Giustizia: Stati generali del carcere al giro di boa. Glauco Giostra: "40 anni vissuti male" di Teresa Valiani Redattore Sociale, 15 ottobre 2015 Mentre il ministero della Giustizia pubblica i rapporti intermedi dei 18 tavoli di lavoro, il coordinatore del comitato scientifico fa il bilancio dei lavori. "Dobbiamo diffondere gli antidoti contro l’allarmismo e cambiare la cultura della pena: il carcere non è sempre l’unica risposta". Stati generali dell’esecuzione penale al giro di boa. Dopo cinque mesi di lavori i coordinatori e gli esperti riuniti dal ministro Andrea Orlando per fotografare e migliorare il sistema carcere italiano tirano le somme con una serie di rapporti di medio termine: diciotto, uno per ogni Tavolo, attraverso i quali sviscerare criticità e prime proposte per adeguare l’esecuzione della pena agli standard internazionali. I rapporti sono stati pubblicati in queste ore sul sito del ministero della Giustizia. Glauco Giostra, coordinatore del comitato scientifico degli Stati generali, ex componente del consiglio superiore della magistratura e ordinario di procedura penale all’università La Sapienza di Roma, traccia per Redattore sociale un primo bilancio sull’attività di questi cinque mesi. Quali sono state le difficoltà maggiori incontrate nel percorso e quanto c’è ancora da fare? "Il nostro ordinamento penitenziario compie 40 anni e volendo fare un grossolano bilancio, potremmo sintetizzare: quarant’anni vissuti e portati male. I fermenti innovativi, rappresentati dal disegno di legge delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario e da questi Stati generali, non mancano, ma restano gli inquietanti interrogativi di sempre sintetizzati in una domanda: come è possibile che oggi l’aratro della riforma insista sugli stessi solchi aperti dalla legge penitenziaria di quarant’anni fa? Ci sono, è vero, altri segnali incoraggianti. Il sistema penale, sia pure a fatica e con non poche battute di arresto, si sta allontanando dall’idea che il carcere costituisca sostanzialmente l’unica risposta sia in termini di pena, che di custodia cautelare. Ma la difficoltà maggiore resta quella di mutare il clima culturale: bisogna cioè educare la collettività ad una diversa cultura della pena". 18 Tavoli, 200 esperti, coordinatori, audizioni, una piattaforma web per interagire, la macchina organizzativa è partita senza problemi? "Naturalmente, trattandosi di una iniziativa inedita e di grande respiro, non sono mancate le difficoltà di avvio, per quanto riguarda la metodologia di lavoro e per il profilo organizzativo. Né mancheranno nel prossimo futuro ostacoli, passaggi a vuoto, inconcludenze, risultati non del tutto soddisfacenti, resistenze politiche e culturali. Talvolta si dovrà orazianamente prendere atto che le ali sono più grandi del nido. Almeno un obiettivo, tuttavia, sarà comunque conseguito per il solo fatto che di esecuzione penale e, in particolare di carcere, si parli a lungo e a tutti i livelli. Nel nostro quotidiano si preferisce ignorare l’esistenza stessa del carcere, salvo poi risuscitarlo dall’ombra quando efferati fatti di cronaca ce ne ricordano o ce ne fanno invocare la necessità. Solo allora, e per breve tempo, si torna a "vedere" il carcere, come il luogo dove rinchiudere illusoriamente tutti i nostri mali e le nostre paure. Puntare a lungo i riflettori sul carcere e sull’esecuzione della pena significa, invece, costringere la società a guardare, a conoscere, a capire per prepararla a giudicare e a sollecitare le scelte di politica penitenziaria con maggiore consapevolezza". In che modo si dovrebbe sollecitare il mutamento del clima culturale da lei auspicato? "Soprattutto offrendo alla società gli antidoti contro quegli allarmismi che gabellano per irrinunciabili presidi a tutela della sicurezza pubblica le restrizioni dei diritti dei reclusi, smantellando - dati alla mano - il luogo comune che si traduce nello slogan "più carcere, più sicurezza sociale". La collettività potrà allora apprendere, forse con sorpresa, che, secondo i più accreditati studi socio-criminologici, non vi è alcuna relazione tra il tasso di incarcerazione e il livello di criminalità e di sicurezza sociale; che secondo le indagini di vittimizzazione solo il 4-5% degli autori di reato è ristretto nelle patrie galere; che il ricorso alle misure alternative al carcere abbatte drasticamente l’indice di recidiva, sino quasi ad annullarla se accompagnata da una attività lavorativa. È necessario spiegare che l’evasione o l’azione criminosa di un soggetto ammesso a una misura alternativa (evenienza statisticamente molto rara) non è necessariamente frutto di un errore del magistrato che l’ha concessa o, ancor meno, di una disfunzione del sistema, ma è il tributo che si paga a una scelta di politica penale che, dati alla mano, offre enormi vantaggi proprio in termini di sicurezza (drastico abbattimento delle ipotesi di recidiva), oltre che di vivibilità del carcere, nonché di migliore allocazione delle risorse. Bisogna spiegare alla collettività su quali principi si basa la politica della pena seguita, quali possibili prezzi comporti, quali inaccettabili effetti produrrebbe un diverso approccio fobo-demagogico al problema". Da qui, l’esigenza degli Stati generali. "Sì, è con questa consapevolezza che il Ministro della giustizia ha voluto affiancare, alla riforma legislativa in corso, l’iniziativa inedita degli Stati generali dell’esecuzione penale. Da ormai cinque mesi il sistema carceri è al centro di analisi e dibattiti. L’intento è quello di promuovere una consultazione pubblica, tramite il portale del ministero della giustizia, in modo che anche sulla base di questo "ascolto democratico", naturalmente aperto anche a coloro che l’esperienza carceraria stanno vivendo o hanno già vissuto, i responsabili dei Tavoli possano elaborare proposte e idee, da sottoporre al Comitato scientifico, che dovrà valutarle e compendiarle in un articolato prodotto finale". "Cambiare il senso comune". Quindi in primo piano il rapporto con i media. In che modo è organizzata la comunicazione? "Gran parte del successo di questa sfida culturale dipenderà dal ruolo che sapranno svolgervi i mass media. Il numero e le modalità di presentazione delle notizie riguardanti il crimine e la pena; la capacità di offrire un’informazione completa e statisticamente documentata. Con questa consapevolezza si è cercato di promuovere tutte le iniziative (convegni, pubblicazione di articoli su quotidiani e su riviste specializzate, questionari, visite ai penitenziari) - materiale disponibile nel sito del Ministero della giustizia - che potessero far arrivare la voce della società nel carcere e la voce del carcere alla società. Sul medesimo sito sono appena stati pubblicati i rapporti di medio termine che i Tavoli tematici hanno elaborato per dare conto del lavoro sin qui svolto. Si sta anche pensando ad un incontro con gli operatori dell’informazione per un confronto sulle migliori modalità per far giungere all’opinione pubblica un messaggio corretto della realtà carceraria e dell’esecuzione della pena, per riaffermare i principi della carta di Milano e se possibile andare anche oltre nella direzione indicata da questo importante protocollo deontologico. Al termine dei lavori, i diciotto Tavoli presenteranno un report su cui sarà sollecitato, nelle forme più capillari ed efficaci, il contributo di tutti coloro che hanno proposte, critiche, integrazioni da suggerire. Anche alla luce di questi contributi esterni sarà elaborato un documento finale, che sarà presentato in una o più giornate, e con modalità ancora da definire, alla collettività". Carcere e volontariato: "una specificità del nostro Paese molto apprezzata dai partner europei". Ma il volontariato, che in diversi casi in carcere occupa un ruolo di primo piano nella promozione delle attività culturali e trattamentali, in una situazione di crisi come questa non rischia di assumere un ruolo di supplenza che non gli è proprio e di mascherare le carenze delle istituzioni pubbliche? "D’accordo, sia sul ruolo fondamentale svolto dal volontariato nel carcere, sia sul rischio che sia chiamato a sopperire alle carenze delle istituzioni pubbliche. Quanto al primo profilo, non è certo senza significato la circostanza che al volontariato sia dedicato uno dei tredici criteri della Delega penitenziaria all’esame del Parlamento: vuol dire che si considera giustamente il volontariato uno dei pilastri portanti di ogni riforma credibile del sistema. Quanto al secondo, mi sembra che nella modifica apportata dalla Camera dei deputati si colga la consapevolezza del rischio in questione e la volontà di scongiurarlo. L’incipit di tale criterio, infatti, non recita più "previsione di un più ampio ricorso al volontariato", bensì "previsione di una maggiore valorizzazione del volontariato". A significare che il miglioramento del sistema dell’esecuzione penale non va perseguito facendo "quantitativamente" più affidamento sul volontariato, bensì riconoscendo maggiormente il valore ed il significato del suo apporto". Qual è stato finora il messaggio più difficile che ha dovuto veicolare? E a chi era diretto? "L’obiettivo ultimo è quello di abbassare i ponti levatoi psicologi tra società fuori e dentro il carcere. Sempre in un’ottica di crescente sensibilizzazione dell’opinione pubblica, sarebbe auspicabile che si riuscissero a creare occasioni in cui la collettività possa avvicinarsi al carcere per non percepirlo più come una sorta di extraterritorialità sociale, un enclave del male, del pericolo, della sacrosanta sofferenza. Per conoscere di quale sordida e misera materialità sia fatta la giornata del recluso, quanto disperante e demotivante sia per alcuni condannati l’impossibilità di sognare un domani degno di essere vissuto. "Bisogna aver visto", ammoniva Calamandrei, prima di parlare di pena e di carcere. La conoscenza avvicina sempre le persone e allontana le paure. Il messaggio più importante dobbiamo riuscire a comunicarlo a noi stessi, affinché non pensiamo di superare le mille insicurezze e le mille paure che il tempo attuale ci propone, rinchiudendole entro ben presidiate mura carcerarie. Crederlo o farcelo credere è tanto facile, quanto sbagliato". Giustizia: con l’Anic 400 notai cattolici che lavorano gratis in carcere e nelle parrocchie di Elisabetta Proietti Redattore Sociale, 15 ottobre 2015 Il 16 ottobre a Roma assemblea dell’Ainc, l’associazione che li riunisce. "Vogliamo essere più vicini ai cittadini e ai loro diritti, a tutela dei più deboli e della famiglia". Sono 420, su una platea di 5.000, i volontari "Passiamo per esosi, ma non è così". Qual è la funzione sociale dei notai cattolici? Come mettere a disposizione le competenze per migliorare la vita dei cittadini e supportare soprattutto i più deboli nella società contemporanea? Ruoterà intorno a questi temi l’assemblea dell’Ainc, Associazione italiana notai cattolici, che si terrà a Roma il 16 ottobre presso la sala Conferenze dell’Hotel S. Lucia Filippini. I notai cattolici iscritti all’Ainc (420 su una platea di quasi 5.000 in Italia) vogliono essere "più vicini ai cittadini e ai loro diritti", mettersi "a tutela dei più deboli" e impegnarsi "per la centralità della famiglia". Spiega Roberto Dante Cogliandro, presidente dell’associazione che ha sede ad Assisi e si è costituita un anno e mezzo fa: "Vogliamo far interagire tematiche giuridiche con tematiche sociali e di carattere cattolico, avendo tra gli obiettivi la tutela della famiglia in una società in continua evoluzione". Tra i progetti di maggior rilievo ci sono "Notai in carcere" e "Notai in parrocchia", pensati "soprattutto in vista del prossimo Giubileo in una fase di grave crisi economica". Nel primo caso, "abbiamo sensibilizzato diverse realtà carcerarie italiane per poter dare un supporto legislativo ai detenuti - riferisce Cogliandro - su argomenti come il riconoscimento di figli naturali, disposizioni testamentarie per chi è malato, problematiche legate agli immigrati". I notai prestano opera volontaria e gratuita e sono già entrati nelle strutture carcerarie di Perugia, Spoleto, Secondigliano, Poggioreale, Pescara, Palermo e Catania, mentre hanno avviato contatti con due penitenziari laziali. "Tutte attività svolte con passione ed entusiasmo - dice Cogliandro - dai delegati Ainc regionali e dai notati del luogo che vanno di persona a parlare con i direttori degli istituti penitenziari, perché preferiamo non far calare la proposta dall’alto attraverso il Dipartimento amministrazione penitenziaria". I "Notai in parrocchia" svolgono un servizio di notariato "calzato su misura" delle diverse parrocchie. "Abbiamo scritto a tutti vescovi italiani e una cinquantina di loro ci ha risposto dando disponibilità per la turnazione gratuita di un notaio che almeno una volta al mese si reca in parrocchia per dare consulenza e aiuto alle persone in difficoltà economica, su questioni come mutui, regimi patrimoniali, compravendite di case, divisioni, testamenti e successioni. Con il progetto "Notai in parrocchia" - prosegue il presidente Ainc - siamo molto attivi in Campania, nel Lazio, a Perugia (dove tutti i martedì mattina del mese incontriamo le persone bisognose segnalate dalla Caritas), in Abruzzo e in Toscana". Non mancano le difficoltà logistiche, ad esempio non è sempre facile organizzare la turnazione del gruppo di lavoro sui territori, ma - assicura Cogliandro - "c’è entusiasmo nella categoria". Categoria notoriamente "esosa" in quanto a parcelle, i notai sono considerati una "casta". Quanto è diffuso questo impegno sociale nella professione? "Passiamo per essere esosi, ma non è così. I 420 notai coinvolti sui territori hanno una partecipazione diversa a seconda delle propensioni: ad esempio, in carcere e in parrocchia è più attivo un notariato di mezza età, mentre nelle iniziative di raccolta fondi registriamo la presenza di notai più giovani". Alla domanda se percepisce una sensibilità in crescita Cogliandro risponde che "le professioni oggi soffrono, l’unica arma vincente è un ritorno all’artigianato, una disponibilità maggiore del notaio, che affianca all’impegno principale quello per il sociale. Dare un’impronta di umanità che sarebbe un guaio perdere. Il ritorno alla passione nelle professioni è punto di ripartenza". Tra le altre iniziative, di recente Ainc ha messo a disposizione 2.300 euro complessivi per 3 borse di studio che consentiranno a studenti meritevoli e con poche possibilità economiche di accedere alle scuole per notaio di Roma, Milano e Napoli (ammontano a circa 800 euro le tasse di iscrizione, con alcune differenze fra le tre città). L’associazione ha raccolto 5.000 euro "per aprire una stanza con piscina all’Istituto Serafico di Assisi" per ragazzi con pluridisabilità. Sempre per il Serafico è stata organizzata una serata di "teatro per il sociale" che ha permesso di raccogliere 70 mila euro. L’Ainc ha costituito al suo interno due commissioni di studio "su problematiche vicine alle famiglie quali il testamento biologico e la convivenza more uxorio", riferisce il presidente. L’obiettivo? "Fare proposte, con l’aiuto di esperti, per arrivare a testi articolati che possono essere condivisi da forze politiche di area cattolica". "Siamo stati i primi - dice inoltre Cogliando - a proporre un codice di autoregolamentazione dello sciopero (non c’era nella categoria): insomma anche il notariato dopo 100 anni dalla sua istituzione - avvenuta nel 1913 - può scioperare. Il testo è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale". All’assemblea di Roma di venerdì si dibatterà anche sul ddl Concorrenza in Parlamento (al quale i notai si oppongono, ndr). "Questi temi - conclude Roberto Dante Cogliandro - si affiancheranno alle recenti riflessioni sulla centralità della famiglia emerse nel Sinodo dei vescovi". Giustizia: Orlando firma il Decreto che destina 102 milioni delle risorse Fug 2012-13 di Paola Rossi Il Sole 24 Ore, 15 ottobre 2015 Dal Fondo unico della Giustizia (Fug) il comparto ritrova la sua linfa con la nuova destinazione di 102 milioni di euro da ripartire per spese che vanno dalla manutenzione immobiliare al miglioramento delle condizioni carcerarie. Il nuovo impegno di risorse scatta con la firma apposta dal Guardasigilli Orlando a un nuovo decreto con l’obiettivo di migliorare il funzionamento del sistema Giustizia. La ripartizione stabilita dal Ministro riguarderà i quattro dipartimenti: amministrazione penitenziaria, giustizia civile, giustizia penale e giustizia minorile. Il decreto firmato - Il decreto firmato dal Guardasigilli Andrea Orlando ripartisce fra i quattro dipartimenti ministeriali i 102.074.338 del Fondo unico giustizia relativi agli anni 2012 e 2013. Per quanto riguarda la destinazione concreta, gli oltre centodue milioni verranno dedicati alle esigenze di buon funzionamento del pianeta Giustizia e agli investimenti dell’amministrazione in base alle previsioni della legge 296/2006 istitutiva del "Fondo da ripartire per le spese di funzionamento della giustizia". La distribuzione - Le risorse saranno così distribuite: all’amministrazione penitenziaria vanno 21 milioni 820 mila euro, distribuiti tra spese per il personale, maggiori disponibilità di cure ai detenuti e migliore manutenzione degli immobili; alla giustizia civile e penale si attribuiscono 74 milioni 254 mila euro da utilizzare in parte per il miglioramento della gestione e del funzionamento del sistema informatico, in parte per la ristrutturazione e manutenzione straordinaria degli immobili; alla giustizia minorile vanno 6 milioni di euro per l’efficientamento energetico delle strutture e il rafforzamento degli uffici dell’esecuzione penale esterna. Il Fug - Il Fondo unico di giustizia è stato istituito dall’articolo 61, comma 23, del Dl 112/2008 convertito dalla legge 133/2008 per ricevere le somme di denaro e gli altri proventi sequestrati o confiscati nell’ambito di procedimenti penali, in applicazione di misure di prevenzione o irrogazione di sanzioni amministrative di titoli a portatore, crediti pecuniari, conti correnti, libretti di deposito e ogni altra attività finanziaria monetaria o patrimoniale. Nel Fug confluiscono anche le somme sequestrate dall’Agenzia delle dogane e dalla Guardia di finanza in seguito ad attività di controllo sui contanti in entrata e in uscita dai confini Ue, i depositi in giacenza da 5 anni presso Poste italiane e banche nell’ambito dei processi civili e che non siano stati reclamati così come le somme non riscosse dai creditori del fallimento al termine della procedura concorsuale. Mentre non sono convogliate nel Fug quelle somme che siano riconducibili a crediti relativi alle spese di giustizia, come patrocinio a spese dello Stato e recupero delle spese processuali penali, lo stesso dicasi per le pene pecuniarie, cioè multe e ammende. Giustizia: Stop Opg "a oltre 6 mesi da data fissata per chiusura, strutture ancora aperte" ilfarmacistaonline.it, 15 ottobre 2015 In una lettera indirizzata al Sottosegretario, il Comitato denuncia inoltre il ricorso da parte della magistratura all’invio nelle Rems di persone con misura di sicurezza provvisoria. "Così nelle Rems aumentano le presenze, quando dovrebbero essere residuali". A oltre sei mesi dal 31 marzo, la data fissata dalla legge per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, questi sono ancora aperti. È quanto denuncia il Comitato stopOpg in una lettera indirizzata al Sottosegretario alla Salute Vito De Filippo, Presidente dell’Organismo di Coordinamento del processo di superamento degli Opg. La lettera evidenzia alcuni elementi emersi nel corso dell’audizione, presso la XII commissione al Senato, tenuta dal Capo del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria (Dap) Santi Consolo: oltre 200 persone risultano ancora internate nei cinque manicomi giudiziari superstiti (Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Napoli, Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto); altre 235 persone sono internate a Castiglione delle Stiviere (l’ex Opg che, sottolinea il Comitato, ha solo cambiato targa in Residenza per l’esecuzione della misura di sicurezza - Rems); sono 169 gli internati detenuti nelle Rems attivate in alcune regioni; in totale sono presenti nelle Rems, compreso Castiglione, 404 persone, di cui ben 164 provenienti dalla libertà (periodo 1 aprile - 21 luglio 2015). Non è noto invece quante siano le persone destinatarie di una misura di sicurezza non detentiva, che pure dovrebbe essere la norma e non l’eccezione per garantire la cura e la riabilitazione delle persone, come prescrive la legge 81/2014. Intanto cresce in modo preoccupante, evidenzia la lettera, il ricorso da parte della magistratura all’invio nelle Rems di persone con misura di sicurezza provvisoria. Così nelle Rems aumentano le presenze, quando dovrebbero essere residuali. "Abbiamo chiesto ripetutamente - scrive il Comitato a De Filippo - il commissariamento delle regioni inadempienti e l’approvazione di un atto che impedisca, o renda eccezionale, l’invio della misura di sicurezza provvisoria in Rems". Sulla base di questi elementi "le chiediamo un incontro urgente in data da concordare. Nell’occasione chiediamo di sapere se sono stati inviati, all’autorità competente, per ciascun internato nelle Rems i Progetti Terapeutico Riabilitativi Individuali finalizzati a soluzioni diverse dalle Rems stesse, come previsto - conclude la lettera - dall’Accordo della Conferenza Unificata". Giustizia: magistrati ed economia… né inconsapevoli marziani, né strumenti di potere di Renato Balduzzi Avvenire, 15 ottobre 2015 Tra le cose positive della nostra vita pubblica (che, in quanto buone, passano per lo più inosservate) metterei senz’altro la formazione dei magistrati ordinari. L’impegno della Scuola superiore della magistratura e del suo Comitato direttivo che sta per concludere il mandato, presieduto dal professor Valerio Onida, unitamente all’attenzione e alla cura con cui ne segue l’attività il Csm (consapevole dell’importanza dell’aggiornamento e della formazione dei magistrati per il buon funzionamento del servizio giustizia) danno vita a momenti di elevata qualità civile e istituzionale. Di ciò ho avuto conferma due giorni fa a Scandicci (nella sede, bella e storicamente prestigiosa, ancorché non facilissima da raggiungere, della Scuola stessa), nel corso di una intensa mattinata di confronto tra il procuratore Carlo Nordio e chi scrive sul tema dei rapporti tra la giurisdizione e l’economia, con interventi e domande di Giovanna Ichino e di molti dei magistrati in tirocinio presenti, prossimi ormai ad assumere le funzioni di pubblico ministero. Quanto devono pesare, nelle valutazioni di pm e giudici, le preoccupazioni sulle conseguenze delle loro decisioni in ordine allo sviluppo economico, al prestigio e alla ricchezza del Paese, al suo equilibrio finanziario? E come bilanciare sviluppo e lavoro con ambiente e salute? Nessuna facile risposta, semmai, come a Scandicci, qualche principio condiviso. In primo luogo, salute e occupazione vanno bilanciati, ma il bene salute è bene primario e fondamentale che, se non deve prevalere in modo assoluto e "tirannico", non può tuttavia essere sacrificato nel suo nucleo essenziale. In secondo luogo, il bilanciamento tra i due beni va fatto, con la massima chiarezza e semplicità possibili, anzitutto dal legislatore. Quando il legislatore ha parlato, il giudice comune non può e non deve sostituirsi con un proprio bilanciamento, ma, se ha dubbi circa la conformità della legge alla Costituzione, può e deve investire della questione il giudice costituzionale. Infine, i cittadini al magistrato non chiedono miracoli, ma più semplicemente di stare nel mondo dei fatti oltre che in quello delle norme, di non piegarsi supinamente al potere politico di turno, ma di non essere neanche "fuori dal mondo". Sapendo che la nostra Costituzione è esigente, perché quando proclamai diritti al lavoro e alla salute chiede a tutta la Repubblica, legislatore e magistrati compresi, di rimuovere le situazioni di fatto che ostacolano libertà ed eguaglianza. Giustizia: intercettazioni, la riforma Madia impone un taglio di almeno il 50% delle spese di Paolo Canaparo Il Sole 24 Ore, 15 ottobre 2015 Per la ristrutturazione e la razionalizzazione delle spese per le intercettazioni mediante la revisione dei prezzi e l’adozione di un tariffario, il comma 3, articolo 7, della legge 124/2015 ha dato una specifica delega al Governo da esercitarsi entro otto mesi. L’obiettivo è risparmiare almeno il 50% di quanto spesa sino a oggi, andando anche oltre snellendo le procedure di liquidazione e pagamento. La delega - che affianca quella tuttora in discussione in Parlamento, cha affronta i profili sostanziali della disciplina delle intercettazioni - non era stata prevista nel testo del disegno di legge governativo ed è stata inizialmente introdotta al Senato con uno specifico criterio direttivo, che si limitava a fare riferimento alla riduzione del 60% della tariffa riconosciuta ai gestori di reti telefoniche e del prezzo dei supporti adoperati per la ricezione del segnale, con particolare riguardo alle intercettazioni di conversazioni e di flussi descritti dagli articoli 266 e seguenti del codice di procedura penale. Nel corso dell’esame alla Camera, poi, la delega ha assunto una sua autonomia e, al contempo, i criteri e principi direttivi sono stati puntualmente individuati, prevedendo: a) la revisione delle voci di listino (il risparmio di spesa deve essere almeno del 50% rispetto a quanto consegue alle attuali tariffe); b) l’adozione di un tariffario per prestazioni in base al costo medio, per tipo di attività (rilevato dall’amministrazione giudiziaria nel biennio precedente) e da cui derivi un risparmio di almeno il 50% di spesa complessiva; c) l’adozione di criteri per l’adeguamento della remunerazione delle operazioni di intercettazioni, in conseguenza delle innovazioni tecnologiche e organizzative; d) il coordinamento dei contenuti del testo unico delle spese di giustizia, anche per velocizzare i pagamenti agli operatori; e) l’abrogazione di ogni altra disposizione incompatibile con i principi direttivi indicati. La disciplina transitoria. Si tratta, comunque, di un intervento di riduzione della spesa con un’efficacia espressamente assunta come transitoria in quanto limitata al periodo di tempo necessario alla realizzazione del "sistema unico" nazionale delle intercettazioni, originariamente previsto dalla legge finanziaria del 2008 (legge 244/2007, articolo 2, comma 82 e 83) per la razionalizzazione delle spese connesse all’esecuzione delle operazioni di intercettazione (remunerazione degli operatori delle comunicazioni; acquisizione dei tabulati telefonici; noleggio dei macchinari). Tale sistema - articolato su base distrettuale di Corte d’appello - doveva essere avviato entro il 31 gennaio 2008 ma è tuttora inattuato. Dopo che il Dl 95/2012 (articolo 1, comma 26) aveva previsto che il ministero della Giustizia adottasse dal 2013 misure volte alla razionalizzazione dei costi, la legge 228/2012 (stabilità 2013, articolo 1, comma 22), modificando il Codice delle comunicazioni elettroniche ha stabilito che i risparmi di spesa siano conseguiti determinando (con decreto del ministero della Giustizia) un canone annuo forfettario per il ristoro dei costi sostenuti dagli operatori telefonici, determinato anche in considerazione del numero e della tipologia delle prestazioni complessivamente effettuate nell’anno precedente. Gli obiettivi strutturali di riduzione della spesa. L’attivazione del sistema unico nazionale delle intercettazioni rimane comunque prioritario per il conseguimento di obiettivi strutturali di riduzione della spesa, che nel 2014 è stata pari a 250 milioni di euro e, al primo quadrimestre del 2015, ammonta a 70 milioni. Sul punto si è nuovamente espressa la Corte dei conti nella relazione al rendiconto sul bilancio dello Stato 2014, che ha evidenziato l’esigenza di arrivare a una acquisizione centralizzata dei servizi di intercettazione. Il ministero della Giustizia ha riferito di ritardi nei lavori del tavolo di lavoro predisposto cui partecipano anche i capi delle Procure più rappresentative (sul piano della spesa per intercettazioni) e che dovrebbe concludersi (a seguito di gara unica nazionale divisa in più lotti) con la scelta delle società di noleggio degli apparati cui affidare il servizio. Tuttavia, il processo per individuare i soggetti cui affidare il servizio è molto complesso, stante anche la necessità di soddisfare le esigenze investigative degli uffici giudiziari, di assicurare una elevata qualità delle prestazioni ed evitare nel contempo la formazione di mercati di monopolio. Giustizia: reato di negazionismo, pene più dure per i "dissidenti" della storia di Antonio Rapisarda Il Tempo, 15 ottobre 2015 La Camera approva l’aggravante della Legge mancino sul negazionismo. Si astengono Lega e Fratelli D’Italia. Nel martedì "trionfante", che ha consegnato al governo l’approvazione del ddl Boschi a palazzo Madama, un altro provvedimento, questa volta alla Camera, è stato approvato nelle stesse ore in seconda lettura: l’introduzione dell’aggravante di negazionismo. Votazione "oscurata" da ciò che è avvenuto in Senato, il ddl che introduce nel codice penale l’aggravante è passato a Montecitorio con 340 sì e un no mentre Lega Nord, Fratelli d’Italia e M5S si sono astenuti. Il testo (che dovrà ora tornare al Senato in terza lettura) - sul quale da tempo si dividono politici e molto criticato dagli storici professionisti per le potenziali ripercussioni sulla libertà di studio e ricerca - non porta una nuova norma ma interviene sulla legge Mancino: l’aggravante, come si legge nel testo, consiste in un aumento di pena quando la propaganda all’odio razziale o il pubblico incitamento alla discriminazione o alla violenza si fondano sulla negazione della Shoah, dei crimini di genocidio e di quelli contro l’umanità e di guerra. Festeggia la maggioranza: "Anche la Camera, dopo il Senato - ha spiegato il relatore del provvedimento Walter Verini - ha scritto una pagina importante, con il voto che punisce con pene esemplari, attraverso una aggravante, coloro che commettono istigazioni all’odio razziale, etnico, religioso, e lo fanno in nome del negazionismo di crimini contro l’umanità, a partire dalla Shoah". Sul capitolo della libertà di ricerca? Verini ha rassicurato: "Colpisce queste condotte senza ledere minimamente la libertà di opinione o di ricerca storica". Scettiche le opposizioni. Per Fabio Rampelli, capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, la norma invece rischia di introdurre il reato di opinione "in spregio a tutte le tutele che la nostra Carta costituzionale riconosce proprio alla libertà di opinione, alla libertà di pensiero e a quella, ad esse intimamente connessa, di manifestarli". Quanto alla reale utilità dell’aggravante, anche qui Rampelli ha manifestato perplessità: "Come è stato per la legge Mancino: praticamente inattuata di fronte alla negazione di quei crimini di massa che sono state, purtroppo sovente, oggetto di negazionismo, quali la stessa Shoah, le foibe in Italia, o il genocidio degli armeni nella Turchia di primo 900". Giustizia: Mafia Capitale; faro del Csm sul processo, dopo la protesta dei penalisti romani di Cristiana Mangani Il Messaggero, 15 ottobre 2015 Il Csm si prepara ad accendere un faro sulle modalità di organizzazione del processo Mafia capitale che comincerà tra venti giorni e in generale sui maxi-processi. Gli avvocati hanno proclamato quattro giorni di sciopero per protestare contro la decisione del presidente del tribunale di concentrare le udienze e utilizzare il metodo della videoconferenza, lamentando una lesione del diritto di difesa degli imputati. I penalisti sono contrari anche all’ipotesi avanzata dalla procura di dividere in blocchi gli argomenti del processo. La posizione dell’Associazione nazionale dei magistrati. Mancano ancora venti giorni all’inizio del processo contro Buzzi e soci, e già le polemiche fanno capire quanto sarà difficile far rispettare il calendario di quattro udienze a settimana proposto dal Tribunale. Tanto che dopo la proclamazione di quattro giorni di sciopero indetta dai penalisti romani, è intervenuto anche il Csm, che si prepara ad accendere un faro sulle modalità di organizzazione del processo Mafia capitale e in generale sui maxi-processi. I difensori lamentano le modalità con le quali si svolgeranno le udienze: troppo concentrate per consentire di svolgere il resto dell’attività professionale. E anche la decisione del presidente del Tribunale di utilizzare il metodo della videoconferenza, non consentendo ai detenuti che si trovano nelle carceri fuori Roma di essere presenti. "È una lesione del diritto di difesa", protestano. E allora il togato di Autonomia e indipendenza, Aldo Morgigni, esprimendo preoccupazione per l’iniziativa dei difensori, chiarisce: "Si tratta di modalità ordinarie per i processi di mafia". Mentre il vice presidente del Csm, Giovanni Legnini, accogliendo la sollecitazione di Morgigni e di altri consiglieri, dichiara: "È utile che ce ne occupiamo per valutare se la contestazione dei penalisti abbia un fondamento o no". Il togato di Unicost, Luca Palamara, si augura invece che l’astensione "possa essere rimeditata". Anche se il consigliere di Area Piergiorgio Morosini, che è stato gip a Palermo, fa notare come situazioni di tensione analoghe vi siano state in passato nel capoluogo siciliano e a Napoli, perché "i processi cumulativi pongono problemi organizzativi che rischiano di interferire con le garanzie difensive". Dello stesso avviso è la giunta romana dell’Anni che sottolinea: "Le modalità descritte dalla Camera penale sono comuni a tutti i processi in tema di associazione a delinquere di stampo mafioso celebrati nel nostro tormentato Paese e sono state utilizzate, in tempi recentissimi, presso lo stesso Tribunale di Roma nel processo relativo al cosiddetto Clan Fasciani. Tutto ciò senza che venissero avanzate analoghe proteste. Le modalità predisposte - aggiungono - lungi dall’essere incostituzionali o indebitamente menomanti il diritto di difesa, riposano su disposizioni normative specificamente dettate per tali processi e sono preordinate a garantire che il dibattimento si svolga in modo sereno, sicuro e soprattutto celere, nel rispetto dell’articolo 111 della Costituzione e nell’interesse di tutti e in particolare degli imputati ad avere una pronuncia in tempi rapidi circa le responsabilità penali a loro contestate". Insomma, la battaglia si annuncia dura. Tanto che la procura, nel tentativo di calmare le acque, sta già pensando a un piano B, ovvero cercare di suddividere le udienze in blocchi di argomenti, in modo da rendere più liberi gli avvocati. Una sorta di "isole probatorie" - sono state definite così - che permettano di procedere con la trattazione degli episodi contestati fissandoli volta per volta e separandoli uno dall’altro. Giustizia: appalti truccati per il Giubileo, si indaga anche per tangenti su buche in strada di Ivan Cimmarusti Il Sole 24 Ore, 15 ottobre 2015 Gli arresti nell’inchiesta Mondo di Mezzo, che hanno svelato presunte infiltrazioni nel Comune di Roma, non avevano intimorito il funzionario della stessa amministrazione, Ercole Lalli. Il 27 settembre scorso avrebbe intascato una tangente da 2mila euro per manipolare otto gare d’appalto per "la manutenzione e sorveglianza delle strade della grande viabilità di Roma" in favore degli imprenditori Luigi Martella e Alessio Ferrari. Questo ipotizza la Procura della Repubblica capitolina, che ha chiesto e ottenuto gli arresti ai domiciliari per i tre. Le accuse. L’inchiesta è dei sostituti procuratori Alberto Pioletti e Stefano Pesci, che ipotizzano i reati di corruzione e turbativa d’asta. Stando al capo d’imputazione "Lalli, dietro la corresponsione di 2mila euro a lui consegnate in banconote contanti" avrebbe "fornito informazioni riguardanti i soggetti invitati a partecipare alle otto gare di appalto bandite dal dipartimento Simu per la manutenzione e la sorveglianza delle strade della grande viabilità di Roma Capitale, nonché le offerte presentante". Inoltre, Lalli, "nell’esercizio delle sue funzioni" avrebbe turbato le gare in favore dei due imprenditori. Stando agli atti dell’inchiesta, Martella e Ferrari avrebbero attuato una vera e propria strategia tesa a stringere rapporti con funzionari pubblici. Lo annotano negli atti gli stessi investigatori dei carabinieri, quando scrivono nell’informativa che la "strategia è quella di rivolgersi a funzionari del dipartimento Simu: sia a Francesco Pantaleo (non coinvolto nell’inchiesta, ndr) che soprattutto ad Ercole Lalli, detto anche "il Geometra"", in quanto avrebbe svolto il ruolo di direttore dei lavori in un recente lavoro a Roma di Martella, "dominus" di una galassia di imprese. Il meccanismo. Dalle carte emerge tutta l’organizzazione per rimediare la sospetta tangente. "Ferrari e Martella stabilivano di incontrare" Lalli "un’ultima volta dopo le 18 di domenica 27 settembre 2015". Gli investigatori dell’Arma annotano negli atti che "le conversazioni telefoniche antecedenti tale incontro fanno ben comprendere che gli imprenditori fossero del tutto persuasi che da Lalli avrebbero ottenuto le informazioni desiderate. Inoltre, con l’occasione, Ferrari chiedeva a Martella di "prestargli" la somma di 2mila euro". "Informazioni" che, nei fatti, sarebbero state date. In cambio, Lalli avrebbe ottenuto la tangente. E non è un caso, secondo gli investigatori, che il funzionario abbia cercato di disfarsi dei 2mila euro dopo essere stato fermato dai carabinieri subito dopo l’incontro. Il particolare è illustrato negli atti: "militari della sezione operativa centrale si avvicinavano al funzionario e gli chiedevano di seguirlo per identificarlo; questi, repentinamente, estraeva dalla tasca una busta e cercava di disfarsene gettandola". In una busta i carabinieri hanno trovato il denaro in banconote da 100 e 50 euro. Secondo il gip, le indagini avrebbero dimostrato come il denaro avesse lo scopo di "turbare ben otto gare del Comune e ciò nel più completo disinteresse per un effettivo ripristino della trasparenza delle procedure degli appalti capitolini, esigenza assai sentita dalle istituzioni e dalla società civile". Giustizia: nel sistema Mantovani anche le assunzioni "su esplicita richiesta di Berlusconi" di Sandro De Riccardis la Repubblica, 15 ottobre 2015 Non soltanto appalti truccati nell’edilizia scolastica e nella sanità. I pm sul vice di Maroni, arrestato: "Era al vertice di una rete che si espandeva e autoalimentava Rispondeva direttamente al leader di Forza Italia". In quello che la procura di Milano definisce un "sistema che tende ad autoalimentarsi e a espandersi progressivamente", con "al vertice" l’ex assessore lombardo alla sanità, Mario Mantovani, non ci sono solo gli appalti truccati nella sanità e nell’edilizia scolastica. Il "sistema Mantovani" agisce anche come longa manus di Silvio Berlusconi. Anzi, scrive il pm Giovanni Polizzi nella richiesta di arresto per Mantovani, per il suo collaboratore Giacomo Di Capua e per l’ingegnere del Provveditorato alle Opere pubbliche, Angelo Bianchi, il politico si muove su "esplicita richiesta" dell’ex premier. È un capitolo inedito e non penalmente rilevante dell’inchiesta, ma che raccoglie episodi che "per la loro sistematicità, non possono che contribuire ad alimentare il contesto desolante della costante violazione dei principi di correttezza, imparzialità e trasparenza da parte dei più alti titolari di funzione pubblica". L’ex senatore di Forza Italia provvede, per esempio, "alla sistemazione", poi saltata, "di Mariella Bocciardo", prima moglie di Paolo Berlusconi, "nel Consiglio del Policlinico di Milano"; "al reperimento di un posto di lavoro per Giampaolo Rossi, marito della parlamentare Pdl Deborah Bergamini, e per Richard Rizzi, fratello del capogruppo Pdl in Comune a Milano, Alan". Per la procura "questi impegni sono assunti da Mantovani su esplicita richiesta di Silvio Berlusconi". Anche perché l’assunzione di Richard è "volta a ricompensare il passaggio di Alan Rizzi, già confluito in Ncd, tra le fila della rinata Forza Italia". Per portare a termine il piano, Mantovani spende "efficacemente la qualità e tutto il peso di vicepresidente in Regione e di assessore alla Salute". Tanto che Richard, nel maggio 2014, "è stato effettivamente nominato membro dei collegi sindacali di A2A e Metropolitana Milanese". In più, oltre alle "assunzioni di alcuni giovani in Ferrovie Nord Milano", Mantovani "provvede a un contratto a tempo indeterminato presso Aler", che gestisce le case popolari, "intervenendo sulla commissione di cui non fa parte", per favorire Francesco Maria Lombardi, ex consigliere comunale di FI a Trezzano sul Naviglio. Il 14 novembre 2013, Mantovani chiama il giovane. "Ti voglio un mondo di bene - dice Lombardi al politico - Mario, per tutta la vita, non per un giorno! Per tutta la vita sempre riconoscente!". Il Nucleo di Polizia Tributaria della Gdf riporta le frasi del politico: "Non è stato facile convincere sia il commissario sia la commissaria Radaelli, che alla fine mi ha dato una mano". "Domani andrò a firmare il contratto a tempo indeterminato", continua Lombardi. "Allora abbiamo raggiunto l’apice!", esulta l’ex senatore. Quando i magistrati ne chiedono l’arresto (settembre 2014), Mantovani è uno dei politici più potenti in Lombardia. "Nel corso della sua ascesa politica ancora in atto - scrivono - è rimasto circondato da una cerchia di persone che si è costantemente prodigato di favorire secondo varie modalità, traendone a propria volta vantaggi in termini di riconoscenza e disponibilità da parte di questi a soddisfare le sue richieste, spesso volte ancora ad assicurare nuovi benefici ad appartenenti alla cerchia, secondo un sistema che tende così ad autoalimentarsi e a espandersi progressivamente". Un "cerchio magico" che comprende non solo gli altri due arrestati, ma anche manager sanitari di mezza Lombardia. C’è il direttore generale dell’Asl Milano 1, Giorgio Scivoletto, indagato per turbativa d’asta, ma sono indicati anche manager (non indagati) "parte dell’entourage di Mantovani" come il direttore generale dell’azienda ospedaliera di Pavia, Daniela Troiano, già indagata nell’indagine sulla "Cupola degli appalti" della sanità lombarda, e Carla Dotti, direttore generale a Legnano. "Tra i direttori generali del clan Mantovani, spicca Scivoletto che manifesta tutta la sua devozione all’assessore, accogliendone prontamente le istanze dopo l’esclusione" di una ditta amica dall’appalto sui dializzati. Scivoletto annulla la gara e proroga quella precedente. "Una bella emozione vedere le foto del tuo libro - scrive Scivoletto a Mantovani in un sms a maggio 2014 - ritrovarmi in alcune foto e vedere attraverso le innumerevoli opere che hai fatto, a testimonianza perenne, quanto ami la tua città e le attività di cui ti occupi. I ricordi sono indelebili nel cuore ma vederli in alcuni scorci di immagini ne ravviva il candore e la gioia. Grazie e Buona giornata maestro di vita e amico mio!". Giustizia: caso Mantovani; sta a vedere che ora i pm s’inventano la "mafia meneghina" di Tiziana Maiolo Il Garantista, 15 ottobre 2015 Chissà se nel corso dell’interrogatorio di garanzia cui sarà sottoposto oggi nel carcere milanese di San Vittore, al vicepresidente della Regione Lombardia Mario Mantovani, arrestato due giorni fa, sarà contestato anche il reato di associazione mafiosa. Non ci sarebbe di che stupirsi, ci troveremmo di fronte a una riedizione lombarda di "Mafia capitale", una sorta di "Mafia meneghina", insomma. Del resto, che cosa aspettarsi da un’inchiesta che i magistrati hanno voluto battezzare con il nome di "entourage", quasi a voler processare un intero ambiente invece che singole persone? Si ha la sensazione, leggendo la corposa ordinanza di custodia cautelare, che i soliti noti hanno diffuso a piene mani ai giornalisti, che ormai, a Roma come a Milano, l’unico modello processuale possibile sia quello nel quale si perseguono i reati di mafia. Cioè il modello del maxiprocesso, nel quale si giudicano più gli ambienti e le situazioni che non - come invece vorrebbe il codice del 1989, che prevede un sistema di tipo accusatorio - il singolo imputato e il singolo reato. Ecco quindi che, nel caso di Mario Mantovani, si spendono molte pagine per elencare gli incarichi politici che nel corso del tempo il vicepresidente della Regione Lombardia ha ricoperto, quasi come se fosse strano che una persona di 60 anni si sia candidata diverse volte e diverse volte sia stata eletta (tra l’altro alle elezioni europee con il sistema delle preferenze e altrettanto alle regionali, in cui è arrivato primo tra i candidati di tutti i partiti con 13.000 preferenze). Tutto ciò evidentemente rappresenta un’aggravante, agli occhi di pubblici funzionari con carriera garantita, quali sono i magistrati. Fatto sta che, mentre a Roma stanno ancora contando gli scontrini di Ignazio Marino, per il quale nessuno tiene conto del fatto che è diventato sindaco con regolari elezioni e non con un colpo di Stato, ecco che si sgancia la bomba su Milano. Le elezioni di primavera sono servite. Se ne accorge anche la Lega (che non è proprio campionessa di garantismo) questa volta, dato che tra gli indagati spicca anche una figura di primo piano di quel partito e della Regione Lombardia, l’assessore al Bilancio Massimo Garavaglia. Il quale è indagato insieme a Mantovani per un episodio in realtà secondario, ma che ha acceso la fantasia della stampa perché riguardava il trasporto di pazienti dializzati e la richiesta che questo servizio fosse prorogato (per novanta giorni) in capo a un’associazione di volontariato prima di effettuare la gara. Una sorta di "raccomandazione", insomma. Non certo una gara truccata. Sufficiente a giustificare un arresto? Mah. Ma c’è altro, ovviamente. E riguarda l’interessamento dell’assessore Mantovani nei confronti della carriera di un funzionario del provveditorato delle Opere pubbliche e parcelle non pagate a un architetto, che sarebbe stato compensato con qualche consulenza. È sufficiente tutto ciò per montare la panna e di conseguenza specchiarsi nelle prime pagine dei giornali al grido di "è tornata tangentopoli"? È tanto evidente il fatto che si è costruito un monumento su episodi più o meno commendevoli per creare il caso politico, che il Gip ha impiegato un anno a decidere sulle richieste di custodia cautelare, chieste dal Pm esattamente 12 mesi fa. Tanto che non c’è attività investigativa del 2015, ma fatti che vanno dal 2012 al 2014. Quanto tempo ci vorrà a far sgonfiare il soufflé? O davvero vogliamo davvero inventarci, dopo "Mafia capitale", anche "Mafia meneghina"? Tenuità anche se c’è continuazione di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 15 ottobre 2015 La continuazione del reato non esclude la nuova causa di non punibilità per tenuità del fatto. E questo anche se la norma considera abituale, e quindi non coperto da non punibilità, il reato che ha per oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. A questa conclusione arriva il tribunale di Grosseto con un’argomentata sentenza depositata lo scorso 9 luglio. Assoluzione quindi, sulla base del nuovo articolo 131 bis del Codice penale, per l’imprenditrice che non aveva versato all’Inps le ritenute previdenziali per quasi tutti i mesi del 2009. La sentenza ricostruisce puntigliosamente la disposizione, muovendo da un interrogativo di base. E cioè: se la tenuità del fatto può essere applicata anche in caso di continuazione, tenendo conto che quest’ultima può rientrare in almeno due dei tre criteri di esclusione: la ricorrenza della medesima indole tra i plurimi reati commessi e la reiterazione delle condotte criminali. Il giudice toscano, facendo ricorso ai lavori parlamentari e alla relazione di accompagnamento, ricorda il legislatore ha utilizzato un concetto diverso da quelli più consueto di occasionalità del fatto; tra le cause che impediscono l’applicazione della tenuità non è poi stata compresa la recidiva, aprendo anche in questo modo la strada a un perimetro di applicazione dell’istituto assai esteso. A esserne esclusi sono solo i comportamenti che rappresentano un esempio dell’abitudine del soggetto a violare la legge. In questo senso, a pesare sono gli indici individuati dallo steso articolo 131 bis. Il primo criterio è di natura formale e costituito dal certificato del casellario giudiziale. Quanto poi all’avere commesso più reati della stessa indole, il giudice monocratico di Grosseto ritiene che questo concetto non è totalmente sovrapponibile a quello della commissione di più reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. "Proprio perché - afferma la sentenza - l’intento effettivo perseguito dal legislatore è stato quello di escludere dal beneficio solo quei soggetti che per i quali si può affermare che il reato commesso sia espressione di una sorta di usuale comportamento di vita, se ne deve concludere che l’avere commesso più reati in continuazione tra loro, non sia di per sè espressione di quella abitualità nel comportamento richiesta dalla norma per escluderne l’operatività". Il criterio, nella lettura del giudice, si riferisce allora all’esistenza di più reati nella storia personale del soggetto interessato. In questa prospettiva i due criteri appaiono collegati e il secondo in specificazione del primo, conducendo all’esclusione dalla non punibilità i soggetti abitualmente dediti al crimine anche se i singoli comportamenti, di per sè stessi presi, possono essere considerati di particolare tenuità. È il caso, esemplifica la pronuncia, del furto compiuto dalla medesima persona che ha anche alla spalle una pluralità di illeciti bagatellari contro il patrimonio. Più complicato sciogliere il nodo della reiterazione delle condotte, ma la sentenza torna a sottolineare sul punto la necessità di escludere solo le condotte ripetute nel tempo oppure abituali che rappresentano espressione di uno stile di vita. Dunque, nel caso specifico, a venire valorizzato dal giudice è invece l’esiguità della cifra non corrisposta all’Inps, in tutto 785 euro, e significativa è anche la disposizione contenute per ora solo nella legge delega n. 67 del 2014 che invita il Governo a provvedere alla depenalizzazione degli omessi versamenti entro la soglia di 10mila euro. È vero che manca ancora il decreto delegato, anche se pare essere ormai in dirittura d’arrivo, ma, ricorda la sentenza, la disposizione rappresenta comunque un indice importante della volontà del legislatore. L’auto-riciclaggio affonda il mutuo troppo facile di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 15 ottobre 2015 Stretta sulle banche che concedono mutui troppo facilmente. Senza accertarsi, vuoi per dolo o semplice negligenza, che in questo modo possono essere favorite operazioni anche di auto-riciclaggio. La Corte di cassazione, con la sentenza n. 41353 della Seconda sezione penale depositata ieri, ribalta il giudizio della Corte d’appello di Torino e considera non opponibile alla confisca il credito ipotecario vantato dall’istituto di credito. Negata pertanto l’esistenza della buona fede nella condotta della banca lungo la procedura di istruttoria prima e di concessione poi del finanziamento. I fatti: il mutuo era stato concesso malgrado la scelta, fittizia e solo formale, del mutuatario in quello dei coniugi che non era già proprietario di abitazione (nel caso esaminato la moglie). L’obiettivo immediato? Usufruire delle agevolazioni previste per l’acquisto della prima casa, a prescindere dalla solvibilità. Inoltre, nel corso del primo grado e dell’appello, era stato accertato che l’erogazione aveva riguardato un immobile il cui prezzo riportato ufficialmente nel contratto non corrispondeva a quello effettivo e che, in realtà, non si era tenuto conto del reddito ufficiale del cliente, ma si era invece fatto riferimento al reddito e alle garanzie del marito, pur non mutuatario. Ma anche sul coniuge si addensano i dubbi, fatti propri dalla Cassazione. Già il tribunale infatti aveva valorizzato il fatto che, con il successivo trasferimento titoli da parte del marito, a garanza dell’operazione di mutuo, sarebbero state violate le direttive comunitarie contro il riciclaggio di denaro sospetto. Anzi, l’intera operazione era caratterizzata da elementi tipici dell’auto-riciclaggio. La Corte d’appello, malgrado gli indubbi elementi sospetti, peraltro da lei stessa riconosciuti, ma non decisivi ai fini del giudizio finale, aveva invece ritenuto che la banca non fosse venuta meno ai requisiti di buona fede. Per come la ricostruisce la Cassazione, la Corte d’appello aveva constatato "con amarezza che nel nostro Paese l’evasione fiscale è così diffusa e tollerata che gli istituti bancari, istruendo le loro pratiche, virgolettano il reddito "ufficiale" del cliente lavoratore autonomo, così evidentemente intendendo la sua non corrispondenza alla realtà e parimenti indicano il prezzo "ufficiale" e non quello "reale" di acquisto". E sarà pure una prassi, chiosa la Cassazione, ma non per questo deve passare in cavalleria la sua evidente antigiuridicità, tanto più che questo comportamento porta a dilatare in maniera eccessiva "un ben circoscritto beneficio fiscale". Scatta la concussione quando la pressione non lascia scelta alla vittima di Paola Rossi Il Sole 24 Ore, 15 ottobre 2015 Corte di Cassazione - Sezione VI penale - Sentenza 14 ottobre 2015 n. 41317. L’aver costretto qualcuno, senza che ne abbia preminente vantaggio personale, a dare o promettere un’utilità per il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, fa automaticamente scattare il reato di concussione e non quello di induzione indebita e neanche quello di truffa aggravata dalla qualifica pubblica dell’autore della pressione. Così la Corte di cassazione con la sentenza depositata ieri n. 41317/15 ha condotto un interessante argomentazione per distinguere tra i tre diversi reati, previsti dal Codice penale rispettivamente agli articoli 317,319 quater e 640. I fatti - Nel caso concreto i due imputati, consulente tecnico incaricato dal giudice dell’esecuzione e il suo collaboratore, avevano ottenuto l’"anticipo" per la propria prestazione professionale dal privato vittorioso in sede giudiziale con una sentenza favorevole, che prevedeva la demolizione di opere abusive. La pressione indebita esercitata dai due imputati nei confronti del creditore interessato all’esecuzione della sentenza era consistita nella prospettazione di una totale inerzia procedurale e che quindi non si sarebbe giunti alla demolizione stabilita in sentenza, se non avessero ricevuto in tale fase denaro dall’interessato poiché loro "non lavoravano senza soldi". I ricorrenti ricorrevano davanti al giudice di legittimità chiedendo la cassazione della sentenza di secondo grado che li condannava per aver commesso il reato di concussione ex articolo 317 del Codice penale. In primo grado erano stati ugualmente condannati, ma per truffa aggravata in base agli articoli 640 e 61, n. 9, del Codice penale, da cui discende una pena meno pesante. Distinzione tra i reati - La Cassazione nel rigettare il ricorso e confermando la responsabilità penale degli imputati per concussione ha operato un distinguo tra questo reato e l’induzione indebita a dare o promettere utilità e la truffa aggravata dalla funzione pubblica dell’autore della condotta. Per quanto attiene all’induzione indebita i giudici chiariscono che rispetto alla concussione il discrimine sta nella situazione di costrizione del soggetto passivo che si realizza con quest’ultimo reato. Non è tanto la brutalità della minaccia a far scattare la concussione, ma il risultato di costringere appunto qualcuno alla dazione o alla promessa dell’utilità a vantaggio del pubblico ufficiale senza che, tra l’altro, si miri a ottenere un qualche vantaggio per sé. Mentre con la previsione del nuovo reato ex articolo 319 quater, introdotto dalla legge di riforma 190/2012 sui reati contro la pubblica amministrazione, è stata espunta l’induzione dal reato di concussione che rimane appunto legato alla minaccia comunque capace in sé di realizzare lo stato di costrizione. Quindi vengono respinte le argomentazioni difensive sulla non brutalità della condotta degli imputati per escludere la concussione. Concludono i giudici, che nel reato di induzione indebita la pressione, che il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio mette in atto, non è tale da coartare totalmente la possibilità di scelta della "vittima" che, invece, viene indotto alla condotta anche perseguendo un proprio indebito vantaggio, ciò che non è necessario si realizzi nel reato di concussione. Non si è trattato neanche di un caso di truffa aggravata in quanto questa si realizza tramite artifici e raggiri, che inducono il soggetto truffato a fare una prestazione che crede dovuta. E, quindi a differenza della concussione dove la qualifica pubblica dell’autore del reato assume una funzione preminente e prevaricatrice, nella truffa la qualifica è un ulteriore e accessorio elemento del raggiro. Lettere: quando si tocca il fondo… si comincia a scavare di Beppe Battaglia Ristretti Orizzonti, 15 ottobre 2015 Come un fulmine a ciel sereno il ministro della giustizia Orlando ha emanato un decreto con il quale si aumenta di oltre il 100% le spese di "mantenimento carcere" a carico delle persone detenute. Il decreto ha valore retroattivo al mese precedente (dal primo agosto 2015). Da un euro e mezzo (centesimo più, centesimo meno) la quota giornaliera che ogni persona detenuta doveva pagare è stata portata a tre euro e sessantadue centesimi giornalieri. Per i detenuti che lavorano all’interno del carcere (pulizie, cucine, piccola manutenzione: le attività cosiddette domestiche) alle dipendenze del ministero della giustizia, come per altre attività lavorative remunerate, la trattenuta viene fatta alla fonte, in busta paga. Per quelli che non lavorano s’incaricherà Equitalia, a fine pena, di presentare il conto, avviando spesso inseguimenti esattoriali persecutori per intascare ad ogni costo il …fitto dell’albergo! Tenuto conto che tutte le persone detenute che lavorano in carcere alle dipendenze del ministero della giustizia sono tutti contratti part time di due o tre ore giornaliere, si può facilmente immaginare cosa guadagna al netto un lavorante detenuto! Ovviamente, quando si passa ai dati statistici scodellati dal ministro o dai suoi funzionari della giustizia non è raro sentire dire che in questo o in quel carcere ci sono tot detenuti lavoratori, tacendo accuratamente di dire quante sono le ore lavorative concesse e soprattutto quale è il prezzo orario di tale prestazione lavorativa. Viene taciuto completamente da questi campioni della giustizia che le tabelle orarie sono aggiornate ad oltre trent’anni fa. A questo proposito, all’udienza tenuta dal capo del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) con tutti i Garanti, alcuni dei quali hanno sollevato la questione dell’aggiornamento delle tabelle orarie del lavoro dei detenuti, il capo del Dap con grande "candore" così argomentava la risposta: "…a noi conviene risarcire i pochi detenuti che a fine pena fanno ricorso, piuttosto che aggiornare le tabelle… Tanto, i detenuti che fanno ricorso (e tutti lo vincono) sono pochissimi, presi dall’euforia della liberazione vogliono solo mettere distanze tra loro e il carcere, invece l’aggiornamento delle tabelle ci costerebbe molto di più". Non c’è che dire per un funzionario della giustizia. All’indecenza, ovviamente, non c’è confine! E il ministro della giustizia non può non sapere questo stato di cose, quando ci mette tutta la sua solerzia aumentando di oltre il 100% le spese del "mantenimento carcere" a carico della persona detenuta e dimenticando completamente, invece, il doveroso (e legale) aggiornamento delle tabelle orarie risalenti ad oltre trent’anni fa! Un duplice problema, dunque: di onestà etica e di legalità. Altro che caporalato! L’indignazione, il disgusto, la collera per tanta spregevole speculazione deriva dal fatto che ciò succede in casa della giustizia e nella più totale disinformazione! Un’operazione simile si potrebbe anche comprendere se a speculare così indegnamente fosse un privato (come pure ci sono dentro il carcere) sfruttatore di lavoratori senza tutele. I caporali, infatti, non hanno la pretesa di ammantare le loro malefatte in nome di una qualche giustizia. Dal ministero della giustizia non si può accettare la prosopopea di una speculazione vergognosa a danno, peraltro, di chi si trova in carcere per molto meno. Se tanto ci dà tanto ci dà tanto, c’è da credere che anche i diciotto tavoli di lavoro istituiti dal ministro per… riformare l’ordinamento penitenziario, alla fine, partoriranno qualche topolino avvelenato con grande dissipazione di energie e tanta prosopopea propagandistica tanto, c’è da credere che anche i diciotto tavoli di lavoro istituiti dal ministro per… riformare l’ordinamento penitenziario, alla fine, partoriranno qualche topolino avvelenato con grande dissipazione di energie e tanta prosopopea propagandistica. Signor ministro, ma è davvero troppo pretendere un po’ di decoro etico, un po’ di giustizia amministrativa, un po’ di buonsenso politico? O è diventato lecito ogni sorta di abuso sulla pelle delle persone detenute? Lettere: la tortura delle torture, l’isolamento diurno degli ergastolani di Carmelo Musumeci carmelomusumeci.com, 15 ottobre 2015 "Al colpevole di più delitti, ciascuno dei quali importa la pena dell’ergastolo, si applica la detta pena con l’isolamento diurno da sei mesi a tre anni". (Articolo 72 Codice Penale). Da qualche tempo si parla dell’introduzione nel codice penale italiano del reato di tortura e anche dell’abolizione della pena dell’ergastolo, questo soprattutto grazie alle parole di Papa Francesco, che l’ha definita "Pena di Morte Nascosta". Si comincia finalmente anche a parlare dei particolari regimi carcerari a cui sono sottoposti molti detenuti da decenni. Nessuno però parla mai, o ne parla troppo poco, della crudeltà dell’isolamento diurno a cui vengono sottoposti gli ergastolani quando le loro sentenze diventano definitive. Lo voglio fare adesso io, ricordando quando ero sottoposto al regime di tortura del 41 bis, nel lontano 1995 nel carcere dell’isola dell’Asinara, e mi applicarono la sanzione penale dell’isolamento diurno della durata di diciotto mesi. Molti prigionieri soffrono in silenzio e non amano raccontare il loro dolore, io lo scrivo per combatterlo meglio. Un giorno un brigadiere e due guardie mi vennero a prendere nella mia cella, che dividevo con altri tre compagni. Mi portarono nell’apposita sezione per applicarmi l’isolamento diurno. Mi ricordo che la cella puzzava di urina. C’erano ragnatele negli angoli delle pareti, escrementi di topo ovunque sparsi sul pavimento. La porta della cella era sbarrata da un cancello arrugginito e da uno spesso portone di ferro grigiastro, con uno spioncino per passare il cibo. Potevo fare una sola ora d’aria al giorno dentro un cortile circondato da pareti di cemento e con una spessa rete metallica sopra la testa. Talmente fitta che i raggi del sole facevano fatica a penetrare e la pioggia a toccare il suolo. Ricordo che c’era un silenzio da cimitero, gli unici rumori che sentivo erano quelli degli scarponi delle guardie che, quando si ricordavano che c’ero, passavano per controllare s’ero vivo o morto. Passarono settimane e mesi. Tentavo di dormire tutto il giorno e tutta la notte, perché quando ero sveglio pensavo, se pensavo ricordavo e se ricordavo la mia mente andava a quando ero un uomo libero e felice con la mia compagna e i miei figli. Poiché avevo anche la censura della corrispondenza, per un certo periodo non mi passarono le lettere da casa. E mi sentii solo e abbandonato, dalla mia famiglia, dall’umanità e pure da Dio. Neppure Lui in quel periodo si degnava mai di rispondermi, solo adesso mi è venuto il dubbio che forse non l’ha fatto perché in quel tempo non avrei mai tentato di ascoltarlo. Mi ricordo che in me non c’era più nulla. E avevo perso la cognizione del tempo. Ad un certo punto per non impazzire incominciai a parlare da solo per tenermi compagnia. E il mio cuore iniziò a costruirsi castelli di sabbia virtuali, d’amore con la mia compagna e con i miei figli, per proteggere la mia mente. Per dieci mesi smisi persino di andare all’aria. E quando, dopo un anno e sei mesi d’isolamento diurno, mi spalancarono il blindato e il cancello per portarmi in compagnia, mi sembrò che mi stavano facendo uscire da una tomba. Ora, con l’introduzione del nuovo regolamento del 30 giugno 2000 (n.230) è previsto che "L’isolamento diurno nei confronti dei condannati all’ergastolo non esclude l’ammissione degli stessi alle attività lavorative, nonché di istruzione e formazione diverse dai normali corsi scolastici, e alle funzioni religiose" ma grande è sempre la differenza tra i diritti dichiarati e quelli applicati nelle carceri italiani. E purtroppo la maggioranza degli ergastolani continuano a scontare la sanzione penale dell’isolamento diurno come cadaveri sepolti vivi. Lettere: in ricordo di Aldo Bianzino a otto anni dalla sua morte societacivile.net, 15 ottobre 2015 Aldo Bianzino era un falegname di 44 anni residente a Pietralunga, paese che dista una ventina di chilometri da Città di Castello in provincia di Perugia. Aveva scelto una vita appartata insieme alla compagna Roberta Radici e a suo figlio Rudra: un appezzamento di terra nel cuore delle colline umbre, una cascina, uno stile di vita alternativo all’insegna del pacifismo e delle filosofie orientali. Questo fa di Aldo il perfetto "attenzionato", un elemento che non può passare inosservato in una piccola comunità collinare, ma che era e rimane una persona ben vista da tutti. Un hippie con la barba lunga, una decina di piante di marijuana coltivate nell’orto di casa e con un modesto lavoro di falegname, facilmente può essere etichettato come diverso. Per quelle piantine di canapa, la notte del 12 ottobre Aldo e Roberta vengono arrestati con l’accusa di possesso e spaccio di sostanze stupefacenti. Suo figlio Rudra, di appena quattordici anni e la nonna di novanta vengono lasciati completamente soli e lontani da tutto per due giorni. Vengono condotti al carcere di Capanne e separati in diversi reparti. Dall’ingresso in carcere Roberta non vedrà più Aldo se non dopo la sua morte. La mattina seguente alle ore 8.15 Aldo viene trovato morto nella sua cella. Ad annunciarlo alla moglie ancora detenuta nella sezione femminile, è un dipendente del carcere che ambiguamente esordisce con questa domanda: "Signora che lei sappia suo marito soffriva di svenimenti?". Sarà Roberta a descrivere il tono incalzante di quel surreale dialogo, che avveniva mentre Aldo era già steso sul tavolo dell’obitorio. "Signora suo marito soffre di cuore? Ha mai avuto problemi al cuore? È mai svenuto?", queste le domande che il dipendente dell’amministrazione penitenziaria rivolge alla compagna di Aldo. Roberta viene scarcerata verso mezzogiorno. Nei corridoi incontra quel funzionario accompagnato da un’altra persona e si precipita a chiedere quando avrebbe potuto vedere Aldo. L’uomo testualmente le risponde: "Signora, martedì dopo l’autopsia". Roberta muore un anno dopo di tumore, dopo aver dedicato gli ultimi mesi della sua vita alla ricerca della verità, convinta fin da subito che Aldo abbia subito violenze. Sarà il medico legale nominato da Gioia Toniolo, ex moglie di Aldo, il primo a parlare chiaramente di pestaggio "particolare", effettuato con tecniche militari atte a non lasciare segni esterni ma a distruggere gli organi interni. Il fegato di Aldo presentava una profonda lacerazione. Il fascicolo sul decesso viene aperto dal pubblico ministero Petrazzini, lo stesso che aveva firmato il mandato di perquisizione dell’abitazione di Bianzino e che al primo incontro con la signora Toniolo esordì dicendo: "Signora lei non si deve preoccupare, svolgeremo indagini a 360 gradi, ma non è detto che troveremo il colpevole" cosa al quanto inquietante visto che il carcere è una struttura circoscritta sotto il pieno controllo delle istituzioni. La prima autopsia riscontra lesioni al fegato, alla milza, al cervello e due costole rotte. Il medico legale Patumi, nominato dalla famiglia, asserisce che le lesioni sono effetto di "colpi dati chiaramente per uccidere", che "mirano a distruggere gli organi vitali senza lasciare tracce esterne". La seconda autopsia indica invece un aneurisma cerebrale come causa del decesso. Si apre così un’indagine contro ignoti per omicidio volontario. Dai filmati delle videoregistrazioni interne al carcere, risulta che nella notte tra il 13 e i 14 ottobre non viene prestato alcun soccorso a Bianzino, che pure, secondo i detenuti ascoltati dal pubblico ministero, aveva chiesto insistentemente aiuto. Su queste basi, l’agente di polizia penitenziaria che quella notte aveva effettuato il turno di guardia viene iscritto nel registro degli indagati per omissione di soccorso e omesso servizio. Le videoregistrazioni avvenivano solo per quindici secondi ogni due minuti, e l’agente non disponeva delle chiavi delle celle. Nel febbraio 2008 il pm Petrazzini chiede che il fascicolo contro ignoti per omicidio volontario venga archiviato, in quanto le indagini non avrebbero fornito prove di aggressioni a Bianzino né alcuna ragione perché si potessero verificare. I legali della famiglia però si oppongono, e chiedono che venga fatta luce sui punti ancora controversi: come mai il tentativo di rianimazione di Bianzino non è avvenuto in cella?, qual è l’origine della profonda lesione epatica riscontrata in sede di autopsia?, la lesione epatica ha una correlazione con il decesso? Contro il parere dei medici legali incaricati dalla procura, i periti della parte civile escludono totalmente che la lesione possa essersi verificata durante le manovre di rianimazione. Petrazzini, però, chiede nuovamente l’archiviazione. Ma molte altre sono le domande rimaste senza risposta. Non si sa perché Bianzino fosse seminudo e con la finestra aperta malgrado il freddo, per quale motivo non siano stati effettuati rilievi da parte della polizia scientifica nella cella, quali furono i movimenti di Bianzino il pomeriggio prima di morire e perché una delle magliette di Aldo, restituita dopo il decesso alla compagna, è stata smacchiata con della candeggina. Per la morte di Aldo Bianzino è finito a processo con le accuse di omissione di soccorso e omissione d’atti d’ufficio Gianluca Cantoro agente di polizia penitenziaria. In primo grado l’agente Cantoro fu condannato a 1 anno e 6 mesi di reclusione, pena ridotta in appello di 6 mesi. Nel giugno 2015 la Cassazione ha confermato la condanna ad un anno di reclusione per l’agente. Secondo la tesi dell’accusa, accolta ora definitivamente dai giudici, la guardia carceraria non chiamò il medico quando Bianzino si sentì male. Lettere: dei medici assassini e degli avvocati in franchising camerepenali.it, 15 ottobre 2015 Alcune osservazioni su stampa, responsabilità medica e serietà dell’avvocatura. La risposta Ucpi a una polemica di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera. A margine delle notizie di questi giorni circa il "decreto sugli esami sanitari inutili" e la relativa mobilitazione della classe medica, alcuni quotidiani, tra cui il Corriere della Sera, approfondiscono le tematiche collegate alla nota questione della "medicina difensiva" ed al ruolo degli avvocati nel moltiplicarsi vertiginoso di processi a carico di medici e sanitari, anche in sede penale. In un articolo di Gian Antonio Stella sul "Corriere" del 24 settembre, oltre ad essere ripercorsi tutti i temi collegati alla questione (ruolo del medico nelle prescrizione di esami sanitari; costo spropositato delle assicurazioni per i casi di colpa professionale; confini giurisdizionali della nozione di colpa sanitaria etc.), si affronta il problema del ruolo dell’avvocatura nella complessiva vicenda. Nel brano giornalistico ad un certo punto si legge, tra l’altro, testualmente: "Un disastro per i conti pubblici, un’incognita per le assicurazioni, un incubo per i medici, un affarone per certi studi legali che in questi anni si sono spinti a pubblicità allucinanti. Come il manifesto di due poppe prosperose…e una scritta "Protesi cancerogene difettose". Ma che senso ha una homepage di una rete di avvocati in franchising dominata da due figuri con cuffietta e mascherina sotto il titolo "il killer silenzioso?". Il tema, opportunamente stimolante, suscita alcune riflessioni: per l’avvocatura, la stampa, e la magistratura. Quanto alla prima, siamo abituati, di fronte a critiche del genere indicato, ad ascoltare alti lai di alcuni avvocati (e relative associazioni) che, avvitati nella loro concezione corporativa, respingono ogni addebito. I penalisti italiani (ed in particolare l’Unione delle Camere Penali), al contrario, sono da tempo abituati a guardare anche al loro interno e non hanno mai mancato di denunciare come, in ambito forense, il livello di degrado deontologico e di pressapochismo professionale abbia raggiunto vette ragguardevoli. Così diciamo, del resto, oggi, a fronte dell’ennesima comprensibile reprimenda. Il lavoro dei medici è delicatissimo e nel contempo difficilissimo da giudicare, e il fiorire di spericolate azioni giudiziarie di stampo speculativo è sotto gli occhi di tutti. Questo ovviamente non significa che non vi siano medici incapaci o anche solo medici che sbagliano gravemente, ma tanto non dovrebbe autorizzare, a maggior ragione gli avvocati, a vellicare gli istinti di una "utenza" (ormai si chiama così) che, in buona o cattiva fede, ritiene di dover trasformare ogni disgrazia personale in un’azione giudiziaria. Il ruolo di un avvocato che tale voglia affermarsi - e dunque qualificato, specializzato e deontologicamente preparato - è anche quello di dissuadere ipotetici clienti dal proporre denunce o azioni giudiziarie avventate. E qui sta il punto: l’esuberante accesso alla professione legale, la tardiva e incerta introduzione della specializzazione forense, la degenerazione deontologica che molte volte l’avvocatura penale ha denunciato costituiscono la causa prima e l’humus ideale del fiorire - per dirla con Gian Antonio Stella - di "certi studi legali che in questi ultimi anni si sono spinti a pubblicità allucinanti". In assenza di adeguati rimedi, nulla si potrà dire di "avvocati in franchising" o di "pubblicità allucinanti" o anche solo di avvocati soliti trattare cause penali solo quali parti civili nei processi per colpa medica, senza avere mai affrontato in vita loro, se non in sporadiche occasioni, processi dal banco della difesa o comunque per altri reati. Ma il tema degli avvocati "in franchising" spalanca le porte anche ad un’altra questione: come mai nessuno - in primo luogo la stampa ed anche l’editorialista Stella - è in grado di cogliere il nesso tra la degenerazione "mercantile" dell’avvocatura e la pretesa "europeista" di garantire libertà di concorrenza, in spregio ad ogni rigorosa regolamentazione a garanzia della necessaria qualificazione degli avvocati? Perché quando l’avvocatura penalistica ha denunciato il degrado dei 250.000 avvocati italiani (un numero spropositato, di cui va dato atto a Stella di essersi in parte occupato, denunciando lo scandalo dell’esame di stato a Catanzaro) è stata accusata di corporativismo, di "non volere il mercato e la concorrenza" (come se 250.000 avvocati non fossero la concorrenza), di guardare al proprio orticello? Come mai analoghe accuse sono state mosse quando si è denunciato il tema della pubblicità senza regole, il cui esito sono gli indecenti portali internet descritti nell’articolo, gli "avvocati di strada", gli avvocati "tuttologi" e via degenerando? Forse che non poteva sorgere il sospetto che quei numeri, in alcun modo disciplinati in ossequio al dogma della libertà del mercato, avrebbero necessariamente condotto al proliferare di studi di "avvocati in franchising" promossi da pubblicità ingannevole (oltreché di pessimo gusto) e dediti a profittare della caccia alle streghe agitata dalla stampa? Perché se l’avvocatura è malata, non di migliore salute gode la stampa, laddove, in spregio alla propria indipendenza, si mostra sempre prontissima ad agitare gli animi del popolo su questo o quel caso di pretesa "malasanità": e così, non appena il sospetto di una qualche Procura della Repubblica si posa su medici, cliniche, strutture ospedaliere, quel sospetto viene immediatamente rilanciato come "l’ennesimo caso di malasanità", prima ancora ed a prescindere da ogni e qualsiasi intervento di un giudice che dica se quell’ipotesi abbia almeno una parvenza di verità. Si dica allora che, se pur non ne costituisca causa prima, l’approccio di una certa stampa alla notizia - "scandalistico", superficiale ed illiberale - fornisce anch’esso un sostanzioso contributo al proliferare degli "avvocati in franchising" e delle correlate "pubblicità allucinanti". Fintanto che la stampa continuerà a considerare la presunzione di innocenza un singolare ornamento dell’eloquenza degli avvocati penalisti, preferendo di gran lunga far da grancassa a inchieste giudiziarie dirette a perseguire "il medico assassino" (amplificando magari le conclusioni di un qualche medico legale "delle Procure"), per il cittadino vittima delle spericolate avventure propagandistiche dell’avvocato in franchising non vi sarà pace. Né vi sarà pace per i tanti medici che compiono il loro dovere con onestà e probità e per le loro tasche, svuotate dalle imprese assicuratrici. Il circuito - procure, stampa e avvocati in esubero - è vizioso. A ciascuno per la sua parte spetterebbe l’obbligo di interromperlo. Renato Borzone (Responsabile Osservatorio sull’informazione giudiziaria dell’Unione delle Camere Penali Italiane) Lodovica Giorgi (Responsabile Osservatorio Specializzazione dell’Unione delle Camere Penali Italiane) Abruzzo: Garante dei detenuti, centrosinistra non compatta sul voto a Rita Bernardini abruzzoindependent.it, 15 ottobre 2015 Maggioranza centrosinistra non compatta sul voto a Rita Bernardini. Chiodi: "L’incarico non è per la politica". Il Consiglio regionale non ha eletto il Garante dei Detenuti della Regione Abruzzo per mancato raggiungimento del quorum. Il più votato, come nelle previsioni, è stato il segretario del Partito Radicale Rita Bernardini, 63 anni, romana, ex onorevole della Repubblica Italiana, che ha preso 13 voti dalla maggioranza di centrosinistra (Pd+Idv+Sel+Abruzzo Civico) più quello del consigliere regionale Leandro Bracco. Si sono astenuti i cinque consiglieri regionali del MoVimento 5 stelle, che rappresentano la seconda forza politica in Consiglio regionale. In totale i voti espressi sono stati 29. Il presidente del Consiglio regionale Luciano D’Alfonso era assente alla votazione perché impegnato in missione istituzionale a Bruxelles. "Il Garante dei Detenuti - ha spiegato l’ex governatore Gianni Chiodi - è un incarico che serve per la tutela dei diritti delle persone sottoposte al trattamento penitenziario e non per fare politica". Gli altri candidati. Gli altri candidati sono Paolo Albi, ex consigliere comunale di centrodestra a Teramo e Giorgio Lovili, ex segretario generale del Comune dell’Aquila, Manlio Madrigale del centro di Civicrazia di Chieti, Gianmarco Cifaldi, professore di Sociologia all’Università d’Annunzio di Chieti-Pescara, Rosita Del Coco, docente di Diritto penitenziario a Teramo, Carlo Di Marco, prof di Scienze politiche a Teramo, Antonio Di Biase, docente di Diritto civile all’Università di Foggia, Marco Manzo, editore, collaboratore de Il Fatto Quotidiano e presidente di Più Abruzzo, Francesco Lo Piccolo della Onlus Voci di Dentro, Fabio Nieddu, ex responsabile della Croce rossa di Chieti, Ariberto Grifoni, Danilo Montinaro, psichiatra di Lanciano, Fiammetta Trisi, direttore dell’Ufficio detenuti e trattamento del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria di Pescara e l’avvocato Salvatore Braghini. Cagliari: Cgil-Fp; detenuto gravissimo per tentativo suicidio, ricoverato in rianimazione Sardegna Oggi, 15 ottobre 2015 È in condizioni gravissime un detenuto del carcere di Uta che ieri ha cercato ti togliersi la vita. Il tentativo fa riemergere i problemi di sicurezza presenti nella struttura penitenziaria. Un detenuto ha tentato di togliersi la vita in una stanza del carcere di Uta. Lo rivela un comunicato della Cgil-Fp. Il fatto risale alle 16 di ieri: l'uomo dopo il tempestivo intervento da parte del personale di Polizia Penitenziaria e il soccorso dei medici è stato trasportato presso il pronto soccorso del SS.Trinità di Cagliari. Le sue condizioni sono gravi, è ricoverato in rianimazione. Recentemente l'uomo era stato oggetto di un nuovo provvedimento di custodia cautelare, dopo essersi allontanato da una comunità alla quale era stato affidato. Il fatto dimostra le continue difficoltà nel nuovo carcere. Problematiche che, secondo la Fp Cgil, vanno ricercate in primo luogo nell’insufficiente presenza di personale sia di Polizia Penitenziaria che di esperti, quali psichiatri e psicologi, ma anche in quelle evidenti falle che il sistema evidenzia. “Aver costruito un Istituto di pena in un desolante contesto quasi al confine del mondo”, come evidenzia il coordinatore regionale della Fp Cgil Polizia Penitenziaria, "non ha senz’altro favorito la diminuzione del disagio da parte dei reclusi e dei loro famigliari. Problematicità che poi devono affrontare tutte le persone che vi operano, in un territorio distante dalla civiltà e da quelle strutture di prima necessità come gli stessi ospedali". "A tutt’oggi il complesso di Uta non è neppure terminato - si legge in un comunicato - e i settori già operativi devono affrontare assurde problematiche strutturali. Oltre ad imperscrutabili scelte a livello progettuale vi sono problemi legati soprattutto alla tenuta in presenza di avverse condizioni meteo. Infatti In caso di pioggia sono evidenti innumerevoli infiltrazioni d’acqua, che pregiudicano anche gli impianti elettrici e pertanto con forti rischi alla sicurezza". Messina: detenuto muore a Gazzi, era in sedia a rotelle e con gravi patologie Gazzetta del Sud, 15 ottobre 2015 In una dura nota l’avvocato Domenico André, responsabile dell’Osservatorio carcere per la Camera penale "Pisani-Amendolia", nonché rappresentante dell’Osservatorio carcere dell’Unione Camere penali italiane "rappresenta l’ennesima tragedia consumatasi nella casa circondariale di Messina, perché l’opinione pubblica sappia che ancora nel 2015 di carcere si muore". "Il detenuto di cui stiamo parlando - prosegue l’avvocato André, si chiamava Andrea Mirabile di anni 46, ed era affetto da gravissime patologie di natura cardiovascolare, neurologica, ipomiotrofia muscolare e per tali patologie era costretto su una sedia a rotelle". "Il difensore che assisteva il Mirabile, correttamente aveva presentato un’istanza al tribunale di Sorveglianza di Messina, per il differimento esecuzione pena per gravi motivi di salute, ma tenutasi l’udienza camerale nel mese di luglio, lo stesso Tribunale rigettava la richiesta di detenzione domiciliare o detenzione in luogo privato di cura (cioé esterno al carcere), concludendo per una piena compatibilità delle condizioni di salute del detenuto con l’ambiente carcerario (senza sottoporre lo stesso alla visita medico-legale di un perito)". "Nella nottata di ieri, 13 ottobre, il povero signor Mirabile moriva nel centro clinico del carcere di Messina, senza l’affetto dei suoi cari e senza nessuna conforto umano". "Questo è l’ennesimo caso in cui - conclude l’avvocato André, le misure alternative alla detenzione anche per i malati gravi risultano inapplicate e rimaste lettera morta sulla pagina di un codice". Oristano: tre brande nelle celle per due persone, i detenuti si rivolgono al tribunale La Nuova Sardegna, 15 ottobre 2015 Dal carcere di Oristano 21 carcerati in regime di Alta sicurezza hanno presentato un reclamo per denunciare la riduzione degli spazi di convivenza provocata dall’introduzione di una terza branda, e quindi di un terzo detenuto, in spazi costruiti per ospitarne solo due. La terza branda nelle celle agita i detenuti del carcere di Massama. Ventuno carcerati in regime di alta sicurezza hanno presentato un reclamo al Tribunale di sorveglianza di Cagliari per denunciare la riduzione degli spazi di convivenza provocata dall’introduzione di una terza branda, e quindi di un terzo detenuto, nelle celle costruite per ospitarne solo due. Ne ha dato notizia la presidente dell’associazione Socialismo Diritti riforme Maria Grazia Caligaris sottolineando che "ancora una volta si evidenzia l’inadeguatezza delle nuove carceri ai bisogni degli operatori e alla esigenza del reintegro sociale dei detenuti". Secondo i sottoscrittori del reclamo, spiega ancora Caligaris, l’introduzione della terza branda, che prelude necessariamente all’arrivo di un terzo detenuto nelle celle di sei metri quadri costruite per due soli detenuti, rappresenta una violazione delle norme europee che stabiliscono in un minimo di tre metri, franco letti e mobilio, lo spazio a disposizione di ciascun recluso. In queste condizioni, e considerato anche l’alto numero di detenuti in regime di alta sicurezza presenti nelle carceri sarde, secondo la presidente dell’associazione, c’è il serio pericolo che il sistema non possa garantire le finalità della pena, che erano e restano la riabilitazione e il reinserimento sociale del detenuto. Verona: detenuti danno fuoco a due celle carcere, agenti intossicati Ansa, 15 ottobre 2015 Due celle del carcere di Verona sono state incendiate da alcuni detenuti con la conseguenza che 12 poliziotti penitenziari sono rimasti intossicati mentre intervenivano per la messa in sicurezza degli altri detenuti e della struttura. Il fatto, denunciato da una nota del Sappe, Sindacato autonomo di polizia, giunge a sole 48 ore da un analogo episodio nella stessa struttura. "Alcuni detenuti - riferisce Donato Capece, segretario generale del Sappe - hanno dato fuoco alle celle dove erano ristretti, rendendosi responsabili di un grave episodio che poteva avere, come in parte ha avuto, gravissime conseguenze. I detenuti irresponsabili hanno incendiato tutto ciò che era nella loro disponibilità all’interno della cella: materassi, cuscini, tavoli, sgabelli e armadietti". "Ancora una volta - aggiunge - poteva essere una tragedia, sventata solo grazie al tempestivo intervento dei poliziotti penitenziari in servizio". "Non si può continuare cosi - prosegue Capece -. Non c’è alcuna sicurezza per i poliziotti penitenziari in servizio a Verona, che lavorano in pessime condizioni e con notevole stress. Gli eventi critici sono all’ordine nel giorno. Il Ministro della Giustizia Andrea Orlando mandi una ispezione nel carcere di Verona". D’Arienzo (Pd): fatti gravi. "Sui fatti avvenuti presso l’istituto penitenziario veronese, ormai giornalieri, occorre un focus per risolvere definitivamente i problemi". Così Vincenzo D’Arienzo, deputato del Pd. "Considero grave quanto sta accadendo presso la struttura carceraria di Montorio - ha spiegato - ed in particolare che siano in pericolo gli agenti della Polizia Penitenziaria. I danni collaterali, ovvero l’intossicazione da fumo e adesso le aggressioni mi suggeriscono una domanda: sono state attivate tutte le precauzioni nel corso dell’intervento per tutelare la salute degli agenti? Diversamente, penso proprio che il problema sia più grande di quanto conosciamo ad oggi". "Non è la prima volta - ha aggiunto il parlamentare del Pd - che vi sono episodi e tutti caratterizzati da gravi minacce verso il personale di vigilanza. Ritengo prioritario garantire la sicurezza del personale in servizio. I resoconti giornalistici ed i comunicati stampa lasciano molti dubbi". "È giunto il momento di soddisfare le richieste del personale in modo da superare le difficoltà che sono state pubblicamente manifestate e che, a quanto pare, creano una condizione lavorativa non ottimale. Anche il Dipartimento deve fare la propria parte. È necessario approfondire gli aspetti segnalati per avviare ogni utile iniziativa al fine di corrispondere le esigenze di sicurezza desiderate dal personale" ha concluso D’Arienzo. Businarolo (M5S): intervenga in governo. "Le notizie che ci arrivano dal carcere Montorio sono davvero allarmanti e confermano che le condizioni dei detenuti non sono migliorate negli ultimi anni nonostante i cinque svuota-carceri che il governo ha emanato negli ultimi anni". Lo ha detto Francesca Businarolo, deputata del Movimento 5 Stelle. "Occorre sì garantire i detenuti - spiega la parlamentare pentastellata, ma bisogna pensare anche a quanti lavorano all’interno del carcere, tutelando a loro salute e la loro incolumità psicofisica". "Mi riferisco - ha aggiunto - agli agenti penitenziari e gli assistenti sociali che quotidianamente sono a contatto con i carcerati e, come noto, sono sotto dimensionati rispetto alle necessità della casa circondariale di Montorio". "Non è accettabile che vengano costretti a lavorare in condizioni di perenne pericolo. Chiederò, con un’interrogazione, al ministro della Giustizia Orlando se sia informato dei fatti che si stanno verificando a Montorio e cosa intende fare per il carcere veronese" ha concluso Businarolo. Busto Arsizio: carcere, concluso il progetto "Ascolto, Sostegno, Accompagnamento" assesempione.info, 15 ottobre 2015 Si è concluso da pochi mesi il progetto sviluppato dai volontari assistenti ai carcerati e loro famiglie di Busto Arsizio, grazie anche al sostegno della Fondazione Comunitaria del Varesotto Onlus (Bando 2014 N° 1 Assistenza Sociale). Il progetto è stato concepito e realizzato per dare una risposta, per la parte di competenza della nostra Associazione, agli impellenti bisogni dei numerosi detenuti della Casa Circondariale di Busto Arsizio e delle loro famiglie presenti sul territorio. Esiste un cronico sovraffollamento del Carcere, con una popolazione carceraria costituita da più del 50% di stranieri, Vi è un problema specifico legato ai tanti detenuti "corrieri di droga" in arrivo dal vicino aeroporto della Malpensa: non hanno vestiti, non parlano italiano, non hanno soldi, non hanno alcun riferimento sul territorio. Le risorse istituzionali per vestire, ascoltare, educare ed accompagnare di nuovo nella società una tale massa di persone sono del tutto inadeguate per cui il ruolo del volontariato è di particolare rilevanza sociale. La nostra Associazione ha avuto l’incarico da parte del Cappellano del Carcere Don Silvano Brambilla, di prendersi cura di una sezione costituita da circa 70 detenuti. I volontari, oltre a fornire supporto umano, psicologico, religioso e culturale, hanno dato una risposta concreta al bisogno di cose essenziali di numerosi detenuti che hanno soggiornato, anche se per un breve periodo, all’interno del carcere, fornendo Kit di prima accoglienza costituiti da vari articoli (biancheria intima, calze, ciabatte, tute, asciugamani, prodotti per l’igiene personale). I beni sono stati ottenuti a prezzi di favore e in alcuni casi a titolo gratuito da diversi fornitori della zona che hanno mostrato senso di solidarietà sociale. La nostra Associazione è sorta nel 1976 a seguito della legge Gozzini. Principali finalità statutarie: visitare i carcerati, assistere loro e le loro famiglie, adoperarsi per facilitare il loro reinserimento nella società; raccogliere i mezzi economici necessari alla realizzazione degli scopi istituzionali, stabilire il collegamento e il coordinamento con Enti ed Associazioni similari e con Enti Pubblici e Privati. L’Associazione opera all’interno della Casa Circondariale di Busto Arsizio, a favore dei detenuti e nel territorio circostante a favore delle famiglie di detenuti ed ex detenuti. Per quanto riguarda l’assistenza alle famiglie, nell’ambito del progetto realizzato, è stato operativo un Centro di Ascolto in cui volontari con lunga ed approfondita esperienza hanno accolto tutti coloro che ne hanno fatto richiesta con lo scopo di individuare le necessità presenti sul territorio, vagliare la reale consistenza dei bisogni e soprattutto di aiutare le famiglie ad affrontare le difficoltà nel migliore dei modi. Si sono elaborati microprogetti individuali volti, ove possibile, all’autosufficienza evitando l’assistenzialismo, in collaborazione con i Servizi Sociali e le altre organizzazioni di volontariato. Sono stati forniti alle famiglie parzialmente o cumulativamente, a seconda della gravità delle situazioni e del grado di copertura della rete: aiuti morali, di consulenza e di tramite per i contatti con gli altri enti, aiuti economici a tempo determinato per pagamento di affitti e bollette utenze, somministrazione di viveri e farmaci ricorrendo anche al Banco Alimentare e ad accordi con farmacie convenzionate. Con soddisfazione abbiamo constatato che in alcuni casi sono stati fatti importanti progressi nel processo di reinserimento di ex detenuti nella società. La nostra Associazione non dispone di finanziamenti pubblici ma vive dei contributi di privati e delle Fondazioni. Ringraziamo UBI Banca per la sensibilità sociale mostrata nel territorio dove opera. Un ringraziamento particolare va alla Fondazione Comunitaria del Varesotto Onlus per il suo sostegno economico, senza il quale non riusciremmo ad arrivare là dove le Istituzioni pubbliche non arrivano. Il ringraziamento è esteso al sostegno fornito recentemente al prosieguo del progetto (Bando N° 2015 N°1 Assistenza Sociale) che ci consente una preziosa continuità di azione. Torino: Sappe; detenuto dà in escandescenza e aggredisce agente, è allarme torinotoday.it, 15 ottobre 2015 Nelle carceri è allarme detenuti malati: almeno due terzi evidenziano una patologia. Capece: "Servono provvedimenti urgenti". Senza motivo si è scagliato contro un agente di polizia penitenziaria procurandogli lievi escoriazioni. È successo stamane, poco dopo le ore 9.00, al carcere di Torino. Il detenuto, di 31 anni e ristretto presso il padiglione A, reparto osservazione psichiatrico, per cause del tutto sconosciute, ha aggredito il poliziotto penitenziario di servizio tanto da provocargli diverse escoriazioni. Si tratta solo dell’ultimo episodio di violenza che si registra all’interno del carcere di Torino. "La situazione nelle carceri resta allarmante, altro che emergenza superata - afferma il segretario generale del Sappe Donato Capece -. Particolarmente significativa è la quota di aggressioni compiute da coloro che erano ristretti presso Ospedali Psichiatrici Giudiziari fino alla loro chiusura. Perché se uno è pazzo per stare in Opg non è che mettendolo in carcere guarisce". Elevata, inoltre, la quantità di detenuti malati: secondo recenti studi di settore è stato accertato che almeno una patologia è presente nel 60-80% dei detenuti. Questo significa che almeno due detenuti su tre sono malati. Tra le malattie più frequenti, proprio quelle infettive, che interessano il 48% dei presenti. A seguire i disturbi psichiatrici (32%), le malattie osteoarticolari (17%), quelle cardiovascolari (16%), problemi metabolici (11%) e dermatologici (10%). Quanto alle aggressioni, queste sono in costante aumento: "La Polizia penitenziaria continua a tenere botte, nonostante le quotidiane aggressioni - conclude Capece. Ma è sotto gli occhi di tutti che servono urgenti provvedimenti per frenare la spirale di violenza che ogni giorno coinvolge, loro malgrado, appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria nelle carceri italiane". Avellino: galeotto fu quel vino irpino che ha incuriosito Papa Francesco e Matteo Renzi di Riccardo Cannavale irpinianews.it, 15 ottobre 2015 Che i vini d’Irpinia siano tra i più graditi dai palati fini è un dato assodato. Così come il fatto che molte tra le etichette prodotte in provincia di Avellino finiscano sulle tavole più blasonate del mondo. Ma ci sono alcuni vini, rigorosamente prodotti dai vitigni autoctoni, che sembrano regalare veri e propri momenti… di evasione. Si tratta del Fiano di Avellino, del Greco di Tufo, della Falanghina e del Coda di Volpe prodotti all’interno della Casa circondariale di Sant’Angelo dei Lombardi dai detenuti con il supporto dei giovani della Cooperativa Sociale "Il Germoglio". Sull’etichetta è stampato un brand, "Il Galeotto", che ha incuriosito finanche Papa Francesco. E poi il premier Matteo Renzi, il presidente della Camera, Laura Boldrini, e l’ex inquilino del Colle, Giorgio Napolitano. Il progetto, avviato nel 2007, ha visto la prima produzione nel 2009 e, da allora, ogni anno i vini prodotti intra moenia dai detenuti si stanno affinando sempre più. Oltre alle vigne, nella struttura detentiva è sorta una cantina (dal nome evocativo: "Al fresco di cantina") dove si perfeziona il lavoro di imbottigliamento, di etichettatura (le etichette sono stampate rigorosamente dalla tipografia carceraria "Le ali di carta" che impiega altri ospiti della struttura) e di commercializzazione dei vini, diffusi ormai in tutta Italia. L’opera che la Cooperativa svolge all’interno del carcere riveste un duplice valore. Da un lato, attraverso la fattoria sociale - che produce anche frutta, ortaggi ed un ottimo miele - si opera per assicurare un reinserimento lavorativo per i detenuti al termine della pena e, dall’altro, si valorizzano le risorse locali, a cominciare da quelle umane per finire a quelle tradizionali legate alla terra. Ed ormai, ad occuparsi delle attività della fattoria sociale sono esclusivamente gli ospiti della casa circondariale di Sant’Angelo dei Lombardi cui è stata offerta la possibilità di trascorrere il periodo detentivo in maniera alternativa e produttiva. Naturalmente, per il loro lavoro, percepiscono uno stipendio ed hanno anche una regolare posizione contributiva che consentirà loro, una volta che avranno scontato la pena, di guardare al futuro con rinnovato ottimismo. Attualmente, stando ai dati diffusi dall’ufficio statistiche del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria al 30 settembre 2015, sono 177, tra i quali 13 stranieri, i detenuti reclusi nella casa circondariale di Sant’Angelo dei Lombardi. Ben 55 in più di quelli che la struttura in realtà potrebbe ospitare. Ma questa è un’altra storia. Milano: i detenuti di Opera ad Expo con concert-show intitolato "L’amore vincerà" Ristretti Orizzonti, 15 ottobre 2015 I detenuti Alta Sicurezza della Casa di reclusione di Milano Opera, grazie al forte impegno del Consiglio Regionale della Lombardia, hanno realizzato nell’Auditorium del sito Expo, il concert-show per la pace nel mondo, intitolato "L’amore vincerà". L’opera diretta da Isabella Biffi, in arte Isabeau, rientra in un progetto culturale di rieducazione attivato 8 anni fa nell’istituto milanese e che ha già dato ai detenuti l’opportunità di calcare il palcoscenico dei più prestigiosi teatri nazionali tra cui l’Arcimboldi di Milano e l’Ariston di Sanremo. Il Presidente della Commissione carceri della Lombardia, Fabrizio Fanetti, ha dichiarato: "ho provato delle emozioni rare: attraverso questo lavoro le persone sono davvero in grado di trasformarsi e rinascere, di far emergere bontà e amore che, per motivi diversi, erano venuti meno o erano stati prima sopraffatti da altri sentimenti". "Nutrire il pianeta" è lo slogan di Milano Expo 2015 e con questo spettacolo si è dimostrato che non di solo cibo si nutre l’uomo, ma anche di spirito, emozioni, arte e cultura. L’Assessore ad Expo Fabrizio Sala ha evidenziato come "da un periodo storico in cui l’esposizione universale era un appuntamento dove mettere in mostra le grandi invenzioni dell’umanità, siamo passati oggi a un evento dove prevale la possibilità di vivere emozioni profonde e consolidare relazioni importanti: per questo motivo - ha concluso Sala "L’amore vincerà" centra e realizza pienamente il messaggio e i contenuti di Expo Milano 2015. "Sentire un detenuto condannato per reati di stampo mafioso cantare il brano che Giorgio Faletti ha dedicato alla strage di Capaci è un messaggio di una forza straordinaria", ha dichiarato il direttore della Casa di Reclusione di Opera, dott. Giacinto Siciliano. E l’amore, lunedì sera, ha vinto ad Expo grazie ad uno spettacolo ricco di emozioni, durante il quale i detenuti di Opera, innanzi ad un pubblico di oltre 500 persone, hanno cantato, recitato poesie e frasi storiche dei più grandi maestri di pace del mondo, dimostrando come attraverso l’arte e il teatro qualunque individuo può migliorare se stesso regalando ad altri serenità e speranza. Una serata davvero emozionante. La Direzione della Casa di reclusione di Milano Opera Ban Ki-Moon: "l’Italia ha agito bene sulla crisi in Libia e sui rifugiati" di Massimo Gaggi Corriere della Sera, 15 ottobre 2015 Il segretario generale delle Nazioni Unite a Roma per tenere un discorso al Parlamento. "Il vostro Paese è stato fino ad ora una pietra angolare nei negoziati di pace". Il governo si è impegnato positivamente su molti fronti nella prossima legge di Stabilità; a partire da quello per la riduzione delle tasse. Le cifre della manovra saranno rese note oggi dal Consiglio dei ministri che delineerà più precisamente le misure. Ma sia il premier Matteo Renzi, sia i ministri economici, hanno già indicato alcune linee guida; come la cancellazione dell’applicazione delle clausole di salvaguardia che avrebbero provocato un aumento di Iva e accise. Esito che peraltro sarebbe stato in contraddizione con l’altra scelta del governo, quella di procedere a un pacchetto fiscale, che dovrebbe essere attorno ai 7 miliardi, con una diminuzione delle imposte alle famiglie (via taglio di Imu e Tasi sulla prima casa), e alle imprese (via agevolazioni agli investimenti). La scelta non era affatto scontata. Continuare su un percorso di riduzione del carico fiscale sui cittadini e le imprese è la strada che può contribuire a far rinascere la fiducia, vero motore della crescita. Come accaduto però negli anni passati, l’arrivo della legge di Stabilità segna anche la possibile delusione sul fronte dei tagli alla spesa. Lei sta per partire per l’Italia e domani - oggi per chi legge - parlerà a Roma davanti al Parlamento riunito in seduta comune prima di andare, venerdì, all’Expo di Milano per la Giornata mondiale dell’alimentazione. E l’Italia celebra il sessantesimo anniversario della sua adesione all’Onu... "L’Italia è stata fin qui la pietra angolare dei processi di pace delle Nazioni Unite e dell’impegno per i diritti umani. È anche il Paese occidentale che ha dato il maggior contributo alle attività di peacekeeping. Avete mandato più di 1.100 uomini in Libano e altrove e io conto sulla continuazione di questo impegno. L’Italia è stata anche un campione dello sviluppo dei diritti umani e spero che prosegua su questa strada, insieme con le altre nazioni, ora che c’è da concretizzare l’Agenda 2030 con gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Un pianeta accogliente, con al centro il futuro degli esseri umani, possiamo farcela". Intanto, però, le guerre e la povertà alimentano imponenti flussi migratori dall’Africa e dal Medio Oriente verso l’Europa. Molti, perseguitati o affamati, attraversano il Mediterraneo. L’Italia è da tempo in prima linea e spesso si è sentita sola, poco sostenuta dalla comunità internazionale... "Ho molto apprezzato la generosità e la compassione, l’aiuto a queste persone disperate, offerto dal popolo e dal governo italiano. Nell’aprile scorso l’ho verificato di persona, andando nel mar Mediterraneo con il vostro primo ministro, Matteo Renzi. So che tutto questo è stato, per voi, anche una grossa sfida. Certo, accogliere questi migranti - migliaia, decine di migliaia di esseri umani - non è stato facile. Ma io spero che l’Unione europea, e anche l’Italia, mostrino ancora la loro solidarietà globale. Un discorso che vale soprattutto per l’Europa, e sono incoraggiato nel vedere i primi accordi nella Ue sulla riallocazione dei rifugiati nei vari Paesi. Dobbiamo affrontare la realtà: questo delle migrazioni è un fenomeno ormai globale. Molti rifugiati fuggono da Paesi in fiamme, soprattutto la Siria. E la priorità dell’Onu non può che essere quella di salvare vite umane e chiedere supporto umanitario ai Paesi membri". In Siria la situazione continua a deteriorarsi e oltre alla guerra civile, dopo l’intervento militare russo, ora c’è anche il rischio di una specie di guerra a distanza, "per procura", tra Stati Uniti e Russia. Vede ancora spazi politici? "La situazione è difficile, certo. Siamo entrati nell’era del pericolo. Eppure qui, all’Onu, tutti i leader si sono impegnati con fiducia a perseguire lo sviluppo sostenibile del pianeta. Poi, certo, c’è la dura realtà di tutte queste crisi, a cominciare da quella siriana: più di 200 mila morti, 4 milioni di persone che si sono rifugiate all’estero e altre 8 milioni in fuga all’interno del Paese per sottrarsi alle violenze. Quattro anni e mezzo di guerra, distruzioni immani. Eppure, proprio per questo, sono convinto che la soluzione non possa essere trovata nelle armi. Credo ancora, e dobbiamo crederci tutti fermamente, in una soluzione politica. Conto molto sull’azione del mediatore dell’Onu, Staffan de Mistura, impegnato in questi giorni in una spola diplomatica Mosca-Washington. De Mistura ha anche convinto molti dei gruppi in lotta in Siria a partecipare a quattro gruppi di lavoro per cercare una soluzione della crisi che non può venire dalle armi: è solo un primo passo, ma è importante averlo fatto". Ora anche la Russia attacca e bombarda. Al fianco di Assad... "Ho preso nota dei raid aerei delle forze di Mosca. Col diffondersi del terrorismo islamico dell’Isis e di Al Nusra, la situazione si è fatta più complicata. Io premo su tutte le parti impegnate negli attacchi aerei perché queste missioni militari vengano compiute nel rispetto delle leggi umanitarie internazionali, senza causare vittime civili". Le fiamme si sono estese di nuovo anche a Israele, pochi giorni dopo la cerimonia nella quale, qui all’Onu, i palestinesi hanno issato per la prima volta la loro bandiera... "Quello che sta accadendo là è gravissimo. Si sta creando una situazione insostenibile: un’eruzione di violenza che è causa di grande allarme. Israeliani e palestinesi devono tornare a discutere senza ulteriori ritardi. So che è difficile, che ci sono divergenze di vedute fondamentali. Ma so anche che non ci sono alternative e che non c’è niente che non possa essere superato con un dialogo inclusivo. Io ho visto nei giorni scorsi e sto continuando a contattare i leader del governo israeliano e di quello palestinese. Ho visto di recente Netanyahu e ho parlato di nuovo con Abbas. Cerco di riportarli al dialogo". C’è molta attesa per un accordo planetario contro l’inquinamento e l’aumento della temperatura, l’"effetto-serra", che sta cambiando il clima. Una sorta di nuovo protocollo di Kyoto che dovrebbe essere siglato alla conferenza sul clima che si terrà a Parigi fra due mesi. Barack Obama si è impegnato su questo fronte negli Usa, imponendo limiti all’uso del carbone anche forzando la mano al suo Parlamento, e spingendo la Cina a una prima intesa in questo campo. Probabilmente il presidente pensa a questo come a parte della sua "legacy", l’eredità che lascerà all’America. Credo valga anche per Lei che guida l’Onu da quasi nove anni: a dicembre entrerà nell’ultimo anno del suo secondo mandato. E la Conferenza di Parigi si svolgerà sotto le insegne Onu. Di recente Lei si è detto preoccupato per la lentezza con cui procede la definizione degli impegni di molti Paesi. È diventato pessimista? "No, sono ancora ragionevolmente ottimista sul fatto che i leader mondiali entro fine anno riusciranno ad adottare un protocollo universale sui mutamenti climatici. Abbiamo negoziato per anni senza nemmeno avere un testo-base sul quale lavorare. Ora quella bozza c’è ed è ben definita. Ci sono delle lentezze nel processo negoziale che mi allarmano, è vero, e il tempo che ci resta è poco. Ma io rimango ottimista perché sulla necessità di intervenire sul clima c’è ormai un ampio consenso nel mondo: non solo ci sono molti Paesi convinti, ma si nota anche la determinazione di varie articolazioni sociali all’interno dei singoli Paesi: gruppi politici, comunità della società civile, anche entità religiose. Il dato di fondo, quello che mi pare essenziale e che mi rende ottimista, è che quasi tutti si sono ormai convinti che il costo dell’inazione è più alto del costo (che comunque c’è) di un intervento adottato oggi". Cos’è, allora, che la rende ancora dubbioso? "Rimangono alcune questioni concettuali aperte che non sono irrilevanti. Ad esempio: chi è responsabile per i processi di deforestazione? Non è ancora chiaro. E poi non è stato ancora sciolto il nodo dei finanziamenti del nuovo piano per l’ambiente. Tutti i Paesi si sono impegnati, in linea di principio, a destinare, entro il 2020, 100 miliardi di dollari all’anno ai Paesi poveri che non hanno risorse sufficienti per contrastare da soli l’effetto del deterioramento del clima. Ma al recente vertice di Lima, in Perù, col Fondo monetario, la Banca mondiale e l’Ocse, abbiamo lavorato alacremente disegnando una traiettoria anche in questo campo. Una traiettoria che dovrebbe portarci a mobilitare questi 100 miliardi entro la fine dell’anno". Crede davvero che sia possibile azzerare entro 15 anni la povertà estrema, cioè il numero delle persone che guadagnano meno di 2 dollari al giorno? Nei primi 15 anni di questo secolo l’obiettivo di dimezzare il numero di poveri in queste condizioni estreme è stato raggiunto, ma il successo è dovuto soprattutto alla rapida crescita economica in Cina e nel resto dell’Asia. Come sarà possibile raggiungere un obiettivo ancor più ambizioso quando le economie rallentano anche nei Paesi emergenti? "Io ho fiducia perché si è messa in moto una mobilitazione molto vasta: non c’è solo l’impegno dei governi, che pure è essenziale. Sono state fatte consultazioni durate tre anni che hanno coinvolto milioni di persone. Gli obiettivi sono molti - ben diciassette: da un’effettiva parità uomo-donna in tutto il mondo a scuole di qualità per tutti i bambini - perché sono stati definiti da giovani e anziani, donne e uomini, esponenti politici, leader religiosi, rappresentanti delle associazioni della società civile. Milioni di persone che veramente vogliono cambiare il mondo". Sul diritto di cittadinanza un passo avanti, ora l’altro di Filippo Miraglia (vicepresidente nazionale Arci) Il Manifesto, 15 ottobre 2015 La riforma della legge sulla cittadinanza è stata approvata alla Camera e passa ora al Senato. Se si confermerà questo impianto legislativo, qualcosa finalmente cambierà. Certo, non è la legge per la quale la campagna "L’Italia sono anch’io" ha raccolto più di 200mila firme. Ma se si è fatto un passo avanti, pur tra limiti e contraddizioni, è anche grazie a migliaia di persone che ci hanno creduto e al lavoro di associazioni che da anni si battono per un paese più giusto e democratico. Se la legge sarà approvata anche al Senato (e possibilmente migliorata), chi nasce in Italia acquisirà subito la cittadinanza, senza dover aspettare i diciotto anni. La condizione è però che uno dei genitori sia in possesso del permesso Ue di lungo soggiornante. È un limite pesante, che escluderà migliaia di bambini e bambine, per ragioni legate al reddito dei genitori. È questo un argomento sul quale le forze democratiche hanno perso terreno sul piano culturale, cedendo ad argomentazioni strumentali e discriminatorie della destra razzista. La retorica dell’italianità da dimostrare, delle prove da superare per accedere alla comunità nazionale ha caratterizzato tanti interventi politici, culturali e legislativi di questi anni. Tra le tante sciocchezze costruite ad hoc per sostenere che le persone di origine straniera, per aver diritto a vivere stabilmente in Italia, dovessero superare un esame d’italianità, vale la pena ricordare l’Accordo di Integrazione. Una sorta di "patto speciale" ad hoc per gli stranieri con l’obiettivo di rassicurare gli italiani, suggerendo implicitamente che uno straniero, in quanto tale, è potenzialmente pericoloso e che quindi vanno previsti strumenti straordinari per accertarne il livello di "integrabilità". Un orrore giuridico e culturale tuttora operativo. Ma nonostante i limiti della legge approvata alla Camera, che rispondono a ragioni di salvaguardia di equilibri interni alla maggioranza, non possiamo che accogliere con soddisfazione il passo avanti nella civiltà giuridica di questo Paese, che cambierà la vita di migliaia di persone, di tante bambine e bambini che in Italia sono stati a lungo discriminati per legge. Una volta approvata in via definitiva, la legge dovrà essere applicata e tanti saranno gli ostacoli che incontrerà dovendosi confrontare con una burocrazia che non è certo dalla parte del cittadino, soprattutto se di origine straniera. Alcuni passaggi restano infatti affidati alle questure e al Ministero dell’Interno. Per questo sarà importante essere presenti nelle città a fianco di ragazzi, ragazze e famiglie. Va sottolineato che permane, con questa riforma, una legislazione distante dai problemi reali, in particolare per quel che riguarda la naturalizzazione degli adulti e le competenze sulle loro domande. Centinaia di migliaia di persone che vivono e lavorano in Italia da più di 10 anni e che non riescono a diventare, pur volendolo, italiani ed italiane, verranno ancora gestite dagli uffici del Ministero dell’Interno, per loro stessa ammissione non adeguati a rispondere alla mole di richieste che arrivano. Un solco tra italiani e stranieri che continuerà a diventare ogni giorno più profondo, minando il nostro comune futuro. La battaglia culturale e politica su queste terreno deve andare avanti. Il prossimo obiettivo è ridare slancio alla campagna sul diritto di voto alle amministrative. Si tratta della seconda proposta di legge di iniziativa popolare su cui "L’Italia sono anch’io" ha raccolto il consenso di centinaia di migliaia di persone. In molte città la prossima primavera verranno rinnovati sindaci e consigli comunali. Una percentuale importante di cittadini e cittadine straniere che contribuiscono in maniera determinante, anche pagando le tasse, alla crescita delle comunità locali, non potranno partecipare al voto. È un’ingiustizia che va sanata, per garantire a tutti il diritto alla partecipazione nella scelta di chi amministrerà le comunità in cui si risiede. I 5 Stelle si astengono sullo "ius soli", per loro c’è sempre una legge "migliore" di Massimo Rebotti Corriere della Sera, 15 ottobre 2015 In un mondo un po’ più lineare, di fronte a un provvedimento come lo ius soli "temperato", votato due giorni fa alla Camera, o si è favorevoli o si è contrari. Le nuove norme riguardano i figli di immigrati e prevedono che da ora in poi per diventare cittadino italiano non conti più solo "il diritto del sangue", e cioè essere nato qui da almeno un genitore italiano, ma anche "il diritto del suolo e della cultura", cioè vivere e aver completato nel Paese almeno un ciclo scolastico. Insomma è uno di quei temi che sollecitano una scelta di campo: e infatti lo ius soli "è una conquista di civiltà" per la presidente della Camera Laura Boldrini o "una schifezza" per il leader della Lega Matteo Salvini. Tutti i partiti hanno scelto come schierarsi tranne uno, il M5S, che si è astenuto. Hanno spiegato che la legge è "aggrovigliata", "una scatola vuota che riguarda poche persone rispetto ai 5 milioni di migranti che vivono in Italia". Ogni deputato del M5S è sicuramente in grado di spiegare perché il testo "non convince", ma di fronte alla nuda domanda - siete favorevoli o contrari al principio dello ius soli? - probabilmente cambierebbe discorso. I motivi sono due. Il primo è che Grillo si è detto contrario. Sui temi dell’immigrazione lui e Casaleggio, che non vogliono lasciare campo libero a Salvini, hanno richiamato più di una volta all’ordine gruppi parlamentari troppo "permissivi". Il secondo è di ordine generale: i Cinquestelle, alla fine, cercano di votare il meno possibile insieme "agli altri", anche quei provvedimenti che in teoria recepiscono alcuni punti fermi del Movimento. C’è sempre una legge "migliore" a cui tendere rispetto al compromesso che viene raggiunto in Aula. Successe con il disegno di legge sulla corruzione a cui i senatori del M5S avevano a lungo lavorato insieme al Pd: prima del voto chiesero un’opinione al web e il web disse di no. Stavolta, per decidere di astenersi, non c’è stato nemmeno bisogno del referendum online tra i militanti. Siria, dialogo con la Russia per fermare la tragedia dei profughi di Sigmar Gabriel e Frank-Walter Steinmeier* la Repubblica, 15 ottobre 2015 La proposta di Berlino "No alle barriere ma è l’ora del realismo". CHE cosa dobbiamo alle persone minacciate da guerra e violenza? Che cosa e quanto possiamo sopportare? Dove sono i limiti massimi che non possono essere superati? Ciascuna di queste tre domande è legittima. Quando tuttavia il dibattito si svolge soltanto tra le affermazioni esasperate dai media "Ce la facciamo" e "La barca è piena", allora la questione dei rifugiati minaccia di lacerare la nostra società. Abbiamo bisogno di una discussione onesta sulle realistiche possibilità di intervento e sono necessarie alcune precisazioni: è vero, la gran parte delle persone che giungono da noi fugge effettivamente da regioni di guerra, conflitti civili o zone limitrofe. È vero, abbiamo registrato un cospicuo numero di rifugiati provenienti dai Balcani. Costoro non hanno tuttavia alcuna chance di vedersi riconosciuto il diritto di asilo. Devono far ritorno rapidamente nei loro Paesi. È vero, nonostante l’esemplare disponibilità ad aiutare dei tedeschi e l’opera straordinaria dei comuni, dobbiamo fare il possibile affinché il numero degli immigrati in Germania torni a diminuire. Poiché nel lungo termine non possiamo accogliere e integrare ogni anno più di un milione di persone. Bisogna ammettere che sui fenomeni migratori non possiamo incidere da soli con le risorse delle politiche interne tedesche e ancor meno senza l’Europa. Non potremo invertire la tendenza da un giorno all’altro. La Germania ha agito, alleviando il peso sopportato da Länder ed enti locali. Con il pacchetto di misure in materia di asilo abbiamo creato i presupposti per poter aiutare soprattutto chi ha veramente bisogno di protezione, non rinunciando alla nostra cultura dello Stato di diritto insieme ai diritti fondamentali garantiti costituzionalmente. Ma è chiaro che, allo stesso tempo, dobbiamo lavorare con tenacia e determinazione a soluzioni internazionali e soprattutto europee affinché possa tornare a diminuire la pressione sulla Germania. A tal fine, dobbiamo nuovamente confidare nel fatto che l’egoismo nazionale non porta da nessuna parte, mentre l’azione congiunta è utile a tutti. La decisione di ripartire 120mila rifugiati all’interno dell’Ue è buona, ma non basta. Abbiamo bisogno di un coefficiente permanente di distribuzione. Abbiamo istituzioni europee funzionanti, che tuttavia non sono preparate all’attuale afflusso di rifugiati. Frontex ha bisogno di più personale per la tutela delle frontiere esterne dell’Ue e dovrebbe essere ampliata e convertita in un’autorità europea per la protezione dei confini. È necessaria un’azione congiunta con la Turchia per la sicurezza delle frontiere nel Mediterraneo orientale. L’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) è già l’embrione di un’autorità europea per l’asilo. Anche qui servono passi coraggiosi in materia di integrazione. Dobbiamo sostenere la Grecia e l’Italia nell’apertura di "centri europei di registrazione". Qui tutti i rifugiati in arrivo dovranno essere sistematicamente registrati e poi ripartiti equamente all’interno dell’Ue. Le soluzioni europee però saranno efficaci soltanto se arriveremo ad accordi con i Paesi chiave nelle vicinanze dell’Europa, soprattutto con la Turchia. La Commissione europea ha proposto in merito un piano d’azione che affiancheremo a un dialogo bilaterale sulle migrazioni. Dobbiamo appoggiare gli stati che stanno attualmente accogliendo gran parte dei rifugiati. Tra questi, oltre alla Turchia, ci sono soprattutto la Giordania e il Libano. A New York siamo riusciti ad aumentare di 1,8 miliardi di dollari i nostri aiuti alle organizzazioni umanitarie internazionali. Il compito più importante e sostenibile della nostra politica estera rimane quello di fronteggiare l’emergenza profughi laddove ha origine. Pertanto ci adoperiamo con forza a favore di soluzioni politiche per le grandi crisi e i focolai di conflitto in Medio Oriente e Nordafrica. Ciò include anche colloqui con la Russia, che ha agito in modo costruttivo nel raggiungimento dell’accordo sul nucleare con l’Iran. Bisogna impedire che le strutture statali in Siria implodano o esplodano definitivamente e che ancora più persone si mettano in viaggio verso di noi. È essenziale tener presente che si possono ottenere comprensione e fiducia soltanto prospettando possibilità di intervento realistiche. Per questo abbiamo bisogno di entrambi gli elementi: fiducia e realismo. Solo con la fiducia mobilizziamo le capacità politiche e sociali necessarie per cogliere la grande opportunità dell’integrazione di queste persone. E soltanto con il realismo possiamo mettere in pratica i nostri obiettivi umanitari. La nostra politica sarà sostenuta nel lungo termine soltanto se non abuseremo troppo della disponibilità della gente nel nostro Paese. E otterremo il consenso delle persone del nostro Paese solo se non le trascureremo e prenderemo sul serio i loro bisogni e problemi reali. Ci troviamo a un bivio. Da una parte, un continente in cui ci dividono di nuovo barriere, recinzioni ed egoismi nazionali. Dall’altra, un continente che riesce a trovare risposte comuni mediante una politica europea di asilo e una lotta congiunta alle cause della grande fuga. Un continente onesto con se stesso che affronta a mente lucida e senza illusioni questa grande sfida. *Sigmar Gabriel è vicecancelliere tedesco *Frank-Walter Steinmeier è ministro degli Esteri tedesco Francia: il presidente Valls promette maggiore severità nel concedere permessi ai detenuti Ansa, 15 ottobre 2015 Semplificazione delle procedure burocratiche nel lavoro di polizia, leggi più dure contro il possesso di armi pesanti, maggiore severità nel concedere permessi ai detenuti. Sono i tre punti chiave del messaggio che il premier francese Manuel Valls ha lanciato ai poliziotti in collera, oggi in piazza a Parigi e in molte città d’Oltralpe. Sul punto più di attualità, i permessi per i detenuti, Valls ha annunciato che d’ora in poi saranno concessi solo per "necessità verificate", o per motivazioni forti legate alla tutela della dignità umana o agli sforzi di reinserimento. Un modo per rispondere alle critiche scatenatesi dopo che la scorsa settimana, nella banlieue di Parigi. Un detenuto in permesso premio è fuggito e per non essere catturato ha ferito un poliziotto, tuttora in gravi condizioni. In materia di armi pesanti, il governo francese prepara un inasprimento delle pene per possesso e traffico, insieme a una lista di misure sulla lotta al contrabbando anche tramite l’utilizzo di tecniche speciali di indagine, in cooperazione con i partner europei, che saranno annunciate a breve dal ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve. Saranno inoltre messe in atto, fin dai prossimi giorni, una serie di misure di semplificazione degli atti burocratici legati all’attività quotidiana della polizia, come la gestione dei fermi, la comunicazione con la procura o le richieste di accesso ad elementi di prova. Tunisia: Amnesty International denuncia "studente detenuto per atti omosessuali" pressenza.com, 15 ottobre 2015 Un studente tunisino è stato condannato a un anno di prigione per il coinvolgimento in una relazione omosessuale. È stato costretto a sottoporsi a una visita per "provare" di aver avuto un rapporto anale. Ha fatto ricorso ed è in attesa del verdetto. Uno studente di 22 anni, conosciuto con lo pseudonimo di "Marwan", è stato condannato a un anno di carcere il 22 settembre dal Tribunale di primo grado in base all’articolo 230 del codice penale, che criminalizza le relazioni omosessuali. La polizia giudiziaria a Hammam-Sousse ha convocato Marwan il 6 settembre per un interrogatorio dopo che i funzionari avevano trovato il suo numero nel telefono cellulare di un uomo assassinato. Durante l’interrogatorio, è stato chiesto a Marwan quali fossero i suoi rapporti con costui; secondo il suo avvocato, Marwan ha confessato di essere coinvolto in una relazione omosessuale con l’uomo. Poco dopo, gli agenti di polizia lo hanno schiaffeggiato e minacciato di spogliarlo, stuprarlo e accusarlo di omicidio se non avesse confessato. Su richiesta del tribunale, l’11 settembre Marwan è stato sottoposto a visita anale, condotta presso il dipartimento di medicina legale al Farhat Hached Hospital di Sousse, per provare l’avvenuto rapporto. Secondo il suo avvocato, Marwan era intimidito dalla presenza della polizia fuori dalla sala visite e non era consapevole del fatto che avrebbe potuto opporsi a tale esame, che ha trovato umiliante. Amnesty International ritiene che non vi sia alcuna base scientifica per tali esami anali e che essi costituiscano una forma di tortura o maltrattamento quando effettuati contro la volontà della persona. Amnesty International ritiene che detenere qualcuno per il suo orientamento sessuale o per la sua identità di genere, reale o percepita, o per relazioni omosessuali consenzienti tra adulti e in privato, sia una grave violazione dei diritti umani. Chiunque sia detenuto unicamente su tale base è un prigioniero di coscienza e deve essere rilasciato immediatamente e senza condizioni. Il caso di Marwan ha generato una mobilitazione senza precedenti della società civile in Tunisia contro la criminalizzazione dei rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso e contro gli esami anali forzati. Il Ministro tunisino della Giustizia, Mohamed Salah Ben Aissa, ha riconosciuto il 28 settembre che l’articolo 230 del codice penale viola le libertà e le scelte personali, incluse quelle nel campo della sessualità e il diritto alla vita privata, che sono garantiti in base alla nuova Costituzione, adottata a gennaio 2014. Il ministro ha inoltre dichiarato che l’articolo 230 dovrebbe essere abrogato e ha incoraggiato la società civile a lavorare per raggiungere questo obiettivo. Oltre a violare la Costituzione della Tunisia, la criminalizzazione delle relazioni sessuali consensuali tra adulti dello stesso sesso è discriminatoria e in contrasto con gli obblighi internazionali sui diritti umani della Tunisia in base a numerosi trattati. Il Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite (l’organismo internazionale di esperti che interpreta e vigila sull’osservanza del Patto internazionale sui diritti civili e politici), ha confermato che gli Stati (tra cui Tunisia) hanno l’obbligo di vietare la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (articoli 2 e 26) e di rispettare la libertà di espressione (articolo 19), libertà da interferenze arbitrarie con il diritto alla privacy (articolo 17) e la libertà di coscienza (articolo 18). Amnesty International ha trovato prove che la criminalizzazione dei rapporti sessuali di persone dello stesso sesso ai sensi dell’articolo 230 del codice penale favorisce la violenza contro le persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuali (Lgbti) in Tunisia. Si crea un ambiente in cui i crimini omofobici e transfobici possono essere più facilmente accettati e dove le vittime di violenze non denunciano i crimini per paura di essere perseguiti. Arabia Saudita: appello della madre di Al Nimr a Obama, in Italia iniziativa senatori Pd Aki, 15 ottobre 2015 La madre, che ha rilasciato un’intervista al-Guardian, assicura che Ali ha solo partecipato a manifestazioni "pacifiche, civili e legittime". Incontrandolo in carcere dopo l’arresto, Nusra non ha riconosciuto il figlio. "Lo avevano sfigurato - ha raccontato - non ero nemmeno sicura che fosse davvero il mio Ali. Aveva una ferita sulla fronte, un’altra sul naso. Il suo corpo era troppo magro. Mi ha detto che durante l’interrogatorio era stato preso a calci, a schiaffi, i denti gli erano caduti. Per un mese ha avuto tracce di sangue nelle urine". L’esecuzione potrebbe avvenire in qualsiasi momento, su ordine di re Salman. Per questo Nusra ha deciso di rivolgersi a Obama. "Non c’è nulla di più importante che salvare qualcuno. Io e mio figlio siamo persone semplici, non significhiamo nulla per il mondo, ma se Obama lo salverà, aumenterà la stima che il mondo ha di lui". Nusra ha anche voluto esprimere la sua gratitudine per il sostegno che il figlio ha ricevuto dall’Europa, dall’Africa e dal Medio Oriente. In Italia, l’ultima iniziativa è un’interrogazione a Gentiloni presentata da un gruppo di senatori del Pd. Nel documento si chiede al ministro se "intenda attivare gli opportuni canali diplomatici al fine di acquisire elementi sulla vicenda di Al Nimr e tentare di dissuadere il governo saudita". La madre, che ha rilasciato un’intervista al-Guardian, assicura che Ali ha solo partecipato a manifestazioni "pacifiche, civili e legittime". Incontrandolo in carcere dopo l’arresto, Nusra non ha riconosciuto il figlio. "Lo avevano sfigurato - ha raccontato - non ero nemmeno sicura che fosse davvero il mio Ali. Aveva una ferita sulla fronte, un’altra sul naso. Il suo corpo era troppo magro. Mi ha detto che durante l’interrogatorio era stato preso a calci, a schiaffi, i denti gli erano caduti. Per un mese ha avuto tracce di sangue nelle urine". L’esecuzione potrebbe avvenire in qualsiasi momento, su ordine di re Salman. Per questo Nusra ha deciso di rivolgersi a Obama. "Non c’è nulla di più importante che salvare qualcuno. Io e mio figlio siamo persone semplici, non significhiamo nulla per il mondo, ma se Obama lo salverà, aumenterà la stima che il mondo ha di lui". Nusra ha anche voluto esprimere la sua gratitudine per il sostegno che il figlio ha ricevuto dall’Europa, dall’Africa e dal Medio Oriente. In Italia, l’ultima iniziativa è un’interrogazione a Gentiloni presentata da un gruppo di senatori del Pd. Nel documento si chiede al ministro se "intenda attivare gli opportuni canali diplomatici al fine di acquisire elementi sulla vicenda di Al Nimr e tentare di dissuadere il governo saudita". L’interrogazione ricorda che esperti delle Nazioni Unite hanno giudicato la condanna di Al Nimr contraria agli impegni internazionali presi da Riad e in particolare alle norme che vietano di condannare a morte persone che erano minorenni al momento del reato. Ricorda inoltre la mobilitazione internazionale per salvare il ragazzo e in particolare le campagne portate avanti in Italia dal quotidiano L’Unità e dall’agenzia Aki-Adnkronos International. "Si chiede - recita l’interrogazione - se il governo italiano e l’Unione europea, a partire dall’Alto Rappresentante per gli Affari esteri Federica Mogherini, non ritengano opportuno attivare ogni strumento per scongiurare tale esecuzione" e "se e quando il governo italiano intenda adoperarsi per rilanciare e sostenere, in ogni sede internazionale, l’abolizione della pena di morte". Cina: avvocati denunciano persecuzione ragazzo 16 anni, figlio di due attivisti detenuti swissinfo.ch, 15 ottobre 2015 Decine di avvocati cinesi hanno firmato un documento col quale si chiede alle autorità di Pechino di mettere fine alla persecuzione di Bao Zhuoxuan, un ragazzo di 16 anni figlio di Wang Yu. La madre è un’avvocatessa detenuta per il suo impegno per i diritti civili e dell’attivista democratico Bao Longjun, anche lui detenuto. Il ragazzo, specificano i 68 avvocati che hanno firmato il documento e lo hanno diffuso su Internet, non è accusato ne sospettato di alcun reato. Solo per essere figlio di due critici del governo, il 16enne è stato bloccato mentre cercava di lasciare la Cina per recarsi in Australia, dove era iscritto ad un liceo. In seguito, Bao Zhuoxuan ha passato clandestinamente la frontiera con la Birmania, da dove sperava di raggiungere l’Australia. Il ragazzo è stato fermato dalla polizia locale con due connazionali e da allora non se ne hanno notizie. Secondo gli avvocati sarebbe ora detenuto in Cina. Le azioni della polizia cinese contro il giovane, scrivono i legali, violano la Convenzione dell’ Onu sui diritti dei minori, che la Cina ha firmato, e i "più elementari principi dei diritti umani". Pakistan: Asia Bibi in isolamento perché minacciata di morte di Stefano Vecchia Avvenire, 15 ottobre 2015 In attesa di un giudizio definitivo della Corte Suprema sulla sentenza capitale per blasfemia, Asia Bibi vivrebbe ora l’angoscia dell’isolamento nel carcere femminile di Multan dove trascorre la sua prigionia arrivata ormai a 2.305 giorni. Un provvedimento, non il primo del genere nei suoi confronti, che le autorità carcerarie avrebbero preso nei giorni scorsi per facilitarne la maggiore possibilità di cura date le sue precarie condizioni di salute e garantirne la sicurezza in un momento particolare della vicenda. Alla donna sarebbero arrivate minacce di morte dopo che la Corte Suprema ha confermato la condanna a morte per Mumtaz Qadri, l’ex poliziotto delle squadre speciali responsabile dell’omicidio di Salman Taseer il governatore del Punjab "colpevole" per gli estremisti religiosi, di avere auspicato la modifica della legge anti-blasfemia dopo avere incontrato proprio Asia Bibi, allora nel carcere di Sheikhupura. Per il quotidiano online The Express Tribune - che un funzionario anonimo, lo stesso il quale ha dato la notizia dell’isolamento - la donna cattolica, madre di cinque figli, rischierebbe "di essere uccisa da un qualsiasi detenuto o guardia carceraria". Un altro funzionario ha confermato il trasferimento aggiungendo che vi sono timori seri per il suo stato di salute. "Temiamo per la sua vita - ha segnalato -. Il mese scorso ha vomitato sangue e ha difficoltà a camminare". Un conferma di quanto segnalato da familiari, legali e attivisti impegnati per la sua liberazione ma anche per la sua incolumità. "La sua vita è in pericolo a causa della sua salute e per le pessime condizioni carcerarie", ha detto l’attivista cristiano Shamaun Alfred Gill, riferendo di ripetute richieste per un trasferimento in ospedale della donna, sempre respinte. Le condizioni di Asia sono "tragiche", ha aggiunto Xavier Patras William, presidente di Life for All. Nel carcere - dove secondo un rapporto pubblicato dal media online Pakistan Christian Post - i medicinali non sono disponibili o lo sono solo per "prigionieri che godono un trattamento di favore". In molti casi i detenuti muoiono per incapacità del personale oppure per semplice disinteresse verso di loro. Le condizioni igieniche, inoltre, sono pessime. Il rapporto segnala che il carcere femminile è un edificio a un solo piano con una ventilazione precaria e un sovraffollamento permanente. Almeno 150 detenute sono rinchiuse in una struttura che potrebbe ospitarne 30-40, i bagni agibili sono solo sei. La fonte del rapporto, un ex detenuto, segnala che "il sovraffollamento associato a carenze sanitarie, scarsa illuminazione e aerazione trasforma le celle - anche quelle dell’isolamento - in un luogo di grande sofferenza". A accentuare la prostrazione di Asia Bibi anche la distanza da una famiglia che riesce a incontrare solo saltuariamente e da dietro le sbarre. Un marito e cinque figli costretti a una vita in clandestinità per sfuggire alla vendetta degli estremisti religiosi. Questi Hanno da anni posto una fatwa di condanna sulla donna e una taglia equivalente a 5mila dollari. Un doppio rischio concreto, dunque per una cristiana coraggiosa che ha finora affrontato con tenacia e fede le prove da quando è stata incarcerata su falsa denuncia di alcune vicine di casa, con la complicità dell’imam del villaggio, Ittanwali, in Punjab. Accuse infamanti che mettono a rischio la vita di chi la riceve prima ancora che i giudici ne stabiliscano - in tutti i casi finora, con l’eccezione di Asia Bibi - l’innocenza in prima istanza o in appello.