Giustizia: le due facce dell’Italia di Stefano Folli La Repubblica, 14 ottobre 2015 Per uno scherzo del destino, una giornata importante nella storia costituzionale d’Italia è stata inquinata da una nuova inchiesta giudiziaria sulle malefatte dei politici. È accaduto che il Senato ha votato la propria auto-soppressione, o meglio la trasformazione in organo di collegamento fra lo Stato centrale e le autonomie locali, archiviando il bicameralismo paritario. Lo ha fatto con una significativa maggioranza assoluta. Maggioranza che ha reso poco comprensibile l’abbandono dell’aula decisa da una parte dell’opposizione. Nelle stesse ore la Lombardia era scossa dall’arresto del vice-presidente della giunta per l’ennesimo scandalo legato alla sanità. Non potrebbe esserci congiuntura più sfortunata. Da un lato, una riforma ambiziosa e a lungo attesa, come hanno ricordato i suoi padri, a cominciare dal presidente emerito Giorgio Napolitano. Una riforma che rafforza l’esecutivo e si pone l’obiettivo, sia pure in forme non del tutto chiare, di rendere coerenti a Roma la voce di regioni e comuni. Dall’altro, nuovi arresti nella regione più grande, anello finale di una lunga catena che negli ultimi anni ha screditato l’istituto regionale al nord, al centro e al sud. Senza dimenticare l’indagine della procura di Roma su Mafia Capitale, che ha contribuito in misura determinante ad avviare la valanga che infine ha travolto il sindaco Marino. Ne deriva che si approfondisce una frattura pericolosa. Al centro il governo si consolida, Renzi ottiene un successo rilevante, di immagine e di sostanza, e prende lo slancio per affrontare nelle prossime settimane i nodi della legge di stabilità. Il presidente del Consiglio può rivendicare il rinnovamento istituzionale, quale che sia il giudizio complessivo nel merito della riforma. E quei 179 voti ottenuti ieri testimoniano della ritrovata unità del Pd, nella scia di un accordo che ha reso aggiuntivi e non decisivi i voti del gruppo di Verdini. Al tempo stesso questo sforzo riformatore non si trasmette alle realtà territoriali in cui si articola il paese. Anzi, il nuovo Senato sarà composto, come è noto, proprio dai rappresentanti di quelle regioni e comuni che periodicamente vengono sconvolti dalle incursioni della magistratura. E che sono, è bene ricordarlo, agli ultimi posti nella classifica della credibilità presso l’opinione pubblica, tanto da apparire come incubatrici permanenti del sentimento anti-politico. Non a caso le persone interpellate dai sondaggisti si dicono di solito ben contente del rinnovamento in atto, ma subito dopo si dichiarano favorevoli all’abolizione tout court del Senato, anziché a questa complicata mutazione in camera delle autonomie. La questione non è di poco conto perché tocca la cronaca quotidiana e si proietta nei prossimi passaggi politici. Stretto fra le valutazioni ottimistiche sulla storica riforma della Costituzione e le notizie inquietanti che rimbalzano fra Roma e Milano, il cittadino è disorientato. Esecutivo e Parlamento descrivono un’Italia che non si rispecchia - almeno non sempre - nel governo delle città e delle regioni. Sul piano morale e pratico l’assenza di una classe dirigente locale ben radicata e selezionata si fa sentire ogni giorno di più e accresce le incognite sul voto amministrativo della prossima primavera. Del resto, i termini del l’equazione sono chiari. In attesa del referendum confermativo che si terrà fra circa un anno, dopo l’ultima duplice lettura della legge costituzionale, non basta rivendicare la riforma per ottenere un automatico consenso di opinione. Soprattutto perché gli effetti delle novità sono tutti di là da venire. Viceversa nel voto amministrativo di primavera a Roma, Milano e Napoli peseranno altri fattori: gli scandali locali, il discredito, le inchieste a macchia d’olio, il dopo-Marino non è vicenda destinata a restare chiusa nel perimetro della capitale. Le sue conseguenze sul piano politico tendono già oggi a dilatarsi su scala nazionale. E se Renzi è più forte a Palazzo Chigi, rischia invece di mostrarsi più debole in periferia. Non aiutato da un Pd in affanno e peraltro spesso sacrificato al "partito del premier". Giustizia: guai a pensare che il malaffare è inevitabile di Michele Brambilla La Stampa, 14 ottobre 2015 Un nuovo scandalo, l’ennesimo, si è abbattuto sulla Sanità lombarda. Mario Mantovani, vicepresidente della giunta regionale ed ex assessore, appunto, alla Sanità, è stato arrestato per corruzione, concussione e turbativa d’asta. E siccome siamo nel Paese del melodramma, l’ordine di cattura glielo hanno notificato proprio mentre stava entrando a Palazzo Lombardia per tenere un discorso alla "Giornata della trasparenza". Coincidenza cui se ne aggiunge un’altra, non meno grottesca. Il fatto è questo: le tangenti di cui Mantovani è accusato non sarebbero state in denaro, ma in incarichi professionali distribuiti dalla Regione a professionisti amici. E questo è l’antefatto: nel maggio dell’anno scorso Mantovani (allora ancora assessore in carica) in un comizio per le elezioni comunali di Arconate aveva rivendicato di avere "trovato tanti posti di lavoro" da quando era stato eletto in Regione, facendo intendere di poter fare altrettanto per "la gente di Arconate". Insomma una sorta di pre-confessione, o se preferite di autodenuncia: qualcosa che mancava alla pur ricca aneddotica sui politici. Ma tutto questo appartiene, come si diceva, al melodramma. Quello che fa meno sorridere, e più preoccupare, è l’aspetto più serio della vicenda. E cioè. Premesso che l’inchiesta su Mantovani potrebbe anche risolversi in una bolla di sapone (non sarebbe né la prima, né l’ultima volta), è un fatto che la sanità lombarda sia ormai da anni oggetto di inchieste da cui emerge una certa consuetudine al malaffare, alla raccomanda- zione e al favoritismo, a volte alla supponenza quando non all’arroganza di chi gestisce il potere. Così, sono anni che la magistratura, quasi a intervalli regolari, trova materia per intervenire. Eppure, la sanità lombarda è indiscutibilmente una delle più efficienti - forse la più efficiente -del nostro Paese. Negli ospedali lombardi i medici sono bravissimi, e anche gli amministratori non devono essere male visto che in molte altre regioni italiane un materasso o un bisturi vengono pagati dieci volte di più. Ma allora, perché tante inchieste soprattutto in Lombardia? Magistratura particolarmente agguerrita? Non crediamo sia questa la risposta. Più probabile invece che, nella testa di chi gestisce la cosa pubblica, sopravviva l’abitudine a pensare che, là dove ci sono ricchezza e potere, ci sono anche soldi e favori da distribuire secondo convenienza. Insomma una forma mentis ormai talmente radicata da rendere meno stupefacente il candore con cui un politico, in un comizio, promette posti di lavoro in cambio di voti. Dobbiamo rassegnarci? No. Proprio a Milano si sta chiudendo in questi giorni una manifestazione, l’Expo, che era partita tra tanti dubbi - anche di tangenti - e che invece è stata, almeno per ora, solo un grande successo di pubblico. Tocchiamo ferro, naturalmente. Ma guai se accettassimo l’idea che ogni business deve trasformarsi, inevitabilmente, in una cornucopia a beneficio di chi ha il potere o le amicizie. Che poi spesso sono la stessa cosa. Giustizia: il comizio sulla legalità fermato dalle manette, l’ultima beffa per l’Italia di Francesco Merlo La Repubblica, 14 ottobre 2015 Arrestato prima del convegno sulla corruzione, Mantovani ricorda il leader anti-pizzo preso con la tangente e il paladino antimafia indagato per mafia. È il trafficante di valori la nuova maschera italiana, il delinquente che milita nella virtù, Mario Mantovani appunto, che ieri mattina a Milano avrebbe aperto i lavori della "giornata contro la corruzione" se non fosse stato arrestato per corruzione. La maschera teatrale, si sa, è una sola, un unico "carattere"‘ che contiene però mille identità. Dunque, per esempio, trafficante di valori è anche il mafioso antimafia, quel leader dell’anti-pizzo Roberto Helg che qualche mese fa è stato arrestato in flagranza cash di pizzo all’aeroporto di Palermo. È però molto probabile che Carlo Goldoni avrebbe preferito stereotipare la nuova maschera con la bella faccia antica e abbronzata di questo Mario Mantovani, self made man padano in loden, completo sartoriale e bretelle che scriveva "l’aratro, la Croce e la ghisa sono la mia forza fisica e spirituale" e intanto incassava le bustarelle, le stecche e le mazzette sul trasporto dei dializzati: "Si scrive Lombardia ma si legge Buona Sanità, e lo dico con un pizzico di orgoglio personale". Gestore di una immensa catena di case di riposo per anziani, centri per dialisi, cliniche e laboratori di ogni genere, da assessore alla sanità e da vicepresidente della Regione, Mantovani pilotava gli appalti, al punto da farne invalidare uno da 11 milioni, mentre vantava testualmente "la capacità di fare impresa, la generosità, la tensione costante verso l’innovazione, il senso della salute e della sua tutela come bene collettivo". Proprietario di società immobiliari, palazzoni, ville, appartamenti e foresterie rivendicava "l’eccellenza dell’edilizia e dell’architettura di noi imprenditori lombardi" mentre pretendeva da architetti e ingegneri "prestazioni gratis nelle sue case in cambio di incarichi in appalti pubblici". Certo, trafficante di valori è anche quel Pd romano, erede del partito comunista di Maurizio Ferrara, Antonello Trombadori e Giancarlo Pajetta, degli eroi della Resistenza e delle Fosse Ardeatine, che obbediva alla mafia capitale. E infatti trafficava in valori Salvatore Buzzi esibendo dietro la scrivania il Quarto Stato di simboli e di colori mentre taglieggiava il quarto stato di carne e di sangue. La sua cooperativa, dove si incontravano i redenti e i dannati, ostentava la carità cristiana e la solidarietà di classe per meglio vendere i profughi: "Tu ci hai idea di quanto ci guadagno sugli immigrati? Molto più che con la cocaina". Buzzi contrabbandava carne umana e dannava la schiuma della terra sbandierando il catechismo e Carlo Marx. E però lì, anche nei soprannomi - er cecato, ò pazzo, er diabolik - c’è troppo inferno per essere soltanto maschera. Molto più teatrale è la maestà dei trafficanti di valori della sanità lombarda. Mantovani, per esempio, è "il faraone". E Formigoni, che gli fu capo e maestro, era parinianamente, "il celeste". Mentre era solo "il don", quel don Verzé che trafficò con i valori al punto da amministrare i sacramenti insieme a "buste - raccontarono i testimoni oculari - alte tre o quattro centimetri con biglietti da 500 euro". E per i siciliani fu un sollievo scoprire padano un "don" che era due volte "don", per il turibolo e per la coppola storta. Il trafficante di valori non è il vecchio "vizi private e pubbliche virtù" e neppure l’ambiguità dell’abusato e perciò soffocante Pirandello, ma una novità transgenica dell’Italia post-moderma. Trafficanti di valori, doppi come Pantalone che mentiva anche a stesso, sono le guardie forestali che nei boschi del Sud accendono i fuochi che fingono di spegnere; e l’ultimo di questi pompieri incendiari, con lo sconfortante cognome di Conforto, è stato arrestato il 4 agosto scorso mentre dava fuoco ai ginepri, alle palme nane, ai capperi e alle tamerici di una delle riserve naturali più belle d’Italia. Nel suo piccolo, ma con la sua doppia verità in rilievo, c’è pure l’onesto scroccone, il digiunatore che magna, il sindaco Marino. Ma quello che davvero porta nei propri cromosomi sia il Dna dello Stato sia il Dna dell’Antistato è Antonello Montante, il presidente anti-mafioso degli imprenditori siciliani, delegato per la legalità di Confindustria, che adesso è accusato di mafia. E viene in mente, tra i padri fondatori, Totò Cuffaro che lanciò la campagna "la mafia fa schifo!" e poi finì in prigione per mafia. Andando ancora un po’ indietro negli antefatti storici, chissà che fine ha fatto quel Nicola Di Matteo al quale spettò un posto di lavoro alla Regione Sicilia perché era fratello di una vittima innocente della mafia, ma quello stesso posto di lavoro gli fu tolto perché era anche il figlio di un killer della mafia. Come fratello, insomma, Nicola era l’antimafia, ma come figlio era la mafia. Come fratello venne assunto e come figlio venne licenziato. E voglio dire che viene da lontano il trafficante di valori. Del resto, le maschere hanno radici nei personaggi di Plauto e di Aristofane. Insomma, maschera del teatro italiano si diventa. E Mantovani lo è diventato non solo perché ieri mattina plasticamente le sedie vuote (la sua, la sedia di Maroni e la sedia dell’assessore Garavaglia, perquisito) al convegno in difesa dell’onestà sembravano i disperati bidoni di Beckett, quelli dai quali era fuggita la virtù. Ma soprattutto perché Mantovani traffica e contrabbanda così tanti valori che nel suo libro per l’indipendenza della Lombardia (Gangemi, editore romano), ha scomodato, tra i tanti maestri di valori, Habermas, Bobbio, Hesse, almeno tre Papi, Stephen King, Manzoni, Carducci, Ada Negri,… e ovviamente i poeti sanremesi Panzeri e Ripa. Insomma Mantovani trafficava coi valori come Arlecchino trafficava con le salsicce. E infatti in visita in Israele si mise a paragonare la persecuzione giudiziaria di Berlusconi con l’Olocausto. Con la stessa disinvoltura nel 2007 da sindaco della sua Arconate aveva dato la cittadinanza onoraria a mamma Rosa che "ha messo al mondo - disse -l’italiano più importante del secolo". E quando gli sussurrarono "siamo nel 2007", si corresse: "Di due secoli, almeno". Giustizia: Lombardia; arrestato il vicepresidente della Regione per tangenti nella sanità di Sandro De Riccardis ed Emilio Randacio La Repubblica, 14 ottobre 2015 Coinvolto anche l’assessore Garavaglia. Oltre ai tre arrestati ci sono anche 12 indagati. Uno è il leghista Massimo Garavaglia (è indagato per turbativa d’asta), assessore all’Economia in Regione e braccio destro di Maroni. "Non riesco a comprendere l’accusa nei miei confronti - ha commentato - non mi sono mai interessato di gare nel settore della sanità, si tratta evidentemente di un errore". Le carte dell’inchiesta, però lo accusano, insieme a Mantovani, di aver agito per turbare la gara "per l’affidamento del servizio di soggetti nefropatici sottoposti al trattamento dialitico". Fatti tra il 2012 e il 2014. Se confermate, così come sono state formulate dal pm Giovanni Polizzi, le accuse sono molto gravi e riguardano fatti tra il 6 giugno 2012 e il 30 giugno 2014. I reati vanno da abuso di ufficio, turbativa d’asta, corruzione e concussione. "Sono stupito dall’arresto di Mantovani - è il commento del governatore, Roberto Maroni. Da quanto si apprende, la gran parte delle contestazioni che gli vengono rivolte sono estranee al suo incarico in Regione". "La gara sui malati valeva 11 milioni di euro". Tra le gare che secondo gli investigatori sono state pilotate ce n’è una indetta da un’aggregazione di Asl del valore di 11 milioni di euro che riguarda il trasporto dei malati dializzati. "La penetrante turbativa", scrive il magistrato, è stata condotta dal principale responsabile della Asl Milano 1, il direttore generale Giorgio Scivoletto (indagato) "che ha agito ottemperando alle specifiche disposizioni dell’assessore Mantovani e dell’assessore Garavaglia". Il "pronto intervento" dei due assessori, come lo definisce il giudice, "è stato evidentemente determinato dalla volontà di favorire le associazioni operanti nei loro Comuni" e di mantenere dunque i consensi nelle aree di interesse politico". Un architetto gratis. Lavori di ristrutturazione "a titolo gratuito" da un architetto di fiducia su immobili di proprietà di Mantovani e dei suoi familiari "in cambio di appalti pubblici su vari fronti": deriva soprattutto da questo l’accusa di corruzione. Secondo il gip, che lo specifica nell’ordinanza di custodia cautelare, l’architetto Gianluca Parotti operava "al servizio pressoché esclusivo" di Mantovani. Si occupava, in particolare, "di svariate incombenze relative al suo cospicuo patrimonio immobiliare". Il tutto "senza alcun compenso" di natura economica. L’elenco delle opere. Parotti, elenca il giudice nel provvedimento, si è occupato in particolare dei lavori di ristrutturazione e arredamento dell’abitazione di Arconate dove Mantovani risiede, ma anche di quelli eseguiti a Villa Clerici di Rovellasca di Cuggiono, sempre riconducibile al vicepresidente della Regione, nonché della progettazione di un piano di recupero "a favore del figlio di Mantovani, Vittorio Maria Isaia". L’architetto, scrive ancora il gip, non operava soltanto "nell’ambito degli interessi strettamente personali" di Mantovani, ma anche "con riferimento a opere di interesse pubblico da eseguirsi ad Arconate e nel territorio limitrofo". E anche in questo caso "l’intervento tecnico del professionista è stato offerto a titolo gratuito". Come contropartita, precisa il gip, Mantovani - forte del suo ruolo di sottosegretario al ministero dei Trasporti e di assessore regionale alla Salute - ricompensava il suo architetto di fiducia "con una serie di interventi diretti a far ottenere a Parotti appalti pubblici su vari fronti". Il terreno ad Arconate. Altro capitolo dell’indagine è l’acquisto per un prezzo esiguo, secondo gli investigatori, da parte di una società riconducibile a Mantovani di un terreno edificabile del Comune di Arconate (di cui Mantovani all’epoca era sindaco), oltre alla successiva aggiudicazione di un projet financing per la costruzione di una residenza sanitaria per anziani. Le indagini avrebbero accertato come Mantovani, nei suoi vari ruoli politici, avrebbe beneficiato di una serie di utilità personali, oltre ad avvantaggiare persone che facevano parte del suo entourage politico. Pressioni per Bianchi. Ruota intorno a Bianchi, il funzionario arrestato, l’accusa più grave che viene contestata a Mantovani, quella di concussione. Secondo la Procura, nonostante Bianchi fosse stato indagato e rinviato a giudizio dalla Procura di Sondrio, Mantovani (all’epoca senatore e sottosegretario al ministero dei Trasporti) avrebbe esercitato "pressioni molto decise" - "anche mediante la minaccia, sia pure implicita, di revoca delle convenzioni con il provveditorato da parte dei Comuni - sul provveditore alle opere pubbliche della Lombardia e della Liguria, Pietro Baratono, perché lo rimettesse a suo posto, in modo che continuasse a gestire appalti nell’ambito dell’edilizia scolastica che interessavano a Mantovani. Bianchi reintegrato. Le pressioni hanno, infine, avuto esito: con l’ordine di servizio n. 24 del 6 giugno 2012 Bianchi è stato "completamente reintegrato nei suoi incarichi". A dare via all’inchiesta, in relazione a questo episodio, uno dei dirigenti del Provveditorato, Alfio Leonardi, che presentò un esposto alla Procura. Le indagini ricostruiscono che Leonardi a sua volta sarebbe stato vittima di una presunta tentata concussione, sempre per evitare il trasferimento di Bianchi. "Basta un ordine e si fa". In questo sms inviato da Bianchi a Mantovani verrebbe riassunto quello che il gip definisce "il rapporto di sudditanza del funzionario del provveditorato". In una telefonata del 12 marzo 2014 Bianchi, rispondendo a Mantovani, afferma: "Sono sull’attenti...". E a Mantovani che gli domanda quando possa passare a trovarlo, il funzionario risponde: "Quando vuole, quando vuoi, vengo quando vuoi". Collezionista di cariche. Oltre che assessore e vicepresidente della Regione, all’epoca Mantovani era anche senatore, sottosegretario ai Trasporti e sindaco di Arconate e coordinatore regionale di Forza Italia. Secondo i magistrati, Mantovani avrebbe sfruttato queste numerose cariche per pilotare alcune gare d’appalto nel settore sanitario. "Una rete fittissima". Di più. Nello spiegare per quali ragioni debba stare in carcere, il gip sottolinea gli "interessi illeciti di Mantovani e dei suoi familiari" e la "fittissima rete di relazioni che il politico vanta nel territorio di Arconate di cui è stato sindaco per oltre dieci anni (e non solo) che potrebbe essere efficacemente strumentalizzata dall’indagato sia al fine di perpetrare ulteriori illeciti che di porre in essere attività svolte ad inquinare le prove, altresì del perpetuarsi ad oggi - secondo le più recenti acquisizioni investigative - delle già accertate dinamiche delittuose". Berlusconi: "Mantovani? Persona corretta". "Ci ha stupito molto questa inchiesta, di cui non sapevamo nulla. Francamente, conosciamo Mario Mantovani come una persona corretta e siamo in attesa di notizie": così Silvio Berlusconi, arrivando al Senato per la riunione congiunta dei gruppi di Forza Italia di Camera e Senato, prima del voto finale sulle riforme, risponde a chi gli chiede un commento sull’arresto. Pd e M5S preparano mozione di sfiducia. E mentre Pd e Sel si apprestano a preparare una mozione di sfiducia a Maroni, i sindacati (Cgil, Cisl e Uil) esprimono "preoccupazione" per la vicenda. Un gruppo di consiglieri 5 Stelle ha anche portato una cassetta di arance al convegno sulla legalità: "Sono per Maroni - hanno spiegato - se va a trovare il suo vice in carcere". Sel, invece, dice attraverso la coordinatrice lombarda Chiara Cremonesi, "sembra di rivivere l’era Formigoni" e chiede "le dimissioni di Roberto Maroni, connivente o distratto oltre l’accettabile". Giustizia: negazionismo un reato contro la democrazia di Donatella Di Cesare Corriere della Sera, 14 ottobre 2015 Negare l’esistenza delle camere a gas è un reato o una opinione?". Gli studenti e i ricercatori del Cest (Centro per l’eccellenza e gli studi transdisciplinari) hanno discusso a lungo, lo scorso anno accademico, intorno alla questione complessa che solleva il fenomeno, sempre più diffuso, del negazionismo. Gli iscritti all’associazione, soprattutto storici e studiosi di filosofia provenienti da diverse università - da Alberto Martinengo a Tommaso Portaluri - hanno deciso di promuovere il primo di una serie di dibattiti, che si terrà a Milano presso la Fondazione Corriere della Sera (con la partecipazione dell’Università Statale e di Judaica), domani, 15 ottobre, alle 17. L’intento è duplice: per un verso presentare i risultati della loro riflessione, per l’altro coinvolgere l’opinione pubblica in un confronto aperto su un tema che tocca direttamente sia la ricerca che la formazione. In Italia il negazionismo non è ancora riconosciuto come reato. La legge è stata approvata al Senato lo scorso 11 febbraio 2015 ed è in discussione alla Camera. Con una Decisione Quadro del 28 novembre 2008 l’Unione Europea ha chiesto agli Stati membri di contrastare penalmente la negazione. Il negazionismo è già reato in Austria, Belgio, Germania, Portogallo, Francia, Spagna, Svezia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Ungheria, Liechtenstein, Lussemburgo e Svizzera. I Paesi Bassi hanno incluso il negazionismo nella categoria dei crimini di odio. La libertà di espressione, protetta dall’articolo 21 della Costituzione, è indispensabile in una società democratica. Ma altrettanto indispensabile è la difesa della dignità umana e la lotta contro ogni discriminazione. Si tratta, dunque, di trovare il giusto equilibrio fra diritti fondamentali che finiscono talvolta per collidere. Non sembra più accettabile invocare la libertà di espressione, come valore assoluto, per difendere chi nega che la Shoah abbia avuto luogo, chi accusa addirittura le vittime di aver "inventato" il "mito" delle "camere a gas", chi vuole diffondere l’idea che gli ebrei siano "falsari". I negazionisti non possono essere legittimati come ricercatori, perché, al contrario, il loro fine ultimo è destabilizzare la società democratica. In una sentenza, molto significativa, emessa nel 2003 contro Roger Garaudy, autore francese che ha inaugurato il negazionismo islamico, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato: "Conte- Manipolazioni Alla Camera è da tempo in discussione una legge che punisce chi non ammette l’esistenza della Shoah. La libertà d’espressione è un diritto fondamentale ma non bisogna fare sconti a chi incita all’odio stare la veridicità di fatti storici accertati, quali l’Olocausto, che non sono oggetto di dispute tra gli storici, non può essere in nessun modo ritenuto un lavoro assimilabile alla ricerca della verità storica. I negazionisti perseguono un evidente obiettivo razzista, xenofobo, antisemita: riabilitare il regime nazionalsocialista e accusare le vittime di falsificare la storia. Questo crimine contro l’umanità è una delle forme più sottili di diffamazione razzista e incitazione all’odio". Il fenomeno assume aspetti tanto più inquietanti nell’ambito della formazione. Non si tratta dei casi, relativamente esigui, di docenti che negano la Shoah, quanto della enorme circolazione di propaganda negazionista nel Web, lo spazio pubblico più frequentato dalle giovani generazioni. Qui i problemi si moltiplicano. La novità del negazionismo più recente sta non già nei contenuti, bensì nelle modalità di diffusione. Mentre sfugge a ogni criterio di dibattito scientifico e democratico, e oltrepassa i confini nazionali, il nuovo negazionismo spaccia per reale ciò che è virtuale, contrabbanda per verità nascosta la più turpe falsificazione. Qual è allora il confine tra opinione e comportamento, dove termina l’esposizione di un’idea e comincia invece l’incitamento concreto all’odio? Su questi interrogativi, ancora inesplorati, occorre una riflessione più approfondita. Giustizia: Orlando firma il decreto, 102 mln di € per migliorare carceri e tribunali Ansa, 14 ottobre 2015 Centodue milioni di euro dal Fondo Unico Giustizia per migliorare il funzionamento del sistema. È quanto prevede il decreto firmato dal Guardasigilli Andrea Orlando che ripartisce fra i quattro dipartimenti ministeriali i 102.074.338 del Fondo Unico Giustizia relativi agli anni 2012 e 2013. Gli oltre centodue milioni - si legge in una nota di via Arenula - serviranno alle esigenze di funzionamento e agli investimenti dell’amministrazione secondo quanto previsto dalla legge 191/2014 istitutiva del "Fondo da ripartire per le spese di funzionamento della giustizia". Le risorse saranno così distribuite: all’Amministrazione penitenziaria vanno 21 milioni 820 mila euro, distribuiti tra spese per il personale, maggiori disponibilità di cure ai detenuti e migliore manutenzione degli immobili. Alla giustizia civile e penale si attribuiscono 74 milioni 254 mila euro da utilizzare in parte per il miglioramento della gestione e del funzionamento del sistema informatico, in parte per la ristrutturazione e manutenzione straordinaria degli immobili. Vanno infine 6 milioni di euro alla Giustizia minorile per l’efficientamento energetico delle strutture e il rafforzamento degli uffici dell’esecuzione penale esterna. Giustizia: Mafia Capitale. 78 giornalisti denunciati per aver pubblicato carte dell’inchiesta di Augusto Parboni Il Tempo, 14 ottobre 2015 Anche i giornalisti adesso rischiano di entrare a far parte della maxi inchiesta "Mafia Capitale". Per la prima volta in Italia e in Europa sono stati denunciati in blocco tutti i giornalisti che si sono occupati dell’indagine che ha portato in cella decine e decine di persone in meno di un anno. Il motivo? Hanno raccontato ai lettori nel dettaglio il lavoro svolto dalla procura di Roma. Per alcuni, però, forse in maniera troppo dettagliata, tanto da convincerli ad andare in procura e depositare un esposto contro 78 giornalisti e 18 direttori di testate nazionali. A chiedere al procuratore capo Giuseppe Pignatone di valutare il comportamento dei giornalisti sono stati gli avvocati della Camera penale di Roma, che da giorni stanno contestando, tra l’altro, le decisioni prese dal Tribunale in merito al processo che inizierà il prossimo 5 novembre: da una parte il calendario (quattro udienze a settimana fino a luglio), dall’altra invece la scelta di trasferire il dibattimento nell’aula bunker di Rebibbia e di utilizzare la videoconferenza dalle carceri dove sono detenuti gli indagati. Secondo i legali, dunque, c’è stata "la plurima violazione del divieto di pubblicazione degli atti di un procedimento penale nella fase delle indagini preliminari". Un esposto del genere, dunque, non era mai stato presentato in nessuna procura. Al documento, depositato il 24 settembre scorso, sono stati allegati anche tutti gli articoli pubblicati tra il 3 e il 9 dicembre 2014 (appena scoppiato lo scandalo) e il 5 e 6 giugno (giorni in cui sui quotidiani sono stati riportati (nel dettaglio) gli ulteriori arresti nell’ambito dell’inchiesta "Mafia Capitale". "La procura non procederà contro i giornalisti, ma un freno va messo", ha detto l’avvocato Francesco Tagliaferri, presidente della Camera penale di Roma, che ha firmato l’atto insieme al collega Giovanni Pagliarulo. "Il giudice non può leggere gli atti prima sui giornali - continua il presidente - molti documenti infatti non entreranno neanche nel dibattimento. Il diritto di cronaca va bene, però va coniugato con le norme esistenti". Nel mirino dei legali, quindi, le intercettazioni, le ordinanze di custodia cautelare, i verbali di interrogatori pubblicati in quei giorni. "Trattasi di divieto che opera anche quando sia venuto meno i cosi detto "segreto interno" (la conoscenza dell’atto da parte dei destinatari dello stesso) - scrivono i penalisti - essendo previsto a tutela della corretta formazione della prova in dibattimento, dunque della neutralità cognitiva del giudice". Il 5 novembre, comunque, in aula insieme agli imputati ci saranno anche i giornalisti per raccontare minuziosamente il processo. Giustizia: Val di Susa, tre processi che parlano dell’Italia di Livio Pepino Il Manifesto, 14 ottobre 2015 Ci sono, in questo scorcio di autunno, fatti convergenti che rimandano a diversi modi di governo della società, pur occultati sotto scelte definite tecniche. Il luogo in cui accadono è, ancora una volta, la Val Susa, piccola valle alpina che appare sempre più, nel bene e nel male, laboratorio della vicenda politica dell’intero Paese. Domani inizierà - evidente accanimento accusatorio - il processo d’appello a 4 militanti No Tav, assolti in primo grado (dopo 1 anno di carcere in isolamento), dall’accusa di attentato per finalità terroristiche in riferimento a un "assalto" al cantiere di Maddalena di Chiomonte con incendio di un compressore (senza alcun danno alle persone). Quattro giorni dopo sarà il Tribunale di Torino a pronunciarsi nei confronti dello scrittore Erri De Luca, tratto a giudizio - moderna versione di caccia alle streghe - con l’accusa di istigazione a delinquere (sic!) per avere dichiarato in una intervista: "La Tav va sabotata. Ecco perché le cesoie servivano: sono utili a tagliare le reti". Dal 5 all’8 novembre poi - inedito cambio di registro - sarà il Tribunale permanente dei popoli (organismo di opinione erede del Tribunale Russel) ad occuparsi, a seguito di un ricorso del Contro-Osservatorio Valsusa e di alcuni amministratori della Val Susa, in sintonia con il Movimento No Tav, della vicenda del treno ad alta velocità Torino-Lione e a dire se in essa ci siano state e ci siano violazioni di diritti fondamentali di singoli e della comunità della Val Susa da parte degli enti promotori dell’opera e delle apposite società di attuazione, del Governo italiano (in particolare nelle persone di alcuni funzionari preposti alla realizzazione), della Commissione petizioni del Parlamento europeo e del coordinatore dell’Unione europea per il Corridoio mediterraneo. Vicende profondamente diverse tra loro da cui traspaiono, come si è detto, due diverse concezioni del governo della società e dei fenomeni sociali. C’è, da un lato, l’idea - propria dei poteri forti e assai diffusa, oltre che nella politica, anche nella magistratura - che le società si governino in modo centralizzato e autoritario, con la stessa logica con cui si governavano un tempo le colonie, e che il confitto sociale sia un elemento di disturbo inaccettabile praticato da "nemici" meritevoli solo di repressione. Ne è corollario una singolare concezione della violenza, ritenuta per definizione estranea ai comportamenti delle istituzioni (anche i più arbitrari e lesivi di diritti fondamentali: alla salute, al lavoro, alla stessa vita) ed enfatizzata in modo abnorme nelle condotte di chi si oppone alle prevaricazioni e in difesa dei propri diritti. Solo così si spiega l’insistenza nel sostenere l’accusa di terrorismo, all’evidenza abnorme, a fronte di un fatto certamente illecito ma di dimensioni modeste, come ricostruito dalla Corte di assise di Torino, nella sentenza di primo grado, con parole di elementare buon senso ("pur senza voler minimizzare i problemi per l’ordine pubblico causati da queste inaccettabili manifestazioni, non si può non riconoscere che in Val di Susa - e a fortiori nel resto del Paese - non si viva affatto una situazione di allarme da parte della popolazione e se il contesto in cui maturò l’azione (degli imputati) non era oggettivamente un contesto di particolare allarme, neppure l’azione posta in essere rivestiva una "natura" tale da essere idonea a raggiungere la contestata finalità"). E solo così si spiega l’accusa di istigazione al sabotaggio, pressoché ignota nella storia della Repubblica, preludio - se si seguisse tale impostazione - al rogo di intere biblioteche, colpevoli di accogliere celebrati volumi di teoria politica ben più "incendiari" delle parole di De Luca. C’è invece, dall’altro lato, l’idea - su cui si fonda il ricorso al Tribunale dei popoli - che le grandi opere e le pratiche che le accompagnano, in Val Susa e nel mondo, non esauriscano i loro effetti nella costruzione di un mega ponte o nel traforo di una montagna o nell’abbattimento di una foresta ma incidano sui meccanismi complessivi di funzionamento delle istituzioni e della stessa democrazia; che i diritti fondamentali delle persone e dei popoli siano più importanti della pretesa di autonomia da ogni vincolo dell’economia (e, per essa, dei decisori politici, delle imprese, dei grandi gruppi finanziari); che - come ha scritto G. Zagrebelsky - "nessuna votazione, in democrazia (salvo quelle riguardanti le regole costitutive o costituzionali della democrazia stessa) chiuda definitivamente una partita" e che quella evocata da una tale concezione "sarebbe semmai democrazia assolutistica o terroristica, non democrazia basata sulla libertà di tutti"; che per le decisioni delle istituzioni e di chi le amministra non possa esserci una garanzia di impunità. Nel giro di poco più di un mese questi processi si concluderanno e le loro conclusioni - pur di diverso peso istituzionale (ché la sentenza del Tribunale permanente dei popoli, qualunque essa sia, avrà effetti culturali e politici ma non giuridici) - peseranno sul futuro del Paese e delle sue politiche. Intanto in Val Susa i lavori del Tav assumeranno sempre più i tempi e le modalità della autostrada Salerno-Reggio Calabria mentre continuerà - con la consueta determinazione - l’opposizione di una comunità che non ha alcuna intenzione di rassegnarsi (nell’interesse proprio e dell’intero Paese. Giustizia: accusati di "lesioni aggravate" i Carabinieri che arrestarono Stefano Cucchi di Eleonora Martini Il Manifesto, 14 ottobre 2015 Una volta aperto un varco nel muro di omertà che aveva finora nascosto la verità sulla morte di Stefano Cucchi, la procura di Roma procede velocemente nell’inchiesta bis che si avvale della testimonianza spontanea di una coppia di Carabinieri. E ieri ha iscritto sul registro degli indagati altri quattro militari dell’Arma, tre dei quali, per la prima volta, con l’accusa di "lesioni dolose aggravate". Che vanno ad aggiungersi all’ex vice comandante della stazione di Tor Sapienza, Roberto Mandolini, il primo a finire, per falsa testimonianza, nel fascicolo aperto dal procuratore Giuseppe Pignatone a sei anni dalla morte, rimasta finora senza responsabili, del giovane romano arrestato dai carabinieri per droga nella notte del 15 ottobre 2009 e deceduto una settimana dopo nel reparto penitenziario dell’ospedale Pertini. Il pm Giovanni Musarò accusa di "lesioni" Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, mentre viene ipotizzato il reato di falsa testimonianza per Vincenzo Nicolardi. Per ricostruire chi sono, vale la pena tornare all’articolo scritto sul manifesto da Luigi Manconi e Valentina Calderone il 16 settembre scorso. Di Bernardo e D’Alessandro sono i militari che "brillano per la loro accecante assenza" dai verbali, spariscono dalla prima inchiesta e non vengono neppure mai sentiti nel dibattimento che pure si è avvalso della testimonianza di oltre 150 persone e che si è concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati: sei medici, tre infermieri e tre poliziotti penitenziari. I due carabinieri, secondo la ricostruzione - mai smentita - del senatore Manconi e di Calderone, insieme a Tedesco ed altri due colleghi sono coloro che "hanno effettuato la perquisizione domiciliare e che sono stati insieme a Stefano Cucchi per più di un’ora, da quando cioè sono usciti dalla casa di Tor Pignattara fino al momento in cui è stato trasferito nella caserma di Tor Sapienza". Vincenzo Nicolardi, invece, sarebbe, secondo l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi, uno dei carabinieri che "portano Stefano dalla caserma di Via Appia, dove è stato condotto subito dopo la perquisizione domiciliare, a quella di Tor Sapienza. Qui, inspiegabilmente, il mattino dopo, Nicolardi viene pure richiamato dal piantone di turno. Per far cosa non è chiaro e da quel momento se ne perdono le tracce". "Il vero dilemma - accusa Manconi - è perché i pm che indagarono nella prima inchiesta saltarono a piè pari le vicende della prima notte, quella che vedeva protagonisti i carabinieri". Una notizia, quella di ieri, che non stupisce la famiglia e il loro avvocato: "Come avevamo detto fin da subito - commenta Anselmo - la procura di Roma è andata ben oltre il primo contributo alle indagini che noi abbiamo dato". Il legale si riferisce alla nuova perizia depositata che mostra fratture "recenti" su alcune vertebre di Stefano, mai comparse nei referti ufficiali. "E ora - aggiunge Ilaria Cucchi, sorella della vittima - ho la sensazione che siano arrivati ai responsabili della morte di mio fratello. Ma, sono sicura, altri nomi verranno fuori: siamo solo all’inizio". "Questa contestazione, che riteniamo essere provvisoria, interromperà la prescrizione - spiega Anselmo - Ma, lo ribadiamo con forza e lo stiamo provando, senza quel o quei pestaggi Stefano sarebbe ancora vivo. Questo è certo ed ormai tutti lo hanno capito. Per questo - aggiunge - contiamo di far emergere altri elementi, in corso d’indagine, che permettano di cambiare l’ipotesi di reato in omicidio". Giustizia: no a liberazione per Concutelli "non si è mai ravveduto per il sangue versato" Ansa, 14 ottobre 2015 La Cassazione ha negato la concessione della liberazione condizionata per Pierluigi Concutelli, il terrorista di estrema destra condannato all’ergastolo per omicidi e vari reati. I supremi giudici rilevano che non si è mai "ravveduto" per le "sofferenze sparse" per la realizzazione "del suo progetto eversivo". Concutelli, dunque, rimarrà in regime di detenzione domiciliare così come stabilito dal tribunale di sorveglianza che, per le sue gravi condizioni di salute, aveva accolto la richiesta di "differimento della pena", considerando oltre alle condizioni di salute, anche l’età di Concutelli e gli oltre 40 anni di detenzione espiata. Il verdetto della Cassazione, con le sue motivazioni, è stato depositato oggi dalla I sezione penale con la sentenza 41184 che ha convalidato il no alla liberazione pronunciato dal tribunale di sorveglianza di Roma il 16 novembre del 2004. I supremi giudici sottolineano che per ottenere questo beneficio è necessario il "ravvedimento", mentre Concutelli non ha preso le distanze "in ordine al suo passato di terrorista, alla violenza diffusa per tale scelta ideologica, alle sofferenze sparse per la realizzazione del suo progetto politico, eversivo dell’ordine costituzionale". La suprema corte inoltre conferma la scelta di negare a Concutelli il beneficio della liberazione condizionata anche perché sono pendenti "due procedimenti penali, risalenti al 2007 e al 2008 per denunce relative alle violazioni della legge sugli stupefacenti e in materia di armi, asseritamente commesse nel carcere di Rebibbia". Anche per questi nuovi addebiti non si può "ritenere maturato il requisito del ravvedimento in capo a Concutelli". Il sequestro è vincolato di Laura Ambrosi Il Sole 24 Ore, 14 ottobre 2015 Corte di cassazione - Sentenza 41072 del 13 ottobre 2015. Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente sui beni dell’amministratore è legittimo solo quando sia impossibile, seppur transitoriamente, il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato tributario in capo alla società ovvero quando tali beni non siano aggredibili per qualsiasi ragione. A confermare il principio è la sentenza 41072/2015 della Cassazione depositata ieri. Gli amministratori di una Srl sono stati indagati per omessa presentazione delle dichiarazioni (articolo 5 del Dlgs 74/2000). Su richiesta della Procura delle Repubblica, il Gip ha disposto nei loro confronti il sequestro preventivo dei beni, finalizzati alla futura confisca per equivalente. Tuttavia il Tribunale del riesame ha annullato la misura cautelare precisando che tale sequestro è legittimo allorché il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato (generalmente in capo alla società) risulti impossibile anche se in via transitoria e reversibile ovvero quando tali beni non siano aggredibili per qualsivoglia ragione. In sostanza, occorreva motivare le ragioni per le quali non fosse stato possibile aggredire beni dell’impresa a cui verosimilmente era stato destinato il profitto del delitto tributario. Il Pm ha presentato ricorso per Cassazione lamentando, in estrema sintesi, che nel caso esaminato il risparmio derivante alla società dalla commissione del reato contestato non integrava una "res" economicamente valutabile e proprio quelle somme evase non potevano essere individuate nelle casse societarie. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso confermando un orientamento ormai prevalente anche a seguito della pronuncia 10561/2014 delle Sezioni unite. In sostanza il profitto di un reato tributario si identifica nel risparmio di imposta. Se nelle casse della società viene rinvenuto del denaro, si tratta di profitto confiscabile direttamente riconducibile al reato. Nella controversia esaminata, per procedere al sequestro per equivalente nei confronti degli amministratori era necessaria una sommaria verifica anche solo emergente dalle risultanze agli atti, circa l’impossibilità di procedere al sequestro diretto dei beni e delle disponibilità della società. A tal fine la richiesta indisponibilità può essere anche momentanea senza che sia necessario dare dettagliatamente conto delle attività volte alla ricerca dell’originario prodotto o profitto del reato. "Casa mobile", abuso edilizio se la destinazione è abitativa di Francesco Machina Grifeo Il Sole 24 Ore, 14 ottobre 2015 Corte di Cassazione - Sezione III penale - Sentenza 13 ottobre 2015 n. 41067. In assenza del permesso di costruire, la "destinazione abitativa" fa scattare il reato di abuso edilizio anche per la posa di una "casa mobile", rientrando in questa nozione: prefabbricati, camper, roulotte ecc. La Cassazione, con la sentenza n. 41067/2015, abbracciando un interpretazione restrittiva, chiarisce che la norma fa salvo unicamente il caso in cui sussistano contemporaneamente i seguenti quattro requisiti: la collocazione avvenga all’interno di una "struttura ricettiva all’aperto", l’ancoraggio al suolo sia temporaneo, l’autorizzazione all’esercizio dell’attività conforme alla legislazione regionale e, in ultimo, la destinazione sia "turistica", e perciò "necessariamente occasionale e limitata nel tempo". La vicenda - La Cassazione, dunque, ha bocciato il ricorso contro la misura cautelare del sequestro preventivo di un "prefabbricato modulare" disposta dal Gip del tribunale di Agrigento per la possibile violazione dell’articolo 44, lettera b), del Testo unico in materia di edilizia (Dpr 380/2001). L’imputato si era difeso negando la destinazione abitativa e sostenendo che per la semplice sosta o parcheggio, la legge regionale siciliana, applicabile in via esclusiva, non prevedeva alcuna concessione o autorizzazione. La motivazione - Sul punto, la Suprema corte ricorda, in linea con la propria giurisprudenza, che le disposizioni regionali devono comunque rispettare i principi generali fissati dalla legislazione nazionale. Ciò detto, afferma che il tribunale ha ritenuto con una valutazione giuridicamente corretta che "l’immobile fosse destinato ad uso abitativo, escludendone l’utilizzo per fini di soddisfacimento di esigenze meramente temporanee", valorizzando, a tal fine, proprio "la presenza di arredi, l’esistenza, all’esterno del manufatto, di un’area piastrellata di circa 200 mq, sulla quale insiste un terrazzino e la realizzazione di una vasca idrica interrata in cemento armato". Invece, "l’assenza di allacciamenti alla rete idrica e l’assenza di vasche di raccolta delle acque bianche e nere" si spiegava con collocazione soltanto recente del prefabbricato, così come emergeva dalla carta provvisoria di circolazione. Infine, con riferimento al secondo motivo di ricorso, quello che lamentava la mancata considerazione della "particolare tenuità del fatto", ai sensi del nuovo articolo 131 bis del codice penale, i giudici di Piazza Cavour affermano che "il solo mantenimento della misura cautelare reale da parte dei giudici del riesame comporta, di per sé, l’implicito riconoscimento della insussistenza dei ricordati presupposti per l’applicazione della norma codicistica di recente introduzione". Sulla revoca della patente di guida decide il giudice ordinario di Giovanni La Banca Il Sole 24 Ore, 14 ottobre 2015 Spetta al giudice ordinario, e non a quello amministrativo, la competenza a giudicare una controversia relativa alla revoca della patente di guida emesso in ragione dell’inflizione di una condanna per reati in materia di stupefacenti (Tar Lombardia, sezione 1, sentenza 7 ottobre 2015, n. 2122). La sentenza ha puntualizzato che il provvedimento del Prefetto non è espressione di discrezionalità amministrativa, ma è un atto dovuto che non determinerebbe la degradazione a interesse legittimo della posizione di diritto soggettivo della persona abilitata alla guida. Difetto di giurisdizione. Il criterio generale di riparto della giurisdizione è dato dalla consistenza della posizione soggettiva azionata e diventa fondamentale, ai fini della sua applicazione, capire come distinguere diritti e interessi, non in relazione alla prospettazione ma all’essenza delle posizioni dedotte in giudizio. La natura eminentemente privatistica del potere di revoca impone la qualificazione in termini di diritto soggettivo della posizione giuridica soggettiva azionata, la cui tutela spetta, dunque, al giudice ordinario quale giudice dei diritti. Il provvedimento prefettizio di revoca della patente guida non esprime esercizio di discrezionalità amministrativa, cioè di potere idoneo a degradare la posizione di diritto soggettivo della persona abilitata alla guida, ma è un atto dovuto, nel concorso delle condizioni all’uopo stabilite dalla norma. Alcuna discrezionalità può rinvenirsi nell’agire non autoritativo dell’Amministrazione preposta, atteso che quest’ultima deve limitarsi ad accertare la sussistenza dei presupposti di legge prima di disporre il conseguente provvedimento di revoca della patente. Pertanto, in assenza di eccezioni all’ordinario criterio di riparto basato sulla posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio, la giurisdizione compete al giudice ordinario, essendo la posizione del privato attinto da tale tipologia di atti, qualificabile in termini di diritto soggettivo. Diverse ipotesi a sostegno. Sono molteplici le ipotesi in presenza delle quali la giurisdizione si incardina in capo al giudice ordinario. In primo luogo, la revoca della patente di guida a un soggetto sottoposto a misura di prevenzione della sorveglianza speciale per la durata di anni quattro, disposta con decreto del Prefetto, ai sensi dell’articolo 120 del Codice della strada. Pur attenendo a una diversa causa di revoca secondo la disciplina prevista dal comma 1 dell’articolo 120 del Dlgs 285/1992, è nondimeno suscettibile di estensione analogica sul piano della vincolata decisione dell’Autorità prefettizia. I passati dibattiti sulla natura dello status leso dal provvedimento (se diritto soggettivo o interesse legittimo) hanno trovato la loro definitiva soluzione con un regolamento di competenza relativo a una controversia avente a oggetto l’emissione di un provvedimento di revoca della patente di guida in conseguenza dell’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. In tal caso, il decreto con il quale il Prefetto dispone la revoca della patente di guida per effetto della sottoposizione del titolare alla misura di prevenzione, non costituisce conseguenza accessoria della violazione di una disposizione in tema di circolazione stradale, costituendo piuttosto la constatazione della inesistenza originaria o sopravvenuta dei requisiti morali prescritti per il conseguimento dei titoli abilitativi alla guida. Anche la stessa giurisdizione amministrativa ha riconosciuto i principi suddetti, sottolineando che una controversia concernente la revoca della patente disposta in conseguenza della condanna del ricorrente per il reato di cui all’articolo 73, comma 5, del Dpr 309/1990 (una fattispecie di reato meno grave, sul piano sanzionatorio, rispetto a quella imputata de quo) non è incardinabile innanzi al giudice amministrativo. In tale ipotesi, infatti, il ricorso sarebbe inammissibile. Non vi è dubbio, dunque, sulla qualificazione della situazione giuridica soggettiva riconoscibile in capo al destinatario del provvedimento di revoca della patente di guida per originaria o sopravvenuta mancanza dei requisiti morali previsti dall’articolo 120 del Codice della strada quale diritto soggettivo da tutelarsi innanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria. Lettere: nelle carceri apposite aree adibite agli incontri affettivi, comprese le visite intime di Franco Corleone (Garante dei detenuti della Regione Toscana) Ristretti Orizzonti, 14 ottobre 2015 Sono caduti i muri, i banconi, la legge sull’affettività tarda ad essere approvata in parlamento: per fortuna la fantasia delle prigioniere e dei prigionieri supera la lentezza delle forze politiche. E così una detenuta nel carcere di Milano Bollate è rimasta incinta a seguito di un incontro avuto con il marito. Fa raccapriccio che di fronte ai bisogni di umanità il Sappe risponda con denunce senza fondamento. Gli Stati generali daranno il via al provvedimento del Governo sull’affettività in carcere e finalmente non ci sarà più spazio per i sepolcri imbiancati. La denuncia di questi episodi squarcia il velo su una realtà che ipocritamente si vuole negare e smaschera il mito di chi dice che i detenuti non sarebbero interessati ad avere rapporti sessuali anche in carcere. Proprio in vista del cambiamento di qualità della vita in carcere il Tavolo degli stati generali sul carcere che si occupa di architettura metterà a punto proposte e modelli operativi per i luoghi che dovranno ospitare i detenuti per le giornate dell’affettività. Nei prossimi giorni i Garanti toscani incontreranno il Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria e fra i punti di confronto ci sarà anche l’esame delle possibilità di realizzazione nelle carceri toscane di apposite aree adibite agli incontri affettivi, comprese le visite intime. Marche: il Garante dei detenuti in visita alle carceri della regione, si inizia da Ascoli veratv.it, 14 ottobre 2015 Prenderà il via questa mattina, dalla casa circondariale di Marino del Tronto (Ascoli Piceno), il ciclo di visite del nuovo Garante dei detenuti Andrea Nobili, nelle carceri marchigiane. L’Ombudsman incontrerà i responsabili degli istituti di pena e i comandanti della polizia penitenziaria. Previsti anche colloqui con i singoli detenuti che hanno richiesto un confronto personale con il Garante. L’obiettivo delle visite alle strutture carcerarie è quello di attivare un dialogo per capire meglio, attraverso un confronto diretto con i vertici dei penitenziari e gli stessi detenuti, le principali criticità. Particolare attenzione verrà data al tema della salute. "È fondamentale - spiega Nobili - avere una mappatura estesa, a livello regionale, sullo stato delle carceri e sulle condizioni di detenzione, e verificare, con attenzione, l’attuazione dei processi di reinserimento sociale e soprattutto la tutela del diritto alla salute dei carcerati". Dopo aver fatto tappa a Marino del Tronto, nel pomeriggio di domani Nobili visiterà la casa di reclusione di Barcaglione ad Ancona. Giovedì pomeriggio sarà la volta di Montacuto, sempre ad Ancona, mentre mercoledì 21 ottobre si recherà negli istituti carcerari di Fossombrone e Pesaro. Il 22 ottobre è invece in programma la visita al carcere di Camerino. L’Ombudsman chiuderà il ciclo di incontri nelle strutture di reclusione marchigiane il 23 ottobre a Fermo. Abruzzo: chiusura Opg, la Regione in ritardo con l’attivazione della Rems a Ripa Teatina Il Centro, 14 ottobre 2015 La Legge ha determinato la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) il 31 marzo 2015, per quella data le Regioni avrebbero dovuto operarsi per aprire le residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza. Febbo: persi 5 milioni di investimenti. "La Regione Abruzzo non solo non ha iniziato i lavori per la struttura definitiva (Rems) individuata presso il Comune di Ripa Teatina, ma non è riuscita a provvedere neanche alla individuazione di una struttura alternativa a carattere provvisorio della Rems, la nuova residenza per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria che, dall’aprile scorso, sostituisce di fatto gli ospedali psichiatrici giudiziari chiusi per legge". Lo dice il consigliere regionale e presidente della Commissione Vigilanza Mauro Febbo che sulla questione ha rivolto un’interrogazione scritta all’assessore regionale alla Sanità Paolucci. La Legge n. 81/14 ha determinato la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) il 31 marzo 2015. Per quella data le Regioni avrebbero dovuto operarsi per aprire le residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza (Rems). Ma il servizio per i pazienti ricoverati presso gli ex ospedali psichiatrici giudiziari stenta a partire. "In un primo momento - continua Febbo - era stata individuata la Asl di Lanciano-Vasto-Chieti come sede provvisoria della sede della Rems, in attesa di quella definitiva a Ripa Teatina, poi risulta invece un atto regionale per l’individuazione della struttura Rems all’interno della Asl de L’Aquila senza specificare se vengono utilizzate le stesse somme destinate, ossia ben 5 milioni di euro previsti per la sede di Ripa Teatina. Oggi si registra invece ancora molta confusione in relazione alle sedi provvisorie indicate: all’inizio era stata individuata presso il presidio ospedaliero di Guardiagrele, dove già vi era un reparto di psichiatria, per passare poi a quella di Ortona e Chieti oggi girano voci, dopo una riunione avvenuta all’inizio di ottobre alla presenza del Sub commissario della Asl di Chieti, circa la notizia di attivare la Rems provvisoria presso il Comune di Rosello per i nuovi casi con una spesa di circa 300 euro giornalieri a detenuto". Sembra che il Governo centrale stia valutando il commissariamento per l’inadempienza dell’Abruzzo con il cronoprogramma concordato per la realizzazione delle Rems. "Attraverso l’interrogazione - conclude il presidente della Commissione di Vigilanza - auspico di capire al più presto come, e soprattutto dove e con quali somme, la Regione intende portare avanti il programma di realizzazione della struttura sanitaria di supporto ai detenuti ancora ritenuti socialmente pericolosi". Veneto: record di detenuti stranieri nelle carceri della Regione. I tosiani "rimpatriamoli" Adnkronos, 14 ottobre 2015 Il Veneto detiene il record di detenuti stranieri, questo quanto diffuso dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sulle carceri italiane. A fronte di tali dati i quattro consiglieri tosiani Maurizio Conte, Andrea Bassi, Stefano Casali e Giovanna Negro propongono il rimpatrio per far scontare le pene nei paesi di provenienza. L’ipotesi è basata sulla mozione presentata dagli stessi consiglieri pochi giorni fa e intitolata: "Il governo si faccia carico di rimpatriare i clandestini nel periodo invernale". "I dati emersi sono allarmanti - spiega Maurizio Conte - il Veneto mantiene un primato nell’incidenza di reclusi provenienti dall’estero, al terzo posto tra le Regioni Italiane, preceduta solo dal Trentino Alto Adige e dalla Valle D’Aosta. Dei 2241 detenuti presenti nella nostra regione, il 55%" è straniero. "C’è poi da considerare - proseguono i quattro consiglieri - l’effetto della Legge svuota-carceri nel 2010 e al ricorso alle misure alternative di detenzione dove però per gli stranieri è difficile usufruire degli arresti domiciliari". Pochi giorni fa i tosiani hanno presentato una mozione che impegna la Giunta regionale ad intervenire presso il Ministero affinché si approfitti del periodo invernale (che vede meno sbarchi) per mettere in atto una serie di operazioni al fine di identificare i profughi che godono del diritto di asilo e quelli clandestini, rimpatriando questi ultimi. "Un detenuto costa circa 260 euro al giorno - concludono i consiglieri - occorre far tornare i criminali già identificati nelle "patrie galere" invece di affollare le carceri venete, e non si tratta di ideologie e schieramenti ma di una questione di sicurezza". Prato: detenuto rinuncia all’insulina e muore nel carcere della Dogaia di Paolo Nencioni Il Tirreno, 14 ottobre 2015 La Procura ha incaricato il medico legale di eseguire l’autopsia sulla salma di un uomo di 43 anni per capire l’esatta causa del decesso. Il sostituto procuratore Egidio Celano ha dato incarico al medico legale Alberto Albertacci di eseguire l’autopsia sulla salma di un detenuto morto all’interno del carcere della Dogaia. Il morto si chiamava Alfonso Elefante, aveva 43 anni ed era originario di Nola, in provincia di Napoli. L’uomo è stato trovato morto venerdì mattina, 10 ottobre, all’interno della sua cella e la direzione del carcere ha avvertito la Procura, come è prassi in questi casi. Al momento il decesso è da attribuire a un collasso cardio-circolatorio, ma il dottor Albertacci dovrà fare accertamenti anche su altro. Sembra infatti che il detenuto soffrisse di diabete e per questo era seguito dall’infermeria del carcere. Come tutti i diabetici, gli venivano praticate regolarmente iniezioni di insulina, ma al medico legale risulta che a un certo punto lui stesso avesse scelto di non farsele più. Bisognerà capire se, in un caso del genere, doveva essere l’infermeria a obbligarlo a seguire la cura (o se dovesse essere trasferito in ospedale) e l’esatta causa del decesso. Cagliari: Caligaris (Sdr); detenuto rischia vita per l’assunzione di un cocktail di farmaci Ansa, 14 ottobre 2015 "L’assunzione di un micidiale cocktail di farmaci ha messo a rischio la vita di un detenuto. L’episodio verificatosi durante la scorsa notte nella Casa circondariale a Uta non ha avuto tragiche conseguenze grazie alla presenza dei medici e degli infermieri in turno che hanno attivato le procedure di rianimazione", lo ha reso noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, sottolineando "l’indispensabile continua e costante presenza dei medici durante le 24 ore nella struttura ubicata nell’area industriale a 23 chilometri da Cagliari". "Mentre sono in corso gli accertamenti per verificare le cause e le circostanze dell’abuso di sostanze, l’episodio - ha sottolineato - evidenzia la necessità di un controllo costante nella somministrazione dei farmaci e l’urgenza di monitorare l’uso da parte dei detenuti. Nella realtà cagliaritana la presenza di molti cittadini privati della libertà con problematiche legate al disagio psichico e alla tossicodipendenza comporta azioni mirate soprattutto a salvaguardarne la salute. C’è sempre il rischio che qualcuno possa assumere un’eccessiva dose di medicinali trasformandoli in armi mortali. Ciò significa che aldilà delle politiche di risparmio sempre in agguato occorre garantire la tutela della salute del paziente detenuto come sancito dalla Costituzione". Napoli: il marito e il figlio sono in carcere, lei tenta il suicidio alla Stazione Centrale napolitoday.it, 14 ottobre 2015 La donna, madre di un giovane detenuto e separata dal marito anche lui in carcere, ha raccontato di volersi togliere la vita, afflitta dalla mancanza di lavoro e dai conflitti familiari. Tragedia a Piazza Garibaldi: donna si lancia sotto treno della metro. Camminava oltre la linea gialla del marciapiede del binario 18 della stazione di Napoli, incurante del treno in arrivo, ma è stata prontamente salvata dagli uomini della Polfer. Protagonista una donna soccorsa in stato confusionale, che subito dopo è svenuta ed è stata portata in ospedale al Loreto Mare. La donna, madre di un giovane detenuto e separata dal marito, anche lui in carcere, ha raccontato di volersi togliere la vita, afflitta dalla mancanza di lavoro e dai conflitti familiari. Informato il pm, la donna è stata affidata ai servizi sociali. Pesaro: corsi di formazione in carcere, consegnati gli attestati ai detenuti viverepesaro.it, 14 ottobre 2015 Carcere e territorio: un patto di solidarietà. La formazione professionale come momento propedeutico all’inserimento lavorativo dei detenuti". Sabato 3 ottobre il Comune di Pesaro - assessorato alla Solidarietà, l’Agenzia dell’Innovazione, l’associazione Banca del Tempo e l’associazione "A Braccia aperte", hanno consegnato gli attestati ai detenuti e alle detenute che hanno partecipato ai corsi di formazione professionale nei settori di cucina, ristorazione, abbigliamento, sartoria e manutenzione edile. Le attività del progetto sono state realizzate nel periodo marzo-ottobre 2015. Alla cerimonia erano presenti l’assessore comunale alla solidarietà Sara Mengucci, la direzione del carcere e dell’area trattamentale, i docenti, gli sponsor Edil Sole e Paver, le rappresentanti della Banca del Tempo e della mensa diocesana Oda. "L’obiettivo principale del progetto è quello di realizzare percorsi integrati di formazione e inserimento lavorativo - spiega l’assessore Mengucci -, lavoro in prevalenza intramurario, prevedendo un’azione sinergica che accompagni i detenuti in un percorso di acquisizione e recupero di capacità relazionali e professionali, indispensabili a ricostruire la propria identità sociale. Ecco quindi che si è reso necessario un impegno sinergico tra l’Agenzia per l’innovazione, staff tecnico interno e docenti, educatori dell’Area trattamentale, Polizia penitenziaria e direzione del carcere". I corsi dunque hanno permesso di far acquisire ai partecipanti una preparazione professionale adeguata, agevolandone il futuro reinserimento sociale e lavorativo. I corsi di formazione realizzati dall’Agenzia per l’innovazione sono stati tre, per un totale di 182 ore, cui hanno partecipato 31 persone (di cui 9 donne). Durante le lezioni del corso Mof (manutenzione ordinaria del fabbricato) e sotto la supervisione del docente Riccardo Ghiandoni, sono stati realizzati lavori all’interno dell’edificio finalizzati all’apprendimento e alla riqualificazione di spazi interni alla sezione di detenzione maschile (costruzione di pareti divisorie per allestire nuovi spazi all’interno della lavanderia e della zona antistante area corsi, montaggio porte di ingresso e tinteggiatura, apertura lucernario nella parete della stanza destinata alla vigilanza, adiacente alla sala teatro, utilizzata come punto di sorveglianza dagli agenti). Le conoscenze acquisite attraverso i corsi hanno permesso di migliorare la qualità di alcuni servizi interni all’istituto penitenziario con particolare riferimento a quelli della ristorazione e a quelli collegati alla manutenzione dell’edificio (miglioramento della funzionalità degli spazi interni e del comfort abitativo per personale e detenuti). Al termine del corso, per il secondo anno consecutivo, cinque detenute partecipanti alle lezioni di sartoria sono state assunte dall’Amministrazione penitenziaria per attività lavorativa sartoriale nel laboratorio interno all’istituto. Il corso di sartoria è stato promosso in collaborazione con la Banca del tempo di Pesaro da cui provengono le sarte docenti. Nell’ambito del corso di cucina, il docente Claudio Rossini dell’istituto alberghiero S. Marta e i corsisti hanno collaborato alla preparazione del buffet allestito alla biblioteca S. Giovanni in occasione della manifestazione annuale "L’arte sprigionata" (svoltasi il 4 giugno scorso) e, in appendice al corso, alla preparazione dei pasti da servire alla mensa Caritas ai cittadini bisognosi. Al progetto ha collaborato anche il Centro per l’impiego, orientamento e formazione della Provincia di Pesaro e Urbino mettendo a disposizione una orientatrice per la selezione dei detenuti da ammettere ai corsi e per l’attività di docenza in materia di orientamento al lavoro e valorizzazione delle competenze. Per quanto riguarda il progetto "facciamo 3 passi", l’associazione Bracciaperte ha presentato tre corsi di formazione professionale, due dei quali sono terminati (corso tecnico installatore elettrodomestici nella sezione maschile e corso pelletteria in quella femminile). Fin ad ora son state effettuate 130 ore di docenza,(60 corso installatore e 70 corso di pelletteria). Durante il corso tecnico installatori, i 12 partecipanti hanno appreso tutte le tecnologie di funzionamento dei principali elettrodomestici "white" e le relative procedure di installazione. Il secondo corso "pelletteria" ha coinvolto dieci detenute che durante le lezioni hanno imparato a conoscere le varie tipologie di pellami, le tecniche di conciatura delle pelli, a realizzare un cartamodello, oltre alla creazione di diversi accessori (porta cellulari, pochette e braccialetti). Roma: "Neroluce Rebibbia", da Biella donazione di tessuti per laboratorio delle detenute Adnkronos, 14 ottobre 2015 Una donazione di tessuti dagli industriali tessili biellesi alle detenute di Rebibbia che realizzano capi con il marchio "Neroluce Made in Rebibbia". È l’iniziativa concretizzatasi grazie dell’artista Michelangelo Pistoletto, che al centro, venerdì, dalle 18 alle 20 nel cortile di via Margutta 51/A a Roma, dell’appuntamento "ModArt - Premio Margutta best practice", organizzata da Chronomargutta, una insolita appendice della XIII edizione del premio, organizzato nel giugno scorso da Monogramma arte contemporanea, per premiare l’eccellenza in vari campi. In quella occasione per la sezione arte era stato premiato il Maestro Michelangelo Pistoletto e proprio lui durante la sfilata di moda che accompagnava la premiazione, commosso dai capi disegnati e realizzati dalle ospiti del carcere di Rebibbia, presentati dall’associazione Neroluce made in Rebibbia (Premio Margutta 2015 per la sezione moda), decise di aiutare le detenute. Pistoletto, biellese di nascita, ha chiamato a raccolta gli industriali dei tessuti della sua città: il Lanificio Subalpino, il Lanificio Ermenegildo Zegna, il Lanificio Botto Giuseppe e tanti altri che, appunto, consegneranno venerdì le loro donazioni in stoffe all’associazione Neroluce, alla presenza del Direttore del carcere di Rebibbia. Nella stessa occasione, sarà presentata "Riscatti di vita", prima mostra fotografica itinerante sul tema del progetto "Laboratorio Ricuciamo", brand Neroluce, e sarà inoltre effettuata un’asta di beneficenza, i cui ricavati andranno alla Associazione Neroluce Made in Rebibbia: a essere battuti saranno di abiti vintage da gran sera, pellicce vintage di Fendi, opere di Monogramma arte contemporanea gioielli offerti da Enigma di Gianni Bulgari e opere degli artisti Giuseppe Amorese e Marco Ginoretti. Belluno: in arrivo sei detenuti psichiatrici, timore dell’Usl "servirebbero più risorse" Corriere delle Alpi, 14 ottobre 2015 Arriveranno il 15 novembre al carcere di Baldenich i sei detenuti veneti provenienti da un ospedale psichiatrico giudiziario. Un arrivo annunciato l’anno scorso, da quando è entrata in vigore la riforma che prevede la chiusura di tutte le strutture carcerarie psichiatriche. E se con l’ospedale di Castiglione delle Stiviere la Regione è riuscita a siglare un accordo per cui i detenuti veneti saranno tenuti nella struttura, per le altre realtà sul territorio nazionale, come quella dell’Emilia Romagna, non è stato possibile. Per questo motivo i detenuti di ciascuna regione dovranno ritornare nel luogo di residenza o laddove hanno commesso il primo reato. La struttura carceraria bellunese e l’Usl 1, che avrà in carico l’assistenza di questi detenuti-pazienti, si stanno attrezzando: "Saremo il primo caso, in Italia, di casa circondariale che dovrà accogliere detenuti con problemi psichiatrici. E per fare questo", spiega il direttore del distretto Marco Cristofoletti, "avremo bisogno di altro personale: a Venezia abbiamo chiesto la presenza di uno psichiatra almeno sette ore a settimana per gestire le relazioni tra i detenuti, di un infermiere a loro dedicato per otto ore al giorno, e di uno psicologo per almeno cinque ore a settimana. Tutto il personale dovrà essere formato per potersi relazionare con i nuovi pazienti. Abbiamo già attivato dei corsi per infermieri e agenti di polizia penitenziaria grazie al primario di psichiatria Forti e di un suo collaboratore, il dottor Sterpone. Non potremo, però, garantire la stessa assistenza che avevano in Emilia Romagna, dove il medico era presente 24 ore su 24". I nuovi detenuti saranno sistemati in sei celle, quelle lasciate libere dalla chiusura del reparto femminile. In questi locali sono state apportate delle modifiche onde evitare che possano farsi o procurare ad altri del male. "I sanitari saranno in alluminio e non in ceramica, i vetri saranno antisfondamento, i materassi, come per tutto il carcere, ignifughi. Noi", conclude Cristofoletti, "cercheremo di dare il massimo, per accogliere bene queste persone. Importante, infatti, sarà il primo approccio". Belluno: lenzuola annodate per tentare la fuga dal carcere, quattro detenuti a processo Corriere delle Alpi, 14 ottobre 2015 Le lenzuola della cella non finivano in lavanderia. E un motivo c’era. Quattro detenuti stavano progettando un’evasione dal carcere di Baldenich, come si faceva ai vecchi tempi. Le avevano annodate, formando una fune di 24 metri. È iniziato il processo a loro carico. Le lenzuola della cella non finivano in lavanderia. E un motivo c’era. Quattro detenuti stavano progettando un’evasione dal carcere di Baldenich, come si faceva ai vecchi tempi. Azioni da film in bianco e nero. Ne avevano già annodate diverse, per confezionare una specie di corda lunga una ventina di metri e, in qualche maniera erano riusciti a fabbricare anche un gancio da assicurare al telaio del letto a castello. Sono stati smascherati dagli agenti di custodia, prima del tentativo. Non si capiva come mai in quella cella non amassero cambiare la biancheria e un sospetto stava cominciando a nascere, nella direzione della casa circondariale: vuoi vedere che sta per succedere qualcosa? Un’ispezione aveva permesso di scoprire che quelle lenzuola sarebbero servite a un tentativo clamoroso di evasione. Sventato, probabilmente quando gli ideatori del piano stavano cominciando a pensare di avere qualche speranza di andarsene, peraltro in maniera così spettacolare. Gli imputati sono gli albanesi Florian Hoxha e Ibrahim Sokol Kuci; il sandonatese Luciano Vignotto e il libanese Abdllah Sami, difesi rispettivamente dagli avvocati Antonio Genovese di Torino, Gianluca Puglisi, Alessandro Borin di Venezia e Mariangela Sommacal. Nell’udienza filtro di ieri mattina, l’unico a presentarsi in aula è stato Hoxha, scortato da un buon numero di agenti di custodia. È tuttora in carcere, naturalmente non per questa ipotesi di reato (ha precedenti per rissa e traffico di sostanze stupefacenti). Il giudice Antonella Coniglio ha fissato il primo appuntamento del dibattimento per il 18 dicembre, a mezzogiorno. L’uomo parla un discreto italiano e ha chiesto espressamente di poter essere di nuovo presente, di conseguenza il giudice disporrà il trasporto, concordandolo con la direttrice del carcere. Nel frattempo, il pubblico ministero Gianluca Tricoli e gli avvocati difensori hanno presentato le loro liste di testimoni, in vista delle prime scadenze processuali. Asti: carcere di Quarto diventa Casa di Reclusione, meno detenuti ma cresce la tensione di Selma Chiosso La Stampa, 14 ottobre 2015 In tutt’Italia il numero dei detenuti in carcere è sceso. I dati nazionali del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) rilevano alla fine di settembre una flessione del 23%. Dopo la condanna della Corte europea del 2013, il ricorso alle misure alternative soprattutto per chi deve scontare meno di tre anni (arresti domiciliari o affidamento ai servizi sociali) hanno risolto il problema del sovraffollamento. In Piemonte i detenuti distribuiti in 13 carceri sono 3530 (capienza regolare 3838); e dalle celle ne sono usciti 1517. Ad Asti la situazione è nella norma. Nel 2010 i detenuti erano 430 mentre attualmente la capienza media è di 260. Il carcere di Quarto però da qualche mese non è più Circondariale ma Casa di reclusione. Significa che è cambiata la tipologia dei carcerati. Prima c’erano soprattutto detenuti per reati minori o in attesa di giudizio, tra loro molti stranieri. Adesso ospita persone sottoposte a regime di alta sicurezza, legati quindi alle grandi "famiglie" di mafia e detenuti che devono scontare lunghe pene. I problemi si concentrano qui. Il sindacato di polizia penitenziaria Osapp lamenta non solo una cronica carenza di organico ma la mancanza di figure specifiche: ispettori e sovrintendenti. Sono loro infatti l’indispensabile anello di congiunzione tra gli agenti che tutti i giorni trattano con i detenuti e i commissari, il comandante, il direttore. Trattare con i sottoposti al regime di "alta sicurezza" presuppone una preparazione che i giovani agenti non hanno. Questo genera problemi di sicurezza interna ed esterna. Alcuni agenti e un medico sono già stati aggrediti per futili motivi (permessi negati). I poliziotti dell’Osapp hanno quindi dichiarato lo stato di agitazione e chiedono un intervento urgente del Dap. "Abbiamo subito decisioni non supportate da un piano logistico.I detenuti sono meno numerosi mai molto più pericolosi", dice Gerardo Romano vicesegretario nazionale Osapp. Domenico Favale, segretario provinciale aggiunge: "Ci sentiamo schiavi dello Stato, il lavoro in sezione è aumentato del 100%. Sulla carta dovremo avere 3 commissari: una è in maternità; l’altra è distaccata al Sud; quella presente è temporaneamente ad Asti. Gli ispettori dovrebbero essere 24 ma di presenti ce ne sono 2. I sovrintendenti sono 5 anziché 21. Gli agenti 135 anziché 180.personale. Un conto è trattare con il piccolo spacciatore, un altro con un capo mafioso. Le istituzioni, le nostre per prime, devono rendersi conto della pericolosità di questa gente ma anche la città deve sapere a quale rischio è esposta". E in settimana anche i detenuti hanno protestato battendo le gavette. Lucca: dà fuoco al materasso per protesta, detenuto salvato dalle guardie carcerarie Il Tirreno, 14 ottobre 2015 Fuoco e fumo al penitenziario San Giorgio, dove un detenuto italiano ha dato vita a una singolare e pericolosa forma di protesta. Dà fuoco al materasso e alle coperte della sua cella e viene salvato dalle guardie carcerarie. Altro brutto episodio al penitenziario san Giorgio di Lucca. Nel primo pomeriggio di martedì 13 ottobre, un detenuto di nazionalità italiana, in passato destinatario di due Tso, ha dato luogo a una forma di protesta che poteva costargli la vita. Ecco il resoconto di Donato Capece, segretario generale del Sappe, in sindacato della polizia penitenziaria: "Nelle prime ore del pomeriggio, il detenuto ha dato fuoco al materasso, alle coperte e al televisore per protesta non si è capito bene contro chi e cosa. Parliamo di un soggetto destinatario di ben due Tso, che ha tentato il suicidio, ha posto in essere atti di autolesionismo ed ha evidenti problemi psichiatrici. I baschi azzurri hanno impedito che la situazione degenerasse ma è chiaro che nelle carceri toscane la situazione è diventata allarmante per la polizia penitenziaria, che paga pesantemente in termini di stress e operatività questi gravi e continui episodi critici". Il Segretario Regionale SAPPE della Toscana, Pasquale Salemme, tira un sospiro di sollievo "per l’ennesima tragedia evitata dal coraggio e dalla professionalità degli uomini del Reparto di Polizia penitenziaria di Lucca" e cita gli episodi critici accaduti nel carcere toscano negli ultimi tempo: "Decine di colleghi, in diverse occasioni, sono stati aggrediti da detenuti. E questo nell’indifferenza generale, specie di chi è convinto che i poliziotti penitenziari sono evidentemente "carne da macelllo". Ora basta, però. Il personale in servizio a Lucca non può pagare lo scotto di questa diffusa e pericolosa inadempienza istituzionale. Reggio Emilia: il Sappe denuncia la mancanza di personale e di strumenti di controllo Gazzetta di Reggio, 14 ottobre 2015 La mancanza di personale e di moderni strumenti di controllo in un carcere in gran parte "aperto" rende impossibile la gestione di un numero crescente di detenuti con problemi psichiatrici. Aumento del numero del personale penitenziario, incremento degli strumenti tecnologici e la creazione di un protocollo con l’Ausl per il trattamento dei detenuti con patologie psichiatriche. Queste le tre richieste principali del Sappe, che ha manifestato le sue esigenze con un picchetto davanti al carcere di Reggio Emilia. Attualmente il personale della struttura comprende 170 persone, ma fra turni, giorni di riposo e malattia effettivamente ci sono circa 50 secondini alla volta. A fronte di 171 detenuti. Un appello, quello del sindacato della polizia penitenziaria, che arriva a poche ore dall’ennesimo, gravissimo episodio di autolesionismo da parte di un detenuto che, con un rasoio ha cercato di evirarsi in cella. "Ad aggravare la situazione - spiega il segretario provinciale Michele Malorni - c’è il fatto che sono tutti in regime aperto, ovvero possono uscire liberamente dalle celle dalle 8.45 alle 20 di sera e circolare all’interno di uno spazio delimitato". Spazio in cui le guardie carcerarie non entrano per ragioni di sicurezza, potendo quindi controllarne dall’esterno solo una piccola parte. "Non ci sono infatti - continua Malorni - sistemi di video sorveglianza. E il 65% dei detenuti hanno problemi psichiatrici e tendono all’autolesionismo, andrebbero tenuti in regime chiuso sotto osservazione. Per questo serve un tavolo con L’Ausl, è urgente la creazione di un protocollo condiviso". Nuoro: Cisl-Fns; Mamone senza auto né furgoni, un carcere in totale abbandono La Nuova Sardegna, 14 ottobre 2015 Disservizi e carenze nelle diramazioni, continua lo stato di agitazione della polizia penitenziaria Giovanni Villa, segretario Cisl-Fns: "Ci auguriamo che il dottor De Gesu intervenga celermente". "Tutti danno la stessa risposta: non ci sono soldi". Il caso "mezzi di trasporto" della Colonia penale rischia di diventare un paradosso. Mentre lo stato di agitazione della polizia penitenziaria va avanti, "tutti, dal direttore Patrizia Incollu al comandante di reparto, commissario Massimo Carollo, fino al provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Enrico Sbriglia, pare siano impotenti davanti alla grave problematica". Ad alzare la voce è ancora una volta la Cisl-Fns. "Oggi funzionano solo alcuni mezzi - denuncia il sindacato - tra i quali quelli del Nucleo traduzioni, una utilitaria ed un furgone per trasporto poliziotti entrambi a targa militare. A giorni, se non si interverrà con urgenza, la Colonia si bloccherà con l’alto rischio della chiusura delle varie diramazioni". Particolarmente critica la situazione nella diramazione Santissima Annunziata, ormai senza mezzo... "Da tempo denunciamo vari disservizi che aumentano giorno per giorno - sottolinea Giovanni Villa, segretario generale aggiunto regionale della Cisl-Fns -. Ormai la questione dei mezzi è diventata la priorità assoluta, ancor più della carenza di organico. Una utilitaria così come un furgone a nove posti a targa militare, quest’ultimo per altro in prestito dall’Istituto di Uta a Cagliari, rispettivamente venivano adoperati per rappresentanza e per il trasporto di personale di polizia penitenziaria, ora vengono usati per la consegna del vitto e del sopravvitto dei detenuti. Tutto ricade sulle spalle dei colleghi - va avanti Villa - che per non bloccare le attività della Colonia e dare una mano al direttore e al comandante si assumono responsabilità che non gli competono. Questo accade da tempo e non capiamo perché l’amministrazione non interviene. I mezzi che ho citato servono anche per il trasporto dei detenuti che dalle tre diramazioni, Nortiddi, Santissima Annunziata e S’Alcra, vengono accompagnati per le varie incombenze come colloqui familiari, educatori, assistenti sociali, avvocati ecc., o per disbrigo pratiche nei vari uffici della centrale. Ci sono anche altri disservizi". L’elenco è lungo. "Da questa estate - ricapitola il sindacalista, a causa di un forte temporale, sono saltate tutte le linee telefoniche fisse e mobili, alcune sono state riparate ed altre no, il personale faceva la fila per poter lavorare in quelle poche postazioni internet funzionanti". E inoltre: "Il centralino ancora oggi non funziona al 100% tante che non si possono passare le telefonate esterne ai vari numeri interni, insomma; vi faremo richiamare se funziona la linea". "Per poter prendere la linea di rete mobile ci si deve spostare in continuazione - rimarca ancora Giovanni Villa, non funziona nemmeno quella della Tim che è convenzionata con l’amministrazione per i telefonini di servizio. Dire che il carcere è abbandonato è un eufemismo" ironizza il portavoce della categoria. "Altra questione che denunciamo da tempo riguarda la mancata corresponsione dei pagamenti delle missioni agenti che va avanti da gennaio di quest’anno nonostante la normativa ne preveda il pagamento dopo un mese. Ci sembra che l’amministrazione non prendendo provvedimenti quindi non intervenendo per ripristinare quel minimo di sicurezza e funzionalità, basti pensare che il controllo del territorio è diventato oramai impossibile da garantire, abbia deciso di mettere la parola fine al capitolo Mamone". "Sarebbe una vera sconfitta - dice Villa - non solo per l’amministrazione penitenziaria ma per tutto il sistema specialmente oggi che si sta lavorando per un nuovo progetto di modello di detenzione a sorveglianza dinamica e controllo attenuato dove le Colonie agricole devono essere una parte rilevante. Per questo abbiamo proclamato lo stato di agitazione coinvolgendo anche la segreteria nazionale. Questa volta ci faremo sentire fino a Roma, la protesta andrà avanti ad oltranza. Ci auguriamo che come accaduto in passato il dottor De Gesu, allora provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria della Sardegna, oggi direttore generale dell’Ufficio beni e servizi del dap, intervenga celermente. Sappiamo - chiude il sindacalista della Cisl-Fns - che tiene particolarmente al sistema penitenziario isolano quindi ci aspettiamo risposte e interventi risolutivi in tempi brevi". Milano: il rosso dei ragazzi dell’Ipm vince premio dei vini prodotti per utilità sociale di Giacinto Bosoni Avvenire, 14 ottobre 2015 Il vino di San Colombano non è solo molto buono, ma fa bene a chi lo beve e a chi lo produce. E viene premiato per la sua utilità sociale. Si chiama il "Galeotto", il vino rosso San Colombano della cooperativa sociale "I Germogli" di San Colombano, che ha vinto il secondo premio al concorso enologico internazionale "Tassello d’oro" dedicato ai vini da agricoltura sociale. Il "Galeotto" è prodotto dalla cooperativa del luogo che lavora con ragazzi del percorso penale minorile del "Beccaria" e ragazzi in situazioni sociali difficili. Si tratta di un vino fatto con Barbera che riposa per un anno in botte dopo la vinificazione e prosegue per almeno un altro anno l’affinamento in bottiglia. Le uve sono coltivate e raccolte, e poi lavorate dai ragazzi della casa famiglia " Sherwood" di Lambrinia, che si occupa della reintegrazione sociale di minori e giovani provenienti dal percorso penale del Beccaria di Milano, ragazzi a cui è offerta la possibilità di una soluzione alternativa alla detenzione in carcere. I giovani dunque si sporcano le mani, imparano un’arte, si riprendono il tempo e la vita, e si formano, se lo desiderano, ad una professione. Nella tenuta si coltiva il vino ma anche il miele, alternando le attività di lavoro con quelle di comunità, sempre con la super visione di educatori e psicologi. "Il premio ricevuto è dedicato ai ragazzi, che sono stati entusiasti del risultato - sottolinea Giancarlo Tosi, responsabile della cooperativa - perché qui si fa del sociale e anche della buona agricoltura". La coltivazione avviene nel rispetto delle origini, del territorio, delle vocazioni dei terreni e continua nella scelta delle sementi e nelle varietà dei vitigni rigorosamente autoctoni. Il valore aggiunto della cooperativa risiede nel dare opportunità e creare posti di lavoro a soggetti deboli quali detenuti o ex detenuti, privilegiando però gli ospiti del Beccaria, La cooperativa è diventata nel tempo il braccio operativo della Sherwood per tutti quegli istituti rieducativi in cui è previsto un percorso di formazione lavoro, "La cooperativa è nata - sottolinea Tosi - perché crediamo in un progetto di lavoro che si apre al sociale e siamo felici di valorizzare la risorsa dei ragazzi del "Beccaria" che possono trovare con noi nuove opportunità di reinserimento nella vita sociale". Piacenza: la direttrice Zurlo "al via iniziativa per parlare di detenzione alla cittadinanza" di Sofia Mingarelli ilpiacenza.it, 14 ottobre 2015 Martedì 20 ottobre sono previsti vari appuntamenti nelle scuole mentre mercoledì 21 ottobre nella sede Svep la giuria sceglierà i vincitori del concorso "Parole oltre il muro". Giovedì 22 ottobre nella Casa Circondariale ci sarà l’incontro tra Cesare Moreno, fondatore dei "Maestri di strada", e i detenuti. "Quest’anno - afferma Caterina Zurlo, direttore della Casa Circondariale di Piacenza - per "Piacenza e il carcere" abbiamo in programma tanti incontri e tanti ospiti: parleremo di carcere sia con i ragazzi delle scuole che con la cittadinanza". Nella mattinata di martedì 13 ottobre è stata presentata l’iniziativa "Piacenza e il carcere". Le giornate interessate da questo evento saranno 20, 21 e 22 ottobre. Martedì 20 ottobre sono previsti vari incontri nelle scuole mentre mercoledì 21 ottobre nella sede Svep la giuria formata da Di Vita Ghizzoni, Fontana, Palmas, Perricone, Rebecchi, Shepis e Pisacane (Lions Club Rivalta valli Trebbia e Luretta) sceglierà i vincitori del concorso "Parole oltre il muro". Giovedì 22 ottobre nella Casa Circondariale ci sarà l’incontro tra Cesare Moreno, fondatore dei "Maestri di strada", e i detenuti. Nel pomeriggio della stessa giornata alle 17 nell’auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano è in programma un altro incontro, questa volta aperto al pubblico, con Cesare Moreno. Nel corso dell’evento, a cui parteciperanno anche l’assessore Stefano Cugini e Caterina Zurlo, direttore della Casa Circondariale, saranno letti i tre racconti e la poesia che hanno vinto il concorso "Parole oltre il muro". Gli incontri del 20 ottobre saranno una decina: saranno coinvolti circa 600 studenti. Ci sarà anche un evento a cui parteciperanno studenti di due istituti: il Leonardo e il Gioia. Valeria Viganò, presidente della associazione "Oltre al muro" ha spiegato brevemente chi è Moreno: "Cesare Moreno, oltre ad avere avuto incarichi importanti e ad aver fondato i "Maestri di strada", è una persona ricca di carisma, che vive con passione quello che fa: speriamo che riesca a dare segnali forti sia ai detenuti che alla cittadinanza". "Vedo questa giornata - spiega Roberto Gromi, garante per i diritti delle persone private della libertà - come un momento di partenza: a dicembre inizia l’anno giubilare sulla misericordia. Tra le opere di misericordia corporali c’è "visitare i carcerati". Spero che a Piacenza venga dedicato qualche momento ai carcerati ma anche agli ex detenuti che escono dalla prigione e non hanno nulla". Alla presentazione dell’iniziativa sono intervenuti anche l’assessore Stefano Cugini, Carla Chiappini di "Verso Itaca" e Davide Marchetti della Caritas. Ravenna: "La giustizia negli Usa", incontro con lo scrittore ex-detenuto Karl Guillen ravennanotizie.it, 14 ottobre 2015 L’associazione culturale Galla & Teo domenica 18 ottobre ospiterà Karl Guillen, scrittore ed ex-detenuto americano, per un’intervista pubblica presso la Sala Polivalente della parrocchia San Severo, a Ponte Nuovo. All’incontro, che comincerà alle ore 17.30, prenderà parte anche Olivier Turquet, direttore dell’associazione editoriale Multimage. In seguito al dibattito sarà proposta una lettura di brani dell’autore da parte di alcuni ragazzi del gruppo teatrale. L’ingresso è libero e al termine dell’iniziativa verrà allestito un rinfresco per tutti i partecipanti. Spiegano gli organizzatori: "Karl Guillen è attualmente in Italia per una serie di incontri che vedono protagonista la sua intensa esperienza carceraria in Arizona: un’ingiusta condanna a 25 anni di reclusione, di cui 18 in isolamento. Nonostante fosse finito vittima di un sistema complesso di accuse e false dichiarazioni, Karl si è sempre mantenuto forte della sua innocenza. Durante la reclusione era, tuttavia, finanziariamente impossibilitato a permettersi una buona difesa legale, perciò la sua situazione economica ha finito per aggravare i suoi tentativi di essere degnamente giudicato a processo. In carcere Karl ha studiato, dipinto e scritto molto. Ha subito e raccontato la violenza fisica e psicologica delle guardie carcerarie, che distruggevano i suoi appunti, le sue macchine da scrivere e minavano gravemente la sua dignità di essere umano. L’aiuto giunge proprio dall’Italia, quando nel 1999 l’editore Multimage pubblica il suo primo libro, Il tritacarne. Il titolo fa riferimento ad una metafora che rappresenta il sistema giudiziario americano, il quale riceve un ottimo ritorno economico attraverso le incarcerazioni e ignora l’obbligo morale di concedere ai detenuti una condizione dignitosa. Il ricavato delle vendite del libro e la generosità del Comitato per la Difesa di Karl Guillen finanzieranno le spese legali, che lo aiuteranno ad evitare la pena di morte e lo porteranno alla liberazione nel 2013. Oltre al primo libro, sono uscite altre due pubblicazioni ad opera di Multimage, ancora riguardanti l’esperienza del carcere: Il sangue d’altri, che riprende i temi autobiografici del primo volume, e Five things: cinque cose, una raccolta di poesie". Galla & Teo è un’associazione culturale nata a Ravenna nel 2002, il cui impegno consiste nell’organizzazione di laboratori teatrali, rivolti a bambini e adolescenti, divisi in gruppi di attività a seconda dell’età dei partecipanti. La vicinanza alle fasce giovani e la convinzione che il teatro abbia un grande potenziale educativo, ha portato alcuni soci ad impegnarsi nell’organizzazione di un incontro con Karl Guillen, affinché la sua esperienza possa essere condivisa con chiunque, giovane o meno, sia disposto ad ascoltare questa storia vera e toccante. Ravenna ha già conosciuto Karl Guillen a giugno grazie ad un incontro organizzato dalla Coalizione Italiana contro la Pena di Morte, il cui aiuto è stato fondamentale anche in questa occasione per permettere a Galla & Teo di contattare l’ospite. Coalit collabora tutt’ora con Karl e altre associazioni umanitarie allo scopo di promuovere l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo. L’Aquila: poesia nelle carceri, il 23 i vincitori del Premio "Bonanni", sezione detenuti news-town.it, 14 ottobre 2015 Ci si avvicina al premio letterario "Laudomia Bonanni", sostenuto dalla Bper, che da nove stagioni anima l’autunno aquilano. La giuria del premio intitolato a Laudomia Bonanni ha decretato i vincitori della IX edizione del premio di poesia a tempo libero, riservato ai detenuti dei penitenziari italiani, e organizzato in collaborazione con il Ministero della Giustizia e la casa circondariale nella frazione aquilana di Preturo. Primo classificato è Carmelo La Licata, della casa circondariale di Voghera-Pavia, secondo è Mario Trudu (San Gimignano-Siena), terzo classificato è Noris Buzdugan, detenuto alle "Costarelle" dell’Aquila. La premiazione dei vincitori avverrà venerdì 23 ottobre, alle ore 15.30, presso il teatro della Casa circondariale dell’Aquila, alla presenza del poeta Charles Simic, ospite d’onore della XIV edizione della manifestazione. Bologna: teatro del Pratello, manca messa in sicurezza dello spazio per il pubblico Ristretti Orizzonti, 14 ottobre 2015 Invece degli spettacoli sarà realizzata una video fiction. Dal Provveditorato alle opere pubbliche impegno a trovare soluzione per il 2016: possibile anche la ristrutturazione di spazi diversi, più idonei. L’attività del Teatro del Pratello, all’interno dell’Istituto penale minorile di Bologna, per i ragazzi non è solo "una importante e irripetibile occasione di crescita personale e sviluppo di competenze manuali, espressive e comunicative" ma anche una "prima possibilità di approccio al lavoro con un regolare contratto, seppure limitato nel tempo delle repliche teatrali". Per questo motivo non può che essere accolto con soddisfazione l’impegno del Provveditorato regionale alle opere pubbliche a "proporre, in tempi congrui con la programmazione delle attività per il 2016, soluzioni idonee, anche se transitorie, e rispettose delle prescrizioni", compresa anche "la ristrutturazione di locali al piano superiore che risulterebbero, a detta dei tecnici, più adatti all’attività teatrale". Ad annunciare questa svolta nella vicenda è Desi Bruno, Garante regionale delle persone private della libertà personale, che già nel luglio 2015, dopo una visita all’Istituto, si era confrontata con la direzione del Pratello sulla dichiarazione di inidoneità dei locali da parte dei Vigili del fuoco. Oggi, spiega Bruno, "in attesa della messa in sicurezza dell’ex Chiesa per l’accesso del pubblico pagante, le attività di laboratorio teatrale sono state attivate e sono in corso. Al posto degli spettacoli aperti al pubblico sarà realizzata una video fiction, con gli studenti di istituti superiori e personalità della cultura e della magistratura bolognese- aggiunge la Garante-, il tutto finanziato con i contributi dell’amministrazione penitenziaria e di altri soggetti pubblici e non". Per la figura di garanzia dell’Assemblea legislativa regionale, "ben venga l’appello al sindaco di Bologna diffuso in rete per sollecitarlo a farsi garante di una ripresa degli spettacoli al pubblico, almeno per l’anno 2016", in ogni caso - avverte - "il Provveditorato delle opere pubbliche si è impegnato a proporre in tempi congrui con la programmazione delle attività per il 2016 soluzioni idonee, anche se transitorie, e rispettose delle prescrizioni, così come si è impegnato a revisionare i progetti in essere per la ristrutturazione di locali al piano superiore che risulterebbero, a detta dei tecnici, più adatti all’attività teatrale". Milano: presentazione del Primo trofeo di calcio a 11 delle carceri milanesi La Presse, 14 ottobre 2015 "Questo trofeo ha avuto una genesi particolare. Ci siamo chiesti: Perché non mettiamo insieme l’Olimpiade delle carceri? L’idea era bella, ma c’erano delle difficoltà oggettive, così abbiamo ripiegato su un trofeo del carcere. Questa cosa non era mai stata fatta, il nostro intento era di coinvolgere tutti i ragazzi delle carceri, ma farli uscire dal Beccaria è diventato difficoltoso, e anche da San Vittore. Hanno aderito anche gli agenti della polizia penitenziaria, e i carceri di Opera e Bollate porteranno fuori i detenuti". Così Roberto Baroni, dell’associazione "Dico no alla droga", alla presentazione del Primo trofeo di calcio a 11 dei carceri milanesi, promosso da sottocommissione carceri Comune di Milano e commissione sport e benessere del Comune di Milano. I partecipanti sono i detenuti della casa di reclusione di Bollate e di Opera, e gli agenti della casa di reclusione di Bollate, di Opera, gli agenti dell’Ipm Beccaria e gli agenti della casa circondariale San Vittore. Il torneo si svolgerà mercoledì 14 ottobre presso il centro sportivo Carraro di via dei Missaglia 146. "Alle ore 13 di domani ci sarà la coppa istituzioni con la rappresentanza del consiglio comunale e con Enrico Lupatini delle Acli che coordina le squadre del consiglio comunale. Ogni istituto dovrà fornire un paio di detenuti e di agenti penitenziari per dare vita a questa coppa istituzionale. Lupatini ha creato una manifestazione che travalica qualsiasi colore, senza nessuna connotazione politica - continua Baroni - Voglio ringraziare la commissione sport e benessere, che ha dato un grosso appoggio, c’è stata anche un’organizzazione tecnica da parte delle Acli davvero notevole, tutti hanno aderito in maniera totale. Siamo felici perché abbiamo avuto un’adesione da parte di tutti gli istituti di pena milanese. Arriveranno anche le divise dei nostri ragazzi, vi aspettiamo domani". Fabozzi: dobbiamo favorire il benessere personale dei detenuti "L’amministrazione ha due obiettivi: dobbiamo motivare il benessere personale dei detenuti, favorirlo al limite del possibile, e questa mi sembra una buona occasione, L’altro obiettivo è fornire ai detenuti l’opportunità per mettersi in gioco e uscire dalle mura penitenziarie. Lo sport, il calcio, il confrontarsi sul campo è una buona cosa per loro. Ho sposato questa proposta da subito, abbiamo rimosso qualche piccolo ostacolo che c’era". Così Aldo Fabozzi, provveditore dell’amministrazione penitenziaria, alla presentazione del Primo trofeo di calcio a 11 dei carceri milanesi, promosso da sottocommissione carceri Comune di Milano e commissione sport e benessere del Comune di Milano. I partecipanti sono i detenuti della casa di reclusione di Bollate e di Opera, e gli agenti della casa di reclusione di Bollate, di Opera, gli agenti dell’IPM Beccaria e gli agenti della casa circondariale San Vittore. Il torneo si svolgerà mercoledì 14 ottobre presso il centro sportivo Carraro di via dei Missaglia 146. Manzelli: vorrei che San Vittore fosse esempio per tutti "A giugno abbiamo già realizzato ‘l’open day dello sport’ e domani sarà un’altra giornata di sport realizzata nella città da parte dei detenuti e degli operatori, è un grande passo avanti nell’integrazione degli istituti penitenziari nel territorio milanese. Mai come oggi dobbiamo vincere e portare avanti questa sfida. Spero di poter essere di esempio per gli altri durante il gioco, che ci sia rispetto dell’avversario e delle regole del gioco. E di questo vado fiera, perché quando abbiamo organizzato altre partite c’è sempre stato il massimo rispetto per tutti, quindi spero saremo di buon esempio anche stavolta". Così Gloria Manzelli, direttore della casa circondariale San Vittore, alla presentazione del Primo trofeo di calcio a 11 dei carceri milanesi, promosso da sottocommissione carceri Comune di Milano e commissione sport e benessere del Comune di Milano. I partecipanti sono i detenuti della casa di reclusione di Bollate e di Opera, e gli agenti della casa di reclusione di Bollate, di Opera, gli agenti dell’IPM Beccaria e gli agenti della casa circondariale San Vittore. Il torneo si svolgerà mercoledì 14 ottobre presso il centro sportivo Carraro di via dei Missaglia 146. Siciliano: per carcere Opera importante integrarsi nel territorio "Per noi è molto importante esserci, il carcere di Opera sta cercando di integrarsi nel complesso territoriale e cittadino e credo che ci stia riuscendo. Quella di domani è una importante occasione in cui stiamo insieme agli altri e creiamo una rete che riguarda sia gli operatori che i detenuti. Il risultato è importante, abbiamo coinvolto tantissimi detenuti nei tornei più svariati, da noi lo sport è in sofferenza, ma sappiamo bene che sta diventando un’attività fondamentale e trainante. Ringraziamo il Comune per il suo grande apporto e la sua spinta, è una presenza a cui noi teniamo moltissimo". Così Giacinto Siciliano, direttore del carcere di Opera, alla presentazione del Primo trofeo di calcio a 11 dei carceri milanesi, promosso da sottocommissione carceri Comune di Milano e commissione sport e benessere del Comune di Milano. I partecipanti sono i detenuti della casa di reclusione di Bollate e di Opera, e gli agenti della casa di reclusione di Bollate, di Opera, gli agenti dell’IPM Beccaria e gli agenti della casa circondariale San Vittore. Il torneo si svolgerà mercoledì 14 ottobre presso il centro sportivo Carraro di via dei Missaglia 146. Immigrazione: la paura della gente non è una colpa di Aldo Cazzullo Corriere della Sera, 14 ottobre 2015 La paura forse non è la più nobile delle attitudini; ma non è una colpa. Non va alimentata e usata, come fa la Lega. Ma non va neppure negata e rimossa, come fa la sinistra e anche una parte del mondo cattolico. La paura si vince rimuovendone le cause. Oggi molti italiani hanno paura delle migrazioni non perché siano ostili alle persone dei migranti, ma perché vedono che l’emergenza è gestita male, e soprattutto non ne vedono la fine. L’impressione è che il governo e gli enti locali stentino a organizzare sia l’accoglienza, sia i rimpatri; e soprattutto non riescano a disegnare un orizzonte che dia ai cittadini quella sicurezza anche psicologica senza cui l’integrazione resta utopia. Il tentativo di coinvolgere l’Europa sta dando i primi risultati. Ma gli italiani sanno che le guerre civili nel Nordafrica e in Medio Oriente non sono affatto finite, che per stabilizzare l’area serviranno anni se non decenni; e non intravedono ancora né le regole né le azioni che consentano di salvare i profughi, sottraendoli ai trafficanti di uomini, e di selezionare all’origine i "migranti economici", distinguendo le figure professionali di cui l’Italia ha bisogno dalla massa che andrebbe fermata o rimandata indietro. I migranti non arrivano in un Paese prospero, coeso, sereno. Si affacciano in un’Italia che vive un vero e proprio dopoguerra. La crisi ha lacerato in modo devastante il tessuto industriale e sociale, soprattutto al Nord, soprattutto in provincia. Le reazioni emotive di fronte a migranti che non si sono ancora neppure visti, come nel paese rosso di Badia Prataglia sull’Appennino toscano, e gli scontri tra i parroci che li accolgono e i sindaci che li respingono, come a Bondeno, in riva al Po, non sono conseguenze del razzismo, ma dell’insicurezza. Che cresce proprio perché nella discussione pubblica non viene considerata, bensì liquidata con un’alzata di spalle o uno sguardo di commiserazione. Sui media tende a prevalere una visione irenica e spensierata dell’immigrazione, tipica di una élite per cui gli stranieri sono colf a basso costo e chef di ristoranti etnici; tanto i figli vanno alla scuola internazionale, e i nonni nella clinica privata. L’immigrazione può rivelarsi un sollievo per il sistema produttivo, ma comporta un prezzo, tutto a carico delle classi popolari, chiamate a combattere ogni giorno una guerra tra poveri per il posto all’asilo, il letto in ospedale, la lista d’attesa al pronto soccorso, e pure la casa e il lavoro. Certo, alle società esangui e anziane d’Europa servono le energie formidabili che salgono dalle sponde meridionali e orientali del Mediterraneo. Ma non è forse cinica la logica di rimpiazzare con i nuovi venuti i bambini che gli italiani non fanno più, anziché sostenere la maternità o almeno mettere in condizione le donne di scegliere liberamente? Anche sull’apporto dei migranti all’economia è nata una retorica, ridimensionata sul Financial Times da Martin Wolf, editorialista britannico orgogliosamente figlio di profughi: per coprire i buchi del welfare e della previdenza l’Europa dovrebbe accogliere in pochi anni decine di milioni di stranieri. Che non sbarcano nelle vaste praterie deserte d’America, ma in Paesi - come il nostro - montuosi e densamente antropizzati, cioè popolati da secoli non solo dall’uomo e dalle sue opere ma da memorie e culture, retti su equilibri precari da ricostruire ogni volta. Così diventano simboli anche l’altalena contesa nel giardino di Padova chiuso tra il campo profughi e l’asilo, o la rivolta di Gorizia in difesa del parco che custodisce i segni drammatici della sua storia, trasformato in bivacco. C’è da essere orgogliosi del modo in cui molti italiani stanno reagendo. Volontari laici e cattolici fanno un grande lavoro, spesso sopperendo alle lacune della pubblica amministrazione. E gli uomini in uniforme continuano a salvare vite, dovere giuridico e morale che in nessun caso può mai venire meno. Ma lo Stato, insieme con gli altri Paesi europei, deve fare molto altro: alleggerire il peso che grava sulle nostre frontiere, organizzando il viaggio dei profughi e il respingimento dei clandestini; e far funzionare la macchina dell’integrazione, legando i diritti ai doveri, che comprendono la conoscenza e il rispetto dei nostri valori, a cominciare dall’uguaglianza tra uomo e donna. Forse don Abbondio aveva torto: il coraggio uno se lo può dare. A patto di rispettare la paura ed eliminarne le ragioni. I Cie sono inutili e dannosi, chiudiamoli di Luigi Manconi e Valentina Brinis Il Manifesto, 14 ottobre 2015 I Centri di identificazione e di espulsione per stranieri irregolari (Cie) sono non-luoghi precipitati nello spazio ottusamente vuoto di un non-tempo. Forse le sedi più crudeli di privazione della libertà presenti nel nostro Paese: ed è proprio per questa ragione che intorno alla loro natura e alle loro finalità, alle norme che li regolamentano e alle iniquità che vi si consumano, si gioca una partita dura, molto dura, dall’esito incerto, condotta su molti piani. Uno di questi, tutt’altro che secondario, è quello giudiziario. E da qui proviene, finalmente una buona notizia. Qualche giorno fa, la Cassazione, con sentenza 18748/15, ha annullato il provvedimento di trattenimento nel Cie di Ponte Galeria, all’estrema periferia di Roma. Provvedimento a carico di un cittadino libico di etnia tuareg impugnato dall’avvocato Alessandro Ferrara, collaboratore dell’Associazione A Buon Diritto. Il periodo di permanenza all’interno di quel centro era stato più volte prorogato, nonostante la stessa autorità libica in Italia si fosse da subito opposta al rimpatrio, perché avrebbe esposto lo stesso trattenuto "a un grave rischio per la propria vita e incolumità". Quelle stesse autorità avevano constatato, inoltre, che l’impossibilità del rimpatrio costituiva "una situazione permanente" e non transitoria, che dunque faceva venir meno anche la necessità del trattenimento. Si tratta di una sentenza molto importante che conferma la totale inadeguatezza di una misura come l’ingresso nel Cie per persone che, sin dal principio, si rivelano inespellibili. Ne sono un esempio tutti coloro che vengono trattenuti più volte, anche sei o sette, senza che le autorità siano in grado di procedere al rimpatrio per mancanza di indicazioni attendibili sulla loro nazionalità. Basti pensare ai rom provenienti dalla Bosnia o dalla Serbia che non vengono riconosciuti come cittadini di quei paesi a causa di profondi cambiamenti geopolitici avvenuti nel corso degli anni 90. La condizione di irregolarità, difficile da sanare, li condanna a ripetuti trattenimenti che si concludono sempre in un nulla di fatto. Eppure basterebbe che anche solo una delle figure professionali con cui vengono in contatto - assistenti sociali, avvocati, giudici di pace, funzionari della Questura - fornisse loro qualche informazione su come accedere al riconoscimento dello status di apolide. Tuttavia, c’è da dire che, anche se quell’informazione fosse più accessibile, rimarrebbe faticoso completare la procedura, il cui esito si determina in sede giudiziaria più che amministrativa. Ma il caso dei rom è solo uno tra i molti possibili. In generale, il mancato riconoscimento da parte delle autorità consolari, non sempre coincide con il rilascio della persona trattenuta, come insegna la vicenda qui ricordata. E tutto ciò dimostra come, a proposito dei centri di identificazione e di espulsione, ci sia ancora molto da fare. Uno spiraglio si era aperto con la riduzione dei tempi di trattenimento da diciotto a tre mesi; con l’emanazione del regolamento nazionale; e, infine, con il recepimento della direttiva europea sull’accoglienza. Si è trattato di tre importanti occasioni che, però, non hanno migliorato le condizioni di vivibilità all’interno di quei luoghi. Addirittura si può dire che, con l’ultimo provvedimento, quelle condizioni sono destinate a peggiorarle. E ciò perché sono state introdotte specifiche indicazioni sulla reclusione di una particolare tipologia profughi, all’interno dei Cie per un periodo fino a dodici mesi. Insomma, appare sempre più evidente che il trattenimento venga utilizzato come strumento punitivo nei confronti di chi non abbia i documenti in regola; e che poco si faccia per promuovere misure alternative al trattenimento e altre forme di rimpatrio. I costi umani ed economici che la permanenza nei Cie comporta sono ormai troppo alti se confrontati con il numero di rimpatri effettivamente realizzati. Ancora oggi, appena il 50% dei trattenuti viene riportato nel paese di origine. Un mezzo fallimento proprio rispetto allo scopo per il quale quei luoghi orribili sono stati creati. Migranti: Frontex "710 mila persone arrivate in Europa nel 2015" Agenparl, 14 ottobre 2015 Il numero totale dei migranti che hanno attraversato le frontiere dell’Unione europea nei primi nove mesi di quest’anno è salito a più di 710 mila con le isole greche dell’Egeo che continuano a essere le più interessate dal fenomeno. Ciò a fronte dei 282 mila migranti registrati in totale l’anno scorso. Lo riporta l’agenzia europea Frontex che sottolinea come il numero di ingressi registrati nei paesi dell’Ue nel mese di settembre (170 mila) sia lievemente calato rispetto al mese precedente(190 mila). "Serve assistenza urgente, soprattutto per la Grecia e l’Italia, per contribuire a registrare e identificare i nuovi arrivati. All’inizio di questo mese, - dichiara il direttore esecutivo di Frontex Fabrice Leggeri - ho chiesto ai paesi dell’UE di fornire alla nostra agenzia delle guardie di frontiera aggiuntive che possano così aiutare questi due paesi ad affrontare questi flussi migratori senza precedenti. Spero che Frontex possa ricevere adeguati contributi che mostreranno così il vero spirito di solidarietà europea". Nuovi italiani, sì della Camera allo "ius soli" di Mariolina Iossa Corriere della Sera, 14 ottobre 2015 Per alcuni è un "cambiamento storico", per altri solo "un primo passo", per altri ancora una "svendita dell’identità nazionale". C’è chi esulta e regala un cicciobello nero a Salvini (il primo firmatario della prima proposta di legge, il socialista Marco Di Lello), e chi annuncia una raccolta di firme per un referendum abrogativo (Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia). Sta di fatto che ieri l’Aula di Montecitorio ha approvato il ddl sul cosiddetto "ius soli temperato", che introduce anche una fattispecie particolare, lo "ius culturae". Se il Senato approverà il testo così com’è stato licenziato dalla Camera, potrà diventare cittadino italiano chi è nato in Italia da genitori stranieri di cui almeno uno deve avere un permesso di soggiorno di lungo periodo. A farne richiesta, con una dichiarazione di volontà al Comune di residenza, dovrà essere uno dei genitori, entro la maggiore età del figlio, oppure il ragazzo stesso, non oltre due anni dopo aver compiuto i 18. Anche i figli di cittadini europei potranno usufruire della norma (nel primo testo non erano inclusi). I "grandi esclusi" sono invece gli adulti, come ammette la stessa relatrice del ddl Marilena Fabbri del Pd, che però aggiunge: "Quando si vedrà che la riforma non ha effetti devastanti saremo pronti a fare altri passi". La grande novità è quella dello "ius culturae": un minore nato o arrivato in Italia, entro i 12 anni può ottenere la cittadinanza se ha frequentato per almeno cinque anni un ciclo di studi. Se si tratta della scuola elementare deve conseguire la licenza. Le nuove norme si applicano anche ai 127 mila stranieri ad oggi in possesso dei requisiti ma che non abbiano superato i 20 anni quando la norma sarà legge. "La Camera ha abbattuto un muro - ha commentato la presidente Laura Boldrini -. Montecitorio fa cadere la barriera che per troppo tempo ha tenuto separati tanti giovani nuovi italiani dai loro compagni di scuola". Grande soddisfazione la esprime il ministro della Giustizia Andrea Orlando ("Il nostro Paese compie un importante passo in avanti verso il futuro"), una soddisfazione "moderata", invece, arriva dalla Caritas ("giudizio positivo ma si poteva fare di più"). Il segretario Uil, Guglielmo Loy, ha parlato di "cambiamento storico", il leader della Cisl Annamaria Furlan sottolinea la "conquista di civiltà", per la Cgil si è almeno fatto "un primo passo in avanti". Il fronte opposto attacca duramente. "Pd, Sel, Ncd e M5S hanno svenduto il Paese" (Massimiliano Fedriga, Lega Nord). "Una sanatoria truffaldina" (Fabio Rampelli, Fdi). "La sinistra di Renzi, con Ncd tappetino, svende cittadinanza e identità italiana" (Renato Brunetta, Forza Italia). Italiani se nati in Italia di Giovanni Galli Italia Oggi, 14 ottobre 2015 Acquista la cittadinanza per nascita chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, di cui almeno uno sia in possesso del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo. L’aula della camera ha approvato ieri con 310 voti a favore, 66 contrari e 83 astenuti il ddl cittadinanza. Al momento dell’approvazione ci sono stati applausi provenienti dai banchi del Pd e della maggioranza. La nuova legge passa ora all’esame del senato. Queste le principali novità. Acquista la cittadinanza per nascita chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, di cui almeno uno sia in possesso del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo. Per ottenere la cittadinanza c’è bisogno di una dichiarazione di volontà espressa da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, entro il compimento della maggiore età. Se il genitore non ha reso tale dichiarazione, l’interessato può fare richiesta di acquisto della cittadinanza entro due anni dal raggiungimento della maggiore età. Quanto allo ius soli previsto dalle norme attuali, relative allo straniero nato e residente in Italia legalmente senza interruzioni fino a 18 anni, il termine per la dichiarazione di acquisto della cittadinanza viene aumentato da uno a due anni dal raggiungimento della maggiore età. La nuova fattispecie di acquisto della cittadinanza per nascita non sarà applicabile ai cittadini europei, in quanto possono essere titolari di permesso Ue per soggiornanti di lungo periodo solo i cittadini di stati non appartenenti all’Unione europea. Tale permesso è rilasciato allo straniero cittadino di stati non appartenenti all’Unione europea in possesso da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità; reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale; disponibilità di alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge; superamento di un test di conoscenza della lingua italiana. Non hanno diritto al permesso gli stranieri che: soggiornano per motivi di studio o formazione professionale; soggiornano a titolo di protezione temporanea o per motivi umanitari; hanno chiesto la protezione internazionale e sono in attesa di una decisione definitiva circa tale richiesta; sono titolari di un permesso di soggiorno di breve durata; godono di uno status giuridico particolare previsto dalle convenzioni internazionali sulle relazioni diplomatiche. Può ottenere la cittadinanza il minore straniero, che sia nato in Italia o sia entrato nel nostro paese entro il compimento del dodicesimo anno di età, che abbia frequentato regolarmente, per almeno cinque anni nel territorio nazionale uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali idonei al conseguimento di una qualifica professionale. Nel caso in cui la frequenza riguardi il corso di istruzione primaria, è necessaria la conclusione positiva di tale corso. La richiesta va fatta dal genitore, cui è richiesta la residenza legale, oppure dall’interessato entro due anni dal raggiungimento della maggiore età. Le nuove norme si applicheranno anche ai 127 mila stranieri in possesso dei nuovi requisiti ma che abbiano superato, al momento di approvazione della legge, il limite di età dei 20 anni per farne richiesta. Il ministero dell’interno avrà sei mesi di tempo per rilasciare il nulla osta. Jus soli. Le associazioni "si poteva fare meglio, ma ora siamo cittadini" di Carlo Lania Il Manifesto, 14 ottobre 2015 Intervista a Mohamed Tailmoun (Rete G2). Attesa da oltre venti anni, la riforma della cittadinanza è stata approvata ieri da un’aula della Camera inizialmente deserta. Uno spettacolo desolante, che però non ha tolto ai tantissimi giovani figli di stranieri che vivono nel nostro paese la gioia di vedere diventare realtà una provvedimento che - seppure con tutti i suoi limiti - attendevano d troppo tempo. "Se posso riassumere il sentimento della maggioranza delle secondo generazioni che hanno seguito in diretta il dibattito commentandolo su Facebook direi che la sostanza è stata questa: aula deserta o piena purché approvino la riforma", spiega Mohamed Tailmoun, 44 anni di origine libica ma arrivato in Italia quando aveva 5 anni. Oggi lavora come mediatore culturale e fa parte della Rete G2 - seconde generazioni, associazione fondata nel 2005 da figli di immigrati e rifugiati nati o cresciuti in Italia. "Abbiamo aspettato così tanto, al di là dei venti anni della legge 1991/92 che era già vecchia quando è stata approvata. La sensazione della maggior parte delle seconde generazioni è che non se ne poteva più e che serviva una riforma al più presto". Il testo approvato la convince? "Insieme ad altre realtà e associazioni la Rete G2 fa parte della campagna "L’Italia sono anch’io" che ha proposto un testo diverso. Dopo di che bisogna fare buon viso a cattivo gioco e vedere che è stata approvata una riforma che prevede in qualche modo un certo automatismo, sia per i nati in Italia che per chi è arrivato da piccolo, e questo è positivo. Si avvicina di più alla nostra richiesta di cittadinanza come diritto soggettivo, limitando al massimo il potere della pubblica amministrazione di dire si o no. I difetti sono in alcuni dei criteri indicati: avremmo voluto che non ci fosse l’obbligo per uno dei due genitori di possedere la carta di soggiorno, che sappiamo tutti essere un documento difficile da ottenere ma soprattutto che introduce la discrezionalità della pubblica amministrazione che uscita dalla porta è rientrata dalla finestra: non ti do la carta di soggiorno, quindi nego a tuo figlio la possibilità di essere cittadino italiano. C’è poi il criterio del reddito, che limita fortemente e fa della cittadinanza una questione di ceto. Infine avremmo voluto che la questione della scuola non stesse tra i criteri di una legge sulla cittadinanza, anche se messa così non è certo la versione peggiore dello ius culturae. Ci sarebbero i margini per migliorare la legge, perché sicuramente così com’è è imperfetta, però tutto sommato incassiamo il fatto che è stata superata la legge 91/92 che produceva solo stranieri". C’è chi definisce le nuove norme un compromesso al ribasso, ad esempio perché non si affronta il problema della cittadinanza per gli adulti. "È vero. Diciamo che non è una riforma integrale della 91/92 perché la vecchia legge prevedeva anche una parte sugli adulti. Questa è una riforma con compromessi e come tale non accontenta tutti". Facciamo un po’ di numeri: quanti potrebbero essere i nuovi cittadini italiani? "Tra le seconde generazioni si fa sempre una cifra che oscilla tra gli 800 mila e un milione di ragazzi. Ma circa la metà dei cittadini stranieri non comunitari non possiede la carta di soggiorno, quindi la cifra si dimezzerebbe. Una mia idea, ma andrebbe confrontata con i dati del ministero dell’Interno, è che in realtà il numero degli stranieri con figli che potrebbero essere interessati dalla riforma è inferiore. Diciamo che potrebbero essere circa 500 mila". Quanto è importante questa legge per l’integrazione di una ragazzo? "Come Rete G2 quando siamo nati, ormai dieci anni fa, avevamo individuato come fondamentale la riforma della cittadinanza, perché essere o non essere cittadini in questo paese fa la differenza. Chi è cittadino è ascoltato quanto meno come elettore. Non essere cittadini italiani, invece, per i ragazzi immigrati ma anche per i nostri genitori ha significato essere sempre stati oggetto delle campagne elettorali. Su di noi si costruiscono e si disfano fortune politiche a destra come a sinistra. Avere una riforma come questa, per quanto non completamente soddisfacente, vuol dire che domani anche in Italia potremo dire ai politici: anche io voto, quindi quello che dici influenzerà una fetta del tuo elettorato. Ma soprattutto questa legge darà dignità a tantissimi giovani che si sentono italiani ma formalmente vengono trattati come stranieri o comunque come cittadini di serie B". La canapa tessile dà alla testa ai deputati di Leonardo Fiorentini Il Manifesto, 14 ottobre 2015 L’abolizione del bicameralismo fondata sulla necessità di approvare le leggi più velocemente senza un doppio esame desta qualche preoccupazione visti alcuni casi di attualità. Parliamo di quello che è successo alla Camera dei deputati in relazione al progetto di legge recante il titolo "Norme per il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della Canapa". Un titolo più che incoraggiante, ma la soddisfazione è durata lo spazio di un mattino. Infatti è bastato andare a leggersi l’articolato approvato dalla Commissione Agricoltura e inviato alle Commissioni competenti per i pareri dovuti, per scoprire una vera enormità. Infatti il testo all’articolo 9, primo comma, prevedeva la collocazione in tabella I (quella delle droghe cosiddette pesanti) della "canapa sativa, compresi i prodotti da essa ottenuti, proveniente da coltivazioni con una percentuale di tetraidrocannabinoli superiore all’1 per cento, i loro analoghi naturali". Una previsione sconcertante, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale del 2014 e del dibattito internazionale sulle droghe che è orientato verso ben altre direzioni. Questa norma davvero allucinante era peraltro presente nei numerosi progetti di legge, da cui nasce la discussione, presentati dagli onorevoli Lupo, Zaccagnini, Oliverio e Bianchi nel 2013, prima della sentenza della Corte, quando era vigente la tabella unica di tutte le sostanze stupefacenti prevista dalla Fini-Giovanardi. Ha però destato qualche sospetto in più di un osservatore il fatto che, nonostante il testo sia stato emendato in varie parti durante la trattazione in commissione, nessuno si sia accorto di tale errore che riportava l’orologio indietro, a prima della decisione della Corte Costituzionale che nel febbraio 2014 aveva decretato l’incostituzionalità della legge con il ritorno alla Iervolino-Vassalli che prevedeva tabelle diverse per le droghe pesanti e quelle leggere. È addirittura incredibile che neppure i funzionari della Camera si siano resi conto del pasticcio che stava prendendo corpo. Dopo l’estate il caso è divenuto di pubblico dominio quando in Commissione Affari Sociali la relatrice ha verificato l’incoerenza del nuovo testo unificato rispetto alle attuali previsioni del 309/90. Le reti antiproibizioniste si sono allertate e così Maria Stagnitta presidente di Forum Droghe ha denunciato "una controriforma sul piano penale fatta dalla Commissione Agricoltura in barba alla Commissione Giustizia e al ministro Orlando". Daniele Farina deputato di Sel preannunciava battaglia in Commissione Giustizia ed altrettanto faceva l’on. Ferraresi del Gruppo 5 stelle. A quel punto i deputati del PD della commissione Agricoltura Oliverio e Terrosi tentavano di ridimensionare il tutto assicurando una modifica "tecnica", da apportare in seguito all’esame delle altre commissioni. La scorsa settimana finalmente è arrivato il parere, non tecnicamente ma politicamente tranciante, della Commissione Giustizia che ha richiesto l’eliminazione del comma incriminato. Anche la Commissione Ambiente della Camera ha proposto modifiche, in particolare per evitare l’utilizzo come biomassa delle piante di canapa utilizzate per la bonifica dei siti inquinati. Quindi l’8 ottobre la commissione Agricoltura ha preso atto e modificato di conseguenza il testo. È auspicabile che l’Aula approvi le norme per sostenere una produzione storica dell’Italia eliminando sanzioni e controlli, certificando soltanto la provenienza del seme per garantire la buona fede del coltivatore. Anche questa vicenda surreale conferma l’urgenza di una modifica radicale della legge 309/90. Medio Oriente: Michel Warschawski "la violenza figlia delle politiche di Netanyahu" di Michele Giorgio Il Manifesto, 14 ottobre 2015 Intifada di Gerusalemme. Parla l’intellettuale e saggista Michel Warschawski (Mikado). "Le provocazioni continue del governo israeliano, la colonizzazione dei Territori occupati e la fine dell’illusione del processo di pace, sono le ragioni della nuova rivolta. La condizione più difficile è quella dei palestinesi di Gerusalemme". Per il primo ministro Netanyahu l’escalation di attacchi palestinesi è soltanto una nuova campagna terroristica lanciata per odio nei confronti degli ebrei e non avrebbe legami con le politiche di Israele nei Territori occupati e a Gerusalemme. A contestare questa tesi non sono soltanto i palestinesi - il segretario dell’Olp Saeb Erekat ieri ha addossato tutte le responsabilità alle "politiche israeliane di occupazione, delle colonie e di Apartheid" - ma anche alcuni intellettuali ebrei come il saggista Michel Warschawski, più noto in Israele come Mikado. Lo abbiamo intervistato ieri a Gerusalemme. Per molti leader politici israeliani, a cominciare dal primo ministro, questo conflitto non ha radici che scendono profonde negli anni passati. Come se fosse sorto appena qualche giorno fa. "Tante persone, anche all’estero, hanno la memoria corta. La violenza palestinese alla quale assistiamo da qualche giorno a questa parte non è fine a se stessa, immotivata, come cercano di far passare i leader israeliani. Piuttosto è il risultato di qualcosa di profondo. Perché è divampata adesso? Le ragioni sono soprattutto due. La prima è che è terminato il tempo che la popolazione palestinese aveva messo a disposizione del presidente dell’Anp Abu Mazen per negoziare e raggiungere un accordo con Israele. Credo che i palestinesi, incluso Abu Mazen, abbiano compreso che non c’è alcun partner israeliano che voglia negoziare sul serio e non solo portare avanti trattative senza futuro. Siamo alla fine dell’illusione del cosiddetto processo di pace. La seconda ragione è la lunga serie di gravi provocazioni compiute dal governo israeliano a danno dei palestinesi, a partire da quella avvenuta sulla Spianata delle moschee di al Aqsa, senza dimenticare la continua espansione delle colonie in Cisgiordania e a Gerusalemme. Se mettiamo insieme queste provocazioni con la fine dell’illusione del processo di pace, si ottiene la reazione vista in questi ultimi giorni, che è stata spontanea". Netanyahu ripete che il suo governo non modificherà lo status quo della Spianata delle moschee. I palestinesi e il mondo islamico non gli credono. "Le provocazioni compiute da organizzazioni e gruppi che, spesso appoggiati da ministri e deputati, cercano di imporre la sovranità israeliana ed ebraica sulla Spianata hanno contribuito ad innescare questa Intifada. Su questo non ci sono dubbi. Non dimentichiamo anche i continui raid della polizia in quel sito sacro per i musulmani di tutto il mondo, che hanno generato sdegno persino tra i palestinesi cristiani. Se queste provocazioni sulla Spianata delle Moschee non cesseranno, ogni scenario sarà possibile. Per questo motivo persino un leader arabo moderato come re Abdallah di Giordania è intervenuto con forza su Netanyahu per dirgli di mettere fine alle violazioni sulla Spianata che possono creare una valanga devastante". Dati diffusi nelle ultime ore dicono che l’80% degli attacchi avvenuti a Gerusalemme nelle ultime due settimane sono stati compiuti da palestinesi residenti nella città. Cos’è Gerusalemme oggi per un palestinese? "È la situazione peggiore in cui un palestinese che possa vivere dopo Hebron (città della Cisgiordania meridionale divisa in due, ndr). Se da un lato l’annessione unilaterale a Israele della zona araba della città (occupata militarmente nel 1967, ndr) ha dato alcuni benifici ai palestinesi che vi abitano, come l’assistenza sanitaria israeliana, dall’altro più di una generazione di palestinesi di Gerusalemme ha dovuto sopportare un’aggressione incessante nei loro quartieri, finalizzata a isolare le aree arabe e a circondarle di colonie israeliane. Con l’obiettivo di rendere Gerusalemme una città solo israeliana. I palestinesi (di Gerusalemme) sono al centro di questi piani e, allo stesso tempo, sono isolati dal resto della Cisgiordania a causa del Muro di divisione costruito da Israele tra la città santa e i Territori occupati". Il silenzio della sinistra israeliana è assordante. "Se parliamo del Partito laburista e di Peace Now, possiamo affermare con assoluta certezza che non esistono più, sono svaniti nel nulla. Pensate, Yitzhak Herzog, leader di quel partito che si fa chiamare ancora laburista, è impegnato in una gara a destra con Netanyahu. Sostiene che il primo ministro sia incapace a "fermare il terrorismo e riportare la calma nel Paese". Quella che un tempo era nota come la sinistra moderata nei fatti non esiste più. Certo, c’è sempre la sinistra radicale ma riesce a mobilitare soltanto alcune centinaia delle migliaia di persone che un tempo si vedevano alle sue manifestazioni". Perché il mondo, soprattutto quello occidentale, non comprende e non appoggia più le aspirazioni dei palestinesi. "Esiste una differenza tra l’opinione pubblica internazionale e la cosiddetta comunità internazionale. La prima contesta le politiche del governo israeliano ed è largamente impegnata a favore di una soluzione per questa terra fondata sulla giustizia e i diritti. La comunità internazionale, composta da governi ed istituzioni ufficiali, è fortemente condizionata da Benyamin Netanyahu. Fa i conti con un premier e il suo governo che senza problemi fanno capire che non terranno conto dell’opinione degli stranieri e che continueranno certe politiche. Il mondo dovrebbe sfidare, mettere in discussione questo atteggiamento del governo Netanyahu, invece non lo fa e si accontenta di pensare che in fin dei conti Israele è una roccaforte di stabilità in una regione in crisi, dove agiscono movimenti estremisti come l’Isis. Netanyahu lo sa, punta la sua politica estera proprio sui timori degli occidentali e, anche grazie a questo, riesce a tenerli dalla sua parte". Pakistan: pena di morte, altre 9 impiccagioni, anche 4 fratelli Ansa, 14 ottobre 2015 Almeno nove detenuti che si trovavano nel braccio della morte per delitti comuni sono stati impiccati oggi in varie prigioni del Pakistan. Lo riferisce Dunya Tv. Fra quanti sono stati portati sul patibolo, si è appreso, si trovavano anche quattro fratelli reclusi nel carcere di Khurram. Le organizzazioni umanitarie pachistane continuano a criticare l’ondata di impiccagioni avvenuta in Pakistan da quando nel dicembre scorso il premier Nazaw Sharif ha revocato una moratoria sulla esecuzione delle condanne a morte che era in vigore dal 2008. La revoca è stata decisa dopo un cruento attacco da parte dei talebani del Tehrek-e-Taliban Pakistan (TTP) ad una scuola pubblica militare di Peshawar che ebbe un bilancio di quasi 150 persone, per lo più studenti. Da allora oltre 250 detenuti che vivevano nel braccio della morte sono stati impiccati. Di questi, però, solo dieci erano accusati di reati di terrorismo. Arabia Saudita: pena di morte, decapitato un detenuto accusato di omicidio Aki, 14 ottobre 2015 Un cittadino saudita, condannato alla pena di morte per aver ucciso un poliziotto, è stato decapitato ad Abha, nel sud dell’Arabia Saudita. Lo ha reso noto il ministero dell’Interno di Riad in un comunicato diffuso dall’agenzia di stampa ufficiale Spa. Sale così ad almeno 134 il numero delle condanne a morte eseguite nel regno da inizio anno. Traffico di droga, stupro, omicidio, apostasia e rapina a mano armata sono reati punibili con la pena di morte in Arabia Saudita. Arabia Saudita: inglese 74enne condannato a 350 frustate perché produceva vino Secolo d’Italia, 14 ottobre 2015 C’è voluto un anno perché il caso di un pensionato britannico rinchiuso in un carcere dell’Arabia saudita venisse rivelato. Karl Andree, 74 anni, rischia ora di subire anche una condanna a 350 frustate e solo per aver prodotto in casa e trasportato qualche bottiglia di vino, infrangendo così la rigida legge islamica in vigore nel Paese. A rivelare la sua odissea è stato il tabloid Sun, secondo il quale l’uomo, malato di cancro e asmatico, rischia di morire in galera. E morirebbe di certo nel caso in cui venisse eseguita davvero l’atroce fustigazione ordinata dai giudici. Andree, che vive da 25 anni nel regno della dinastia dei Saud - da sempre alleati di ferro di Gran Bretagna e Usa, a dispetto di tutte le denunce di violazioni dei diritti umani - era stato fermato nell’agosto 2014 dall’occhiuta polizia religiosa locale mentre viaggiava in automobile a Gedda. Ed è detenuto da allora. Adesso la sua famiglia ha lanciato attraverso i microfoni di Bbc e Sky News un appello accorato alle autorità britanniche, costringendole almeno ad annunciare una pubblica mobilitazione in favore di questo suddito semi-dimenticato. "Rischia di non sopravvivere - ha detto il figlio Simon - ha avuto un cancro e soffre di asma, ha bisogno di cure mediche". Il Foreign Office, dopo mesi di silenzio, ha risposto garantendo di aver ricevuto "rassicurazioni" da parte delle autorità saudite sul fatto che se non altro le 350 nerbate verranno risparmiate allo sventurato Andree. Mentre il premier David Cameron ha promesso via Twitter di scrivere una lettera al governo di Riad per chiedere la liberazione del prigioniero. Sommerso dalle critiche, il governo di Londra sembra inoltre intenzionato a esercitare questa volta pressioni più concrete. Per ora ha annunciato la rinuncia a un contratto da meno di 6 milioni di sterline nell’ambito di un progetto di cooperazione siglato paradossalmente proprio per assistere il famigerato sistema penitenziario del Paese mediorientale. Ma si tratta di una risposta poco più che simbolica tenuto conto del peso dei legami geopolitici, militari e soprattutto economici fra i due Paesi: inclusa la fornitura massiccia di armi britanniche all’Arabia Saudita. Legami che sono finiti ripetutamente sotto accusa da parte di media e ong, dato il curriculum di Riad in materia di diritti umani, diritti civili, condizione delle donne e rapporti con il radicalismo islamico in giro per il globo. Ma che Cameron ha difeso ancora di recente a spada tratta come strategici per la sicurezza nazionale del Regno Unito. Svizzera: a Champ-Dollon condizioni di detenzione contrarie alla dignità umana Corriere del Ticino, 14 ottobre 2015 Nuova condanna del Tribunale Federale per il carcere ginevrino: condizioni di detenzione contrarie alla dignità umana. Il Tribunale Federale (TF) condanna nuovamente in una sentenza pubblicata oggi le condizioni di detenzione del carcere ginevrino di Champ-Dollon (GE), ritenute contrarie alla dignità umana. La Corte suprema ha accettato il ricorso di due detenuti che chiedevano alla giustizia cantonale di riconoscere il carattere illecito della loro incarcerazione. Uno dei prigionieri aveva trascorso 328 giorni in una cella di 10 m2 con altri due detenuti, mentre il secondo era stato incarcerato nelle medesime condizioni per ben 507 giorni. In una sentenza del 2014 riguardante anch’essa Champ-Dollon, i giudici federali avevano ritenuto simili condizioni illecite se eccedono la durata di tre mesi consecutivi. Nei riguardi del primo detenuto la Corte di giustizia di Ginevra aveva sostenuto che, rifiutando di iscriversi per ottenere un posto di lavoro, egli aveva rinunciato volontariamente a migliorare le proprie condizioni di carcerazione. Per il TF, invece, la possibilità di lasciare la cella per lavorare non basta per adeguare le condizioni di detenzione alla Convenzione europea dei diritti umani. I giudici hanno concesso ad entrambi i detenuti un indennizzo di 3000 franchi per gli onorari dei loro avvocati. Il sovrappopolamento di Champ-Dollon dovrebbe essere alleviato in futuro con l’inaugurazione, la scorsa settimana, dell’ampliamento dell’unità La Brenaz. Da novembre saranno messi a disposizione 100 posti supplementari.