Roverto Cobertera sospende il digiuno Ristretti Orizzonti, 28 settembre 2015 Non ho più la forza e l’energia per scrivere. Ho chiesto all’amico Carmelo di farlo con le sue mani al posto mio. È venuto a trovarmi il mio difensore, Paolo Bossi, mi ha portato la bozza della richiesta di revisione che presenterà a giorni alla Corte d’Appello di Brescia. Per questo motivo ho deciso di interrompere lo sciopero della fame, per dare il tempo ai giudici di fissare l’udienza per accogliere la mia richiesta di revisione e avere un nuovo processo. Appena questa mia lettera sarà resa pubblica riprenderò a nutrirmi. Adesso però voglio ringraziare con il cuore tutte le persone che mi hanno dato voce e hanno parlato del mio caso al di là del muro di cinta. Sappiate che senza di voi non ce l’avrei mai fatta a resistere. Il mio corpo ha sofferto la fame, ma il mio cuore e la mia mente si sono nutriti della vostra solidarietà e affetto sociale. Grazie. Vi abbraccio tutti. Roverto Cobertera Giustizia: scontro Pd-Ncd, a rischio la nuova prescrizione anti-corruzione di Liana Milella La Repubblica, 28 settembre 2015 I centristi voteranno contro il testo che allunga i termini dei processi. Prescrizione lunga addio. Niente bonus di tre anni dopo la sentenza di primo grado e soprattutto nessun aumento per i reati di corruzione. Gli alfaniani, che stanno tenendo in scacco il Pd dal 24 marzo, quando il ddl del governo è passato faticosamente alla Camera, dopo mesi di trattative, adesso puntano i piedi e fanno saltare il banco. "A Montecitorio i numeri sono quelli che sono. e il testo è passato, ma a palazzo Madama invece..." dice Nico D’Ascola, senatore di Ncd e aspirante presidente della commissione Giustizia al posto del forzista Nitto Palma. Lo scontro di marzo se lo ricordano tutti, una lite epocale tra il Guardasigilli Andrea Orlando, il suo vice ministro Enrico Costa, la presidente Pd della commissione Giustizia Donatella Ferranti. Litigarono sulla prescrizione della corruzione, che Ferranti ha portato al massimo della pena più la metà (adesso è il massimo più un quarto). Ned per tutta risposta si astenne, ma adesso è ben intenzionato a votare contro. Ieri, a Sorrento, dove si svolgeva una summer school dei centristi con Alfano, Lupi, Quagliariello, aspettavano Orlando per affrontare la questione. Lui non c’è andato e loro, sia Costa che D’Ascola, hanno sparato a zero. "Una prescrizione più lunga di tre anni significa solo processi più lunghi" ha arringato Costa diretto alla platea. Idem D’Ascola: "Con i tre anni in più salta la ragionevole durata del processo, viene meno il rispetto dell’articolo 111 sul giusto processo. Non possiamo accettare. Allora tanto vale fare a meno della prescrizione, pur di garantire un processo rapido. Abbiamo sempre detto che i processi sono troppo lunghi, adesso non possiamo allungarli ancora di più. E poi basta guardare i dati di via Arenula per rendersi conto che un allarme prescrizione non esiste". I voti di Ned al Senato sono de-terminanti e il partito di Alfano può permettersi di fare la voce grossa. Da marzo ad oggi D’Ascola si è incontrato decine di volte con David Ermini, il responsabile Giustizia del Pd, un renziano doc, ma non c’è stato verso di raggiungere un accordo. Muro altissimo di Ncd che non vuole contemporaneamente sia lo stop di tre anni (2 per l’appello e uno per la Cassazione) che l’aumento per la corruzione. "O l’uno o l’altro, tutte e due le cose insieme sono inaccettabili, mettano pure la corruzione prescrittibile in 25 anni, ma allora i tre anni per tutti gli altri reati saltano" avrebbe ripetuto Costa ad Alfano e Lupi. Un ricatto bello e buono, che rischia di far saltare una legge già debole, che di certo non cancella la famosa ex Cirielli approvata da Berlusconi nel dicembre 2005 per salvarsi dai suoi processi e che decisamente non piace ai magistrati. L’Anm l’ha attaccata in tutte le sedi, proponendo una soluzione molto più razionale, peraltro seguita in altri Paesi: l’orologio della prescrizione si ferma all’atto del rinvio a giudizio. quando lo Stato ha concretizzato la sua volontà di perseguire il reato. Il Guardasigilli Orlando gli ha contrapposto la soluzione invisa a Ncd, tre anni di bonus per fare i processi, con la prescrizione ferma dopo la sentenza di primo grado. L’emergenza corruzione ha imposto, in corso d’opera, di allungare almeno i termini previsti per questo reato. Un emendamento di Donatella Ferranti ha aumentato i termini mettendoli nell’articolo del codice penale, il 157, che regola la prescrizione e dove ci sono già gli altri reati che ne abbisognano di una più lunga, come quelli gravi e quelli a sfondo sessuale. L’8 settembre la Corte di giustizia del Lussemburgo ha bocciato l’Italia proprio per via della prescrizione troppo corta che impedisce di punire in tempo le frodi e ha invitato i giudici a disapplicare la legge. La Cassazione lo ha già fatto. Poteva essere l’occasione giusta per accelerare, invece ecco la frenata di Ncd. Giustizia: trattative in alto mare per l’elezione dei tre giudici costituzionali mancanti Il Messaggero, 28 settembre 2015 Trattative in alto mare, nuova fumata nera all’orizzonte e cause di primo piano da affrontare, dalla legge Severino alle ferie dei magistrati. È lo scenario che attende la Corte Costituzionale, a ranghi ridotti e con un ottobre "caldo" alle porte. Giovedì primo ottobre le Camere tornano a riunirsi in seduta comune per l’elezione di tre giudici che da mesi mancano all’appello e si profila un nulla di fatto. Per sostituire uno di loro, Luigi Mazzella, uscito a giugno 2014, si è ormai al 26mo scrutinio. Con l’elezione di Sergio Mattarella a Capo dello Stato, la Corte ha perso un altro giudice: per quattro volte Camera e Senato si sono riuniti senza successo, giovedì sarà la quinta. Terzo scrutinio invece per la sedia lasciata vuota a luglio da Paolo Maria Napolitano. Per eleggere chi prenderà il suo posto servono, ancora questa volta, i due terzi dell’ assemblea. Per gli altri due posti vacanti, invece, si è già andati oltre il terzo scrutinio e bastano i tre quinti. Anche per questo giovedì sarà quasi certamente fumata nera: per cominciare a ragionare sui nomi si aspetta la prossima convocazione, quando per tutti e tre i giudici da eleggere il quorum sarà di tre quinti. Il tema, però, è soprattutto politico. Mazzella e Napolitano, tra l’altro, furono indicati dal centrodestra, che ora deve esprimere nuovi candidati. Sarà interessante vedere se M5S esprimerà un proprio candidato: tra i nomi Felice Besostri, avvocato che ha impugnato il Porcellum. Per il centro sinistra c’è chi ciclicamente fa il nome del giurista Augusto Barbera. In realtà le trattative per ricostituire il plenum di 15 giudici non sono partite. La Corte può lavorare finché è a quota 11 giudici, ma gli equilibri interni incidono sulle decisioni. Già a ottobre sono in agenda cause di primo piano. Il 6 è di nuovo di scena la legge 40 sulla fecondazione: in udienza sarà discusso il divieto assoluto di selezione eugenetica degli embrioni, anche quando si tratti di selezionare i soli embrioni non affetti da patologia genetica. Il 7 va in camera di consiglio il taglio delle ferie dei magistrati e una possibile bocciatura non farà piacere alle toghe. Il 20 tocca alla legge Severino con la causa che investe il sindaco di Napoli, De Magistris, sulla sospensione degli amministratori locali condannati. Sull’esito pesa la Cassazione che ha stabilito la competenza del giudice ordinario, non del Tar, nell’applicazione delle Severino. A sottoporre la questione su De Magistris alla Consulta è stato proprio il Tar. Giustizia: imprese e legalità, i tasselli mancanti contro il malaffare di Lionello Mancini Il Sole 24 Ore, 28 settembre 2015 Cosa impedisce a istituzioni, giurisdizione e sistema delle imprese, di fare fronte comune contro il malaffare? Perché nessuna volenterosa miccia accesa nei diversi campi è ancora riuscita a innescare il definitivo rigetto del Paese verso mafia (specie nei suoi tentacoli grigi) e corruzione, come avvenne con il terrorismo politico? Eppure tutti concordano: il malaffare è disastroso per l’economia e la stessa tenuta democratica. Queste domande non hanno ancora risposta, anche se trovarne è necessario perché "è terribile - per dirla con il politologo Francis Fukuyama - sprecare l’occasione di una crisi". Sono passati oltre 50 anni dal debutto della prima normativa sulla confisca dei beni, quell’approccio in chiave totalmente antimafia, che avviò l’epoca dell’aggressione alle fortune dei boss, pratica ben più temuta del carcere o della latitanza. A quella legge del 1965 si ispireranno - vent’anni dopo - la legge Rognoni-La Torre (1982) e tutte le disordinate modifiche successive, fino al più organico - ma già insufficiente - Codice antimafia del 2011. Siamo, dunque, concettualmente ancora fermi a un approccio repressivo tout court, dato che le misure incidenti sull’economia sono nate come propaggine necessaria al contrasto ai camuffamenti simil-imprenditoriali dei clan. Eppure, molte cose sono cambiate: le mafie si sono palesate al di fuori dei loro territori storici, adeguando perciò il loro strumentario; l’infiltrazione riguarda imprese vere, grandi società, grandi appalti, multinazionali, che non è logico definire come semplici emanazioni mafiose, anche se per incuria, ignavia o furbizia hanno fatto incamerare ai criminali denaro, potere, relazioni sociali. Negli anni, è diventato più chiaro il legame mafia-corruzione ed è stato messo a fuoco il peso strategico dell’area grigia. Ed è così che la distinzione tra azienda e singolo contratto, subappalto, ha cominciato a farsi strada. Ma come? Grazie a chi? E con quali esiti? Tre i soggetti su cui puntare i riflettori. Al legislatore, da troppi anni di qualità discutibile, va riconosciuto il buono di sporadici sforzi meditati, ma addebitato il quadro normativo confuso, nel quale gli strumenti repressivi e di prevenzione (in genere lanciati in attimi di picco mediatico, quindi malamente trasformati in leggi) si sovrappongono, si ingarbugliano, si inceppano e fanno danni alle imprese, senza raggiungere lo scopo. Secondo soggetto, appunto, la magistratura, cui la discutibile scrittura delle norme affida l’enorme responsabilità di interpretare, estendere o piegare le regole, emettendo sentenze che non valgono solo per il caso specifico ma diventano brutte fotografie di dinamiche e sistemi pressoché sconosciuti. Investiti di questo ruolo, i magistrati non si tirano indietro anche se l’estensione abnorme di tale dinamica finisce per deformare la propria percezione della categoria, cancella il confine tra il ruolo di legge e invasione di campo più o meno involontaria, non stimola gran desiderio di aggiornarsi sulla veloce evoluzione dell’economia, mantenendo buoni principi e pregiudizi ormai insensati Infine gli imprenditori, cui va dato atto di aver sperimentato, specie in alcune finestre temporali e geografiche, nuovi codici interni per qualificare il sistema e anche di aver lanciato proposte innovative (es. il rating di legalità). Ma, insieme, va loro addebitato un rapporto mediamente sospettoso con le regole, la propensione a lamentarne deficienze e oneri, una insufficiente diffusione di una moderna cultura d’impresa. Risultato: i furbi contano ancora più degli onesti, gli scandali continuano a deflagrare, trova poco spazio il "nuovo", ben più credibile agli occhi di interlocutori istituzionali e togati. E quanti hanno coraggiosamente tracciato nuovi sentieri, hanno spesso saggiato l’isolamento e la delegittimazione proprio da parte dei possibili alleati. Onestamente, le responsabilità della situazione odierna vanno ripartite tra tutti gli attori, ancora troppo propensi all’invettiva contro le altrui inadeguatezze e molto meno alla riflessione sui propri limiti e ritardi. Giustizia: interrogazioni Pd-Al "commissariare Regioni che tardano a chiudere gli Opg" Adnkronos, 28 settembre 2015 Interrogazioni al governo, gli Opg andavano dismessi entro marzo 2015. Combattere ritardi e inadempienze, commissariando gli organi regionali che non hanno rispettato la tabella di marcia di chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. Due distinte interrogazioni alla Camera - presentate da Delia Murer (Pd) e Eleonora Bechis (Misto-Alternativa Libera) - chiedono al governo se non sia il caso di ricorrere alle "maniere forti" per imporre il rispetto del decreto del maggio 2014 che - dopo una innumerevole serie di precedenti provvedimenti disattesi - ha confermato il cambio di rotta nel trattamento dei cosiddetti "detenuti psichiatrizzati spostando l’approccio - scrive Murer - da quello manicomiale" alla cura con misure alternative e alla "fine della pratica degli internamenti". Ma, soprattutto, il decreto aveva imposto la definitiva chiusura degli Opg, ponendo il termine tassativo del 31 marzo 2015. Sei mesi dopo quel termine inappellabile, riferiscono le due interrogazioni presentate ai ministri competenti, diverse strutture restano operative e le regioni inadempienti tardano a presentare "progetti terapeutico riabilitativi" alternativi. Il compito delle regioni, spiega ancora Murer, sarebbe anche quello di attrezzare le cosiddette Rems-Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza. Dall’aprile 2011 le presenze negli ospedali psichiatrici giudiziari sono passate da 1419 internati a 698. Più di trecento risultano ancora ricoverate nei 5 ospedali psichiatrici giudiziari superstiti: Barcellona Pozzo di Gotto (140 internati), Aversa (70), Napoli (60), Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia; altri 240 sono gli internati nell’ex ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, vicino Mantova. L’obbligo di chiusura è stato anche accompagnato da un piano di finanziamento di 170 mln ma diverse regioni "si sono fatte trovare impreparate", creando "non pochi problemi anche alle attività giudiziarie", perché, ad esempio, "i magistrati non sanno dove mandare i detenuti psichiatrizzati". Citando una recente audizione in Commissione al Senato del capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria, Santi Consolo, la senatrice Bechis ritiene che il ritardo nella dismissione degli Opg "non può essere giustificato dalla graduale applicazione della legga". Sia la deputata del Pd che la senatrice di Ali, domandano ai competenti ministri della Salute e della Giustizia "se il governo intende valutare, tra le misure per la risoluzione del problema, il commissariamento delle regioni inadempienti". Per il rilascio dell’attestazione antimafia controlli estesi ai familiari residenti all’estero di Alberto Cisterna Il Sole 24 Ore, 28 settembre 2015 Legge 6 agosto 2015 n. 121. La legge 121/2015 si compone di un solo articolo che abroga un solo inciso dell’articolo 85, comma 3, del Codice delle leggi antimafia con la soppressione delle parole: "che risiedono nel territorio dello Stato". È bene chiarire che il comma 3, oggi rimaneggiato, era stato inserito nell’alveo dell’articolo 85 solo pochi mesi or sono. Era stato, infatti, l’articolo 1 del Dlgs 153/2014 (uno dei decreti correttivi che il Governo poteva varare nei tre anni successivi all’entrata in vigore del Codice antimafia) a inserire il comma 3 con la previsione che "l’informazione antimafia deve riferirsi anche ai familiari conviventi di maggiore età dei soggetti di cui ai commi 1, 2, 2-bis, 2-ter e 2-quater che risiedono nel territorio dello Stato". Ora il requisito della residenza nel territorio nazionale è venuta meno. In apparenza poca cosa, nella sostanza una modifica incisiva del sistema della prevenzione antimafia di matrice prefettizia e sul versante, sempre delicato, delle infiltrazioni mafiose nel settore dei contratti ad evidenza pubblica. I soggetti interessati - La platea degli interessati che vedono sé stessi e i propri familiari sottoposti alla verifica antimafia è davvero ampia. La documentazione antimafia, infatti, è imposta, in caso di imprese individuali, per il titolare e il direttore tecnico dell’azienda. Nel caso di associazioni, imprese, società, consorzi e raggruppamenti temporanei di imprese, la documentazione deve riferirsi, oltre che al direttore tecnico, ove previsto, a) per le associazioni, a chi ne ha la legale rappresentanza; b) per le società di capitali anche consortili ai sensi dell’articolo 2615-ter del codice civile, per le società cooperative, di consorzi cooperativi, per i consorzi di cui al libro V, titolo X, capo II, sezione II, del codice civile, al legale rappresentante e agli eventuali altri componenti l’organo di amministrazione, nonché a ciascuno dei consorziati che nei consorzi e nelle società consortili detenga una partecipazione superiore ai limiti indicati dall’articolo 85; c) per le società di capitali, anche al socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro, ovvero al socio in caso di società con socio unico; d) per i consorzi e per i gruppi europei di interesse economico, a chi ne ha la rappresentanza e agli imprenditori o società consorziate; e) per le società semplice e in nome collettivo, a tutti i soci; f) per le società in accomandita semplice, ai soci accomandatari; g) per le società di cui all’articolo 2508 del Cc (ossia, si badi bene, si parla delle società estere con sede secondaria nel territorio dello Stato) a coloro che le rappresentano stabilmente nel territorio dello Stato; h) per i raggruppamenti temporanei di imprese, alle imprese costituenti il raggruppamento anche se aventi sede all’estero, secondo le modalità indicate nelle lettere precedenti; i) per le società personali ai soci persone fisiche delle società personali o di capitali che ne siano socie. Società semplice e in nome collettivo - Il perimetro è davvero vasto e può ricomprendere, di per sé, anche decine e decine di persone, come nel caso della società semplice e in nome collettivo per le quali la documentazione antimafia applica a tutti i soci. Inoltre il comma 2-bis impone il rilascio della documentazione anche per i membri del collegio sindacale e, nei casi contemplati dall’articolo 2477 del Cc (società a responsabilità limitata), al sindaco, nonché ai soggetti che svolgono i compiti di vigilanza di cui al decreto 231/2001 sulla responsabilità delle persone giuridiche. Ancora il comma 2-ter prescrive che per le società costituite all’estero, prive di una sede secondaria con rappresentanza stabile nel territorio dello Stato (e, quindi, fuori dai casi di cui all’articolo 2508 del Cc) la documentazione antimafia deve riferirsi a coloro che esercitano poteri di amministrazione, di rappresentanza o di direzione dell’impresa. V’è da chiedersi, in questo caso, come sarà concretamente possibile procedere alle verifiche che precedono il rilascio della documentazione antimafia. Si tratta, a tutta evidenza di soggetti che, quasi sempre, risiedono fuori dal territorio dello Stato e per i quali difettano informazioni significative al fine di accertare i pericoli di infiltrazione mafiosa. È noto, infatti, che l’articolo 416-bis del Cp non ha corrispondenze normative in tutti gli altri ordinamenti giuridici europei e non; ragione per cui è particolare difficile immaginare che si possano acquisire dati e notizie che, all’estero, siano da considerarsi sintomatiche della minaccia che la disciplina nazionale sulla documentazione antimafia intende scongiurare. Le innovazioni introdotte dalla legge 121/2015 - Ora, per giunta, con la legge 121/2015 i controlli dovrebbero estendersi anche ai "familiari conviventi di maggiore età" dei soggetti indicati, il che (francamente) potrà garantire l’apparente impermeabilità del settore dei contratti pubblici ai pericoli della criminalità organizzata, ma in concreto appare difficile immaginare che l’amministratore di Londra o di Singapore fornisca i dati di composizione del proprio nucleo familiare e che, ove gli venga imposto di far ciò con l’autocertificazione, possa attuarsi un controllo effettivo persino sull’esistenza dei suddetti familiari. L’interpolazione della legge 121/2015 è stata, sotto questo profilo, troppo ampia ed ha fatto ricadere nel range degli articoli 82 e seguenti anche soggetti non residenti nel territorio nazionale e familiari maggiorenni conviventi di soggetti a loro volta, per lo più, non italiani. Il criterio della residenza sul territorio nazionale certo lasciava fuori le propaggini parentali all’estero, ma aveva almeno un minimo di agibilità operativa. Oggi non è più così e staremo a vedere come la nuova disposizione sarà applicata sia in relazione ai casi dell’articolo 2508 del Cc che a quelli del comma 2-ter. Infine la novella in commento interviene anche nei casi regolati dall’articolo 85, comma 2-quater, prevedendo il controllo in questione anche per le società di capitali di cui alle lettera b) e c) del citato comma 2 che siano concessionarie nel settore dei giochi pubblici. Per esse, com’è noto, oltre a quanto previsto nelle medesime lettere, la documentazione antimafia deve riferirsi anche ai soci persone fisiche che detengono, anche indirettamente, una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 2 per cento, nonché ai i direttori generali e ai soggetti responsabili delle sedi secondarie o delle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti. Nell’ipotesi in cui i soci persone fisiche detengano la partecipazione superiore alla predetta soglia mediante altre società di capitali, la documentazione deve riferirsi anche al legale rappresentante e agli eventuali componenti dell’organo di amministrazione della società socia, alle persone fisiche che, direttamente o indirettamente, controllano tale società, nonché ai direttori generali e ai soggetti responsabili delle sedi secondarie o delle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti. La documentazione per giunta deve riferirsi anche al coniuge non separato. La modifica del 2015, anche in questo caso, andrà a impattare sul novero dei familiari, conviventi e maggiori di età, che risiedono all’estero, ponendo le stesse problematiche di concreta operatività di cui si diceva. Operatività della documentazione antimafia - In conclusione resta da considerare, nell’ambito di operatività della documentazione antimafia tracciato dall’articolo 83, come l’abrogazione parziale portata dalla legge 121/2015 verrà a operare. L’articolo 84 stabilisce, com’è noto, che la documentazione antimafia è costituita dalla comunicazione antimafia e dall’informazione antimafia. La prima consiste nella mera attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67, ossia di quelle conseguenti all’applicazione di una misura di prevenzione antimafia, per cui la questione è circoscritta al territorio nazionale e consta della mera consultazione dei registri giudiziari. Mentre l’informazione antimafia è l’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67, nonché, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 91, comma 6, è l’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate secondo gli "indici di anomalia" indicati nel successivo comma 4. Il richiamo all’articolo 91, comma 6, rinvia al potere del prefetto di desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa anche da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati "solo strumentali" all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata, nonché dall’accertamento delle violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari ai sensi della legge 136/2010. Un complesso davvero ampio di accertamenti che, ora dovranno dirigersi anche verso i familiari conviventi di maggiore età che si trovano all’estero. Una missione necessaria, ma forse impossibile. Reati tributari: ammesso il sequestro preventivo dei beni degli amministratori di Giuseppe Amato Il Sole 24 Ore, 28 settembre 2015 Corte di cassazione - Sezione III penale - Sentenza 15 luglio 2015 n. 30484. In tema di reati tributari, commessi dal legale rappresentante o da altro organo di una persona giuridica, è possibile il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità della persona giuridica. Mentre, solo in caso di impossibilità, anche solo transitoria, del sequestro diretto del profitto del reato, è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi (sezioni Unite, 30 gennaio 2014, Gubert). Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza n. 30484 depositata dalla terza sezione penale lo scorso 15 luglio. Reati tributari commessi dal legale rappresentante - A far data dalla nota sentenza delle sezioni Unite, 30 gennaio 2014, Gubert, la giurisprudenza è nel senso che, in tema di reati tributari, commessi dal legale rappresentante o da altro organo di una persona giuridica, è possibile il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità della persona giuridica. Mentre, solo in caso di impossibilità, anche solo transitoria, del sequestro diretto del profitto del reato, è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi. Ciò con la precisazione che il sequestro diretto del profitto (corrispondente all’ammontare dell’imposta evasa, comprensivo del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributario), stante la natura fungibile del denaro, può colpire sia la somma che si identifica proprio in quella che è stata acquisita attraverso l’attività criminosa, sia la somma corrispondente al valore nominale, ovunque sia stata rinvenuta e comunque sia stata investita (titoli, valori, beni mobili, beni immobili, ecc.) (si veda anche di recente sezione III, 30 aprile 2015, Giussani che, proprio da queste premesse, ha annullato con rinvio l’ordinanza di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente eseguito a carico degli amministratori della società, chiamati a rispondere dell’illecito tributario, senza che fosse stata prioritariamente indagata l’esistenza nel patrimonio della società, debitore dell’imposta evasa, di beni direttamente o indirettamente riconducibili al profitto del reato). Nesso di causalità: c’è effetto interruttivo quando l’evento è eccentrico rispetto al rischio di Giuseppe Amato Il Sole 24 Ore, 28 settembre 2015 Corte di cassazione - Sezione IV penale - Sentenza 28 luglio 2015 n. 33329. Ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso causale tra la condotta e l’evento (articolo 41, comma 2, del Cp), il comportamento successivo può avere valenza interruttiva non perché eccezionale, ma perché eccentrico rispetto al rischio che il garante è chiamato a governare: in effetti, tale eccentricità potrà rendere in qualche caso (ma non necessariamente) statisticamente eccezionale il comportamento, ma ciò è una conseguenza accidentale, in quanto l’effetto interruttivo può e deve essere individuato in qualsiasi circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che, appunto, il garante è chiamato a governare. Lo hanno stabilito i giudici penali della Cassazione con la sentenza n. 33329 del 28 luglio 2015. La teoria del rischio - In questa prospettiva, in cui è la teoria del rischio a guidare nell’apprezzamento dell’eventuale effetto interruttivo, anche il fatto illecito altrui non esclude in radice l’imputazione dell’evento al primo agente, che avrà luogo fino a quando l’intervento del terzo, in relazione all’intero concreto decorso causale della condotta iniziale all’evento, non abbia soppiantato il rischio originario; cosicché l’imputazione non sarà invece esclusa quando l’evento risultante dal fatto del terzo possa dirsi realizzazione sinergica anche del rischio creato dal primo agente. L’importanza della sentenza - La sentenza si segnala per una innovativa ricostruzione della disciplina dell’interruzione del nesso causale per effetto di una causa sopravvenuta (articolo 41, comma 2, del Cp), che, esplicitamente, si riallaccia a considerazione già sviluppate dalle sezioni Unite nella sentenza 24 aprile 2014, Espenhahn. Il principio sintetizzato, secondo la Corte, si applica anche all’attività medica, quando cioè la prima condotta illecita sia costituita dalla condotta terapeutica inappropriata di un primo medico. Di regola, si sostiene, ciò non comporta l’interruzione del nesso causale, perché il rischio terapeutico resta solitamente il medesimo, anche se diversamente declinato. Possono, peraltro, verificarsi situazioni nelle quali ad un primo errore di un sanitario, ne segua un altro che innesca un rischio nuovo, incommensurabile, letale, con la conseguente interruzione del nesso causale. Un caso di errore diagnostico - La Cassazione ha fatto applicazione del principio in una fattispecie in cui una pluralità di medici erano stati chiamati a rispondere della morte di una paziente affetta da ascesso tonsillare, deceduta prima dell’intervento chirurgico programmato per l’esecuzione di una tracheotomia resa necessaria dall’ingravescenza della patologia e morta in conseguenza di un grave errore dell’anestesista, il quale nel dare corso, senza esito, a un’anestesia generale con somministrazione di curaro e intubazione, aveva provocato, con il curaro, un effetto miorilassante con paralisi dei muscoli respiratori e totale occlusione delle vie respiratorie, di guisa che la paziente, nonostante l’effettuazione di una tracheotomia in emergenza, era deceduta. Ha osservato la Corte che i diversi errori diagnostici e terapeutici in cui erano incorsi, prima dell’intervento, i primi medici che l’avevano seguita durante il ricovero, avrebbero potuto avere rilevanza nel corso dell’esecuzione dell’atto chirurgico, ma, poiché l’intervento non era stato eseguito, e la morte era stata determinata dall’errore dell’anestesista, si era in presenza di un rischio nuovo rilevante per ascrivere l’addebito morte all’anestesista, con esclusione del nesso causale tra l’evento letale e la condotta dei primi sanitari. Pornografia minorile: natura del reato e configurazione Il Sole 24 Ore, 28 settembre 2015 Reati contro la persona - Pornografia minorile - Acquisizione di materiale pedopornografico - Mediante utilizzo di programmi di file sharing - Reato ex art. 600 ter cod. pen. - Configurazione - Condizioni. La sussistenza del reato di cui all’art. 600 ter, comma III, cod. pen. deve essere esclusa nel caso di semplice utilizzazione di programmi di file sharing che comportino nella rete internet l’acquisizione e la condivisione con altri utenti dei files contenenti materiale pedopornografico, solo quando difettino ulteriori elementi indicativi della volontà dell’agente di divulgare tale materiale. • Corte di cassazione, sezione III, sentenza 8 maggio 2015 n. 19174. Reati contro la persona - Delitti contro la libertà individuale - Pornografia minorile - Natura del reato - Configurazione. Il delitto di pornografia minorile di cui all’articolo 600 ter c.p., comma 1 ha natura di reato di pericolo concreto, pertanto è compito del giudice accertare di volta in volta la configurabilità del predetto pericolo, facendo ricorso ad elementi sintomatici della condotta quali l’esistenza di una struttura organizzativa anche rudimentale atta a corrispondere alle esigenze di mercato dei pedofili, il collegamento dell’agente con soggetti pedofili potenziali destinatari del materiale pornografico, la disponibilità materiale di strumenti tecnici di riproduzione e/o trasmissione, anche telematica idonei a diffondere il materiale pornografico in cerchie più o meno vaste di destinatari, l’utilizzo contemporaneo o differito nel tempo di più minori per la produzione del materiale pornografico - dovendosi considerare la pluralità di minori impiegati non elemento costitutivo del reato ma indice sintomatico della pericolosità concreta della condotta -, i precedenti penali, la condotta antecedente e le qualità soggettive del reo, quando siano connotati dalla diffusione commerciale di pornografia minorile nonché gli altri indizi significativi suggeriti dall’esperienza. • Corte di cassazione, sezione III, sentenza 2 ottobre 2014 n. 40781. Reati contro la persona - Pornografia minorile - Divulgazione o diffusione di materiale - Utilizzo di programmi di condivisione automatica per scaricare files - Successiva selezione ed inserimento dei files in apposita cartella di condivisione personalizzata - Elemento soggettivo - Sussistenza. In tema di divulgazione e diffusione di materiale pedopornografico, è configurabile il dolo generico nella condotta del navigatore in internet che non si limiti alla ricerca e raccolta di immagini e filmati di pornografia minorile, tramite programmi di file-sharing o di condivisione automatica ma operi una selezione del materiale scaricato, inserendolo i prodotti multimediali in una apposita cartella di condivisione personalizzata. • Corte di cassazione, sezione feriale, sentenza 10 novembre 2014 n. 46305. Reati contro la persona - Delitti contro la libertà individuale - Pornografia minorile - Divulgazione di materiale pedopornografico - Elemento soggettivo - Criteri di individuazione. Ai fini della configurazione dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 600 ter cod. pen., dalla volontà di procurarsi e detenere files a contenuto pedopornografico non può ricavarsi automaticamente la presenza di un dolo diretto a diffonderli, che deve invece risultare da elementi precisi e inequivocabili tra i quali non può annoverarsi il semplice fatto che il soggetto abbia adoperato un programma di condivisione. • Corte di cassazione, sezione III, sentenza 31 luglio 2013 n. 33157. Reati contro la persona - Delitti contro la libertà individuale - Riduzione in schiavitù - Pornografia minorile - Divulgazione di materiale pedopornografico - Volontarietà - Necessità. Non integra il reato di pornografia minorile la divulgazione nella rete Internet, attraverso programmi di file-sharing, di materiale pedopornografico non intenzionalmente detenuto o consapevolmente procurato dall’utente. • Corte di cassazione, sezione III, sentenza 16 novembre 2012 n. 44914. Responsabilità da reato degli enti: l’obbligatorietà della confisca del profitto del delitto Il Sole 24 Ore, 28 settembre 2015 Società - Responsabilità da reato degli enti - Confisca per equivalente - Obbligatorietà - Ragioni. In tema di responsabilità da reato degli enti, la confisca per equivalente, in quanto sanzione principale ed autonoma, è obbligatoria, al pari di quella diretta, atteso che il ricorso da parte del legislatore, nel secondo comma dell’art. 19 D.Lgs. n. 231/2001, alla locuzione "può", non esprime l’intenzione di riconoscere ad essa natura facoltativa, ma la volontà di vincolare il dovere del giudice di procedervi alla previa verifica dell’impossibilità di provvedere alla confisca diretta del profitto del reato e dell’effettiva corrispondenza del valore dei beni oggetto di ablazione al valore di detto profitto. • Corte di cassazione, sezioni Unite, sentenza 17 marzo 2015 n. 11170. Società - Responsabilità amministrativa degli enti - Sanzioni - Confisca - Confiscabilità del prezzo o del profitto del reato - Confisca per equivalente - Sequestro preventivo - oggetto - Previa individuazione dei beni - Necessità - Esclusione. Il decreto di sequestro preventivo per equivalente del profitto del reato presupposto non deve contenere l’indicazione specifica dei beni che devono essere sottoposti al vincolo, potendo procedere alla loro individuazione anche la polizia giudiziaria in sede di esecuzione del provvedimento, ma deve indicare la somma sino a concorrenza della quale il sequestro deve essere eseguito. • Corte di cassazione, sezione II, sentenza 6 ottobre 2014 n. 41435. Società - Responsabilità da reato degli enti - Confisca del profitto del reato - Obbligatorietà - Sussistenza. La confisca del profitto del reato presupposto, in quanto sanzione principale ed autonoma, ha natura obbligatoria, anche nella forma per equivalente, atteso che il ricorso da parte del legislatore alla locuzione "può", nel secondo comma dell’art. 19 D.Lgs. n. 231/2001, deve essere imputato non già all’intenzione di configurare la suddetta confisca di valore come meramente facoltativa, bensì alla volontà di vincolare il dovere del giudice di procedere alla previa verifica dell’impossibilità di provvedere alla confisca diretta del profitto del reato e dell’effettiva corrispondenza del valore dei beni oggetto di ablazione al valore di quest’ultimo. • Corte di cassazione, sezione VI, sentenza 2 maggio 2013 n. 19051. Società - Responsabilità da reato degli enti - Sanzioni - Confisca per equivalente - Obbligatorietà - Sussistenza. In tema di responsabilità da reato degli enti, la confisca per equivalente di beni corrispondenti al profitto del reato è obbligatoria, anche qualora il reato presupposto sia quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. • Corte di cassazione, sezione II, sentenza 21 luglio 2010 n. 28683. Società - Responsabilità da reato degli enti - Reato presupposto - Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato - Confisca di valore del profitto del reato - Applicabilità dell’art. 322 ter cod. pen. - Esclusione. In tema di responsabilità da reato degli enti, qualora l’illecito penale presupposto sia quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, è obbligatorio procedere alla confisca per equivalente del profitto del reato (ed è quindi legittimo il sequestro preventivo funzionale alla medesima), non trovando applicazione il disposto di cui al primo comma dell’art. 322 ter cod. pen., per cui, in relazione ai delitti contro la P.A., può procedersi alla confisca di valore solo in riferimento al prezzo del reato. • Corte di cassazione, sezione VI, sentenza 7 aprile 2009 n. 14973. Pesaro: detenuto magrebino si è impiccato nella Casa circondariale di Villa Fastiggi laprimapagina.it, 28 settembre 2015 L’uomo si è impiccato nella sua cella. Si tratta di un detenuto di origine magrebina che dopo il rientro da un altro istituto ove era stato sottoposto ad un breve periodo di osservazione. A darne la notizia è il Sindacato di polizia penitenziaria Osapp. "Purtroppo l’intervento dei poliziotti penitenziari anche nel tentativo di rianimarlo non ha potuto impedire il concretizzarsi del suicidio - spiega Nicola Defilippis, segretario regionale del sindacato Osapp. La situazione nelle carceri italiane resta ad alta tensione ogni giorno. Quello del suicidio costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, affievolendo progetti e speranze dei reclusi. È necessario un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere". Torino: la Garante dei detenuti "un Centro per l’oblio, per cancellare il passato dal web" di Vera Schiavazzi La Repubblica, 28 settembre 2015 Il diritto all’oblio è importante per tutti, ma per i detenuti ancora di più. Da oggi, l’ufficio del Garante per i detenuti di Torino, in collaborazione con un gruppo di studenti, aiuterà chi ha finito di scontare la sua pena a eliminare la vecchia identità digitale, attraverso le procedure già previste dai motori di ricerca e sostenendo ciascuno con un percorso personale per "cancellare il cancellabile". L’idea è di Monica Gallo, che ha da poco assunto l’incarico. "L’articolo 46 dell’ordinamento penitenziario - spiega Gallo - spiega che chi esce dal carcere debba essere accompagnato da un percorso, prima e dopo la data di fine pena. Ma oggi l’esplorazione della rete permette a chiunque di risalire a persone, fatti e immagini che consentono di associare i reati a chi ha già finito la pena detentiva e vorrebbe non essere più identificato con un ricorso lontano". Ma il diritto all’oblio è di fondamentale importanza perchè le tracce di sofferenza non siano più raggiungibili attraverso un semplice "clic". "Antichi reati, avvenuti in un’epoca in cui Internet non era alla portata di tutti, resistono oggi fino a fine pena e oltre - osserva Gallo. Per questo, come garante, mi sembra utile attivare questo servizio, proteggendo la riservatezza di chi ha già scontato la condanna e vuole iniziare una nuova vita". Anche questo è, o dovrebbe essere, il senso della pena detentiva, garantendo il cambiamento. "E in molti casi - conclude la Garante - la memoria dei fatti non dovrebbe ripercorrere un’epoca che l’individuo non sente più sua, un passato fermo, che non corrisponde più alla persona reale e diversa che l’individuo è diventato. Le notizie non hanno più un valore sociale, e diventano invece un intralcio per il reinserimento sociale. Non tutti a fine pena vivono allo stesso modo questo problema, ma qualcuno si ritiene "perseguitato" dal proprio passato. Ora saremo noi, nel nostro ufficio, a investire tempo e competenze per offrire a queste persone i modi migliori e già previsti per cancellare la parte più vecchia della propria identità". Pistoia: tetto crollato, carcere a rischio chiusura, restano soltanto 16 detenuti di Eleonora Ferri Il Tirreno, 28 settembre 2015 I danni dopo la bufera di vento ammontano a quasi un milione di euro. Già trasferiti i detenuti, ne sono rimasti solo 16. Un carcere semi vuoto e che rischia di chiudere definitivamente. Il destino della casa circondariale di Pistoia, Santa Caterina in Brana, è appeso a un filo: quello della decisione del Ministero di stanziare o meno i finanziamenti per riparare parte del carcere. Finanziamenti che prevedono un investimento generale fra gli 800.000 e il milione di euro. Dopo la bufera di vento dello scorso 5 marzo infatti, parte del tetto del carcere di Pistoia è crollato. Per questo motivo, dopo i sopralluoghi, i 120 detenuti presenti sono stati gradualmente spostati in carceri limitrofe: Prato, Sollicciano e Firenze. Ad oggi, la casa circondariale di Pistoia ospita 16 detenuti (in semilibertà o articolo 21). "Stiamo attendendo che il dipartimento abbia i fondi per iniziare i lavori, in previsione fra gli 800.000 e un milione di euro - spiega Carmelo Cantone, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria della Toscana - ma in questo momento non c’è in progetto la chiusura del carcere". Per adesso quindi, il carcere continuerà ad ospitare i 16 detenuti, in attesa dei finanziamenti. Mentre le persone arrestate sul territorio pistoiese verranno dirottate nei carceri di Prato, Firenze o Lucca. Ma la paura di un’ipotetica chiusura del Santa Caterina in Brana ha colpito soprattutto il personale di polizia penitenziaria, già ridimensionato. Dei 65 operatori penitenziari presenti a Pistoia, 16 sono stati reintegrati fuori regione, 6 in altre strutture della regione, mentre nella casa circondariale pistoiese, dopo il 5 marzo, ne sono rimasti 43. "Vi è molta incertezza perché i soldi non sono ancora stati stanziati - spiega Pasquale Salemme, segretario nazionale e responsabile Sappe (sindacato autonomo polizia penitenziaria) Toscana - c’è un forte timore da parte della polizia penitenziaria per quanto riguarda il futuro, un’ipotetica chiusura andrebbe ad incidere con dei trasferimenti nella vita lavorativa delle 43 unità attive a Pistoia, quello che ci preme è avere certezze per il futuro". Nei prossimi mesi intanto, il personale di polizia penitenziario pistoiese "verrà impiegato anche in altre cose: per esempio presterà servizio alla stadio di Pistoia - spiega Salemme - aspettiamo comunque di sapere se il finanziamento verrà stanziato o no e i tempi". "Sono fiducioso che la soluzione verrà trovata - dice il direttore del carcere pistoiese, Tazio Bianchi - l’intenzione è quella di tenere aperto, ci sono lavori che certamente vanno fatti, ma stiamo lottando e facendo tutto il necessario per non chiudere". Cagliari: Sdr: troppe opere incompiute nel carcere di Uta creano pesanti disagi Ristretti Orizzonti, 28 settembre 2015 "A poco meno di un anno dal trasferimento dei detenuti dal vecchio carcere di Buoncammino di Cagliari al Villaggio Penitenziario di Uta, nell’area industriale del capoluogo a circa 23 chilometri, le numerose incompiute stanno creando pesanti disagi agli Agenti Penitenziari, agli amministrativi, ai detenuti e ai loro familiari. Sono improcrastinabili interventi per colmare i vuoti lasciati dal fallimento di Opere Pubbliche e garantire servizi di collegamento". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", evidenziando le diverse carenze registrate negli edifici articolati in 15 sezioni. "La Casa Circondariale di Cagliari - sottolinea - è una struttura complessa, dispersiva, in cui operano 360 Agenti rispetto ai 420 previsti in organico per 549 detenuti, esclusi i 92 in regime di massima sicurezza (ma con una capienza regolamentare prevista fino a 950). La dislocazione nell’area industriale di Cagliari, in una landa desolata, maleodorante, soggetta ad allagamenti in quanto alluvionale pone innanzitutto problemi di comunicazione e collegamento. L’insufficiente numero di Agenti limita il servizio di prenotazione colloqui. E’ infatti disponibile una sola linea telefonica per un solo addetto che fa fronte a circa 90 colloqui quotidiani. Il telefono peraltro risulta libero anche quando il numero è occupato da un’altra chiamata, provocando malcontento tra i familiari". "Non è stato ancora risolto il problema dei collegamenti nei giorni festivi. Agenti, detenuti e familiari accedono con grandi difficoltà al servizio pubblico di trasporto anche nei giorni feriali. Gli orari stabiliti dal CTM, con l’apposito autobus, non sono adeguati - evidenzia Caligaris - ai bisogni reali di chi lavora. Inconcepibile l’assenza di una pensilina con panchina almeno per offrire riparo e sostegno per attendere il mezzo". "Neppure la struttura del carcere, all’ingresso dov’è collocata la block house, offre - rileva ancora la presidente di Sdr - un riparo in attesa dei colloqui. I familiari, giovani e anziani, sono costretti a sostare sotto il sole o sotto la pioggia, come in questi giorni, anche con neonati o bambini in braccio. Chi ha progettato la struttura ha pensato solo a un’area di transito per i parenti e non a una sosta inevitabile per chi attende il turno per i colloqui, soprattutto giungendo da paesi lontani". "Tutt’altro che ideale la condizione interna. Non è stata infatti completata l’automazione dei cancelli e nella rotonda "Buoncammino" nevralgica per l’accesso alle diverse sezioni del carcere, l’Agente deve continuamente spostarsi per aprire i pesanti cancelli in una condizione di lavoro difficile. Non è stato completato il pavimento della Palestra, il Padiglione del 41bis è abbandonato a se stesso, il Teatro non è del tutto agibile e perfino la biblioteca è stata ricavata in extremis ma non ha un sufficiente numero di scaffali espositori. Incredibile però è che si registrino infiltrazioni d’acqua perfino nella Mensa e nella Caserma degli Agenti oltre che in alcune celle dell’ultimo piano. E’ sufficiente infine dare uno sguardo alle inferriate delle finestre - conclude Caligaris - per scorgere gli strati di ruggine. Senza contare le problematiche della Sanità Penitenziaria che sono ancora tutte da risolvere, permane il dubbio se la struttura sia davvero passata al Ministero della Giustizia visto che i lavori non sono stati portati a termine, non c’è stata alcuna inaugurazione e il Ministero delle Infrastrutture è chiamato a verificare le condizioni del Villaggio". Alessandria: prova a introdurre hashish in carcere, denunciato familiare di detenuto radiogold.it, 28 settembre 2015 All'occhio attento degli agenti della Polizia Penitenziaria di Alessandria non è sfuggito l'involucro contenente alcuni grammi di hashish che il famigliare di un detenuto, domenica, ha provato a introdurre in carcere. La persona, ora denunciata, ha raccontato il sindacato autonomo di Polizia Sappe, aveva approfittato della visita al detenuto per introdurre illecitamente droga nel carcere di Alessandria. L'incauto tentativo, scoperto dagli agenti della Polizia Penitenziaria, ha aggiunto il sindacato, è emblema di quella "battaglia silenziosa" portata avanti per contrastare lo spaccio all'interno delle carceri. “Questo ennesimo rinvenimento di stupefacente destinato a detenuti - ha sottolineato Donato Capece, segretario generale del Sappe - scoperto e sequestrato in tempo dall’alto livello di professionalità e attenzione dei Baschi Azzurri di Alessandria, a cui vanno le nostre attestazioni di stima e apprezzamento per l’alta professionalità dimostrata, evidenzia una volta di più come sia reale e costante il serio pericolo che vi sia chi tenti di introdurre illecitamente sostanze stupefacenti in carcere. Ogni giorno la Polizia Penitenziaria porta avanti una battaglia silenziosa per evitare che dentro le carceri italiane si diffonda uno spaccio sempre più capillare e drammatico, stante anche l’alto numero di tossicodipendenti tra i detenuti. L’hashish, la cocaina, l’eroina, la marijuana e il subutex - una droga sintetica che viene utilizzata anche presso il Sert per chi è in trattamento - sono quelle che più diffuse e sequestrate dai Baschi Azzurri. Ovvio che l’azione di contrasto, diffusione e consumo di droga in carcere vede l’impegno prezioso della Polizia penitenziaria, che per questo si avvale anche delle proprie Unità Cinofile. Questo fa comprendere come l’attività di intelligence e di controllo del carcere da parte della Polizia Penitenziaria diviene fondamentale. Questo deve convincere sempre più sull’importanza da dedicare all’aggiornamento professionale dei poliziotti penitenziari, come ad esempio le attività finalizzate a prevenire i tentativi di introduzione di droga in carcere, proprio in materia di contrasto all’uso ed al commercio di stupefacenti". “Per fortuna delle Istituzioni - hanno aggiunto il segretario regionale Sappe del Piemonte, Vicente Santilli, e quello provinciale di Alessandria, Salvatore Mezzarano - gli uomini della Polizia Penitenziaria svolgono quotidianamente il servizio in carcere - come ad Alessandria - con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità, pur in un contesto assai complicato per il ripetersi di eventi critici. Ma non si può ritardare ulteriormente la necessità di adottare urgenti provvedimenti: non si può pensare che la gestione quotidiana delle costanti criticità delle carceri piemontesi e del Paese sia lasciata solamente al sacrificio e alla professionalità delle donne e degli uomini della Polizia". Sulmona (Aq): "il Cuore Oltre il Muro", mostra benefica di quadri realizzati da detenuti abruzzo24ore.tv, 28 settembre 2015 Da un'idea di Germano D'Aurelio (in arte Nduccio), presidente di "Fratello Mio onlus", con il permesso del Ministero della Giustizia la collaborazione degli Operatori della Casa di Reclusione di Sulmona grazie al Direttore Sergio Romice all'Associazione Voci di Dentro, al Centro d'Abruzzo lpercoop, si sta per realizzare una significativa iniziativa densa di Arte, Cultura e Solidarietà. 21 detenuti reclusi a Sulmona hanno aderito all'invito del direttore Dr. Sergio Romice e dell'educatrice d.ssa Fiorella Ranalli, e muniti di colori tavolozze e pennelli hanno trasformato i loro operosi laboratori già carichi di odori di vernice acqua ragia e legno, in un grande strumento di Solidarietà. In meno di un mese hanno realizzato 22 dipinti ad olio su tela con un unico tema: "il Cuore Oltre il Muro". I lavori consegnati a Fratello Mio onlus sono stati montati tra sabato 13 e domenica 14 settembre lungo la Galleria dell'Hopera Caffè e all'interno del Centro d'Abruzzo dove la direttrice d.ssa Claudia Campli mettendo a disposizione spazio, ospitalità, tecnici e grafica comunicativa ha permesso lo svolgersi dell'iniziativa ed assicurato il vasto pubblico del centro. La Mostra terminerà domenica 4 Ottobre ale ore 17.00 con una Speciale Asta di Beneficenza condotta da Nduccio, il quale tra battute d'asta e battute umoristiche dovrà assicurare che tutte le opere siano vendute al miglior prezzo. L'intero ricavato sarà destinato al Villaggio La Lumiére che opera in sintonia con "Fratello Mio onlus" in Togo, per il sostentamento della scuola e dell'orfanotrofio. E' la prima volta c he un Centro Commerciale ospita un'iniziativa di questo genere, è la prima volta che i lavori artistici di detenuti approdano ad un'asta ed è pure la prima volta che detenuti reclusi in Abruzzo svolgono lavori di solidarietà per il Togo e per l'Africa Siena: con Uisp ed Ecopneus inaugurato campo sportivo per i detenuti sportiamoci.it, 28 settembre 2015 I pneumatici giunti a fine vita diventano un campo sportivo per i detenuti del carcere di Siena. E’ una storia a lieto fine che unisce sport sociale e tutela ambientale, quella del campo da calcio realizzato con Pneumatici fuori uso nella Casa circondariale Santo Spirito di Siena grazie a Uisp, Unione Italiana Sport Per tutti che ha l'obiettivo di estendere il diritto allo sport a tutti i cittadini e a Ecopneus - società senza scopo di lucro che si occupa della gestione del 70% dei Pneumatici Fuori Uso presenti in Italia. Realizzata all’interno dell’Istituto penitenziario di Siena che, attualmente, ospita circa 70 detenuti, l’area sportiva è stata costruita anche grazie ai pneumatici avviati a recupero da Ecopneus con l’intervento di Rapolano Terme, vicino Siena, lo scorso giugno. Qui, in tempi record, senza nessun costo per la pubblica amministrazione, sono state rimosse 2.000 tonnellate di pneumatici fuori uso, ammassate abusivamente da oltre 20 anni, con un forte rischio per la salute dei cittadini. Una parte di quei PFU prelevati nella collina di Rapolano, oggi, sono diventati granuli utilizzati per la pavimentazione del campo sportivo dell’Istituto Santo Spirito, uno spazio di 150 metri quadrati ricavato all’interno delle mura perimetrali del carcere in cui sono stati impiegati 2.350 Kg di gomma riciclata. Il progetto è stato ideato dall’Uisp, che si occuperà di gestire le attività all’interno del carcere attraverso suoi educatori: “La capillare presenza dell’Uisp su tutto il territorio nazionale ci permette di dare valore sociale allo sport anche attraverso interventi di questo tipo - dice Simone Pacciani, vicepresidente nazionale Uisp - siamo vicini alle necessità delle comunità e dei cittadini, trasmettendo un’altra idea di sport, nella quale al primo posto ci sono il rispetto della dignità e dei diritti delle persone. Il carcere è parte integrante del territorio e lo sport rappresenta uno strumento di educazione alla socialità e alle relazioni, per tutti i cittadini". “La realizzazione del campo da calcio in gomma riciclata per i detenuti del Santo Spirito rappresenta un concreto esempio di economia circolare, capace di generare impatti positivi a livello economico, ambientale e sociale - ha dichiarato Giovanni Corbetta, direttore generale di Ecopneus - E’ questa la circular economy che Ecopneus vuole favorire, incentivando il recupero dei pneumatici arrivati a fine vita come materia destinata a nuovi usi. Ad oggi il 37,5% dei Pneumatici Fuori Uso raccolti da Ecopneus in tutta Italia, vengono riciclati in materiali come granuli, polverini di gomma e acciaio. Un settore, su cui Ecopneus sta puntando con grande convinzione con un investimento in ricerca e innovazione - che dal 2011 ad oggi - ha già raggiunto i 14 milioni di euro per promuovere gli sbocchi applicativi della gomma riciclata". Nel panorama del riciclo della gomma riciclata da PFU le pavimentazioni sportive rappresentano il 40% del settore. Un trend in crescita anche grazie alle qualità specifiche del materiale: risposta elastica per l’atleta, elevata capacità di assorbimento degli urti, resistenza alle deformazioni e agli agenti atmosferici. Tra le applicazioni sportive più comuni i campi in erba artificiale, le piste da atletica, i campi polivalenti, le pavimentazioni antitrauma e i campi da calcio in erba artificiale di ultima generazione. Quest’ultimo utilizzo è uno dei più diffusi, grazie alle particolari caratteristiche del materiale che donano al manto la massima giocabilità e una perfetta rispondenza con le richieste dei tecnici e dei giocatori anche più esigenti. Ivano Maiorella Ufficio stampa e comunicazione Uisp Immigrazione: i fondi per i profughi ormai non bastano più, scatta l’allarme aiuti di Alain Jourdan La Repubblica, 28 settembre 2015 La crisi siriana ha aperto un buco nel bilancio delle Nazioni Unite di 3,5 miliardi di dollari. Allo stremo anche le Ong: "Gli Stati devono dare prova di umanità". Prima ancora di suscitare tensioni in Europa, la crisi dei migranti ha prosciugato le finanze delle agenzie dell’Onu e delle Ong che col conflitto siriano hanno ormai raggiunto il limite del possibile. L’estate scorsa il Programma alimentare mondiale (Pam) ha dovuto ridurre di un terzo gli aiuti ai siriani rifugiati in Giordania, Turchia, Egitto Libano e Iraq, incrementando così a dismisura l’esodo delle popolazioni, che non avendo più di che sfamarsi tentano di raggiungere l’Europa. L’agenzia dell’Onu aveva bisogno di 236 milioni di dollari per continuare a finanziare il suo programma fino a novembre; e neppure la somma aggiuntiva di un miliardo di dollari che l’Ue si è ora impegnata a versare per contenere gli effetti della crisi siriana basterà a risolvere tutto. Secondo le stime di un rapporto redatto nel giugno scorso, nel quadro del programma regionale di pianificazione strategica (3RP), il deficit dei programmi dell’Onu per l’assistenza ai rifugiati siriani ammonterebbe a 3,47 miliardi di dollari. Per far fronte ai suoi impegni umanitari, all’inizio del 2015 l’Onu ha lanciato un appello con l’obiettivo di raccogliere 16,4 miliardi di dollari, di cui la metà servirà unicamente per far fronte alla crisi siriana. In questi ultimi quattro anni le somme spese dall’Onu e dalle organizzazioni umanitari sono arrivate a livelli colossali. Tra le agenzie dell’Onu, non è solo il Pam ad aver raggiunto il limite delle proprie possibilità. L’Alto commissario per i rifugiati Antonio Guterres, in prima linea fin dall’inizio della crisi, si è sempre adoperato per esortare gli Stati a rendersi conto delle proporzioni del dramma siriano. Anche per l’Unhcr i margini di manovra sono ormai molto esigui, dato che nel 2015 il suo budget (5,1 miliardi di dollari) ha subito un taglio del 10%. Anche l’organizzazione più emblematica per il suo impegno umanitario, il Cicr, è ormai allo stremo. Il suo presidente Peter Maurer ha annunciato che nonostante un bilancio preventivo aumentato del 25%, il Comitato internazionale della Croce Rossa avrà quest’anno il deficit più alto della sua storia. Per il 2015 i contributi ammontano a un po’ più di 1,25 miliardi di euro, ma non basteranno a coprire il fabbisogno del Cicr in Siria e nei Paesi vicini (Giordania e Libia): mancano 78,5 milioni di euro. Gli spostamenti di intere popolazioni pesano anche sulle finanze dell’organizzazione che provvede ad assiste- re i migranti "lungo tutto il loro percorso"; e lo stesso vale per l’Unicef, il cui direttore, Anthony Lake, ha ricordato che i bambini siriani hanno bisogno di aiuto "in tutte le tappe del loro esilio: dal primo bombardamento che li ha spinti a partire fino alla loro destinazione di sopravvivenza". È in affanno anche la generosità dei Paesi donatori dell’Onu e delle diverse organizzazioni umanitarie, che dal 2011 ha battuto diversi record. La crisi siriana somiglia sempre più a un pozzo senza fondo. Alcuni Paesi preferiscono ormai concentrare i loro aiuti su altri conflitti. Si sapeva fin dal 2013 che la diga umanitaria costruita intorno all’incendio siriano non avrebbe retto oltre il 2015. Esasperati, talora esausti, gli enti umanitari esortano non solo l’Europa ma l’intera comunità internazionale a dare al più presto una risposta politica al dramma in atto, in Siria e nella regione. L’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (Oim), con sede a Ginevra, non ne può più di aggiornare la macabra contabilità dei migranti periti in mare: dall’inizio dell’anno sono 2800. "L’indecisione politica che regna tra gli Stati membri dell’Ue rischia di causare nuovi naufragi", ha avvertito il portavoce Leonard Doyle. Nell’attesa che i governi si muovano, le Ong vedono con crescente insofferenza la politicizzazione del dibattito sullo status dei migranti giunti in Europa. Per Oxfam International - una coalizione di Ong che lotta contro l’ingiustizia e la povertà - "gli Stati devono dar prova di umanità", piuttosto che soffermarsi sulle distinzioni tra rifugiati, migranti economici e richiedenti asilo. La crisi siriana non mancherà di lasciare tracce nei rapporti tra umanitari e politici; fin d’ora, ha scavato un fossato in cui si accumulano le vittime anonime e innocenti di una guerra devastante. Ma la cosa più grave è che molti Paesi hanno fatto strame dei principi sostenuti dall’Onu e ribaditi dalle Convezioni di Ginevra. La crisi dei migranti non ha solo dato uno scossone all’Europa, ma porta in sé i fermenti di un’esasperazione assai più profonda, rilanciando il dibattito sulla necessaria riforma di un’Onu ormai invecchiata e del suo Consiglio di Sicurezza, che paralizza tante azioni necessarie. Colombia: giovane lucchese detenuto da 4 anni. La fidanzata "ecco le foto dall’inferno" Il Sole 24 Ore, 28 settembre 2015 Il rimpatrio era ormai vicino. Ma la legge beffa ancora Manolo. "Lo Stato rifiuta di far tornare in patria mio fratello, condannandolo a restare in Colombia". È appena tornata dalla Colombia dove è riuscita a scattare delle immagini davvero toccanti. Un viaggio durato dieci giorni per andare a trovare nuovamente il fidanzato, Manolo Pieroni, detenuto da 50 mesi nel carcere di Las Palmas a Palmira. Solange Del Carlo continua così a tenere viva l’attenzione sul caso del ragazzo 33enne di Segromigno in Monte detenuto da 4 anni - a dire dei familiari ingiustamente, e che in base alla legge colombiana dovrà scontare una pena di 21 anni. Ma Solange in particolar modo si concentra sullo stato delle carceri colombiane. Così oggi - anche attraverso le colonne del nostro giornale - cerca di lanciare un appello affinché Manolo possa tornare nel nostro Paese. "Sono atterrata venerdì - scrive Solange - in Italia dopo essere di nuovo partita per l’ennesimo viaggio di soli 10 giorni per andarlo a trovare e portargli da mangiare. La situazione è davvero peggiorata a differenza di mesi fa". Solange descrive una situazione insostenibile, fatta di "risse all’ordine del giorno e sovraffollamento. Non mi aspettavo di vedere un ammasso di persone una sopra l’altra per terra, aspettando un piccolo spazio per vedere la luce. Povere anime. Lui è di nuovo costretto a vivere in un buco per terra dormendo sopra degli asciugamani trapuntati da loro fatti di pezze, con persone nuove che entrano ogni giorno. Purtroppo anche la sua salute lo sta travolgendo visto che non ha cure mediche ed è costretto ad aspettare che l’incubo del mal di gola o della febbre passi da sola". "Non è possibile che la nostra Italia - aggiunge - continui a non rendersi conto che stanno distruggendo un uomo e la sua famiglia". "Noi stiamo combattendo e dobbiamo vincere questa guerra. Devono riportarlo in Italia come era previsto a maggio prima che possa succedere il peggio. E poi dopo chi ne risponderebbe? Io ho con me nei miei occhi la fotografia di quel calvario che peggiora sempre di più - conclude -. Nemmeno le bestie vengono trattate così. Allego alcune foto scattate di nascosto nella cella. Aiutatemi". Stati Uniti: il Papa "penosi i sistemi carcerari che non recuperano, creare reinserimento" Askanews, 28 settembre 2015 "È penoso riscontrare a volte il generarsi di sistemi penitenziari che non cercano di curare le piaghe, guarire le ferite, generare nuove opportunità". Così Papa Francesco ai detenuti dell’Istituto di Correzione Curran-Fromhold di Philadelphia, criticando auspicando che il tempo di reclusione non sia "sinonimo di espulsione" ma favorisca il "reinserimento" nella società. Il Papa ha incentrato il suo discorso attorno all’immagine evangelica di Gesù che lava i piedi dei discepoli: "Egli viene incontro a noi per calzarci di nuovo con la dignità dei figli di Dio. Vuole aiutarci a ricomporre il nostro andare, riprendere il nostro cammino, recuperare la nostra speranza, restituirci la fede e la fiducia. Vuole che torniamo alle strade, alla vita, sentendo che abbiamo una missione; che questo tempo di reclusione non è stato mai sinonimo di espulsione", ha detto Francesco. "Vivere comporta sporcare i nostri piedi per le strade polverose della vita, della storia. Tutti abbiamo bisogno di essere purificati, di essere lavati. Tutti siamo cercati da questo Maestro che ci vuole aiutare a riprendere il cammino. Il Signore ci cerca tutti per darci la sua mano. È penoso riscontrare a volte il generarsi di sistemi penitenziari che non cercano di curare le piaghe, guarire le ferite, generare nuove opportunità. È doloroso riscontrare come a volte si crede che solo alcuni hanno bisogno di essere lavati, purificati, non considerando che la loro stanchezza, il loro dolore, le loro ferite sono anche la stanchezza, il dolore e le ferite di una società. Il Signore ce lo mostra chiaramente per mezzo di un gesto: lavare i piedi per andare a tavola. Una tavola alla quale Egli vuole che nessuno rimanga fuori. Una tavola che è stata apparecchiata per tutti e alla quale tutti siamo invitati". "Questo momento nella vostra vita - ha detto il Papa, seduto su una sedia costruita per lui dai carcerati - può avere un unico scopo: tendere la mano per riprendere il cammino, tendere la mano che aiuti al reinserimento sociale. Un reinserimento di cui tutti facciamo parte, che tutti siamo chiamati a stimolare, accompagnare e realizzare. Un reinserimento cercato e desiderato da tutti: reclusi, famiglie, funzionari, politiche sociali e educative. Un reinserimento che benefica ed eleva il livello morale di tutta la comunità". Hanno ascoltato il Papa, all’interno di questo carcere notoriamente turbolento e sovraffollato, anche detenute donne, a cui il Papa ha inviato un saluto toccandosi il petto con la mano. Stati Uniti: il Papa incontra le vittime di preti pedofili "Dio stesso piange…" di Gian Guido Vecchi La Repubblica, 28 settembre 2015 Bergoglio ai vescovi: "I responsabili dovranno renderne conto". Poi la visita ai detenuti del carcere Curran-Fromhold di Philadelphia: "Tutti abbiamo qualcosa di cui purificarci". Per chiudere, la funzione al Benjamin Franklin Parkway che ha richiamato oltre un milione di fedeli. Instancabile, papa Francesco ha cominciato il suo ultimo giorno negli Stati Uniti incontrando nel Seminario San Carlo Borromeo di Philadelphia un gruppo di vittime di abusi sessuali compiuti da ecclesiastici. Lo ha rivelato lo stesso Pontefice prima di iniziare il suo discorso ai vescovi che partecipano all’Incontro Mondiale delle Famiglie: "Lo dico perché ho appena terminato una riunione con un gruppo di persone vittime di abusi e sono lieto di avere l’opportunità di condividere con voi" la notizia. Con tre inchieste del Grand Jury alle spalle l’arcidiocesi di Philadelphia è stata il centro dello scandalo pedofilia, la "ferita" più profonda della chiesa, con un’ultima sentenza che risale al 2011. L’incontro di Francesco è avvenuto in privato, senza proclami, tra le 8 e le 9. C’erano tre donne e due uomini che hanno subito abusi quando erano minorenni. Ognuno era accompagnato da un familiare o persona di sostegno. E c’erano anche il cardinale Sean Patrick ÒMalley, arcivescovo di Boston e presidente della Commissione istituita dal Papa per la tutela dei minori, l’arcivescovo di Philadelphia monsignor Charles Chaput e il vescovo Fitzgerald, responsabile dell’ufficio della diocesi per la protezione dei minori. Il Papa ha ascoltato le testimonianze delle vittime dei pedofili, ha rivolto loro alcune parole e poi li ha salutati uno ad uno. Ha pregato con loro. Ha espresso "vergogna" per i "gravi danni" causati: "Mi dispiace profondamente", ha detto in spagnolo, "Dio stesso piange". "I reati di abusi sessuali contro minori non possono essere mantenuti in segreto per più tempo", ha detto promettendo "l’impegno alla vigilanza della chiesa per proteggere i minori" e promettendo che "tutti i responsabili dovranno renderne conto". Il Papa ha assicurato a ogni vittima e alle loro famiglie "la nostra gratitudine per il loro immenso coraggio" nel denunciare gli abusi subiti. Poi ha rinnovato l’impegno suo e della Chiesa perché tutte le vittime siano ascoltate e trattate con giustizia, i colpevoli puniti e i crimini combattuti con una efficace opera di prevenzione nella Chiesa e nella società. L’incontro è durato circa mezz’ora ed è terminato con la benedizione del Papa. Francesco ha deciso di creare un nuovo tribunale vaticano per perseguire vescovi che non sono riusciti a proteggere "il loro gregge, coprendo i preti pedofili piuttosto segnalare alla polizia". Cuba, Washington, New York, e ora Philadelphia. In sei giorni Francesco ha lasciato un segno indelebile nella storia della chiesa e di un’America che oggi lo saluta. E Philadelphia continua a seguirlo, le strade sono a disposizione dei fedeli che a centinaia di migliaia hanno voluto vedere seppur da lontano il papa argentino. La visita al carcere Curran-Fromhold. Francesco, 78 anni, il "Papa del popolo", ha visitato i detenuti del carcere Curran-Fromhold di Philadelphia dove si è recato subito dopo il discorso ai vescovi provenienti da tutto il mondo: "Una società che non sa soffrire i dolori dei suoi figli, che non li prende sul serio, è una società condannata a rimanere prigioniera di se stessa, prigioniera di tutto ciò che la fa soffrire" ha detto rivolto ai circa cento presenti, che poi ha abbracciato uno per uno. "Tutti abbiamo bisogno di essere purificati, di essere lavati. Anche io", ha detto Francesco nell’istituto di correzione. "Tutti siamo cercati da questo maestro che ci vuole aiutare a riprendere il cammino". "Sono venuto soprattutto come fratello a condividere la vostra situazione e a farla anche mia" ha aggiunto, "sono venuto perché possiamo pregare insieme e presentare al nostro Dio quello che ci fa male, anche quello che ci incoraggia, e ricevere da Lui la forza della Risurrezione". "Vivete - ha detto loro Bergoglio - un momento difficile, carico di tensioni, doloroso non solo per voi, ma per le vostre famiglie e per tutta la società. Un momento che nella vostra vita può avere un unico scopo: tendere la mano per riprendere il cammino, tendere la mano che aiuti al reinserimento sociale. Un reinserimento di cui tutti facciamo parte, che tutti siamo chiamati a stimolare, accompagnare e realizzare. Un reinserimento cercato e desiderato da tutti: reclusi, famiglie, funzionari, politiche sociali e educative. Un reinserimento che benefica ed eleva il livello morale di tutta la comunità". La messa al B. Franklyn Parkway. La visita di Bergoglio negli Stati Uniti si è conclusa con la messa celebrata al B. Franklyn Parkway, cui hanno assistito oltre un milione di fedeli. La funzione chiudeva l’Incontro mondiale delle famiglie e alla famiglia il Papa ha dedicato la sua omelia. Durante il rito monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, ha annunciato che il prossimo Incontro mondiale, il nono, si terrà fra tre anni a Dublino. Il rientro. L’aereo di papa Francesco, un Being 777 dell’America Airlines, è decollato dall’aeroporto internazionale di Philadelphia alla volta di Roma-Ciampino poco prima delle 2 ora italiana. La partenza è avvenuta con circa 15 minuti di anticipo sull’orario indicato delle 20 locali. L’atterraggio è previsto alle 9.45 italiane. "Questa terra è stata benedetta con enormi doni e opportunità. Ringrazio il Signore di avere potuto essere testimone della fede del popolo di Dio in questo Paese", ha affermato Bergoglio nel saluto finale alla folla raccolta in aeroporto. "Pregate per me. Dio benedica l’America", ha concluso. A porgergli il saluto c’era anche il vicepresidente Usa, Joe Biden. A sottolineare fino alla fine uno dei tratti caratterizzanti la sua visita negli Usa, il contatto con la gente, Francesco ha continuato a salutare la folla dal finestrino dell’aereo prima del decollo. Arabia Saudita: la voce di Alì dal carcere "non fatemi morire qui a 20 anni" di Francesca Caferri La Repubblica, 28 settembre 2015 Il sorriso più grande lo ha riservato a sua madre, quando ha cercato di parlargli di quello che potrebbe accadergli da un giorno all’altro: "Ho fede in Dio, non mi piego. Non voglio morire qui: e sono e resto un ottimista". Poi ha cercato di tranquillizzare il padre e la sorella, anche loro andati a trovarlo in prigione dopo lunghe settimane di attesa: "Non dovete preoccuparvi. Io sto bene: sono forte. So perfettamente quello che è stato deciso per me: ma non mi lascio abbattere. Adesso tocca a voi essere forti". Poche altre battute prima che, dopo dieci minuti scarsi, una guardia riconducesse Alì al Nimr nella sua cella di prigione, facendo di nuovo precipitare nel buio il destino di questo ragazzo di 20 anni la cui storia ha mobilitato migliaia di persone in tutto il mondo. I fatti: Alì al Nimr è un cittadino saudita arrestato nel 2012 nella Provincia Orientale, quella più ricca di petrolio, ma anche di tensioni, del Paese, All’epoca del suo fermo l’atmosfera nella zona era tesissima: sotto la spinta della Primavera araba - e, secondo Riad - dell’incoraggiamento iraniano i cittadini di fede sciita, che sono la maggioranza nella regione ma una minoranza nel Regno avevano dato vita a manifestazioni per chiedere un rispetto maggiore dei loro diritti. Il ministero dell’Interno, guidato dall’attuale erede al trono Mohammed Bin Nayef, aveva risposto con durezza. Come dozzine di altre persone in quei giorni, Alì al Nimr è stato arrestato. A lui però è toccata una sentenza durissima: riconosciuto colpevole di possedere illegalmente un’arma e di aver attaccato le forze di sicurezza, è stato condannato a morte nel maggio del 2014. La sentenza è stata confermata qualche settimana fa e potrebbe essere eseguita in qualunque momento: ad Ali sarà tagliata la testa e poi il suo cadavere sarà crocefisso in pubblico. "Speravamo che almeno questo non lo sapesse. Ma non è così: le guardie gli hanno dato i giornali". Baqer è il fratello maggiore di Ali, quello che la famiglia ha eletto a portavoce. Dall’America, dove vive per motivi di studio, racconta i dettagli dell’incontro di due giorni fa. "Lo hanno visto bene - spiega - per quanto possa star bene uno che è in carcere da tre anni. Non aveva più i segni delle botte. Adesso per lui la tortura è un’altra, è l’attesa di una fine orribile". Baqer descrive il fratello come un ragazzo tranquillo, che dà poca confidenza agli altri: tutt’al-tra storia rispetto all’agitatore sociale della versione ufficiale. Anche sull’arresto ha un’altra storia da raccontare: "Lo hanno fermato durante una delle tante retate casuali: era in moto quando una macchina della polizia lo ha bloccato". Soltanto quando le autorità hanno capito chi era è scattata l’accusa di sedizione: Alì è infatti il nipote di un importante religioso sciita, Nimr Baqr al Nim, anch’egli condannato a morte. Per Baqer le accuse contro il fratello sono legate esclusivamente a questo motivo: "Aveva preso parte alle proteste, come centinaia di altre persone. Ma non esistono altre prove contro di lui: e nessuno ha subito una condanna come la sua". Baqer racconta del loro ultimo incontro, l’estate scorsa, prima che la sentenza di morte fosse confermata: "Aveva ancora i lividi, mi ha raccontato delle torture con cui gli è stata estorta la confessione. Mi ha detto di non preoccuparmi: lui è così". Parola per parola la voce del ragazzo si fa più cupa: non bastano a rassicurarlo le prese di posizione di Francois Hollande, Jeremy Corbin e del dipartimento di Stato americano. Gli fanno poco effetto gli appelli di Amnesty International, Human Rights Watch e di organizzazioni come il Gruppo saudita-europeo per i diritti umani. "Il tempo stringe - dice - posso solo sperare che questi sforzi servano". Iran: il presidente Rohani apre a possibilità di scambio di prigionieri con gli Usa Askanews, 28 settembre 2015 Tra i detenuti di Teheran c’è giornalista del Washington Post. L’Iran è pronto a uno scambio di prigionieri con Washington, che vedrebbe la liberazione di iraniani detenuti negli Stati Uniti a fronte di quella di americani dietro le sbarre in Iran, compreso un giornalista del Washington Post. Lo ha affermato il presidente della repubblica islamica, Hassan Rohani. "Se gli americani prendono le misure adeguate e li liberano, allora si determinerebbe un ambiente sicuramente propizio perchè noi facciamo tutto quanto in nostro potere per la rimessa in libertà più rapida possibile di americani detenuti in Iran". Lo ha dichiarato il presidente Rohani in un’intervista a Cnn International. "Niente mi renderebbe più felice", ha aggiunto, quando gli è stato chiesto cosa potesse fare per aiutare i detenuti americani. Il presidente iraniano si è espresso a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. Stuzzicato dai giornalisti a rispondere alla proposta iraniana, il segretario di stato americano John Kerry ha riconosciuto che i due governi "hanno avuto discussioni" a riguardo ma che serve "attendere di vedere a che stato siamo". L’Iran chiede che gli Stati Uniti - con cui non hanno più rapporti diplomatici dal 1980 - liberino 19 loro connazionali detenuti per reati legati alle sanzioni americane contro Teheran per il suo controverso programma nucleare. La Repubblica islamica e le grandi potenze hanno concluso, lo scorso 14 luglio, uno storico accordo per controllare questo programma nucleare. Già a inizio settembre il presidente del parlamento iraniano Ali Larijani, in un’intervista alla radio pubblica americana Npr, non aveva escluso l’idea di uno scambio di prigionieri per far liberare il corrispondente del Washington Post, Jason Rezaian, e altri due americani. Rezaian, 39 anni, è stato arrestato nel luglio 2014 nella sua casa di Teheran, dove lavorava come corrispondente del Washington Post da due anni. Libia: inviato Onu Leon chiede liberazioni detenuti per le celebrazioni dell’Eid al Adha Nova, 28 settembre 2015 In occasione delle celebrazioni dell’Eid al Adha (Festa del sacrificio), l’inviato dell’Onu per la Libia, Bernardino Leon ha lanciato un appello a tutte le parti in Libia affinché liberino coloro che sono ancora detenuti contro la legge, in modo che possano ritornare alle loro famiglie. Lo riferisce oggi l’agenzia di stampa libica "Lana". Tramite un comunicato pubblicato sul sito internet della missione Unsmil Leon ha detto "oltre a contribuire al rispetto dei diritti umani e costruire la fiducia tra i libici, tali liberazioni sarebbero in linea con il testo e lo spirito dell’accordo politico che le parti libiche stanno cercando di concludere".