Giustizia: maggioranza divisa sui due fronti della Corruzione e del Falso il bilancio di Virginia Piccolillo Corriere della Sera, 5 marzo 2015 Via libera in commissione alla Camera alla prescrizione lunga per i corrotti. E un altro slittamento, ma tempi certi, per la legge anticorruzione al Senato. È stata una giornata di fuoco quella di ieri per il pacchetto di misure contro la corruzione e il falso in bilancio. Segnata dalle proteste di Ncd e Udc contro i tempi di prescrizione per i reati di corruzione, ritenuti troppo lunghi. Da quelle opposte dei Cinquestelle perché restano fuori altri reati, inclusa la concussione. E dalla levata di scudi di Forza Italia al Senato perché un voto della commissione Giustizia, di fatto, ha reso inutile l'ostruzionismo contro il ddl anticorruzione: comunque vada sarà in aula il 17. Mentre l'emendamento sul falso in bilancio è stato atteso invano a Palazzo Madama. Il governo cerca di superare i dubbi di Confindustria con un'ulteriore novità che renderebbe non punibili le piccole società per tenuità del fatto. Ma cosa prevede la norma della discordia? Il countdown della prescrizione si sospenderà per tutti i reati di due anni dopo la prima condanna, e di uno dopo la seconda. In più, per la corruzione i tempi a disposizione della giustizia saranno uguali alla pena massima, più la metà, più un quarto. Per reati di grave allarme sociale, come i maltrattamenti in famiglia o l'incendio doloso e l'omicidio stradale, sono già aumentati del doppio. Ma l'Ncd protesta perché l'aumento della pena per la corruzione è stato appena approvata in Senato. Nel testo si prevedono altri stop al conteggio: in caso di rogatoria, di autorizzazione a procedere, presentazione di perizie o di istanza di ricusazione. Per i casi in cui è coinvolto un minore il calcolo parte solo dopo il compimento del 14 anno d'età. Una norma transitoria esclude dalla normativa i processi in corso. Cosa che fa gridare al "favore al Cav" l'M5S che avrebbe voluto un raddoppio dei termini per tutti i reati dei colletti bianchi. Previsto per oggi, dopo un ulteriore slittamento arriverà il 17 in aula. Se, come sembra, la commissione non avrà terminato l'esame del testo emendato, la discussione, senza relatore, ripartirà dai testi originari. Verosimilmente proprio da quello del presidente Piero Grasso. Il punto rovente è la possibilità di intercettare. Sull'emendamento del governo, ancora fermo a Palazzo Chigi non è prevista per i casi di tenue gravità. Difficili da stabilire a priori. Nel ddl Grasso invece, sebbene siano previsti casi in cui la pena è fino a 5 anni, si può intercettare sempre. Il testo del governo nei casi di aziende piccole e fatti di lieve entità lascia al giudice la possibilità di valutare la non punibilità. Una discrezionalità troppo ampia per Confindustria che chiede di far valere un nuovo istituto per le micro società non fallibili, la non punibilità per tenuità del fatto. Ancora manca il via libera del decreto legislativo in Consiglio dei ministri. Il presidente dell'Anticorruzione, Raffaele Cantone, dichiara auspicabile "un raddoppio dei tempi di prescrizione per i reati di corruzione". Ma l'Ncd protesta e il ministro Andrea Orlando frena: "Discuteremo. Ma va salvaguardata una specificità dei termini di prescrizione per i reati di corruzione". "L'allungamento indiscriminato dei termini, allunga i processi. Ci saranno modifiche" ha rincarato il viceministro Ncd Enrico Costa. Mentre la pd, Donatella Ferranti, esultava: "È un segnale forte di governo e Parlamento". Giustizia: "basta rinvii, la legge è una priorità", la spinta di Grasso sulla corruzione di Monica Guerzoni Corriere della Sera, 5 marzo 2015 "Basta rinvii, colpire la corruzione è priorità assoluta per il nostro Paese". Pietro Grasso non si arrende e si appella al "senso di responsabilità" dei partiti. Lo stop and go sul disegno di legge che più gli sta a cuore è diventato intollerabile, per il presidente del Senato. I frenatori rischiano di prendere il sopravvento e la seconda carica dello Stato vuole scongiurare altri ritardi. Slittamento dopo slittamento, sono quasi due anni che l'Italia (e l'Europa) aspettano le nuove regole contro la piaga della corruzione, che frena la crescita e allontana gli investitori. Per Grasso il pacchetto che comprende, tra l'altro, falso in bilancio, riciclaggio e concussione è "la riforma più importante", più urgente ancora della riscrittura della Costituzione: "Il mio disegno di legge? Purtroppo lo aspetto da due anni… Un intervento strutturale che ridefinisce le politiche di prevenzione e contrasto della corruzione non è più procrastinabile". Grasso lo ha detto giorni fa a un convegno davanti a trecento avvocati e lo ha ripetuto ieri ai suoi interlocutori, irritato per un'altra giornata di ostruzionismo e scontro in commissione Giustizia. Contro la corruzione, incalza la seconda carica dello Stato, non si può perdere altro tempo. Il problema è che in commissione le posizioni si sono radicalizzate, da una parte l'ala più "giustizialista" del Pd, che spinge per l'inasprimento delle pene. Dall'altro Forza Italia e Ncd, che - accusano i democratici - fanno asse per rallentare l'iter delle norme. La giornata di ieri conferma il braccio di ferro. L'Aula ha respinto la richiesta delle opposizioni di anticipare l'esame del ddl, che è slittato al 17 marzo. Forza Italia, che non rinuncia a fare ostruzionismo, aveva chiesto che l'esame in aula iniziasse solo "ove concluso in Commissione", ma il governo ci ha visto l'ennesimo tentativo di mettere i bastoni tra le ruote del provvedimento e la capigruppo ha detto no. "Prima si arriva in Aula e meglio è" ha commentato il ministro Andrea Orlando. Come ha ricordato il presidente azzurro Nitto Palma, "finora sono stati votati poco più di 12 subemendamenti e gli emendamenti da votare sono ancora circa 250". Lungaggini di cui nessuno si assume la responsabilità. "Non siamo noi che freniamo - spazza via le ombre dall'Ncd Nunzia De Girolamo. Le norme contro la corruzione vogliamo approvarle, tanto che ci siamo appena riuniti". Ma le accuse e i sospetti incrociati dividono la maggioranza e non risparmiano il governo. La sinistra del Pd è furibonda per la "sparizione" dell'emendamento sul falso in bilancio, arrivato ai giornalisti prima che agli addetti ai lavori e fermo nelle stanze del ministro Boschi. "Vorrei che il governo lo tirasse fuori e ci dicesse qual è la linea" incalza Felice Casson. Il vicepresidente del gruppo Pd, Giorgio Tonini, invita tutti a mantenere la calma: "Non c'è nessun problema all'interno della maggioranza e del governo. Con il nuovo calendario la commissione ha tutto il tempo di approfondire i nodi". Purché non si arrivi alle calende greche, spera Grasso. Giustizia: 18 anni durata massima dei processi per Corruzione. Ncd: non votiamo la legge di Errico Novi Il Garantista, 5 marzo 2015 Era prevedibile. La "mina prescrizione" era rimasta inesplosa solo perché a un certo punto si era deciso di non passarci sopra. Ma come tutti i nodi, anche quello della durata dei processi viene al pettine. Col risultato di spaccare in modo clamoroso la maggioranza: da una parte il Pd (e Scelta civica), dall'altra il Nuovo centrodestra, che in commissione Giustizia alla Camera si trova alleato con Forza Italia. Motivo? La proposta dei due relatori del ddl, Stefano Dambruoso e Sofia Amoddio, che ridefinisce la "data di scadenza" dei processi ed è stata approvata dal governo. I due deputati concordano sull'inserimento dei reati di corruzione tra quelli per i quali si prevede di raddoppiare il tempo da aggiungere alla durata base. In pratica si interviene sull'articolo 161 del codice penale, che prevede appunto di poter aggiungere al massimo della pena edittale un ulteriore lasso di tempo, in cui far rientrare le interruzioni del processo. Nella maggior parte dei casi questa appendice si calcola in un quarto del massimo edittale, solo per i reati più gravi si passa da un quarto alla metà. Con la proposta di Dambruoso e Amoddio il raddoppio si applica anche ai reati di corruzione. "E su questo, cari signori, è rottura nella maggioranza", dice chiaro il capogruppo di Ncd-Area popolare nella commissione Giustizia di Montecitorio, Alessandro Pagano. "Non voteremo la riforma così come ci è stata proposta. È assurdo che si arrivi a una prescrizione di quasi 30 anni". Nel caso della corruzione propria non saranno 30 anni, ma 18 sì. E questo appunto per il combinato disposto tra le norme sulla prescrizione in discussione alla Camera e quelle sulla criminalità economica (il ddl anticorruzione firmato da Grasso) all'esame del Senato. A Palazzo Madama proprio il governo ha concordato in commissione Giustizia l'innalzamento delle pene previste per la corruzione propria. Il minimo passa da 4 a 6, il massimo da 8, appunto, a 10. Al massimo edittale andrebbe aggiunto il supplemento, e siamo a 15. E poi, guarnizione finale, c'è l'eventuale sospensione di due anni in caso di condanna in primo grado e di un anno dopo la condanna in appello. Ecco che in effetti un processo per corruzione arriverebbe a durare 18 anni. Il ministro Maria Elena Boschi cerca di mediare. Il responsabile della Giustizia Andrea Orlando ferma i motori dell'anticorruzione in Senato, in modo da dare il tempo ai deputati di mettersi d'accordo. Ma non sarà facile. Anche perché l'aumento delle pene per la corruzione propria determina già in sé sproporzioni con altre fattispecie penali anche più gravi, come la concussione e la corruzione in atti giudiziari. La commissione Giustizia di Palazzo Madama rallenta, dunque: non trasmetterà il testo in aula prima del 17-19 marzo. Nel frattempo il ministro della Giustizia depositerà anche gli emendamenti che aggravano le pene per il falso in bilancio. Un groviglio. Che fa passare in secondo piano il pur significativo via libera dell'aula del Senato al ddl sui reati ambientali: 165 sì, 49 no, 18 astenuti, con Sel e Cinque Stelle che si sono uniti alla maggioranza. "Mai più un caso Eternit", ha commentato Orlando. Prevista la possibilità di estinguere il reato se chi ha provocato il danno collabora a ripristinare lo stato dei luoghi. Le pene vanno da 5 a 15 anni e colpiscono anche chi provoca "l'offesa all'incolumità pubblica in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi per il numero delle persone offese o esposte a pericolo". Adesso tocca alla Camera. Giustizia: Ferranti (Pd) "troppi 254 giorni dal primo annuncio? ma noi lavoriamo sodo" di Liana Milella La Repubblica, 5 marzo 2015 La prescrizione? "Una riforma che i cittadini aspettano da 10 anni". Il falso in bilancio? "Deve tornare a essere un vero reato per garantire gli imprenditori onesti". Appena finita la commissione Giustizia della Camera parla così la presidente Pd Donatella Ferranti. Dal primo annuncio di Renzi sull'anti-corruzione sono passati 254 giorni. Troppi. "Non siamo rimasti con le mani in mano. Stiamo lavorando sugli eco-reati, sulla prescrizione, sul falso in bilancio, sulle misure anti-corruzione e sulla riforma del processo penale". Sì, ma i tempi sono biblici e le liti tra Pd e Ncd continue. "Con il bicameralismo perfetto, ovvio che i tempi si allungano. Quanto a Ncd è fisiologico che su temi così delicati ci sia un confronto serrato anche perché spesso si parte da posizioni distanti e bisogna trovare un punto di incontro". Incontro? Sulla prescrizione Ncd promette battaglia. Non rischia di saltare tutto? "Non credo, e sarebbe irragionevole. Questo governo ha dato prova di voler portare a casa le riforme anche su temi che sembravano intoccabili, quindi non ci si può impaurire di fronte al superamento dell'ex Cirielli". Già, la famosa legge di Berlusconi. Ritiene di averle dato un colpo mortale? "Sicuramente è un netto superamento". Che farà Forza Italia, i fuochi d'artificio? "Per ora in Commissione ha solo votato contro. Nessuna delle opposizioni ha fatto barricate". M5S parla di "nuova legge vergogna". "La solita demagogia distruttiva. Il testo è equilibrato e garantisce imputati e vittime". Falso in bilancio, il balletto continua. Lei è stata pm, come giudica l'impossibilità di fare intercettazioni? "Per le società non quotate non è essenziale poterle fare...". Non teme, dicendolo, di essere attaccata? "No, perché quando il reato si inserisce in un quadro più ampio di criminalità economica l'intercettazione è possibile ma per i reati connessi. L'essenziale è che non ci siano mai più le soglie di non punibilità messe da Berlusconi". Giustizia: "sì" del Senato, fino a 15 anni di carcere per i disastri ambientali di Alessandra Arachi Corriere della Sera, 5 marzo 2015 Quattro nuovi reati, ora il testo torna alla Camera. Il plauso di Grasso e dei ministri : approvarlo subito. La Camera l'aveva approvata esattamente un anno fa. E finalmente ieri anche il Senato ha detto sì alla legge che fa diventare penali i reati ambientali, fino ad oggi puniti soltanto con semplici contravvenzioni. I voti favorevoli sono stati 165, contrari i 49 voti di Forza Italia e astenuti i 18 della Lega. Una vera rivoluzione normativa. Sono stati introdotti quattro nuovi reati penali: il delitto di inquinamento ambientale e quello di disastro ambientale, il delitto di traffico e abbandono di materiale di alta radioattività e il delitto di impedimento di controllo. Con pene severe: fino a 15 anni di carcere per il disastro ambientale, ma anche tre anni per chi impedisce i controlli sull'ambiente. La rivoluzione non è ancora finita: la legge dovrà tornare alla Camera, dopo le modifiche apportate al Senato. Ma ieri gli appelli ad una approvazione immediata sono stati tantissimi, a partire dal presidente Senato Piero Grasso, al ministro della Giustizia Andrea Orlando, a quello dell'Ambiente Gian Luca Galletti, ai presidenti delle commissioni di Montecitorio preposte all'esame del disegno di legge. C'è stato anche l'accorato appello di Legambiente e di Libera, due associazioni che questa legge hanno contribuito a far nascere (è stata poi presentata da Ermete Realacci del Pd, Salvatore Micillo del Movimento Cinque Stelle e Serena Pellegrino di Sel). Dice Stefano Ciafani, di Legambiente: "Bisogna capire che questa legge, attesa da vent'anni, non è contro le aziende. Anzi. È a favore dell'economia sana del Paese". Fino ad oggi i reati ambientali erano punibili soltanto con semplici multe e in casi famosi, come quello dell'amianto dell'Eternit, i magistrati non avevano nemmeno un reato da perseguire e si sono agganciati ad un articolo che punisce il "disastro innominato". "Fino ad oggi è successo come negli anni Trenta per condannare Al Capone: l'Fbi si è dovuta aggrappare all'evasione fiscale", commenta con un paragone Stefano Ciafani che da oggi insieme ad altre 24 associazioni darà battaglia per la rapidissima approvazione del testo a Montecitorio. Una richiesta arrivata anche dal ministro Orlando che ha ricordato che "con questa legge il processo Eternit non sarebbe mai stato prescritto" e dal ministro Galletti: "Siamo all'ultimo miglio, la Camera faccia presto: queste sono norme fondamentali per stroncare i business criminali sul territorio". Legambiente ha creato un dossier di venti casi esemplari di danni ambientali rimasti impuniti per l'assenza di norme. E oltre al caso Eternit c'è anche il caso della discarica abruzzese di Bussi (la discarica di rifiuti chimici più grande d'Europa) e l'azienda tessile di Marlane (Cosenza) o il petrolchimico di porto Marghera. Ma anche lo sfregio del golfo dei Poeti, in Liguria: per la discarica di Pitelli Legambiente aveva presentato una denuncia ben trent'anni fa. Inutilmente. Giustizia: la Corte costituzionale apre sull'archiviazione per "tenuità" del fatto di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 5 marzo 2015 La Corte costituzionale "apre" sull'archiviazione per tenuità del fatto. Mentre il Governo si appresta ad approvare definitivamente il decreto legislativo con la nuova possibilità di archiviazione in caso di non abitualità della condotta e di sua limitata portata offensiva, la Consulta, con la sentenza n. 25, depositata l'altro ieri, ha da una parte respinto perché inammissibile la questione sollevata dal giudice unico di Brindisi sull'estensione ai reati di competenza del tribunale della causa di non procedibilità prevista per gli illeciti di competenza del giudice dipace, ma, nello stesso tempo, ha anche spiegato, in un passaggio della pronuncia, che il legislatore è libero di procedere diversamente. Il giudice unico di Brindisi avrebbe voluto dalla Corte un giudizio additivo, ammettendo l'estensione ai procedimenti penali di competenza del tribunale la formula di esclusione della procedibilità per la "particolare tenuità del fatto", prevista dall'articolo 34 del decreto legislativo n. 274 del 2000, che detta disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace. Per il giudice non si sarebbe dovuto procedere a fronte di un furto di modestissima rilevanza avvenuto in un supermercato. Tuttavia l'ordinanza di rimessione non è stata, nella valutazione della Corte costituzionale, in grado di chiarire elementi chiave come l'occasionalità del fatto, il grado di colpevolezza dell'imputato e il pregiudizio che il proseguimento del procedimento gli avrebbe provocato. Ragioni che non rendono chiara la rilevanza della questione nel caso specifico e che portano la Consulta a giudicare inammissibile la questione. Non prima però di avere svolto alcune considerazioni che, nella fase data, assumono rilevanza. Scrive infatti il giudice relatore Giorgio Lattanzi che "certo, il legislatore ben può introdurre una causa di proscioglimento per la "particolare tenuità del fatto" strutturata diversamente e senza richiedere tutte le condizioni previste dall'articolo 34 del dlgs n. 274 del 2000, ed è quello che ha fatto con la legge 28 aprile 2014, n. 67. Con l'articolo 1, comma 1, lettera m), di tale legge, infatti, il legislatore ha conferito al Governo una delega per "escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento". Si tratta di una disposizione, però, assai diversa da quella dell'articolo 34, perché configura la particolare tenuità dell'offesa come una causa di non punibilità, con una formulazione che, tra l'altro, non fa riferimento al grado della colpevolezza, all'occasionalità del fatto (sostituita dalla "non abitualità del comportamento"), alla volontà della persona offesa e alle varie esigenze dell'imputato. Delega comunque poi sul punto attuata dal Governo che lo scorso 1 dicembre ha approvato in prima lettura un decreto legislativo che introduce nel Codice penale un nuovo articolo (il 131 bis) con questa nuova causa di archiviazione. Giustizia: Avonto (Fiopsd); legge contro l'accattonaggio? Il governo è lontano dalla realtà Redattore Sociale, 5 marzo 2015 Il commento di Cristina Avonto (Fiopsd) all'ipotesi avanzata dal ministro Alfano che domani incontra l'Anci: "Intento demagogico, da tempo i comuni non pensano più che la povertà estrema sia un problema di decoro urbano". Appello a Fassino: "Spieghi al governo quale è la strada giusta". "Da tempo non vediamo più, se non in rarissimi casi, dei territori e degli amministratori locali che pensano che il problema dei senza dimora e della povertà estrema vada affrontato come un problema di decoro urbano: questo è un approccio demagogico molto lontano dalla realtà e speriamo che il presidente dell'Anci Fassino riesca a farlo capire al ministro dell'Interno e al governo". A bocciare senza mezzi termini l'intenzione del governo di pensare ad una legge contro il degrado urbano con misure severe contro l'accattonaggio e la carità molesta è Cristina Avonto, presidente della Fiopsd, la federazione italiana organismi per le persone senza dimora (che rappresenta oltre 500 servizi a loro dedicati in tutta Italia). Una reazione, la sua, alle parole con il cui ministro dell'Interno Angelino Alfano, annunciando un suo prossimo incontro (fissato per domani) con il presidente dell'Anci Piero Fassino, ha parlato della necessità di "fare insieme una legge contro il degrado urbano e sulla sicurezza della città", nonché di "delimitare i poteri d'ordinanza dei sindaci e varare norme più severe contro comportamenti come l'accattonaggio e la carità molesta". Un incontro sul più generale tema della sicurezza, dunque, ma che riguarderà anche il decoro, il rispetto, la salvaguardia dei luoghi urbani. "La prima impressione - dice Avonto - è che questo non sia altro che il tentativo di spostare sul diverso e sul nemico la non soluzione di problemi un po' più complessi: laddove i cittadini vivono un senso di insicurezza, il tentativo è quello di arroccarsi nel castello, ma - come avviene ormai ciclicamente - questo è un uso demagogico e strumentale da parte dei politici. Non posso immaginare infatti che persone dotate di un minimo di intelligenza possano davvero pensare questo". "Il tema del decoro urbano - racconta - è stato più volte riproposto in riferimento ai senza dimora, e abbiamo visto nel corso del tempo sindaci di sinistra e di destra che, anziché affrontare in modo progettuale i temi della povertà e della mancanza di risorse e di prospettive, ne facevano un uso demagogico e strumentale". "Eppure - continua la presidente di Fiopsd - sono sempre meno oggi i sindaci o gli assessori che pensano di risolvere la questione ordinando alle aziende municipali dei rifiuti di sgomberare i senza dimora e i loro cartoni: al contrario, invece, si avanzano strumenti che consentano alle persone di galleggiare laddove vi siano degli incidenti di percorso, con politiche promozionali che favoriscano l'uscita da questa situazione. Stiamo incontrando grande ascolto da parte delle regioni e dei comuni, e tanti ci chiedono di essere aiutati a capire quali politiche possono implementare per affrontare questo tema". "Ormai - spiega ancora - solo in rarissimi casi si affronta il tema della povertà come un problema di decoro urbano: gli amministratori nel quotidiano la pensano molto diversamente, sono pronti ad affrontare in tema in modo promozionale. Servono le case, i percorsi di reinserimento, la formazione anche culturale delle famiglie in difficoltà, un approccio più universalistico che affronti l'intera questione. Questa è la strada da intraprendere: ciò che grida vendetta è che esistano così tanti poveri senza che non ci siano gli strumenti per contrastare la povertà. La carità molesta, laddove esiste, è solo una conseguenza di questo". A Fassino dunque, secondo la Fiopsd, il compito di riportare sui giusti binari il governo (peraltro impegnato con il dicastero del Lavoro e Politiche sociali nella sperimentazione della nuova carta acquisti anche per persone senza dimora). "Fassino è il sindaco di una città, Torino, che oggi è fra le più virtuose in Italia rispetto all'accompagnamento per le persone in povertà, in povertà grave, con morosità incolpevoli e via dicendo: speriamo che nell'incontro con Alfano riesca a rappresentare la voce dei territori, sempre più lontani dalla demagogia e sempre più impegnati nell'azione concreta per contrastare le situazioni di povertà". Giustizia: Palma (Dap); gli Opg saranno chiusi il 31 marzo, non ci saranno altri rinvii Ansa, 5 marzo 2015 "Ci sono già stati un paio di rinvii per la chiusura degli Opg ed è chiaro che stavolta non ce ne saranno altri. Ogni Regione dovrà prendere in carico gli internati in varie forme. Le Regioni che non faranno questo percorso verranno commissariate". Lo ha detto vice capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) Mauro Palma, intervenendo oggi a margine di un convegno in Consiglio regionale sulla chiusura degli Opg. Per ovviare al commissariamento, ha spiegato, "c'è la possibilità di prevedere una struttura temporanea in attesa che le strutture definitive siano completate. Le Regioni vengono commissariate se questo percorso non viene attuato". Corleone: il 31 marzo data storica, come legge Basaglia Una fotografia degli internati dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino che il 31 marzo chiuderà definitivamente è stata presentata questa mattina nel corso del seminario "Opg addio per sempre" che si è tenuto in Consiglio regionale ed è stato organizzato dal Garante per i diritti dei detenuti della Toscana, Franco Corleone, in collaborazione con la Fondazione Giovanni Michelucci e l'Associazione di volontariato penitenziario Onlus di Firenze. "Dare un volto per raccontare una storia - ha detto Corleone. Questo seminario è un'occasione di confronto per parlare dell'Opg, del superamento della logica manicomiale, del destino di villa Ambrogiana e delle prospettive di vita degli internati che avranno bisogno di soluzioni terapeutiche. Un compito non facile - ha aggiunto il Garante - anche dal punto di vista culturale, dobbiamo rompere la paura e superare il quesito "dove li mettiamo?". Non si parla di bestie feroci, ma di esseri umani e per ciò bisogna trovare una soluzione intelligente". Il presidente della Toscana Enrico Rossi ha inviato un messaggio nel quale ribadisce "l'impegno della Regione a potenziare i servizi territoriali, aggiornare gli operatori, adeguare la dotazione del personale sanitario e i percorsi di dimissione dei pazienti residenti in Toscana e ad adeguare le strutture che accoglieranno i pazienti oggi internati". Il consigliere regionale dell'Ufficio di presidenza Gian Luca Lazzeri ha portato, invece, i saluti del presidente del Consiglio regionale, Alberto Monaci. "Il 31 marzo - ha detto Lazzeri - è una data che tanto abbiamo atteso. Basta con i rinvii, anche se non siamo proprio pronti. Spetta a noi il compito di individuare le strutture che accoglieranno gli internati". La ricerca ha analizzato i fascicoli delle presenze in istituto all'8 novembre 2014 e i nuovi ingressi fino al 31 dicembre 2014 con lo scopo di mettere in evidenza, oltre alle caratteristiche generali della popolazione detenuta, gli elementi della presa in carico da parte dei servizi sociali, i meccanismi di proroga delle misure di sicurezza, la durata della permanenza in Opg alla luce dei nuovi limiti di legge. La parte più consistente dei 124 internati (50 pari al 40 per cento) risulta sottoposta alla misura di sicurezza dell'Opg a seguito di sentenza di proscioglimento per infermità totale di mente. Un dato interessante riguarda gli internati in proroga: trenta persone (il 24 per cento) hanno avuto proroghe delle misure di sicurezza. In tutti i casi è stata dichiarata ancora presente la pericolosità sociale e spesso è stato rilevato un aggravamento del quadro clinico. "Un dato - ha commentato Franco Corleone - preoccupante soprattutto per la motivazione principale della proroga: l'assenza di un progetto di dimissione seguito dal fallimento della licenza finale di esperimento". "Questo - ha aggiunto il garante - deve farci riflettere. In entrambi i casi nel processo di cura e reinserimento dell'internato sono stati chiamati ad intervenire i servizi territoriali e le rems (residenze di esecuzione delle misure di sicurezza detentive) che con la chiusura degli Opg saranno protagoniste della riabilitazione e presa in carico degli internati". Corleone ha avanzato ipotesi su criticità e carenze come le problematiche nella formazione degli operatori oppure come la difficoltà di trasmissione di conoscenza alla società civile che - ha detto - "ha subito un'overdose di spirito di chiusura mentale, adesso difficile da superare". Riguardo alla fascia di età: il 25 per cento della popolazione internata ha dai 35 ai 39 anni, il 16 per cento dai 50 ai 59 anni e il 15 per cento dai 45 ai 49 ed è composta per il 77 per cento da italiani e per il rimanente 23 per cento da stranieri (con prevalenza marocchini e albanesi). Sono 52 gli internati provenienti dal bacino di utenza dell'Opg, dei quali 16 assegnati all'Asl di Firenze, 7 all'Asl di Pisa, 5 a quella di Prato e 5 a Lucca, 4 a Livorno, 3 all'Asl di Massa e 3 a quella di Viareggio, 2 per Asl a Siena, Pistoia, Arezzo e Grosseto, 1 ad Empoli. I reati commessi dagli internati residenti in Toscana sono per l'84 per cento reati contro la persona, di cui il 44 per cento omicidi e il 10 per cento contro il patrimonio. La maggior parte degli ospiti di Montelupo viene da istituti penitenziari (56 per cento), il 13 per cento dalla libertà e il 20 per cento accede per aggravamento della misura di sicurezza non detentiva della libertà vigilata. Un dato significativo riguarda il 31 per cento degli internati che è ancora in attesa di giudizio ed è presente in Opg in modo provvisorio. La direttrice della struttura di Montelupo Antonella Tuoni ha sottolineato l'importanza di mantenere ciò che di positivo rimane dall'esperienza dell'Opg, "il confronto multi-professionale con la lettura del dato giudiziale, dei dati socio familiari e di quello psichiatrico". Nel suo intervento Mauro Palma, vice capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ha ribadito "gli Opg saranno sostituiti dai servizi territoriali che prenderanno in carico gli internati e avranno l'obbligo di garantire loro il diritto alla salute". Palma ha ricordato che l'Italia è il paese europeo che spende più risorse per ogni detenuto, ma le "spende male". Rossi: servizi territoriali potenziati per accogliere i pazienti Il presidente della Regione Toscana conferma l'impegno della giunta per arrivare alla chiusura dell'ospedale di Montelupo entro il 31 marzo. Opg, il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi conferma "l'impegno della Regione a potenziare i servizi territoriali, aggiornare gli operatori, adeguare la dotazione del personale sanitario e i percorsi di dimissione dei pazienti residenti in Toscana e ad adeguare le strutture che accoglieranno i pazienti oggi internati". È il messaggio del governatore nel convegno di questa mattina in Consiglio regionale sugli ospedali psichiatrici giudiziari. Il garante regionale dei detenuti Franco Corleone ha detto: "Questo seminario è un'occasione di confronto per parlare dell'Opg, del superamento della logica manicomiale, del destino di villa Ambrogiana e delle prospettive di vita degli internati che avranno bisogno di soluzioni terapeutiche. Un compito non facile anche dal punto di vista culturale, dobbiamo rompere la paura e superare il quesito ‘dove li mettiamo?' Non si parla di bestie feroci, ma di esseri umani e per ciò bisogna trovare una soluzione intelligente". Gazzarri: no a soluzioni semplicistiche "A pochi giorni dalla chiusura dell'Opg trovo estremamente preoccupante che ancora non sia chiara la futura collocazione del detenuti. È inammissibile che il problema possa ritenersi risolto con lo spostamento di 12 di loro dalla struttura di Montelupo Fiorentino a quella di Volterra e per i restanti 18 non aver previsto ad oggi alcuna destinazione certa. Serve una soluzione univoca che non passi dalla soluzione semplicistica di dislocarli dove capita". Lo afferma il capogruppo di Popolo Toscano in Consiglio regionale Marta Gazzarri, sulla chiusura dell'Opg di Montelupo. "Dobbiamo poter creare un'unica residenza sanitaria nella nostra regione - aggiunge Gazzarri in una nota - sulla quale investire. Solo così verranno razionalizzati i costi valorizzando un'unica struttura di eccellenza per la Toscana". Per Gazzarri occorre "guardare ad una soluzione che punti ad assicurare un percorso di qualità per quei pazienti che devono intraprendere un lungo cammino di reinserimento nella comunità. Questa deve essere la priorità". Nascosti: improbabile chiusura Montelupo il 31 marzo Sulla chiusura dell'Opg di Montelupo fiorentino "mi pare difficile che le parole del presidente Rossi si traducano in realtà, proprio perché la Regione dall'ultimo proroga ad oggi, non ha compiuto alcun passo verso la soluzione dell'annosa questione della struttura dell'Ospedale psichiatrico giudiziario". Lo afferma il consigliere regionale Fi Nicola Nascosti. "Circa la paventata chiusura entro la fine del corrente mese - aggiunge in una nota - non sembra che sia stato raggiunto neppure un accordo operativo definitivo. In particolare, resta oscuro il come si intende procedere, considerato che i progetti d'inserimento dei pazienti di cui tanto si è parlato, non si sono in alcun caso concretizzati". Per nascosti "i soggetti ristretti presso l'Opg sono da considerarsi in prima istanza dei malati, anche gravi o comunque portatori di sospetti disturbi psichici. Il principio generale imposto dalla legge tuttora vigente è quello che devono essere trattati e custoditi all'interno di strutture sanitarie e non carcerarie, sia pure con le cautele relative a quello zoccolo duro di patologie che necessitano di particolari vigilanze e attenzione". "Nella situazione attuale - conclude - non esistono sul territorio toscano strutture in grado di poter ospitare questi pazienti cosi come prevede la legge. Ne consegue l'inderogabile necessità di procedere ad una ulteriore proroga auspicando che nelle more si arrivi finalmente ad una soluzione dignitosa per questi cittadini". Lazzeri: Villa Ambrogiana sia istituto attenuato "La sorte del dopo Opg di Montelupo viaggia ancora su un doppio binario: mentre la data di chiusura è ormai fissata per il 31 marzo ancora non si sa quale sarà la sistemazione per buona parte dei 48 pazienti toscani e delle oltre 80 guardie penitenziarie, che insieme ad altri 9 fra amministrativi e assistenti pedagogici, si trova nei reparti della struttura". Lo afferma il consigliere regionale di Più Toscana Gian Luca Lazzeri a margine del convegno "Opg addio, per sempre". "Sulla futura destinazione dell'immobile - aggiunge in una nota - la mia posizione non cambia: nella villa dell'Ambrogiana la Regione avrebbe potuto dirigere la partita per realizzare un carcere attenuato per i detenuti in attesa di giudizio che solo a Firenze superano quota 300: in pratica un terzo degli internati nel carcere di Sollicciano che ospita 1200 persone a fronte di una capienza di 1.000". Giustizia: Festa 8 Marzo, braccialetti "made in carcere" a sostegno vittime violenza Adnkronos, 5 marzo 2015 "Vediamo realizzare un sogno". Luciana Delle Donne, fondatrice della cooperativa no profit Officina Creativa, è entusiasta del progetto che ha coinvolto donne detenute in diversi penitenziari italiani nella realizzazione di 380mila braccialetti sartoriali "Made in Carcere", che è possibile acquistare nei negozi Conad in tutto il territorio nazionale in occasione della festa dell'8 marzo. Un'iniziativa solidale a sostegno delle donne che vogliono lasciarsi alle spalle un passato difficile. "È un progetto molto ambizioso perché il nostro desiderio è quello di far lavorare in Italia quante più carceri femminili possibili - spiega Delle Donne all'Adnkronos. È stata una bellissima esperienza perché si vede proprio quanto l'essere umano ha bisogno di lavorare e di ricostruire la propria dignità. Per me è una palestra di vita continua". Attraverso il marchio Sigillo, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria certifica la qualità e l'eticità dei braccialetti e di tutto ciò che è realizzato all'interno delle sezioni femminili di alcuni istituti penitenziari. Perché il braccialetto? "Oggi tutti al polso vogliono avere qualcosa di colorato. Possedere un braccialetto "Made in Carcere" significa scegliere di sostenere un approccio etico, sociale e ambientale importante. I tessuti infatti sono per la maggior parte recuperati - spiega Delle Donne - E poi i braccialetti sono bellissimi: fatti in lycra, colorati ed elastici, hanno mille usi. Possono essere indossati ma possono anche fermare il pacco della pasta o essere usati come fermacapelli". "Officina Creativa" collabora con diverse aziende italiane, come il consorzio Mare di Moda e in particolare Carvico spa., particolarmente sensibili alle tematiche sociali e ambientali, che offrono le rimanenze della propria produzione tessile. "A me piace dire: tu di che colore sei? - dice la fondatrice di "Officina Creativa". Ogni giorno ci si sente di un colore diverso e trasferire questa emozione cromatica secondo me è importante. Visto che siamo diventati poveri e abbiamo bisogno di arricchirci con le emozioni, allora ricordiamoci che il colore è un'emozione. Se io oggi mi sento fucsia, do un segnale di positività. I ragazzi sono molto attratti dai braccialetti e ne collezionano di tutti i colori". Il ricavato della vendita andrà alle donne detenute e all'associazione "D.i.re". Donne in rete contro la violenza. Ma non finisce qui. Luciana Delle Donne infatti anticipa che in programma c'è la realizzazione da parte delle detenute anche di 12mila tovagliette che verranno distribuite sempre dalla stessa catena di supermercati. Quanto all'imminenza dell'8 marzo, colpisce "la reazione sui social - conclude. Tutte dicono, infatti, ‘quest'anno non vogliamo mimose ma il braccialetto Made in Carcere". Giustizia: "Non potevamo arrestare Niki", lui però è morto in cella di Damiano Aliprandi Il Garantista, 5 marzo 2015 La procura di Firenze che condusse nel 2008 l'operazione premium da cui scaturì l'arresto di 17 persone - tra le quali Niki Aprile Gatti, morto nel carcere di Sollicciano in circostanze poco chiare - non aveva competenza sul caso. È quello che è emerso durante l'udienza preliminare della settimana scorsa celebrata dopo ben sette anni dagli arresti preventivi. Un caso clamoroso: i pm fiorentini che nel 2008 spedirono in custodia cautelare decine di indagati - tra i quali pezzi grossi come Piero Mancini, allora presidente dell'Arezzo e imprenditore di successo, e Giovanni Cappietti - non avevano competenza sul caso: spettava invece al la procura di Arezzo occuparsi della presunta associazione a delinquere finalizzata alle truffe telematiche con i numeri 899. Una vicenda inquietante, un tortuoso percorso giudiziario dalle tinte fosche se si pensa che nell'ambito di quella inchiesta muore Niki Aprile Gatti. Noi de Il Garantista abbiamo raggiunto Ornella Gemini - la madre del ragazzo che da anni lotta per avere verità e giustizia - e commenta la notizia con dolore: "Apprendo che i giudici fiorentini nemmeno dovevano aprire l'inchiesta per cui Niki era indagato, apprendo che eventualmente la procura doveva essere quella di Arezzo, apprendo che riparte tutto da lì e che tutto ciò che si è svolto è stato azzerato!". Ornella Gemini a questo punto continua con dolore e rabbia : "Azzerato? Hanno azzerato anche mio figlio portandolo a Firenze. Ma a questo punto mi domando se mio figlio a Sollicciano ci doveva stare, oppure non era il carcere di competenza? Hanno azzerato il riciclaggio di denaro sporco a favore di un'associazione mafiosa, azzerato tutto. Si riparte da zero. Come si azzerano i presunti contatti con la mafia?". La madre di Niki non si dà pace: "Da zero? E mio figlio che era in custodia "cautelare" come è stato cautelato dallo stato Italiano? Portandolo in un carcere duro e "lasciandogli" i lacci? Consegnandogli un telegramma che non avrebbero dovuto ricevere visto che era in isolamento? Affiancandogli un avvocato che nulla aveva a che fare con il nostro contesto? Mettendolo in cella da incensurato con due detenuti ad alta pericolosità? Non consentendogli di fatto i contatti con la famiglia? Cosa devo pensare. che se si fosse avvalso della facoltà di non rispondere oggi sarebbe vivo? Devo pensare che è stato tutto un errore e che tutto verrà archiviato o prescritto? E perché hanno svaligiato il suo appartamento dopo la morte, queste persone cosa cercavano?". Ornella continua: "Che azzerassero allora anche le archiviazioni per suicidio! Visto che mio figlio mai si sarebbe suicidato, devo pensare che non sono stati valutati a Firenze tutti gli elementi che avevano a disposizione?". E conclude: "Non ci ho creduto neppure per un attimo, così come non lo crede chi ha conosciuto Niki in vita e chi ha avuto modo di conoscere la sua vicenda attraverso il suo blog. Cosa devo pensare che ho perso un figlio che era la mia vita per errore? Sono pronta ad azzerare tutto, fatemi tornare a casa mio figlio, una casa in cui dal 24 giugno 2008 non si vive più!". La vicenda di Niki Aprile Gatti è piena di ombre. Muore all'età di 26 anni nel carcere di Sollicciano il 24 giugno del 2008, all'interno della cella numero 10, IV sezione. Era in carcerazione preventiva da appena quattro giorni. Ufficialmente si sarebbe suicidato con un laccio delle sue scarpe annodato alla grata della finestra del bagno. Ma per i familiari ci sono elementi e discordanze che fanno pensare a un suicidio simulato: il verbale del carcere attesta un sereno dialogo tra Niki e un agente alle ore 10 del 24 giugno, stessa ora e data in cui la perizia indica la morte di Niki; c'è il dubbio sul fatto che un laccio di scarpe possa sorreggere il peso di un uomo di 92 chilogrammi; ci sono testimonianze discordanti dei due compagni di cella; c'è la presenza illegittima dei lacci di scarpe nella cella con due detenuti autolesionisti e ad alta sorveglianza; l'autopsia in un primo momento parla di impiccagione con strisce di jeans, nonostante l'evidenza del segno sottilissimo sul collo e la restituzione dei medesimi pantaloni intatti. Niki Aprile Gatti viene arrestato il 19 giugno del 2008 a San Marino, insieme ad altre diciassette persone, con l'accusa di presunta frode informatica nell'ambito dell'inchiesta Premium: incriminate la Oscorp SpA (dove lavorava Niki), Orange, OT&T e Tms, tutte residenti a San Marino; la Fly Net di Piero Mancini, Presidente dell'Arezzo Calcio, più altre "società offshore" con sede a Londra. L'inchiesta Premium è stata avviata grazie alle denunce di migliaia di utenti di Firenze e Arezzo truffati a causa della tariffa maggiorata degli 899 o attraverso connessioni illegali a internet. Tale inchiesta si è andata a intrecciare ad altre indagini che approdano al filone perugino legato alle dichiarazioni del pluri-pentito - e molto spesso smentito per le sue dichiarazioni fasulle - Salvatore Menzo: mafia, broker che viaggiavano tra Londra e l'Italia, business di compagnie telefoniche, odore di riciclaggio di denaro sporco tramite società finanziarie, omicidi, conoscenze importanti come un esponente importante della Guardia di Finanza. Uno degli indagati dell'inchiesta Premium era stato intercettato mentre parlava con il mafioso Salvatore Menzo per aiutarlo a riciclare il denaro - si parla di 55 milioni di euro - tramite lo Stato di San Marino. Niki Aprile Gatti non viene trasferito al carcere di Rimini così come avviene per gli altri 17 arrestati, ma, solo fra tutti, presso quello di Sollicciano. Al termine dell'interrogatorio di garanzia, Niki è l'unico tra gli indagati a non avvalersi della facoltà di non rispondere. Si dichiara innocente e vuole uscire dal carcere al più presto. Nonostante ciò, gli viene confermata la custodia cautelare: poche ore più tardi, nella mattinata di martedì 24 giugno 2008, Niki viene trovato morto dai suoi compagni di stanza. La madre, Ornella Gemini, viene avvisata direttamente sul suo cellulare: rito inusuale e senza rispetto del protocollo. Niki, secondo i familiari e gli avvocati, è stato ucciso proprio perché, da innocente, forse poteva rivelare alcuni elementi che avrebbero potuto creare enormi problemi. Il Magistrato Lupi ha archiviato definitivamente la morte di Niki come suicidio. Ma senza chiarire le contraddizioni ben esposte dall'opposizione fatta dai familiari della vittima. La prima opposizione fatta dalla famiglia, tra l'altro, sparì misteriosamente nei meandri della Procura. Così come sparirono i computer nell'appartamento di Niki a San Marino e che non furono mai sequestrati dalla Procura di Firenze: ma Niki non era stato arrestato e rinchiuso preventivamente in galera proprio per reati informatici? Ad oggi, domande senza risposta e con un'altra inquietante notizia: la Procura di Firenze non era di competenza e il processo si è azzerato. La prescrizione è vicina. Lettere: il conto salato della mala-giustizia italiana di Valter Vecellio Notizie Radicali, 5 marzo 2015 Vale la pena, letterale, di sfogliare la relazione annuale presentata dalla Direzione Generale del ministero della Giustizia per il contenzioso e per i diritti umani si evince che "la materia dei ritardi della giustizia ordinaria costituisce la gran parte del contenzioso seguito. Per altro il numero e l'entità delle condanne rappresentano annualmente una voce importante del passivo del bilancio della Giustizia, voce la cui eliminazione dovrebbe porsi come prioritario obiettivo dell'amministrazione". In soldoni: irragionevole durata dei processi, più volte denunciata dal presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano; denuncia che Marco Pannella e i radicali hanno trasformato in vero e proprio programma politico. In soldoni, s'è detto, perché concretamente di soldi si tratta, anche: la relazione quantifica una cifra che, puntualmente, di anno in anno diventa sempre più ingente. Solo per i risarcimenti legati alla ragionevole durata dei processi, lo Stato italiano ha "un debito che a metà del 2014 ammontava ad oltre 400 milioni di euro". Una cifra a cui vanno ulteriormente aggiunti vari milioni di euro di risarcimento per altri danni causati dalla magistratura italiana ai cittadini, tra cui l'ingiusta detenzione o l'errore giudiziario. Oltre all'ammontare del debito dovuto dallo Stato per i processi lumaca, nel solo 2014 a questa cifra si sono aggiunti "mille ricorsi presentati alla Corte europea dei diritti dell'uomo per lamentare il pagamento ritardato degli indennizzi" già fissati per i cittadini che hanno subito un danno per l'eccessivo ritardo dei processi. Pur non quantificando gli eventuali risarcimenti dovuti né la loro conclusione, la relazione certifica che nel 2014 sono stati presentati 37 nuovi ricorsi per la responsabilità civile dei magistrati (ancora regolamentati dalla vecchia legge). Questi ricorsi vanno a sommarsi agli oltre tremila ricorsi presentati tra il 1989 e il 2012. Bisogna passare ad un'altra relazione di un'altra direzione generale, quella dei servizi del Tesoro che si occupa materialmente di liquidare i risarcimenti pecuniari, per comprendere quanto sia enorme la piaga degli errori giudiziari in Italia. Nel 2014 si è registrato per gli indennizzi di questi casi un vero e proprio record: dai 4mila euro del 2013 per 4 casi di errore agli 1,6 milioni di euro per i 17 nuovi errori giudiziari. Di questi indennizzi, in particolare, 1 milione è stato disposto come risarcimento per la vittima di un errore a Catania, mentre gli altri 600 mila euro sono andati a 12 persone di Brescia, due di Perugia, una di Milano, una di Catanzaro. Dal 1991, quando con la legge Vassalli sono stati erogati i primi risarcimenti, fino al 2012 lo Stato ha pagato 575 milioni 698 mila euro per i casi di malagiustizia. Nel solo 2014 sono state accolte 995 domande di risarcimento per 35,2 milioni di euro, con un incremento del 41,3 per cento dei pagamenti rispetto al 2013. Dal 1991 al 2012 lo Stato per questo motivo ha speso 580 milioni di euro per 23.226 cittadini ingiustamente sbattuti dietro le sbarre negli ultimi 15 anni. Lettere: io, in cella 22 anni da innocente, non sono fiducioso sulla responsabilità civile di Giuseppe Gulotta (arrestato nel 1976 per un duplice omicidio non commesso) Panorama, 5 marzo 2015 Sono 39 anni che lo Stato Italiano mi ha distrutto e cancellato, me e la mia famiglia, con un'accusa falsa e infamante. Non avevo fatto niente e mi hanno rinchiuso in galera per 22 anni, e nel frattempo mi hanno portato via mio figlio che non ho visto crescere: non l'ho potuto rincuorare nei momenti difficili della sua vita, non l'ho potuto accompagnare a scuola, sostenere mentre la gente lo additava come figlio di un assassino; ogni volta che lo guardo negli occhi piango un dolore immenso che non si può raccontare. Mi sembra tutto così grave, eppure a distanza di tre anni dalla mia assoluzione definitiva, altri anni persi, sono ancora una volta davanti ad altri giudici, affidato all'ennesima valutazione (questa volta devono decidere quanto vate la mia vita spezzata) e mi domando quando finirà il mio calvario, Nel mentre, ho letto della riforma della legge sulla responsabilità civile dei giudici, ferma però, mi par di capire, la responsabilità indiretta. In sostanza, paga lo Stato in caso di errore. Per il cittadino sarà impossibile rivalersi direttamente sul giudice ritenuto responsabile di un errore di giudizio anche gravissimo: dovrà sempre ricorrere allo Stato. Lo Stato poi in presenza di determinati presupposti potrà rivalersi col giudice stesso. Di buono c'è che, rispetto al passato, dicono che le possibilità di presentare ricorso per il cittadino siano più ampie. Chissà. Spero non mi biasimerete, però, se non sono fiducioso. Lettere: una legge contro il traffico di organi umani di Sergio Lo Giudice (Senatore Pd) www.huffingtonpost.it, 5 marzo 2015 Il disegno di legge che inasprisce le pene per il traffico di organi approvato oggi in Senato ci dota di uno strumento normativo in più per affrontare un problema che non possiamo più pensare che non ci riguardi. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità tra i 63.000 reni trapiantati ogni anno, quasi il 10% viene procurato in modo illegale nei paesi poveri. Da quando le nuove terapie anti rigetto hanno reso più facili i trapianti, soprattutto di reni, si è sviluppato, a partire dall'India, un mercato illegale di organi che sfrutta la miseria dei donatori. Da allora altri paesi con forti sacche di povertà, dal Sudafrica al Brasile, sono stati investiti da questo osceno fenomeno. Il caso della Cina è quello più inquietante. Dal 1984, la legge sull'espianto coatto di organi dai detenuti giustiziati - che dovrebbe avere cessato i suoi effetti con l'inizio del 2015 - ha tenuto elevatissimo il numero dei trapianti, più di 10.000 l'anno, con il fondato sospetto che la possibilità di rivenderne gli organi tenesse a sua volta più elevato il numero dei condannati a morte. Ma questo numero era rimasto abnorme rispetto agli standard degli altri paesi anche a fronte di una diminuzione accertata delle esecuzioni. Solo dal 2006 é nato il sospetto che in Cina potesse accadere qualcosa di ancor più terribile. Già dal 1999, il presidente della Repubblica Popolare Cinese Jiang Zemin aveva dato avvio ad una violenta campagna di sradicamento del Falun Gong, una pratica spirituale tradizionale molto popolare, con arresti di massa degli aderenti. Il sospetto che le persone arrestate potessero essere sottoposte ad espianto del rene da vivi o essere uccise per poterne trapiantare gli organi si è trasformato in un serio allarme internazionale tanto da provocare la presa di posizione dell'Onu. La Commissione contro la tortura delle Nazioni Unite ha espresso preoccupazione per le accuse di espianto coatto di organi dai detenuti e ha invitato il governo della Repubblica popolare cinese ad aumentare il livello di rendicontabilità e trasparenza del sistema di trapianto di organi. La persecuzione dei membri del Falun Gong è stato oggetto di una discussione in Commissione diritti umani del Senato il 19 dicembre 2013 alla presenza di David Matas, candidato al premio Nobel per la pace nel 2010, e di rappresentanti dell'associazione italiana Falun Dafa. Pochi giorni prima , il 12 dicembre il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione di denuncia e condanna della pratica di espianto da prigionieri di coscienza non consenzienti. La Commissione diritti umani del Senato ha approvato a sua volta, il 5 marzo 2014, una risoluzione sull'espianto di organi da detenuti in Cina. Ma oggi è un'altra e più vicina la geografia dell'orrore. Il Mediterraneo, a partire dall'Egitto, sembra essere diventato il centro globale del traffico di organi. I profughi che si muovono spinti dalla disperazione da Eritrea, Sudan, Somalia e Mali pagano a volte con l'espianto di un rene il costo della migrazione verso l'Europa o verso Israele ai trafficanti sudanesi. Giappone, Israele, Canada, Taiwan, Stati Uniti Arabia Saudita ed anche l'Italia sono i paesi da cui arriva la richiesta. Le indagini sugli sbarchi di Lampedusa hanno portato all'arresto di cinque cittadini eritrei a Roma. La magistratura italiana sta indagando su un traffico di migranti a cui sarebbero stati chiesti gli organi per coprire i costi del viaggio. Nel giugno 2013 Tauber Gedalya, un israeliano su cui pendeva un mandato di cattura internazionale emesso dal Brasile per traffico di organi umani, è stato arrestato all'aeroporto di Fiumicino. C'è poi un altro luogo a noi vicino in questa mappa dell'orrore. A Danfuss, nell'est Ucraina, sono stati trovati in fosse comuni cadaveri privi di organi interni. Si ripete forse quello che era accaduto già nell'ex Jugoslavia, in particolare nel conflitto in Kossovo, dove, a quanto risulta, é accaduto che albanesi prelevassero ai prigionieri serbi gli organi interni per rivenderli in Europa. Il disegno di legge, che adesso passerà alla Camera per la seconda lettura, fornirà alla nostra magistratura un nuovo strumento per aggredire il fenomeno. Speriamo che serva anche a tenere alta l'attenzione pubblica su una pratica meno lontana di quel che si pensava. Sicilia: rientra l'emergenza-carceri, restano criticità. Carica Garante vacante da 18 mesi di Patrizia Penna Quotidiano di Sicilia, 5 marzo 2015 Al 31 gennaio 2015 gli istituti penitenziari siciliani contano 5.919 detenuti (dati ministero Giustizia). Salvo Fleres, già Garante dei Detenuti: "Con i numeri ufficiali bisogna essere cauti". In Italia, dopo il diritto all'equo processo, è la seconda motivazione più ricorrente dei ricorsi alla Corte europea dei diritti dell'uomo: stiamo parlando del sovraffollamento delle carceri, un problema particolarmente sentito dal Quotidiano di Sicilia che ha affrontato spesso l'argomento, denunciando puntualmente i casi più gravi in cui la violazione dei più elementari diritti dei detenuti è sfociata nel dramma. Oggi, al netto di qualche episodio più o meno sporadico, lo scenario sembra profondamente mutato e a dircelo sono i numeri del ministero della Giustizia che fotografa lo stato degli istituti penitenziari del nostro paese al 31 gennaio 2015. Un'emergenza che sembra rientrata e che sembra essere stata scongiurata dal tanto discusso decreto svuota-carceri che l'allora ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, definì "uno strumento di grande civiltà giuridica" e che ha scongiurato il rischio per il nostro Paese di vedere accolti proprio dalla Corte di Strasburgo una pioggia di ricorsi a suo carico. Nel caso specifico della nostra Isola, il numero dei detenuti è attualmente di 5.919 (di cui 126 donne e 1.150 stranieri). Si tratta di cifre che rientrano perfettamente nella capienza regolamentare che per i 23 istituti penitenziari isolani, si attesta a 5.927. Ben altri erano i contorni del dramma sovraffollamento nel marzo 2013, ad esempio, quando i detenuti "di troppo" erano ben 1.522. I numeri sembrano confermare che il provvedimento legislativo in questione si sia rivelato efficace. È così? Lo abbiamo chiesto a Salvo Fleres, già Garante dei diritti dei Detenuti per la Sicilia. "La favola della capienza regolamentare e della capienza effettiva è nota da tempo e ormai non ci crede neppure chi la racconta. Il Dap fornisce dati "accomodati" che spesso non tengono conto di reparti chiusi o inagibili. E poi, il problema del sovraffollamento è solo uno dei tanti, forse persino il meno grave. La verità si può desumere soltanto se si prende in considerazione il numero delle celle effettive ed il numero dei reclusi per ciascuna cella. Dunque, sulle cifre ufficiali ci andrei molto cauto. Così come sarei cauto sul reale rispetto dell'articolo 27 della Costituzione in tema di recupero e reinserimento. La verità è che in Sicilia non c'è il Garante e non c'è proprio perché diceva queste cose, denunciava le direzioni delle carceri che violavano la legge, gli ospedali che non facevano il loro dovere e persino i magistrati, troppo frettolosi nell'archiviazione dei casi di violenza o di suicidio dietro le sbarre. Insomma ero e sarei molto scomodo, soprattutto per chi è abituato alla vita comoda. Chi non ha provveduto a rinnovare il Garante, o a nominarne un altro con altrettanta indipendenza e anche con un poco di coraggio, dati i potenti ed intoccabili interlocutori istituzionali, ha la responsabilità morale e politica del disastro della vita nelle carceri dell'Isola, delle inadempienze, delle violenze e dei suicidi ma ha la responsabilità, soprattutto, di aver rimesso i reclusi nelle mani della criminalità organizzata, unico loro interlocutore, dato che le istituzioni si sono dati, è il caso di dirlo, alla latitanza". Garante detenuti: vacatio ingiustificata e paradossale La Carta di Milano, uno dei documenti di deontologia giornalistica più recenti, ne fa il punto di riferimento irrinunciabile nel rapporto tra informazione e mondo delle carceri: parliamo del Garante dei Detenuti, una figura di tutela e garanzia dei diritti fondamentali dei detenuti, i quali prima ancora che autori di reati, devono essere visti come persone da salvaguardare poiché si trovano in una difficile fase che è quella del progressivo reinserimento nella società. La Sicilia, che è stata tra le prime regioni d'Italia ad introdurre tale figura, oggi ne è sprovvista. La vacatio si registra dall'agosto 2013, ovvero da quando è scaduto il mandato di Salvo Fleres. La nomina, sulla base della legge regionale n. 5/2005, spetta al presidente della Regione, Rosario Crocetta, ma al momento tutto tace. Pur avendo confermato la sua disponibilità a proseguire l'incarico, Fleres non è mai riuscito ad aprire un dialogo con il governatore Crocetta. Oltre che un passo indietro nella tutela della dignità umana dei reclusi, questo silenzio disattende il decreto svuota-carceri (convertito in L. n. 10/2014) che all'art. 37 istituisce la figura del Garante nazionale il cui compito è quello di dialogare con quelli territoriali. Milano: Tribunale Sorveglianza; detenuti malati restano in cella perché mancano strutture di Damiano Aliprandi Il Garantista, 5 marzo 2015 Troppi detenuti non vengono scarcerati per motivi di salute e non hanno delle strutture idonee. A denunciare questo problema non sono le solite associazioni che si occupano dei diritti, ma la giudice del Tribunale di Sorveglianza di Milano, Beatrice Crosti. "È capitato spesso di dover tenere persone in carcere perché non si sapeva dove mandarle. Oppure di ritardare scarcerazioni per riuscire a trovare una soluzione", così la giudice Beatrice Crosti ha sintetizzato il più grosso problema del sistema penitenziario di Milano. Mancano le strutture adeguate per detenuti che hanno bisogno di un ospedalizzazione una volta usciti dal carcere, così capita che alcuni di loro, i più gravi, restino in infermeria nel penitenziario nell'attesa che si liberi un posto in qualche hospice. È la denuncia che emerge dall'incontro "Il carcere e la città. Promuovere buoni processi di inclusione sociale e di sostegno all'autonomia", nell'ambito del Forum delle Politiche sociali del Comune di Milano. Il Tribunale dei Sorveglianza - secondo l'agenzia Redattore Sociale - fa quanto può per alleggerire con pene alternative da scontare fuori dal carcere. E, sempre secondo la testata giornalistica sui temi sociali, i risultati sono apprezzabili: nel 2013 le richieste accolte di affidamento ai servizi sociali sono state 1.116 e 111 le respinte. Nel 2014 1.463 accolte e 100 respinte e nei primi due mesi del 2015 le richieste accolte sono state 184 e 12 respinte. Gli ultimi numeri dell'Uepe (Ufficio Esecuzione Penale Esterna) di Milano indicano che i casi di affidamento sono stati 1.423, altri 820 i casi di detenzione domiciliare e 190 quelli in libertà vigilata. Numeri che evidenziano l'impegno della magistratura milanese a tenere, chi può, fuori dal carcere. Almeno quando ci sono le condizioni. I problemi sorgono anche nei confronti dei detenuti ai domiciliari: capita spesso che il ristretto a fine pena o che deve espiare a casa sua non possa rientrare nella sua vecchia abitazione perché inquilino abusivo. E cosa accade? A spiegarlo è Alessandra Naldi, la garante dei detenuti di Milano: "Il più delle volte gli ex detenuti tornano a casa dai loro familiari, evento che spesso crea nuovi conflitti in famiglia". Per questo la giudice Crosti propone di creare "un centro di smistamento di chi va preso in carico fuori dal carcere, per evitare che si debba ricorrere sempre alla buona volontà di qualcuno o ai propri contatti". Una proposta accolta anche dalla Garante dei detenuti. Sempre secondo i dati snocciolati da Redattore Sociale, ci sono notizie migliori invece per quanto riguarda il sovraffollamento delle carceri: "In tutte le strutture milanesi - ha spiegato il provveditore lombardo Aldo Fabozzi - sono garantiti i tre metri quadri a detenuto, in alcuni casi si arriva anche a quattro". La situazione migliorerà ulteriormente con l'aggiunta di 75 posti nel carcere di Busto Arsizio e un altro reparto a Cremona. Roma: detenuto morì di appendicite. Il Gip: no all'archiviazione, due medici a processo di Ilaria Sacchettoni Corriere della Sera, 5 marzo 2015 Antonio Tonelli, 52 anni, spirò nella sala operatoria della Nuova Itor l'8 febbraio 2010. Per tre giorni, il detenuto fu un paziente invisibile, sbalzato da un ospedale all'altro, malgrado una violenta crisi di appendicite in corso. Visitato al Centro clinico di Regina Coeli, controllato al Santo Spirito, ispezionato pure al Fatebenefratelli, morì nella sala operatoria della Nuova Itor, la sera dell' 8 febbraio 2010, quando l'appendicite era ormai degenerata in peritonite. Per la vicenda si arrivò a un processo, ma fu il medico sbagliato a finire a giudizio. Quel chirurgo che aveva tentato il possibile quando ormai era troppo tardi. E il giudice lo prosciolse dalle accuse. Ora, cinque anni dopo, è il gip del tribunale di Roma, Stefano Aprile a riaprire la via della giustizia. Il gip ha infatti respinto la richiesta di archiviazione formulata dalla Procura e ordinato l'imputazione coatta per omicidio colposo nei confronti di due medici del Fatebenefratelli, Andrea Colaci e Paolo Mascagni per una serie di negligenze. "Appare evidente - scrive Aprile - che l'intervento salvavita avrebbe dovuto essere posto in essere a partire dalle 15 dell'8 febbraio se non addirittura prima. Con un'anticipazione di circa 5 ore. Tenuto conto che, come ha concluso il consulente tecnico del pm, una adeguata anticipazione dell'intervento avrebbe consentito di evitare la morte (del paziente, ndr)". Torniamo, brevemente, a quel giorno. Antonio Tonelli, 52 anni, in carcere per furto da un anno, altri 11 mesi da scontare, è nelle mani dei medici, in una sezione protetta del Fatebenefratelli. da due giorni combatte con una crisi violenta di appendicite, la Tac ha confermato la prima diagnosi. Lo operano d'urgenza allora? No. I due medici ignorano la procedura d'urgenza, dicono che lì non c'è posto, insistono perché sia ricoverato in un altro ospedale, "disconoscendo la prevista procedura di collocare i pazienti urgenti in astanteria o altre sale". La consulenza tecnica della procura avvalora l'ipotesi che, così facendo, quei medici lo abbiano condannato: "Tenuto conto che, come conclude il consulente del pubblico ministero, una adeguata anticipazione dell'intervento avrebbe consentito di evitare l'evento morte e che la dilazione temporale verificatasi appare attribuibile ai sanitari che, pur in presenza di indicazioni della direzione sanitaria in ordine all'utilizzo di posti letto di fortuna, non disponevano l'immediato atto operatorio e optavano erroneamente per il differimento dell'intervento". Sul caso avevano presentato un'interrogazione la segretaria dei radicali Rita Bernardini e il garante dei detenuti. La Bernardini chiedeva di sapere "se nel corso della sua detenzione Antonio Fondelli avesse usufruito di tutte le cure necessarie che il suo precario stato di salute". Genova: Sappe; a Marassi altro tentato suicidio… se non ci fosse la Polizia penitenziaria Comunicato Sappe, 5 marzo 2015 Ennesimo tentativo di suicidio nel carcere di Marassi. Un giovane detenuto straniero ha tentato il suicidio mediante impiccagione, è stato salvato grazie dalla tempestività dell'agente di Polizia Penitenziaria addetto al controllo. Ennesima tragedia sfiorata - commenta il Sappe ligure - l'episodio non è da sottovalutare benché l'evento critico sia stato risolto positivamente. Il segretario Lorenzo commenta - se il compito della sicurezza penitenziaria è demandata alla Polizia Penitenziaria la quale dell'incolumità dei detenuti ne ha fatto non solo una mission istituzionale ma anche e soprattutto morale, di contro non vengono forniti utili strumenti per eseguire al meglio il nostro mandato. Basti pensare che non sono stati mai programmati di corsi di formazione in tema di pronto soccorso, di Blsd o di difesa personale, corsi che consentono un migliore impiego della Polizia Penitenziaria sia all'interno che all'esterno degli istituti. Ma nemmeno l'organizzazione interna voluta dal vertici romani, denominata vigilanza dinamica, aiuta la Polizia Penitenziaria ad interventi di maggiore efficacia. In questo episodio- continua il Sappe - l'unico agente di servizio doveva controllare anche i cortili passeggi e solo un caso ha voluto che l'agente abbia udito un tonfo provenire da una cella che ha allertato la sua attenzione ed il suo intervento per salvare la vita al giovane detenuto. Ricoverato in ospedale è stato dimesso perché, fortunatamente non si sono riscontrati danni di nessuna natura. L'escalation di eventi critici che si stanno verificando in Liguria - conclude Lorenzo - mantiene alto il nostro livello di attenzione, ma è solo la Polizia Penitenziaria ad essere sottoposta ad un livello di continua allerta sempre con una minore presenza di personale; e di numeri a Marassi se ne parla sempre in negativo con 110 agenti in meno che, nel 2014 hanno gestito quasi 90 urgenze un centinaio di casi autolesionismo 10 tentativi di suicidio. Numeri che oggi più che mai deve svegliare le coscienze degli amministratori e dei politici per un impegno concreto sul fronte sicurezza penitenziaria, cosa che ad oggi non ci risulta essere attuato. Cosenza: detenuto tenta il suicidio nel carcere di via Popilia, salvato dagli agenti www.quicosenza.it, 5 marzo 2015 Gli agenti della polizia penitenziaria hanno salvato un detenuto che ha tentato di suicidarsi nel carcere di Cosenza. A renderlo noto è il segretario generale nazionale del coordinamento sindacale Penitenziario (Cosp), Domenico Mastrulli. Gli agenti della polizia penitenziaria sono intervenuti immediatamente appena si sono accorti che l'uomo stava per compiere l'estremo gesto e lo hanno tratto in salvo. Si tratta di M.R. accusato di reati contro la pubblica amministrazione il quale approfittando dell'assenza dei compagni di cella che stavano fruendo dell'ora d'aria nei cortili avrebbe tentato di togliersi la vita appendendosi alla grata del bagno con un lenzuolo legato al collo. Lanciandosi dall'alto avrebbe così provato ad impiccarsi perdendo conoscenza, ma gli agenti avendo notato che l'uomo si stava intrattenendo da troppo tempo in bagno avrebbero aperto la porta e con l'aiuto di un altro detenuto lo avrebbero slegato dal cappio e trasportato d'urgenza in infermeria per rianimarlo. Mastrulli del Cosp ha affermato che la casa circondariale di via Popilia presenta "carenza di poliziotti penitenziari e di risorse evidenti oltre che sofferenti per il doppio e triplo incarico affidati agli stessi. Oggi, ancora una volta grazie alla professionalità degli agenti della polizia penitenziaria, una vita umana è stata salvata". A perdere la vita nel carcere di Cosenza invece nel 2006 fu un trentaduenne di Rogliano che si suicidò il giorno di Ferragosto lasciando sgomenti compagni ed agenti. Cagliari: a Buoncammino trasferiti uffici del Dap, polemiche su futuro dell'ex carcere Ansa, 5 marzo 2015 Entro marzo si completerà il trasferimento del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria della Sardegna e degli Uffici esecuzione penale esterna da via Tuveri alla sezione amministrativa dell'ex carcere di Buoncammino a Cagliari. Secondo quanto si è appreso, il Ministero, con questa decisione, risparmierebbe almeno 500 mila euro l'anno di affitto per gli attuali uffici. Le sezioni detentive, invece, ospiteranno i visitatori nelle ultime due domeniche del mese, grazie alla disponibilità del Fai e, in una fase successiva, dell'associazione nazionale polizia penitenziaria. Le vecchie celle e le altre sezioni di detenzione, che sino a fine novembre hanno ospitato i carcerati trasferiti poi nel nuovo istituto di Uta, potrebbero essere visitabili già questo mese. Ma le polemiche sul futuro del vecchio carcere cagliaritano non si placano e il deputato di Unidos, Mauro Pili, attacca, annunciando "un'azione giudiziaria collettiva per la sua restituzione. "Il ministero della Giustizia sta mettendo a segno il grande scippo del carcere di Buoncammino. Con un atto arrogante e furtivo il Dap sta occupando la struttura per farne degli uffici e impedire così alla Regione di ottenere il passaggio immediato del bene al patrimonio regionale in quanto cessata la funzione statale del bene, come previsto dall'articolo 14 dello Statuto Sardo". Secondo Pili, "il blitz di queste prossime ore è arbitrario, grave e soprattutto senza alcuna autorizzazione. Non è pensabile che si trasformi un carcere in uffici senza che il Comune abbia dato alcuna autorizzazione in tal senso". E punta il dito anche contro la Regione: "hanno entrambi gli strumenti per bloccare tutto questo, sia sul piano urbanistico che su quello della sicurezza sul lavoro in capo alle Asl. Si muovano, la smettano di dormire". Grosseto: detenuti con problemi di alcolismo, l'Asl organizza un progetto di sostegno www.grossetonotizie.com, 5 marzo 2015 Una rete di ascolto e di assistenza a sostegno dei detenuti della casa circondariale di Grosseto con problemi legati all'alcol. È quanto prevede un progetto, partito a fine 2013 per il recupero delle persone in carcere e con dipendenza da alcol, che coinvolge la Asl 9 di Grosseto, la direzione della casa circondariale, le associazioni Club alcologici territoriali (Acat) "Grosseto Green" e "Grosseto Nord". Il primo risultato di questo programma è stata proprio l'apertura, circa un anno fa, di un club alcologico territoriale "pilota" dentro alla struttura di via Saffi, chiamato "Speranza", dagli stessi detenuti che lo frequentano (6 in questo momento). Oltre alla nascita del club alcologico, nel 2014, i detenuti sono stati seguiti dagli operatori dell'Unità funzionale "Dipendenze" Area grossetana della Asl 9; in particolare, un'assistente sociale e una psicologa che si sono occupate della prima fase di valutazione (su richiesta del detenuto stesso o su segnalazione degli operatori, cioè i sanitari o gli educatori che seguono la struttura) sui problemi legati alla dipendenza da alcool. Quest'anno, l'11 e il 18 febbraio scorso, l'Acat "Grosseto Green" ha organizzato una scuola, cosiddetta di terzo modulo, rivolta all'intera comunità carceraria, per una maggiore sensibilizzazione e informazione sui problemi legati all'abuso di alcol. La scuola alcologica, condotta da un "servitore-insegnate" dell'Acat e alla quale hanno partecipato anche gli operatori dell'Unità funzionale "Dipendenze" e gli educatori della casa circondariale, ha prodotto buoni risultati, in particolare rispetto alla necessità di conoscere a fondo le problematiche alcolcorrelate, per prevenirle e combatterle. Gli obiettivi più generali del progetto, infatti, sono orientati "a riconoscere subito i detenuti che manifestano problemi da dipendenza da alcol - spiegano gli operatori - attraverso l'incremento dell'attenzione di chi sta costantemente a contatto con loro; ad affinare gli strumenti di lavoro per la soluzione dei problemi alcolcorrelati; ad offrire una rete di assistenza e supporto al cambiamento e a nuovi stili di vita senza il consumo di bevande alcoliche, nonché a mantenere la continuità dell'assistenza per le persone che hanno già avviato un programma di recupero. Proprio con questa finalità, gli operatori del volontariato e quelli delle istituzioni devono rappresentare il tramite tra la struttura carceraria e la realtà esterna del detenuto, in modo da prepararlo gradualmente alla scarcerazione, evitando recidive a breve e medio termine o ricadute facili nell'uso di alcol". Cagliari: "Un sorriso oltre le sbarre", l'8 marzo progetto Sdr-Fidapa nel carcere di Uta Ristretti Orizzonti, 5 marzo 2015 Riparte dal Villaggio Penitenziario di Uta, nell'area industriale di Cagliari, il progetto "Un sorriso oltre le sbarre" il progetto di solidarietà per le donne private della libertà giunto alla sesta edizione. Promossa dall'associazione "Socialismo Diritti Riforme", coordinata da Maria Grazia Caligaris, con la collaborazione della sezione cagliaritana della Fidapa (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari), presieduta da Silvia Trois, l'iniziativa intende sensibilizzare l'opinione pubblica e le Istituzioni sulla condizione delle donne detenute e delle Agenti della Polizia Penitenziaria. L'iniziativa, in programma domenica 8 marzo alle ore 9.30 nel carcere "Ettore Scalas" prevede un incontro nella sezione femminile dell'Istituto dove verranno affrontate le diverse problematiche relative alla permanenza in carcere. In occasione dell'appuntamento, ciascuna detenuta riceverà un pacchetto contenente dei prodotti per la cura personale. Si tratta di un kit con spazzolino, dentifricio, bagnoschiuma, crema per il corpo e sapone per l'igiene intima. Nel contenitore, grazie alla solidarietà di farmacie e profumerie, anche campioncini di shampoo, balsamo e altri prodotti per la cura del viso. Sarà inoltre donata una pianta per la sezione femminile della Casa Circondariale. "La lontananza del centro urbano dell'Istituto Penitenziario - sottolineano Caligaris e Trois - richiede da parte delle Istituzioni una maggiore attenzione e richiama l'opinione pubblica a una più intensa partecipazione alle problematiche della perdita della libertà. Per le nostre associazioni acquista un particolare significato soprattutto in questo momento dell'anno. La Festa della Donna è infatti un momento anche per riflettere sulla realtà di chi sconta una pena. La condivisione di idee, sentimenti, sensazioni in una mattinata da vivere insieme è un modo per dare significato all'8 marzo senza cadere nella retorica". Nell'ambito delle iniziative dedicate all'8 marzo Sdr e Fidapa attribuiranno il "Premio Solidarietà Donna" a Giuliana Biasioli e al "Progetto Eugenio". L'appuntamento è sabato 7 marzo alle ore 16.30 nella Sala Conferenze della Fondazione Banco di Sardegna. Nelle precedenti edizioni hanno ricevuto il riconoscimento Suor Angela Niccoli, Valentina Pitzalis e Alessandra Tanzi. Vercelli: la Radicale Roswitha Flaibani nominata garante comunale dei detenuti www.radicali.it, 5 marzo 2015 Lo scorso 23 febbraio il sindaco di Vercelli, Maura Forte, ha nominato per la prima volta nella storia del Comune il "Garante dei diritti delle persone private della libertà personale", nella persona di Roswitha Flaibani, militante storica radicale a Vercelli. La carica di Garante non è retribuita. Fin dagli anni 90 del secolo scorso, Roswitha Flaibani ha seguito la vita della Casa Circondariale di Vercelli, collaborando sia con i vari Direttori succedutisi sia con l'area Educativa dell'Istituto, al fine di instaurare un rapporto costante tra la struttura e il territorio. Dal 1999 ha compiuto visite ispettive nel carcere di Vercelli, accompagnando parlamentari e consiglieri regionali; in tal contesto, negli anni 2009, 2010 e 2011 ha organizzato a Vercelli l'iniziativa nazionale di Radicali Italiani "Ferragosto in carcere". Roswitha Flaibani è stata membro del Comitato nazionale di Radicali Italiani. Dal 2005 al 2011 è stata consigliere comunale a Prarolo (Vc). È attualmente iscritta all'Associazione radicale Adelaide Aglietta. Igor Boni e Giulio Manfredi (presidente e segretario Associazione radicale Adelaide Aglietta): "Chi conosce Roswitha Flaibani sa che il sindaco di Vercelli ha fatto la cosa giusta; da decenni, su Vercelli, abbiamo sempre potuto contare sul suo impegno a sostegno dei diritti dei detenuti e degli agenti di polizia penitenziaria; un impegno, vale la pena ricordarlo, da sempre non retribuito, come non retribuita sarà questa carica. Oggi, finalmente, questo impegno ha ottenuto un giusto e opportuno riconoscimento pubblico; siamo sicuri che Roswitha cercherà di dare ancora di più del tanto che ha già dato in questi anni. Ringraziamo il sindaco Forte sia per aver istituito il Garante sia per la volontà manifestata di visitare quanto prima il carcere. Vercelli è la quarta città in Piemonte ad aver istituito la figura del garante comunale (dopo Torino, Ivrea e Asti). Sarebbe importante che ciascuna delle 12 città piemontesi sede di carcere riuscisse a nominare un garante comunale capace e determinato come Roswitha Flaibani, per creare una rete regionale di garanti in grado di scambiarsi informazioni e di lavorare in sinergia con il garante regionale". Larino (Cb): detenuto chiude gli agenti in una stanza e tenta di evadere www.isernianews.it, 5 marzo 2015 È accaduto lunedì notte: l'uomo ha anche ferito e aggredito i poliziotti ma è stato poi bloccato da altri agenti mentre tentava la fuga. Il sindacato lamenta troppe criticità all'interno della struttura. Ha tentato di evadere dal carcere di Larino, dove era appena stato portato dai Carabinieri che lo aveva arrestato, ma i poliziotti penitenziari sono riusciti a fermarlo in tempo. È accaduto nella notte tra lunedì e martedì e a darne notizie è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. Racconta Donato Capece, segretario generale del Sappe: "L'uomo era stato portato in carcere dal personale dell'Arma alle 2 di notte. Dopo le operazioni di rito da parte del personale (assai ridotto) della Polizia Penitenziaria, mentre veniva portato in cella, l'uomo ha aggredito repentinamente gli agenti e li rinchiudeva all'interno del Reparto, sottraendo loro anche le chiavi. I poliziotti, ancorché feriti, riuscivano a contattare gli altri agenti di servizio in carcere, che hanno rintracciato l'uomo all'interno della struttura detentiva e lo hanno immobilizzato, conducendolo in cella. Grazie alla professionalità dei Baschi Azzurri di Larino, dunque, una clamorosa evasione dal carcere è stata sventata in tempo. Questo grave episodio deve però far riflettere sull'opportunità che gli arrestati vengono portati in carcere nelle ore notturne, quando il già esiguo personale di Polizia Penitenziaria è ridotto ai minimi termini e deve svolgere servizio contemporaneamente in più posti. In questi casi, sarebbe opportuno che gli arrestati passassero la notte in caserma, in guardina o comunque nei locali a disposizione delle forze dell'ordine che hanno operato l'arresto e venissero condotti in carcere al mattino successivo". Il coordinatore regionale Sappe del Molise, Luigi Frangione, denuncia come "da tempo il Sappe ha rappresentato, al direttore del carcere ed ai vertici regionali dell'Amministrazione penitenziaria, la pessima organizzazione del lavoro nel carcere di Larino, dove sono molti - ben 42 - i poliziotti addetti ai servizi d'ufficio e alle cosiddette cariche fisse, con evidenti conseguenze negative per i servizi operativi e la sicurezza stessa dell'Istituto. Nulla è stato fatto! Si pensi che nella notte della tentata evasione un solo Agente di Polizia Penitenziaria era stato assegnato in più posti di servizio del carcere, consuetudine questa oramai consolidata a Larino dove accade spesso anche che, nei vari turni di lavoro, il personale del ruolo Ispettori e Sovrintendenti è assente, nonostante la buona consistenza numerica, e le funzioni di Sorveglianza generale del carcere devono quindi farle gli Assistenti Capo del Corpo". Il Sappe, che sollecita le autorità regionali e nazionali dell'Amministrazione Penitenziaria ad assumere urgenti provvedimenti per sanare le troppe criticità del carcere di Larino, evidenzia che "nella struttura larinese si sono verificati, nel corso dell'anno 2014, 18 episodi di autolesionismo e 20 ferimenti". Padova: droga e telefonini in carcere, manette ad altre due guardie di Marco Aldighieri Il Gazzettino, 5 marzo 2015 Accusate di corruzione e spaccio: avrebbero rifornito i detenuti di Sim card, cellulari e sostanze stupefacenti. Un'altra bufera si è abbattuta sulla Casa di reclusione Due Palazzi di Padova. Dopo gli arresti di luglio, quando sono stati coinvolti cinque agenti penitenziari e una decina di detenuti, ieri all'alba la Squadra mobile ha stretto le manette ai polsi a due secondini. Altri due invece sono stati denunciati a piede libero. Tutti e quattro, di un'età compresa tra i 35 e i 38 anni, sono stati accusati di corruzione e spaccio di sostanza stupefacente all'interno del carcere. Dei due arrestati uno è finito agli arresti domiciliari, mentre per l'altro il provvedimento restrittivo è stato poi modificato nel divieto di dimora a Padova e provincia. I quattro, secondo l'accusa, rifornivano i detenuti di Sim card, telefoni cellulari e droga. Il direttore del carcere Salvatore Pirruccio ha così commentato: "Ancora non ho letto nessun atto e quindi non posso esprimere alcun giudizio sulla vicenda". Il primo filone di indagini è partito a luglio, dove gli inquirenti hanno indicato come il numero uno dell'organizzazione criminale nella casa di reclusione l'agente Pietro Rega, detto "Capo" o "Uomo brutto", molto vicino al pericoloso detenuto albanese Adriano Patosi. Il secondino, già arrestato per fatti analoghi nel 2001 dalla Dda di Napoli quando lavorava nel carcere di Avellino, si procurava la droga assieme a un collega contattando spacciatori nordafricani. Lo stupefacente finiva nelle mani dell'albanese che gestiva poi le ulteriori cessioni all'interno del Due Palazzi. Le due guardie trattenevano per sé un quantitativo di droga come guadagno per la loro attività di spaccio. Gli altri canali di rifornimento per lo stupefacente, i telefoni cellulari e le Sim card facevano invece capo a due esponenti della malavita organizzata che si dividevano i profitti. Si tratta di Gaetano Bocchetti esponente del clan camorristico di Secondigliano e di Sigismondo Strisciuglio della Sacra Corona Unita. I due boss rifornivano di soldi gli agenti penitenziari ottenendo in cambio hashish, eroina, ma anche chiavette Usb, computer e telefoni cellulari, con cui poter mantenere senza difficoltà i contatti con le rispettive organizzazioni criminali. Adesso queste ulteriori indagini condotte dal pubblico ministero Sergio Dini sono scaturire da una costola della precedente inchiesta, ma potrebbero svelare una nuova inquietante realtà all'interno del carcere Due Palazzi di Padova. Firenze: continuano le ricerche dell'internato dell'Opg di Montelupo in fuga La Nazione, 5 marzo 2015 Tantissime le segnalazioni arrivate da mezza Toscana alla polizia penitenziaria e alle altre forze dell'ordine, ma nessuna che abbia portato a risolvere il caso. La direttrice dell'Opg: "Forse il pericolo è più per lui che per gli altri". Sono proseguite senza esito per tutto il giorno le ricerche dell'internato di 45 anni fuggito ieri dall'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino approfittando della temporanea assenza di tre operatori sociali che lo stavano portando in una comunità di recupero. L'uomo era stato internato all'Opg dopo che il 18 maggio 1999 aveva ucciso la madre nella loro abitazione di Galciana (Prato) ed esser stato conseguentemente condannato per omicidio. Tantissime le segnalazioni arrivate da mezza Toscana alla polizia penitenziaria e alle altre forze dell'ordine, ma nessuna che abbia portato a risolvere il caso. La caccia all'uomo si è concentrata soprattutto, oltre che a Montelupo e sulle colline di Malmantile di Lastra a Signa, anche a Prato, Signa e Pistoia. Non si esclude che, non avendo con sé un telefono cellulare né soldi, qualcuno possa averlo ospitato. "Non è assolutamente un'evasione e forse il pericolo è più per lui che per gli altri dato che si trova senza soldi, senza farmaci e senza i vestiti adatti. L'episodio va molto ridimensionato e c'è stato un allarmismo ingiustificato": ha detto oggi la direttrice dell'Opg Antonella Tuoni parlando con i giornalisti. Secondo la direttrice, "non si può parlare tecnicamente di evasione perché la persona si è allontanata dagli operatori sanitari ai quali era stata affidata. Questa persona doveva andare in una comunità terapeutica e non è la prima volta che si è allontanata dalle comunità terapeutiche dove era stata destinata. Diciamo - ha osservato la direttrice - che ha solo anticipato l'allontanamento dall'Opg". Nel frattempo l'Asl 4 di Prato ha fornito una propria versione dei fatti: con il fuggitivo, è stato spiegato, c'erano due operatori sociali e l'autista del pulmino i quali avrebbero tenuto l'uomo sempre sotto la loro vigilanza. Secondo l'azienda sanitaria l'internato non sarebbe fuggito dal veicolo, ma si sarebbe allontanato all'interno del comando della polizia municipale di Montelupo Fiorentino mentre si trovava con gli operatori. Per i tre, conclude l'Asl 4, non è previsto venga preso alcun provvedimento, hanno fatto il lavoro che era stato loro richiesto. Messina: sventata evasione Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto Agi, 5 marzo 2015 Un tentativo di evasione dall'Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) è stato sventato dall'intervento di agenti della polizia penitenziaria, secondo quanto riferisce il segretario generale aggiunto del sindacato di categoria Osapp, Domenico Nicotra. Un detenuto, italiano, aveva già scavalcato la prima barriera quando è stato notato dal personale di custodia in prossimità dell'area esterna della struttura, e ricondotto immediatamente in cella dopo i controlli del caso. "Solo il pronto intervento del personale in servizio ha evitato che il reato si consumasse e che il detenuto lasciasse l'istituto", sottolinea Nicotra. Viterbo: coltellate all'ora d'aria, detenuto a giudizio per tentato omicidio www.tusciaweb.eu, 5 marzo 2015 L'asticella per tenere la retina del ping pong trasformata in arma quasi letale. È con quella che un detenuto del carcere Mammagialla fu colpito durante una cruenta lite nell'estate 2013. Ora d'aria di un'afosa giornata di luglio. Scoppia una zuffa tra un gruppo di detenuti. La miccia si accende all'improvviso. Vecchi rancori, probabilmente, o antipatie nate all'interno del penitenziario. Il motivo non è chiaro, ma lo scontro è violento al punto che uno dei detenuti resta gravemente ferito. Perde sangue. Viene portato d'urgenza al pronto soccorso dell'ospedale Belcolle. Ha una ferita che sembra da arma da taglio. L'arma, in realtà, è rudimentale: niente meno che una piccola sbarra di metallo per tenere su la retina del ping pong. Ma è appuntita come un coltello. A giudizio per tentato omicidio finisce un trentenne albanese. Il processo, ieri, è stato rinviato, in assenza dei testimoni, due medici intervenuti uno per curare il detenuto ferito, l'altro per la consulenza medico-legale sulle lesioni. Se ne riparla a novembre. Vicenza: il Cappellano del San Pio X "il rischio è che il carcere palestra di criminalità" di Roberto Cervellin Il Gazzettino, 5 marzo 2015 Don Luigi Maistrello si sofferma sull'affollamento insostenibile della struttura: "Si rischia di mancare l'obiettivo rieducazione". "In queste condizioni, il carcere rischia di diventare più una palestra di criminalità che una forma di rieducazione". Che la casa circondariale di Vicenza soffrisse di sovraffollamento è noto. Ma se a segnalarlo, con toni accesi, è il cappellano don Luigi Maistrello, dimostra che la situazione è ormai insostenibile. Se n'è parlato nel quartiere dei Ferrovieri in occasione di un incontro nella sala parrocchiale, a cui ha preso parte, oltre a don Maistrello, il professor Luciano Carpo dell'Ufficio Migrantes della Diocesi. I dati parlano chiaro. A fronte di una capienza di 136 posti, nel carcere di San Pio X è stata riscontrata una presenza di 331 detenuti. Il triplo di quelli previsti. "E l'84% sono migranti", ha detto Carpo, ricordando che l'ufficio pastorale ha avviato un percorso di educazione civica destinato alla reintegrazione di chi ha terminato di scontare la pena. "È fondamentale - ha aggiunto il cappellano - trovare altre forme di recupero, che permettano alle persone che hanno sbagliato di essere reinserite in maniera efficace nella società e le aiutino a non commettere più errori". Milano: abusi nel carcere di San vittore, Pg chiede 7 anni e 4 mesi per l'ex Cappellano Corriere della Sera, 5 marzo 2015 In primo grado don Barin era stato assolto per otto dei 12 stupri contestati e per atti osceni in luogo pubblico, ma condannato a 4 anni per altri 4 casi di violenza sessuale. Il sostituto procuratore generale Laura Barbaini ha chiesto 7 anni e 4 mesi di reclusione per don Alberto Barin, il cappellano di San Vittore accusato di 12 casi di violenza sessuale su detenuti ed ex detenuti extracomunitari per reati di microcriminalità. La richiesta è stata avanzata ai giudici della prima corte d'appello davanti ai quali è stata impugnata la sentenza di primo grado da tutte le parti in causa: procura, imputato e parti civili. In primo grado don Barin era stato assolto da otto dei 12 casi di stupro contestati e dall'imputazione di atti osceni in luogo pubblico e condannato 4 anni di reclusione per altri quattro casi di violenza sessuale e per induzione indebita. Il giudice per l'udienza preliminare Luigi Gargiulo il 28 marzo 2014 aveva inflitto con rito abbreviato una pena molto più bassa rispetto ai 14 anni e 8 mesi di carcere chiesti dai pubblici ministeri Daniela Cento e Lucia Minutella in parte perché aveva assolto il prete da otto accuse di violenza sessuale, in parte perché aveva derubricato le altre quattro imputazioni, riconoscendo all'imputato l'attenuante della lieve entità dei fatti contestati ed escludendo l'aggravante dell'abuso di autorità. Ha poi motivato le assoluzioni con l'inattendibilità delle dichiarazioni rese da alcune persone offese che "non può essere desunta esclusivamente dalla circostanza che fatti in parte analoghi siano stati denunciati" come "commessi ai danni di più soggetti". Secondo il Gup, infatti, "era fatto notorio che l'imputato avesse una propensione sessuale per le persone dello stesso sesso e, alcuni detenuti, platealmente provocavano l'imputato al fine di suscitare in lui insani impulsi sessuali". Il Gup affermava, inoltre, che non c'è stato da parte di don Barin "abuso di autorità", perché il ruolo di cappellano nell'ordinamento riveste una funzione "di tipo esclusivamente religioso" e non una "posizione autoritativa". Secondo Barbaini, invece, da parte dell'imputato c'è stato abuso di autorità e ha chiesto alla corte di ritenere tale aggravante quantomeno equivalente all'attenuante della lieve entità riconosciuta da Gargiulo che la procura non ha il potere di impugnare. Ha chiesto poi di condannarlo anche per l'imputazione di atti osceni e induzione indebita. Napoli: il 21 marzo prossimo Papa Francesco incontrerà i detenuti di Poggioreale www.contattonews.it, 5 marzo 2015 Incontro con le persone del rione Scampia, un pranzo con i detenuti di Poggioreale, la venerazione delle reliquie di San Gennaro, un incontro con gli ammalati e uno con i giovani. Questo il programma di Papa Francesco della visita a Pompei e Napoli il 21 marzo prossimo. La partenza in elicottero dal Vaticano è prevista per le 7 di sabato 21 marzo. Alle 8.15 Papa Francesco pregherà all'interno del Santuario di Pompei. Poi il trasferimento a Napoli dove alle 9.30 si svolgerà l' incontro con la popolazione del rione Scampia e con diverse categorie sociali in piazza Giovanni Paolo II. Alle 11 è prevista la concelebrazione eucaristica in piazza Plebiscito, dove Francesco terrà l'omelia. Alle 13, la visita alla Casa circondariale Giuseppe Salvia a Poggioreale e il pranzo con una rappresentanza dei detenuti. Alle 15 la venerazione delle reliquie di San Gennaro e l' incontro con il clero, i religiosi e i diaconi permanenti nel Duomo. Nel pomeriggio previsti anche l' incontro con gli ammalati nella Basilica del Gesù Nuovo (ore 16.15) e quello con i giovani sul lungomare Caracciolo. "Vado per la strada, passo davanti al carcere e penso: eh, questi se lo meritano". Papa Francesco ha esemplificato così il "sentirsi giusto" che caratterizza molti cristiani, nell'omelia a Santa Marta di qualche giorno fa. Secondo il Papa sarebbe meglio invece dire a se stessi: ‘Ma tu sai che se non fosse stato per la grazia di Dio tu saresti lì? Hai pensato che tu sei capace di fare le cose che loro hanno fatto, anche peggio ancora?". "Questo - ha spiegato nell'omelia di oggi alla Domus Santa Marta - è accusare se stesso, non nascondere a se stesso le radici di peccato che sono in noi, le tante cose che siamo capaci di fare, anche se non si vedono". Genova: inaugura la mostra "Ricette da dentro", sarà aperta da domani fino al 15 marzo Ristretti Orizzonti, 5 marzo 2015 "Spa Politiche di Donne" e Arci Genova (Settore Carcere e Diritti) organizzano per domani, venerdì 6 marzo alle ore 18 presso il Teatro Altrove (Piazzetta Cambiaso 1) la mostra "Ricette da dentro", nata all'interno da un laboratorio realizzato, nell'ambito del Progetto "Il ponte", presso la Sezione Femminile del carcere di Pontedecimo. In un universo di privazione, anche e soprattutto dei sensi, come quello carcerario, il cibo diventa un momento in cui affermare i propri gusti e il proprio saper fare. Nel quotidiano la preparazione del cibo diventa un modo per ricordare gli affetti, trasmettere agli altri una conoscenza pratica e condividere un piacere. È nato così il progetto "Ricette da Dentro", un laboratorio, una serie d'incontri durante i quali le donne coinvolte nel progetto hanno raccontato le loro pietanze preferite, le modalità di lavorazione e preparazione e quali immagini e o ricordi siano evocate dalle ricette. La ricetta e il cucinare diventano un pretesto per proporre l'idea che mangiare non sia solo nutrirsi ma che facciano parte di una sfera emozionale fondamentale nella vita di ciascuno di noi; preparare da mangiare, cucinare il cibo che consumeremo o il cibo che si andrà ad offrire diventa veicolo per prendersi cura di noi stessi e degli altri. Interverranno all'iniziativa Emanuela Musso, curatrice del laboratorio, Paola Ravera, Assessora Municipio I° Centro Est. Letture a cura di Antonella Sodina, Ida de Paoli e Antonella Lucattini. La mostra rimarrà esposta fino al 15 marzo. Ingresso libero. Venezia: teatro in carcere con Pippo Delbono, incontrerà le detenute alla Giudecca www.estense.com, 5 marzo 2015 Balamòs Teatro organizza un incontro di laboratorio con Pippo Delbono, venerdì 6 marzo alle 16 alla Casa di Reclusione Femminile di Giudecca, nell'ambito del progetto teatrale Passi Sospesi diretto da Michalis Traitsis, regista e pedagogo teatrale di Balamòs Teatro, in collaborazione con il Teatro Stabile del Veneto. La compagnia di Delbono è presente dal 4 all'8 marzo al teatro Verdi di Padova con lo spettacolo "Orchidee", mentre l'incontro di venerdì è riservato alle donne detenute. Pippo Delbono, autore, attore, regista, è nato a Varazze (Sv) nel 1959. Negli anni 80 ha iniziato gli studi di arte drammatica in una scuola tradizionale che ha lasciato in seguito all'incontro con Pepe Robledo, un attore argentino proveniente dal Libre Teatro Libre. Insieme si sono trasferiti in Danimarca e si uniscono al gruppo Farfa, diretto da Iben Nagel Rasmussen, attrice storica dell'Odin Teatret e Delbono ha iniziato un percorso alternativo alla ricerca di un nuovo linguaggio teatrale. Si è dedicato allo studio dei principi del teatro orientale che ha approfondito nei successivi soggiorni in India, Cina, Bali, dove fulcro centrale è stato un lavoro minuzioso e rigoroso, dell'attore sul corpo e la voce. Nel 1987 ha incontrato Pina Bausch che lo ha invitato Wuppertaler Tanztheater, segnando profondamente il percorso artistico del regista. Lo stesso anno ha creato il suo primo spettacolo, Il tempo degli assassini e in seguito: Morire di musica, Il Muro, Enrico V, La rabbia, Esodo, Itaca, Her Bijt, Il Silenzio, Gente di plastica, Guerra (e l'omonimo documentario), Urlo, Racconti di Giugno, Questo buio feroce, Grido (lungometraggio), La Menzogna, La Paura (lungometraggio), Blue Sofa (lungometraggio), Dopo la battaglia, Obra Maestra (opera lirica). Barboni è stato lo spettacolo che vede protagonista Bobò, un piccolo uomo sordomuto e analfabeta, incontrato casualmente in un laboratorio nel manicomio di Aversa, dove era rinchiuso per 45 anni. Pippo Delbono ha riconosciuto in Bobò e nella sua capacità gestuale i principi del teatro orientale. Gli elementi che Delbono aveva appreso dopo lunghi anni di training erano presenti come dote acquisita in Bobò, un attore capace di accompagnare con precisione il suo gesto teatrale nella totale assenza di retorica. In seguito si sono aggiunti Nelson Lariccia, un ex clossard, e Gianluca Ballarè, un ragazzo down. Delbono ha motivato la scelta di questi attori, perché ritenuti tra i più capaci ed abili ad incarnare la sua visione poetica di un teatro basato sulle persone e non sui personaggi, un teatro non psicologico, lontano dai cliché insegnati nelle scuole e nelle accademie. Gli spettacoli di Delbono non sono allestimenti di testi teatrali ma creazioni totali, gli attori sono parte di un nucleo che si mantiene e cresce nel tempo. Intorno a queste figure ed oltre alla presenza di Pippo Delbono e Pepe Robledo, si sono aggiunti anche gli attori Dolly Albertin, Margherita Clemente, Ilaria Distante, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Gianni Parenti e Grazia Spinella. La compagnia Delbono, ha fatto tappa in più di cinquanta paesi e oggi rappresenta una delle più note realtà italiane teatrali nel mondo. Roma: "Nessuno escluso", celebrare l'8 Marzo a teatro con opera dei detenuti di Rebibbia Aaskanews, 5 marzo 2015 "Nessuno escluso". Ma davvero nessuno, neppure i detenuti del carcere romano di Rebibbia o quelli di Spoleto. Così il titolo dell'opera teatrale che andrà in scena l'8 marzo, festa della donna, presso il teatro San Gelasio di via Fermo Corni nel quartiere Tiburtino a Roma, servirà a ricordare un dramma dei nostri giorni: quello della violenza e del femminicidio, di cui, appunto, nessuno può dirsi escluso. A salire sul palcoscenico attori professionisti come Blas Roca Rey, Melissa Manna e Monica Rogledi, ma anche i detenuti delle Case di Reclusione di Rebibbia e di Spoleto, ed il gruppo di attori amatoriali del Circolo Unicredit. Con la regia di Patrizia Spagnoli. Artisti professionisti o "in prestito", che offriranno monologhi e storie di vita reale che raccontano la quotidianità della condizione della donna tra soprusi e violenze. "Uno spettacolo teatrale che - sottolineano gli organizzatori - vuole essere un modo diverso per celebrare una festa che rischia di cadere negli stereotipi coinvolgendo diverse realtà sociali e coinvolgendo, operazione coraggiosa, coloro che la società l'hanno tradita violando le sue regole". Le scene trattano, così, temi forti come lo stupro, la violenza e l'indifferenza di chi assiste e decide di non intervenire. "Siamo convinti - proseguono gli organizzatori dello spettacolo - che le persone possano cambiare superando l'astensione dalla vita e alimentando dentro di sé il piacere della contaminazione. Le donne dagli inizi degli anni 70 sono vissute come fenomeno antagonista dell'universo maschile. Si tratta di stereotipi difficili da modificare, perché le donne che lavorano, le donne che possono divorziare, le donne che possono abortire, le donne che possono vivere con tranquillità la propria omosessualità, rappresentano una rivoluzione culturale epocale. E, quindi, difficile da essere introiettata in soli quattro decenni. Ma la via è questa". Cosenza: progetto "La musica per nuovo inizio" alla Casa Circondariale Sergio Cosmai www.cosenzapost.it, 5 marzo 2015 Si è tenuto il 3 marzo, il saggio di chiusura del laboratorio musicale inserito nel progetto "La musica per un nuovo inizio" nel quale si sono esibiti 12 detenuti musicisti. Il progetto è stato realizzato grazia alla sinergia dell'associazione di volontariato LiberaMente, di Promidea, e con la collaborazione della Casa Circondariale "Sergio Cosmai" di Cosenza. Il progetto, che ha portato ieri all'esibizione di 12 detenuti musicisti, è stato possibile anche grazie alla partecipazione dei Villazuk che si sono dedicati al progetto con estrema passione e hanno messo a disposizione la propria professionalità e il proprio tempo, per insegnare ai detenuti la musica, per aiutarli a scegliere uno strumento e a suonarlo, così come hanno fatto, con successo, ieri pomeriggio. È proprio il presidente di LiberaMente, il signor Francesco Cosentini - che al nostro giornale ha rilasciato un'intervista - a spiegare l'importanza del progetto, che è stato finanziato dal Ministero del Lavoro con la Direttiva 266 del 2013. Un progetto nato per permettere ai detenuti di mettere alla prova le proprie capacità e di scoprire una passione, come quella per la musica, e poi per confrontarsi tra di loro anche in un contesto diverso da quello solito delle celle, e delle poche ore di svago. Le lezioni, che si sono svolte in 72 ore di progetto all'interno del teatro della casa circondariale, hanno visto la loro realizzazione sostanziale negli ultimi mesi, dando però, nella fase finale, un risultato molto soddisfacente, così come dichiara il signor Cosentini di LiberaMente. La direzione del carcere, gli agenti e i volontari, hanno dato grande disponibilità a che il laboratorio musicale per i detenuti potesse svolgersi al meglio, e ieri tutti insieme, hanno potuto constatare come la collaborazione di tutti, produce ottimi risultati. E così martedì pomeriggio, nel teatro del carcere di Cosenza, i detenuti hanno dato vita al loro saggio, con canzoni, con poesie recitate e con pezzi strumentali suonati con diversi strumenti. Pianole, chitarre, percussioni, basso e con la loro voce - anch'essa importante strumento - hanno intonato canzoni conosciutissime come "io vagabondo" o "sapore di sale". E poi ancora poesie, ed una canzone araba, che racconta la fine di un amore. I ragazzi detenuti erano particolarmente emozionati durante il saggio, ma hanno dato il meglio che potevano, per poter rendere omaggio alla musica, che - come è facile comprendere - ha cambiato in maniera sostanziale la dinamica delle loro giornate all'interno dell'istituto penitenziario e che li ha "avviati" verso "un nuovo inizio". Bella la parte del saggio, nella quale i ragazzi detenuti hanno espresso i loro personalissimi pensieri sulla musica, tutti molto significativi. "Amo la musica perché mi fa emozionare", oppure "per me la musica è un modo per esprimere il mio stato d'animo". Sono questi alcuni di quei pensieri, che riconducono tutti alla magia che la musica sa racchiudere in se e che si sprigiona proprio quando ad essa si fa spazio nella propria vita, e questi ragazzi, seppur detenuti, sono "liberi" di amarla, la musica e di viverla a pieno, al posto di altri sentimenti come la rabbia, o il dispiacere. Il progetto "la musica per un nuovo inizio", dunque, è stato un vero successo. Si ringrazia il signor Francesco Cosentini, presidente di LiberaMente per averci raccontato questo bell'evento che fa onore ai volontari che operano all'interno della casa circondariale. Libri: "12 anni a Guantánamo", diario del detenuto Mohamedou Ould Slahi www.internazionale.it, 5 marzo 2015 Dopo sei anni di negoziati e battaglie legali è stato pubblicato nel Regno Unito "Guantánamo diary", la prima testimonianza diretta di un detenuto del carcere di massima sicurezza di Guantánamo. Un manoscritto di 466 pagine in cui il detenuto Mohamedou Ould Slahi descrive gli interrogatori, le torture e le umiliazioni subite dal 2002. In Italia il libro è uscito con il titolo "12 anni a Guantanámo" (Piemme 2015). Mohamedou Ould Slahi fu arrestato in Mauritania nel 2001 e trasferito in Giordania e poi in Afghanistan prima di arrivare a Guantánamo, il 4 agosto del 2002. Nonostante l'assenza di prove, Mohamedou Ould Slahi è ancora detenuto nel carcere della base americana, intrappolato in un complicato limbo burocratico e giuridico. Anche se censurato dalle autorità statunitensi, il manoscritto è un'importante testimonianza su ciò che è accaduto nel centro di detenzione voluto dall'amministrazione Bush e che Barack Obama non è riuscito a far chiudere. Grecia: Tsipras volta pagina anche sui migranti, stop alla detenzione e più accoglienza di Pavlos Nerantzis Il Manifesto, 5 marzo 2015 Polemiche su una circolare inviata a tutti i commissariati. In Grecia arrivano ogni anno decine di migliaia di profughi provenienti soprattutto da Afghanistan, Iran, Iraq e negli ultimi anni dalla Siria. Nel 2014 ne sono stati fermati 77 mila, la maggioranza dei quali erano siriani. Una fuga dal terrore della guerra, un salto verso la terra della promessa da parte di migliaia di migranti che si imbarcano di nascosto ogni giorno su gommoni per attraversare quelle poche miglia nell'Egeo, ma che spesso, causa mare mosso, finiscono in naufragi e tragedie umane. Il mar Egeo sarebbe paragonabile al canale di Sicilia, ma i profughi prima di attraversarlo non conoscono né l'uno né l'altro. Ma anche se lo sapessero dai loro compagni che sono partiti prima di loro, è talmente grande la voglia, quasi esasperata, di fuggire dalle guerre che nessun mare mosso e nessun un muro, come quello costruito lungo il fiume Evros, al confine greco-turco, dal governo di Samaras li potrebbe fermare. Finora nessun governo greco ha applicato una politica di asilo. Perciò la Grecia ha la percentuale più bassa (sotto l'1% dei richiedenti asilo) alle statistiche europee. Come l'Italia respinge i profughi addirittura minorenni senza alcun presupposto giuridico in Grecia, e la Turchia verso l'Iran o la stessa Grecia, così Atene - ovvero la polizia e la guardia costiera - cerca di respingere violentemente le imbarcazioni dei profughi verso le coste turche, provocando spesso massacri e vittime umane. Nel caso in cui i profughi si presentano alle autorità per chiedere asilo, di solito non hanno assistenza. Nella maggioranza dei casi vengono rinchiusi in campi di concentramento oppure in stazioni della polizia in condizioni disumane, e quando le guardine e i campi sono strapieni, alcuni di loro vengono rimpatriati oppure lasciati liberi con un foglio di espulsione (entro 30 giorni devono lasciare il territorio). Ecco perché arrivano in massa ai porti di Patrasso e di Igoumenitsa. Denominatore comune della loro permanenza in tutti questi paesi: privazione della loro libertà, carcerazione in condizioni disumane, maltrattamento e torture. Poche, invece, sono le denunce rispetto alla violazione dei diritti umani da parte delle autorità, ancora meno le condanne degli agenti. Non a caso Grecia e Italia sono state condannate dalla Corte europea dei diritti umani (l'ultima volta lo scorso novembre) per trattamenti inumani ed espulsioni collettive di migranti. Il governo di Alexis Tsipras vorrebbe esercitare una politica diversa nei confronti dei migranti: da una parte condizioni umane di permanenza nei campi, procedimenti rapidi per i richiedenti asilo, e dall'altra la modifica del Regolamento Dublino II. In questo ambito, una settimana fa il ministro della Protezione del cittadino, Jannis Panoussis, ha annunciato la chiusura del campo di Amygdaleza (ogni giorno vengono liberate 30 persone), perché i profughi vivono in condizioni disumane per oltre sei mesi. Ieri, però, c'è stata polemica tra il governo e l'opposizione quando è stato reso noto che il capo della polizia ellenica ha rilasciato una circolare con "le nuove linee guida" a tutti i commissariati della polizia. Secondo tale circolare i migranti arrestati che cercano di entrare clandestinamente in territorio ellenico non debbono essere trattenuti, ma lasciati liberi con un foglio di espulsione, dopo la loro identificazione, e quelli già detenuti nei "campi di accoglienza" devono essere rimessi in libertà. Il ministro Panoussis, nel momento in cui il governo sta ancora studiando una nuova politica per l'immigrazione, ha reso noto di aver ordinato un'inchiesta per accertare chi abbia diffuso le nuove direttive senza consultarsi prima con le autorità governative, e ha lasciato intendere che si tratta di una provocazione da parte della Nea Dimokratia. Secondo l'opposizione, invece, il governo ha dovuto revocare la circolare a causa delle forti reazioni. Iran: Ong; giustiziati sei prigionieri curdi accusati l'omicidio di un religioso sunnita Aki, 5 marzo 2015 Sono stati impiccati nel carcere di Rajaishahr a Karaj, nell'Iran settentrionale, sei prigionieri di etnia curda che erano stati condannati a morte per l'omicidio di un religioso sunnita. Lo ha riferito l'ong Iran Human Rights (Ihr), che si batte contro la pena di morte, citando fonti nella Repubblica islamica. Secondo Ihr, che definisce l'ondata di impiccagioni un atto "barbaro" di cui è "responsabile la Guida Suprema Ali Khamenei", i sei detenuti Jamshid e Jahangir Dehgani, Hamed Ahmadi, Kamal Molayee, Sedigh Mohammadi e Hadi Hossein sono stati giustiziati all'alba. A nulla sono servite le proteste dei loro familiari e di alcuni attivisti per i diritti umani che si erano riuniti davanti al carcere alcune ore prima dell'esecuzione. I sei erano stati arrestati nel 2009 e condannati a morte dal tribunale della rivoluzione di Teheran per il reato di "Moharebeh" (inimicizia nei confronti di Dio). Gli imputati hanno sempre negato il loro coinvolgimento nell'omicidio del religioso. Iran: esecuzione-choc in un carcere, strappato un occhio a un detenuto Reuters, 5 marzo 2015 La condanna, effettuata nell'ambito della "legge del taglione", è stata eseguita in un carcere iraniano. Un detenuto di un carcere a venti chilometri da Teheran, capitale dell'Iran, è stato privato dell'occhio sinistro: la condanna è stata eseguita nel rispetto della cosiddetta legge del taglione, consentita dal diritto islamico. L'uomo era stato ritenuto responsabile di aver attaccato con l'acido corrosivo la sua vittima, rendendola totalmente cieca. Il quotidiano locale Hamshahri e l'Iran Human Rights raccontano che il detenuto verrà privato anche dell'altro occhio, quello destro, dovrà pagare la "Diyeh" (il "prezzo del sangue") e dovrà scontare 10 anni di carcere. Secondo il quotidiano iraniano, l'occhio sinistro gli è stato estirpato martedì scorso, non è chiaro se da personale medico o del carcere Rajaishahr di Karaj. Secondo Mahmood Amiry-Moghaddam, portavoce di Ihr, "le autorità iraniane hanno mostrato un altro lato della loro brutalità e la mancanza di condanna da parte della comunità internazionale rappresenta di fatto l'accettazione di tali barbarici atti". Se venisse accertato che alla pratica ha partecipato personale medico, fa notare ancora Amiry-Moghaddam, avrebbero "rotto il giuramento di Ippocrate e non potrebbero considerarsi medici". Indonesia: due trafficanti droga australiani in braccio della morte, presto l'esecuzione Adnkronos, 5 marzo 2015 Andrew Chan e Myuran Sukumaran, due cittadini australiani accusati di essere a capo di un traffico di droga tra Indonesia e Australia sono stati trasferiti dal carcere di Bali dove erano detenuti nel braccio della morte del carcere dell'isola di Nusakambangan, dove nei prossimi giorni verranno giustiziati da un plotone di esecuzione. Come riporta la Bbc, l'Australia ha fatto forti pressioni sulle autorità indonesiane affinché l'esecuzione venga sospesa e il premier Tony Abbott si è detto "disgustato" dall'idea che i due vengano giustiziati. Con loro verranno giustiziati anche altri stranieri, tra cui cittadini francesi, brasiliani, del Ghana e della Nigeria. una cittadina filippina, anch'ella condannata a morte, è in attesa dell'esito della sua domanda di revisione del processo. Chan e Sukumaran vennero condannati nel 2005 dopo essere stati arrestati per avere organizzato un traffico di droga tra Bali e l'Australia. L'Indonesia è uno dei Paesi con le leggi anti droga più severe al mondo e ha interrotto nel 2013 la moratoria sulle esecuzioni capitali. Premier australiano Abbott: disgustati da prossima esecuzione Il premier australiano Tony Abbott si è definito "disgustato" dalle prossime esecuzioni che saranno condotte in Indonesia, tra cui quelle di due cittadini australiani. "Penso che ci siano milioni di australiani he si sentono disgustati per quel che probabilmente accadrà a questi due uomini, che hanno commesso un crimine terribile", ha detto Abbott alla radio Australian Broadcasting. "La posizione dell'Australia è di provare orrore per i crimini legati alla droga, ma di provare orrore anche per la pena di morte, che crediamo non sia degna di un Paese come l'Indonesia", ha aggiunto. I due australiani sono stati traferiti ore fa dal carcere di Bali all'isola di Nusakambangan, dove le esecuzioni vengono condotte. Saranno fucilati da un plotone d'esecuzione, nonostante le critiche internazionali che hanno travolto il Paese. I rapporti con l'Australia si sono fortemente incrinati, dopo che l'Indonesia ha rifiutato di graziare i due condannati. Myuran Sukumaran, 33 anni, e Andrew Chan, 31 anni, sono due degli 11, in gran parte stranieri, condannati a morte per accuse di traffico di droga. Sull'isola ci sono già un francese e un brasiliano, mentre altri che attendono l'esecuzione sono cittadini di Filippine, Ghana, Nigeria e Indonesia. "Vogliamo mandare un messaggio a tutti, al popolo del mondo, sul fatto che l'Indonesia sta tentando di contrastare con durezza i crimini di droga", ha dichiarato un portavoce dell'ufficio del presidente, confermando il trasferimento. Il consueto avviso emesso 72 ore prima dell'esecuzione deve ancora essere diffuso.