Giustizia: Papa Francesco invoca l’amnistia di Luca Kocci Il Manifesto, 2 settembre 2015 Dopo la lettera di Bergoglio esultano i Garanti dei detenuti e Antigone. Non si tratta di una formale richiesta alle autorità civili di un’amnistia per i detenuti, ma con la lettera che ieri Papa Francesco ha indirizzato a mons. Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione e organizzatore del Giubileo dedicato alla misericordia che si aprirà l’8 dicembre, il tema del carcere viene riportato al centro dell’attenzione, e la parola "amnistia" viene messa nero su bianco anche da Bergoglio, il quale fino ad ora, pur essendo intervenuto molte volte sulla condizione dei detenuti, non l’aveva mai pronunciata. "Il Giubileo ha sempre costituito l’opportunità di una grande amnistia, destinata a coinvolgere tante persone che, pur meritevoli di pena, hanno tuttavia preso coscienza dell’ingiustizia compiuta e desiderano sinceramente inserirsi di nuovo nella società", si legge nella lettera del papa che, quando parla delle modalità con cui è possibile lucrare l’indulgenza giubilare, equipara le cappelle carcerarie alle basiliche patriarcali e le porte delle celle alle "porte sante". "Nelle cappelle delle carceri potranno ottenere l’indulgenza, e ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta santa, perché la misericordia di Dio, capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà". Quello della "liberazione dei prigionieri" era uno dei temi centrali dell’anno giubilare secondo il popolo ebraico: veniva celebrato ogni 50 anni e aveva il significato di ristabilire la giustizia sociale fra gli abitanti di Israele, soprattutto gli oppressi e gli emarginati. Poi quando la Chiesa cattolica si appropriò della tradizione ebraica - il primo Giubileo fu proclamato da papa Bonifacio VIII nel 1300, il suo significato mutò, diventando uno strumento per affermare la supremazia del potere religioso su quello politico e del papato sui sovrani laici. Bergoglio quindi, dopo aver cancellato l’ergastolo dal codice penale vaticano e fissato per il 6 novembre 2016 il Giubileo dei carcerati, rilancia uno dei temi originari dell’anno giubilare (ma anche papa Wojtyla, nel 2000, lo celebrò nel penitenziario romano di Regina Coeli, chiedendo "un segno di clemenza, attraverso una riduzione della pena", che però non arrivò). Esulta Marco Pannella ("evviva papa Francesco"), plaudono Franco Corleone, coordinatore dei garanti dei detenuti ("un nuovo segnale alla politica") e Patrizio Gonnella, presidente di Antigone ("ricordando come ogni Giubileo sia sempre stato accompagnato da un provvedimento di amnistia, il papa ha il coraggio di riportare al centro la questione della giustizia penale e dell’ingiustizia di un sistema che incarcera troppe persone la cui più grande responsabilità è l’essere poveri, stranieri, tossicodipendenti, malati psichici"). Si vedrà come risponderà il Parlamento. Anche se il portavoce vaticano, padre Lombardi, puntualizza: "Non è un appello di carattere giuridico, se il Papa volesse chiedere l’amnistia lo farebbe con altre modalità". Giustizia: un appello inatteso che in Parlamento rischia di restare ignorato di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 2 settembre 2015 Già l’auspicio di Napolitano nel 2013 non fu accolto. Il pontefice vorrebbe una messa in Vaticano con i detenuti. Il Papa chiede la grande amnistia e il perdono per l’aborto. Appello inatteso, sebbene il suo interesse per la questione fosse già trapelato attraverso la richiesta di una messa in Vaticano, durante il Giubileo, con i detenuti. Colto di sorpresa anche il governo. Escluse misure sulle carceri. Ha tirato un sasso nello stagno, papa Francesco. E chissà se stavolta la politica italiana reagirà con scelte concrete, a parte qualche prevedibile ma ininfluente cerchio nell’acqua. L’appello del pontefice è giunto inatteso, sebbene il suo interesse per la condizione dei carcerati fosse già trapelato da un desiderio comunicato di recente: l’organizzazione di un grande messa celebrata in Vaticano, durante il Giubileo, alla presenza di un nutrito numero di detenuti. Addirittura qualche centinaio, hanno chiesto dalla Santa Sede. Un’idea che non dispiace ma preoccupa le istituzioni penitenziarie, soprattutto sul piano organizzativo. Al di là di questa ipotesi e della sua eventuale realizzazione, l’auspicio di Francesco per una "grande amnistia" collegata all’Anno santo - rivolto a tutti i governi del mondo - riporta d’attualità la "questione carceri" che non ha mai appassionato i partiti italiani. Esclusi i radicali che se ne occupano da sempre e l’hanno messa in cima alla loro agenda, ma non fanno parte della maggioranza e nemmeno del Parlamento, il luogo delle decisioni. Un provvedimento di clemenza, insomma, oltre a non essere all’ordine del giorno non sembra nemmeno proponibile, anche in considerazione del fatto che dovrebbe essere approvato dai due terzi delle Camere. A ottobre 2013 deputati e senatori ascoltarono con attenzione il solenne messaggio con cui l’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano li spronava ad affrontare la "drammatica" situazione di vita nelle prigioni come un "imperativo categorico", proprio attraverso l’amnistia e l’indulto. Ascoltarono senza però fare nulla, e a sei mesi dall’appello presidenziale tutto si chiuse con uno stanco dibattito parlamentare per pochi intimi. All’epoca l’emergenza era costituita dal sovraffollamento e dalla condanna della corte europea dei diritti dell’uomo, che stava per infliggere all’Italia onerose sanzioni. L’ex ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri e il suo successore, Andrea Orlando, consapevoli della impraticabilità della strada indicata da Napolitano, hanno imboccato altre vie: riforme che hanno aumentato la possibilità di ricorrere a pene alternative, diminuito quelle di attendere in cella il processo e offerto altri tipi di soluzione. Oggi il numero di detenuti è sceso di oltre diecimila unità rispetto al 2013, siamo a 52.371 reclusi su 49.655 posti disponibili; anche se c’è chi contesta queste cifre (radicali in primis) la forbice s’è ristretta di molto. Al punto che il magistrato Santi Consolo, direttore dell’amministrazione penitenziaria, può commentare: "Le risposte fornite dalla politica negli ultimi tempi hanno prodotto risultati positivi, e la popolazione detentiva è diminuita in assoluta sintonia con le esigenze di sicurezza dei cittadini. Certo, ci vorrebbero più braccialetti elettronici per aumentare l’opportunità degli arresti domiciliari, si può ampliare la possibilità di concedere i permessi, ma siamo sulla strada giusta". Tuttavia la questione carceraria non è fatta solo di sovraffollamento. Resta, grave e dimenticato, il problema della qualità della vita all’interno degli istitu- ti; drammaticamente evidenziato dal numero dei suicidi che nel loro andamento altalenante rimangono una costante. Da tre anni sono in calo, quest’anno siamo a quota 32 ma 12 si sono verificati durante l’estate, 7 solo ad agosto. Con il caldo è fisiologico che la situazione diventi più critica, ma di fondo c’è il problema del vuoto in cui precipitano i reclusi al momento dell’ingresso in cella, senza riuscire a riempirlo; sono ancora troppo poche le occasioni di studio, di lavoro, di contatti con l’esterno. Anche per questo il Guardasigilli Orlando ha deciso di istituire gli Stati generali dell’esecuzione penale: un confronto già avviato tra operatori del settore per arrivare, nelle intenzioni del ministro, a disegnare "un carcere più dignitoso per chi vi lavora e per chi vi è ristretto, in modo da conciliare la sicurezza collettiva con la possibilità per chi ha sbagliato di reinserirsi positivamente nel contesto sociale". In attesa di proposte operative, la prossima settimana Orlando riunirà per la prima volta insieme tutti i direttori degli istituti di pena (circa duecento), per discutere con loro i principali problemi che si trovano e fronteggiare e le possibili soluzioni. Dopo l’appello del Papa sarà forse possibile muoversi con maggiore convinzione, potrebbe saltare fuori qualche nuova proposta. Ma il Guardasigilli è il primo a sapere che un provvedimento di amnistia e indulto è difficilmente immaginabile. Alcune proposte di legge ci sono già, presentate a inizio legislatura dai parlamentari più attenti alla situazione delle carceri. Al Senato, dopo il messaggio di Napolitano, la commissione Giustizia ha incardinato il dibattito, ma dopo qualche seduta tutto s’è fermato; alla Camera, l’esame dei testi non è nemmeno cominciato. Giustizia: ora partiti politici e governo non potranno più far finta di non aver capito di Piero Sansonetti Il Garantista, 2 settembre 2015 Fino a ieri solo Pannella, tra le personalità che vivono in Italia, aveva avuto il coraggio di chiedere l’amnistia. E si era beccato molte beffe. Ora vicino a Pannella c’è anche un signore vestito di bianco, dall’aria simpatica, che si chiama Bergoglio e di mestiere fa il Papa. Beh, sarà più difficile far finta di non averlo sentito. Questa lettera del Papa è davvero un sasso in piccionaia. Un sasso grosso. Il governo italiano difficilmente potrà far finta di niente. E anche le forze politiche, gli intellettuali, i grandi giornali dovranno scoprirsi. Dire: hai ragione o hai torto. Per ora lo ha fatto solo Salvini, che non ha nessun problema, sembra, a entrare in rotta di collisione con la gerarchia ecclesiastica. Un po’ perché conta sulla parte anticlericale del suo elettorato, un po’ perché immagina che un pezzo molto grande della Chiesa cattolica sia in realtà dalla sua parte e sia pronta a dar battaglia alle modernizzazioni di Francesco. Ma a parte Salvini? Il ministro potrà restare in silenzio? Il Pd potrà fingere di non aver sentito bene? E quando dico il Pd intendo non solo il "cuore" renziano del Pd, ma anche la sinistra, che in teoria dovrebbe essere più liberal ma che sente fortissima l’ipoteca del mondo girotondino e di tutta l’intellettualità "di mezzo" che si aggrega attorno al "Fatto" di Travaglio. La sinistra del Pd avrà il coraggio di scrollarsi di dosso il travaglismo e schierarsi con Francesco? Padre Lombardi ieri sera si è affrettato a spiegare che la dichiarazione del Papa non è una richiesta ufficiale al governo italiano. È stato un atto di prudenza da parte del portavoce del Vaticano. Che però non cambia di molto le cose. Il Papa ha detto di essere favorevole all’amnistia e ha detto che vorrebbe che l’amnistia coincidesse con l’anno del giubileo, che inizia a dicembre. È stato chiarissimo, netto. Niente impedisce all’Italia di rispondere picche. Però sarebbe davvero un gesto di sfida molto pesante non rispondere per niente a questa sollecitazione. A favore dell’amnistia, recentemente si erano pronunciati altri Papi e anche l’ex presidente della repubblica, Napolitano. Fin qui la reazione del mondo politico è stato il silenzio. Stavolta sembra molto difficile non aprire un dibattito su questo tema. E sarebbe già un risultato straordinario se si aprisse un dibattito, se i sostenitori dell’amnistia potessero pubblicamente esporre i loro argomenti, le loro cifre, i dati, i riscontri, la sostanza dei problemi giuridici legati all’amnistia. Fino ad oggi la richiesta dell’amnistia è stata solo una iniziativa del partito radicale e di Marco Pannella. Sostenuta con molte dichiarazioni, molta iniziativa politica, molti digiuni di protesta, ma accolta nel gelo e nell’indifferenza generale. L’amnistia ha sempre avuto pochi amici e molti nemici. E i nemici sono molto agguerriti. Chi prova a promuovere in pubblico l’idea dell’amnistia viene solitamente coperto di insulti e accusato di essere mafioso, o delinquente, o comunque almeno in concorso esterno con la mafia e con la delinquenza. Ora almeno sarà un po’ più difficile usare questi argomenti in presenza della esplicita richiesta del capo della Chiesa cattolica. Se l’iniziativa di Francesco servisse a scongelare la discussione, cioè a dichiararla "ammissibile", forse sarebbe possibile finalmente muovere qualcosa anche dentro i partiti. Oggi purtroppo, per una sciagurata iniziativa assunta da tutti i partiti politici negli anni della "follia" di Mani pulite -quando il primo forcaiolo che passava dalle parti di Montecitorio era in grado di far sragionare e di sottomettere qualunque parlamentare - per varare una amnistia occorre una maggioranza in Parlamento dei due terzi. A occhio, almeno due partiti - e cioè la Lega e i 5 Stelle -sono ferocemente contrari all’amnistia. Sarebbe necessario uno schierarsi compatto, a favore dell’amnistia, di tutti gli altri, a partire dall’asse Pd-Berlusconi-Udc. Questa compattezza è molto improbabile. È invece possibile immaginare una rottura dentro i 5 Stelle, dove esistono componenti ribelli che potrebbero non essere sorde al messaggio di Francesco. Forse l’unica possibilità che l’amnistia diventi legge sta proprio lì: in un riposizionamento a sorpresa dei 5 Stelle. Giustizia: Pannella "grazie Papa". Ma il Senato affossa il ddl sull’amnistia di Eleonora Martini Il Manifesto, 2 settembre 2015 Imbarazzo del Pd: "Abbiamo già predisposto azioni per agevolare i detenuti che si pentono". Il leader radicale: "Solo lui come Napolitano". E per i furti pene in aumento. Marco Pannella vuole chiedere udienza in Vaticano per dirgli grazie. Ma se l’appello di Papa Bergoglio sortirà qualche effetto e "troverà consenso nelle forze politiche che fino adesso si sono opposte" al provvedimento di amnistia e indulto, per usare le parole del presidente della commissione Giustizia del Senato, Francesco Nitto Palma, lo si vedrà proprio oggi. È una coincidenza, ma questa mattina infatti i senatori della commissione torneranno ad affrontare - forse ora con un po’ più di verve - l’analisi dei quattro disegni di legge depositati (firmatari: Manconi, Compagna e Manconi, Barani e Buemi) con lo scopo di arrivare almeno a un testo base. Succede però, come ha spiegato ieri il presidente azzurro Nitto Palma, che da quando il provvedimento è stato incardinato al Senato, "grosso modo un anno e mezzo fa", dopo il messaggio alle camere sul sovraffollamento carcerario inviato l’8 ottobre 2013 dall’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano, "non registro significativi passi in avanti, attesa la contrarietà di diverse forze politiche". Il senatore azzurro si riferisce al M5S e Pd, soprattutto, il cui consenso è necessario per arrivare alla maggioranza dei due terzi richiesta in Parlamento per la clemenza ai detenuti, dando per scontato il no della Lega e dei Fratelli d’Italia. Ma a giudicare dall’eco vuota che alle parole del Papa rimbomba nelle stanze di partito, sarà assai poco probabile ripetere l’atto di clemenza che estingue anche il reato, concesso l’ultima volta dallo Stato italiano nel 1990. E pensare che, come ricorda il senatore Luigi Manconi, "nel 2014 il numero di omicidi volontari in Italia sono stati 435, nel 1992 erano oltre 1.200". Dopo di allora, i ripetuti appelli di Wojtyla fino al 2002 partorirono solo un "indultino", seguito nel 2006 dall’ultimo indulto approvato dal Parlamento. Tutt’altra storia, rispetto alle unioni civili. E anche ieri gli unici a far sentire la loro voce sono stati: da un lato, Matteo Salvini e Fabio Rampelli (FdI), per straparlare di Giubileo della Misericordia che "per i delinquenti incalliti c’è stato praticamente ogni anno e non ogni 25", e dall’altro Manconi, il sindacato di polizia Sappe, Fabrizio Cicchitto (Ap) e naturalmente Marco Pannella. "Evviva Papa Francesco - esulta l’anziano leader dai microfoni di Radio Radicale - stavo per chiederti "sii coraggioso", ma avevo un po’ di pudore. Speravo che arrivasse, è arrivata, e quindi chiederò nelle dovute formule di essere ricevuto dal Segretario di Stato Vaticano per rendere grazie". Una battaglia che i Radicali portano avanti da anni, ricorrendo continuamente anche a forme di lotta nonviolenta come lo sciopero della fame e della sete, nella convinzione che l’amnistia e l’indulto concessi contemporaneamente salvino soprattutto lo Stato italiano, riportandolo in una condizione di legalità rispetto al diritto internazionale e ai principi di civiltà. "Solo Papa Francesco - continua infatti Pannella - ha fatto vivere e ha tradotto in una realtà che investe l’Italia e gli italiani, questa ottemperanza a quanto il capo di Stato italiano (Napolitano, ndr) ha formalmente chiesto a istituzioni che a mio avviso sono le istituzioni, non tanto dello Stato italiano, quanto del regime che lo soffoca. Regime che rischia di distruggere non solo lo Stato ma direi la civiltà contemporanea". Silenzio tombale invece dal Pd, la cui posizione è presto riassunta: "Parlamento e governo hanno messo in campo numerose azioni per agevolare quei detenuti che si pentono e che vogliono reinserirsi nella società - afferma il responsabile Giustizia dem, Davide Ermini - con misure come la messa alla prova o che intervengono nella fase della detenzione, come l’affidamento in prova e la liberazione anticipata". In effetti, il numero di detenuti è senz’altro diminuito da quando Strasburgo condannò l’Italia, l’8 gennaio 2013, per il sovraffollamento carcerario: dai 66 mila e oltre di allora si registravano a fine luglio scorso 52.144 presenze, nei 198 istituti italiani la cui capienza regolamentare è di 49.655 posti. Ma di carcere non si cresce, non si migliora, e il sovraffollamento persiste in molti istituti. Si continua invece a morire: oltre che per suicidio (32 dall’inizio dell’anno secondo i dati di Ristretti orizzonti aggiornati a ieri, solo 29 accertati secondo il Dap), anche per "assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, overdose": 79, per Ristretti. Non solo: la politica del governo bipartisan e della sua maggioranza segue (naturalmente) due tendenze opposte. Cosicché, nonostante gli sforzi del ministro di Giustizia Andrea Orlando per migliorare le condizioni di vita dietro le sbarre e combattere il sovraffollamento, nelle pieghe del ddl delega governativo di riforma dell’ordinamento penale e penitenziario, approdato in Aula alla Camera poco prima della pausa estiva, si nascondono aumenti di pena anche per reati come furto e rapina. Se non della Misericordia, basterebbe allora un Giubileo della razionalità. Giustizia: il gelo del governo sull’ipotesi di amnistia "il numero dei detenuti è diminuito" di Silvia Barocci Il Messaggero, 2 settembre 2015 La sorpresa c’è stata, eccome. Quelle parole di papa Francesco secondo cui il "Giubileo ha sempre costituito l’opportunità di una grande amnistia", sono state accolte con stupore. Ma come? Un’amnistia proprio ora che il numero dei detenuti è drasticamente diminuito, di ben 14mila unità in soli due anni? Al ministero della Giustizia se lo sono chiesto. Il Guardasigilli Orlando e il governo sanno bene che un provvedimento di clemenza straordinario non troverebbe mai il necessario avallo dei due terzi del Parlamento. Meno che mai l’amnistia che, a differenza dell’indulto, non si limita a cancellare in tutto o in parte la pena ma estingue il reato. Non solo. L’effetto sorpresa è stato maggiore se si considera che nessuno aveva mai parlato di amnistia negli incontri tra ministero della Giustizia e Vaticano preparatori alla partecipazione di un migliaio di detenuti ad uno degli appuntamenti del Giubileo, in piazza San Pietro. La precisazione di padre Lombardi sul senso delle parole del Papa ha però sgomberato il campo dai dubbi di carattere "politico". "Non è un appello di carattere giuridico: si tratta di una lettera indirizzata a monsignor Fisichella, quindi interna alla Chiesa, non alle autorità italiane", ha spiegato il portavoce Vaticano. Se Francesco volesse chiedere l’amnistia di carattere giudiziario "lo farebbe con altre modalità". Che tutto sia stato chiarito in via definitiva è però presto per dirlo. Sia perché il Papa è pur sempre un capo di Stato, sia per l’eventualità che la richiesta di un gesto di clemenza possa essere chiesto esplicitamente come fece con forza Papa Wojtyla, due anni dopo il Giubileo del 2000. A parte l’entusiasmo di Pannella, del coordinatore del garante per i detenuti Franco Corleone e dall’associazione Antigone, per il resto la politica è rimasta tiepida. Cauto il Pd, che con il responsabile giustizia del Pd David Ermini sottolinea come parlamento e governo abbiano già messo in campo una serie di misure per il reinserimento nella società dei detenuti che si pentono. Ncd, con Fabrizio Cicchitto, ritiene che l’appello del Papa debba essere "motivo di riflessione per tutti i laici e i cattolici". Nettamente contrari la Lega di Matteo Salvini e Fratelli d’Italia. Silenzio totale dei Cinque Stelle. L’ultima delle 27 amnistie dal dopoguerra ad oggi risale al 1990, per decongestionare gli uffici giudiziari nell’anno di entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale. L’ultimo indulto, invece, è del 2006. Allora i detenuti scesero a 39mila. Ma, in mancanza di interventi strutturali, tornarono a crescere al ritmo di 800 al mese fino a toccare il record di 69mila a novembre 2011. Nel 2013, con la prima condanna per sovraffollamento carcerario, l’Italia finisce nel mirino di Strasburgo. Nel frattempo, però, le riforme avviate dal Guardasigilli Severino, e proseguite dai successori Cancellieri e Orlando, hanno cominciato a dare buoni risultati. Misure alternative, riforma della custodia cautelare, introduzione della tenuità del fatto e molto altro ancora. I detenuti sono oggi scesi a 52.144 a fronte di una capienza regolamentare di 49.655 posti. E Orlando conta di fare di più grazie all’iniziativa degli Stati generali dell’esecuzione penale che si concluderà in contemporanea all’avvio del Giubileo. Giustizia: sull’ipotesi di clemenza Lega all’attacco, sì Ncd-Fi e Pd diviso di Carlo Marroni Sole 24 Ore, 2 settembre 2015 Per ora non esiste in Parlamento una maggioranza dei due terzi in grado di approvare un provvedimento di clemenza come quello chiesto ieri dal Pontefice. Un film già visto fra l’altro anche in passato, quando già Wojtila si era speso per una misura in favore dei detenuti in occasione del Giubileo del 2000 riuscendo a ottenere un indulto solo dopo sei anni. Anche ieri, subito dopo l’appello di Papa Bergoglio, ogni partito è sceso in campo per rivendicare la propria posizione in merito, rivelando che le condizioni per un provvedimento di clemenza non sono a portata di mano. Il leader leghista Matteo Salvini non ha perso un attimo per rimarcare che lui "più che ai carcerati pensa alle vittime dei loro reati". E se Ncd e Forza Italia aprono alla proposta confermando la loro propensione a concedere un’amnistia o un indulto, il Pd si presenta (anche qui in linea con il passato) diviso tra chi è favorevole e chi preferirebbe svuotare le carceri con provvedimenti diversi dalla clemenza. Chi invece gioisce per le parole di Bergoglio è Marco Pannella: "Non so se le vie di quale Signore sono davvero infinite, dobbiamo prenderne atto che potendolo, rispetto a tutti quelli che lo potevano, solo Papa Francesco ha fatto vivere e ha tradotto in una realtà che investe l’Italia e gli italiani, questa ottemperanza a quanto il Capo di Stato italiano ha formalmente chiesto a istituzioni che sono le istituzioni non a mio avviso tanto dello Stato Italiano quanto del regime che lo soffoca". Quanto al partito del premier, prevale l’idea che per svuotare le carceri siano più efficaci le pene alternative che i provvedimenti di clemenza. È il capogruppo in commissione Giustizia della Camera Walter Verini a riassumere la posizione prevalente del partito (non condivisa da cattolici e da altri esponenti come Luigi Manconi): "Voglio ricordare che negli ultimi due anni, governo e parlamento hanno adottato una serie di misure per umanizzare la detenzione, riducendo da un lato il sovraffollamento carcerario e lavorato molto per rendere concreto l’obiettvo della rieducazione e del reinserimento. Abbiamo investito molto sul binomio umanità sicurezza". Quanto ai numeri, è un dato di fatto che i detenuti siano diminuiti di molto - circa 14mila unità - dal picco raggiunto a gennaio 2013, quando Strasburgo condannò l’Italia per il sovraffollamento carcerario: allora erano circa 66mila. L’ultima rilevazione del 31 luglio scorso indica 52.144 presenze a fronte di una capienza regolamentare di 49.655 posti. Sul calo ha inciso una serie di interventi messi in campo da governo e parlamento. In cima alla lista, i provvedimenti per incentivare il ricorso alle misure alternative al carcere. A decongestionare i penitenziari ha concorso anche la riforma della custodia cautelare, l’introduzione della tenuità del fatto che consente al pm di chiedere l’archiviazione per fatti di piccola entità evitando la reclusione, le 13 convenzioni firmate dal ministero e altrettante Regioni per agevolare la riabilitazione in comunità e il lavoro per i detenuti tossicodipendenti. Effetti importanti ha avuto anche la sentenza della Consulta che ha bocciato la legge Fini-Giovanardi e l’equiparazione, anche sul piano delle pene, delle droghe leggere con quelle pesanti. Giustizia: il Papa spiazza il governo "non ci sono le condizioni per un atto di clemenza" di Liana Milella La Repubblica, 2 settembre 2015 La sorpresa di Palazzo Chigi e via Arenula: "Siamo già intervenuti sui penitenziari con le misure alternative e la tenuità del reato". Tra palazzo Chigi e ministero della Giustizia lo definiscono "un fulmine a ciel sereno". "Una vera sorpresa" aggiungono fonti autorevoli dei due palazzi. Perché fino a oggi, nelle pur intense relazioni bilaterali tra il Vaticano e il governo in vista del Giubileo, di un gesto di clemenza verso i detenuti non si era mai parlato. Neppure durante le trattative con il Guardasigilli Andrea Orlando per preparare una grande manifestazione a piazza San Pietro con un migliaio di detenuti presenti prevista per l’anno prossimo e alla quale il Papa tiene molto. Sarebbe stato il contesto giusto per manifestare la richiesta di clemenza, da tradursi, nella legge italiana, in un’amnistia, che cancella del tutto il reato, o in un indulto, che si limita a eliminare la pena. Gli ultimi nel 1990 e nel 2006. Un dettaglio considerato molto rilevante. "Il Papa non si rivolgeva di certo all’Italia, ma a tutto il mondo. Ben diverso dal messaggio di Wojtyla direttamente al nostro Paese nel 2000 e nel 2002" chiosa un Pd vicinissimo a Renzi. Che, sulla praticabilità politica dì una clemenza è tranchant: "Non esiste. Questione chiusa. Non c’è alcuna possibilità di aprire una trattativa su amnistia e indulto. Non solo perché non si riuscirebbe mai a raggiungere la maggioranza dei due terzi del Parlamento, ma perché il Pd ha già scelto una linea alternativa sulle carceri". Ufficialmente, è il responsabile Giustizia del Pd David Erminia chiudere la porta a qualsiasi querelle: "L’indulto è erga omnes e serve solo ai politici per lavarsi la coscienza. Ma poi, nel giro di pochi anni, il problema del sovraffollamento è punto e a capo". La politica è tutt’altra, misure alternative al carcere, tenuità del fatto e messa in prova, detenzione domiciliare, stop alla carcerazione preventiva facile. Chiosa Ermini: "I nostri interventi vanno esattamente incontro allo spirito delle parole del Papa. Si agevola chi ha mostrato la volontà di cambiare strada". Il Guardasigilli Orlando non commenta le parole del Papa, ma si affida ai numeri. Diffusi qualche ore dopo l’annuncio del Vaticano. I suoi, sulle carceri, sono positivi. Al 31 luglio i detenuti in cella erano 52.144, cifra ben lontana rispetto a quando l’ex responsabile Giustizia del Pd diventa ministro e si vede precipitare addosso la grana della condanna di Strasburgo a multe milionarie per il sovraffollamento. I detenuti erano allora 62.536, a fronte di 47.709 posti, oggi saliti a 49.655. L’impegno di Orlando è un’ossessione che lo ha portato a dar vita agli Stati generali dell’esecuzione penale per analizzare da vicino il pianeta carcere. Due terzi del Parlamento per indulto e amnistia sono tanti. E tanti sono i nemici della clemenza, a fronte degli amici di sempre. Un "nemico" è la Lega, tant’è che Salvini dice subito no perché il suo pensiero "va a tutte le vittime dei reati di quei carcerati". Sul fronte opposto ecco l’instancabile Marco Pannella che ha chiesto un’udienza al Papa Francesco poiché solo lui "rispetto a tutti quelli che potevano, ha fatto vivere e tradotto una realtà che investe l’Italia e gli italiani". Anche il Pd Luigi Manconi, come Patrizio Gonnella di Antigone, chiede che "il Parlamento non ignori le parole del Papa", com’è avvenuto con quelle di Napolitano nel 2013, quando l’ex Capo dello Stato indirizzò un messaggio specifico alle Camere. Ma per tutti parla il ddl sull’amnistia che dall’inizio della legislatura è fermo nella commissione Giustizia del Senato, Dice il presidente Palma: "L’accordo politico non c’è". Giustizia: l’ultima amnistia risale al 1990, nel 2002 il Parlamento disse "no" a Wojtyla Il Mattino, 2 settembre 2015 Il provvedimento invocato estingue il reato: serve il voto dei due terzi del Parlamento. L’amnistia, evocata ieri da papa Francesco, è un provvedimento generale di clemenza che estingue il reato - a differenza dell’indulto, che estingue la pena. Prima del 1992, la concedeva il Presidente della Repubblica. Dal 1992 in poi viene disposta con legge dello Stato che, in forza di una modifica dell’art. 79 della Costituzione, deve essere votata in Parlamento e ottenere la maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera. Anche per il Giubileo del 2000 si parlò di amnistia: il dibattito venne stimolato da Giovanni Paolo II, che chiese un gesto di clemenza nel documento per il Giubileo nelle carceri, e nella visita al carcere romano di Regina Coeli (9 luglio 2000) rinnovò con forza la sua richiesta. Per superare gli scogli, la maggioranza di centrosinistra pensò anche al cosiddetto "indultino", con l’espulsione degli extracomunitari irregolari clandestini e l’aumento degli sconti di pena. Ma anche questo si bloccò. Wojtyla, tra l’altro, tornò a fare un appello per un provvedimento di clemenza il 14 novembre 2002, quando tenne il suo discorso in Parlamento, ma passarono diversi anni prima che le Camere approvassero un indulto. In passato la Chiesa ha favorito la concessione di amnistie o indulti. Nel 1963, in occasione del Concilio Vaticano II lo Stato italiano decretò una delle 27 amnistie che si sono succedute dal dopoguerra fino al 1990, anno a cui risale l’ultimo provvedimento in tal senso. Più in generale, spesso la concessione di amnistie e indulti è legata a importanti eventi pubblici. Nel 1959 l’amnistia fu legata alle celebrazioni del quarantennale di Vittorio Veneto. Nel 1966 al ventennale della Repubblica. Molto prima il regime fascista aveva concesso amnistie o sconti di pena per il 24° anniversario del regno di Vittorio Emanuele III, per le nozze del principe di Piemonte, per il primo decennale del regime e per le nascite degli eredi di casa Savoia. Altri provvedimenti sono stati concessi dallo Stato italiano nel 1968, 1970 e 1990: i primi rivolti a chiudere le vicende penali derivanti dai movimenti sociali di quegli anni, l’ultimo per decongestionare gli uffici giudiziari nell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale. L’indulto è stato concesso invece, l’ultima volta, nel 2006, preceduto tre anni prima dal cosiddetto "indultino". Disse Giovanni Paolo II nel discorso al Parlamento italiano il 14 novembre del 2001: "Senza compromettere la necessaria tutela della sicurezza dei cittadini, merita attenzione la situazione delle carceri, nelle quali i detenuti vivono spesso in condizioni di penoso sovraffollamento. Un segno di clemenza verso di loro mediante una riduzione della pena costituirebbe una chiara manifestazione di sensibilità, che non mancherebbe di stimolarne l’impegno di personale ricupero in vista di un positivo reinserimento nella società". Un grazie a Papa Francesco per le parole sull’amnistia arriva da Marco Pannella, leader radicale da sempre in prima linea nella battaglia sulle carceri. "Non so se le vie di quale Signore sono davvero infinite, dobbiamo prenderne atto che potendolo, rispetto a tutti quelli che lo potevano, solo Papa Francesco ha fatto vivere e ha tradotto in una realtà che investe l’Italia e gli italiani". Giustizia: Marco Pannella "evviva Bergoglio, vado in Vaticano a ringraziarlo" di Errico Novi Il Garantista, 2 settembre 2015 PD spiazzato, ma Manconi chiede che "il parlamento non ignori le parole del pontefice". L’immancabile Salvini: "carcerati? io penso alle loro vittime". Forse incredulo, forse travolto dalla gioia al punto da non saper trovare le parole, Marco Pannella prorompe in un "evviva Papa Francesco" in diretta a Radio Radicale, subito dopo aver letto in rete le parole del Santo Padre sull’amnistia ai carcerati. "Non so se le vie di quale Signore sono davvero infinite", dice il leader radicale, "ma dobbiamo prendere atto che, potendolo, rispetto a tutti quelli che potevano, solo Papa Francesco ha fatto vivere e ha tradotto in realtà questa ottemperanza a quanto il Capo di Stato italiano ha formalmente chiesto alle istituzioni". Il riferimento è all’unico messaggio alle Camere inviato da Giorgio Napolitano nel corso del suo mandato: quello in cui, nel 2013, l’allora presidente della Repubblica ricordava la "prepotente urgenza" di un provvedimento di amnistia. Un richiamo che in questi due anni Pannella e i radicali non hanno smesso di rilanciare, e che deputati e senatori hanno elegantemente ignorato. La sfida di Bergoglio è definita "prevedibile" da uno dei pochi parlamentari attenti al tema delle carceri, il presidente della commissione Diritti umani Luigi Manconi. È pur vero che di reazioni all’appello del Pontefice se ne contano tutto sommato pochine: segno che forse un po’ di spiazzamento c’è. Di sicuro, dal punto di vista dei radicali almeno, le parole di Bergoglio (che secondo padre Lombardi non sono un invito ufficiale alle istituzioni: precisazione di maniera) vanno persino al di là delle migliori aspettative. Certo, la proposta di amnistia "è una tradizione propria della proclamazione degli Anni Santi", sempre per citare Manconi, ma i consensi tributati a questo Papa per le sue posizioni sui migranti e per aperture come quelle di ieri sull’aborto rendono più difficile la via dell’indifferenza. E questo appunto giustifica l’entusiasmo di Pannella, che su Bergoglio aggiunge: "Stavo per chiederti sii coraggioso, ma avevo un po’ di pudore, speravo che arrivasse, è arrivata, e quindi chiederò nelle dovute formule di essere ricevuto dal segretario di Stato per rendere grazie formalmente allo stato di Città del Vaticano e a Papa Francesco". Dal fronte del Pd, Manconi chiede che il Parlamento "non ignori le parole del Papa". Oltre a lui, tra i pochi a sbilanciarsi si segnala il deputato della commissione Affari sociali Edoardo Patriarca: "La richiesta del Papa per un’amnistia deve essere un’occasione per rendere più umano il nostro sistema penitenziario: molto abbiamo fatto in questi anni, e il sovraffollamento ora è un fatto del passato, ma dobbiamo proseguire sulla strada del reinserimento di tanti detenuti". Di voci compiaciute non se ne contano molte altre. Il presidente della commissione Giustizia Francesco Nitto Palma (FI) ricorda opportunamente che "il provvedimento di amnistia e indulto è stato incardinato al Senato dopo l’appello di Napolitano, un anno e mezzo fa", ma che da allora non si registrano "significativi passi in avanti, attesa la contrarietà di diverse forze politiche". E ovviamente l’immancabile Matteo Salvini coglie al volo l’occasione per cinguettare: "Papa chiede amnistia per detenuti: "Il mio pensiero va ai carcerati". Umilmente, non sono d’accordo. Penso alle vittime dei loro reati". Significativo che a sconfessare leghisti e forcaioli vari arrivino gli agenti penitenziari, quelli che con il dramma delle carceri ci si sporcano sul serio le mani: Donato Capece, segretario di uno dei loro sindacati più rappresentativi, il Sappe, si augura che l’amnistia invocata dal Papa "possa essere l’occasione per garantire carceri più umane anche alle donne ed agli uomini del Corpo di Polizia penitenziaria, sempre più spesso costretti a subire e gestire gli eventi critici derivanti dall’attuale tensione, e più precisamente aggressioni, atti di autolesionismo, tentati suicidi". L’ultimo dei quali avvenuto poche ore prima dell’appello del Papa. Giustizia: Rita Bernardini "dal Pontefice una speranza a tutti i carcerati del mondo" di Antonio Rapisarda Il Tempo, 2 settembre 2015 Rita Bernardini, segretaria dei Radicali italiani, ricorda un aneddoto con speranza nel giorno in cui Papa Francesco richiama l’amnistia come uno dei principi dell’Anno Santo: "Due anni fa Marco Pannella ricevette una telefonata dal Papa dove gli disse: "Sii coraggioso, ti aiuto su questo fronte". L’aiuto è arrivato. "Sì, decisamente". La considerate una vittoria "radicale"? "È un cammino e una lotta da portare avanti. La sensibilità del Pontefice non è semplicemente di natura religiosa, non è armata solo dei principi del Vangelo, ma è una risposta di alto profilo anche dal punto di vista giuridico, di considerazione della legge". Quello della giustizia è un tema caro a Francesco. "Il Papa appena eletto ha dato subito un segnale: ha abolito l’ergastolo nel Vaticano. Ha introdotto il reato di tortura. Pensiamo, invece, a cosa accade in Italia...". Sono gesti che nel mondo cattolico hanno suscitato grande attenzione. "Francesco ha dimostrato di tenere alla condizione dello stato di diritto. Ricordo quando tenne una lezione ai giuristi cattolici e parlò di ergastolo come "pena di morte ritardata". Stesso discorso sul carcere duro". Insomma, Bergoglio è il più "pannelliano" dei papi possibile... "I due si intendono. Sono mossi dagli stessi principi che "principiano" qualcosa. Mi sembra che tutti e due siano un esempio di vita spesa nelle battaglie per i principi". Certo, Pannella con la tonaca però... "Marco ha usato spesso un motivo dei cattolici spes contra spem: essere speranza nella vita". Come pensate di dare una mano sull’argomento al Papa? "Siamo notoriamente poveri. Lo faremo con i metodi della non violenza. Continueremo la lotta sul fronte istituzionale. L’amnistia consente di sgravare tutta la giustizia di un fardello di procedimenti destinati alla prescrizione. Ciò significherebbe rimettere in moto milioni di euro". Giustizia: Flavio Tosi, sindaco di Verona "ma in Italia in galera non ci resta nessuno" di Antonio Rapisarda Il Tempo, 2 settembre 2015 "Il Santo Padre invoca l’amnistia? Tengo sempre come promemoria quel passo del Vangelo: Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio". Per Flavio Tosi, leader di Fare e sindaco di Verona, argomenti come l’amnistia, almeno in Italia, rimangono impraticabili. Sindaco, come giudica le parole di Francesco? "In un’ottica di separazione tra potere spirituale e potere temporale, è normale che il Papa nell’anno del Giubileo parli dei grandi temi della carità ai cristiani di tutto il mondo. Ma chi governa il Paese deve ascoltare la richiesta dei territori". Qual è? "Quella delle situazioni concrete. L’Italia ha bisogno di tutto tranne che di amnistia, indulto, sconti di pena, premi di buona condotta. La delinquenza sta sempre di più aumentando assieme alla gravità dei reati e in Italia in galera non ci rimane nessuno. Con la situazione del nostro Paese è impensabile aprire il dibattito su provvedimenti del genere". Il tema del sovraffollamento delle carceri però esiste. E anche delle condizioni dei detenuti. "Il Santo Padre va in quella direzione, e lo capisco. Ma il sovraffollamento lo si risolve utilizzando le caserme dismesse. Là potremmo ospitare i piccoli spacciatori, i ladri, chi commette reati che non coinvolgono mafia e sangue che necessitano invece delle carceri di massima sicurezza. Si avrebbero maggiore spazio e minori costi". Sa che anche Matteo Salvini ha chiuso le porte a ogni ipotesi di amnistia? Siete rimasti entrambi leghisti. "Non c’entra il fatto di rimanere leghisti. Ho solo un profondo senso della realtà". Non crede che possa essere interpretato come uno slogan questo della sicurezza? "Assolutamente no. Le dico: in Romania dove un ladro finisce in galera quindici anni le parole di Papa Francesco hanno davvero senso. Là, o in Turchia e in Marocco, le condizioni sono così dure nelle carceri che in occasione del Giubileo un provvedimento di clemenza non sarebbe sbagliato. Ma non in Italia dove i delinquenti sono liberi". Giustizia: caldo, ferie e meno volontari; ecco perché tanti suicidi di detenuti in estate Il Garantista, 2 settembre 2015 L’Amministrazione penitenziaria "ha richiamato l’attenzione delle direzioni degli istituti penitenziari a mettere in atto tutti i necessari interventi per agevolare condizioni detentive meno afflittive a causa delle elevate temperature di questa stagione estiva". Dal 4 gennaio al 31 agosto 2015 si sono verificati 29 casi di suicidi di persone detenute, 12 casi si sono verificati tra giugno e agosto. Lo rende noto il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, rilevando che "il periodo estivo presenta indubbiamente maggiori criticità rispetto agli altri periodi dell’anno, dovute non solo all’aumento della temperatura, particolarmente elevata questa estate, bensì anche agli aspetti organizzativi, sui quali incide il periodo feriale del personale penitenziario, con la conseguente riduzione delle attività trattamentali. Parimenti, il volontariato, che negli altri periodi dell’anno assicura sempre la sua massima preziosa attenzione, registra una minore presenza". La serie storica dei suicidi di detenuti (a partire dal 1990) dimostra che non può essere attribuito a un unico fattore (sovraffollamento, condizioni climatiche, stato giuridico, fine pena, rapporti con la famiglia, aspettative per il futuro, malattia, nazionalità, ecc.). la causa scatenante del gesto suicidano, quanto piuttosto a un insieme di cause. In riferimento agli articoli di stampa che hanno evidenziato l’intensificarsi dei suicidi nel periodo estivo, il Dap precisa che "ha richiamato l’attenzione delle direzioni degli istituti penitenziari a mettere in atto tutti i necessari interventi per agevolare condizioni detentive meno afflittive a causa delle elevate temperature di questa stagione estiva. In particolare, è stato raccomandato di consentire un più frequente utilizzo delle docce e l’apertura dei blindati anche nelle ore notturne per consentire un maggiore flusso di aria; intensificare il consumo di frutta e verdura; disponibilità di borse termiche e di ghiaccio per raffreddare le bevande e per la conservazione dei cibi; garantire la possibilità di usufruire, come per il resto dell’anno, di colloqui pomeridiani e festivi". Per fronteggiare l’emergenza idrica, in atto da mesi presso la casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, dovuta al mancato collegamento dell’impianto idrico dell’istituto all’acquedotto comunale, è stata notevolmente diminuita la presenza dei detenuti, disponendo, tra l’altro, il trasferimento di circa 130 detenuti, di cui 30 del circuito Alta Sicurezza, presso altri istituti campani. Ciò ha reso possibile liberare i piani alti dell’istituto. Il Provveditorato regionale della Campania ha inoltre emanato provvedimenti atti ad attenuare il disagio derivante da tale criticità, mediante la distribuzione di due litri di acqua potabile al giorno a ogni detenuto, in aggiunta al vitto ordinario; la fornitura di taniche di venti litri per ogni stanza da utilizzare quale riserva in caso di improvvisa mancanza di acqua; la fornitura di frigoriferi nei reparti per il deposito di bottiglie d’acqua o di altri generi alimentati; la fornitura e l’installazione di sei cisterne di acqua potabile ubicate nelle cucine detenuti e mensa agenti. Giustizia: Donato Capece (Sappe) "il vergognoso valzer dei detenuti psichiatrici" di Nadia Francalacci Panorama, 2 settembre 2015 Dopo la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, i soggetti con problemi psichici sono stati trasferiti nelle strutture carcerarie. Con molti problemi. Ma che fine hanno fatto i malati dopo la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari? Nelle carceri, in mezzo agli altri detenuti. Questo è quanto è accaduto in Liguria ma anche in molte altre strutture carcerarie italiane che dopo la chiusura degli Opg si sono visti costretti ad "ospitare" i detenuti psichiatrici. Nessuna nuova struttura attrezzata, le Rems, bensì celle già sovraffollate da condividere con gli altri detenuti. "Una scelta che ha generato un’infinità di problematiche gravissime all’interno delle strutture carcerarie- spiega a Panorama.it, Donato Capece, Segretario generale del Sappe della Polizia Penitenziaria - non solo a livello di sorveglianza ma anche di stabilità psicologica-comportamentale degli altri soggetti costretti a condividere spazi angusti con persone con gravi problemi psichiatrici". Donato Capece, ma che cosa sta accadendo adesso all’interno delle carceri? "Non dobbiamo mai dimenticare che questi soggetti hanno bisogno di cure e il loro atteggiamento è aggressivo e spesso distruttivo. Assistiamo quotidianamente ad aggressioni feroci nei confronti degli agenti penitenziari, verso altri detenuti ma soprattutto alla devastazione delle loro celle. Spesso le demoliscono oppure gli danno fuoco. Un singolo soggetto, in pochissime settimane, nel carcere di Marassi, è stato protagonista di ben 80 eventi critici. Ma che cosa è accaduto dopo la chiusura ufficiale con il 1 marzo degli Opg? Quanti e quali sono le presenze all’interno degli ormai ex ospedali psichiatrici giudiziari a fine luglio 2015? Ad esempio, a Napoli ci sono 45 soggetti rispetto ai 104 di un anno fa, Reggio Emilia conta 77 persone rispetto ai 157, Barcellona Pozzo di Gotto 136 a fronte di ben 185, Montelupo Fiorentino da 102 del 2014 a 84 di oggi e Aversa che alla data del 31 luglio 2015 ospitava 74 detenuti psichiatrici a fronte dei 130 dell’anno scorso. Capece, proprio la struttura di Aversa a generare moltissimi problemi. Si spieghi meglio…. "I detenuti psichiatrici che sono stati trasferiti in strutture sanitarie, sono stati sostituiti con i detenuti di media sicurezza provenienti da Poggioreale ma senza che la struttura fosse adeguatamente protetta. In sostanza ci troviamo a dover combattere con i detenuti con problemi mentali e a sorvegliare gli altri che non sono detenuti con le misure previste per la loro detenzione". Insomma adesso vige un profondo "caos" con un conseguente disagio per gli agenti… "Purtroppo si. Quel che servirebbe al posto degli ex Opg sono strutture di reclusione con una progettualità tale da garantire l’assistenza ai malati e la sicurezza degli operatori. Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari hanno risentito nel tempo dei molti tagli ai loro bilanci. Ma colpevole è anche una diffusa e radicata indifferenza della politica verso questa grave specificità penitenziaria, confermata dall’incapacità di superare davvero gli Opg. Se i politici, a tutti i livelli, invece delle solite passerelle a cui si accompagnavano puntualmente anatemi e demagogie quanto estemporanee soluzioni, si fossero fatti carico del loro ruolo istituzionale, avrebbero per tempo messo le strutture psichiatriche nelle condizioni di poter svolgere al meglio il loro lavoro, poiché le condizioni disumane in cui hanno versato gli Opg sono il frutto di una voluta indifferenza della società civile, dei politici, ma soprattutto dei vertici dell’Amministrazione penitenziaria". Giustizia: i coniugi Spinelli, condannati a due anni e 4 mesi per aver difeso la loro privacy di Giovanni Maria Jacobazzi Il Garantista, 2 settembre 2015 Il reato di rapina, nel codice penale, è inserito nel titolo tredicesimo del libro secondo, rubricato "dei delitti contro il patrimonio", insieme al furto, alle ricettazione, all’estorsione. Il bene giuridico tutelato in tutti questi delitti è l’inviolabilità del patrimonio. Nella rapina, la violenza o la minaccia alla persona sono strumento attraverso cui ci impossessa del bene. Ciò lo differenzia, ad esempio, dal furto. Il fine che il rapinatore persegue, poi, è quello di procurarsi un profitto ingiusto: chi assalta una banca sa benissimo che pretende del denaro che non gli compete. Questa premessa è importante per capire come lunedì scorso, alla sezione feriale del Tribunale di Roma, sia andata in scena una "rilettura" del diritto sostanziale contra personam. Nel caso di specie contra gentem Casamonica. Una interpretazione giurisprudenziale dettata, con ogni probabilità, dall’indignazione del momento che stravolge il principio della generalità ed astrattezza della norma giuridica, creando un precedente molto pericoloso. Riassumiamo i fatti. Il 24 agosto scorso, nel pieno delle polemiche per i funerali show del "Re" Vittorio nella chiesa di San Giovanni Bosco a Cinecittà, una troupe della trasmissione Agorà della Rai si era recata a casa dei coniugi Vincenzo e Loredana Spinelli, imparentati con i Casamonica, per raccogliere alcune immagini e dichiarazioni. Vincenzo Spinelli, infatti, aveva nei giorni precedenti già rilasciato delle interviste ad alcuni quotidiani spiegando, fra l’altro, come le esequie con la bara trasportata da un carro funebre trainato dai cavalli rientrassero nella migliore tradizione rom. La troupe, un giornalista ed un cameraman, individuata la casa degli Spinelli nel quartiere romano del Quadraro, con un’asta simile a quella dei selfie, aveva iniziato ad effettuare di nascosto delle riprese all’interno dell’abitazione. Accortisi di ciò, gli Spinelli, dopo aver aggredito la troupe, si erano impadroniti degli strumenti di ripresa, restituiti dagli stessi ai giornalisti solo dopo aver cancellato le immagini che li riguardavano. Gli Spinelli furono, quindi, subito arrestati in flagranza dalle volanti della polizia chiamate da uno degli operatori aggredito con l’accusa di rapina aggravata. Accusa che ha portato alla condanna dei coniugi Spinelli a due anni e quattro mesi di reclusione. Grazie alla riduzione di un terzo per la scelta del rito abbreviato. Novanta i giorni per le motivazioni della sentenza. Nell’attesa di conoscere le motivazioni, un dubbio però è d’obbligo. Come mai il Tribunale non ha considerato il diritto alla privacy dei coniugi Spinelli? Non è diverso minacciare un cassiere in banca per farsi dare ingiustamente del denaro, rispetto a minacciare un operatore televisivo per farsi dare un video con proprie immagini carpite senza previo consenso? Il reato di cui, semmai, dovevano essere accusati gli Spinelli è quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulla persona (art. 393 cp). Reato dove rileva l’intenzione di esercitare un proprio diritto, in questo caso la tutela delle immagini che li riguardavano e che non loro non avevano inteso dare. La difesa degli Spinelli ha già preannunciato l’appello. Nel frattempo chi nelle prossime settimane si vedesse arrivare le Iene o il Gabibbo, ovviamente non invitati, armati di telecamera, stia attento e non aggredisca. Potrebbe finire in carcere. Come i parenti dei Casamonica. La rapina, non aggravata, è punita fino a dieci anni di reclusione. Lo sciopero della toga onoraria non ferma la prescrizione di Patrizia Maciocchi Il Sole 24 Ore, 2 settembre 2015 Corte di Cassazione - Sesta sezione penale - Sentenza 1 settembre 2015 n. 35797. L’adesione allo sciopero, proclamato dalla categoria, da parte del giudice onorario non può comportare la sospensione del corso della prescrizione. Spetta al Procuratore della Repubblica trovare un sostituto, soluzione che può scongiurare il rinvio dell’udienza. La Corte di Cassazione, con la sentenza 35797 depositata ieri, esclude la possibilità di estendere anche ai vice procuratori onorari l’articolo 159 del codice penale, che ferma gli orologi della prescrizione in caso di legittimo impedimento del difensore, sciopero compreso, o delle parti. Una disparità di trattamento giustificata dal ruolo: il giudice onorario è titolare di funzioni giudiziarie che lo stesso ordinamento gli attribuisce. I giudici della sesta sezione penale sono consapevoli di discostarsi dall’orientamento espresso dalla terza sezione con la sentenza 41692 del 2013. In quel caso la Suprema corte affermò che l’adesione all’astensione dalle udienze penali di un organo della magistratura onoraria sospende il decorso della prescrizione, come previsto dall’articolo 159 del Codice penale. Allora era passata la tesi di una piena assimilazione, che oggi i giudici non si sentono di condividere, anche perché comporta degli effetti peggiorativi sui tempi della prescrizione: tema da interpretare in maniera rigida e che non tollera applicazioni estensive o analogiche. Il "microsistema" disegnato dal codice penale, prevede la sospensione della prescrizione - oltre che in caso di autorizzazione a procedere o di deferimento della questione ad altro giudizio - per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori oppure su richiesta dell’imputato o del suo difensore. È chiaro sottolineano i giudici il riferimento alle sole parti private. Ed è altrettanto pacifico che al difensore in quanto "soggetto processuale", spettano diritti e doveri diversi. L’appartenenza del magistrato onorario all’ordine giudiziario non limita però il suo diritto di aderire agli scioperi di categoria. È, infatti, dovere del Procuratore della Repubblica adottare nel caso di assenza del Vpo, le disposizioni per garantire la partecipazione dell’ufficio al dibattimento penale. Per la Cassazione l’impossibilità di sostituzione del Vpo che abbia aderito allo sciopero non incide dunque sul suo diritto "e può anche non necessariamente comportare il rinvio dell’udienza, là dove si proceda alla sua sostituzione". Per il ricorrente, il cui ricorso viene accolto, la soluzione adottata comporta invece il riconoscimento della prescrizione del reato. L’occultamento delle scritture contabili è reato permanente di Laura Ambrosi Il Sole 24 Ore, 2 settembre 2015 Il reato di occultamento delle scritture contabili è di carattere permanente perché l’obbligo perdura fino a che è consentito il controllo. In assenza di prove sulla distruzione, il contribuente ha infatti il potere di interrompere la commissione del delitto, semplicemente mostrando la documentazione richiesta. Ad affermarlo è la Corte di cassazione, sezione feriale penale, con la sentenza 35665 depositata il 26 agosto 2015. A un contribuente erano contestate plurime violazioni tributarie ed era stato ritenuto colpevole dal giudice di primo grado del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti (articolo 8 del Dlgs 74/2000), nonché di aver occultato o distrutto la relativa documentazione commettendo così anche il delitto di occultamento di documenti contabili (articolo 10 del Dlgs 74/2000). La norma prevede, salvo che il fatto costituisca più grave reato, che è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’Iva, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. La Corte di appello, in parziale riforma della decisione del Tribunale, ha dichiarato di non doversi procedere solo in ordine al reato di emissione di fatture false, poiché estinto per prescrizione. Con riferimento all’occultamento, invece, il giudice ha precisato che si tratta di un delitto permanente, la cui condotta si protrae fino al momento dellaccertamento fiscale. L’imputato proponeva così ricorso per Cassazione lamentando, tra i diversi motivi, l’erronea applicazione della legge penale in merito al computo del termine per il calcolo della decorrenza della prescrizione. La Suprema Corte ha confermato la decisione di merito. Secondo l’orientamento di legittimità ormai consolidato, l’articolo 10 del Dlgs 74/2000 definisce la condotta punibile nella distruzione o nell’occultamento totale o parziale delle scritture. La distruzione configura un reato istantaneo che si realizza al momento dell’eliminazione della documentazione; l’occultamento, invece, consiste nella temporanea o definitiva indisponibilità della predetta documentazione da parte degli organi verificatori e dà luogo a un reato permanente. L’obbligo di esibizione, infatti, perdura finché è consentito il controllo. Ne consegue che la condotta delittuosa si protrae nel tempo a discrezione del contribuente, il quale a differenza dell’ipotesi di distruzione, può "far cessare l’occultamento" semplicemente esibendo quanto necessario. In assenza di prove dell’avvenuta distruzione dei documenti in un preciso momento, il reato di occultamento diventa rilevante a decorrere da quando non si adempie all’obbligo di esibizione o di allegazione alla dichiarazione. Nella specie, dalla data della verifica da parte della Gdf doveva computarsi il decorso del termine di prescrizione del reato. Notifica presso lo studio per l’avvocato che non elegge nuovo domicilio di Francesco Machina Grifeo Il Sole 24 Ore, 2 settembre 2015 Corte di cassazione - Sezione VI civile - Sentenza 1 settembre 2015 n. 17375. Non può dichiararsi inammissibile l’impugnazione notificata nelle mani del collega di studio del difensore della parte appellata qualora, in un processo svoltosi al di fuori della circoscrizione del proprio tribunale, questi non abbia validamente eletto nuovo domicilio. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza 17375/2015 , chiarendo che l’automatica domiciliazione presso la cancelleria del tribunale decidente non può essere invocata rappresentando una regola posta a tutela della controparte. E che ad ogni modo la successiva costituzione della parte appellata "sana" la notifica che al massimo potrebbe considerarsi "nulla" ma non già "inesistente". La vicenda - Nel caso affrontato l’avvocato aveva dichiarato il proprio domicilio in Roma, dunque presso il proprio studio abituale, piuttosto che a Tivoli dove il locale giudice di pace aveva pronunciato la sentenza di prima grado. E il tribunale aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla parte avversa in quanto la notifica era stata eseguita "presso un domicilio invalidamente dichiarato". Osserva la Cassazione che l’articolo 82, primo comma, del Rd n. 37 del 1934 prevede nei confronti del procuratore costituito in un giudizio che si svolge fuori della propria circoscrizione "non un diritto ma un onere di domiciliarsi ivi". E che dunque la regola, fissata dal secondo comma, per cui di fronte all’inerzia del professionista il domicilio s’intende eletto presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria, "è la conseguenza che l’ordinamento trae nell’interesse dell’altra parte e dell’ufficio giudiziario adito, per agevolarne, rispettivamente, gli oneri di notificazione e di comunicazione". La motivazione - Così ricostruita la norma, gli ermellini, citando precedenti pronunce, hanno chiarito che mentre l’avvocato che abbia adempiuto all’onere ha il diritto di ricevere le notificazioni "esclusivamente nel domicilio eletto" (dovendosi pertanto ritenere invalida una notifica presso lo studio), quando invece "non abbia (validamente) esercitato la facoltà di elezione, così rendendosi inottemperante al relativo onere", la notifica presso lo studio deve comunque ritenersi valida (Cassazione 16145/2015). Non solo, in un’altra pronuncia i giudici hanno affermato che, al fine della decorrenza del termine breve per proporre l’appello, "è valida, la notificazione della sentenza effettuata al procuratore costituito nello studio risultante dall’albo professionale, anziché in quello, da lui indicato in corso di causa, ubicato nel circondario del giudice di primo grado, atteso che l’esigenza della piena conoscenza del contenuto della decisione per la parte tramite il suo difensore… è soddisfatta" (Cass. 25294/2013). Tuttavia, prosegue la sentenza, anche a pensarla diversamente, la notifica presso lo studio (invece che nella cancelleria) "sarebbe nulla e non già inesistente". Infatti, l’inesistenza può essere dichiarata unicamente in assenza di "alcuna attinenza" con il destinatario, altrimenti si ricade nell’ipotesi di semplice nullità (16759/2011). "E nella specie - conclude la Corte -, sarebbe davvero arduo sostenere che il collega di studio del difensore costituito e lo studio stesso siano persona e luogo che non abbiano attinenza riferimento o collegamento alcuno con la parte che proprio detto legale ha rappresentato e difeso nel giudizio di primo grado". Ne consegue che la nullità è stata sanata con efficacia retroattiva dalla costituzione della parte appellata, e che essa comunque non poteva eccepirla avendovi dato causa. Lettere: ha scritto un libro, ma non può averne una copia perché è al 41bis di Giuliano Capecchi (Associazione Liberarsi) Il Garantista, 2 settembre 2015 Care amiche e amici, vi facciamo conoscere questa storia che non riusciamo da qualche mese a risolvere e che ci coinvolge molto. La nostra associazione di volontariato Liberarsi - Firenze, porta avanti un progetto di una collana di libri, intitolata "L’evasione possibile". Gli autori sono detenuti, con lunga pena (spesso ergastolani) e reclusi in sezioni speciali (41 bis e AS). La collana è stampata dall’editrice Sensibili alle Foglie ed è nata con l’appoggio della Chiesa Valdese tramite fondi raccolti tramite 1*8 per 1000. Vi parliamo in particolare del libro di Salvatore Ritorto, condannato all’ergastolo, attualmente detenuto nella sezione a 41 bis del carcere di Viterbo. Salvatore ha intitolato il suo libro: "Il prigioniero libero", pensieri, emozioni, considerazioni dall’ergastolo, E uscito nel giugno 2015, ma ancora nessuna copia è arrivata nelle sue mani. Ai detenuti nelle sezioni a 41 bis non possono essere mandati libri, né dai familiari, né dagli amici, né dai loro avvocati, l’unico modo è acquistarli tramite l’impresa interna al carcere, quella che vende i dentifrici e i detersivi (per esempio). Nel caso di Salvatore non sappiamo per quale motivo non gli hanno comprato una copia del suo libro, anche perché la corrispondenza tra la nostra associazione e il nostro amico detenuto è stata bloccata e non ne conosciamo i motivi. Il 41 bis è un regime di tortura di cui troppo poco si parla e quasi niente si conosce, ma che nulla ha a che fare con la nostra Costituzione. Cosa vi chiediamo? Di scrivere una lettera raccomandata (la posta normale non arriva) a Salvatore con un breve testo di cui vi forniamo un esempio, ma che potrete personalizzare e cambiare. "Caro Salvatore, sappiamo che è uscito un tuo libro da te intitolato: "Il prigioniero libero", sappiamo anche che dopo tre mesi non ne hai ancora una copia in cella, riteniamo che questo sia un tuo diritto, ti esprimiamo la nostra solidarietà e ci rivolgiamo a te come ad un fratello, ad un compagno, ad un amico, a seconda della nostre diverse visioni politiche, sociali e religiose che abbiamo. Ti siamo vicini, un abbraccio". L’indirizzo di Salvatore è: Salvatore Ritorto, Strada SS. Salvatore, 14/B - 01100 Viterbo. Se vuoi ricevere una copia del libro puoi richiederla all’Editore Sensibili alle foglie o a Giuliano Capecchi, via Cintola Alta, 58 - 50027 Strada in Chianti (Fi). Saremmo felici di poter presentare questo libro nella tua città e ai discutere con te e con tue amiche e amici sull’ergastolo e sul 41 bis. Il testo è anche in liberarsi.org. Lettere: Nicola Gratteri ha ragione, per fare antimafia non c’è bisogno di finanziamenti di Mario Nasone strill.it, 2 settembre 2015 Nicola Gratteri ha ragione, per fare antimafia non c’è’ bisogno di finanziamenti pubblici. Le più’ belle iniziative a cui ho partecipato in questi anni sono state tutte a costo zero per lo Stato. Anzi, quando è stato necessario per le piccole spese organizzative si è’ ricorso all’auto finanziamento da parte dei partecipanti. Penso per esempio ai campi di lavoro estivi dei giovani organizzati dalla Caritas, da Libera, Arci ed altri dove i ragazzi stessi hanno contribuito di tasca propria alle spese vive del campo Per le manifestazioni più importanti al massimo i Comuni potrebbero fornire servizi (es. Palco energia elettrica, acqua) ma evitando di dare soldi. Anche l’educazione antimafia va ripensata. Gli studenti, non possono essere trattati da truppe cammellate da trasportare nei cortei o negli auditorium vari per sorbirsi in modo passivo interventi di vari esperti antimafia. L’educazione, non solo quella antimafia, deve partire dai giovani, dal loro protagonismo, da quello che sentono dentro rispetto a questo tema. Presentando l’antimafia non come un problema a sé stante ma come un tutt’uno con i temi del lavoro che manca, del clientelismo, del racket, della violenza in genere, della povertà. Dove gli adulti e gli esperti, rigorosamente a costo zero, invece di imbottire i ragazzi di discorsi si mettano ad ascoltare ed essere facilitatori della loro ricerca personale. I temi delle mafie e delle altre forme di violenza, devono entrare nell’insegnamento normale curricolare, da fare nel normale orario scolastico e con esperienze di laboratori pomeridiani. Non servono i musei anti-ndrangheta ne le università’ antimafia, con gli stessi soldi, ha ancora ragione Gratteri, finanziamo invece le scuole per acquistare libri, sussidi e attrezzature multimediali. Lucca: condannato per stalking, 26enne si suicida per paura di finire in carcere Ansa, 2 settembre 2015 È morto suicida Nicola Barsotti, il 26enne il cui cadavere era sotto le Mura di Lucca: si è inferto alcune coltellate procurandosi ferite che sono poi risultate mortali. Il giovane, secondo le prime informazioni, avrebbe avuto paura delle conseguenze di una condanna per stalking che aveva riportato in un processo e che se confermata, questa la sua paura, avrebbe potuto portarlo in carcere. In un primo momento era stato ipotizzato anche che l’uomo fosse rimasto ferito mortalmente in una lite. La polizia ha ricostruito poi la vicenda. Alcuni agenti hanno anche tentato di soccorrerlo ma per il giovane non c’è stato niente da fare. Padova: addetti all’igiene ambientale, al via corso per 35 detenuti in Casa circondariale di Elisa Fais Il Mattino di Padova, 2 settembre 2015 Alla Gasa circondariale di Padova inizia un corso di formazione professionale per addetto all’igiene ambientale: partecipano trentacinque detenuti con problemi di dipendenza da alcol e droga, che un domani potranno proporsi ad imprese di pulizia. Si tratta della prima esperienza del genere nata all’interno della nuova sezione a custodia attenuata per il trattamento dei tossicodipendenti "Icatt". Il corso è a costo zero perché interamente finanziato dalla Cooperativa Solidarietà, operante nel sociale in Triveneto da oltre 25 anni. In un momento di crisi e di ristrettezze economiche, il progetto pilota intende aprire la porte del carcere all’ingresso di altre aziende. "Facciamo appello a imprenditori e cooperative perché mettano a disposizione risorse da impiegare in attività all’interno della Casa circondariale", dichiara Domenico Cucinotta, responsabile area pedagogica della Casa circondariale diretta da Antonella Reale. "Nell’ultimo anno la Regione Veneto non ha pubblicato bandi destinati ad attività formative all’interno delle carceri, ma solo per attività ludico-ricreative. Crediamo che impiegare i detenuti in attività professionalizzanti abbia una ricaduta positiva sul territorio". Ottenere una qualifica professionale e riuscire ad inserirsi nel mondo del lavoro, aiuta a non commettere ancora reati una volta fuori dal carcere. Lo confermano i dati: per ogni anno passato in un carcere "aperto" (dove si studia, si lavora e si fanno attività ricreative) il rischio di recidiva si riduce del 17%. Un recente studio pubblicato dal Sole240re ha quantificato un risparmio per la collettività pari a 157 euro al giorno per ogni ex detenuto che riesce a reintegrarsi nella società. Il corso inizia la prossima settimana all’Icatt e comprende quattro giornate di formazione. Al termine sarà rilasciato un attestato sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, riconosciuto a livello nazionale, che sgraverà i futuri datori di lavoro da oneri formativi obbligatori per legge. I nuovi addetti all’igiene ambientale potranno così inserire l’attestato nel proprio curriculum vitae e spenderlo in qualsiasi azienda. Rovigo: il nuovo carcere è pronto ma senza arredi, mancano 20 milioni di € e il personale Rovigo Oggi, 2 settembre 2015 La struttura non aprirà nel breve periodo come annuncia il Prefetto. All’appello mancano 20 milioni di euro e il potenziamento dell’organico, a cui dovrebbe provvedere il ministero della Giustizia. Pessimismo per un’imminente apertura del carcere nuovo arriva dalla Prefettura, rabbia e sgomento invece dalla cittadinanza. Come è possibile che dopo aver speso 29 milioni di euro il Governo rimandi a data da destinarsi il trasferimento dei detenuti nella nuova struttura? La vicenda suona paradossale se si pensa che l’Italia è stata condannata a pagare risarcimenti milionari ai detenuti che avevano presentato ricorso alla Corte europea dei diritti umani per il sovraffollamento delle carceri. La prima pietra era stata porta nel 2007 dal ministro Clemente Mastella ed è sempre Roma che ora dovrebbe coordinare le operazioni per il taglio del nastro della struttura. Nel frattempo il sindaco Massimo Bergamin promette che si attiverà con i parlamentari polesani. Perché in Italia deve sempre funzionare così? Un giorno si e l’altro pure questo Paese viene scosso da scandali di vari natura, dalla corruzione, allo spreco di denaro pubblico, allo sfregio del territorio. Due anni fa era anche arrivata la sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che condannava l’Italia a risarcire alcuni carcerati per le pessime condizioni in cui erano detenuti. Così per mesi sono stati spesi fiumi di inchiostro sulla questione; non mancava chi evocava un altro indulto, chi invece era favorevole alla costruzione di carceri o alla depenalizzazione dei reati. Anche l’allora presidente Giorgio Napolitano, in uno dei suoi frequenti moniti, aveva esortato il Governo a porre fine alla spinosa questione. Alla luce di tutto ciò le parole del prefetto Francesco Provolo che si dice pessimista su una prossima apertura della nuova casa circondariale cittadina destano rabbia e sgomento. Sì perché non si capisce come mai dopo trent’anni di parole, a cui fortunatamente nel 2007 erano seguiti i fatti e dunque la costruzione del carcere oggi non sia possibile prendere i detenuti, ancora alloggiati in stato di sovraffollamento in via Verdi, e spostarli nella nuova struttura. Quando il ministro della giustizia Andrea Orlando qualche mese fa si era recato a Rovigo aveva promesso l’imminente apertura del carcere, nonostante prima occorresse provvedere al potenziamento del personale (leggi articolo). "Spero sia un problema momentaneo e Rovigo non venga abbandonata, sarebbe un scandalo di proporzioni nazionali" commenta il presidente dell’ordine degli avvocati Gianpietro Berti. I dati aggiornati al 30 aprile 2015 dicono che l’attuale casa circondariale di via Giuseppe Verdi conta 75 detenuti, a fronte della capienza massima di 71. Non sono però i numeri a preoccupare di più, come afferma Berti: "La struttura è vecchissima, necessiterebbe di interventi di manutenzione straordinaria che non fino ad ora non sono stati effettuati in quanto si pensava di doversi trasferire nel carcere nuovo". A snocciolare i numeri sul nuovo carcere ci pensa invece Livio Ferrari, consigliere comunale: "Il nuovo carcere è pronto dall’estate del 2013. Per la realizzazione della struttura occorrevano 40 milioni di euro: 20 milioni per i lavori strutturali e gli altri 20 per l’arredamento degli alloggi dei detenuti. Al momento sono stati spesi 29 milioni e fra questi dovrebbero rientrare nel budget anche i costi dei 90 appartamenti per gli agenti e dei due super attici da 160 metri quadri destinati al capo o comandanti della polizia penitenziaria". Se la matematica non è un’opinione sono state utilizzate più risorse del necessario per i primi interventi (29 milioni invece di 20). Ora all’appello mancherebbero 20 milioni. I costi della struttura sembrerebbero dunque essere lievitati passando da 40 a circa 50 milioni. Nel frattempo la sezione femminile è stata chiusa e le detenute sono ospitate a Venezia. Ferrari è anche autore del libro "No prison" con il quale ha sostenuto la sua contrarietà alla realizzazione di questa grande struttura: "Il carcere è stato costruito con una logica di pena afflittiva ma così non funziona. Gli amministratori che lo hanno voluto non si sono mai confrontati con le associazioni per capire se la realizzazione avesse senso. Sono da sempre propenso a inserire nuove modalità di esecuzione della condanna". Per dare il via ai lavori si era recato a Rovigo l’allora ministro della giustizia Clemente Mastella (governo Prodi-2) e proprio via Arenula oggi dovrebbe occuparsi di coordinare l’operazione di ultimazione dello stabile e di assunzione del personale. Per il Governo però sembra non essere più una priorità il carcere rodigino. A tranquillizzarlo potrebbero essere stati i dati diffusi sul numero dei detenuti in Italia, sceso da 68.258 del 2014 a 52.754 del 2015. Merito forse della dichiarata incostituzionalità della Fini-Giovanardi e del decreto svuota carceri (che limita la custodia cautelare a coloro per cui il giudice ritenga che la condanna inflitta sarà superiore ai tre anni) ma "non per questo l’emergenza è venuta meno" come sostiene Berti. La capienza massima italiana è infatti di 49.552 posti, il sovraffollamento si attesta dunque a 4.039 unità. Nell’attesa che la lenta macchina burocratica romana si decida a partire il sindaco Massimo Bergamin intende attivarsi "con tutti i parlamentari per fare pressione affinché la struttura, in cui servirebbero circa 60-70 unità per avviarla, venga dotata di personale in modo da liberare la vecchia struttura e soprattutto per dare lavoro a più famiglie". "Non voglio che il nuovo carcere - ha concluso il primo cittadino - divenga una cattedrale nel deserto, dobbiamo inventarci qualcos’altro. Rovigo ed il Polesine non ne hanno bisogno". Rovigo: Ferrari "il nuovo carcere, una cattedrale nel deserto e uno spreco da 40 milioni" di Marina Lucchin Il Gazzettino, 2 settembre 2015 Una cattedrale nel deserto e uno spreco di denaro da 40 milioni di euro. Lo denuncia il consigliere comunale Livio Ferrari, che snocciola vari dati sul nuovo carcere che, come ha annunciato il prefetto Francesco Provolo ieri, rischia di rimanere chiuso. Ferrari esordisce ribadendo la sua contrarierà alle carceri visto che "le politiche detentive hanno fallito e non ve n’è necessità". In seguito evidenzia il progetto faraonico: "Sui 40 milioni preventivati ne sono stati spesi 29. La parte per la detenzione è pronta dal 2013 mentre successivamente sono stati costruiti 90 appartamenti di servizio più due superatoci da 160 metri quadrati ciascuno, che ospiteranno comandante e direttore della polizia penitenziaria. Mancano dai 120 ai 130 agenti per mettere in moto la nuova casa circondariale. Servirebbero, infatti, 200 agenti per fare fronte a una struttura che al massimo può arrivare ad ospitare 408 persone". Pare però che per il momento resti tutto congelato: "Quello di Rovigo non è un caso a se stante. Sono 40 gli istituti di pena nuovi ma mai aperti in Italia. Dal punto di vista politico sono critico rispetto alla scelta fatta a suo tempo, con i sindaci Baratella e poi Avezzu. Si è trattata di una scelta speculativa e non legata ai reali problemi del carcere rodigino". Il primo cittadino Massimo Bergamin si dice preoccupato per la faccenda e annuncia la volontà di intervenire in sinergia con tutti i parlamentari del territorio, ossia il deputato Diego Crivellali (Pd) con i senatori Bartolomeo Amidei (Fi), Giovanni Endrizzi (M5S), Emanuela Munerato (Fare con Flavio Tosi), per "evitare che la struttura, nuova e costosa, venga abbandonata a se stessa, con tutti i problemi che fatti di questo genere comportano. Non importa che il carcere funzioni al massimo della sua portata, l’importante è che venga utilizzato perché altrimenti diventerà un area degradata. Un’altra. In città ne abbiamo già tante, a partire dall’ex ospedale Maddalena, o dall’ex manicomio, Non permetterò che Rovigo riceva un trattamento del genere". Lecce: nuovi strumenti per il carcere, ma 500mila € di fondi comunitari sono inutilizzati di Antonio Della Rocca Corriere del Mezzogiorno, 2 settembre 2015 Il piatto è ricco: 500mila euro di fondi comunitari (Fesr) disponibili da oltre un anno per l’acquisto di importanti dotazioni sanitarie destinate al carcere Borgo San Nicola di Lecce che l’Asl non ha ancora speso e che potrebbero andare persi qualora non fossero sfruttati entro il 31 ottobre prossimo. La Regione ha fatto sapere che quelle spese vanno, infatti, "pagate e quietanzate inderogabilmente entro il 31 ottobre 2015" per consentire validazioni e controlli del caso da parte dei suoi uffici. Procedure, queste ultime, da definire a loro volta entro il 31 dicembre. Insomma, una vera e propria corsa contro il tempo per evitare quello che sarebbe uno spreco di dimensioni decisamente notevoli. Si tratta di una questione che il Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria) ritiene talmente seria da non avere avuto esitazione alcuna a segnalarla alla Procura di Lecce. Non fosse altro per il fatto che quei denari servono a dotare il penitenziario di apparecchiature che consentirebbero di erogare le cure sanitarie in carcere evitando il trasporto dei detenuti in strutture esterne, come accade tuttora, con tutti i rischi connessi a questo delicato adempimento. Il segretario regionale del Sappe, Federico Pilagatti, in una lettera inviata, tra gli altri, al procuratore Cataldo Motta, al prefetto di Lecce, Claudio Palomba, e al governatore Michele Emiliano, si dice assai preoccupato per le "traduzioni di detenuti, anche pericolosissimi, con un numero inadeguato di poliziotti di scorta". E aggiunge: "Ci sembra inaccettabile che, in presenza di condizioni che potrebbero far diminuire le uscite dal carcere non si agisca con la dovuta rapidità". Ma la vicenda ha indispettito anche l’amministrazione penitenziaria che attende spiegazioni sul mancato acquisto delle apparecchiature temendo che i fondi possano volatilizzarsi. "Attendiamo chiarimenti dal direttore generale dell’Asl, Giovanni Gorgoni, che in questi giorni ci ha richiesto l’elenco degli acquisti destinati al carcere, già peraltro stilato a suo tempo dal Distretto socio sanitario di Lecce e consegnato all’azienda sanitaria", spiega la direttrice della casa circondariale salentina, Rita Russo. Tale elenco fu inviato all’Area Patrimonio dell’Asl nel settembre del 2014. Intanto, della questione, su richiesta del Sappe, si è discusso il 25 agosto scorso in un comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica convocato appositamente dal prefetto di Lecce e al quale è stato chiamato a partecipare anche il manager dell’Asl. Al vertice, come spiega la stessa Rita Russo, "l’Asl si è presentata con un elenco di apparecchiature per un totale di circa 170mila euro che non risulta rispondente a quello elaborato dal distretto socio sanitario. Questo senza dare alcuna spiegazione. Dunque, ci chiediamo perché non si stia sfruttando l’intero finanziamento di 500mila euro". Domande che il Corriere del Mezzogiorno ha girato a Gorgoni, dal quale si attendono ora risposte. Il 24 agosto scorso, cioè il giorno prima della riunione in prefettura, lo stesso manager aveva peraltro firmato il bando per l’acquisto dei dispositivi destinati al carcere per un una somma complessiva di 171mila euro. Ma ora, direzione carceraria e Sappe chiedono conto del perché ci sia voluto tanto tempo per bandire la gara e vogliono sapere che fine faranno i restanti 329 mila. Sempre che, nel giro di un mese, la Asl riesca a spendere la fetta di finanziamento prevista nel bando e che, quindi, non vada alle ortiche l’intera dotazione finanziaria da mezzo milione. Santa Maria Capua Vetere (Ce): emergenza idrica nel carcere, trasferiti 130 detenuti campanianotizie.com, 2 settembre 2015 Per fronteggiare l’emergenza idrica, in atto da mesi presso la casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, dovuta al mancato collegamento dell’impianto idrico dell’istituto all’acquedotto comunale, è stata notevolmente diminuita la presenza dei detenuti, disponendo, tra l’altro, il trasferimento di circa 130 detenuti, di cui 30 del circuito Alta Sicurezza, presso altri istituti campani. Lo comunica il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, spiegando che ciò ha reso possibile liberare i piani alti dell’istituto. Il Provveditorato regionale della Campania ha inoltre emanato provvedimenti atti ad attenuare il disagio derivante da tale criticità, mediante la distribuzione di due litri di acqua potabile al giorno a ogni detenuto, in aggiunta al vitto ordinario; la fornitura di taniche di venti litri per ogni stanza da utilizzare quale riserva in caso di improvvisa mancanza di acqua; la fornitura di frigoriferi nei reparti per il deposito di bottiglie d’acqua o di altri generi alimentati; la fornitura e l’installazione di sei cisterne di acqua potabile ubicate nelle cucine detenuti e mensa agenti. Mantova: l’Opg scoppia; a Castiglione delle Stiviere 260 internati, 100 in più del previsto di Francesco Romani Gazzetta di Mantova, 2 settembre 2015 Ma da questo mese apre la prima vera Rems. Centosessanta posti previsti. Ma nelle camerate dell’ex Ospedale psichiatrico giudiziario oggi vi sono 260 presenze, cento di più. Una situazione al limite, che il personale sta gestendo con non poca fatica considerando che anche la tipologia dei pazienti è cambiata con un aumento delle persone provvisorie, cioè con un profilo delinquenziale evidente e che alle spalle hanno atti anche efferati, ma che non hanno una diagnosi psichiatrica certa. Il rischio, insomma, è un caos dove si mescolano persone destinate al carcere con malati di mente, vanificando in parte il grande sforzo medico che da decenni caratterizza la struttura castiglionese. Un fiore all’occhiello, come da sempre definito. L’ospedale che ha anticipato in Italia la chiusura degli Opg, avendo solo personale sanitario e non carcerario. Ma che oggi sconta da un lato la mancata modifica del codice penale: i giudici continuano a inviare agli ex Opg le persone che hanno commesso reati e sono giudicate incapaci di intendere e volere. Dall’altro il ritardo di molte Regioni nell’allestire le Rems, le nuove e moderne strutture da 20 posti che dall’aprile scorso dovevano sostituire gli ex ospedali giudiziari. I soliti ritardi italiani hanno fatto chiudere gli Opg, senza che le Rems fossero aperte, creando situazioni, come in Veneto, Piemonte, Toscana, dove i pazienti non hanno un posto dove andare. Da qui la decisione di inviarli "provvisoriamente" a Castiglione, che nei mesi scorsi si è riempita di cento persone provenienti da fuori bacino. Eppure proprio la Lombardia, spiegano gli operatori, aveva fatto un ottimo lavoro, diminuendo il numero dei propri internati sino a 125. Una situazione che avrebbe consentito di procedere con i complessi lavori di ristrutturazione che prevedono la chiusura a domino dei padiglioni per permetterne la trasformazione. Tutto, o quasi, bloccato, dal sovrannumero, sul quale sono intervenuti i sindacati regionali della Funzione pubblica. "La legge prevede che le Rems siano misure transitorie, perché la logica manicomiale va superata - ha tuonato Manuela Vanoli, segretario della Funzione pubblica della Cgil lombarda - Cosa si aspetta a potenziare i servizi psichiatrici sul territorio? E a risolvere il conflitto fra le decisioni dei magistrati e la possibilità di accoglienza nelle strutture?". Il Poma ha inviato una nota preoccupata a ministero e Procura, segnalando l’impossibilità di accogliere altri pazienti all’Opg. Qualche rallentamento c’è stato. Consentendo di fare piccoli lavori a un padiglione maschile che sarà effettivamente la prima vera e propria Rems (Residenza per le misure di sicurezza) lombarda. L’inaugurazione è prevista entro il mese, con gli operatori sotto pressione che sperano che il sovraffollamento possa scemare in tempi ragionevoli man mano che aprono altre Rems. Bologna: l’Ordine Medici su detenuto fuggito da Rems "non possiamo diventare guardie" Ansa, 2 settembre 2015 "Queste persone vanno seguite in altro modo, non si può pretendere che medici e infermieri diventino custodi, cioè guardie carcerarie". Lo ha detto in un’intervista a Etv il presidente dell’Ordine dei Medici di Bologna, Giancarlo Pizza, commentando il caso del detenuto psichiatrico internato nella Rems di Bologna che ieri si è allontanato, durante una passeggiata autorizzata dalla magistratura che stava facendo in un parco pubblico. L’uomo, un 39enne marocchino internato perché piromane, è sfuggito all’operatore sanitario che era con lui nel parco di Villa Angeletti, in via Carracci, e non è ancora stato rintracciato. A luglio 41 psichiatri dell’Ausl avevano sottoscritto una lettera per denunciare le insufficienti misure di sicurezza nella Rems di Bologna e il documento era stato reso pubblico dal presidente dell’Ordine dei Medici, che alla luce dell’episodio di ieri conferma l’allarme: "Le preoccupazioni espresse a luglio erano ritenute del tutto fondate dall’Ordine - ha spiegato - ed erano state girate alle autorità preposte a eventuali modifiche di quella struttura. È evidente che il discorso è complesso perché c’è una duplice necessità, di detenzione e di cura, ma la struttura pare non essere adeguata. La lettera - conclude Pizza - non ha avuto nessuna risposta, né dal Prefetto né dal Sindaco. Più che segnalare, l’Ordine non può fare, e se adesso uno va in giro a bruciare case diventa un problema". Bologna: Sappe; al carcere della Dozza detenuto esperto di arti marziali ferisce tre agenti Dire, 2 settembre 2015 Ha chiesto di parlare con l'ispettore, ma era assente, così ha menato le mani. Il sindacato di polizia penitenziaria: "Non nuovo a episodi di questo tipo, anche più gravi. Stupisce che oggi sarebbe dovuto andare in permesso". Tre agenti della Polizia penitenziaria sono stati aggrediti, sabato scorso, all'interno del carcere della Dozza da un detenuto italiano. Lo rende noto il sindacato della polizia penitenziaria - Sappe: "Non è nuovo a episodi di questo tipo e anche più gravi". Il Sappe contesta che gli fosse stato concesso un permesso premio. "La reazione violenta - scrivono in una nota Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, e Francesco Campobasso, segretario regionale - sembra essere scaturita dal fatto che avrebbe chiesto di parlare con l'ispettore che, in quel momento, non era disponibile, perchè impegnato in un altro servizio". Il detenuto è anche esperto di arti marziali e ha così malmenato i tre agenti: due hanno riportato una prognosi di cinque giorni e l'altro di dieci. "La cosa che stupisce di più è che oggi quel detenuto sarebbe dovuto andare in permesso", osservano Durante e Campobasso. Permesso "tra l'altro rifiutato dallo stesso detenuto perchè, a dire delle persone da noi sentite, il giorno non sarebbe stato di suo gradimento", aggiungono i due sindacalisti, che concludono: "Non conosciamo le motivazioni che hanno indotto a concedere il permesso, ma il comportamento del detenuto non sembra di certo essere meritevole di tale attenzione". Psichiatria e violenza ancora a braccetto di Alberto Brugnettini (Comitato Cittadini per i Diritti Umani) dirittiglobali.it, 2 settembre 2015 Alcuni decessi avvenuti in seguito a Tso (Trattamento Sanitario Obbligatorio) hanno riportato alla ribalta la violenza psichiatrica. La legge "Basaglia" (legge 180 del 1978) aveva sostituito l’istituto del ricovero coatto (legge del 1904 - basato sul concetto di "pericolosità per sé e per gli altri e/o pubblico scandalo") col Tso, fondato su criteri di urgenza clinica con lo scopo dichiarato di tutelare la salute del paziente.Il Tso è figlio di un compromesso: Basaglia non lo voleva, ma infine ottenne solo che la legge includesse una serie di paletti per impedirne l’abuso. Questi paletti vengono quotidianamente aggirati, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Perché la società accetta questa violenza? Nell’immaginario collettivo, il trattamento coercitivo è ancora giustificato dal concetto di pericolosità, ma il cliché del matto pericoloso è una leggenda metropolitana. Chi subisce TSO non è un individuo pericoloso, ma, spesso, qualcuno che pensa o si comporta in maniera diversa dalla media, e che un altro (un familiare, un vicino di casa ecc.) segnala a uno psichiatra. Diventano violenti solo quando vengono presi con la forza, legati come salami, e costretti ad assumere farmaci controvoglia. Farmaci che, curiosamente, non fanno bene a chi li assume, ma a chi li somministra o (parente o vicino di casa) ha sporto denuncia. Negli anni 90 il CCDU, accompagnato da alcuni parlamentari coraggiosi, ha effettuato una ventina d’ispezioni a sorpresa nei residui manicomiali italiani, senza un solo episodio di violenza da parte degli internati. Gli unici a usare violenza furono psichiatri e infermieri. Eppure l’assurdità del TSO è evidente: se i cosiddetti disturbi mentali consistono d’idee e/o comportamenti ritenuti anormali, come si può sperare di guarire una persona (convincerla, cioè, a cambiare idee o comportamento) tramite coercizione? Semmai, l’uso della forza, per esempio su una persona con manie di persecuzione, rafforzerebbe la sua idea che "tutti ce l’hanno con lui". Il bene, o la salute della persona non c’entrano niente: la salute di un fumatore migliorerebbe se smettesse di fumare, ma nessuno proporrebbe di "curarlo" legandolo mani e piedi per impedirgli di fumare. Eccezione o regola? Contrariamente allo spirito della legge Basaglia, il TSO è applicato di routine in maniera molto più ampia di quanto non s’immagini. Le statistiche riferiscono circa ventimila casi all’anno in Italia (uno ogni quarto d’ora!), ma i numeri non la dicono tutta: molti dei cosiddetti ricoveri volontari sono eseguiti sotto minaccia di TSO (ricordate il Padrino e la sua "offerta che non si può rifiutare"?). E c’è dell’altro: il TSO viene anche usato con pazienti già ricoverati quando lo psichiatra decide di ricorrere alla "contenzione". Ogni contenzione, per non diventare sequestro di persona, viene attuata tramite un TSO. Come si arriva a meritare una contenzione? Semplice, basta protestare, o chiedere una sigaretta al personale interrompendo una partita di calcio in TV. Controllo sociale. In realtà il TSO è lo strumento attraverso cui il potere esercita il controllo sociale quando non può usare la polizia. Tizio disturba Caio ma non sta violando nessuna legge? Se Caio ha più potere di Tizio, trova il modo di sistemarlo con un TSO. Può trattarsi di cose molto banali: un vicino trova disdicevoli le tue abitudini, un coniuge vuole toglierti la patria potestà dei figli, un parente vuole impedirti di spendere i (tuoi) soldi come più ti piace e così via. Chi richiede il TSO ha più potere di chi lo subisce: sempre. Un genitore lo può ottenere sui figli, un figlio adulto sui genitori anziani, il datore di lavoro sul dipendente, la persona famosa (o ricca o affermata, o dotata di amicizie altolocate) lo ottiene su uno sconosciuto. Il contrario non succede mai. Se una persona se ne va in giro parlando col diavolo, finisce in manicomio. Se il vescovo dice che il diavolo esiste, i migliori filosofi del mondo ne discutono per una settimana. Torture e punizioni. Come la stregoneria, i disturbi mentali consistono d’idee e comportamenti giudicati arbitrariamente anormali da un’autorità. Durante l’Inquisizione, se l’imputata negava, era prova di colpevolezza. Il rogo si rendeva dunque necessario, ma non era una tortura: serviva a salvare la sua anima. Allo stesso modo, chi è rinchiuso in un reparto di psichiatria deve ammettere la propria malattia - con le buone o con le cattive. I sistemi di tortura utilizzati dai moderni Torquemada non sono poi così diversi da quelli dei loro antenati. Oltre ai metodi più conosciuti, come camicia di forza, lettino con fascette per legare polsi e caviglie, farmaci per contenzione chimica, isolamento, lettino con sponde invalicabili, abbiamo quelli meno conosciuti, come le gabbie (usate nei manicomi ungheresi fino a pochi anni fa) o lo "spallaccio"- una tecnica ancora utilizzata in Italia che consiste nel legare il paziente alla spalla del letto con un lenzuolo arrotolato, facendolo passare sotto le ascelle e dietro al collo. Questa tortura causa difficoltà di respirazione, impossibilità di movimenti anche minimi e, alla lunga, danni irreversibili alla spalla. Ma questa è solo la punta dell’iceberg. L’inventario di metodi ricattatori utilizzati per convincere il paziente a "confessare" la propria malattia fa rabbrividire. Ordinare al paziente di rimanere in una posizione fisica (per esempio sdraiato) fino a quando non gli si dica di smettere, o rimanere in uno specifico spazio, come l’angolo di una stanza, è una tecnica psichiatria nota come "exclusionary time-out". Ritirare a un paziente degli oggetti, impedirgli di svolgere alcune attività o negargli la possibilità di avere interazioni sociali come conseguenza della sua disubbidienza sono forme di ricatto, eufemisticamente chiamate "consequence-driven strategies". Alessandro Attilio Negroni - "Nota Introduttiva sul concetto di contenzione in psichiatria" - Psichiatria e Psicoterapia (2014 33, 4, 332-342). Il passato recente rivela cose ancora più orrende: shock insulinico, bagni ghiacciati, lobotomia, castrazione o passaggio di corrente attraverso i genitali per curare omosessualità e masturbazione, isterectomia (rimozione dell’utero) per curare l’isteria, curiosa forma di malattia di cui soffrono le donne che osano ribellarsi alla violenza maschile. Perché tanti morti? La persona che si vede circondata da sbirri spesso reagisce con comprensibile violenza, verbale e/o fisica. A volte le cose degenerano, come nel caso di Andrea Soldi, morto per "mancanza d’ossigeno causata dalla presa al collo effettuata dai vigili" (eufemismo per "strangolamento") o di Francesco Mastrogiovanni, il maestro lucano morto dopo essere stato legato al letto di contenzione per più di 80 ore. Il Ccdu ha raccolto storie di persone morte per soffocamento indotto da psicofarmaci: i farmaci neurolettici o antipsicotici (noti anche come camicie di forza chimiche) oltre a stordimento e annullamento della volontà, causano discinesia tardiva. Si tratta di movimenti anormali e incontrollati dei muscoli, tremori ecc. e può includere i muscoli usati per respirare e deglutire: la persona muore soffocata da un boccone che non riesce a mandar giù. Non mancano i suicidi. Tante persone, non vedendo una via per uscire dall’incubo del TSO, preferiscono togliersi la vita, come la ragazza ventunenne che si è impiccata nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere. Perché la storia della psichiatria è così costellata di violenza? La violenza nella pratica psichiatrica istituzionale è intrinseca nel concetto stesso di disturbo mentale. Il cosiddetto Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) - un libro pubblicato dall’Associazione Psichiatrica Americana in cui non si trova nulla di diagnostico né di statistico - contiene la descrizione di oltre 350 comportamenti, arbitrariamente definiti patologici. I criteri diagnostici, però, non hanno carattere scientifico o oggettivo, e lo psichiatra è l’unico arbitro del bene e del male. La negazione della malattia e il rifiuto a conformarsi alle relative cure ci rende "sbagliati", facendoci perdere i diritti umani. Qualcun altro (sedicente "giusto") decide per noi, e questo consente il ricorso alla coercizione e alla violenza. Immigrazione, Italia condannata da Strasburgo di Marina Castellaneta Il Sole 24 Ore, 2 settembre 2015 Corte europea dei diritti dell’uomo - Sentenza "Affaire Klaifja e altri" - 1° settembre 2015. Sovraffollamento e condizioni disumane nel centro di accoglienza. Espulsioni collettive. Detenzione arbitraria. È il quadro disegnato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ieri, con la sentenza Khlaifia e altri , ha inflitto una condanna all’Italia per aver violato, tra gli altri, l’articolo 3 della Convenzione europea che vieta i trattamenti disumani e degradanti, il 5 che tutela la libertà personale e l’articolo 4 del Protocollo n. 4 che mette al bando le espulsioni collettive. Questi i fatti. Alcuni cittadini tunisini, a settembre 2011, erano arrivati a Lampedusa, con uno dei tanti barconi della speranza. Erano stati trasferiti nel Centro di soccorso e di prima accoglienza di Contrada Imbriacola ma le scarse condizioni igieniche, il sovraffollamento e il divieto di ogni contatto con l’esterno avevano spinto i migranti a una rivolta. I ricorrenti erano stati trasferiti a bordo di due navi nel porto di Palermo e dopo 4 giorni rimpatriati in Tunisia. Prima di tutto, la Corte europea ha chiarito che l’impossibilità di comunicare con l’esterno e la sorveglianza continua delle forze di polizia nel centro di accoglienza porta a classificare questa situazione come una privazione della libertà personale e non come una restrizione alla libertà di circolazione. Poco importa - osserva Strasburgo - la qualificazione sul piano interno perché, tenendo conto degli effetti, della durata e delle modalità di esecuzione, si è trattato, alla luce della Convenzione, di un caso di privazione della libertà. L’articolo 5 ammette alcune restrizioni alla libertà personale ma solo nelle ipotesi elencate nella norma e solo se lo prevede una legge interna, con l’obiettivo di evitare detenzioni arbitrarie che, secondo la Corte, i ricorrenti hanno subito. È vero che gli Stati parti alla Convenzione possono stabilire limiti alla libertà degli stranieri nel quadro dei piani di controllo dell’immigrazione, ma ogni privazione deve avere una base giuridica sufficiente. Che è mancata in questo caso perché non è stato indicato il fondamento giuridico idoneo a giustificare la privazione della libertà, con la conseguenza che è stato leso il principio generale di sicurezza giuridica e che il provvedimento è stato arbitrario. La Corte, inoltre, ha respinto la tesi del Governo che ha invocato l’accordo con la Tunisia. Un trattato segreto, in pratica, perché non è stato reso pubblico, con la conseguenza che non era accessibile agli interessati. Ai ricorrenti, tra l’altro, non sono stati comunicati i motivi giuridici e di fatto alla base della restrizione, bloccando la possibilità di contestarne la legalità. Ma non basta. Per la Corte europea, infatti, l’Italia ha anche violato l’articolo 3 della Convenzione che vieta i trattamenti disumani e degradanti. I giudici internazionali prendono atto che l’Italia era stata interessata da un numero elevato di sbarchi per le migrazioni dovute alle "primavere arabe" ma, anche in presenza di una situazione eccezionale, lo Stato non può mai giustificare comportamenti disumani e degradanti che costituiscono una violazione dell’articolo 3. Strasburgo non sottovaluta i problemi dovuti alla gestione di situazioni migratorie eccezionali, inclusi quelli di ordine pubblico, ma lo Stato deve assicurare, in ogni caso, senza deroghe, la tutela della dignità umana. Esclusa, invece, la violazione dell’articolo 3 per la permanenza sulle due navi. La condanna arriva, invece, per le espulsioni collettive perché le autorità italiane non hanno valutato la situazione dei singoli: i provvedimenti di rimpatrio sono stati redatti in termini identici e senza alcun riferimento alla situazione personale. La sola procedura di identificazione, infatti, - precisa la Corte - "non è sufficiente a escludere l’esistenza di un’espulsione collettiva". L’Italia dovrà versare a ciascun ricorrente un indennizzo pari a 10mila euro. Strasburgo condanna l’Italia per violazione dei diritti umani di Luca Fazio Il Manifesto, 2 settembre 2015 La Corte europea dei diritti dell’uomo condanna lo Stato italiano per le condizioni disumane in cui sono stati costretti tre ragazzi tunisini poi espulsi illegalmente da Lampedusa. La Corte europea dei diritti dell’uomo condanna lo Stato italiano per le condizioni disumane in cui sono stati costretti tre ragazzi tunisini poi espulsi illegalmente da Lampedusa nel 2011. Una sentenza che secondo l’Arci non può non interferire sul vertice europeo sull’immigrazione che si terrà a metà settembre. Intanto l’Oim fornisce i nuovi dati di un dramma in continuo aggiornamento: dall’inizio dell’anno 351.314 persone hanno cercato di raggiungere l’Europa, almeno 2.643 sono morte. Nel conteggio non figurano i quattro migranti senza vita trovati ieri su un gommone al largo della Libia Una goccia di giustizia in un mare di morte e disperazione. Mentre di ora in ora viene aggiornata la conta dei vivi e dei morti che si avventurano nel tratto di mare più pericoloso del mondo - 351 mila persone dall’inizio dell’anno secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) - l’Italia viene condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per violazione dei diritti umani. Si tratta di una singola storia che riguarda tre ragazzi tunisini e risale al 2011 ma è esemplare perché sottolinea la disumanità di un trattamento che riguarda decine e decine di migliaia di esseri umani che in questi anni sono stati parcheggiati (reclusi) in strutture di accoglienza che continuano ad essere improvvisate. Secondo la Corte di Strasburgo, la detenzione e l’espulsione da Lampedusa dei tre migranti, fuggiti dalla Tunisia dopo le rivolte della "primavera araba", era illegale e in palese violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’Italia adesso dovrà versare ai tre tunisini diecimila euro a testa per "danni morali" e altre 9 mila e 300 per le spese legali. Secondo i giudici, lo Stato italiano ha sottoposto i tre uomini a un trattamento degradante a causa delle penose condizioni in cui si trovava il centro di primo soccorso di Contrada Imbriacola, a Lampedusa: sanitari sprovvisti di porte, sovraffollamento, mancanza di acqua, materassi per terra, divieto di contatti con l’esterno. Inoltre, hanno condannato l’Italia per violazione dei diritto alla libertà e alla sicurezza poiché i tre tunisini sono stati detenuti senza che alcuna legge lo prevedesse e senza essere stati informati della possibilità di presentare ricorso. La Corte, infine, ha stabilito che l’Italia ha violato il divieto alle espulsioni collettive nel momento in cui ha rispedito i tre a Tunisi dopo averli imprigionati su una nave attraccata nel porto di Palermo. La sentenza non sembra destinata a "fare giurisprudenza" eppure, come si augura il segretario generale del Consiglio d’Europa Thorbjorn Jagland, si potrebbe cominciare da qui per salvare l’Europa da se stessa. "La crisi migratoria rappresenta una seria minaccia al rispetto dei diritti umani in molte parti d’Europa - ha detto Jagland - e la sentenza di oggi ricorda a tutti i 47 membri del Consiglio d’Europa che i richiedenti asilo e i migranti devono essere trattati come esseri umani, con gli stessi diritti di tutti e come garantito dalla Convenzione europea dei diritti umani". Per l’Arci, che ha supportato l’azione legale dei tre tunisini, la sentenza crea un precedente interessante in vista del vertice europeo di metà settembre. "Le istituzioni italiane ed europee - si legge in una nota - dovranno tenerne conto nella discussione in corso e nei trattamenti concreti riservati ai migranti, ad esempio sulla prevista detenzione negli hot spot di cui si chiede con insistenza all’Italia di dotarsi. Hot spot e hub chiusi nel sud Italia, dove i migranti verrebbero trattenuti in attesa dell’identificazione. Secondo Strasburgo questo trattamento sarebbe illegale, come illegali sono le condizioni di degrado in cui vengono costretti a vivere i migranti nella maggior parte dei Cie e dei Cara". Del resto fino ad ora è questa l’accoglienza che l’Europa ha riservato alle 351.314 persone (fonte: Oim) che dal gennaio 2015 hanno attraversato il Mediterraneo: almeno dieci paesi, tra cui anche l’Italia, sono appena stati "richiamati" dalla Commissione europea per il mancato rispetto delle regole sull’asilo e sull’identificazione dei migranti. "È l’ultimo avvertimento prima dell’apertura di una procedura di infrazione", ha spiegato ieri un portavoce Ue. Ma non è con i richiami e con i tempi dell’euro burocrazia che si possono affrontare tragedie di questa entità: nei primi otto mesi di quest’anno sono morte (almeno) 2.643 persone. Rispetto all’anno scorso sono arrivati 132.314 migranti in più e solo nell’ultima settimana circa 20 mila persone hanno cercato di entrare in Europa. Grecia e Italia sono i paesi più esposti: con rispettivamente 235 mila e 115 mila esseri umani conteggiati. La macabra statistica dice anche che agosto è stato il secondo mese con più morti (638), superato solo da aprile con 1.265 cadaveri tra ripescati e scomparsi in fondo al mare. Gli ultimi quattro, è cronaca di ieri, ancora non rientrano nelle statistiche ufficiali. Erano su un gommone a 50 miglia dalla coste libiche. Immigrazione: l’Ue alla ricerca dell’equilibrio tra "umanità" e "fermezza" di Anna Maria Merlo Il Manifesto, 2 settembre 2015 Crisi dei rifugiati. Le riunioni di susseguono a Bruxelles e a Berlino: Orban dalla Commissione giovedì, mentre Merkel vede i Baltici, indifferenti. Riunione dei ministri degli esteri dei 28 il 4 e a Praga si incontro il fronte del "no" alle quote (Polonia, Slovacchia, Repubblica ceca) . Gli attacchi contro Schengen. I finanziamenti di Bruxelles. La Commissione affina le proposte da presentare al vertice straordinario del 14 settembre dei ministri degli Interni e della giustizia. Il 4 settembre, si incontrano in Lussemburgo i ministri degli Esteri dei 28, mentre giovedì Angela Merkel, che ieri ha ricevuto lo spagnolo Mariano Rajoy a Berlino, incontra i Baltici, che non si sentono coinvolti dalla crisi dei migranti. Contemporaneamente, l’ungherese Viktor Orban sarà a Bruxelles, per una riunione con la Commissione. Ma Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia hanno organizzato un mini-vertice a Praga il 4 settembre, per trovare una posizione comune da opporre alla linea della Commissione e della Germania, che chiedono solidarietà nei ricollocamenti dei rifugiati. Le parole-chiave della comunicazione in Germania e Francia sono ormai "umanità" (per i rifugiati che sfuggono dalle guerre) e "fermezza" verso i migranti economici, che non trovano spazio nella Ue. Per convincere i più reticenti, la Commissione ha in mano l’arma dei finanziamenti. Bruxelles ha stanziato 2,4 miliardi di euro supplementari entro il 2020 (complessivamente, i programmi per Asilo, immigrazione, interazione e il Fondo per la sicurezza interna dispongono di circa 7 miliardi fino al 2020). Sono già stati approvati 23 programmi nazionali pluriannuali e altri 12 sono allo studio. Come verranno utilizzati questi soldi? La Francia, per esempio, ha ottenuto 5,2 milioni per intervenire a Calais, uno dei luoghi simbolici dei punti di blocco europei. Ma per trovare un rifugio momentaneo (una nuova tendopoli) a meno della metà delle più di 3mila persone che vivono oggi in condizioni più che precarie nella "giungla" in attesa di poter sfuggire ai controlli e passare in Gran Bretagna, ci vorranno almeno 25 milioni di euro. La Germania ha stanziato 500 milioni supplementari quest’anno per far fronte alla previsione di accoglienza di 800mila rifugiati. L’Italia, paese di frontiera, ha ottenuto un finanziamento di 313 milioni per migliorare accoglienza e asilo, e altri 244 milioni per la sicurezza. Una parte del denaro sbloccato dalla Commissione servirà per "rafforzare i programmi di ritorno", spiegano a Bruxelles. E un’altra parte a "rafforzare le frontiere esterne". In questi giorni, si parla molto di Schengen. Per Angela Merkel, che guida la campagna dell’Europa "umanitaria" verso i rifugiati, Schengen, cioè la libera circolazione all’interno delle frontiere della Ue (anche se non tutti i 28 aderiscono al trattato, che conta però alcuni paesi non Ue), è oggi a rischio. "Se non riusciamo a ripartire in modo giusto i rifugiati, è evidente che la questione di Schengen sarà all’ordine del giorno", ha ammonito Merkel. Già la Gran Bretagna, che peraltro non è nello spazio di libera circolazione, critica Schengen e chiede restrizioni. Il primo ministro francese, Manuel Valls, ha precisato lunedì a Calais che "Schengen non è solo apertura delle frontiere interne, ma anche rafforzamento di quelle esterne". Valls ha evocato la presenza di un numero maggiore di agenti alle frontiere esterne. Un modo meno "scandaloso", secondo l’accusa del ministro degli esteri francese Laurent Fabius all’Ungheria, del "muro" di filo spinato al confine con la Serbia, peraltro inutile per bloccare gli spostamenti. Non sarà facile per la Commissione far passare il 14 settembre la proposta di una ripartizione permanente dei migranti, attraverso un sistema di quote, dopo aver già trovato enormi ostacoli all’ipotesi, avanzata nel maggio scorso, di una ricollocazione di 40mila persone, tra rifugiati nei paesi limitrofi della Siria e uomini e donne sbarcati in Italia e Grecia. Anche la Francia, malgrado le dichiarazioni sulla volontà di armonizzazione del diritto d’asilo con la Germania (per fare da modello all’insieme della Ue), resta reticente al sistema di quote permanenti (o almeno, come la Spagna, chiede che venga tenuto conto della percentuale di immigrati già presenti sul territorio). Immigrazione: inchieste sugli appalti, il Viminale commissaria il Cara di Mineo di Fiorenza Sarzanini Corriere della Sera, 2 settembre 2015 Il prefetto vuole annullare la concessione al Consorzio lo gestisce. Dopo la Lega, anche M5S, Forza Italia e "Avvenire" chiedono la chiusura. Il Viminale "commissaria" il Cara di Mineo. Dopo l’apertura delle inchieste sugli appalti truccati per l’allestimento del centro in provincia di Catania dove vengono ospitati i richiedenti asilo, il prefetto Mario Morcone decide di annullare la concessione al Consorzio che gestisce la struttura. Una scelta, concordata con il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che serve a evitare eventuali conseguenze più gravi come la chiusura, ma anche a lanciare un segnale preciso sulla regolarità delle gare. E questo tenendo anche conto che il presidente dell’autorità anticorruzione Raffaele Cantone ha già avviato la procedura per il commissariamento dell’appalto da 100 milioni di euro. Proprio quello che, per ammissione di Luca Odevaine - componente del tavolo del ministero dell’Interno per l’immigrazione e di fatto delegato a occuparsi di Mineo - finito in carcere nell’ambito dell’inchiesta "Mafia Capitale" della procura di Roma sugli affari delle cooperative di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, era stato "pilotato". L’indagine è condotta dalla Procura di Catania e tra gli indagati per turbativa d’asta c’è l’attuale sottosegretario all’Agricoltura ed esponente del Ncd Giuseppe Castiglione, all’epoca presidente della Provincia. La lettera inviata il 6 agosto al prefetto di Catania Guia Federico impone la linea. Scrive Morcone: "Si concorda con le valutazioni del Gabinetto del ministro in merito all’opportunità da parte di codesta prefettura, considerata la complessità e la delicatezza della questione, di procedere al recesso anticipato per sopravvenute ragioni di interesse pubblico. Questo Dipartimento non mancherà di fornire tutto il supporto necessario per coadiuvare codesta prefettura nelle conseguenti onerose incombenze della gestione diretta del centro, anche contribuendo all’adozione di un provvedimento ministeriale di costituzione di un’apposita struttura di sostegno nella gestione stessa". Attualmente all’interno del Cara di Mineo ci sono circa tremila migranti. Morcone tenta di smorzare i toni della polemica dopo l’arresto del ragazzo accusato di aver ucciso i due coniugi di Palagonia: "I delinquenti sono delinquenti, siano essi stranieri o italiani. Aspettiamo gli accertamenti che sta facendo la polizia giudiziaria e il magistrato. La vicenda mi sembra più complessa di come l’abbiamo percepita. In ogni caso chi ha commesso quel delitto così efferato deve andare in galera e non uscire più, al di là della sua nazionalità". Ma si amplia il fronte di chi propone la chiusura definitiva: dopo la Lega di Matteo Salvini, il Movimento 5 Stelle, Forza Italia anche Avvenire , il quotidiano della Conferenza episcopale, sollecita la serrata: "Ora stop alle isterie xenofobe. Ma Salvini ha ragione, il Cara va chiuso. Le "anime belle" lo dicevano già nel 2011". Immigrazione: rifugiati libici in Tunisia, tra carcere e deportazione di Martina Tazzioli Il Manifesto, 2 settembre 2015 Reportage dalla Tunisia dove molte persone in fuga dalla Libia restano intrappolate in un limbo giuridico e trasformate in irregolari. Ostacoli per il rientro nei Paesi d’origine: niente legge sull’asilo e tassa mensile. Ore cinque del mattino, 1 settembre, Tunisi. A dare la notizia al telefono è uno dei rifugiati del campo di Choucha, al confine con la Libia: "Ci stanno portando al confine con l’Algeria, ci molleranno nel deserto, siamo". Poi la chiamata si interrompe, uno dei poliziotti, probabilmente strappa di mano il telefono a O.; da quel momento per tutta la mattina si perdono le tracce dei dieci ragazzi, nigeriani e sudanesi, da una settimana detenuti nella prigione di Wardia a Tunisi per aver protestato di fronte alla delegazione dell’Unione europea chiedendo di essere trasferiti in Europa, e che i funzionari UE hanno lasciato arrestare dalla polizia tunisina. Poi un sms dopo qualche ora: "La polizia ci ha lasciato alla frontiera algerina, vicino Kasserine". Mentre l’Unione europea si appresta a passare alla fase due della missione militare Eunavfor e firma accordi bilaterali con i paesi africani per bloccare le partenze dalla Libia, la Tunisia, una pre-frontiera d’Europa particolarmente cruciale in questo momento vista la prossimità geografica con la Libia, arresta e deporta verso l’Algeria rifugiati e richiedenti asilo. La costruzione delle pre-frontiere europee comincia anche lasciando che i cosiddetti "paesi terzi" "gestiscano" a loro modo migranti e rifugiati, non importa se bloccandoli nel deserto di Choucha per quattro anni o deportandoli nel deserto algerino. Questo è quanto accade in Tunisia, Paese che pur avendo firmato la Convenzione di Ginevra a oggi non ha ancora una legge sull’asilo; e questo fa sì che anche coloro che hanno ottenuto la protezione internazionale dall’Alto Commissariato per i Rifugiati possano essere arrestati e detenuti, rischiando di essere poi deportati nel deserto algerino. Rifugiati illegalizzati dalle autorità tunisine per i quali sono semplicemente migranti irregolari sul territorio. O richiedenti asilo che, come le dieci persone deportate ieri mattina nel deserto algerino, erano stati illegalizzati (la non concessione del diritto d’asilo li ha trasformati in migranti irregolari sul territorio tunisino) nel 2012 dall’Unhcr, che come a molti altri in fuga dalla Libia e arrivati al campo di Choucha, sono stati diniegati della protezione internazionale. Se da un lato la Tunisia ha finora sempre resistito alla pressione dell’Ue rivolta a costruire campi e strutture detentive finanziati dall’Europa, dall’altro la "gestione" dei migranti provenienti dalla Libia realizza in parte quello che i paesi europei si aspettano, ovvero fare in modo che questi, in un modo o nell’altro, non arrivino sull’altra sponda del Mediterraneo. La prigione di Wardia, situata in quartiere periferico di Tunisi con lo stesso nome, è uno dei luoghi, inaccessibile alla maggior parte degli avvocati, che il governo tunisino utilizza per far sparire i richiedenti asilo dal territorio. A Wardia però sia l’Alto Commissariato per i rifugiati che l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) possono accedere, ma non risulta che le due organizzazioni abbiano riportato cosa accade all’interno, e soprattutto non vengono seguite le tracce di chi da Wardia improvvisamente scompare. Una volta arrestati e portati a Wardia, i rifugiati vengono minacciati dalla Garde Nationale tunisina di essere deportati in Algeria nel caso in cui ad acquistare con i propri mezzi economici un biglietto aereo per fare ritorno nel proprio Paese di origine. Tra loro vi sono anche famiglie di siriani, a cui la Tunisia non ha concesso un permesso di soggiorno né una protezione umanitaria. A Wardia finiscono anche coloro che arrivano dal mare: di fatti, in questo momento con l’inasprimento dei controlli alla frontiera libica e la costruzione in corso del muro pianificata dal governo tunisino, in Tunisia arriva solo chi viene soccorso dalla Guardia Costiera tunisina nel tentativo di arrivare in Europa dalla Libia. "Sulla nostra imbarcazione, partita dalla città di Zwhara, eravamo 97 eritrei, e molti come me avevano già ottenuto l’asilo politico. Al largo della Tunisia siamo stati salvati dalle autorità tunisine", racconta R., rifugiato eritreo "ma poi giunti nel porto di Zarzis 60 di noi sono stati portati a Wardia, dove siamo rimasti un mese". Senza alcuna giurisdizione che ne regolamenti il funzionamento, Wardia resta un luogo rispetto a cui non è possibile avere numeri su chi entra e chi esce. E alla totale opacità di questa prigione va ad aggiungersi anche l’invisibilità di altri centri detentivi per migranti, il cui numero sembra oscillare tra dieci e tredici, sparsi nel Paese. Centri di cui ha dato nota il dossier redatto nel 2013 dall’Alto commissario per i Diritti Umani dell’Onu François Crepeau e di cui parlano molti migranti in Tunisia. Droghe: Ungass 2016, raccomandazioni all’Europa di Grazia Zuffa Il Manifesto, 2 settembre 2015 La preparazione dell’Assemblea Generale Onu sulle Droghe, prevista a New York nell’aprile 2016 (Ungass 2016) entra nella fase cruciale: sulla bozza base del documento di esito che dovrà essere approvato a New York, è già aperta la consultazione. Il profilo di Ungass 2016 - il processo di costruzione dell’evento, i contenuti, gli obiettivi - si deciderà in questi mesi. Ci auguriamo che l’Assemblea Onu non deluda le aspettative di cambiamento, segnando un punto di svolta rispetto ai rituali di Ungass 1998 e del successivo appuntamento del 2009, volti a riconfermare la continuità della "lotta alla droga" globale. Va ricordato che Ungass 2016 è stata convocata con tre anni d’anticipo per una urgenza specifica, avanzata da alcuni paesi latino americani: Messico, Colombia e Guatemala. I quali, a partire dalla loro esperienza, hanno denunciato l’insostenibilità delle vecchie politiche. Dunque la mission di Ungass 2016 è sotto il segno della discontinuità, valutando le alternative possibili e aprendo un confronto vero sui cambiamenti già in atto in molti paesi: dalla decriminalizzazione del consumo e della coltivazione personale, alla legalizzazione della marijuana in alcuni stati del Nord America e in Uruguay, alle tante esperienze di Riduzione del danno. Proprio la discontinuità rappresenta il punto più acuto di conflitto, in questa fase di elaborazione del documento da approvarsi a New York: non solo sui contenuti, ma anche sulle modalità- più o meno partecipate e inclusive- del processo di consultazione sul documento. Gli stati membri più conservatori, dalla Russia all’Iran, fanno resistenza al coinvolgimento di nuovi soggetti, mentre altri, dall’Olanda alla Svizzera, alla Colombia al Guatemala si battono perché possano dare il loro parere anche le organizzazioni della società civile e tutte le altre agenzie Onu coinvolte nella questione droga (da Unaids, a Oms a Undp). La contraddizione è in primis all’interno della machinery Onu, tutta orientata alla promozione della salute, dello sviluppo sociale e dei diritti umani, a differenza dell’agenzia specifica, significativamente intitolata "Droga e crimine". È il momento per le Ong di intensificare l’iniziativa. Va in questo senso il documento redatto da un gruppo di associazioni europee - tra cui per l’Italia Forum Droghe - per segnalare alla Presidenza dell’Unione e ai singoli paesi europei (compresa ovviamente l’Italia) una serie di discriminanti per il documento di esito. Ricordando in premessa ai governanti che "la promozione della partecipazione e il coinvolgimento della società civile - dalle Ong, ai consumatori di droga, agli utenti dei servizi - nello sviluppo e nella implementazione delle politiche delle droghe, a livello nazionale e internazionale, rientra fra gli obiettivi della Strategia sulle droghe 2013-2020", che l’Europa stessa si è data. Il documento individua una serie di punti chiave nei settori strategici del rapporto fra droghe e salute, droghe e crimine, diritti umani e sviluppo alternativo. Tra questi spiccano: il riequilibrio delle risorse dalla repressione ai settori sociosanitari e alla riduzione del danno, l’abolizione della pena di morte, l’eliminazione di tutte le pratiche contrarie alla dignità umana, alla libertà e democrazia, il superamento dell’obiettivo delle coltivazioni alternative alle droghe illecite per affrontare più alla radice la povertà e l’esclusione sociale nei paesi produttori. Infine l’appello affinché il documento abbandoni lo storico obiettivo di "eliminare l’offerta e la domanda di droga entro dieci anni", pervicacemente ribadito da Ungass 1998 in poi: che, oltre ad essersi dimostrato irrealistico, ha avallato le strategie più virulente e dannose di guerra alla droga, sacrificando i diritti umani e la salute pubblica. Il documento "Raccomandazioni all’Europa di Ungass 2016 su fuoriluogo.it Iraq: rapiti 42 detenuti durante trasferimento, tutti in carcere per il reato di terrorismo Aki, 2 settembre 2015 Uomini armati hanno rapito 42 detenuti durante il loro trasferimento da un carcere della provincia di Salahuddin, nel nord dell’Iraq, a Baghdad. Lo ha riferito una fonte della sicurezza della provincia in un’intervista all’agenzia di stampa Xinhua. Secondo la fonte, che ha preferito mantenere l’anonimato, l’episodio è avvenuto stamane. Circa 50 militanti, vestiti di nero e a bordo di una ventina di auto, hanno intercettato gli autobus sui quali viaggiavano i prigionieri, prendendoli in ostaggio. I detenuti, che erano partiti da un carcere sotto il controllo della 17esima brigata dell’esercito vicino alla città di Dujail, 60 km a nord di Baghdad, erano in procinto di essere rilasciati nella capitale per mancanza di prove. Erano tutti in carcere per il reato di terrorismo, ha aggiunto la fonte. Gli agenti di scorta al bus sono stati tutti rilasciati illesi. Non è chiaro quale gruppo sia dietro il sequestro e le autorità hanno lanciato un’indagine a riguardo. Già in passato si erano registrati altri attacchi in Iraq contro bus di detenuti durante il loro trasferimento da carceri sotto il controllo dell’esercito. Il 24 luglio dello scorso anno, 52 detenuti sono stati freddati a sangue freddo nell’area di Taji, poco a nord di Baghdad. Lo scorso giugno, altri 71 detenuti sono stati uccisi in un attacco a Hilla, capoluogo della provincia di Babil, circa 100 km a sud di Baghdad. Stati Uniti: giustiziato nel Missouri afroamericano condannato a morte 25 anni fa Agi, 2 settembre 2015 Nel Missouri è stata eseguita la condanna di un uomo che ha trascorso 25 anni nel braccio della morte. Roderick Nunley, 50 anni, afroamericano, era stato condannato per il sequestro e l’omicidio di una 15enne nel 1989 a Kansas City. È stato giustiziato con una iniezione letale nel carcere di Bonne Terre. Un’ora prima dell’esecuzione la Corte Suprema aveva respinto tutti i ricorsi presentati dai suoi legali.