva partecipazione della comunità esterna. In definitiva, il segno di una presenza istituzionale in un giorno caldo e silente di festa per chi si trova ristretto, si colma di senso se davvero si coglie l’importanza dei gesti simbolici, sia per quanti il carcere lo vivono da reclusi perché possono vedere una testimonianza positiva di attenzione, sia per quanti dall’esterno il carcere lo vivono come un ‘pianeta’ a parte, che non li riguarda, magari perché possono cominciare a chiedersi se il carcere sia davvero una società a parte o piuttosto sia una parte della società. Alle nostre latitudini risulta perciò cruciale vincere la sfida della rieducazione penale, offrendo opportunità di scelta di vita alternativa, e ciò non solo per innescare positivi processi di cambiamento per il singolo detenuto ma ancor più per realizzare effettivi avvenimenti di cambiamento sociale per l’intera comunità”. I mesi dell’ansia, ma nessuna resa di Beppe Severgnini Corriere della Sera, 16 agosto 2016 La sconfitta dell’Isis non avviene solo a Sirte. La sconfitta dei nuovi barbari avviene ogni volta che uno di noi esce di casa, sale in automobile e fa quello che ha sempre fatto. È uno strano Ferragosto di ansia e di sole, di festa e di dubbio. Leggiamo che l’Isis stava cercando di costruire una rete a Milano (titolo e notizia del Corriere), ci preoccupiamo, ma non ci chiudiamo in casa: le città estive restano aperte. Esprimiamo il nostro senso di vuoto viaggiando lungo strade piene (sul Passante di Mestre, +34% rispetto al 2015). Ripercorriamo mesi sconcertanti tra montagne colorate di gente, di biciclette e di moto. Manifestiamo preoccupazione in spiagge affollate. Non c’è contraddizione e non è rassegnazione. È una reazione: sana. Ricorda la sensazione che si prova talvolta, quasi con imbarazzo, rientrando da un funerale. Ci prende uno strano, imprevedibile attivismo. L’impressione che occorra rispondere e ripartire, anche per chi non c’è più. Non è mancanza di rispetto. È saggezza preterintenzionale: alla morte si risponde con la vita. È stato un anno spaventoso, finora, il 2016. La litania dell’orrore è fin troppo nota, e non serve ripeterla. Alla pianificazione sanguinaria degli islamisti sono seguiti fenomeni di emulazione, menti deboli plagiate da un’ideologia grottesca. I media, nel tentativo doveroso di capire e spiegare, hanno rischiato di amplificare il messaggio dei nuovi mostri. Ma tacere è difficile, e censurare non è nella natura del giornalismo. L’Italia che oggi festeggia Ferragosto non è superficiale. Ha deciso, invece, che queste ricorrenze sono la punteggiatura della nostra vita comune, senza la quale ogni discorso diventa impossibile. La Nazione che si raccoglie in questo antico rituale estivo non ha dimenticato le preoccupazioni. Tutti ci rendiamo conto che la produzione fatica e l’economia non cresce; tutti siamo consapevoli che i parassiti vivono tra noi (gratificati da stipendi importanti, nascosti in uffici eleganti); tutti sappiamo che l’immigrazione va gestita (non è possibile che migliaia di persone, cui è stato negato il diritto di asilo, spariscano nel nulla, preparando i ghetti e i disastri che verranno). Ma abbiamo deciso, istintivamente, di non mollare. Non possiamo darla vinta a chi ci odia, a chi disprezza la democrazia senza conoscerla. Ci sono popoli che l’hanno imparato a loro spese. Chiunque sia stato in Israele, per esempio, lo percepisce. Una nazione oggettivamente assediata e costretta a prove continue - non conta, qui, decidere come vadano divise le responsabilità - è percorsa da una tensione positiva. La vita non demorde, dai locali di Tel Aviv ai mercati di Gerusalemme, dalle fattorie del deserto ai bar sul lungomare di Haifa. Diventa desiderio di fare, di sperimentare, di discutere. Diventa voglia di vivere. Non si tratta di imbrogliare la morte; vuol dire, invece, imporle di stare al suo posto. Sul Corriere ne abbiamo parlato più volte: l’obiettivo dei nostri nemici è diffondere il panico. Lasciarci spaventare significa concedergli una prima vittoria. Non deve accadere, non sta accadendo. La società aperta s’informa, ma non si lascia spaventare: è più bella, più forte, sempre nuova. La normalità - anche una spiaggia piena, anche una gita in montagna, anche un concerto in città - è la nostra arma più potente. La sconfitta dell’Isis non avviene solo a Sirte, come ci racconta Lorenzo Cremonesi. La sconfitta dei nuovi barbari avviene ogni volta che uno di noi esce di casa, sale in automobile e fa quello che ha sempre fatto. La pericolosa sfiducia negli esperti di Jean Pisani-Ferry Il Sole 24 Ore, 16 agosto 2016 Poca onestà e troppi preconcetti: l’opinione pubblica non li ascolta. Lezione inglese. Il referendum sulla Brexit (nella foto: una manifestazione sul Tamigi di favorevoli all’uscita del Regno Unito dalla Ue) è il caso più eclatante di quanto gli esperti siano inascoltati dagli elettori, perché accusati di troppa indifferenza ai problemi concreti Nel periodo precedente al voto del 23 giugno per decidere sulla permanenza o meno del loro Paese nell’Unione europea i cittadini britannici sono stati ampiamenti informati sui pareri dei sostenitori della permanenza nella Ue. Da parte loro, i leader dei Paesi esteri e le massime autorità morali hanno espresso apertamente la loro inequivocabile preoccupazione rispetto alle conseguenze di un’eventuale uscita del Regno Unito dalla Ue, mentre gran parte degli economisti ha sottolineato in modo significativo che un’eventuale uscita dalla Ue avrebbe comportato costi economici consistenti. Tuttavia questi consigli sono stati totalmente ignorati. Il motivo, secondo un sondaggio condotto da YouGov prima del referendum, è che i sostenitori della Brexit non avevano alcuna fiducia in chi elargiva questi consigli e non volevano che il loro giudizio fosse influenzato dai politici, dagli accademici, dai giornalisti, dalle organizzazioni internazionali o dai think tank. Come ha affermato uno dei leader della campagna a favore dell’uscita, ovvero il ministro della Giustizia Michael Gove, "le persone in questo Paese si sono stancate degli esperti". Si sarebbe tentati di descrivere questo atteggiamento come un trionfo della passione sulla razionalità, ma lo schema che si è visto nel Regno Unito è stranamente familiare. Negli Stati Uniti gli elettori repubblicani hanno infatti ignorato gli esperti e hanno nominato Donald Trump come candidato presidenziale per il loro partito. In Francia Marine Le Pen, la leader del partito di estrema destra Fronte Nazionale, non suscita grande simpatia tra gli esperti, ma ha un forte sostegno popolare. Un po’ ovunque, quindi, un numero importante di cittadini è diventato ostile nei confronti degli addetti ai lavori. Ma da dove scaturisce questa rabbia nei confronti degli esperti? La prima spiegazione è che molti elettori danno poco valore alle opinioni di chi non li ha avvertiti rispetto al rischio di una crisi finanziaria nel 2008. La Regina Elisabetta II ha parlato a nome di molti cittadini quando, durante una visita alla London School of Economics nell’autunno del 2008, ha chiesto perché nessuno era riuscito a prevedere il pericolo. Inoltre, il sospetto che molti economisti siano stati influenzati dall’industria finanziaria, ipotesi peraltro espressa chiaramente nel film del 2010 "Inside job", non è stato ancora dissipato. I cittadini sono arrabbiati rispetto a ciò che considerano come un tradimento da parte degli intellettuali. Molti economisti pensano che queste accuse siano ingiuste, in quanto solo pochi di loro si sono focalizzati sugli sviluppi del contesto finanziario, mentre è stata intaccata seriamente la credibilità di tutti. Ma dato che nessuno si è dichiarato colpevole per le sofferenze causate dalla crisi, la colpa è diventata collettiva. Questa seconda spiegazione è legata alle politiche sostenute dagli esperti, che sono spesso accusati di essere di parte non necessariamente perché sono attratti da interessi particolari, ma perché, per la natura della loro professione, sono a favore della mobilità della forza lavoro tra le frontiere, sono per l’apertura del commercio e, più in generale, per la globalizzazione. In effetti c’è un po’ di sostanza in questa argomentazione in quanto, sebbene non tutti gli economisti, e di certo non tutti gli esperti delle scienze sociali, sostengano l’integrazione internazionale, sono senza dubbio più inclini a sostenerne i vantaggi rispetto al cittadino comune. Ciò porta alla terza spiegazione che è anche la più convincente. Se da un lato, infatti, gli esperti enfatizzano i vantaggi dell’apertura, dall’altra tendono a trascurare o a minimizzare i suoi effetti su specifiche professioni o comunità. Considerano l’immigrazione, alla quale Cameron ha attribuito la vittoria della campagna a favore della Brexit, come un vantaggio netto per l’economia, ma non si focalizzano sulle conseguenze che ne derivano per i lavoratori che finiscono per avere stipendi più bassi o per le comunità che si trovano di fronte a una penuria di alloggi accessibili, a scuole affollate e a un sistema sanitario sovraccarico. In altre parole la colpa degli esperti è quella di essere indifferenti. Questa critica è in gran parte corretta. Come ha evidenziato diverso tempo fa Ravi Kanbur dell’Università di Cornwall, gli economisti (e i politici) tendono a osservare le questioni in termini di aggregato, ad avere una prospettiva di medio termine e a presumere che i mercati lavorino in modo sufficientemente adeguato da assorbire un’ampia parte degli shock negativi. La loro prospettiva si scontra però con quella delle persone comuni che guardano di più alle questioni legate alla distribuzione, che hanno degli orizzonti temporali diversi (spesso più brevi) e guardano con sospetto i comportamenti monopolistici. Se gli economisti e altri esperti volessero realmente recuperare la fiducia dei loro concittadini, non dovrebbero continuare a essere sordi nei confronti di queste preoccupazioni. Dovrebbero innanzitutto essere umili, evitare di impartire lezioni e dovrebbero poi sostenere le loro prospettive politiche con delle prove evidenti piuttosto che con preconcetti. Dovrebbero inoltre cambiare idea qualora i dati disponibili non dovessero confermare le loro ipotesi. Tutto ciò corrisponde, in realtà, a quello che già fanno i ricercatori, ma quando poi si trovano a parlare in pubblico gli esperti tendono a semplificare troppo le loro prospettive. In secondo luogo, gli esperti dovrebbero avere un approccio più granulare. Dovrebbero sempre esaminare l’impatto delle politiche non solo sul Pil aggregato nel medio termine, ma anche su come gli effetti delle politiche implementate vengono distribuiti nel tempo, nello spazio e tra categorie sociali. Una decisione politica può essere positiva in termini di aggregato, ma altamente dannosa per alcuni gruppi, che è spesso ciò che accade con le politiche di liberalizzazione. In terzo luogo, gli economisti dovrebbero andare oltre l’osservazione (generalmente corretta) secondo cui gli effetti legati alla distribuzione possono essere gestiti attraverso la tassazione e i trasferimenti e dovrebbero quindi delineare nello specifico quali misure adottare. In generale, infatti, se da un lato è vero che una decisione politica può portare a profitti in termini di aggregato e chi è in una posizione di perdita può essere compensato, dall’altro è più semplice dirlo che farlo. In termini pratici, infatti, è spesso difficile individuare chi perde in un contesto simile e trovare gli strumenti giusti per garantire un sostegno. Affermare che i problemi possono essere risolti senza analizzare come e a quali condizioni è pura e semplice pigrizia intellettuale. Inoltre, dire alle persone che hanno subìto dei danni che si sarebbero potuti evitare non dà loro meno motivi per lamentarsi, bensì non fa altro che alimentare il risentimento nei confronti dei tecnocrati. La crescente sfiducia dell’opinione pubblica nei confronti degli esperti offre terreno fertile ai demagoghi, creando quindi anche una minaccia per la democrazia. Gli accademici e i politici potrebbero essere tentati di ignorare ciò che sembra una celebrazione dell’ignoranza e della volontà di rinchiudersi in una torre d’avorio, ma ciò non migliorerebbe le cose. Di fronte a un contesto simile non bisogna arrendersi, ma bisogna invece affrontarlo con più onestà, più umiltà, più analisi granulare e più ricette ben definite. L’emergenza migranti e il piano di redistribuzione di Valentina Errante Il Messaggero, 16 agosto 2016 Il piano per la redistribuzione dei migranti sul territorio e lo sguardo rivolto all’Europa, nella speranza che davvero possa essere rivisto il Trattato di Dublino, l’accordo in base al quale i paesi di prima accoglienza devono farsi carico dei richiedenti asilo. Sono questi ì primi appuntamenti, che il governo affronterà in autunno, sulla difficile questione dell’Immigrazione. Ma c’è anche il fronte aperto con la Turchia, che rischia di rimettere in discussione lo scenario delle migrazioni, riaprendo la rotta Balcanica e rendendo la Grecia il paese più bisognoso del sostegno Ue. Il piano Governo-Anci dovrebbe partire a settembre, per poi diventare operativo con la legge di stabilità: prevede la distribuzione di circa 150mila migranti e incentivi per i Comuni "virtuosi" che aderiranno all’accordo con il Viminale. La cifra dì 2,5, massimo tre ospiti, ogni mille abitanti per Comune, dovrebbe garantire una più equa distribuzione sul territorio. Nei prossimi giorni sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il Dpcm, che prevede l’adesione delle amministrazioni alla rete Sprar (Sistema dì protezione richiedenti asilo e rifugiati) che, se l’accordo andrà a buon fine, non saranno più selezionate per decreto e disposizioni prefettizie. A settembre invece sarà stabilito il sistema dì contributi destinati dal governo ai cosiddetti comuni "virtuosi". Sono invece attese le decisioni dei 28 in merito alle possibili modifiche al Trattato di Dublino e all’istituzione del sistema di asilo europeo. Nonostante gli studi della commissione Libe (Libertà civili, giustizia e affari interni) abbiano rilevato che la regola dì fare rimanere i richiedenti asilo nel paese di prima accoglienza risulti oramai inadeguata, rispetto all’ondata dì arrivi in alcuni paesi, sì prevedono tempi lunghi. Per la fine di agosto sono in calendario alcuni incontri informali, ma il prossimo appuntamento del Consiglio, in cui si dovrebbe discutere il dossier, è calendarizzato per il 15 ottobre. Del resto le conclusioni dell’ultimo Gai (l’incontro tra ministri di Giustizia e affari interni) ha chiuso al ribasso l’accordo sulla ricollocazione dei migranti sul territorio: 32,256, anziché40mila, come stabilito dall’ultimo consiglio alla fine di giugno. Ma intanto nello difficile equilibrio tra le diplomazie europee, si è inserita anche la crisi dei rapporti con la Turchia, che rischia dì far saltare definitivamente il precario equilibrio che l’Unione sembrava avere raggiunto e portare a un inevitabile rinvio delle decisioni. Quella legge che vuole insegnare a essere dei buoni genitori di Gianluca Abate Corriere della Sera, 16 agosto 2016 Un ddl al Senato prevede "corsi di formazione" per madri e padri. Una volta c’erano i consigli delle mamme o i suggerimenti degli amici. Poi sono arrivati i libri e le guide (circa 40.000, approssimati per difetto). Ora, invece, per diventare buone madri e buoni padri saranno necessari veri e propri "corsi di formazione". Quelli che undici parlamentari - con un asse tra Pd, Area Popolare e gruppo misto - vorrebbero istituire per legge con l’obiettivo di "coadiuvare chi diventa genitore" e informarlo "sul ruolo e sulle responsabilità connesse alla sua funzione". Il disegno di legge - che è stato presentato dalla senatrice del Pd Venera Padua e sottoscritto da altri 11 senatori, tra cui Josefa Idem, Serenella Fucksia e Gianpiero Dalla Zuanna - parte dall’assunto che "diventare genitori cambia inesorabilmente la vita di una persona". E, soprattutto, che "è difficile immaginare di assolvere ai propri compiti in modo uguale per tutto l’arco di crescita dei figli, dovendo necessariamente adeguare stili di comunicazione, comportamenti e modalità relazionali con il passare del tempo e con il crescere dei figli". Un percorso complesso, e durante il quale - sostengono i parlamentari - sono necessarie "misure di sostegno volte alla migliore diffusione dei doveri e delle responsabilità connessi alla funzione genitoriale". I corsi di formazione - Le "linee guida ai fini dello svolgimento di attività formative - recita l’articolo 1 del disegno di legge - sono emanate dal ministro dell’Istruzione", e "contengono le norme generali per l’attuazione dell’attività, con particolare riguardo alle periferie urbane". L’obiettivo? "Fornire ai genitori conoscenze legate ai differenti stadi di sviluppo dei figli d’ogni età, anche mediante la diffusione di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche disponibili". Le attività formative, poi, dovranno essere attuate da Città metropolitane e Comuni, anche con l’ausilio di "singole associazioni e organizzazioni di riconosciuta esperienza pedagogica e psicologica". E gli stessi enti dovranno "individuare" le sedi nelle quale tenere i "corsi di formazione in materia di responsabilità genitoriale", che potranno essere svolti anche "presso le sedi delle scuole e delle università". È li che - se la legge verrà approvata - si imparerà ad essere genitori. A meno che non la si pensi come il drammaturgo John Wilmot, il conte di Rochester che fu amico di Carlo II d’Inghilterra: "Prima di sposarmi avevo sei teorie circa l’educazione dei figli. Ora ho sei figli e nessuna teoria". La rabbia dell’America in bianco e nero di Vittorio Zucconi La Repubblica, 16 agosto 2016 Le proteste spontanee del 2014 sono ormai diventate un movimento vero e proprio. E la politica, nella ricerca di consensi in questo anno elettorale, si getta nella caccia ai voti. Piantato nella mappa della infinita guerra in bianco e nero, un altro spillo trafigge il cuore dell’America, questa volta a Milwaukee, nel Grande Nord del Wisconsin, nella battaglia notturna accesa da un altro omicidio di polizia, da incendi, sommosse, paura, esasperazione, sedati soltanto dalle forze armate. Se la città della birra, della Harley-Davidson, dei formaggi oggi è tornata calma, lo deve al controllo della Guardia Nazionale del Wisconsin mobilitata dal governatore, un richiamo lancinante e chiaro alla militarizzazione dopo le sommosse razziali degli anni 60 e 70. È guerra e si vede. Gli spilli delle battaglie, in questa nuova fase della antica guerra, pungono tutta la carta degli Stati Uniti, in un fronte che si estende da costa a costa e dai Grandi Laghi del Nord alle acque del Golfo, nel Sud. È una lezione di geografia, condotta seguendo il Gps del sangue partito dalla Florida, dove nel 2012 fu ammazzato Trayvon Martin. E poi, passando per quel sobborgo di St.Louis, Ferguson, dove perse la vita Michael Brown. L’itinerario dei campi di battaglia ci conduce a New York, a Los Angeles, a Cleveland, a Dallas, a Berkeley, a Bloomington nel Minnesota, a Charlotte, a Baltimora, a Oakland, a Stonewall nel Mississippi, a Minneapolis, a Salt Lake City, a Baton Rouge in Louisiana, a Palm Beach e questi sono solo i casi celebri, quelli che hanno raggiunto la notorietà dei media vecchi e nuovi. Dei piccoli paesi, delle contee sprofondate nel grande ventre della nazione continente, sappiamo poco o nulla. Ma la notizia non è il numero di caduti in questi campi di battaglia urbani, le 532 vittime del fuoco delle varie polizie nei primi sei mesi di quest’anno, metà delle quali di colore, un numero sproporzionato rispetto alla popolazione, o i 76 "cop", gli agenti morti in servizio, come negli agguati del vendicatore nero di Dallas e di Baton Rouge, in Louisiana. La notizia è quanto ciò che è accaduto dopo la morte di Martin in Florida faccia notizia, che la normalità della guerra a bassa intensità fra civili di colore e cittadini in uniforme sia diventata insopportabile. La rabbia si è fatta movimento politico spontaneo, coagulato attorno a un hashtag coniato su Twitter dopo l’assassinio di Treyvon Martin in Florida e l’assoluzione dell’agente che l’aveva colpito: #blacklivesmatter. Le vite dei neri contano. Ne sono nati quattordici "capitoli", quattordici sezioni in tutta la nazione. Si è formata un’associazione delle madri dei più giovani abbattuti, che hanno partecipato e parlato alla Convention Democratica di Philadelphia in favore di Hillary Clinton, mentre l’inevitabile reazione produceva #bluelivesmatter, le vite nel blu della divisa classica dei poliziotti contano, che distribuiva bracciali e distintivi alla Convention Repubblicana di Cleveland. #alllivesmatter, tutte le vita contano, tentava un altro gruppo in un sforzo di mediazione presto stritolato dalla guerra opposta che ha coinvolto e risucchiato anche Obama: "Certamente tutte le vite contano, ma c’è un problema specifico - ha detto - che riguarda la comunità di colore. E quando vedo uno di quei ragazzi uccisi penso che sarebbe potuto accadere a me, anni or sono". Nella furiosa, inconciliabile narrazione delle parti in guerra, si cristallizzano miti non più cancellabili, il poliziotto razzista che alla radio con la centrale dice "ci penso io a questi stronzi che la fanno sempre franca", o lo spacciatore di sigarette asmatico che a New York gorgoglia "…non respiro, non respiro…" nella presa al collo dell’agente, prima di morire per arresto cardiaco. Ogni ragazzo nero con il cappuccio della felpa sugli occhi è un criminale, un potenziale "predator" in caccia di vittime, come Bill Clinton li definì venticinque anni or sono. Ogni agente un bracconiere in caccia di innocenti afroamericani. La scorsa settimana in Florida, in una perfetta inversione del classico linciaggio da Kkk, la casa di una famiglia bianca che aveva esposto la bandiera blu pro polizia è stata incendiata da un gruppo che ha lasciato il biglietto da visita spruzzato su un muro: "Chi se la fa coi maiali, friggerà come il bacon". Nella ricerca di consensi emotivi, la politica presidenziale di quest’anno elettorale si getta nella palude di sangue per dare la caccia ai voti. Hillary sta con la collera dell’America nera, perché dei suoi voti ha bisogno, ma senza dare tutte le colpe alle forze dell’ordine, per non alienarsi quell’elettorato bianco e femminile che, senza osare dirlo, del giovanotto nero con il cappuccio sul volto ha paura. Trump, che ha ricevuto l’investitura del KuKluxKlan e dei suprematisti neo nazi, promette il ritorno a una "Grandezza Americana" che tutti capiscono essere l’America bianca del passato, ma neppure lui osa dirlo esplicitamente. Le trincee si scavano. Gli avversari si armano, non solo di retorica, in un’America dove ogni agente di polizia sa che chiunque, anche l’automobilista fermato per un eccesso di velocità, può nascondere una pistola nel cassetto portadocumenti. La politica, che oggi vive, anche nella centrifuga schiumante dei social network, di contrapposizioni radicali e intolleranza reciproca, alimenta ciò che non sa più mediare e risolvere. La guerra continua. Ci sono ancora molti spilli da piantare sulla mappa. Stati Uniti: Guantánamo, 15 detenuti trasferiti negli Emirati La Presse, 16 agosto 2016 È lo spostamento più consistente sotto la presidenza di Obama. Quindici detenuti della base Usa di Guantánamo, che si trova a Cuba, sono stati trasferiti negli Emirati Arabi Uniti. Lo riferisce il Pentagono. Si tratta del trasferimento più consistente di detenuti di Guantánamo sotto la presidenza di Barack Obama. Dei 15, 12 sono originari dello Yemen e tre dell’Afghanistan: con il loro trasferimento scendono a 61 i detenuti che si trovano ancora nella base navale di Guantánamo. La maggior parte sono trattenuti senza accuse né processo da oltre 10 anni. Obama, che aveva sperato di chiudere la prigione di Guantánamo nel suo primo anno alla Casa Bianca, ha presentato a febbraio il suo piano mirato a chiudere la struttura. Ma affronta l’opposizione di molti deputati repubblicani, nonché anche di alcuni democratici. Il piano di Obama invita a trasferire le decine di detenuti ancora a Guantánamo in prigioni di massima sicurezza negli Stati Uniti, ma la legge Usa impedisce questi trasferimenti. Obama, tuttavia, non ha escluso la possibilità di ricorrere ai suoi poteri esecutivi. "Penso che siamo a un punto estremamente pericoloso, in cui c’è una significativa possibilità che questo resterà aperto come carcere offshore permanente per trattenere persone praticamente finché muoiono", ha commentato Naureen Shah, direttrice di Amnesty International Usa per la sicurezza e i diritti umani. Secondo Amnesty, tenere aperta Guantánamo dà copertura ai governi stranieri per ignorare i diritti umani. "Indebolisce il potere del governo Usa nel dibattito contro la tortura e le detenzioni illimitate", aggiunge Shah. Libia: Sirte, le milizie risparmino le vite dei prigionieri di Maurizio Caprara Corriere della Sera, 16 agosto 2016 Daesh compie efferatezze orrende da punire con rigore, ma eliminare i nemici catturati non deve essere abitudine anche per quanti hanno il merito di combattere contro l’autoproclamato Califfato. I combattimenti comportano morti e distruzioni, per natura non sono delicati. La battaglia di Sirte contro l’autoproclamato Califfato di Daesh o Isis, per la quale l’Italia appoggia giustamente le milizie libiche alleate del governo di Fayez Serraj, non può portarci però ad assecondare in silenzio disumanità. Da entrambe le parti, riferiscono le corrispondenze di Lorenzo Cremonesi, è abitudine non fare prigionieri. "Isis ci taglia la testa. Noi, se li prendiamo vivi (ma è rarissimo perché si fanno saltare in aria) prima li interroghiamo, poi li eliminiamo con un proiettile", ha detto un miliziano all’inviato del Corriere. Non è stato il solo a raccontarlo. Daesh compie efferatezze orrende. Da punire con rigore. Che sia annientato il suo dominio su terre nelle quali ha straziato innocenti è positivo. Benché aiutate dai bombardamenti dei droni statunitensi, per sconfiggerlo milizie libiche sacrificano vite, occhi, braccia, gambe di propri ragazzi. Non deve essere facile sorvegliare i catturati. La Libia è tuttora priva di consistenti forze militari regolari, può essere arduo controllare le retrovie. Ma neppure la vita dei peggiori nemici, per altro in mancanza di processi equi, merita di essere spenta all’istante o per mezzo di torture quando questi non sono più in grado di infliggere perdite. Sarebbe opportuno da parte dell’Italia informare Serraj che la regola del non fare prigionieri è estranea allo Stato di diritto verso il quale ci auguriamo approdi il suo tentativo di governo di unità nazionale. "Arrendersi o perire" era la scelta secca di fronte alla quale esortava a porre i soldati tedeschi l’ultimatum preparato dal Comitato di Liberazione nazionale alta Italia per l’insurrezione del 25 aprile 1945. Il comunicato non indicava che perire dovesse essere l’unica possibilità lasciata all’invasore in rotta. Allora si combatteva una guerra contro forze militari regolari di uno Stato, ma pur sempre di un regime feroce come quello della Germania nazista. Yemen: raid sunnita colpisce ospedale Msf, almeno 11 morti e 20 feriti La Repubblica, 16 agosto 2016 L’ospedale di Msf colpito dalla coalizione sunnita ad Abs nello Yemen. La gran parte delle vittime sarebbero pazienti ricoverati. Ucciso anche un ingegnere che lavorava per l’associazione umanitaria. Sabato scorso la coalizione guidata dall’Arabia Saudita aveva bombardato una scuola causando la morte di 10 bambini. Un ospedale è stato nuovamente colpito in Yemen dalla coalizione sunnita guidata dall’Arabia Saudita. Stavolta ad essere bombardata è una struttura di Medici Senza Frontiere in cui si contano almeno 11 morti e 20 feriti. L’ospedale si trova ad Abs, nella provincia nord orientale di Hajja, a 130 km dalla capitale Sanaa. Le vittime sono pazienti o personale locali e un ingegnere che lavorava per Msf. Il raid è avvenuto alle 15,45 locali (le 14,45 in Italia) 48 ore dopo gli attacchi che hanno ucciso 10 bambini in una scuola, nel paese devastato da una guerra dimenticata. Come il raid di sabato, anche questa incursione è avvenuta nel nord del paese, nelle zone controllate dai ribelli sciti Houthi, alleati con i soldati rimasti fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, che dal 2014 contende il potere all’attuale presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, insediato in via provvisoria ad Aden nel sud del paese. È stata la stessa organizzazione umanitaria, che lavora ad Abs dal 2015, a dare notizia del bombardamento sul suo account twitter. E ha aggiunto: "Il numero di morti e feriti non è ancora ufficiale mente noto" e "squadre di medici che si occupano dei feriti". Gli abitanti di Abs, testimoni del raid contro l’ospedale, hanno raccontato che la coalizione saudita negli ultimi giorni aveva preso di mira alcune postazioni dei ribelli nella loro città, causando numerosi feriti, molti dei quali ricoverati nella struttura bombardata. Abs si trova ai margini della città di Harad, vicino al confine con l’Arabia Saudita, aree da cui i ribelli yemeniti spesso attaccano regioni saudite vicino al confine, teatro di aspri combattimenti da entrambi i fronti. La coalizione saudita aveva negato di aver bombardato la scuola dei bambini, ammettendo però di aver preso di mira un campo dove i ribelli addestrano i loro bambini-soldato. Oggi, tuttavia, e dopo un richiamo del capo delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, la coalizione araba ha annunciato l’apertura di un’indagine sui bombardamenti, che sarà "indipendente e in linea con gli standard internazionali". La coalizione e l’Arabia Saudita sono regolarmente accusati di "errori" contro i civili, anche contro i bambini. Lo scorso 4 agosto hanno anche ammesso "carenze" del diritto umanitario in due diversi attacchi nel 2015: uno contro un complesso residenziale nella città portuale di Mokha (65 morti, secondo Human Rights Watch) e l’altro contro un altro ospedale gestito da Msf nel nord. Originari del nord dello Yemen, gli Houthi erano insorti contro il potere di Hadi nel 2014, conquistando vaste aree del paese, inclusa la capitale Sanaa. Nel marzo del 2015, l’Arabia Saudita sunnita, che accusa gli Houthi di legami con i rivali sciti iraniani, ha preso la testa di una coalizione militare araba per fermare l’avanzata dei ribelli con bombardamenti aerei e combattimenti a terra. Da allora la guerra ha causato più di 6.400 morti e 30mila, la gran parte civili. E a gennaio un altro ospedale di Msf era stato centrato da colpi di cannone nella provincia di Saada causando 4 morti.