Giustizia: tensioni fra politica e magistratura. Sabelli (Anm): strategia per delegittimarci di Gabriella De Matteis La Repubblica, 24 ottobre 2015 A Bari il 32esimo congresso dell’associazione nazionale magistrati. Presente anche il presidente della Repubblica Mattarella. Sabelli: "La magistratura italiana non è un ceto elitario". Pd: "Da toghe frasi ingenerose". La "timidezza" per la lotta alla corruzione, le intercettazioni usate solo per alzare il tono del dibattito, la delegittimazione del magistrato che se non è capro espiatorio come qualche tempo fa ha un rapporto "complesso" con la politica. Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli, nelle sue 30 e più cartelle di discorso per il congresso dell’organo di rappresentanza delle toghe, dipana con tono serio e composto i problemi del momento, legati all’attualità, e quelli che sono "sotto la cenere" prendendo le parole di uno dei tanti pubblici ministeri che affollano la sala del teatro Petruzzelli di Bari e che applaude calorosamente all’arrivo del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ma concede solo pochi battiti di mano a Sabelli. Perché il suo discorso è complesso, duro anche con quelli della sua parte. "Siamo consci dei pericoli che potrebbero venire dall’immagine, facile e falsa, di un’associazione raffigurata come espressione di una corporazione rivendicativa - dice e scrive - tutta volta alla difesa dei propri privilegi, immagine purtroppo sostenuta e rilanciata da più parti, in una consapevole strategia di delegittimazione". "La tensione fra politica e magistratura, legata per anni a vicende giudiziarie individuali, ha finito con l’offrire di sé un’immagine drammatica ma, in realtà, semplificata. Oggi quei rapporti sono restituiti a una dinamica meno accesa nella forma ma più complessa", afferma il presidente dell’Anm. Il riferimento è alle polemiche che ci sono state tra il premier e il sindacato delle toghe sulle riforme del governo che hanno riguardato lo status dei magistrati (dal taglio delle ferie alla nuova disciplina sulla responsabilità civile). "La magistratura italiana non è un ceto elitario e oligarchico" e "la percezione delle istituzioni dello Stato come gruppi di potere gelosi dei propri vantaggi costituisce in se stessa una tragedia del sistema democratico", avverte Sabelli, che rivendica all’intero vertice dell’Anm il merito di aver difeso "l’immagine e l’autorevolezza della magistratura associata, contro ogni tentativo di ridimensionamento del suo ruolo di rappresentanza e della sua stessa dignità". Sabelli rimprovera la politica anche per la "troppa enfasi" con cui si è concentrata sul nodo delle intercettazioni e fa notare come tutto questo avvenga nonostante una criminalità organizzata "diffusa ormai in ogni ambito e le forme di pesante devianza infiltrate nel settore pubblico e dell’economia". Sabelli, pur stigmatizzando la diffusione incontrollata delle intercettazioni, si chiede se sia giusto o meno pubblicare registrazioni prive di rilevanza penale ma di elevato interesse pubblico: "Il disegno di legge delega - spiega - pare propendere per la soluzione negativa", finendo per "sottrarre al legislatore ordinario una approfondita riflessione preventiva su aspetti così delicati". La replica del Pd è affidata al responsabile Giustizia del partito, David Ermini, il quale precisa che "ad oggi né il governo né il Parlamento hanno messo mano al sistema delle intercettazioni, non è stata toccata nessuna delle attuali competenze degli organi inquirenti o di quelli giudicanti": "Ci siamo preoccupati solo dell’aspetto legato alla pubblicità delle intercettazioni. Per questo - sottolinea l’esponente dem - alcune frasi sulla "politica non attenta" ci appaiono ingenerose". Sulle intercettazioni "credo che la critica dell’Anm non sia rivolta al governo o al Parlamento: i provvedimenti per contrastare criminalità organizzata e corruzione o sono stati già approvati o sono in un iter ben più avanzato dell’intervento sulle intercettazioni", replica ministro della Giustizia Andrea Orlando. "Da parte dell’Anm mi sembra ci sia un po’ di sommarietà nei rilievi fatti alla riforma della Giustizia. Mi ha colpito il fatto che si è sottolineato una individuazione di priorità che non corrisponde al vero" continua Orlando. "Sul fronte delle intercettazioni, credo comunque che il presidente di Anm Sabelli non si riferisse al governo o al Parlamento, ma se così fosse io vorrei ricordare che il provvedimento sulle intercettazioni che è ancora in una fase assolutamente preliminare, perché è stato letto soltanto da un ramo del Parlamento, segue ben 21 provvedimenti assunti dal governo, che riguardano prevalentemente il contrasto alla criminalità organizzata, alla criminalità economica e ai problemi di carattere organizzativo della giustizia", spiega il ministro. "Quindi dire che c’è una "spasmodica attenzione" su quel tema non mi sembra che corrisponda al calendario del lavoro fatto fino ad oggi", conclude. Contro Anm si mette invece Matteo Salvini: "Ai magistrati che attaccano la politica perché si sentono delegittimati rispondo che sono anche loro che, col loro agire, spesso si delegittimano...penso ai tempi della giustizia... se qualcuno lavorasse di più la gente sarebbe più contenta credo. Quindi l’Anm guardi prima in casa propria" dice parlando a radio Padania. Dopo un "pensiero" al giudice Rosario Livatino, "a venticinque anni dal suo sacrificio", il presidente dell’Anm parla di una "tensione" anche tra giustizia e economia, che si acuisce in tempi di crisi e diventa "drammatica", "quanto più alto è il grado dei diritti" in gioco; il riferimento esplicito è alle inchieste in materia di inquinamento, sicurezza nelle fabbriche, rapporti di lavoro. C’è una "insofferenza" verso le iniziative giudiziarie, che vengono bollate "come autoreferenziali, lesive degli interessi economici e persino espressione di ideologie radicali, quasi che la giustizia fosse parte di un sistema di poteri in conflitto e non invece mezzo garante della tutela dei diritti". Che esista invece una sinergia tra economia e magistratura è quanto afferma il ministro dell’Economia: "Trovo che gli strumenti della giustizia in senso lato, sono fondamentali per far funzionare meglio l’economia" dice dal teatro Petruzzelli Pier Carlo Padoan. "C’è una sinergia positiva fondamentale - ha detto - tra funzionamento del sistema economico e funzionamento del sistema delle regole che non si può ignorare. Mi viene in mente una cosa che è una delle questioni che guidano le azioni del governo. L’Italia - continua - sta affrontando una duplice sfida gigantesca: la prima uscire da una recessione che ha portato via 10 punti di Pil, la seconda è che l’Italia deve farlo liberandosi di un fardello in termini di regole sbagliate, che individualmente sono fatte bene, ma che messe assieme nel formare il quadro di riferimento nel quale si svolge l’attività economica di tutti i giorni, è un quadro che è spesso un ostacolo". Unioni civili, ancora lacune. Sono "persistenti" le lacune legislative "in materie delicate, quali i rapporti di convivenza e il fine vita, oggetto di casi giudiziari anche drammatici". Sabelli punta l’indice contro l’inerzia su queste questioni del Parlamento e parla di un "impegno difficile e solitario" della magistratura "a fronte di una richiesta di giustizia che viene da una società in continua evoluzione". Riforma del processo penale. I progetti "appaiono disorganici e troppo timidi". In particolare, fa notare Sabelli, la riforma del processo penale apporta solo alcune "migliorie" non la "soluzione sistematica dei mali" che affliggono i giudizi; e alcune sue innovazioni, a cominciare dall’imposizione di nuovi termini per l’esercizio dell’azione penale, possono persino "creare disfunzioni ulteriori". Organici. Sabelli denuncia la situazione "non più sostenibile" di "gravi carenze" negli organici del personale di cancelleria, "che toccano punte del 70% di scopertura effettiva". Mafia. Rivolgendosi al Capo dello Stato, il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano (magistrato in aspettativa) ricorda le parole che Mattarella pronunciò nel suo discorso al Parlamento il giorno dell’insediamento: "In quella sede definì la corruzione come fenomeno che divora risorse che potrebbero essere destinate ai cittadini e le mafie come un cancro pervasivo che distrugge speranze, impone gioghi e sopraffazioni, calpesta diritti". Emiliano ricorda infine Piersanti Mattarella, il fratello del presidente, assassinato nel 1980 dalla mafia. Giustizia: magistratura e politica, le timide proposte del Csm di Sabino Cassese Corriere della Sera, 24 ottobre 2015 Il Consiglio superiore della magistratura ha fatto sette proposte sui rapporti tra giudici e politica al ministro della Giustizia, perché questi promuova un disegno di legge sulla materia. Sono proposte dirette ad allineare il trattamento dei magistrati che entrano nella politica locale a quello dei giudici impegnati a livello politico nazionale e a regolare, per gli uni e gli altri, i casi di prolungato impegno fuori dell’ordine giudiziario. Oggi, infatti, un magistrato può fare il presidente di una Regione o il sindaco esercitando contemporaneamente la funzione giurisdizionale, sia pure in altra circoscrizione, oppure può svolgere a lungo attività politica e al termine ritornare nei ranghi. Si tratta di proposte giuste, ma timidissime e corporative. Partono da una diagnosi parziale, quella di "gruppi politici, in crisi di autorevolezza, [che] cercano magistrati noti al pubblico per le indagini svolte o incarichi di prestigio ricoperti per candidarli ad assemblee elettive e affidargli incarichi di governo". Non tengono conto che c’è anche l’opposto, una politicizzazione endogena, costituita da giudici e procuratori che corrono verso la politica, con una esondazione pervasiva tale da far scrivere che da uno Stato di diritto si ritorna a uno Stato di giustizia. Basti dire che i parlamentari-magistrati sono triplicati negli ultimi venti anni. Tre gli interrogativi che la proposta suscita. Poteva, in primo luogo, il Consiglio della magistratura fare esso stesso di più, lungo la linea delle sue due circolari del 2009 e del 2014, con la sua attività "para-normativa", per arginare un fenomeno che mina l’indipendenza dell’ordine giudiziario? Proprio ieri l’Associazione nazionale magistrati, nel suo congresso barese, ha ribadito la tesi del "governo autonomo della magistratura": perché l’organo di governo non ha invitato o non invita i magistrati a garantire la propria distanza dalle carriere politiche amministrative? Secondo: perché il Consiglio non si preoccupa anche delle cariche non elettive? L’imparzialità del giudice non è minata anche dalla nomina governativa a posizioni di vertice dell’amministrazione o di enti e autorità pubbliche? Terzo interrogativo: basta dire che un magistrato che si dedica ad attività politiche o politico amministrative deve farlo fuori della circoscrizione in cui ha svolto la sua precedente funzione e deve mettersi fuori ruolo, salvo ritornare, poi, nei ranghi giudiziari? Non è comunque minata la sua immagine di persona indipendente e imparziale, per aver manifestato pubblicamente una appartenenza politica, per essere andato nelle piazze a nome di un partito, per aver goduto della fiducia di un governo, nazionale o locale? Quale assicurazione di indipendenza e di imparzialità potrà dare, dopo aver svolto l’attività politica per un partito, a chi dovrà essere sottoposto alle sue indagini o al suo giudizio? Si dirà che la Costituzione dispone che tutti possono accedere alle cariche elettive e agli uffici pubblici e che hanno diritto di conservare il posto di lavoro. Ma la Corte costituzionale nel 2009 ha ben precisato che ai magistrati è riconosciuta una posizione particolare, alla quale corrispondono speciali doveri. E la Costituzione garantisce il "posto di lavoro" al termine dell’esperienza politica, non la stessa funzione. Dunque, i magistrati che si impegnino in attività estranee, presentandosi alle elezioni, svolgendo attività politica, accettando cariche amministrative per nomina governativa, dovrebbero non solo essere collocati fuori ruolo, ma, al termine, passare nei ranghi dell’Avvocatura dello Stato, come anche il Consiglio della magistratura propone per un numero molto limitato di casi. Solo così si stabilisce quella distanza tra giustizia e politica che assicura al cittadino sottoposto a indagine o a giudizio di aver davanti una persona "al di sopra di ogni sospetto di parzialità". Se il Consiglio superiore della magistratura, che dovrebbe essere il palladio della indipendenza e della imparzialità dell’ordine giudiziario, non si dà carico di questo compito, dovrebbero assumerselo governo e Parlamento, ai quali tocca ora fare il prossimo passo. Giustizia: una tregua apparente che non poteva durare di Francesco Verderami Corriere della Sera, 24 ottobre 2015 C’erano segnali chiari che la tregua tra il leader e le toghe non avrebbero retto. E Alfano e Orlando accendono i riflettori sul caso che scuote il Tribunale di Palermo. I nemici di Berlusconi sono diventati i nemici di Renzi: uno dopo l’altro, mese dopo mese, man mano che il suo governo realizzava pezzi del programma del vecchio centrodestra. Dopo la responsabilità civile dei magistrati, l’abrogazione dell’articolo 18 e il taglio delle tasse sulla casa, per chiudere il cerchio manca ormai soltanto la riforma delle intercettazioni, che non a caso i magistrati hanno eletto a linea di trincea. Il premier si attendeva l’offensiva delle toghe - il suo Guardasigilli l’aveva messo sull’avviso - ma non immaginava che il presidente dell’Anm Sabelli arrivasse a sostenere che "il tema delle intercettazioni è diventato più importante della lotta alla mafia". Un oceano di distanza non basta ad attutire l’onda d’urto della reazione: "Si dà scandalo per coprire un altro scandalo?". Dietro una frase all’apparenza criptica si cela un’irritazione provocata dall’assenza di riconoscenza verso un governo che, finora, aveva scelto di mantenere un basso profilo e di non accendere i riflettori su un’inchiesta che sta colpendo proprio il Palazzo di giustizia considerato l’avamposto nella lotta al crimine organizzato: Palermo. La voragine che si è aperta nel Tribunale del capoluogo siciliano sta inghiottendo i vertici della sezione Misure di prevenzione, per una presunta storia di corruzione e abuso d’ufficio legata alla gestione dei beni confiscati alla mafia, con un giro d’affari milionario che vede coinvolti un giudice e anche suoi familiari. Dal sindacato togato, nel giorno d’apertura del loro congresso, Palazzo Chigi si attendeva "almeno un cenno d’autocritica", invece "proprio mentre sono sotto scacco loro, pensano di mettere sotto attacco noi". È vero, il braccio di ferro tra il governo e l’Anm era già in atto, un conflitto strisciante che non era diventato guerra aperta perché - quando venne varata la norma sulla responsabilità civile dei magistrati - Renzi era riuscito a spostare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle loro ferie. Ma il tema delle intercettazioni per l’Anm è un totem come lo era l’articolo 18 per i sindacati. E Sabelli ha sferrato il colpo, o forse si è sentito in dovere di sferrarlo, se è vero che - in recenti conversazioni riservate - ha confidato ad un esponente dell’esecutivo di sentirsi "pesantemente pressato dalla base", aggiungendo di non vedere "l’ora di finire il mandato". Il suo teorema, pronunciato per di più davanti al capo dello Stato, ha spinto - e non a caso - il vice presidente del Csm Legnini a prendere le pubbliche distanze. E soprattutto ha innescato la reazione del governo. Il primo ad accendere ieri i riflettori su Palermo e sul "messaggio devastante" che quell’indagine "per reati gravissimi" sta trasmettendo al Paese, è stato il ministro dell’Interno. Poco dopo - altro fulmine a ciel sereno - il ministro della Giustizia con un’inusuale dichiarazione all’ Ansa ha annunciato che "l’ispezione" al Tribunale siciliano "si chiuderà nel giro di alcuni giorni". Come non bastasse, Orlando ha voluto evidenziare una norma "da noi varata per mettere un tetto ai compensi degli amministratori di beni confiscati". Così ha messo il dito nella piaga, dando anche lui evidenza a un caso finito al centro di un’inchiesta. Le sortite dei due ministri sono parse altrettanti messaggi alle toghe e al loro presidente, una risposta all’ excusatio non petita pronunciata da Sabelli, che aveva respinto "la falsa immagine di una corporazione volta alla difesa dei propri privilegi", e aveva rigettato l’idea di una magistratura "rappresentata come un ceto elitario e oligarchico". Sarà, ma da giorni sulle scrivanie di molti dicasteri e di Palazzo Chigi giace l’intervista a Panorama dell’avvocato Cappellano Seminara, coinvolto nell’indagine a Palermo. Una sua frase è segnata con l’evidenziatore: "In tutti i Tribunali ci sono familiari di giudici che assumono incarichi assegnati dallo stesso distretto giudiziario in cui operano i congiunti". Con l’approssimarsi della riforma sulle intercettazioni era chiaro che la tregua tra Renzi e le toghe non avrebbe retto. Non è ancora chiaro, però, fino a che punto si spingerà il conflitto, in una fase segnata da scandali e manette. Di certo il premier non poteva che reagire davanti al teorema di Sabelli: "La nostra generazione di politici - dice Alfano come a farsi portavoce del governo - è quella che ha più contrastato la mafia e che ha ottenuto grandi risultati". La miccia è accesa. Giustizia: la guerra fredda tra le toghe e Renzi di Andrea Fabozzi Il Manifesto, 24 ottobre 2015 L’Anm apre il congresso parlando di "delegittimazione". Critiche al giustizialismo del governo. Sabelli: delega in bianco, più attenti alle intercettazioni che alla corruzione. Tensione sulla responsabilità economica del giudice con Legnini. Da quattro anni Silvio Berlusconi non è più a palazzo Chigi, da due non è neanche in parlamento, tra la magistratura associata e il potere politico non è scoppiata la pace. Ma una tensione sotterranea che il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli, aprendo ieri a Bari il congresso dell’associazione, ha definito "meno accesa nella forma ma più complessa". La temperatura dell’informazione è quella che è; chi un tempo si scaldava per le idee del cavaliere tende a restare di ghiaccio quando le stesse proposte vanno a segno con il governo Renzi. Raffredda sempre gli animi il ministro della giustizia Orlando. "Doroteo" secondo il presidente del Consiglio che lo tollera in via Arenula, di certo capace di arrotondare gli spigoli con le toghe. Così i magistrati hanno subìto la stretta sulla responsabilità civile senza un giorno di sciopero, mentre Renzi li dipingeva come lavativi. Ieri Sabelli ha infilato il veleno nella coda della relazione. E ha parlato di una "consapevole strategia di delegittimazione" delle toghe. Delegittimazione, come una stagione politica fa. Il presidente della Repubblica Mattarella è andato via appena conclusa la relazione, il vicepresidente del Csm Legnini (che pochi giorni fa era salito al Colle per affrontare il problema del corporativismo nell’organo di autogoverno dei giudici) è rimasto, ma non si è schierato con Sabelli. Al contrario, ne ha preso le distanze rispetto a un altro passaggio polemico del numero uno dell’Anm con il governo. "Il tema delle intercettazioni ha finito con l’assumere una centralità perfino maggiore dell’attenzione dedicata ai problemi strutturali del processo e a fenomeni criminali endemici", ha detto Sabelli. "Sono in disaccordo, bisogna essere equi nel valutare l’impegno del parlamento, oggi gli strumenti di contrasto alla corruzione sono molto più efficaci del passato", ha detto Legnini, deputato Pd e sottosegretario del governo Renzi fino alla nomina nel Csm. Non ce l’ha con noi, hanno sostanzialmente risposto sia il ministro Orlando che il responsabile giustizia del Pd Ermini. Che ha aggiunto: "Non bisogna fare confusione, fino ad oggi né il governo né il parlamento hanno messo mano al sistema delle intercettazioni". Ma Sabelli ha centrato il problema: la camera ha approvato un disegno di legge delega sulla riforma del processo penale con dentro il mandato alla stretta sulle intercettazioni, "delega che per la sua genericità" avrà "l’effetto di sottrarre al legislatore ordinario un’approfondita riflessione su aspetti così delicati". La "complessa tensione" tra governo e toghe è tutta nel titolo del 32esimo congresso: "Giustizia, economia, tutela dei diritti". Con il vertice del Csm piuttosto sbilanciato dal lato del governo, se è vero che è stato proprio Legnini a luglio a aprire il fronte della "responsabilità economica" dei giudici. Sulle prima pagine il sequestro degli stabilimenti Fincantieri a Monfalcone, lo scontro sull’Ilva con gli altoforni killer riaccesi per decreto, ma anche le sentenze della Corte costituzionale sulla rivalutazione delle pensioni e il blocco dei contratti pubblici, quando Legnini raccomandò: "Cogliere e prevedere l’impatto delle decisioni giudiziarie sull’economia non può più essere considerato un tabù". "Ormai si parla apertamente di costo dei diritti sociali", ha risposto ieri Sabelli, citando il diritto alla salute e quello alla sicurezza sul lavoro. "Ma è proprio in tempo di crisi - ha aggiunto - che diviene più pressante la necessità di tutelare i diritti sociali". Da Sabelli sono arrivati anche complimenti al governo, e non sugli argomenti più facili per i magistrati: "Le riforme delle tenuità del fatto, della messa alla prova, la chiusura degli ospedali psichiatrici e la riduzione del sovraffollamento carcerario vanno apprezzate", ha detto. Misure però contraddette "dal mancato esercizio della delega in materia di pene detentive non carcerarie e dal previsto aumento delle sanzioni per taluni reati comuni", un "cedimento a generiche istanze securitarie e appetiti giustizialisti" incoerente con "la timidezza mostrata nel contrasto alla corruzione". Un’intelligente attenzione alle garanzie da parte dell’Anm che purtroppo troverà meno attenzione della polemica sul correntismo. Per la gioia di un governo che continua a schierare il sottosegretario Cosimo Ferri, capo corrente di Magistratura indipendente (di lui si parlava ieri sul Corriere perché citato nell’indagine sulla giudice Saguto di Palermo). Giustizia: allarme corruzione per l’economia e per la politica di Gianluca Luzi La Repubblica, 24 ottobre 2015 Il dilagare della corruzione in Italia preoccupa Matteo Renzi per almeno due motivi, al di là del senso di sdegno e disgusto che deve provare ogni cittadino mediamente onesto. Il primo motivo è che il cancro della corruzione con il suo fatturato di 67 miliardi l’anno e una malattia ormai endemica che danneggia gravemente l’economia italiana. Perché non c’è solo il costo puro e semplice (i 67 miliardi, appunto), ma anche i danni collaterali: i maggiori costi legati alla realizzazione degli appalti pubblici, i mancati investimenti stranieri che vengono scoraggiati dalla pratica delle tangenti e della burocrazia da corrompere per ottenere quanto dovuto legittimamente, il danno alla concorrenza da parte di quelle aziende e di quegli imprenditori che pagano mazzette a politici e funzionari. La pessima qualità dei servizi pubblici e delle opere realizzate male con gravi danni per i cittadini come si vede ogni giorno a Roma e nel Mezzogiorno, ma non solo. Uno scenario da paese africano, asiatico o sudamericano che genera un senso di disgusto e soffocamento in tutto il Paese. E infatti - e siamo al secondo motivo di preoccupazione per Renzi - il movimento di Grillo, il M5S, viaggia sempre su percentuali altissime e, in assenza della destra ormai in disfacimento, sarà con i Cinquestelle che Renzi se la dovrà vedere alle prossime elezioni con ogni probabilità. E sicuramente se la vedrà fra pochi mesi quando si voterà a Roma. Il fatto poi che negli scandali siano coinvolti, come a Roma, non solo politici di destra ma anche del Pd, non fa che aumentare questo allarme. Molti dicono che se si votasse oggi Roma sarebbe persa per il Pd e il prossimo sindaco sarebbe del M5S. Certo è che la corruzione ha generato un sentimento di ripulsa degli elettori verso i partiti tradizionali. È questo spiega anche il consenso (le cinquantamila firma a sostegno) al sindaco dimissionario Marino che, galvanizzato da quelle firme che non esprimono consenso per lo stato disastroso della Capitale ma esprimono solo fiducia nell’onesta di Marino e odio nei confronti del Pd che l’ha sfiduciato, ha annunciato nell’intervista a Repubblica che alle prossime primarie del Pd vorrà esserci anche lui. Un grosso problema, quello di Marino, per Renzi e per il Pd che dalla vicenda di Mafia Capitale e dei due anni di Marino in Campidoglio esce con le ossa rotte. Il sindaco dimissionario non se ne andrà senza aver coinvolto anche il suo partito in un voto lacerante in consiglio comunale. Con le opposizioni di destra all’attacco come se le responsabilità di Alemanno fossero dimenticate e cancellate. E con i Cinquestelle pronti a raccogliere la Capitale in frantumi. Giustizia: va in tv e mostra una pistola finta, è bufera sul leghista Buonanno di Bruno Vespa Il Mattino, 24 ottobre 2015 Cambiare la legge e censurare un idiota come lui. Legittima difesa: adesso il rischio è che prevalga un clima da Far West. Ecco perché la legge va corretta. Mostrarsi in televisione brandendo una pistola, come ha fatto ieri il leghista Gianluca Buonanno, significa parlare alla pancia del pubblico e produrre un effetto devastante sulle personalità più fragili e inquiete. Mentre per migliorare la legge sulla legittima difesa occorre ragionare con la testa. Una riforma della legge già fu fatta dal governo Berlusconi nel gennaio del 1996, poche settimane prima delle elezioni vinte da Prodi. Il centrosinistra votò contro perché sembrava una legge troppo permissiva. Si dette infatti per scontato che una persona aggredita in casa potesse reagire anche uccidendo l’aggressore senza patirne le conseguenze e senza che la reazione fosse necessariamente proporzionata all’offesa. In realtà, nelle leggi italiane i dettagli contano più della sostanza (apparente). La reazione violenta del proprietario è giustificata infatti solo se vi sia pericolo d’aggressione e non vi sia desistenza da parte dell’intruso. Che cos’è il pericolo di aggressione? Se il ladro albanese si presenta di notte al pensionato lombardo sulla scala esterna che conduce in casa, sapendola abitata, il pericolo d’aggressione c’è o no? Una persona normale ritiene che ci sia e il fatto che si scopra più tardi che il ladro non fosse armato è del tutto irrilevante perché il pensionato non lo sapeva. Il comma sulla desistenza è abbastanza grottesco se interpretato come obbligo dell’avviso. "Signor ladro, guardi che se non se ne vale sparo". Diverso è il discorso se il ladro scappa prima di aver compiuto il furto o la rapina. Non si dovrebbe sparare alle spalle a uno che ci ha provato. Se invece i ladro sta scappando dopo aver ripulito una casa o - peggio - aver sequestrato o abusato di una donna, è difficile chiedere alla vittima di limitarsi a insultarlo dalla finestra: "Lei è un gran mascalzone e ringrazi Iddio se pur avendo una pistola non posso spararle". È il caso di un tabaccaio di 75 anni che nel 2003 fu malmenato e minacciato da rapinatori. Si difese sparando: mancò gli aggressori mentre erano nel negozio, li inseguì continuando a sparare, ne ammazzò uno e ferì seriamente un secondo. Il pubblico ministero chiese di condannarlo a nove anni, in primo grado fu condannato a un anno e otto mesi e assolto in appello (con restituzione della pistola) perché i giudici disse che il tabaccaio era convinto di aver agito per legittima difesa, anche se questa di fatto non c’era più. Altri suoi colleghi sono stati meno fortunati. Saranno gli esperti a decidere come intervenire. A patto che vadano alla sostanza del problema, badando non solo alla norma scritta, ma come quella norma può essere interpretata dai magistrati, senza oscillazioni che non giovano alla certezza del diritto e della pena. Quando il pensionato lombardo dice di aver subito uno "stupro psicologico" incancellabile, usa un’espressione elegante per significare la devastazione che portano con sé episodi come questo. Ha ragione il segretario generale del sindaco di polizia Sap a dire che sono i malviventi a dettare le regole d ingaggio: loro sanno se sono o non sono armati, se vogliono picchiare le vittime o soltanto derubarle. Queste cose la vittima non le sa e non si può chiederle di immaginarle. La grande maggioranza dell’opinione pubblica è per autorizzare la risposta armata senza se e senza ma e il leghista con la pistola in video si candida a esserne il portabandiera. Se si vuole evitare il Far West, è bene provvedere al più presto con buon senso. Lettere: non solo punizioni, ai giudici date i mezzi di Paolo Auriemma (Magistrato) Il Tempo, 24 ottobre 2015 Una recente proposta di modifica normativa ha riaperto, nella Magistratura, la discussione sul sistema disciplinare. La critica che, nel nostro Paese, viene portata al sistema disciplinare, è quella di giungere alla punizione - in misura, va detto, di gran lunga superiore rispetto all’estero - di chi viola le regole, con un formalismo che non sanziona reali scorrettezze ma violazioni di regole formali, frutto, troppo spesso, di disorganizzazioni amministrative e gestionali su cui nessun magistrato è in grado di incidere. All’interno della Magistratura, tutto ciò viene recepito con differenti sensibilità: vi è chi esprime tutta la preoccupazione per un sistema così indirizzato, cerca di farne rilevare le nevralgicità e talvolta, con toni aspri, contesta l’incapacità, a suo dire, di un organo disciplinare che non tiene conto delle difficoltà che soffrono gli Uffici giudiziari, gravemente carenti di personale amministrativo. Molto più grave l’atteggiamento di quella porzione della Magistratura che rivela un moto di fatalismo rispetto a una situazione la cui analisi la quasi totalità dei giudici e dei pubblici ministeri condividono. Il vero pericolo, la minaccia reale a un sistema che vede tra le principali funzioni di uno Stato il controllo di legalità, è costituita dalla assuefazione a un controllo condizionante che spinge a un conformismo governato da una prudenza. Il giudice che non sa rischiare spingendo la sua attività alla ricerca di nuove strade, che non vuole ascoltare l’avvocato che propone scelte innovative, che non prepara la via per un Legislatore che cristallizzerà in una legge quanto nelle sentenze è emerso, tradisce il proprio ruolo, diventa un pavido burocrate incapace di assumersi responsabilità. La prova di ciò è l’atteggiamento nei confronti delle ispezioni ministeriali, che un tempo rappresentavano l’occasione del capo dell’Ufficio e dei magistrati a lui sottoposti di evidenziare i risultati conseguiti e le pratiche adottate che potevano esser fatte conoscere agli altri Uffici, e oggi costituiscono solo un ineludibile momento in cui potrebbero esser rivelati errori di cui né il magistrato né la struttura organizzativa si sono mai resi conto. Ma ben vengano questi momenti se sono utili a sanare carenze organizzative, persino se servono a rilevare colpe che hanno portato a comportamenti che, in futuro, potranno esser eliminati. Purtroppo, all’esito di una ispezione, emergeranno, nella migliore ipotesi, carenze che potranno esser affrontate solo con una modifica organizzativa che, nella povertà del sistema, creeranno danni in altro settore, nella peggiore errori che assumono rilievo disciplinare. A tal proposito, si pensi a tutto il nuovo sistema del processo telematico nel settore civile, ove adempimenti che prima erano riservati alla segreteria sono oggi riversati sui giudici che richiedono ausilio, nel caratteristico non dire della legge, agli avvocati che evitano, in molte occasioni, di fornirlo ritenendolo al di fuori dei loro doveri, generando una sorta di conflittualità tra categorie professionali, con ricadute negative sul sistema. L’occasione per il riaccendersi della discussione è stata una proposta che vorrebbe sanzionare il ritardo nella iscrizione degli indagati, fatto che incide sulla durata delle indagini. Ma la proposta è vaga, chi la formula, forse, non ha idea del numero di procedimenti che quotidianamente giungono in una Procura, non sa, è da ritenersi, che tali Uffici, i cui magistrati sarebbero attinti da tale illecito, già fondano la propria attività sull’utilizzo di forze di polizia estranee alla struttura amministrativa civile del Ministero della Giustizia, che, in caso di approvazione, ancor più potrebbero esser distolte dai propri primari compiti di indagine. Almeno fino a quando anche questo non sarà illecito disciplinare per i magistrati. Lettere: ma le toghe non devono sostituirsi agli esecutivi di Francesco Petrelli (Segretario Unione Camere Penali) Il Tempo, 24 ottobre 2015 Ci è parsa assai interessante la forte denuncia che nella sua Relazione il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Rodolfo Sabelli, ha fatto della "pericolosa prospettiva tecnocratica" che realizzandosi vedrebbe il primato dell’economia sulla politica e sulla giurisdizione. Ma occorrerebbe portare a termine questa osservazione applicandola proprio al tema della riforma della giustizia e del processo. Non sfugge forse al presidente Rodolfo Sabelli che questa pericolosa deriva, al tempo stesso tecnocratica ed economicistica, mina in profondità il modello di processo che la magistratura da tempo avalla?Un modello in cui non è la qualità politica delle libertà e delle garanzie ad essere posta al centro dell’assunto valoriale, ma la quantità dei fascicoli smaltiti, l’efficienza della "macchina" al di là e al di sopra della qualità della giurisdizione. A dispetto della centralità della dignità dell’uomo, sia imputato che vittima, si prospettano infatti non solo processi infiniti, in cui la prescrizione sia sostanzialmente abolita per reati più gravi, ma processi fatti "a distanza" in cui la spersonalizzazione disumanizzante trasforma il contraddittorio in semplice icona. Non è forse anche questo un modo in cui tecnocrazia ed economia finiscono con il minare in radice la civiltà dei giudizi? Come può coniugarsi il richiamo al principio di oralità, con l’idea che i processi possano essere fatti da un imputato detenuto, che non può confrontarsi con le prove d’accusa, con i testimoni e con il giudice, e che assiste al suo processo, lontano dal suo difensore, attraverso un video. E come può invocarsi l’Europa, sostenendo la modificabilità del giudice nel corso del processo, mentre l’Europa condanna la violazione del principio di immediatezza, dimenticando che i giudici sovranazionali hanno condannato l’uso disinvolto che si è fatto della elaborazione giurisprudenziale nel caso Contrada, sostenuta e promossa dalla stessa magistratura, contro il principio di legalità. Ma l’invito del presidente Rodolfo Sabelli deve essere portato fino in fondo. Che la politica riprenda, dunque, il suo primato sull’economia, ma lo riprenda anche sulla giustizia. Decida liberamente e senza condizionamenti quali debbano essere i valori fondanti della nostra civiltà giudiziaria, scelga un modello aderente ai principi della nostra costituzione e lo realizzi con convinzione, fino in fondo. Fino a ribadire la necessità del giudice terzo (e dunque separato) come indeclinabile presupposto del processo accusatorio. Decida autonomamente la politica delle leggi che devono governare il Paese e i suoi processi, senza preoccuparsi del fatto che alla magistratura questa o quella norma non piace, che venga giudicata troppo debole o "deludente", perché le leggi non si fanno perché piacciano a chi le deve applicare, ma perché rispondano ai principi costituzionali e convenzionali che tutelano le libertà di tutti noi cittadini. Decida quali debbano essere gli equilibri fra poteri, senza lasciarsi condizionare dalla logica manichea che traspare dal giudizio dell’Associazione Nazionale Magistrati sulla riforma del Consiglio Superiore della Magistratura e sui rapporti fra Magistratura e Politica e fa gridare alla "delegittimazione". Rifletta su questo il presidente Rodolfo Sabelli e finiremo con l’essere d’accordo su ciò che il processo penale potrà essere in futuro nel nostro Paese, sottratto agli imperanti moduli dell’economia e della tecnocrazia. Lettere: l’uomo con la pistola scarica di Aldo Cazzullo Corriere della Sera, 24 ottobre 2015 Gianluca Buonanno, europarlamentare della Lega Nord e sindaco di Borgosesia (Vercelli), durante un collegamento con SkyTg24, impugna una pistola e la mostra davanti alla telecamera. L’uomo con la pistola in tv è una scena che lasceremmo volentieri al Sudamerica anni Settanta. A maggior ragione se l’uomo è un europarlamentare italiano. A maggior ragione se l’europarlamentare è Gianluca Buonanno, che sarebbe anche un bravo amministratore (almeno a giudizio dei suoi amministrati) se non fosse convinto di avere il talento del provocatore. Buonanno finora ha vinto tutte le elezioni cui ha partecipato. Il suo metodo è questo. Fa il nido in un comune, preferibilmente della Val Sesia - terra un tempo rossa e ora leghista, si fa eleggere sindaco, si fa rieleggere, si trasferisce nel comune a fianco. È stato così per due mandati sindaco di Serravalle Sesia, quindi sindaco di Varallo Sesia, poi sindaco di Borgosesia. A Romagnano Sesia sperano, o tremano. Nipote d’arte - suo nonno era la spalla di Petrolini, si considera anche un grande attore d’avanspettacolo. Ex missino, leghista di destra quindi ora al potere con Salvini, alla Camera è stato il deputato più assiduo, ai limiti della molestia, abbandonandosi a ogni sorta di provocazione, in particolare omofoba, portando in aula vari prodotti ortofrutticoli (banane, finocchi). Ha anche preso più di 20 mila preferenze alle Europee. Eppure non è mai pago di se stesso. Da qui la sceneggiata da armaiolo a Sky. Purtroppo, se Buonanno non è serio, la vicenda lo è. Il tema della legittima difesa, dell’insicurezza, dell’impunità del male, della paura è centrale nella discussione pubblica italiana. Risolverlo mostrando una pistola - "una carcassa" come ha subito ghignato lui - è una scorciatoia sicura per finire sui siti di tutto il mondo, ma non avvicina di un passo alla soluzione, anzi. È stata brava, come al solito, Federica De Sanctis, la conduttrice Sky, a evitare la reazione enfatica che il pistolero si augurava. Ora dovremmo continuare noi. Di Buonanno abbiamo scritto fin troppo. Annota Javier Cercas nel suo ultimo, straordinario libro, L’impostore, che "con certe persone la peggior punizione è il silenzio". Lettere: caro Pigliatone, ma quindi è mafia o no? di Claudio Cerasa Il Foglio, 24 ottobre 2015 Le parole del procuratore e la mafia a Roma che vale solo come brand. Ma quindi, procuratore, è mafia oppure no? Nella dotta intervista rilasciata ieri al Corriere della Sera da Giuseppe Pignatone c’è un passaggio significativo che a voler essere maliziosi segnala un’involontaria presa di distanza semantica messa in campo dal procuratore di Roma rispetto alla grande inchiesta portata avanti dalla sua stessa procura di Roma: Mafia Capitale. Pignatone sostiene, en passant, che effettivamente, l’inchiesta delle inchieste, lo scandalo dello scandalo, non è un’inchiesta esplicitamente incentrata sulla mafia ma è l’inchiesta su un metodo para mafioso. "Non sto a ripetere - dice Pignatone - che si tratta di associazioni ovviamente diverse da Cosa nostra e ‘ndrangheta, ma che ugualmente ricorrono al metodo mafioso per raggiungere i propri obiettivi". O per bacco, procuratore, ma quindi è mafia oppure no? Lo diciamo non per voler essere ossessivi -la fissazione, si sa, è peggio della malattia - ma perché dalle sue parole si desume che la sua procura ha volutamente giocato con le parole usando in modo deliberato, spregiudicato e generico la parola "mafia". Mettere "mafia" accanto a "capitale" significa, ci perdoni, creare un collegamento emotivo tra la corruttela da quattro soldi romana e la mafia vera di Cosa nostra e della ‘ndrangheta e significa, ci perdoni, trasformare l’inchiesta in un brand offerto a favore di telecamera. Un’operazione che può essere comprensibile per un Sollima o un De Cataldo ma, ci perdoni, un po’ meno per una procura della Repubblica come la sua che in teoria dovrebbe tenere ben distanti le sirene del circo mediatico-giudiziario. Abruzzo: nomina del Garante dei detenuti, Rita Bernardini in sciopero della fame emmelle.it, 24 ottobre 2015 La candidata radicale inizia la protesta per sensibilizzare il Guardasigilli alle carenze nella magistratura di sorveglianza. Uno "sciopero della fame di dialogo", a partire dalla mezzanotte, nei confronti del ministro della Giustizia, Andrea Orlando: lo ha annunciato la segretaria dei Radicali Italiani, Rita Bernardini, candidata a Garante dei detenuti in Abruzzo, per suscitare attenzione sulla carenza degli organici della magistratura di sorveglianza. "Ho girato quasi tutte le carceri italiane, più di 200. In tutte i detenuti dicono che non funziona la magistratura di sorveglianza, perché presentano le istanze e non ricevono risposte. Gli organici sono insufficienti - ha detto in conferenza stampa a Teramo, annunciando l’iniziativa -. Qui in Abruzzo ci sono oltre 1.700 detenuti, 8 istituti penitenziari, i magistrati previsti sono 5, compreso il presidente, che però è un posto vacante: il presidente del tribunale dell’Aquila non c’è. Un giudice dovrebbe seguire, in base all’ordinamento, 250 istanze: qui ne hanno ciascuno 420. Quindi i detenuti non vengono seguiti come dovrebbero esserlo. Su 1.600 assistenti sociali ce ne sono in esercizio 900. Per questo inizierò da mezzanotte uno sciopero della fame, affinché venga affrontato questo problema: lo inizio per tutta Italia, ma mi piace farlo qui, dall’Abruzzo". Con lei a Teramo oggi c’erano il segretario di "Amnistia, Giustizia e Libertà Abruzzi", Vincenzo Di Nanna, e Riccardo Chiavaroli di Forza Italia. "Non era affatto scontato che oggi potessimo presentare Rita Bernardini come candidata a Garante dei Detenuti - dichiara Di Nanna - perché era stata illegittimamente esclusa con un provvedimento amministrativo dal contenuto politico". Il Tar ha riammesso la candidatura di Rita Bernardini l’8 ottobre scorso: l’esclusione è stata annullata perché illegittima. "La competenza della decisione spettava ai capigruppo del Consiglio regionale d’Abruzzo e non agli uffici amministrativi, che avevano scartato la candidatura per motivi infondati prima che potesse essere discussa dalla Regione". La candidatura, ha ricordato Di Nanna, "ha ricevuto l’appoggio di tutte le forze politiche esistenti. Anche il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio (M5S) ha dichiarato il suo appoggio; Forza Italia tramite l’ex ministro Brunetta; il Nuovo Centrodestra, tra le prime dichiarazioni, con Paolo Tancredi; fino a Rifondazione Comunista". Napoli: inaugurato nel carcere di Pozzuoli "l’ambulatorio del dolore", è il primo in Italia di Cristina Zagaria La Repubblica, 24 ottobre 2015 È la prima applicazione in Italia della legge 38 del 2010 in un istituto penitenziario. Proteggere dal dolore chi deve scontare una pena. Concetto semplice, ma rivoluzionario. È stato inaugurato oggi nel carcere femminile di Pozzuoli un ambulatorio del dolore, pensato tra le iniziative per la tutela del diritto alla salute delle persone detenute. È il primo carcere in Italia. Nel 2010 a legge 38 ha infatti indicato alle strutture del Sistema sanitario nazionale quale organizzazione, approccio e modalità occorre avere per combattere il dolore fisico provocato dalla malattia. A cinque anni di distanza questa legge non è mai stata applicata nelle carceri italiane. Parliamo di diagnosi e gestione del dolore (artritico, reumatico, oncologico) da parte di specialisti e dell’uso anche di oppiacei. L’ASL Napoli 2 Nord e la Casa circondariale femminile di Pozzuoli hanno avviato un percorso organizzativo volto a garantire alle detenute le prestazioni sanitarie necessarie ad introdurre la lotta contro il dolore fisico. Il 20 per cento dei detenuti sono potenzialmente interessati alle attività dell’ambulatorio. Molti sono ex tossicodipendenti o provengono da vite in condizioni estremamente difficili e sono particolarmente soggetti al dolore cronico. Promotori dell’iniziativa, tra gli altri, Pietro Vassetti e Chiara Cafora, del centro hub riconosciuto dalla Regione Campania Asl Napoli 2 nord, in accordo con Antonio Cajafa, responsabile dell’unità operativa di Medicina Penitenziaria dell’Asl Napoli 2 nord. Tra i promotori anche il dottor Antonio Cajfa, responsabile della medicina penitenziaria per l?asl Napoli 2 Nord. Alla cerimonia di inaugurazione è seguita una tavola rotonda sul tema "carceri, territorio senza dolore?", alla quale ha partecipato anche l’avvocatessa Francesca Sassano, autrice del libro sulla "latitanza" della legge 38/2010, che contiene "Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore". Viterbo: "Diritti in campo", perché recuperare un detenuto è un fatto di democrazia di Riccardo Valentini viterbopost.it, 24 ottobre 2015 Il carcere è parte del territorio e al suo interno ci sono persone in carne e ossa che hanno bisogno di interventi che servono anche alla società esterna. Perché recuperare un detenuto significa far funzionare la democrazia e garantire maggiore sicurezza. Questo è il messaggio politico che abbiamo voluto lanciare con l’iniziativa "La condizione carceraria. Realtà e prospettive" svoltasi a Marta subito dopo il Triangolare di Calcio "Diritti in Campo" con le Nazionali giornalisti sportivi Rai e jazzisti organizzato assieme all’Associazione Pianeta Giustizia Viterbo. Oltre al sottoscritto, sono intervenuti Teresa Mascolo (direttore della casa circondariale "Mammagialla" di Viterbo), Lucia Catanesi (sindaco di Marta), l’avvocato Ottavio M. Capparella (presidente associazione Pianeta Giustizia), l’avvocato Mirko Bandiera (presidente della Camera Penale di Viterbo) e Lillo De Mauro (presidente consulta penitenziaria Roma Capitale). Dobbiamo investire sulle ludoteche all’interno degli istituti penitenziari per garantire ai bambini dei detenuti un ambiente che sia il più accogliente possibile. Altro aspetto prioritario è poi la Sanità. Ciò significa garantire standard di assistenza sanitaria alle fasce sociali più deboli presenti all’interno del carcere. Bisogna inoltre investire sui mediatori culturali perché l’integrazione all’interno delle case circondariali è di fondamentale importanza. Infine l’altro aspetto importante è quello della formazione, decisiva per il reinserimento e l’inclusione sociale dei detenuti. Oggi non c’è più il problema del sovraffollamento perché siamo vicini ai 42mila detenuti che è il massimo consentito. Ma ci sono comunque tutti gli altri problemi, soprattutto quelli che derivano dalla non totale applicazione della riforma Gozzini, in un Paese come il nostro in cui la pena è recuperativa e non punitiva. Occorre puntare su formazione e lavoro due leve importanti e tra le maggiori richieste dei detenuti che quotidianamente e con molta forza vogliono lavorare con l’obiettivo di apprendere un mestiere e poterlo esercitare. La politica deve interessarsi del problema carcerario con coraggio, perché il detenuto non chiede di non scontare la pena. Chiede invece di vivere con dignità. Ed è questa la parola in cui tutto si racchiude. Dignità dell’Uomo. E l’istituzione ha l’obbligo di tutelarla in tutte le sue forme. Viterbo: al carcere di Mammagialla fiaccolata dei Sindacati della Polizia penitenziaria newtuscia.it, 24 ottobre 2015 Le scriventi segreterie provinciali dopo aver indetto lo stato di agitazione durante una riunione con la locale direzione, per problematiche relative alla sicurezza del personale di polizia penitenziaria dell’istituto di Viterbo, decidono di passare alle vie concrete indicendo una manifestazione pacifica di protesta per il 28 ottobre. Dal 2009, continuamente segnaliamo anomalie all’impianto di illuminazione dell’istituto; la locale direzione ha più volte scritto ma dal centro nessuno ha mai preso provvedimenti o stanziato un solo euro. Un istituto delicato come Viterbo è completamente lasciato al suo degrado. L’impianto d’illuminazione esterno è quasi totalmente spento, la visibilità al buio è praticamente nulla. Se dovesse succedere un evento critico pagherebbe solo il personale addetto a quel posto di servizio che, nonostante le ripetute note aventi ad oggetto il ripristino dell’impianto di illuminazione dell’intero istituto, non potrebbe far altro che "rantolare al buio". Solo in data odierna (e per scongiurare la manifestazione annunciata) dal Prap Lazio inviano una nota con cui dicono di voler risolvere il problema al più presto. Balle, vogliamo i fatti. In sei o sette anni di richieste, il problema non si è mai (voluto) risolvere. Non si può ulteriormente tollerare una simile situazione. Inoltre, l’approvvigionamento del vestiario è fermo da diversi anni e le divise del personale sono fatiscenti e non più degne di un corpo di polizia dello Stato. Il personale che in servizio incappa in un infortunio è costretto ad andare al pronto soccorso con i propri mezzi chiedendo un permesso orario. Per questi e altri motivi, mercoledì 28 ottobre, dalle 17,30 manifesteremo con una fiaccolata davanti all’istituto. La stampa e la politica locale sono invitate a toccare con mano la reale situazione del pericolo in cui versa l’istituto di Viterbo, importante tassello della sicurezza cittadina. Salerno: per gli ex detenuti al via un progetto sperimentale di psicoterapia di gruppo di Luigi Fortino Cronache dal Salernitano, 24 ottobre 2015 "Siamo pronti a dar vita ad un progetto sperimentale di psicoterapia di gruppo che, muovendo i primi passi con la necessaria cautela, punti ad un raggio d’azione molto più ampio ed incisivo". Sarà la psicologa Annamaria Di Genio a guidare fa pattuglia di operatori che in un primo momento agirà su un numero massimo di sette soggetti. Recupero sociale, inserimento in un circuito lavorativo, controllo degli impulsi: sono queste le principali direttrici ma non certo le uniche, che ispirano un ambizioso e lodevole progetto dell’Uosm (Unità Operativa di Salute Mentale) dell’Asl, rivolto agli ex detenuti. Il direttore della struttura, lo psichiatra Antonio Zarrillo, annuncia l’imminente avvio dell’iniziativa con evidente soddisfazione. "Finora - spiega - le attenzioni di recupero sono state spesso rivolte ad alcolisti e ludopatici. Per gli ex detenuti o soggetti sottoposti a misure di sicurezza o agli arresti domiciliari si fa abbastanza al Nord, molto poco al Sud. In Piemonte, ma soprattutto a Trieste, sono state messe in campo azioni di grande efficacia, capaci di determinare un recupero completo ed un effettivo reinserimento. Ora ci proviamo molto convinti noi. Ecco perché siamo pronti a dar vita ad un progetto sperimentale di psicoterapia di gruppo che, muovendo i primi passi con la necessaria cautela, punti ad un raggio d’azione molto più ampio ed incisivo". Sarà la psicologa Annamaria Di Genio a guidare la pattuglia di operatori che in un primo momento agirà su un numero massimo di sette soggetti. Il progetto, a scadenza annuale, si snoderà attraverso una serie di incontri a cadenza settimanale della durata compresa tra le due e le tre ore. La specificità dell’iniziativa impone delle scelte operative che si discostano da quelle adottate nei confronti di individui affetti da dipendenze, come sono appunto alcolisti e ludopatici o, se vogliamo, tabagisti. La partecipazione agli incontri degli ex detenuti, che presentino problematiche psicologiche, dovrà essere ovviamente autorizzata dalla magistratura, chiamata, con le forze dell’ordine, ad agire in stretta collaborazione con gli operatori sanitari. Il carattere sperimentale suggerisce perora di limitarsi a sette partecipazioni. Ma l’Uosm non si ferma a questo unico piano di reinserimento sociale, che in ogni caso richiede molteplici sforzi affinché centri l’obiettivo. L’equipe guidata dal dottor Zarrillo è vicinissima anche all’apertura di un laboratorio di arte-terapia per adolescenti, prevista per la metà di dicembre. Se ne occuperà in prima persona l’operatrice Rosita lervolino, che si avvarrà della collaborazione della sua collega Silvana Ruggia e delle assistenti sociali Cinzia Covone e Anna Salzano. La nascita di questo laboratorio sarà possibile grazie alla sensibilità dimostrata dal commissario Asl dottor Antonio Postiglione e dal dottor Giovanni Russo, i quali hanno assicurato ampia e convinta disponibilità. Importante e fattiva è stata anche la sollecitazione del dottor Walter di Munzio, capo dipartimento della Salute Mentale. "È in corso di allestimento - svelo infine il dottor Zarrillo - un centro di ascolto per famiglie in difficoltà, La sede sarà allestita nei locali di corso Garibaldi". Bologna: "La cura e la sicurezza" dopo la chiusura degli Opg, convegno lunedì 26 ottobre bologna2000.com, 24 ottobre 2015 A poco più di sei mesi dalla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), la Regione Emilia-Romagna propone una giornata di approfondimento sui temi emergenti. L’appuntamento è per lunedì 26 ottobre nella Sala 20 maggio 2012 della Terza Torre (viale della Fiera, 8) con il convegno "La cura e la sicurezza. Servizi psichiatrici e istituzioni giudiziarie in un paese senza Opg". Aprirà i lavori, alle 9.30, l’assessore regionale alle Politiche per la salute Sergio Venturi. Interverrà Vito De Filippo, sottosegretario di Stato alla Salute. Punto centrale del convegno, la collaborazione tra due istituzioni, servizio sanitario e giustizia che, a partire dalle diverse competenze, e alla luce delle profonde modifiche introdotte dalla legge 81/14, devono concorrere alla costruzione di percorsi per le persone affette da disturbi mentali autrici di reati. Il convegno vuole essere un’occasione per condividere una serie di riflessioni "prodotte" in questi mesi con tutti i soggetti interessati, e fare il punto sull’esperienza delle Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) finora attivate. Milano: i detenuti di Bollate realizzano stand riciclabile e a impatto zero per "Imperator" newsfood.com, 24 ottobre 2015 Lo spazio è solo in legno, cartoni riciclati e ecosostenibili. Lo ha realizzato nella sua falegnameria la cooperativa e.s.t.i.a, impresa sociale dove sono impiegati nella creazione di mobili e manufatti in legno i detenuti della casa penale di Bollate. A progettarlo per "Imperator", azienda di Trieste da 60 anni azienda importatrice di caffe verde delle migliori piantagioni mondiali, lo studio di design bolognese "Salamanca", con cui "Imperator" ha già realizzato un altra iniziativa sociale: una linea di borse create dal laboratorio di sartoria del carcere di San Vittore, riciclando i sacchi di juta da caffè utilizzati dall’importatore triestino. È questo il palcoscenico scelto da "Imperator" (stand F35 padiglione 13), da sempre gestita e diretta e diretta dalla famiglia Polojac, per la sua partecipazione a Host Milano, uno degli appuntamenti più importanti nel mondo del caffè, bar e vending. "La cifra della nostra attività è la cura assoluta dei dettagli in ogni passaggio della filiera del caffè, dalla sostenibilità, alla formazione e consulenza per ogni nostro cliente: produttori, torrefattori, baristi - spiega Alberto Polojac, responsabile acquisti di "Imperator" importatore triestino di caffè verde e presidente del Comitato di Sviluppo Internazionale di "Speciality Coffee Association of Europe" (Scae) - segniamo la nostra presenza a Host con un spazio che esprime in pieno questi concetti e il lavoro di altissima qualità di e.s.t.i.a e il design innovativo di Salamanca, sono la cornice più adatta per iniziative che presentiamo durante la manifestazione milanese". Nello spazio "Imperator" sono, infatti, in programma quattro workshop che coprono ogni fase della trasformazione del caffè, dal prodotto verde, alla degustazione, per arrivare fino a una grande tazza di caffe o a un altrettanto buon cappuccino. Verona: detenuto malato psichiatrico si ribella, sei agenti finiscono all’ospedale veronasera.it, 24 ottobre 2015 L’episodio è accaduto nel pomeriggio di ieri giovedì 23 ottobre, quando un detenuto con problemi psichiatrici si è rifiutato di rientrare in cella. Dopo qualche ora extra che gli era stata concessa, gli Agenti sono intervenuti dovendo però subire la sua violenta reazione. Spiacevole episodio nel carcere di Montorio a Verona accaduto nel pomeriggio di ieri giovedì 22 ottobre: un uomo che è detenuto oltre ad essere considerato un malato psichiatrico, ha richiesto con forza di poter restare all’aria aperta e di non essere ricondotto in cella. Gli sono state concesse alcune ore di tregua, ma essendo obbligati a farlo rientrare gli agenti della polizia penitenziaria si sono visti costretti ad intervenire. La reazione del detenuto è stata piuttosto violenta: dopo aver divelto un gabinetto in ceramica ne ha utilizzato dei frammenti per aggredire i poliziotti. Al termine della colluttazione il detenuto è stato riportato nella sua cella con le mani ferite dalla ceramica tagliente che aveva brandito poco prima. Mentre peggio è andata ai sei poliziotti che durante l’intervento hanno subito traumi e sono successivamente dovuti andare in Ospedale. Come riferito dall’Arena la direttrice del carcere ha voluto precisare che tutto quanto il personale impiegato per ripristinare la normalità all’interno del carcere, si è comportato con rigorosa professionalità e pacatezza. Padova: in carcere con i detenuti la Messa del Vescovo che inaugura il suo mandato Corriere Veneto, 24 ottobre 2015 Monsignor Cipolla ha scelto il Due Palazzi per la funzione ufficiale che inaugura il suo mandato. La mattina di domenica 25 ottobre, a distanza di una settimana dal suo ingresso ufficiale a Padova, il nuovo vescovo Claudio Cipolla, scelto personalmente da papa Francesco e già direttore della Caritas di Mantova, dirà la sua prima messa domenicale all’interno del carcere di via Due Palazzi. Peraltro, nel corso della celebrazione, don Claudio (così ha chiesto di continuare ad essere chiamato, invitando tutti a dargli del "tu") amministrerà pure i sacramenti della comunione e della cresima ad una persona detenuta da oltre vent’anni e poi s’intratterrà a pranzo con i volontari e catechisti della struttura, a cominciare da don Marco Pozza: "Per la nostra "parrocchia" - sottolinea il cappellano del Due Palazzi - è molto significativo essere la prima "comunità cristiana" che il vescovo visita, in uno stile sempre più in linea con il pontificato di papa Francesco che, in zone di periferia come la nostra, fa sentire la povertà come occasione di umanizzazione". L’Unhcr: "bambini trattati peggio che nelle carceri" di Jakub Hornacek Il Manifesto, 24 ottobre 2015 Repubblica Ceca. Rapporto sulle condizioni dei migranti. I centri di detenzione della repubblica Ceca per i migranti trovati senza documenti validi sul territorio ceco continuano a essere sotto critica da parte degli attivisti e del Difensore dei diritti civici Anna Sabatova. Nuovamente le critiche arrivano anche dalle Nazioni unite e in particolare è stato l’Alto commissario per i diritti umani, il giordano Zeid Ràad Zeid al-Hussein. "Secondo fonti autorevoli, la violazione dei diritti umani dei migranti da parte delle autorità ceche non è casuale né occasionale ma sistematica - ha sottolineato l’Alto commissario - allo scopo di dissuadere i migranti e i rifugiati dall’entrata nel Paese, o dal restare sul territorio nazionale". L’Alto commissario ha anche espresso forti dubbi sulla prassi di rinchiudere nei campi di detenzione praticamente tutti i migranti sans papiers trovati sul suolo ceco. Vengono così confermate le critiche espresse da mesi dagli attivisti a favore dei diritti dei migranti. La legislazione ceca non comprende finora una casistica per stabilire se consegnare un migrante sans-papiers alla struttura o meno. "Le detenzioni nei Centri sono secondo me illegali e tutto potrebbe essere risolto con una semplice ingiunzione a lasciare il territorio nazionale per chi non vuole chiedere l’asilo in Repubblica Ceca", ribadisce Martin Rozumek, direttore del Contro per il soccorso dei migranti. Oltre la fondamentale questione di legalità, le condizioni nei campi lasciano molto a desiderare. In primo luogo ai migranti non viene fornito neppure il minimo supporto legale per capire la loro situazione. "Non capiscono i motivi della loro detenzione, la possibile durata o le intenzioni della polizia e non sanno verso quale Paese potrebbero essere espulsi. E soprattutto ignorano se si possono difendere da tutto ciò", sottolinea l’avvocato Jan Prochazka, che visita periodicamente i campi. La maggior parte delle critiche rispetto alle condizione di detenzione è stata riassunta in un recente rapporto scritto dal Difensore civico dei diritti Anna Sabatova dopo numerose visite nei campi. "Le condizioni dei bambini detenuti sono oggettivamente peggiori che nelle carceri". La situazione riguarda il più grande Centro ceco, quello di Bela-Jezova, dove vengono spesso detenuti le famiglie con i bambini. Le condizioni di detenzione descritte dal rapporto corrispondono coni racconti fatti dagli stessi migranti. Una pratica comune è quella dell’appello, per cui i migranti e i loro figli vengono svegliati nel cuore della notte dai dipendenti della security interna o della celere per essere contati. Tra le mancanze segnalate, anche la scarsità di cibo, di vestiario, di igiene e di momenti di svago per i bambini. "Nelle prigioni ceche ognuno ha diritto alle ore d’aria, ai pasti caldi, a una sedia, un armadio e all’accesso diretto alla toilette - sottolinea nuovamente il rapporto - Si tratta quindi di più di quanto riceva la maggior parte dei detenuti a Bela - Jezova". E per una beffa della sorte, ai migranti tocca pure pagare per il soggiorno obbligato nel campo di detenzione, che mediamente dura una quarantina di giorni. Alle tariffe attuali una famiglia di quattro persone spende per un soggiorno di un mese circa 29 mila corone ceche (1.100 euro) trattenendoli su beni e mezzi finanziari che gli sono stati sequestrati, che all’uscita dal campo ricevono una paghetta di 400 corone (15 euro) insufficienti anche a comprare il biglietto del treno per lasciare la Repubblica Ceca. Molti migranti devono quindi ricorrere all’aiuto finanziario dei volontari, che si stanno organizzando da settimane nei principali snodi ferroviari cechi, soprattutto a Praga. Anche la polizia piange. Il rapporto, come anche le critiche dell’Onu, non è stato accolto positivamente dai principali responsabili politici. A rifiutare le polemiche, ma con un certo garbo istituzionale, è stato il ministro degli Interni Milan Chovanec, responsabile della gestione dei campi. Secondo il ministro alcune mancanze sono dovute al forte flusso dei migranti negli ultimi mesi. Tuttavia l’ufficio del Difensore civico segnala le mancanze fin da febbraio di quest’anno, quando i campi contavano una popolazione ancora contenuta. Il flusso eccezionale si è tuttavia verificato solo in alcune settimane di settembre, quando una parte dei migranti entrati nello spazio Schengen dall’Ungheria per arrivare a Berlino scelse il collegamento ferroviario che passa anche per il territorio ceco. Rispedite completamente al mittente invece le critiche sulla situazione dei minori: secondo il ministro Chovanec i principali responsabili della loro condizioni sono i genitori, che hanno deciso di portarsi dietro i propri figli in una fuga dalla guerra e dalla miseria. Intanto anche la polizia ceca si è fatta sentire sulle condizioni dei campi con una lettera anonima inviata a uno dei più reazionari sindacati di polizia, l’Unione delle forze di sicurezza. Nella lettera si lamentano alcune difficoltà logistiche per i poliziotti impiegati in compiti di sorveglianza del perimetro di un campo della Boemia centrale. Per l’anonimo scrivente ai sorveglianti non erano stati distribuiti pasti caldi, le brande per riposare erano insufficienti e le stanze poco riscaldate, mentre i migranti potevano godersi un ambiente da albergo a tre stelle. Le lamentele dell’anonimo poliziotto non sono state accolte benevolmente da tutti i suoi colleghi. "Ci fa passare per dei piagnucoloni", ha reagito un altro poliziotto di stanza a Praga. D’altronde un certo grado di virilità del corpo di polizia va conservato anche nella difesa dei confini dalle invasioni immaginarie di migranti africani. Cannabis di Stato, otto miliardi di euro il ricavo di un anno di Michele Bocci La Repubblica, 24 ottobre 2015 Simulazioni a confronto con i paesi dove è legale. Con le tasse si potrebbero ripianare i debiti regionali. Tanti soldi che entrano nelle casse dello Stato o fanno respirare i bilanci delle Regioni, e in aggiunta la nascita di un nuovo settore economico che dà lavoro, magari nelle aree del Paese dove il tessuto economico è stato devastato dalla crisi. Alla fine potrebbero non essere il riconoscimento di una libertà individuale e nemmeno riflessioni criminologiche o sanitarie a dare la spinta decisiva alla cannabis di Stato. No, saranno i quattrini: tra i 6 e gli 8 miliardi di euro all’anno di introiti solo di tasse. Tanto per cominciare, nel senso che la stima si basa sulla prima fase di una eventuale legalizzazione. Dove c’è stato il via libera ad hashish e marijuana il giro d’affari sta facendo aumenti di varie decine di punti percentuali ogni anno. Per poter calcolare il valore dell’introito delle tasse si possono fare solo proiezioni. Alcune sembrano abbastanza credibili, anche se ci sono incognite difficili da valutare. In Italia l’anno scorso sono state sequestrate 145 tonnellate di derivati della cannabis. I dati sono del Viminale, che in varie occasioni ha fatto notare come il mercato sia almeno 6 o 8 volte più ampio di quanto viene intercettato dalle forze dell’ordine. Così le tonnellate che girano nelle piazze, nelle feste, negli appartamenti di operai, avvocati, impiegati e manager sono tra le 870 e le 1.160. A 10 euro al grammo, più o meno quanto vengono fatte pagare le sostanze negli stati Usa che hanno legalizzato, fa un giro d’affari di 8,7-11,6 miliardi. Chi fa le stime, ad esempio Piero David, ricercatore di economia applicata dell’Università di Messina, che scrive di questi temi su lavoce. info, prende come riferimento la tassa sul tabacco, che è al 75%. Applicandola anche ai derivati della cannabis si avrebbe un incasso per lo stato tra 6,5 e 8,7 miliardi. Il dato non è molto distante da quello che si desume ricavando i consumi dalle ricerche di "Aqua drugs" basate sui residui delle sostanze nelle acque delle città (6,6 miliardi). Ed è simile anche alla cifra ottenuta proiettando sull’Italia il consumo dei cittadini del Colorado nel 2014. In questo caso il risultato è 7,3 miliardi di euro di tasse. E quest’anno nello stato Usa il giro di affari è cresciuto della metà. All’inizio infatti c’è stata una certa concorrenza del mercato nero, che non è scomparso con la legalizzazione ma ha provato a combatterla abbassando i prezzi. Piero David ha stimato anche il valore degli interventi di prevenzione e repressione dello spaccio. Si tratta di circa 600milioni di euro che lo Stato non dovrebbe più spendere. "Il beneficio lo sentirebbero il sistema carcerario e le forze dell’ordine, che potranno dedicarsi ad altre cose - spiega il ricercatore - Peraltro la stessa Direzione nazionale antimafia consiglia la legalizzazione perché la repressione ha fallito e loro non sono in condizioni di investire ulteriori risorse per contrastare il consumo di cannabis". Nelle prossime settimane le commissioni congiunte Giustizia ed Affari sociali della Camera discuteranno il testo di legge sulla legalizzazione presentato dal nutrito gruppo di parlamentari di vari partiti promosso dal senatore Benedetto Della Vedova. "Non abbiamo preteso tempi brucianti nonostante un sostegno parlamenare già straordinario - dice lo storico esponente antiproibizionista - È presumibile che il provvedimento vada al voto alla Camera nella primavera dell’anno prossimo". Della Vedova da anni spiega come il traffico di sostanze aiuti le mafie e le organizzazioni criminali o di come non ci siano ricerche mediche indichino la cannabis come capace di provocare danni importanti alla salute. Ora c’è un nuovo strumento per convincere i suoi colleghi e il Paese. "Avremmo alte entrate fiscali, ma anche contributi previdenziali, visto che ci sarà chi coltiva e chi lavora nella trasformazione della sostanza. Tutta la produzione avverrà in Italia, vietiamo ipotesi di import ed export". Forse saranno davvero i soldi a rompere il tabù. Droghe: "Lorenzin come Giovanardi", i Radicali attaccano il ministro di Renzi di Fabrizio Ferrante blastingnews.com, 24 ottobre 2015 Affondo dell’associazione Adelaide Aglietta di Torino. Nel mirino il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin. Beatrice Lorenzin come Carlo Giovanardi (prima ancora Rosa Russo Jervolino, tutti ex Dc come lo stesso Renzi) e un governo accusato di porre in essere le controriforme del Nuovo Centro Destra. Senza mezzi termini l’affondo che, stamane, i radicali torinesi dell’associazione Adelaide Aglietta hanno riservato al ministro della Salute. Una conferenza attesa da tre anni. Ai sensi di poche righe inserite nella legge di stabilità, si trasferiranno le politiche antidroga dalla Presidenza del Consiglio al ministero della Salute: ciò è da anni chiesto dai radicali e da chi vede nell’approccio solo repressivo e legato all’ordine pubblico della gestione delle dipendenze, qualcosa da modificare. Tuttavia il trasferimento, denunciano i radicali torinesi in una nota firmata Giulio Manfredi (Radicali Italiani) Igor Boni e Silvja Manzi, è avvenuto senza un dibattito "trasparente e approfondito" e dopo venti mesi di vuoto politico durante i quali - sostengono - ci sarebbe stato il tempo di approvare una nuova legge. Sempre a proposito di un dibattito pubblico da riaprire, l’associazione Aglietta ricorda che si attende dal 2012 la conferenza nazionale sulle droghe che tre esecutivi hanno omesso di convocare. Ora viene richiesta alla Lorenzin e al governo Renzi, nelle settimane e nei mesi in cui è attesa la discussione della proposta per la legalizzazione della cannabis. I dati smentiscono il ministro. I radicali torinesi, inoltre, hanno replicato a recenti esternazioni del ministro della Salute secondo cui l’eroina sarebbe sparita dalle strade: un dato smentito dalla stessa relazione annuale sulle dipendenze in Italia che, osservano i radicali, racconta di un aumento del 5,3% dei sequestri di tale sostanza. Più sequestri significano anche maggiore presenza di eroina nelle città, secondo la tesi dei radicali che invitano la Lorenzin a visitare i quartieri degradati dei maggiori centri italiani e capire quanto l’eroina o altre droghe continuino a circolare nonostante repressione e approccio punitivo. Consumatori di droghe, da criminali a malati da curare. Radicali torinesi che attaccano la Lorenzin anche per la possibilità che sia istituita una commissione per reintrodurre in base a ogni singola sostanza, le dosi medie giornaliere per il consumo personale pur se chiamate con un nome differente. Un ritorno al passato, denunciano i radicali, a quella Jervolino-Vassalli che fu poi emendata, nel 1993, da un referendum abrogativo mirante a ottenere la legalizzazione delle droghe (se il Parlamento avesse seguito l’indicazione popolare) e la stessa cancellazione - tra gli altri - del principio della dose media giornaliera. L’associazione Aglietta, conclude la nota, si appella a Pd, Sel e Movimento Cinque Stelle (le forze più impegnate a sostegno dell’Intergruppo cannabis legale) affinché siano impedite la controriforma targata Ncd e il baratto (ventilato) tra il mantenimento di una politica retrograda sulle sostanze stupefacenti e un’apertura di dialogo da parte di Alfano sulle unioni civili. Nelle scorse settimane in tanti hanno pensato che il proibizionismo in Italia fosse sul punto di vacillare se non di cadere ma i numeri in Parlamento a sostegno della cannabis legale sono lungi dall’essere garantiti, mentre al massimo si può sperare in un Governo paternalistico che porti a considerare i consumatori di droghe meno come dei criminali e più come malati da curare. Il proibizionismo di stampo giovanardiano, insomma, è vivo, lotta in mezzo a noi ed è perfino al Governo. Radicali: raccolta firme su cannabis terapeutica e testamento biologico in Lombardia di Gianfranco Camero radicali.it, 24 ottobre 2015 Riprende l’iniziativa di Radicali a favore della cannabis terapeutica e del testamento biologico con due occasioni per i cittadini di firmare le relative proposte di legge regionali: sabato 24 ottobre, dalle 9:30 alle 12:30, a Sondrio in piazza Campello e a Morbegno in piazza S. Antonio. I comitati promotori, costituiti da Radicali Italiani, Associazione Luca Coscioni, Possibile e altre associazioni, si propongono di raccogliere entro sei mesi le 5000 firme necessarie per vincolare il Consiglio Regionale lombardo alla discussione delle due leggi. Sul primo argomento va ricordato che già nel 2007 il ministero della Salute ha riconosciuto valore farmacologico ad alcuni derivati medicinali della Cannabis, demandando la regolamentazione all’autonomia delle Regioni: in 12 hanno provveduto ad adottare la normativa regionale e a consentire l’accesso alle cure con farmaci a base di cannabinoidi, mentre in Lombardia manca una legislazione specifica. Le proprietà terapeutiche della cannabis, sempre più frequente oggetto di studi scientifici, dimostrano effetti positivi sia nell’ambito delle terapie del dolore che in patologie come glaucoma, epilessia, emicrania, artrite reumatoide, ictus, Sla, anoressia, spasticità muscolare, malattie neurodegenerative ed altre ancora. È necessario quindi evitare che i prezzi elevati a causa dell’importazione della terapia, il lungo iter burocratico che rallenta la distribuzione e la disinformazione dei medici stessi portino alcune famiglie a rivolgersi al mercato nero, creando un paradosso in cui il "paziente-criminale" finanzia le narcomafie a causa delle inadempienze del Servizio Medico Sanitario Nazionale e Regionale. Con l’altra proposta di legge si intende istituire e regolamentare il Registro Regionale delle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (Dat), ovvero le dichiarazioni con le quali un cittadino esprime le proprie volontà nel caso in cui venga a trovarsi in uno stato di incapacità di intendere e di volere che, sulla base dei parametri scientifici riconosciuti a livello internazionale, comporti una perdita di coscienza definitiva ed irreversibile. Inoltre in considerazione della concorrente competenza regionale in materia di tutela della salute e ritenendo opportuno utilizzare strumenti e strutture già presenti sul territorio, si prevede che le Dat siano depositate presso le aziende sanitarie e memorizzate nella Carta Sanitaria Regionale del cittadino. Prosegue intanto l’iniziativa locale, in corso da alcuni mesi, con l’appello per il "Registro dei testamenti biologici" nel capoluogo, che, in aggiunta alle firme dei cittadini, vede salire a quota 14 su 32 il numero dei consiglieri sondriesi favorevoli. Queste le nuove adesioni: Carlo Zanesi, Presidente del Consiglio Comunale; Patrizia Lorenzini, Donatella Di Zinno, Giuseppe De Felice, Marco Alberti, Roberta Songini, Luca Balducci, consiglieri comunali; Angelo Schena (Radicali Sondrio). Brasile: caso Pizzolato. Guerra e Manconi: sorprendente scelta di Orlando su estradizione Public Policy, 24 ottobre 2015 "Henrique Pizzolato è in volo verso il Brasile, dove l’attende la detenzione in un carcere destinato ai "vulnerabili": ovvero alle persone esposte a rischi particolarmente gravi ai danni della loro incolumità. La stessa esistenza di questa sezione, tuttavia, è messa in discussione dal momento che grava su essa un’eccezione di incostituzionalità che potrebbe determinare la sua rapida chiusura. In ogni caso Pizzolato passerà a partire da giugno del 2016 a un regime ordinario, all’interno di un sistema penitenziario - quello brasiliano - ordinariamente feroce e tra i peggiori al mondo". È quanto scrivono in una nota i senatori del Partito democratico Cecilia Guerra e Luigi Manconi (presidente della commissione Diritti umani). "Qui - aggiungono - la sua vita sarebbe davvero in pericolo e i suoi diritti sistematicamente violati, nonostante le fragili rassicurazioni pervenute dalle autorità brasiliane. Questo rende ancora più sorprendente la scelta del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che ha deciso l’estradizione di un cittadino italiano come è Pizzolato, che già scontava in un carcere italiano (e da oltre un anno e mezzo) la pena inflittagli da un tribunale brasiliano". "E questo è quanto prevedono molte convenzioni internazionale e principi fondamentali del diritto, i quali esigono che la pena sia scontata nelle condizioni meno afflittive. Dunque, l’estradizione di Pizzolato si spiega solo con la necessità di scambiarlo con l’estradizione in Italia del boss camorrista Scotti, latitante da trent’anni e responsabile di molti omicidi. Insomma, quella di ieri non è stata una pagina particolarmente bella per la giustizia italiana: tanto più che da parte del ministero e del ministro erano giunte, nelle settimane precedenti, parole che avevano fatto presagire un esito del tutto diverso", concludono i due esponenti Pd.