Giustizia: carceri più umane? il Parlamento spegne la speranza di Rita Bernardini (Radicali italiani) Il Garantista, 19 settembre 2015 Mentre gli Stati Generali dell’esecuzione penale proseguono il lavoro con la finalità - parola del Ministro Orlando - di costruire "un modello di esecuzione della pena all’altezza dell’articolo 27 della nostra Costituzione", la Camera dei Deputati con l’accordo del Governo sta andando in direzione ostinatamente contraria allo spirito della Carta, facendo sue le posizioni forcaiole di ogni sorta e intimorendosi per qualsiasi respiro avverso provenga dall’Anm e dintorni. Il titolo del disegno di legge in votazione nell’aula di Montecitorio "Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi, nonché all’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena" purtroppo ha ben poco a che vedere con quello che stanno decidendo alla Camera: introduzione di nuovi reati (le 32.000 fattispecie esistenti non bastano mai), aumento delle pene carcerarie (a proposito dell’invocata decarcerizzazione per un maggiore ricorso alle pene alternative, che fa tanto figo nei convegni), svuotamento dei contenuti delle deleghe in materia di revisione delle preclusioni oggi esistenti per l’accesso ai benefici penitenziari di alcune categorie di detenuti. E pensare che il Ministro Orlando aveva convocato e mobilitato gli Stati Generali (18 tavoli) proprio per riempire di contenuti innovativi le deleghe che il Governo dovrà in futuro esercitare. Mettetevi nei miei panni e dei validi componenti del mio tavolo: siamo stati chiamati ad affrontare la problematica dell’affettività in carcere e della territorialità della pena. Cosa possiamo proporre di innovativo e corrispondente ai dettati costituzionali oggi violati se dobbiamo in partenza escludere dalle nostre proposte i circa diecimila detenuti che oggi sono sottoposti ad un regime che li estromette da qualsiasi accesso ai benefici anche nei casi in cui si comportino per anni nel migliore dei modi? Il capo dell’antimafia Roberti ha subito gridato che con la modifica del 4-bis uscirà Riina, il Procuratore di Palermo Di Matteo a ruota ha sbraitato che così "anche l’ergastolo finirebbe per essere svuotato del contenuto di irrevocabilità per diventare una finta pena perpetua". Mi viene subito in mente Papa Francesco che ha definito l’ergastolo una "pena di morte nascosta" e sul carcere duro (il nostro 41 bis) ha fatto questa riflessione: "Con il motivo di offrire una maggiore sicurezza alla società o un trattamento speciale per certe categorie di detenuti, la sua principale caratteristica non è altro che l’isolamento esterno. Come dimostrano gli studi realizzati da diversi organismi di difesa dei diritti umani, la mancanza di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicazione e la mancanza di contatti con altri esseri umani, provocano sofferenze psichiche e fisiche come la paranoia, l’ansietà, la depressione e la perdita di peso e incrementano sensibilmente la tendenza al suicidio". Altro che principio guida della "cautela in poenam" invocato da Papa Bergoglio! Qui in Italia ogni problema trova la sua soluzione nel panpenalismo e nella galera. Poi magari - ironia della sorte - questi professionisti della "lotta" alla mafia tutte le domeniche andranno a messa, mentre noi radicali domenica prossima XX settembre andremo a Porta Pia a celebrare, come ogni anno, la breccia del 1870 che liberò Roma dallo Stato Pontificio. Giustizia: Flick (Consulta), l’ergastolo è una pena non opportuna, raro che abbia un senso Ansa, 19 settembre 2015 "Non credo sia giusto continuare con una pena che è illegittima nella sua proclamazione e che soltanto in certi casi e in certe situazioni può avere un senso". Lo ha detto il presidente emerito della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick, stamani a Messina parlando dei paradossi del carcere durante il convegno nazionale organizzato dal coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza all’istituto Teologico San Tommaso. "Non credo - ha aggiunto - che la necessità di contrastare la criminalità organizzata con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione, renda inevitabile il mantenimento del cosiddetto ergastolo ostativo. La mia posizione sull’ergastolo é cambiata. Ero perplesso anni fa quando ero ministro della Giustizia sull’abolizione perché pensavo che in qualche modo potesse essere utile o necessaria la minaccia di una pena senza fine. Però una pena senza fine può essere valida solo se in concreto è una pena che può educare". "Il sovraffollamento delle carceri - ha concluso - al quale stiamo cercando per fortuna di porre rimedio, lo ha ricordato la corte europea che ci ha condannato per questo, fa si che la pena non rispetti la dignità della persona. Quindi la prima condizione è ridurre il numero dei detenuti. In modo da poter assicurare loro quei fondamenti di dignità che devono essere mantenuti anche nell’esecuzione della pena". Onida: necessaria legislazione più ordinata "Una riforma della giustizia deve passare assolutamente attraverso una legislazione più ordinata e un’organizzazione degli apparati più efficiente. Ma deve passare anche attraverso una maturazione culturale di tutti coloro che operano nel mondo della Giustizia". Lo ha detto il presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida stamani a Messina parlando dei "paradossi del carcere" durante il convegno nazionale organizzato dal coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza all’istituto Teologico San Tommaso di Messina. "Il convegno di oggi - ha aggiunto - è per il quarantennale della legge penitenziaria del 1975 che è stata una tappa fondamentale nell’evoluzione del nostro Diritto. Anche perché l’esecuzione della pena che prima era abbandonata all’amministrazione per la prima volta poi viene regolamentata da una legge che è molto buona è poi l’attuazione di questa legge che presenta molti problemi". Giustizia: Consolo (Dap); chiusura Opg, importante ruolo dei dipartimenti salute mentale Adnkronos, 19 settembre 2015 Ieri, in Commissione Sanità, si è svolta l’audizione del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Santi Consolo, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale. Sul tema degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, il cui superamento è stato avviato con il Dpcm 1° aprile 2008, convertito con modificazioni dalla legge 17 febbraio 2012 n. 9 e successive modifiche, fissando al 31 marzo scorso la definitiva chiusura, Santi Consolo ha specificato "che nei cinque Opg (Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino) sono ospitati, alla data del 16 settembre, complessivamente 226 pazienti ,di cui sette donne a Barcellona P.G". A questo proposito Santi ha riferito di uno studio approntato dal direttore dell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto nel quale viene evidenziato "che si ricava una percentuale tra il 50/60per cento dei pazienti che è da dimettere dal punto di vista clinico e quindi affidabile immediatamente a strutture territoriali di novero psichiatrico diverse dalle Rems". Il capo del dipartimento ha assicurato "massimo impegno nel farsi parte attiva per stabilire interlocuzioni dirette con la Magistratura di sorveglianza competente, affinché si possa arrivare in tempi brevi a un completo svuotamento degli Opg partendo proprio dai dati forniti dallo studio". Il Capo del Dap ha sottolineato "l’importanza del ruolo dei dipartimenti di salute mentale affinché si facciano carico dei pazienti dimessi o da dimettere destinati alle Rems e alle comunità terapeutiche per una- prosegue- efficace e proficua inclusione sociale". "La ricettività delle 16 Rems attualmente attive, per complessivi 403 pazienti, potrebbe essere ulteriormente potenziata se, come previsto, si procederà, a breve, all’apertura di altre cinque strutture nel Lazio, Piemonte, Puglia, Campania e Toscana. Alla data del 31 marzo 2015 - conclude Santi Consolo - gli internati ospitati negli ospedali psichiatrici Giudiziari erano 689". Giustizia: Ucpi; bene riforma del processo penale, rilevanti novità introdotte alla Camera camerepenali.it, 19 settembre 2015 Il corso parlamentare del Ddl processo rappresenta un’importante conferma della positiva interlocuzione tra l’Ucpi e la politica che si è dimostrata capace di accogliere le osservazioni degli avvocati penalisti su temi importanti, tra i quali il momento di iscrizione dell’indagato nel registro delle notizie di reato, il termine entro il quale esercitare l’azione penale e l’ingiusta detenzione. Ferma restando la necessità di valutare l’operato complessivo del Governo, alla luce degli importantissimi temi che dovranno ancora essere sottoposti al voto dell’aula da martedì prossimo, ovvero le intercettazioni, la partecipazione a distanza a dibattimento e la riforma dell’ordinamento penitenziario, vanno salutate con favore alcune novità già approvate dalla Camera. Tra queste merita di essere sottolineata la norma che prevede l’introduzione di un termine di tre mesi, prorogabile a sei e per i reati di mafia e di terrorismo di un anno, entro il quale il Pubblico Ministero, una volta scaduto il termine per le indagini preliminari, deve richiedere l’archiviazione o esercitare l’azione penale, pena l’avocazione del procedimento alla Procura Generale. Si tratta di un passo importante nella giusta direzione rispetto al tema dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, che recepisce, anche se solo in parte, le posizioni più volte espresse dall’Unione delle Camere Penali Italiane, rappresentate anche in sede di audizione presso la Commissione Giustizia della Camera, ulteriore segno del proficuo dialogo che caratterizza il rapporto tra avvocatura e politica nel cammino delle riforme. Più volte, infatti, l’Unione ha sottolineato come quasi il 70% delle prescrizioni maturi nella fase delle indagini preliminari, anche in ragione dell’inerzia delle Procure nella trattazione dei fascicoli una volta concluse le indagini. Si tratta di un meccanismo noto e ben consolidato attraverso il quale, scegliendo a quali procedimenti dare impulso e quali invece abbandonare in attesa del decorso del termine prescrizionale, si elide di fatto sistematicamente dal nostro ordinamento il principio di obbligatorietà dell’azione penale. Ulteriore frutto del positivo dialogo con la politica, non solo in sede di audizione in Commissione Giustizia, ma anche in occasione di una specifica interlocuzione con il Ministero della Giustizia, è l’introduzione dell’illecito disciplinare a carico del magistrato che non abbia rispettato l’obbligo di iscrizione dell’indagato nel registro generale delle notizie di reato. Si tratta di una battaglia che l’Unione ha portato avanti per anni, perché spesso l’iscrizione viene volutamente ritardata, pur in presenza di evidenti elementi che la imporrebbero, con l’effetto di dilatare sine die la fase delle indagini preliminari e fino ad oggi ciò avveniva senza alcun controllo e senza alcuna conseguenza. Le istanze dell’avvocatura sono state poi recepite anche con la previsione dell’inserimento nella relazione annuale al Parlamento del tema delle sentenze di riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, altro tema più volte sollecitato dall’Unione. Dal 1992 ad oggi lo Stato ha, infatti, corrisposto a titolo di equo indennizzo la somma di oltre 600 milioni di Euro a circa 24 mila persone che hanno subito ingiustamente una limitazione della loro libertà personale e all’esito del procedimento penale, sono state assolte in via definitiva nel merito. Si tratta di un tema di grande rilievo perché l’assoluta gravità del fenomeno deve essere valutata alla luce del fatto che la giurisprudenza ha elaborato principi estremamente severi, restrittivi e spesso iniqui per limitare il riconoscimento del diritto all’indennizzo a chi, sottoposto a custodia cautelare, sia poi stato riconosciuto, con sentenza passata in giudicato, innocente. I numeri, dunque, pur impressionanti, non sono realmente rappresentativi del fenomeno che ha contorni molto più ampi e la soluzione individuata con il Ddl non può che essere il primo gradino verso rimedi ben più incisivi. Altre proposte di modifica prospettate dall’Ucpi all’impianto originario del Ddl erano già state accolte in sede di esame in Commissione Giustizia, come la soppressione dell’istituto della sentenza di condanna a richiesta dell’imputato e l’eliminazione delle esclusioni oggettive originariamente previste per alcuni reati dal concordato in appello. Siamo ora in attesa di valutare le posizioni che la politica assumerà martedì prossimo, alla ripresa dei lavori, sui delicatissimi temi che devono ancora essere affrontati. Giustizia: penalisti italiani a congresso dal 25 al 27 settembre, al centro la Costituzione Agi, 19 settembre 2015 "La Costituzione dimenticata, il processo tradito". Questi i temi che i penalisti affronteranno dal 25 al 27 settembre durante il congresso straordinario organizzato a Cagliari. Un evento che "cade in un momento di particolare importanza - ha dichiarato il presidente dell’Ucpi, Beniamino Migliucci - in cui si dibatte di riforme della giustizia e di riforme costituzionali". Migliucci, in particolare, afferma che la riflessione delle Camere penali si concentrerà su alcuni articoli della Costituzione: il principio di uguaglianza, il valore rieducativo della pena, e il giusto processo che "in parte è stato tradito - sottolinea il leader dei penalisti - perchè un giudice dovrebbe essere terzo rispetto al pubblico ministero". Inoltre, Migliucci (che ha presentato il congresso straordinario assieme all’avvocato Anna Chiusano, componente della Giunta dell’Ucpi e al presidente della Camera penale di Cagliari, Rodolfo Meloni) è tornato a denunciare lo "scempio della cultura della legalità, a cui si è assistito spesso: questa cultura deve essere rilanciata e non riguarda solo la giurisdizione". Dunque, una delle questioni centrali riguarda la politica e la magistratura: "C’è stata una difficoltà determinata da una debolezza patologica della politica - ha osservato il presidente degli avvocati penalisti - che deve riprendere il suo spazio. La politica deve fare la politica e la magistratura svolgere il compito che la Costituzione le assegna, senza esondare in ambiti non suoi". Migliucci, infine, ha ricordato, il metodo di "confronto" che il guardasigilli Orlando ha messo in atto con avvocati e magistrati: "La sintesi, alla fine, la deve fare la politica - ha concluso - ma questo è un fatto che non sempre la magistratura ha accettato di buon grado". Il congresso straordinario dell’Ucpi si aprirà venerdì 25 settembre, a Cagliari, con la relazione di Migliucci e l’intervento del vice ministro della Giustizia, Enrico Costa. Per sabato 26, invece, sono state organizzate alcune tavole rotonde: sarà presente il guardasigilli Andrea Orlando. Domenica 27, infine, la votazione di proposte e mozioni e la chiusura del congresso. Giustizia: "la prescrizione in Italia è corta", una sentenza Ue blocca i processi di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 19 settembre 2015 Tempi più sfavorevoli per gli imputati? Milano si rivolge alla Consulta. Sottovalutata 10 giorni fa mentre in Parlamento ci si balocca con il giocattolo della legge sulle intercettazioni, esplode la "mina" che la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha acceso l’8 settembre sotto la disciplina italiana della prescrizione. E così, mentre la III sezione della Cassazione (presidente Franco, relatore Scarcella) dà l’ok alla disapplicazione della prescrizione nazionale ordinata appunto dalla Corte Ue in materia di frodi sull’Iva, a Milano la Corte d’appello chiede alla Corte costituzionale di fare chiarezza sulla più generale "bomba" sottostante quell’ordine europeo di disapplicazione: e cioè sulla possibilità che da essa possa persino discendere un effetto sfavorevole per l’imputato, quale il riallungarsi della prescrizione durante il processo e quindi il rivivere di una condanna per fatti che in base alla legge italiana sarebbero già prescritti. L’8 settembre, infatti, la Corte del Lussemburgo, in una questione pregiudiziale posta nel 2014 dal giudice cuneese Alberto Boetti in una milionaria frode fiscale Iva, ha risposto che, riguardo al bilancio dell’Unione alimentato anche dalle entrate di un’aliquota Iva uniforme secondo regole Ue, la normativa italiana sulla prescrizione delle frodi Iva è incompatibile con le norme del Trattato sul funzionamento della Ue, che impone agli Stati di dotarsi di sanzioni penali "effettive, proporzionate e dissuasive" contro le frodi lesive degli interessi finanziari dell’Unione europea: al punto che il giudice italiano, tenuto a garantire la piena efficacia del diritto Ue, deve all’occorrenza anche disapplicare le norme italiane sulla prescrizione. Il caso si presenta ieri a Milano in una milionaria frode fiscale per la quale le condanne in Tribunale a 8 anni nel 2014 si erano prescritte già prima dell’Appello a causa di termini che la legge nazionale prevede in 7 anni e mezzo, elevabili al massimo di un quarto. Disapplicarla, come impone la Corte Ue, farebbe riallungare la prescrizione e quindi "resuscitare" (per norma sovranazionale) fatti già prescritti dalle norme nazionali. Ma la relatrice Locurto, il presidente Maiga e il giudice Scarlini si chiedono: possiamo farlo senza violare il "principio di legalità" in base al quale una persona può essere punita solo per un fatto e con una pena già previsti dalla legge al momento del reato? La Corte Ue già anticipava di sì, argomentando che per gli imputati "non sussiste un affidamento, meritevole di tutela, a che le norme sulla prescrizione debbano necessariamente orientarsi sempre" alla "legge in vigore al momento della commissione del reato": come dire che le norme sulla prescrizione sono di diritto processuale. Ma la giurisprudenza costituzionale italiana, da ultimo nel 2006 e 2008 dopo la berlusconiana legge ex Cirielli, ha sempre detto il contrario, e cioè che "sono di diritto sostanziale, soggette al principio di legalità: tanto che le questioni di legittimità costituzionale, tendenti ad ampliare in malam partem i termini di prescrizione, sono state sinora sempre giudicate inammissibili", proprio perché l’eventuale accoglimento avrebbe comportato un peggioramento per l’imputato "e dunque un’ingerenza della Corte costituzionale in un dominio riservato esclusivamente al legislatore". Perciò "si profila un contrasto tra l’obbligo di disapplicazione" della prescrizione italiana delle frodi Iva, "considerato dalla Corte di giustizia Ue conforme al principio di legalità in sede europea", e invece "il principio di legalità in materia penale, nella estensione attribuitagli dal diritto costituzionale italiano": sia allora la Consulta a "valutare l’opponibilità di un "contro limite" alle limitazioni di sovranità derivanti dall’adesione dell’Italia all’ordinamento dell’Unione europea". Lettere: perfino Achille conosceva il confine tra vendetta personale e processo penale di Guido Vitiello Il Foglio, 19 settembre 2015 Quando la notte penso alla giustizia, non mi addormento più. Ogni volta ce n’è una nuova, e l’ultima mi toglie il sonno da ormai una settimana. L’11 settembre, a margine di un incontro alla Festa dell’Unità di Firenze, un cronista ha chiesto al ministro Orlando un commento sull’ennesimo strascico del caso Marta Russo. Lui se n’è astenuto, salvo enunciare il principio generale che la vicenda gli pare suggerire: "Bisogna ragionare su come costruire un rapporto tra chi ha commesso il reato e la vittima". Possibile? Io ero certo che il caso sollevasse il problema opposto, ossia come spezzare quel rapporto e impedire che il ruolo delle vittime e dei loro parenti produca effetti perversi sullo stato di diritto. Che avrà voluto intendere, il ministro? O era sovrappensiero e ha detto la prima frase che gli passava per la testa? Il sonno, intanto, era perso. D’altronde la questione dei parenti delle vittime è antica quanto il più antico dei processi, quello effigiato sullo scudo di Achille, lì sta il confine tra vendetta e giustizia, come pretendere di venirne a capo in una notte? Vecchi ricordi, causa di vecchie insonnie, continuavano ad affiorare. Il caso più terribile di tutti: il tribunale di sorveglianza di Bologna che nel 2010 convocò per posta i parenti delle vittime del brigatista Gallinari per chiedere se lo avessero perdonato, così da decidere se ammetterlo o meno alla liberazione condizionale. Poi l’eco di una frase da sciocchezzaio flaubertiano, pronunciata mille volte in questi anni tra pensosi cenni di assenso, e tuttavia perfettamente demenziale: "Qui c’è troppo garantismo per i delinquenti e poco per le vittime". Ma anche incubi più recenti, Travaglio che brandisce come una clava i parenti delle vittime di via dei Georgofili per difendere quelli che per lui sono i baluardi della civiltà, l’ergastolo e il 41bis, e infine tutta la chiassosa vittimologia del circo dell’antimafia. Non restava che accendere il lume sul comodino e mettersi a leggere. Raramente si ricorda che Daniel Soulez Larivière, l’avvocato parigino autore di quel "Circo mediatico-giudiziario" (Liberilibri) di cui molti in Italia hanno letto per intero il titolo, ha scritto quindici anni dopo anche un altro saggio insieme alla psicoanalista Caroline Eliacheff, "Il tempo delle vittime" (Ponte alla Grazie). Vi si sostiene che dall’epoca della Bibbia tutti gli sforzi della civiltà giuridica in occidente sono stati tesi ad allontanare la vittima dalla scena penale, ma che in Francia le cose si vanno capovolgendo: la vittima ha assunto un ruolo ipertrofico, che minaccia di privatizzare surrettiziamente la giustizia e di trasformare il processo penale in un duello tra l’imputato e l’offeso. Se il libro sul circo bisognava catapultarlo dal cielo come i pacchi di viveri in guerra, quest’altro merita almeno di essere rimeditato, specie adesso che gli Stati generali dell’esecuzione penale convocati da Orlando annunciano di studiare, tra le altre cose, "percorsi che consentano alla vittima di recuperare una posizione di centralità nel procedimento penale". Tanto siamo abituati ad affidare alla spada della legge la nostra sete di risarcimento che in inglese si dice "to take the law in onès own hands", prendere la legge nelle proprie mani, quasi a indicare che colui che si fa giustizia da sé sta giocando a fare il piccolo Stato. Ma cosa accade se la legge stessa mette in mano la sua spada alle vittime o ai loro parenti, come alcuni auspicano e come qualche vicenda sembra prefigurare? Ecco, ora non ci dormo per un altro mese. Lettere: esiste l’obbligatorietà dell’azione penale? di Tania Rizzo L’Opinione, 19 settembre 2015 La vicenda giudiziaria relativa al suicidio del giovane Carlo Saturno, trovato in stato di soffocamento e arresto cardiaco ad appena 23 anni in una cella di un carcere, è scaturita nel mese di aprile 2011. Ad oggi, il fascicolo investigativo, arricchito da attività indotte da numerose memorie, richieste, solleciti difensivi scritti in nome e per conto dei due fratelli di Carlo, Ottavio ed Anna, si appresta per la terza volta ad essere vagliato da un giudice per discutere l’opportunità o meno della sua archiviazione. Dal 30 marzo di 4 anni e 5 mesi addietro ad oggi, il Pubblico ministero non ha ritenuto individuare il nome dei responsabili. Il procedimento è ancora a carico di ignoti. Eppure i nomi ci sono, le responsabilità ci sono, le macroscopiche omissioni sono tutte lì, dentro quel maledetto fascicolo che pare essere stato disperso nell’aeree dell’incertezza e dell’indifferenza. Una chiara indifferenza alla vita e ai bisogni di Carlo, trovato soffocato con un cappio alla gola, ieri come oggi, morto in una struttura chiusa, nella quale operano quotidianamente decine di persone tra medici, psicologi, psichiatri, educatori, agenti di Polizia penitenziaria e dipendenti del settore amministrativo. Vicenda, questa, tristemente emblematica di come e quanto, nelle carceri italiane, prevalga spesso la regola della sicurezza e della punizione a quella della finalità risocializzante della pena; di come, quindi, si sia ancora estremamente lontani dall’attuazione delle prescrizioni costituzionali e sovra nazionali. Ancor di più, però, vicenda per la quale pesa l’indifferenza della Procura, quasi a voler sugellare la cultura dell’emarginazione che danneggia i detenuti, le loro famiglie, gli operatori di polizia penitenziaria, gli educatori, i medici e gli psicologici coscienziosi che, invece, provano a svolgere al meglio e con scrupolo il proprio ruolo. Un ragazzo è morto, nel 2011, all’interno di una struttura chiusa nella quale operavano ed operano numerose persone preposte all’assistenza ed alla vigilanza e non ci si può, dunque, evitare di porsi una domanda: perché il procedimento è ancora pendente? Perché il Pubblico ministero ha ritenuto che questo procedimento non fosse meritevole di essere sviluppato con la dovuta celerità? E, quindi, quanto pesa, nella concretezza dell’attività della procure italiane, la norma costituzionale dell’obbligatorietà all’azione penale? Punctum dolens. Esiste un precetto di rango costituzionale che, tuttavia, per scelte organizzative, per volontà politiche o altre motivazioni, soggiace (non sempre e non in tutte le Procure, per carità!) ad altre necessità e/o decisioni che non attengono, però, al dettame costituzionale. Si crea così, in alcuni Tribunali d’Italia, un doppio binario tra procedimenti appetibili per lo svolgimento dell’azione penale e procedimenti che, invece, non lo sono per niente, in aperta violazione del principio di uguaglianza fra tutti i cittadini. Con buona pace delle legittime attese e speranze che i cittadini riversano nella Giustizia. Una situazione, questa, che necessita, con estrema urgenza, di essere affrontata congiuntamente, ed in modo radicale, dai rappresentanti del settore (avvocati e magistrati) e dalla politica, al fine di non vanificare il senso, il valore e la dignità della Giustizia penale in Italia. Lettere: l’ultima bandiera dei giustizialisti, Pietro Grasso di Pietro Mancini Il Garantista, 19 settembre 2015 Il Presidente del Senato spera che "la politica, chiamata a compiere scelte fondamentali per il futuro istituzionale del Paese, possa fare del confronto leale e della comprensione reciproca la modalità principale della sua azione, piuttosto che far trapelare la prospettiva che si possa, addirittura, fare a meno delle istituzioni, relegandole in un museo". La metafora del museo ("Altrimenti il Senato lo chiudo e ci faccio un museo") era stata usata dalla Stampa e attribuita a Renzi, in un retroscena, poi smentito da Palazzo Chigi. E, in questo scontro, Pietro Grasso si trova nella stessa trincea de Il Fatto Quotidiano. Grasso, dunque, è diventato l’interlocutore privilegiato dei sostenitori dell’intangibilità della Carta, del documento, che nacque come compromesso tra cattolici, socialisti e comunisti. Questi professoroni, guidati da Rodotà e Zagrebelsky, prima che al numero uno di Palazzo Madama, avevano chiesto al Capo dello Stato di intervenire, bloccando la riforma, in discussione al Senato. Fingendo di ignorare che, qualora Mattarella intervenisse, per "fermare lo scempio", nel processo legislativo, violerebbe proprio la lettera e lo spirito della Costituzione. Oggi Pietro Grasso, è diventato l’ultimo baluardo della democrazia, minacciata dai progetti "fascio-craxian-berlusconiani" di Matteo Renzi, che intende riformare la Costituzione, entrata in vigore 67 anni e mezzo fa (non 70, come aveva detto, commettendo un gravissimo errore, il premier). Ma, quando era un alto magistrato, Grasso ricordava a Marco Travaglio "un italiano furbo, l’Albertone Sordi della toga, un campione di slalom gigante che, mentre tanti altri pm venivano insultati, spiati, puniti e perseguitati dal Cavaliere, veniva elogiato e favorito da Berlusconi". E il giornalista stampò il ritratto, che di Grasso aveva fatto il suo vecchio allenatore, nel 2004: "Grasso, da giovane, giocava a calcio nella mia squadra, la Bacigalupo di Palermo, ed era famoso perché, a fine partita, usciva sempre pulito dal campo: anche quando c’era il fango, riusciva sempre a non schizzarsi". Come se non bastasse, Travaglio accusò l’attuale Presidente del Senato di aver mentito : "Una bugia riguarda le tre leggi del governo Berlusconi che, nel 2005, hanno eliminato il suo unico concorrente, Caselli, alla Procura nazionale antimafia, lasciando Grasso tutto solo a vincere, per mancanza di avversari. Il dottor Pietro si offende, perché ho detto che quelle leggi le ha ottenute, e ha risposto che non le ha chieste. Ma, per ottenere, non serve chiedere: basta meritare. S’è mai domandato, il dottor Grasso, cos’ha fatto per meritare tre leggi, che eliminavano il suo unico rivale? E cos’ha fatto Caselli per essere eliminato? Berlusconi doveva avere degli ottimi motivi per preferire lui a Caselli, altrimenti non avrebbe fatto tre norme contro Caselli e pro-Grasso...". E ancora: "Conosco Renato Schifani, ma conosco anche Grasso e non sono convinto che sia la lotta del bene contro il male". Cominciò così l’affondo di Marco Travaglio, nel marzo del 2013, contro il Presidente del Senato, Pietro Grasso, nella sua arringa a Servizio Pubblico, da Michele Santoro. Quel che non sapeva, il giornalista, è che in ascolto, da casa, ci fosse proprio Grasso, che lo chiamò in diretta. E ne nacque uno scontro al calor bianco, con tanto di guanto di sfida: "Vediamoci in tv, ma non tra una settimana - incalzò un furente Grasso, al telefono. Il prima possibile, così rispondo alle tue accuse infamanti !"sul presunto insabbiamento, come Capo della Procura di Palermo, di alcune delicate inchieste sui rapporti tra politici e mafiosi. E, nel graffiante libro Slurp, che il collega piemontese ha scritto per mettere alla berlina politici e giornalisti, ritenuti al servizio dei potenti, è riportato un messaggio di Grasso all’allora Capo dello Stato, Napolitano, sotto un titolo sarcastico : "Presidente, auguri dal suo umile vice". Ma oggi Marco e Pietro condividono il giudizio negativo su Renzi e sulla scarsa qualità del dibattito politico. E, forse, l’ex magistrato, che in toga è sempre stato un moderato, aspira a rottamare Matteo, per guidare un governo istituzionale. Voluto da Bersani sulla poltrona più alta del Senato, Grasso non sente l’ex segretario da mesi e da giorni non parla con l’abile neo-renziana Anna Finocchiaro, che presiede la commissione Affari Costituzionali, né con il capogruppo del Pd, Zanda. Per uno scherzo del destino, l’ex Procuratore nazionale antimafia si trova catapultato in prima linea. Ed è visto come un ostacolo delle riforme di Renzi e come una delle ultime speranze dalla sinistra del Pd.Un ruolo opposto a quello, che ha sempre preferito, da toga molto cauta ed equilibrata, contraria ai colleghi più politicamente schierati e mediaticamente esposti, come Antonio Ingroia, con il suo stile riservato e discreto. Forse, il giudizio più convincente sul carattere di questo distinto signore di 70 anni, palermitano come il suo amico Giovanni Falcone e come Sergio Mattarella, lo ha scritto un giornalista, che lo conosce bene, siciliano come lui, il catanese Salvatore Merlo, sul Foglio: "Quella di Grasso è un’arte e un’antica ginnastica siciliana, che lo ha portato ad arrampicarsi, con un moto di delicata vertigine fin sullo scranno di Presidente del Senato. È il ben noto esercizio dell’annacamento, il dondolio palermitano: il massimo del movimento con il minimo dello spostamento, il metodo di chi più si muove per meno inconvenienti procurarsi". Abruzzo: il Consiglio regionale verso la scelta del Garante dei detenuti chietitoday.it, 19 settembre 2015 Per la prima volta ci sarà una figura deputata alla tutela delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà. La seduta il 24 settembre. Francesco Lo Piccolo, uno degli aspiranti, ci spiega com’è lavorare coi detenuti. Il Consiglio regionale si appresta a varare il garante dei detenuti, figura prevista dalla convenzione dell’Onu del 1987 contro la tortura e deputata alla tutela delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Una figura necessaria in Abruzzo, dove si contano circa 2300 detenuti e detenute a fronte di una capienza di 1600 posti distribuiti fra le carceri dell’Aquila (dove è presente anche il carcere minorile), Sulmona, Avezzano, Pescara, Chieti, Teramo, Lanciano, Vasto. Il Consiglio regionale sta discutendo in questi giorni sul nome da scegliere. Tra i candidati da Chieti c’è Francesco Lo Piccolo, giornalista e fondatore della Onlus "Voci di dentro", che dal 2008 coi suoi volontari opera dentro e fuori le carceri per favorire le attività e il reinserimento di detenuti e detenute ed edita una rivista scritta e realizzata dagli stessi. Lo Piccolo ci ha spiegato i motivi della sua candidatura e il senso del lavoro del garante dei detenuti. "Mi sono candidato perché mi è sembrato il giusto sbocco del mio percorso: giornalista, consulente dell’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo per la "Carta di Milano", membro della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Abruzzo, referente dei detenuti per i Radicali Abruzzo, volontario in carcere da otto anni, da quando venni invitato dalla direttrice dell’Istituto di Chieti Lucia Avvantaggiato ad aiutarla nell’organizzazione di un giornalino interno. In questi anni ho imparato a conoscere i detenuti e a misurarmi con loro - spiega - soprattutto ho visto che prima di essere autori di un reato sono persone. Persone la cui dignità non può mai essere calpestata e i cui diritti restano tali, inviolabili. Da qui l’idea e la spinta a cambiare il senso dell’attività del volontario: non solo un aiuto spirituale o materiale ma motore di un processo di responsabilizzazione e crescita delle persone detenute per un reale cambiamento". Diverse sono state le battaglie dentro e fuori dal carcere per i diritti dei detenuti favorendo la costruzione di occasioni di lavoro, di studio e di conoscenza per evitare la cosiddetta porta girevole. L’associazione Voci di dentro ad esempio ha istituito fuori dal carcere uno sportello legale per gli ex detenuti e uno sportello di aiuto nella ricerca del lavoro. "Credo che spendersi per i diritti non significhi solo protestare, denunciare, scioperare - aggiunge - ma costruire, avere tempo parlare coi magistrati, di sorveglianza, i direttori, gli avvocati e ovviamente i detenuti. Da Vasto a Teramo". Questi sono gli altri candidati al ruolo di garante dei detenuti in Abruzzo: Paolo Albi, ex consigliere comunale di centrodestra a Teramo; Salvatore Braghini, avvocato; Bruna Brunetti, dirigente del ministero di Giustizia; Gianmarco Cifaldi, professore di Sociologia all’Università d’Annunzio di Chieti-Pescara; Leonardo Colucci dei Radicali; Rosita Del Coco, docente di Diritto penitenziario a Teramo; Gabriele Del Malvò, cavaliere della Repubblica; Carlo Di Marco, docente di Scienze Politiche a Teramo; Antonio Di Biase, docente di Diritto civile all’Università di Foggia; Ariberto Grifoni, membro del Comitato nazionale di Radicali Italiani; Giorgio Lovili, ex segretario generale del Comune dell’Aquila; Marco Manzo, direttore di Abruzzoindependent.it; Danilo Montinaro, di Amnistia Giustizia Libertà; Manlio Madrigale di Civicrazia Chieti; Fabio Nieddu, ex responsabile della Croce rossa di Chieti; Fiammetta Trisi, direttore dell’Ufficio detenuti e trattamento del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria di Pescara. È stato invece presentato un ricorso al Tar per l’esclusione della candidatura di Rita Bernardini, segretaria dei Radicali. L’elezione del Garante è al punto 12 della prossima seduta del Consiglio regionale, il 24 settembre 2015. Emilia-Romagna: istituite 6 nuove sezioni di istituzioni scolastiche all’interno delle carceri Ansa, 19 settembre 2015 L’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna, per l’anno scolastico appena iniziato, ha istituito 6 nuove sezioni di istituzioni scolastiche all’interno del carcere. Lo rende noto un comunicato dello stesso Ufficio scolastico. Le province interessate sono Parma, Piacenza e Ferrara. In particolare, presso la Casa di Reclusione di Parma, è stato attivato un percorso di Istruzione e Formazione Professionale per la qualifica triennale di "Operatore della ristorazione" nell’ambito di un percorso di Istruzione Professionale "Servizi per l’enogastronomia" dell’Istituto "Magnaghi" di Parma, già presente presso la locale Casa di Reclusione. A Piacenza, presso la Casa Circondariale, è stata istituita invece una Sezione Carceraria di percorsi di istruzione per adulti di primo livello annessa al Cpia di Piacenza. Sempre a Piacenza, presso la stessa Casa Circondariale, è stato attivato un percorso di Istruzione e Formazione Professionale per la qualifica triennale di "Operatore agro ambientale" nell’ambito del percorso di Istruzione Professionale "Servizi per l’agricoltura e lo sviluppo rurale" dell’Istituto Raineri-Marcora di Piacenza, anch’esso già funzionante presso la locale Casa Circondariale. A Ferrara nella Casa Circondariale, sono stati attivati un percorso di Istruzione Professionale, Settore Servizi per l’Agricoltura e lo sviluppo rurale, con relativa qualifica triennale di "Operatore agricolo", ed un percorso di Istruzione Professionale, Settore Servizi per l’Enogastronomia, Articolazione enogastronomia, con anche la qualifica triennale di "Operatore della ristorazione", entrambi annessi all’I.I.S. Orio Vergani di Ferrara. A Ferrara, infine, è stata attivata una Sezione Carceraria di percorso di istruzione per adulti di primo livello annessa al Cpia di Ferrara, sempre con sede presso la locale Casa Circondariale. Modena: il Csm risponde all’appello radicale e risolve il caso del Tribunale di sorveglianza Il Garantista, 19 settembre 2015 A volte le risposte delle istituzioni arrivano. E in questo particolare caso, sollevato dai radicali e riguardante il vuoto d’organico nell’ufficio di sorveglianza di Modena, la rapidità si nota anche per una particolare circostanza: lo sciopero della fame intrapreso da Rita Bernardini proprio per segnalare quell’emergenza ha potuto concludersi dopo appena tre giorni. Il Csm infatti ha ascoltato l’appello della segretaria dì Radicali italiani e di Marco Pannella: "Attiveremo la soluzione più tempestiva per assicurare la presenza di un magistrato nell’ufficio di Modena", ha dichiarato Giovanni Legnini, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, "Lo ringrazio", ha subito replicato Bernardini, "per aver mantenuto la parola data nel corso dell’incontro avuto all’inizio di settembre alla presenza di Marco Pannella e dì Massimo Brandimarte", ovvero dell’ex presidente del Tribunale di sorveglianza di Taranto, andato in pensione poche settimane fa e subito associatosi allo battaglie radicali. "Il fatto che nei miei tre giorni di sciopero della fame Giovanni Legnini abbia affrontato e risolto il grave problema dell’ufficio di Modena, che da due anni è senza magistrato", continua Bernardini, "sta anche a significare, e gliene do atto volentieri, che egli, a differenza di altri rappresentanti delle istituzioni, prende in considerazione la forza del dialogo nonviolento quando ò finalizzato a chiedere il giusto che occorre subito realizzare quando sono in gioco diritti umani fondamentali. Rimane certo la grande tristezza per Antonio C, oggi in coma all’ospedale di Modena a seguito dì un tentato suicidio messo in atto in carcere per la disperazione di non trovare ascolto". Era stato proprio il caso di quel detenuto a far salire di intensità la mobilitazione dei pannelliani, Antonio C. ò affretto da tempo da disturbi psichiatrici, era in cura presso il Centro di igiene mentale di Sassuolo. Aveva presentato un’istanza, che nessuno ha potuto neppure leggero, visto che l’ufficio di Modena ò appunto senza magistrato. Come dice appunto Bernardini, si è stretto un cappio al collo proprio perché non ha ricevuto risposte. "Il funzionamento delia Magistratura dì sorveglianza, concepita dal legislatore anche a tutela dei diritti dei detenuti in un percorso individualizzato di recupero, è ancora tutto da assicurare, ma questo primo concreto passo mi fa ben sperare, anche perché", ricorda appunto Bernardini, "oggi i radicali possono contare sull’impegno del dottor Massimo Brandimarte, oggi iscritto al Partito radicale e a Radicali italiani". Legnini si era subito impegnato a risolvere la questione, dopo l’incontro di inizio settembre. Poi dopo pochi giorni c’è stato il tentato suicidio. Adesso dal vicepresidente del Csm arriva il colpo d’acceleratore: "Il presidente della Settima commissiono consiliare, Antonio Ardituro, ha interloquito con il presidente facente funzioni della Corte d’Appello di Bologna e con il presidente del Tribunale dì sorveglianza di Modena, chiedendo loro di individuare la soluzione più tempestiva. Sono al vaglio tutte le ipotesi possibili e rispettose delle norme ordinamentali", ha detto Legnini, "per garantire al più presto la piena funzionalità dell’ufficio, e in pochissimi giorni assicureremo la presenza di un magistrato per far fronte all’emergenza che sì era creata. L’attenzione del Consiglio sulla situazione dei Tribunali di sorveglianza è costante", ha aggiunto il vicepresidente del Csm, "tanto che nei giorni scorsi il plenum ha deliberato l’aumento dell’organico di 15 unità disposto recentemente dal ministero della Giustizia, decisione cui dovranno seguire ulteriori e più incisive misure". Siracusa: ok dalla Seconda Commissione consiliare all’istituzione del Garante dei detenuti siracusanews.it, 19 settembre 2015 La seconda commissione consiliare del comune di Siracusa ha approvato ieri, all’unanimità, il regolamento per l’istituzione e la disciplina del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. La proposta era del consigliere Cosimo Burti ed aveva subito trovato il sostegno del presidente della commissione, Cristina Garozzo, che ne aveva predisposto l’inserimento nell’ordine del giorno della seduta del 17 settembre ritenendo fondamentale, anche per il comune di Siracusa, istituire l’organo monocratico. La nuova figura, seppur in totale autonomia, coopererà con l’Amministrazione e con gli istituti penitenziari assumendo tutte le iniziative finalizzate al recupero, alla reintegrazione sociale e all’inserimento nel mondo del lavoro delle persone private o limitate nella libertà personale. Il Garante avrà inoltre il compito di promuovere iniziative di sensibilizzazione pubblica sul tema e sarà a disposizione dei detenuti, delle loro famiglie, delle associazioni connesse alle problematiche penitenziarie e di quanti sono interessati. Lo scopo è di intervenire e prevenire le situazioni di degrado che spesso colpiscono gli istituti penitenziari e, più in generale, di occuparsi di tutte le problematiche connesse alla privazione della libertà personale. Il documento dovrà ora ottenere l’approvazione del Consiglio Comunale. Massa: Bugliani (Pd) visita il carcere "non sciupiamo un modello di dignità per i detenuti" gonews.it, 19 settembre 2015 "Alla casa circondariale di Massa non si sta con le mani in mano. Si lavora il legno, si coltivano ortaggi, si fa attività di sartoria e carpenteria, si impara a cucinare. Qui la pena è davvero rieducativa, così come prevede l’articolo 27 della nostra Carta Costituzionale. Massa è senz’altro un carcere modello, che visiterò nuovamente il mese prossimo insieme al Garante dei detenuti della Regione, Franco Corleone. Ma è urgente sottolineare e intervenire su alcune criticità, dirimenti per la sopravvivenza di questo ecosistema: carenza di personale e necessità di manutenzione della struttura". È quanto dichiara Giacomo Bugliani, consigliere regionale Pd e presidente della commissione Affari istituzionali a seguito della visita fatta giovedì mattina all’istituto penitenziario di Massa, insieme alla direttrice, Maria Martone, al personale della struttura, ai due medici della Asl che vi operano all’interno, Franco Alberti e Bruno Bianchi, e Antonio Cofrancesco, dell’associazione Massa Futura. "Pertanto, anche il virtuoso sistema Massa rischia di entrare in crisi, se non lo difendiamo e se non lo dotiamo degli strumenti necessari al proprio andamento - continua Bugliani - Manca il personale: penitenziario, educativo e amministrativo-contabile. Proprio lo scarso impiego di questa ultima categoria rischia di mettere in crisi l’organizzazione delle attività lavorative che si svolgono all’interno. Quelle che permettono ai detenuti di imparare un mestiere, di essere anche economicamente, del tutto o in parte, autosufficienti. Insomma, quelle attività che consentono loro di vivere, seppur chiusi dentro un carcere, un’esistenza dignitosa. Presenterò una mozione per chiedere alla Giunta regionale di fare leva sul Governo affinché questa condizione possa migliorare. Altro aspetto che minaccia il funzionamento del carcere è, come sappiamo, lo stato dell’Ala B, recentemente inaugurata e ancor più recentemente allagata, a seguito del violento temporale delle settimane scorse. Su questa nuova parte dell’edificio è urgente intervenire e ripristinarne il corretto funzionamento. È vero, il Governo si è dato da fare sul versante del sovraffollamento, la riforma Orlando va sicuramente in una direzione più che positiva. Ma sul tema della manutenzione delle strutture, spesso fatiscenti, mi pare evidente che si debba agire con urgenza. Inoltre, per quanto riguarda un aspetto che rientra appieno nelle competenze regionali, ovvero quello legato alle condizioni igienico-sanitarie, è bene ricordare che sempre qui è stato attivato un progetto pilota che prevede il diritto del detenuto ad essere seguito dal medico di fiducia, tra quelli assegnati all’istituto dalla Asl. Un sistema che permette ai detenuti stessi di costruire una relazione di affidamento con il medico, e dunque di avere una maggiore attenzione alla propria salute, e ai famigliari di essere informati sulle condizioni fisiche dei propri cari, grazie alla realizzazione di uno sportello ad hoc. Un’esperienza che per la sua funzionalità è stata ripresa anche dall’ultimo rapporto dell’associazione Antigone e che, a mio avviso, potrebbe essere estesa anche ad altri penitenziari della regione. Di questo me ne hanno parlato i due professionisti della Asl, Franco Alberti e Bruno Bianchi, con i quali, tra gli altri, ho visitato la struttura. Ma anche sulle condizioni igienico-sanitarie, che sappiamo essere critiche praticamente ovunque, dobbiamo fare di più; su questo fronte il mio impegno in Regione sarà sempre costante". Ragusa: alla Casa circondariale di Ragusa si realizza un caseificio di Gianni Nicita Giornale di Sicilia, 19 settembre 2015 L’iniziativa portata avanti dall’amministrazione penitenziaria, dal Rotary Hybla Herea e dall’imprenditoria locale. I prodotti saranno venduti. Attività di caseificazione all’interno di un locale messo a disposizione dall’Amministrazione Penitenziaria. È quella che nascerà nella Casa circondariale grazie all’accordo tra l’istituzione penitenziaria, il Rotary Hybla Herea e l’imprenditoria locale. Ha sposato il progetto la ditta Bubalus. I detenuti saranno direttamente coinvolti dal progetto che si occupa di rilanciare uno spirito di pieno recupero sociale e attitudinale anche rispetto alla prospettiva di un reinserimento futuro nella società. Un’iniziativa di grande spessore sociale e culturale, unica nel suo genere. Il progetto, a cui partecipano tutti i club dell’area iblea, è stato finanziato dalla Rotary Foundation. L’iniziativa è stata presentata ieri mattina dalla direttrice della Casa Circondariale, Giovanna Maltese, dal presidente del Rotary Hybla Herea, Maurizio Giannì, dal governatore Rotary del Distretto Sicilia - Malta, Francesco Milazzo, e dal responsabile tecnico del progetto, il veterinario Giorgio Lo Magno. Come ha spiegato la direttrice Maltese è un progetto importante anche perchè per merito del Rotary si innesca una presenza sociale nelle nuova generazione. Torino: lavori di pulizia e manutenzione per 90 detenuti del carcere torinese torinotoday.it, 19 settembre 2015 Secondo un protocollo firmato oggi, i detenuti infatti potranno essere impiegati in attività di pulizia, manutenzione e riqualificazione delle aree verdi della città a fianco del personale Amiat. Saranno 90 i detenuti del carcere "Lorusso e Cutugno" coinvolti nei 6 mesi di lavori di pubblica utilità nella città di Torino. Lo prevede un protocollo d’intesa siglato oggi tra il sindaco Piero Fassino, il Ministero della Giustizia e l’Amiat, la società di gestione dei rifiuti. I detenuti infatti potranno essere impiegati in attività di pulizia, manutenzione e riqualificazione delle aree verdi della città a fianco del personale Amiat. Esattamente come è stato fatto nel mese di agosto, in via del tutto sperimentale. I detenuti saranno inseriti in 3 moduli di 6 settimane ciascuno di lavoro gratuito e volontario. Mentre la settima settimana verrà retribuita con i voucher dei lavori accessori, messi a disposizione della Compagnia di Sanpaolo. Gli spostamenti verso le sedi Amiat e per il ritorno alla casa circondariale saranno possibili grazie a titoli di viaggio messi a disposizione da Gtt, Gruppo Trasporti Torinesi. Domenico Minervini, direttore del carcere torinese, ha ricordato che tra i 1.300 detenuti ospiti della casa circondariale di Torino sono 700 quelli impegnati in percorsi lavorativi e di studio, e che gli altri 600 sono in attesa di esserne presto coinvolti. La Spezia: quando le poesie di un detenuto diventano musica di Giulia Tonelli cittadellaspezia.com, 19 settembre 2015 Oggi, sabato 19 settembre, alle 20.30, presso la Polisportiva Azzurra di via Monfalcone (Rebocco), ritornerà sul palco il progetto teatrale e musicale "Riki canta Ruiu - Quando il dolore crea valore". Andrea Ruiu, detenuto del carcere di Lucca, si è avvicinato alla poesia nel corso delle interminabili giornate trascorse in cella. Dai suoi scritti e dalla collaborazione artistica dell’attore Andrea Bonomi, del regista Francesco Tassara e grazie al sostegno di Marsia Onlus, è nata un’iniziativa artistica e morale con il fine di raccogliere fondi per portare avanti la realizzazione dell’opera anche all’interno di altre strutture carcerarie, partendo da quella in cui è attualmente detenuto il poeta. L’evento di mini-promo-live, in programma per domani sera, darà l’opportunità ai cittadini di ascoltare alcune canzoni tratte dalle sue poesie. A cantarle sarà Riccardo D’ambra, leader del conosciuto gruppo spezzino "Visibì", colpito da una sensibilità che interpreta il dolore non solo negativamente, ma anche positivamente, come una specie di ancora di salvezza. Da tempo, infatti, il musicista si sta occupando di trasformare i suoi testi in musica. Le tematiche che saranno affrontate offriranno alla comunità la possibilità di riflettere e assistere ad un’iniziativa che tratta una realtà complessa, quella delle carceri, e che mette a confronto una dinamica ordinarietà con l’immobilità della pena di un recluso. Una scrittura, quella di Andrea, che è riuscita a farlo evadere da un mondo claustrofobico, a obbligarlo a fare i conti con se stesso per diventare, infine, una persona nuova. Per aiutare il progetto sarà utile contribuire economicamente, anche con una piccola quota, per portare avanti un’iniziativa che confida negli animi sensibili che ne comprendono lo spirito morale. Tutto quello che sarà raccolto verrà ampiamente documentato e, in caso di eventuale parte eccedente, devoluto in forma benefica ai detenuti in difficoltà. Catanzaro: teatro e sport, alla Casa Circondariale una partita tra attori e detenuti catanzaroinforma.it, 19 settembre 2015 Presso la Casa Circondariale di Catanzaro è stata disputata, ieri pomeriggio, una partita di calcio tra gli attori di Teatro 6 e gli attori dell’Associazione Culturale "Sellia Marina" conto i detenuti attori che con Mario Sei, assistente penitenziario volontario, portano avanti ormai da diverso tempo alcuni laboratori teatrali. Vittoria schiacciante da parte dei detenuti-attori che si sono divertiti tanto ed hanno avuto la possibilità di socializzare con i simpatici attori che hanno ammesso di essere sicuramente più capaci sul palcoscenico. La partita organizzata dallo stesso Mario Sei è stata una vera festa del teatro e dello sport e questo scopo è stato pienamente raggiunto grazie alla collaborazione e la correttezza in campo da parte di tutti. Lo scopo precipuo di questo match era quello di consentire ai detenuti di potersi confrontare con il mondo esterno, nell’ottica di una maggiore integrazione e nel rispetto dei principi costituzionali di solidarietà, oltre che tendere alla rieducazione e risocializzazione degli stessi. Presenti i vertici della struttura con a capo il Direttore della Casa Circondariale Dr.ssa Angela Paravati, che simbolicamente è stata omaggiata di una maglietta che gli attori di Teatro 6 e dell’Associazione "Sellia Marina" hanno donato ai detenuti prima del match, autotassandosi. Teatro 6 Sei ha anche fatto dono di 3 palloni di cuoio da destinare ai tre piani dell’Alta Sicurezza ed infine è stata consegnata una coppa ai vincitori , che per prassi lasciano all’interno della struttura. "Teatro & Sport… ci rendono liberi" era lo slogan riportato sulle magliette gialle e rosse e soprattutto lo spirito con cui è stata giocata questa partita che ha rappresentato certamente un momento importante nella vita, in termini di esperienza, sia per i detenuti che per gli stessi attori. Sia nello sport che in teatro è importante il gioco di squadra e lo scambio di ruoli, solo in questo modo il risultato può essere vincente e si può affermare che proprio cosi è stato visto che tale iniziativa si confà alle continue iniziative che la Direzione ormai da diverso tempo promuove e sostiene a favore di un percorso programmatico di risocializzazione dei detenuti. Europa. Sui profughi siano pronti a votare a maggioranza di Carlo Lania Il Manifesto, 19 settembre 2015 Quote obbligatorie, la Germania avverte i paesi dell’est. Fino a oggi in 213 mila hanno chiesto asilo all’Ue. Il tempo delle mediazioni, delle opere di convincimento e delle minacce di sanzioni che non spaventano nessuno questa volta sembra proprio essere finito. Se martedì e mercoledì prossimi, giorni in cui si terranno i vertici dei ministri degli Interni e dei capi di stato e di governo Ue, non si dovesse arrivare a un accordo sulle quote obbligatorie di profughi da ricollocare in Europa "dovremmo valutare seriamente anche il ricorso allo strumento della decisione a maggioranza" ha minacciato ieri il ministro degli Esteri tedesco Frank Walter Steinmeier. "Non può essere - ha aggiunto - che Germania, Austria e Italia portino da sole tutto il peso dell’emergenza". Le parole di Steinmeier sono un chiaro avvertimento ai paesi dell’est che fino a oggi hanno fatto blocco impedendo un’equa divisione delle centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini che premono per entrare in Europa. Dopo il voto con cui giovedì l’Europarlamento ha dato il via libera alla proposta della Commissione Ue per il ricollocamento di 120 mila profughi, adesso gli appuntamenti decisivi sono proprio i due che si terranno all’inizio della prossima settimana. Il primo, martedì, riunirà ancora una volta i ministri degli Interno dei 28 dopo il fallimento di lunedì scorso, per poi lasciare la parola definitiva il giorno dopo al Consiglio europeo, vero organo decisionale della Ue. Se ancora una volta dovessero prevalere gli egoismi nazionali sulla volontà di trovare una soluzione condivisa alla più grande emergenza umanitaria del dopoguerra, l’Unione europea che abbiamo conosciuto sino a oggi rischia davvero di trasformarsi in un ricordo. Oltre alla sorte dei profughi - che non è certo poco - in gioco c’è infatti la sopravvivenza di uno dei valori fondativi dell’Ue come il trattato di Schengen, pesantemente messo a rischio dalla decisione assunta da molti paesi di ripristinare controlli alla frontiera o di innalzare muri. Per questo i toni si fanno sempre più accesi con i passare delle ore. Ma anche perché per la prima volta un’Europa fino a oggi a indiscutibile trazione tedesca - al punto che la svolta sull’emergenza profughi si è avuta con la decisione della cancelliera Merkel di accogliere i siriani - è da settimane bloccata e messa in crisi dalla resistenza di Ungheria, Slovacchia, Polonia e Repubblica Ceca ai quali si è aggiunta anche la Romania. Per spiegare il nervosismo tedesco bisogna tener conto che la Germania non ce la fa più a sostenere l’impatto delle centinaia di migliaia di profughi (fino a un milione all’anno) che l’hanno scelta come nuova patria. "La Germania aiuta, ma chi aiuta adesso la Germania?" ha detto ieri il vicecancelliere Sigmar Gabriel ricordando che il paese "non può accogliere tutti". Ma sollecitando anche gli altri Stati a fare la loro parte. "Chi non condivide i nostri valori, alla lunga non può sperare nei nostri soldi", ha detto chiaramente rivolto ai paesi dell’est. Da qui al decisione di forzare la mano procedendo, se sarà necessario, a un voto a maggioranza. "Si tratta di una procedura europea, nulla che si debba inventare", ha sottolineato la portavoce di Steinmeier. Qualcosa comunque sembra muoversi. L’Ungheria si è detta disponibile ad accettare le quote a patto che l’Ue metta in campo "una forza che protegga le frontiere" e finanzi nuovi campi profughi in Giordania, Libano e Turchia. Il premier ceco Bohuslav Sobotka si è detto pronto ad accogliere fino a 15 mila profughi purché sia su base volontaria e la premier polacca Ewa Kopacz ha accettato di prendere un numero maggiore di profughi. Se si tratti di vere aperture o meno lo si capirà molto presto. Intanto l’Unhcr chiede all’Unione europea di fare in fretta. "Il tempo per risolvere l’emergenza profughi sta finendo ha detto l’organizzazione sollecitando una soluzione. Un’emergenza resa ancora più chiara dai dati forniti ieri dall’Eurostat, secondo i quali nel secondo trimestre del 2015 i richiedenti asilo arrivati nell’Unione europea sono stati 213mila, in aumento del 15% rispetto ai tre mesi precedenti ma dell’85% rispetto al secondo trimestre del 2014. Pace e cooperazione, l’unica via della Ue di Ignazio Masulli Il Manifesto, 19 settembre 2015 Europa e frontiere. Lo scorso anno i migranti sono stati 54 milioni di persone. Hanno trovato rifugio per lo più negli stati vicini. In proporzione, i dieci stati più ricchi della Ue ne avrebbero dovuti accogliere 41 milioni. Altro che i 120mila del piano Junker. I risultati della riunione dei ministri degli Interni dell’Unione europea tenutasi il 14 scorso segnano un ulteriore arretramento di fronte al riacutizzarsi del fenomeno di profughi e migranti. La logica di assurda difesa e chiusura manifestate, in varia misura, dai paesi membri e dalle istituzioni dell’Unione nei mesi scorsi sembravano aver conosciuto una svolta e persino nuove disponibilità all’accoglienza per effetto di immagini e dati particolarmente drammatici diffusi dai media agli inizi del mese. Ma ora sembra tutto già rientrato. L’unica risposta che continua a far ben sperare è quella venuta da cittadini, iniziative auto-organizzate e associazioni in vari paesi e che hanno fatto emergere sentimenti di solidarietà verso i rifugiati affatto diversi da quelli di paura e xenofobia che continuano ad essere incoraggiati e sfruttati nel modo più spregiudicato. Ma perché un tale mutamento della coscienza collettiva metta radici e diventi abbastanza forte da esercitare una pressione efficace su governi e istituzioni dell’Ue bisogna che maturi una piena consapevolezza delle proporzioni del fenomeno e delle sue cause principali. I dati di fatto con cui fare i conti sono chiari. L’anno scorso il totale di sfollati, profughi e rifugiati, riconosciuti come tali dall’Alto commissariato delle Nazioni unite, è stato di 54,9 milioni di persone. La maggioranza di queste persone ha trovato rifugio negli Stati vicini. Di questi, i 10 che ne hanno accolti di più, per un totale di 8,2 milioni, sono: Pakistan, Turchia, Libano, Iran, Etiopia, Giordania, Kenya, Ciad, Uganda, Sudan. Se consideriamo il Pil pro capite (a parità di potere d’acquisto), vediamo che la disponibilità complessiva di questi 10 paesi è 1/5 di quella dei 10 più ricchi dell’Ue. Quelli che, proprio per questo, sono tra le mete più agognate dei rifugiati e migranti, cioè Svezia, Finlandia, Danimarca, Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Germania, Austria, Francia, Italia. Il confronto è semplice: se la disponibilità di questi Stati verso i profughi fosse pari a quella dei 10 più ricettivi che abbiamo elencato prima, di rifugiati ne dovrebbero accogliere 41,1 milioni. Altro che i 120mila previsti dal piano Juncker e pure contestati. Per non dire, poi, della forzosa distinzione tra chi fugge da guerre e conflitti civili e chi cerca di scampare a povertà e condizioni di vita comunque insostenibili. In realtà, le cause principali dell’aumento del numero di rifugiati e migranti registratosi da un decennio, con un’impennata negli ultimi tre anni, sono due. La prima è dovuta alle guerre imposte dagli Usa e dai loro più stretti alleati in Iraq e in Afghanistan, al rinfocolamento di vecchi conflitti, come quello in Sudan. Per non dire del sostegno diretto e indiretto dato a ribellioni contro regimi non si sa se più colpevoli di dispotismo o piuttosto di ostilità agli interessi della Nato. L’ultimo esempio è quello siriano. Agli storici l’analisi precipua delle responsabilità. Ma è indubbio che, al di là dei nobili intenti di volta in volta propagandati, i metodi adottati e i risultati raggiunti hanno comportato enormi sofferenze e lutti per le popolazioni. Non è certo un caso che i paesi che l’anno scorso hanno contato il maggior numero di rifugiati, profughi e sfollati siano stati: Siria, Colombia, Iraq, Repubblica democratica del Congo, Afghanistan, Sudan, Sud Sudan, Somalia, Pakistan, Repubblica Centrafricana. Il loro elenco è indicativo delle manovre tardo-colonialiste in cui sono coinvolti gli Stati Uniti e alcune delle maggiori potenze europee. Sicché, succede che tra i paesi recalcitranti a dare asilo ai rifugiati vi siano alcuni dei maggiori responsabili delle loro sofferenze. Molto più diffusa e varia è la geografia della seconda e concomitante causa dell’esodo, quella di quanti cercano di fuggire da condizioni di povertà e sfruttamento divenute insopportabili. Ed è la geografia della delocalizzazzione produttiva, quella con cui le multinazionali hanno trasferito parti crescenti della propria attività in paesi con manodopera a basso o bassissimo costo e che consentono di avere mano libera nello sfruttamento anche delle risorse naturali, senza alcuna remora per i danni all’ambiente. Se le cause sono queste, le vie d’uscita vanno ricercate su due piani. In primo luogo, occorre sviluppare una forte iniziativa politica per indurre i governi a ritirarsi dai vari teatri di guerra e da iniziative di sostegno all’una o all’altra delle fazioni in lotta nei conflitti civili. Iniziative che, per la maggior parte risultano falsamente motivate e i cui risultati, non a caso, sono opposti a quelli degli obiettivi proclamati. Su questo terreno è urgente un totale mutamento di rotta promuovendo una seria ricerca di soluzioni politiche che riportino davvero stabilità e pace. Sul secondo versante, è indispensabile porre limiti ad una delocalizzazione produttiva il cui scopo principale è stato e resta quello di spingere verso una competizione al ribasso delle condizioni di lavoro, sia nei paesi di più antico che di nuovo sviluppo. Non si tratta certo di imprese facili e i progressi che si potranno fare in queste direzioni sono tutt’altro che scontati. Ma dobbiamo essere consapevoli del fatto che l’Europa e gli Stati Uniti si trovano oggi di fronte ad un punto di biforcazione oltre il quale si prospettano possibili evoluzioni assai diverse tra loro. La prima è contrassegnata dal prevalere della logica della "fortezza assediata" e dalla difesa di ciò che viene percepito ed indicato come una minaccia proveniente dall’esterno verso gli equilibri economici e sociali di paesi più sviluppati. Il che ripropone chiusure nazionaliste e sentimenti xenofobi non molto differenti da quelli che hanno segnato le pagine peggiori della storia europea. La seconda considera il fenomeno come una sfida ineludibile che può essere affrontata con politiche positive e ben calibrate d’integrazione all’interno. Politiche basate sul ripristino dei diritti del lavoro e sociali erosi in trent’anni di neoliberismo e la cui ricostruzione valga per migliorare le condizioni di vita dei vecchi cittadini come per offrire possibilità reali ai nuovi. Mentre nei rapporti internazionali occorrerà perseguire tenacemente politiche di pace e di cooperazione internazionale capaci di mediare tra i diversi interessi in campo anche in situazioni di particolare difficoltà. È una prospettiva non facile da perseguire, ma è l’unica in grado di rispondere efficacemente ai problemi posti dal fenomeno che abbiamo di fronte. Problemi che non derivano tanto dalle sue proporzioni quantitative, quanto dalla sfida di un nuovo universalismo dei diritti. Saranno i migranti a salvare l’Europa di Thomas Piketty (Traduzione di Fabio Galimberti) La Repubblica, 19 settembre 2015 Prima della crisi finanziaria il Vecchio Continente si avviava a diventare la regione più aperta in termini di flussi migratori. Lo slancio di solidarietà in favore dei rifugiati osservato in queste ultime settimane è stato tardivo. Ma quantomeno ha avuto il merito di ricordare agli europei e al mondo una realtà fondamentale. Il nostro continente, nel XXI secolo, può e deve diventare una grande terra di immigrazione. Tutto concorre in tal senso: il nostro invecchiamento autodistruttivo lo impone, il nostro modello sociale lo consente e l’esplosione demografica dell’Africa abbinata al riscaldamento globale lo esigerà sempre di più. Tutte queste cose sono largamente note. Un pò meno noto, forse, è che prima della crisi finanziaria l’Europa si avviava a diventare la regione più aperta del mondo in termini di flussi migratori. È la crisi, scatenatasi nel 2007-2008 negli Stati Uniti, ma da cui l’Europa non è mai riuscita a uscire per colpa di politiche sbagliate, che ha condotto all’aumento della disoccupazione e della xenofobia, e a una chiusura brutale delle frontiere. Il tutto in un momento in cui il contesto internazionale (Primavera Araba, afflusso di profughi) avrebbe giustificato, al contrario, una maggiore apertura. Facciamo un passo indietro. Nel 2015 l’Unione Europea conta quasi 510 milioni di abitanti, contro circa 485 milioni nel 1995 (considerando le frontiere attuali dell’Unione). Questa progressione di 25 milioni di abitanti in vent’anni di per sé non ha niente di eccezionale (appena lo 0,2 per cento di crescita annuo, contro l’1,2 per cento della popolazione mondiale nel suo insieme nello stesso periodo). Ma il punto importante è che tale crescita è dovuta, per quasi tre quarti, all’apporto migratorio (più di 15 milioni di persone). Tra il 2000 e il 2010, l’Unione Europea ha accolto quindi un flusso migratorio (al netto degli espatri) di circa 1 milione di persone all’anno, un livello equivalente a quello degli Stati Uniti, con in più una maggiore diversità culturale e geografica (l’islam rimane marginale Oltreatlantico). In quell’epoca non così remota in cui il nostro continente sapeva mostrarsi ( relativamente) accogliente, la disoccupazione in Europa era in calo, almeno fino al 2007-2008. Il paradosso è che gli Stati Uniti, grazie al loro pragmatismo e alla loro flessibilità di bilancio e monetaria, si sono rimessi molto in fretta dalla crisi che essi stessi avevano scatenato. Hanno rapidamente ripreso la loro traiettoria di crescita (il Pil del 2015 è del 10 per cento più alto di quello del 2007) e l’apporto migratorio si è mantenuto intorno a 1 milione di persone l’anno. L’Europa, invece, impantanata in divisioni e posizioni sterili, non è mai riuscita a tornare al livello di attività economica precedente la crisi, e le conseguenze sono state la crescita della disoccupazione e la chiusura delle frontiere. L’apporto migratorio è precipitato drasticamente da 1 milione di persone l’anno fra il 2000 e il 2010 a meno di 400.000 fra il 2010 e il 2015. Che fare? Il dramma dei rifugiati potrebbe essere l’occasione, per gli europei, di uscire dalle loro piccole diatribe e dal loro egocentrismo. Aprendosi al mondo, rilanciando l’economia e gli investimenti (case, scuole, infrastrutture), respingendo i rischi deflazionistici, l’Unione Europea potrebbe tornare senza alcun problema ai livelli migratori registrati prima della crisi. L’apertura manifestata dalla Germania al riguardo è una notizia ottima per tutti coloro che si preoccupavano dell’ammuffimento e dell’invecchiamento dell’Europa. Certo, qualcuno potrebbe sostenere che la Germania non ha scelta, tenuto conto della sua bassissima natalità: secondo le ultime proiezioni demografiche dell’Onu, che pure sono basate su un flusso migratorio due volte più elevato in Germania che in Francia nei prossimi decenni, la popolazione tedesca passerebbe dagli 81 milioni odierni a 63 milioni di qui alla fine del secolo, mentre la Francia, nello stesso periodo, passerebbe da 64 a 76 milioni. Qualcuno potrebbe ricordare anche che il livello di attività economica osservato in Germania è in parte la conseguenza di un gigantesco surplus commerciale, che per definizione non potrebbe essere esteso a tutta l’Europa (perché non ci sarebbe nessuno sul pianeta in grado di assorbire una tale quantità di esportazioni). Ma questo livello di attività si spiega anche con l’efficacia del modello industriale tedesco, che si fonda in particolare su un fortissimo livello di coinvolgimento dei dipendenti e dei loro rappresentanti (che hanno la metà dei seggi nei consigli d’amministrazione), e a cui faremmo bene a ispirarci. Soprattutto, l’atteggiamento di apertura verso il mondo manifestato dalla Germania invia un messaggio forte agli ex Paesi dell’Europa dell’est membri dell’Unione Europea, che non vogliono né bambini né migranti e la cui popolazione messa insieme, sempre secondo l’Onu, dovrebbe passare dagli attuali 95 milioni a poco più di 55 entro la fine del secolo. La Francia deve rallegrarsi di questo atteggiamento della Germania e cogliere l’opportunità per far trionfare in Europa una visione aperta e positiva verso i rifugiati, i migranti e il mondo. Arabia Saudita: detenuto 17enne condannato a decapitazione e crocifissione ilsussidiario.net, 19 settembre 2015 Il caso del diciassettenne Ali Mohammed al-Nimr si trova a fatica sulla Rete, anche sui siti sempre aggiornatissimi dei paesi anglofoni che spesso riportano violazioni dei diritti umani. Ci si imbatte in questa storia tramite i social network, grazie a qualcuno capace di riprendere sperduti siti ad esempio australiani. Il ragazzo è stato arrestato nel febbraio del 2012 in seguito a una manifestazione in cui alcune persone protestavano per la persecuzione politica dello zio di Ali Mohammed al-Nimr, anche lui condannato a morte. Una delle tante manifestazioni che vengono immediatamente represse e tenute nascoste in Arabia Saudita a favore della democrazia. Il ragazzo viene accusato di manifestazione illegale e non meglio precisato possesso di armi da fuoco, furto di armi e minacce ai pubblici ufficiali. Rinchiuso in un carcere minorile, di lui si saprà molto poco come tipico dei carceri sauditi, se non che viene sistematicamente torturato per obbligarlo a firmare una dichiarazione in cui si auto accusa. La condanna è inevitabile e arriva nel maggio 2014: decapitazione e successiva crocifissione ad esempio di tutti. Ogni richiesta di appello è stata respinta senza che nessun avvocato o familiare abbia potuto assistere ai procedimenti. La crocifissione nei paesi islamici non ha niente a che vedere con quella di Gesù, è solo il metodo che usavano anche gli antichi romani ad esempio perché i colpevoli venissero mostrati a tutti. Il corpo mozzato di Ali Mohammed al-Nimr sarà dunque esposto con una pratica a dir poco barbara. Non è una novità per un paese che è strettissimo alleato politico, militare ed economico dell’occidente, che mette in pratica la sharia esattamente come i criticati terroristi dello Stato islamico. Tra il 1985 e il 2013 2mila persone sono state giustiziate con la decapitazione in Arabia Saudita in seguito a processi di cui si è sempre saputo quasi nulla. Arabia Saudita: "Io, vivo dopo 50 frustate tra la folla che osannava Allah" di Raif Badawi Corriere della Sera Il racconto del blogger saudita condannato per apostasia dell’Islam: mi batto solo contro l’ignoranza. Pubblichiamo un estratto dal libro del blogger saudita Raif Badawi. Nel 2008 Badawi ha fondato il forum online "I liberali sauditi" sul rapporto tra politica e religione. Condannato a 10 anni di carcere e 1.000 frustate, ha subito le prime 50 a gennaio. A febbraio ha dettato le parole seguenti alla moglie per telefono. Il libro "1000 frustate per la libertà", edito da Chiarelettere, è una raccolta degli scritti per cui il saudita Raif Badawi è finito in carcere. Pubblicato di recente in Germania, esce ora in Italia Il compito che mi ero proposto era di cercare una nuova lettura del liberalismo in Arabia Saudita e di fare la mia parte nel diffondere "l’illuminismo" nella società araba, abbattendo i muri dell’ignoranza, incrinando la visione sacrale delle autorità religiose e promuovendo un minimo di pluralismo e di rispetto per la libertà di espressione, i diritti delle donne, delle minoranze e dei poveri. Era questa la mia vita quando, nel 2012, sono stato gettato in una cella in compagnia di gente accusata d’ogni sorta di delitto: ladri, assassini, trafficanti di droga, persino stupratori di bambini. Frequentare queste persone ha cambiato molte cose, a cominciare dai miei preconcetti. Immaginate di trascorrere le vostre giornate in uno spazio non più grande di 20 metri quadrati. E immaginate di dover condividere quello spazio con altre 30 persone, su cui pende l’accusa di ogni genere di reato! (...) Quando sono in bagno, ultimamente, mi capita di guardarmi attorno. Mucchi di carta igienica sporca, rifiuti ovunque, pareti imbrattate, porte sprangate e arrugginite. Un giorno mentre scorrevo le centinaia di scritte incise sulle pareti sudice della toilette della cella comune, una frase mi è balzata agli occhi: "La soluzione è il laicismo!". Sopraffatto dallo stupore, mi sono strofinato gli occhi come per convincermi che fosse davvero lì! Sorridendo tra me mi sono messo a rimuginare su chi potesse aver scritto quelle parole. Quella breve frase, bella e così insolita, mi ha sorpreso e rallegrato immensamente. Il fatto che tra le centinaia di volgarità scarabocchiate in tutti i dialetti arabi sulle pareti dei bagni abbia potuto leggere un pensiero del genere significa che da qualche parte, in questa prigione, c’è almeno una persona in grado di capirmi. Di comprendere ciò per cui ho lottato, il motivo per cui mi trovo rinchiuso. (...) Quando la mia adorata moglie Ensaf mi ha detto che una grande casa editrice in Germania voleva raccogliere i miei articoli, tradurli e farne un libro, inizialmente ho accolto la notizia con scetticismo. Voglio essere sincero: all’epoca in cui scrissi il primo post non avrei mai immaginato che un giorno i miei interventi su un blog potessero diventare un libro. Mi considero un uomo esile sia pure tenace, sopravvissuto per miracolo a 50 colpi di frusta davanti a una folla osannante che gridava senza sosta Allahu Akbar. Sì, il tribunale mi ha condannato alla pena di morte, commisurata alla "gravità dell’apostasia dell’islam". La pena è stata poi ridotta a 10 anni di carcere, a 1.000 colpi di frusta e a una multa di un milione di rial. Mentre scrivo queste righe ho già scontato tre anni e mia moglie è all’estero coi nostri tre figli perché le pressioni erano ormai insostenibili. E tutta questa sofferenza solo perché avevo espresso la mia opinione. Ecco, è questo il prezzo delle parole che state per leggere! Libia: l’Isis rivendica un attacco contro il carcere di Tripoli, liberati alcuni prigionieri Adnkronos, 19 settembre 2015 Ha provocato diverse vittime un attacco rivendicato dal sedicente Stato islamico (Is) contro la prigione situata all’interno dell’aeroporto internazionale di Mitiga, a Tripoli, in Libia. Lo hanno riferito i media locali, citando alcuni messaggi postati su account Twitter da utenti riconducibili all’organizzazione terroristica. Secondo i media, il gruppo armato ha assaltato la prigione con l’obiettivo di liberare alcune dei detenuti. L’attacco è iniziato con l’esplosione di una bomba. Si contano tre agenti uccisi e diverse vittime tra gli assalitori. L’attacco non ha provocato ripercussioni sul traffico aereo all’aeroporto di Mitiga, che si trova nella parte orientale di Tripoli. "Sono stati liberati alcuni detenuti in carcere per terrorismo" nell’attacco rivendicato dal sedicente Stato islamico (Is) contro una prigione vicino all’aeroporto internazionale di Tripoli, in Libia. Lo hanno riferito fonti militari, citate dall’agenzia di stampa Xinhua. "Un gruppo armato ha attaccato stamane il quartier generale della Forza di Deterrenza Libica (unità che controlla la prigione e che agisce sotto il ministero dell’Interno, ndr). Sono riusciti a liberare alcuni prigionieri in carcere per terrorismo", ha rivelato la stesso gruppo in una nota. La Forza di Deterrenza Libica ha confermato che tre suoi uomini sono morti nell’attacco.