Giustizia: "riforme per addetti ai lavori", critiche delle vittime alle novità per i magistrati di Paolo Lambruschi Avvenire, 3 marzo 2015 La responsabilità civile dei magistrati e le nuove norme sulla difesa d'ufficio scontentano l'Aivm, l'associazione che tutela chi ha avuto la vita rovinata da errori giudiziari. Per il presidente verrebbero favoriti gli avvocati mentre non cambia nulla per le vittime, di cui non si conosce la reale entità numerica. In una stagione di riforme della giustizia - dalla responsabilità civile dei magistrati alla nuova disciplina che regola la difesa d'ufficio - quasi nessuno ha chiesto il parere dei diretti interessati, le vittime della malagiustizia. Lo domandiamo a Mario Caizzone, il presidente dell'Aivm, l'associazione che le rappresenta. "In generale - afferma Caizzone - si tratta di un passo falso in un cammino lungo, è una riforma che sembra molto apprezzata e benvoluta dagli addetti ai lavori quali magistrati e avvocati. Ad esempio, la negoziazione assistita è stata resa obbligatoria e consegnata per intero ai legali, i quali, secondo la norma, saranno tenuti, per evitare il processo, a tentare la "conciliazione" tra le parti. Ma che interesse ha l'avvocato a conciliare. E, a quel punto, le stesse parti, se già si sono rivolte ad un legale, vuol dire che non è stato possibile raggiungere un accordo. Di fatto si è proceduto a consegnare agli avvocati un'attività stragiudiziale, un'ulteriore concessione all'Avvocatura quale fonte di introiti certi. Una riforma della giustizia dovrebbe avere ad oggetto aspetti giuridici sostanziali e strutturali, non solo quelli procedurali, anche per consentire un'effettiva parità tra i poteri dello Stato". Secondo voi cosa dovrebbe cambiare per la difesa d'ufficio? "La settimana scorsa è stata modificata la disciplina che regola il sistema ponendo esclusivamente l'accento sui requisiti per accedervi da parte degli avvocati. L'Aivm già nel 2013 era in contatto con alcuni parlamentari per un'eventuale proposta di legge sul patrocinio a carico dello Stato (non più "gratuito patrocinio", a pagare ora è la collettività), dall'estate 2014 ha predisposto una proposta di modifica della disciplina a maggior garanzia del cittadino che, a breve, sottoporremo alla Commissione Giustizia di Camera e Senato". Torniamo ai magistrati, davvero si arriva a una maggiore produttività e giustizia solo riducendo le loro ferie? "Non siamo così miopi da pensare che siano le ferie dei magistrati la causa della malagiustizia e del mal funzionamento del sistema giudiziario. Spesso i magistrati si lamentano della mancanza di fondi, di strutture, mezzi e personale e ciò influisce in modo determinante anche sulla lungaggine dei processi; inoltre, si lamentano che non vengono fatte le riforme della giustizia. Ma da una nostra ricerca emerge che negli uffici di via Arenula a Roma e in altre sedi sono distaccati oltre 80 magistrati e altri sono distribuiti nei vari Ministeri, sia come capi di Gabinetto, sia negli uffici legislativi dei singoli Ministeri e molti altri ancora sono impegnati presso gli uffici giuridici e come consiglieri. Il governo della "macchina giustizia" è in mano alla stessa magistratura prima che alla politica. È risultato inoltre che molti magistrati hanno incarichi presso le Commissioni tributarie, il che comporta la partecipazione, alcune volte al mese, alle udienze e la redazione di sentenze. In base a quale criterio, ad esempio, l'ultimo concorso per magistrati tributari è stato riservato ai soli "togati" (con esclusione dei laici), i quali dovranno assolvere alle esigenze di un'altra giurisdizione togliendo spazio all'esercizio della giurisdizione ordinaria - in affanno - a cui sono stati chiamati in via esclusiva? Altri magistrati sono poi impegnati con docenze universitarie o presso altri enti. Ne abbiamo monitorato alcuni del Tribunale sezione fallimentare di Milano che, due o tre volte al mese, partecipano come relatori a convegni a pagamento. Tutto ciò a discapito non solo della rapidità del lavoro, ma anche della qualità". Caizzone, avete finalmente scoperto quante sono le vittime di malagiustizia? "Il ministro Orlando, qualche settimana fa, ci informava sulla velocizzazione dei pagamenti dei risarcimenti da errori giudiziari, ma non ci ha ancora detto quante sono effettivamente le vittime stimate, quante richieste ci sono ogni anno e quante sono le vittime assistite da avvocato di fiducia, d'ufficio o fruitore del gratuito patrocinio. Secondo noi, il Ministero avrebbe dovuto premurarsi anche di informare i cittadini riconosciuti vittime di errore giudiziario su come comportarsi. Inoltre il risarcimento dovrebbe essere erogato senza far si che il cittadino debba ulteriormente ricorrere all'assistenza di un legale per sostenere il procedimento di quantificazione poiché, spesso, le vittime non hanno la possibilità economica di adire ad un'ulteriore assistenza legale". Giustizia: la trappola che impedisce di incastrare le toghe sulla responsabilità civile di Stefano Zurlo Il Giornale, 3 marzo 2015 I tre anni per il risarcimento si calcolano dall'arresto: così richieste impossibili. Una legge sbandierata dal governo Renzi come una pagina di civiltà. Ma una dose di robusto scetticismo è d'obbligo dopo aver letto gli articoli della nuova norma sulla responsabilità civile dei magistrati, appena approvata dopo interminabili polemiche dentro e fuori il Palazzo. Scintille, scenari apocalittici, previsioni nefaste sul futuro delle toghe italiane. E invece trabocchetti e trappole ci sono ancora. Una in particolare: il termine entro cui si può fare causa è ancora troppo stretto per chi sia finito negli ingranaggi di una giustizia ingiusta. Il termine infatti aumenta, e questo è meritorio, da due a tre anni. Ma il triennio viene calcolato nello stesso modo in cui si conteggiava con la legge Vassalli: in pratica a partire dalla fase cautelare, delle manette. E non dopo il verdetto di assoluzione. Dunque, troppo presto, in una fase delicata e drammatica del procedimento in cui la causa al magistrato che abbia sbagliato è l'ultimo pensiero per l'inquisito che sta combattendo. E vuole solo dimostrare la propria innocenza: di conseguenza tiene un profilo basso, immaginando che una controdenuncia contro chi lo accusa possa diventare un boomerang. L'articolo chiave è il 4: "L'azione di risarcimento del danno contro lo Stato può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimento cautelari o sommari". Qualche riga dopo il legislatore aggiunge: "la domanda dev'essere effettuata a pena di decadenza entro tre anni". Eccoci al punto infiammato. È vero, gli anni non sono più due ma tre, e però l'ostacolo, che nessuno pare aver visto in Parlamento, è lì a bloccare il passaggio: il countdown comincia quando l'inchiesta è ancora in pieno svolgimento. Quando l'inquisito è ancora in carcere o ai domiciliari e magari dev'essere ancora rinviato a giudizio. Il linguaggio è tecnico e poco comprensibile per il profano, ma il senso è chiaro: il conto alla rovescia inizia nel momento in cui il provvedimento cautelare si cristallizza. Che vuol dire? Poniamo che l'indagato sia in carcere e continui a professarsi innocente. L'avvocato ha giocato la carta della scarcerazione prima al tribunale del riesame, poi in Cassazione. Ecco, la linea di partenza viene stabilita sul calendario il giorno in cui la suprema corte si è pronunciata su quel punto. Prima dell'eventuale condanna di primo grado. E dei successivi gradi di giudizio. Tutte queste fasi arriveranno nel tempo ma sappiamo come sia lenta, a volte quasi immobile, la nostra giustizia. E allora il legislatore, vecchio o nuovo fa poca differenza, detta una partitura che pare essere obiettivamente poco realistica. Perché costringe a venire allo scoperto nel momento meno opportuno. Spiega l'avvocato Francesco Murgia, storico difensore di Vittorio Emanuele di Savoia: "Ma io come faccio a iniziare un'azione di responsabilità civile contro un magistrato se sono ancora sotto scacco? Se il mio procedimento è ancora in corso e le accuse non sono cadute?". Un'osservazione semplice, di buonsenso, che però pare essere sparita nelle curve di un dibattimento appassionato. La nuova legge ha abolito, e non è poco, il filtro che prima bloccava gran parte dei procedimenti, e ha ritoccato alcuni punti, ma ha trascurato questo elemento. Prosegue Murgia: "Per intraprendere la causa contro il pm Henry John Woodcock e il gip Alberto Iannuzzi abbiamo dovuto attendere che il principale capo d'imputazione, l'associazione a delinquere, si afflosciasse. Purtroppo abbiamo dovuto pazientare a lungo, per anni e anni". Il testo in carta bollata è stato presentato il 9 dicembre 2011. Troppo tardi. Puntuale come un orologio svizzero è scattata la ghigliottina: "L'azione - scrivono i giudici di Catanzaro - è inammissibile perché non tempestiva con riguardo alla richiesta di applicazione della misura emanata da Woodcock il 29 maggio 2006 e all'ordinanza emanata dal gip Iannuzzi il 15 giugno 2006. Il termine biennale decorre quando non sia più possibile la rimozione dell'ordinanza del gip che ha disposto la misura cautelare". Oggi il termine è triennale ma il nocciolo del problema è ancora lì. La giustizia va di corsa. E non aspetta. Il principe dovrà accontentarsi dei 39mila euro incassati dopo la vittoria in un altro processo: quello per l'ingiusta detenzione. La responsabilità civile rischia di restare nel cassetto in cui è chiusa da quasi trent'anni. Giustizia: il colpevole è De Magistris… ma paghiamo noi di Errico Novi Il Garantista, 3 marzo 2015 A voler giocare con le iperboli si potrebbe dire che De Magistris rischia di beccarsi una causa pure dall'Anm. Il sindacato delle toghe ha fatto di tutto per affermare che la nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati è ingiusta, vessatoria, insomma una provocazione. Poi arriva l'ex pm di Catanzaro, oggi sindaco di Napoli, e ti rovina tutta la campagna mediatica. Come? Intanto con un errore giudiziario commesso 12 anni fa. Magari non l'unico della carriera di De Magistris. Ma certo segnato da una particolarissima caratteristica: quell'errore fu commesso a danno di un altro giudice. Il quale altro giudice ha citato lo Stato per l'errore di De Magistris in base alla legge sulla responsabilità civile, seppur nella sua "vecchia" versione. L'errore è costato alla presidenza del Consiglio una condanna a ristorare sempre quell'altro giudice per 26.000 euro. Se non farà appello, Palazzo Chigi potrà rivalersi proprio su De Magistris, sempre in base alla "vecchia" legge Vassalli. Più difficilmente secondo la versione "riformata" la settimana scorsa, ma questa è materia per gli avvocati dello Stato. Sarebbe in ogni caso appena la nona volta in 27 anni che si arriva alla rivalsa nei confronti del magistrato colpevole. Ma intanto il danno vero non è per i conti pubblici: è per l'Anm, appunto. Perché adesso come farà a dire che la legge sulla responsabilità civile è vessatoria, visto che in base a quella norma può essere risarcito persino un giudice, se la vittima dell'errore è proprio lui? Insomma sì, la vicenda è complicata. Ma divertente. È stata resa nota ieri dal Mattino e dal Messaggero. Il sindaco di Napoli si è subito scagliato contro i due giornali: "Il collegamento tra una vicenda di 12 anni fa ed una legge approvata nel 2015 è assolutamente strumentale". E perché mai? La norma per la quale lo Stato è stato condannato a risarcire il giudice di Cassazione Paolo Antonio Bruno a causa di un errore di De Magistris è proprio quella che disciplina la responsabilità civile dei magistrati. Sì, a voler essere pignoli, la sentenza del Tribunale di Salerno è stata emessa sulla base della legge preesistente e non della sua versione approvata a Montecitorio lo scorso 24 febbraio. Ma cambia poco. E anzi, quel poco che cambia è a favore di De Magistris. Perché se la riforma fosse stata approvata prima, la causa civile del giudice Bruno sarebbe arrivata a sentenza già da un pezzo. E magari lo Stato avrebbe già pignorato a De Magistris lo stipendio da sindaco, o qualche altro bene, per recuperare la quota per la quale l'allora pm di Catanzaro dovrebbe rispondere. Tutto nasce da un'inchiesta del 2004, condotta dalla Procura calabrese, e in particolare dall'aggiunto Mario Spagnuolo (oggi procuratore capo a Vibo Valentia) e dall'attuale sindaco di Napoli, sotto la supervisione dell'allora capo dell'ufficio, Mariano Lombardi, nel frattempo deceduto. Le indagini teorizzano l'esistenza di un comitato di affari politico-affaristico-giudiziario capace di condizionare la vita pubblica di Reggio Calabria. Il clou arriva il 9 novembre 2004, quando vengono arrestate 6 persone, e tra queste l'ex deputato di Forza Italia Amedeo Matacena. Tra gli altri 28 indagati c'è appunto anche il giudice di Cassazione Paolo Antonio Bruno. Con quale accusa? Secondo De Magistris e i suoi superiori, fa parte del comitato d'affari. Sulla base di quali prove? E qui viene il bello. Evidentemente nessuna. Tanto che tutti gli indagati vengono assolti in primo grado. Il giudice Bruno non è neppure rinviato a giudizio. Il giudice per l'udienza preliminare archivia tutte le accuse mosse a suo carico dalla Procura di Catanzaro. De Magistris commenta: "Questo non vuol dire assolutamente che ci sia stata una responsabilità da parte del magistrato titolare dell'indagine preliminare o di tutti i magistrati protagonisti di alcune fasi processuali". E questo lo dice lui. Il povero giudice di Cassazione travolto dalle indagini, Paolo Antonio Bruno, qualche dubbio lo ebbe subito. E visto che la legge sulla responsabilità civile già lo consentiva, fece causa allo Stato per gli errori commessi dalla Procura di Catanzaro. Sempre De Magistris nel suo comunicato di ieri: "Nulla mi è addebitabile per quell'indagine doverosa". Opinione personale. Bruno si appella alla legge Vassalli. Più precisamente all'articolo 2. Che, tra l'altro, sancisce la possibilità di ottenere risarcimento per un atto giudiziario commesso "con colpa grave" anche in caso si verifichi "l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento". È quello di cui si è reo colpevole De Magistris: negligenza inescusabile. Secondo il Tribunale di Salerno "fin dall'inizio mancava qualsiasi elemento, sia pure di mero sospetto, idoneo a sorreggere l'accusa come prospettata". L'inescusabilità della svista è data pure dal fatto che il giudice Bruno non è mai stato interrogato, nonostante lo avesse chiesto per oltre un anno, chiarisce ancora la sentenza. De Magistris si chiede "come mai, a distanza di tanti anni, un'indagine così delicata di mafia che portò anche al coinvolgimento di soggetti che ricoprivano alti incarichi istituzionali e politici venga ripescata prendendo a pretesto la legge sulla responsabilità civile dei magistrati". Glielo diciamo noi: perché è la legge in base alla quale lo Stato è condannato a riparare il suo errore. Riguardo agli anni, De Magistris da ex magistrato dovrebbe ben ricordarsi che la versione preesistente della normativa prevedeva una trafila più lunga per fare causa allo Stato in virtù di un errore commesso dai giudici: c'era il filtro di ammissibilità. Proprio quello che la riforma della settimana scorsa ha eliminato. Proprio quello per la cui abolizione si è infuriata l'Anm. Quasi quasi il sindaco sembra dire: se non c'era il filtro almeno si faceva prima. Ed ecco che, se non fosse per tutte le rogne già incombenti, il sindacato delle toghe potrebbe davvero citare De Magistris per danni. Giustizia: dalla pena alla cura, il tramonto degli Opg. Intervista a Roberto Piscitello (Dap) di Eleonora Martini Il Manifesto, 3 marzo 2015 Intervista. Fine degli Ospedali psichiatrici giudiziari. "Senza ulteriori proroghe", dal 1° aprile l'amministrazione penitenziaria inizierà "gradualmente" il trasferimento degli internati. Parla Roberto Piscitello, direttore generale dei detenuti e del trattamento del Dap. "Non ci saranno ulteriori proroghe alla chiusura degli Opg". Ad assicurarlo è Roberto Calogero Piscitello, Direttore generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap): "Dal primo aprile gradualmente, nel giro di qualche settimana, tutti gli internati saranno trasferiti nelle Rems, le Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria". Un "momento epocale" che però, puntualizza Piscitello, "dovrà essere compiuto molto lentamente, con particolare cura e seguendo attentamente la presa in carica di ciascun internato, perché ogni cambiamento potrebbe costituire un trauma per persone con problemi psichici così gravi e per le loro famiglie". Dall'originario termine di chiusura degli Opg dell'1 febbraio 2013 due decreti legge successivi hanno posticipato quella data prima al 1° aprile 2014 (legge 57/2013) e poi al 1° aprile 2015 (legge 81/2014). Durante la Conferenza delle regioni del 23 gennaio scorso però c'è chi ha chiesto di prorogare ulteriormente al 2017 il superamento di queste strutture. Allora, questa volta si chiudono davvero o no? "Sì. Il 31 marzo inizierà la chiusura degli Opg. Entro il 15 marzo le regioni dovranno comunicare al Dap e all'autorità giudiziaria dove sono state istituite e la loro effettiva attivazione a partire dal 1° aprile. Le Rems andranno a sostituire gli Opg e sono strutture di tipo leggero con una capienza massima di 20 posti letto. Tra l'altro il 26 febbraio in sede di Conferenza unificata è stato firmato un accordo tra le regioni, le autonomie locali, il Dap e il ministero della Salute finalizzato a stabilire le residue norme di ordinamento giudiziario e il regolamento che si applicheranno all'interno di queste piccole residenze". Che tipo di regole? "Una serie di norme minime per le regioni che hanno un timing da rispettare e regole per le strutture, per l'assegnazione dei soggetti internati, per i trasferimenti e i piantonamenti. Regole sul periodo transitorio, sulla conservazione degli atti processuali, sulla formazione del personale, sulla sicurezza, sul monitoraggio e sui rapporti con gli Uffici di esecuzione penale esterna e con la magistratura". Quali competenze ha il Dap su queste strutture? "Dopo che le Regioni avranno comunicato la disponibilità effettiva delle Rems, che dipenderanno dal Ssn, dal 1° aprile, poi spetta al Dap avviare gradualmente i trasferimenti degli internati presso le nuove strutture sanitarie regionali. Noi stimiamo che le persone che da quella data dovranno essere trasferite nelle Rems saranno circa 600. Perché in questi giorni si sta completando un processo, che è iniziato ormai qualche anno fa, di presa in carico di soggetti dimissibili fin da subito e che saranno seguiti dai dipartimenti di salute mentale delle Asl, in un regime depenalizzato a prescindere dalla chiusura degli Opg. Il che permette una notevole riduzione dei posti letto rispetto al programma originario. Quando infatti nel 2009 si è cominciato a ragionare sulla chiusura dei sei Opg italiani, gli internati in totale erano circa duemila. Al 30 gennaio scorso erano 722, visto che ogni settimana si portano a compimento un numero di procedure di dimissione che va tra 5 e 10". Una qualche forma di controllo ci sarà, da parte del Dap? "Il Dap non avrà nessun tipo di controllo su queste residenze: all'interno delle Rems non è prevista la polizia penitenziaria e sarà il personale sanitario dipendente delle Asl ad assolvere anche le loro funzioni. Ci sarà solo un servizio di vigilanza esterna affidato alle prefetture. Ci sono poi mansioni, come la conservazione del fascicolo processuale, per dirne una, che saranno affidate al personale amministrativo delle regioni. Ovviamente è previsto un periodo transitorio in cui il Dap manterrà il controllo su alcune funzioni e procederà alla formazione del nuovo personale. Poi tutto passerà al personale del Ssn". Dalla relazione sullo stato di attuazione della riforma degli Opg trasmessa il 30 settembre 2014 dai ministri Orlando e Lorenzin al Parlamento, risulta che oltre la metà dei pazienti è stata dichiarata dimissibile. C'è stata dunque un'accelerazione nei procedimenti di dimissione degli internati, in vista della chiusura degli Opg? Perché queste dimissioni non sono state avviate prima? "La permanenza negli Opg fino ad oggi, oltre alle previsioni del codice, era determinata anche dai magistrati di sorveglianza che sulla base delle valutazioni fatte dai sanitari decidevano quando si poteva mettere fine alla misura di sicurezza a cui è sottoposta la persona, ovvero intraprendere un percorso terapeutico esterno. Evidentemente, il sistema degli Opg prediligeva le esigenze restrittive rispetto a quelle di cura. Stiamo sempre parlando di misure di sicurezza, non di pene, perché si tratta di soggetti non imputabili, in quanto hanno commesso reati in condizioni in cui non erano capaci di intendere e volere. Obiettivamente il pregio della legge è che individua oggi luoghi alternativi che fino a ieri non c'erano, motivo per il quale spesso la magistratura di sorveglianza si vedeva costretta a prorogare le misure di sicurezza". Non c'è un'anomalia della Regione Sicilia dove la sanità penitenziaria dipende ancora dal ministero di Giustizia anziché dalla Regione, come imponeva il Dpcm del 2008? "No, non c'è. È vero che nelle altre regioni il personale sanitario interno al carcere era già transitato al Ssn, ma in Sicilia si inizierà proprio con l'attivazione delle Rems. Il ministero della Finanza ha dotato la Sicilia al pari delle altre regioni dei fondi necessari per la creazione delle Rems". C'è chi sostiene che queste Rems non siano poi così diverse dagli Opg e che in fondo si ricostituiranno dei piccoli manicomi. Lei cosa pensa? "Lo escludo categoricamente. L'Opg è un carcere, ci sono le celle, c'è il muro di cinta, c'è la polizia. Queste strutture sono residenze a completa gestione sanitaria". Eppure gli Opg chiudono anche per le condizioni disumane di trattamento degli internati rilevate nel 2011 dalla commissione d'inchiesta presieduta dall'allora senatore Ignazio Marino. "In nessun caso, né ieri né oggi è mai stato fatta violenza sugli internati". A Barcellona Pozzo di Gotto Marino trovò un lettino di contenzione mai usato che sollevò grande scalpore… "Comunque quel periodo ha segnato una presa di coscienza importante, secondo me. Grazie a Marino e alla legge che porta il suo nome si è appurata la necessità di trovare posti diversi dagli Opg dove gli internati possano essere trattati psichiatricamente. Perché fino a quel momento l'accento era posto più sull'esecuzione della misura di sicurezza che sulla tutela della salute mentale, che era elemento secondario rispetto alla custodia. Tanto che gli Opg erano in primo luogo istituti di pena regolamentati con norme di carattere penitenziario. Dalla legge 9 del 2012 in poi si è ribaltata la prospettiva, guardando a questi soggetti non più come criminali che hanno problemi di salute ma come malati che necessitano principalmente di cure. E nel regolamento attuativo dell'ottobre 2012 c'è addirittura la descrizione delle caratteristiche strutturali che devono avere le Rems. Ecco dunque che l'investimento esclusivo di tipo sanitario allontana il rischio di ricostituire dei piccoli manicomi". Sono comunque internati. Chi stabilirà allora le regole di vita interne alle Rems? Come saranno distribuiti nelle varie strutture? Ci saranno Rems specializzate nel trattamento di determinate patologie o saranno distinti a seconda dei reati? "Gli internati saranno dislocati ora a seconda del luogo di residenza perciò ogni regione deve garantire le strutture adeguate per il proprio bacino di utenza. Mediamente dovrebbero essere due Rems per ciascuna regione ma tutto l'iter viene monitorato da un tavolo di coordinamento istituito presso il ministero della Salute che si riunisce ogni settimana ed è presieduto dal sottosegretario Vito De Filippo. Saranno i responsabili delle residenze - non i direttori attuali, ma dirigenti sanitari nominati dalle Asl - a decidere il percorso terapeutico-riabilitativo e le regole di vita, come per esempio i colloqui, e su tutto sovrintende la magistratura di sorveglianza. Ma per ora concentriamoci sul trasferimento di queste centinaia di persone, un passaggio delicato che va seguito con cura e lentezza, perché non è funzionale né augurabile una deportazione in massa di questi malati". Giustizia: un appello e digiuno per chiudere gli Opg "senza proroghe e senza trucchi" www.ilfarmacistaonline.it, 3 marzo 2015 L'iniziativa promossa dal Comitato StopOpg è partita l'altro ieri perché la data del 31 marzo 2015 per la chiusura dei presidi "sia rispettata". Prevista una staffetta del digiuno per tutto il mese e manifestazioni in varie città italiane. È partita il 1 marzo la staffetta del digiuno "per chiudere gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari Opg senza proroghe e senza trucchi". "La data per la chiusura dei sei manicomi giudiziari si avvicina: il 31 marzo 2015 è la scadenza fissata dalla legge e vogliamo essere sicuri che sarà rispettata", così si legge nell'Appello sottoscritto dai responsabili delle associazioni che compongono il Comitato StopOpg, che digiuneranno con una staffetta per tutto il mese di marzo. Sono poi in calendario manifestazioni a Cagliari, Firenze, Milano, Roma, Napoli, Venezia e in diverse altre città "Il numero di uomini e donne internati negli Opg - si legge in una nota - è sceso notevolmente in questi ultimi anni: erano 1400 nel 2011, ora sono meno di 800 - secondo le Relazioni del Governo - le persone ancora rinchiuse nei sei manicomi giudiziari (Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa, Napoli, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere). Grazie all'ultima legge, approvata a maggio 2104, che privilegia le misure non detentive alternative all'internamento in Opg, le persone cosiddette "non dimissibili" sono rimaste davvero una piccola minoranza. Ma i nuovi ingressi continuano e c'è il pericolo che al posto degli Opg crescano nuove strutture manicomiali, le cosiddette Rems (i mini Opg), in cui si continuerà ad internare le persone invece che curarle". L'Appello rivendica obiettivi precisi: "Far chiudere gli Opg senza proroghe e senza trucchi, la nomina (da parte del Governo) di un Commissario per l'attuazione della legge 81/2014 sul superamento degli Opg, fermare i nuovi ingressi e favorire le dimissioni, con buone pratiche per la salute mentale, una buona assistenza socio sanitaria nel territorio. E infine evitare le Rems, il cui numero deve essere invece drasticamente ridotto". L'Appello è promosso per StopOpg da: don Luigi Ciotti (Gruppo Abele), Stefano Cecconi (Cgil), Franco Corleone (Garante diritti dei detenuti Toscana), Adriano Amadei (Cittadinanzattiva referente salute mentale), Denise Amerini (Fp Cgil), Stefano Anastasia (Società della Ragione), Cesare Bondioli (Psichiatria Democratica), Antonella Calcaterra (Camera Penale di Milano), Enzo Costa (Auser nazionale), Vito D'Anza, Peppe Dell'Acqua (Forum Salute Mentale), Giovanna Del Giudice (Conferenza Permanente Salute Mentale nel Mondo), Maria Grazia Giannichedda (Fondazione Basaglia), Patrizio Gonnella (Antigone), Fabio Gui (Forum Salute e Carcere), don Giuseppe Insana (Ass. Casa di Barcellona Pozzo di Gotto), Elisabetta Laganà (Presidente Conf. Naz. Volontariato Giustizia), Aldo Mazza (Edizioni Alphabeta Verlag), Michele Passione (Camera Penale di Firenze), Anna Poma (coop. Con.Tatto), Alessandro Sirolli (Associazione180Amici Aq), Gabriella Stramaccioni (Libera), Gisella Trincas (Unasam), Tiziano Vecchiato (Fondazione Zancan), don Armando Zappolini (Cnca). Per aderire all'Appello e al digiuno vai su www.stopopg.it. Giustizia: allarme amianto, il carcere è un killer di Damiano Aliprandi Il Garantista, 3 marzo 2015 In 28 Istituti, il 14 per cento del totale, è presente il minerale cancerogeno fuori legge dal 1992. C'è un killer silenzioso nei penitenziari italiani che potrebbe aver mietuto vittime a lungo termine, Parliamo dell'amianto che è presente nel 14 per cento delle carceri. A rivelarlo è una mappatura aggiornata al gennaio del 2015 in possesso del Dap, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. "Attualmente - comunica il Dap in una nota - sono in corso tutti i controlli e le opere necessarie per rimozione, smaltimento e messa in sicurezza. Il Dipartimento, in continuità con il passato, assicura massima attenzione e tempestività negli interventi futuri". Grondaie, tettoie, pannelli, cassoni, parti di impianti di depurazione, canne fumarie, manufatti all'interno dei vecchi penitenziari continuano a minacciare la salute di chi in galera sconta una pena e di chi ci lavora. Su un totale di 28 carceri è presente il minerale cancerogeno, l'eternit, usato comunemente nelle costruzioni fino al 1992, poi bandito dal nostro Paese attraverso la legge 257. Il quadro presentato dalla mappatura risulta inquietante. Nelle carceri del Piemonte, il Dap segnala ad Alessandria coperture di un locale tecnico con lastre ondulate tipo eternit; presso il carcere di Fossano ci sono lastre di cemento-amianto ricoperte da tegole. A Novara e presente il minerale cancerogeno utilizzato per la copertura della caserma degli agenti e della palestra dove i detenuti fanno attività. A Torino sono in corso verifiche circa il materiale utilizzato per piani interrati del carcere e della caserma, Nelle carceri della Toscana risulta quello di Grosseto con le canne fumarie rivestito di amianto; a Lucca è in corso lo smaltimento di manufatti in eternit; a Massa e a Pisa la direzione carceraria ha chiesto alla Asl la verifica della pericolosità di alcuni manufatti; a Montelupo Fiorentino dopo l'eliminazione di manufatti cancerogeni nel 2013 e stata avviata un'altra procedura di smaltimento ; a Prato sono presenti due coperture in eternit e la direzione carceraria sta valutando delle possibili soluzioni. In Umbria rimangono da risanare dei locali nella struttura carceraria di Spoleto. Nelle carceri sarde sono in corso lavori di rimozione di manufatti in amianto al carcere di Isili e Is Arenas con termine previsto entro il primo trimestre 2015; al carcere di Mamone si e in attesa del nulla osta dei Beni Culturali per la demolizione di un fabbricato e a quello di Alghero sono in fase di programmazione gli appalti per la rimozione, Nelle carceri siciliane ci sono presenze a Castelvetrano con due recipienti di eternit, a quello di Catania il minerale cancerogeno e presente in una tettoia, al carcere di Enna sono accantonati materiali da smaltire, nell'istituto dismesso di Favignana ci sono 150 pannelli in eternit; a Giarre risultano piccoli manufatti in eternit; a Noto sono presenti 10 contenitori in eternit e al carcere di Trapani c'è amianto nelle coperture del magazzino. In Sicilia c'è l'Ucciardone di Palermo dove è ancora in corso la rimozione di materiale in eternit e al carcere di San Cataldo esiste una quantità non precisata di eternit su cui è stata avviata una verifica. In Emilia Romagna, nella scuola di formazione della polizia penitenziaria di Parma, c'è una tettoia nel parcheggio automezzi con presenza di amianto sotto soglia; nel carcere di Piacenza si è in attesa dei risultati delle analisi commissionate sulle fibre presenti nella pavimentazione di un locale, In Calabria, nel carcere di Lamezia Terme, si sta valutando la rimozione di un manufatto in amianto. Non si registra infine presenza di amianto nelle strutture di Lombardia, Basilicata, Lazio, Puglia, Campania, Veneto e Liguria. Nonostante la messa a bando, di amianto si continua a morire. Dalla legge 257 del 1992 che ha sancito la messa al bando delle fibre "velenose", solo 500mila tonnellate di materiale killer sono state bonificate: ovvero solamente il 2% di quello presente sul territorio. L'Italia è fra l'altro uno dei Paesi più esposti: è stato fino alla fine degli anni 80 il secondo maggior produttore europeo di amianto dopo l'ex Unione Sovietica, nonché uno dei maggiori utilizzatori. La sua dannosità era stata riconosciuta addirittura nel 1932 quando alcuni operai americani avevano fatto causa alla loro ditta. In Italia - come abbiamo ricordato - solo nel 1992 ne hanno vietato l'impiego. Il risultato è che ogni anno, nel nostro "Bel Paese", muoiono migliaia di persone che sono state in contatto con l'amianto. L'epicentro è la Venezia Giulia perché lì ci sono i cantieri navali di Monfalcone visto che tutto era fatto in amianto. In quella regione, più o meno tutte le famiglie hanno il proprio morto di amianto. Le fibre di amianto ti penetrano nella pleura, poi d'un tratto, anche a cinquant'anni di distanza, si risvegliano e ti annegano di liquido in un mese. Di amianto si continua a morire e la statistica è inquietante: 5.000 morti all'anno con ancora 34mila siti da bonificare. Giustizia: amianto nelle carceri, se la detenzione diventa pena di morte www.rinnovabili.it, 3 marzo 2015 C'è amianto sui tetti, nelle grondaie, negli impianti di depurazione di una trentina di penitenziari italiani. A rischio anche il carcere minorile di Catania. Il fantasma dell'amianto non si aggira soltanto nelle case, nelle scuole e nelle fabbriche, ma serpeggia anche nelle carceri italiane, già sovraffollate e oggetto di condanna per l'Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo. Oltre al trattamento disumano, i detenuti presenti nel 14% dei penitenziari italiani devono fare i conti anche con il killer silenzioso, che uccide ogni anno 4-5 mila persone. E il peggio deve ancora venire, dato che il picco è atteso per il 2020-2025. La presenza di asbesto è rivelata da una mappatura in possesso dell'Adnkronos. Secondo il Ministero della Giustizia sono 28 le carceri in cui è presente il minerale cancerogeno. Si trova in grondaie, pannelli, cassoni, parti di impianti di depurazione, canne fumarie, manufatti. Il pericolo non riguarda soltanto chi sconta la pena dietro le sbarre, ma anche gli agenti di custodia e tutti i lavoratori del carcere. I sindacati di polizia penitenziaria aggiungono altri istituti oltre a quelli censiti dal ministero. L'elenco sarebbe più lungo, denunciano. Come nel caso di Orvieto, dove "all'interno di un magazzino si trova un deposito di eternit rimosso molto tempo fa, e due canne fumarie funzionanti contengono amianto", dichiara Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del sindacato di polizia penitenziaria Sappe. La mappatura che l'Adnkronos è riuscita ad ottenere è stata anche oggetto di un'interrogazione parlamentare presentata dal deputato del Movimento 5 Stelle, Alessio Villarosa, l'11 febbraio scorso. Il ministero chiarisce che nei casi segnalati "le direzioni hanno da tempo avviato le procedure per lo smaltimento" e dunque "tali situazioni sono sotto controllo, riguardano manufatti esterni alle strutture detentive e comunque in corso di rimozione". Ma la rimozione, sempre stando a quanto scrive il ministero, avverrà "compatibilmente con le risorse disponibili". Il che equivale a dire che, se non ne verranno messe a disposizione, si potrebbe anche non rimuovere un bel nulla. Via Arenula rivela poi la presenza di "pannelli in eternit presso l'impianto di depurazione e nella canna fumaria della centrale termica" nel carcere di Catania Bicocca. Il complesso penitenziario ospita anche il carcere minorile. Altri bambini e ragazzi vanno a gonfiare il numero dei 342 mila minori a rischio amianto che il Censis ha individuato nelle scuole italiane. Il segretario generale di un altro sindacato, il Sippe, Alessandro De Pasquale, ha duramente criticato l'operato del governo: "L'amministrazione statale, il nostro datore di lavoro, ai sensi del decreto legislativo 81 del 2008 ha anche un obbligo di informazione nella propria unità amministrativa. Deve informare i lavoratori sui rischi che ci sono all'interno della struttura ed è chiaro che molto spesso questo non avviene. Dobbiamo sempre ricordare che all'interno di una struttura penitenziaria ci sono i detenuti che devono scontare una pena, ma non è che devono scontare anche una pena di morte". Giustizia: marcia indietro sul falso in bilancio, la pena massima scende da 6 anni a 5 di Liana Milella La Repubblica, 3 marzo 2015 È già marcia indietro sul falso in bilancio. Oggi il governo - il Guardasigilli Andrea Orlando - presenta in commissione Giustizia al Senato l'ultimo emendamento partorito in via Arenula, frutto delle estenuanti mediazioni con il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi e con i tecnici del Mef, il ministero dell'Economia. I risultati si vedono. Se sarà confermata l'ultima bozza che ieri sera i tecnici hanno messo sulla scrivania del ministro della Giustizia, il falso in bilancio già vede calare la pena dagli iniziali 2-6 anni a 1-5 anni per le imprese non quotate in borsa, che ovviamente sono la stragrande maggioranza. L'effetto della diminuzione di pena, che piace a Ncd e soprattutto a Forza Italia, non è affatto di poco conto. Il falso in bilancio non potrà più essere un reato intercettabile, perché su questo il codice di procedura penale è chiaro. All'articolo 266 infatti stabilisce che il presupposto ineludibile per ottenere gli ascolti è che il reato preveda una "superiore nel massimo a 5 anni". La pena "fino" a 5 anni quindi non è sufficiente. Anche oggi, grazie alla "cura" di Berlusconi che risale ormai al 2001-2002, il falso in bilancio, punito fino a 2 anni dai 5 originari, non permette ai pm di chiedere le microspie. Proprio questa è stata, dai tempi della riforma, una delle principali critiche dei magistrati impegnati nelle indagini sui reati finanziari. Ci sono decine e decine di dichiarazioni, interviste, saggi su riviste giuridiche che discettano sulla necessità di poter mettere sotto controllo i telefoni di chi viene beccato a falsare i bilanci. A chi sostiene che questo non è necessario perché il reato è documentale, le toghe obiettano che gli ascolti possono far scoprire l'intenzionalità del falso. Ma su questo reato si è scatenata ormai una vera e propria guerra. Non si contano più nuove versioni e rifacimenti rispetto alla versione approvata in consiglio dei ministri il 29 agosto. Nella testo di quel giorno non c'erano le soglie di non punibilità, dell'1 e del 5%, che poi sono state reintrodotte, giusto le stesse del "falso" in versione Berlusconi; c'era la pena da 3 a 8 anni per le società quotate, che è rimasta; c'era quella da 2 a 6 anni per le non quotate, che si è ristretta a 1-5 anni, dopo l'ultima riunione di tecnici - Giustizia, Mise, Mef - che si è tenuta venerdì scorso. Ma non basta ancora. Ecco, per "salvare" le piccole imprese, un'ulteriore mini-punibilità, 1-3 anni, che dovrebbe restare, ma spesa solo come una sorta di attenuante. L'ennesima aggiunta riguarda la legge sulla tenuità del fatto, espressamente citata nel testo per evitare che qualcuno possa dimenticarsi che esista. La legge che sarebbe dovuta servire per i casuali furti di mele adesso si dovrà applicare ai falsi in bilancio visto che copre reati "fino a 5 anni". Già, questo spiega la diminuzione della pena originaria, quei 2-6 anni che adesso diventano 1-5 anni. Tutti i falsi in bilancio delle società non quotate potrebbero rientrare nella legge sulla tenuità e quindi non dar luogo ad alcun processo. Orlando aveva ipotizzato di presentare l'emendamento in aula, dove il ddl anti-corruzione Grasso dovrebbe approdare già da giovedì. Ma l'ostruzionismo di Forza Italia lo sta bloccando in commissione Giustizia, anche per via delle carte ancora coperte sul falso in bilancio. Il rischio è che non si esca dalla commissione, o peggio che il testo vada in aula senza l'attuale relatore, l'avvocato Nico D'Ascola di Ncd, ma "portato" dal presidente della commissione, il forzista Nitto Palma. Per questo Orlando presenta l'emendamento che, per la sua natura, dovrebbe tranquillizzare almeno i berlusconiani. Vedremo come. Giustizia: Cassazione; non penalmente rilevante l'uso di circa 500 nuove droghe di Dario Ferrara Italia Oggi, 3 marzo 2015 Ma solo per i fatti posti in essere fra l'entrata in vigore della legge 49/2006, dichiarata incostituzionale, e l'avvento del decreto legge 36/2014, approvato dal governo per porvi rimedio: si tratta delle sostanze inserite nelle tabelle soltanto dopo l'entrata in vigore delle modifiche apportate dalla Fini-Giovanardi al Testo unico degli stupefacenti. È quanto emerge in una delle tre informazioni provvisorie depositate dalla sezioni unite penali della Cassazione in materia di stupefacenti. Trova sostanzialmente ingresso la tesi dell'ordinanza di rimessione 50055/14, secondo cui la pronuncia di incostituzionalità della norma incriminatrice ha determinato una vera e propria abolitio criminis perché viene a cadere l'intero sistema tabellare. Il massimo collegio chiarisce anche che i medicinali come il nandrolone, uno degli steroidi anabolizzanti più diffusi nel doping sportivo, sono compresi nella Tabella V introdotta dal decreto legge 36/2014 e sono sanzionati ai sensi dell'articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti "in quanto contengono i principi attivi di cui alle Tabelle da I a IV". Veniamo alle droghe leggere. Gli "ermellini" hanno deciso che anche i piccoli pusher di hashish e marijuana che in passato hanno patteggiato la condanna in base alla "Fini-Giovanardi" hanno diritto al ricalcolo della pena. E ciò nonostante che l'entità della sanzione inflitta rientri a pieno titolo nella nuova cornice edittale applicabile. Ancora: nel giudizio di cassazione, anche quando il ricorso risulta inammissibile, deve ritenersi rilevabile d'ufficio l'illegalità della pena scaturita dalla dichiarazione d'incostituzionalità della nonna che riguarda il trattamento sanzionatorio, come nel caso della legge 49/2006. Infine l'ipotesi dell'aumento di pena irrogato a titolo di continuazione per i reati di spaccio in relazione alle draglie leggere quando i delitti costituiscono reati satellite: anche in questo caso scatta il ricalcolo in base alla più favorevole cornice edittale della Vassalli-Jervolino. Giustizia: Cassazione; il furto è solo "tentato" quando al supermercato c'è la vigilanza di Antonio Ciccia e Alessio Ubaldi Italia Oggi, 3 marzo 2015 La condotta di sottrazione di merce all'interno di un supermercato, avvenuta sotto il costante controllo del personale di vigilanza che interviene subito dopo il superamento della barriera delle casse, si risolve in un mero tentativo di furto. È quanto hanno stabilito le sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 52117, depositata il 16 dicembre 2014. Nel caso di specie una coppia è stata sottoposta a processo per direttissima con l'accusa di furto all'interno di un supermercato. In dettaglio, secondo la procura, i due avrebbero prelevato alcuni beni di modico valore dagli scaffali (profumi, caffè e biscotti), rimuovendo i sistemi antitaccheggio per poi nascondere la refurtiva fin dopo il superamento delle casse. Una volta usciti dal magazzino, è prontamente intervenuta la sicurezza ed è scattato l'arresto in flagranza operato dalla polizia giudiziaria. All'esito del giudizio di primo grado il tribunale ha condannato gli imputati per furto tentato, disattendendo la volontà del pm che aveva chiesto la (ben più grave) pena per furto consumato. Secondo il giudice, infatti, l'azione delittuosa si era "svolta sotto gli occhi dell'addetto alla sicurezza il quale aveva monitorato ogni spostamento", decidendo di bloccare gli imputati all'uscita dei locali solo per ragioni di opportunità, sicché l'apprensione definitiva del bene non poteva dirsi avvenuta. Il verdetto è stato impugnato innanzi alla Corte di cassazione, cui è stato chiesto l'annullamento sul presupposto dell'erronea qualificazione del reato elaborata dal primo giudice. In particolare, la procura ha rimarcato come nel caso in questione la condotta furtiva fosse giunta a consumazione, poiché il superamento delle casse senza "dichiarare" i beni avrebbe segnato definitivamente la volontà degli imputati di impossessarsi arbitrariamente della merce. La Corte, consapevole del serrato dibattito sulla questione, ha chiesto alle sezioni unite di risolvere una volta per tutte i dubbi sulla qualificazione giuridica della condotta furtiva consistente nel prelievo di merce dai banchi di un supermercato e nel successivo occultamento della refurtiva all'atto del passaggio davanti al cassiere, quando tutta l'azione delittuosa si sia svolta sotto il controllo costante del personale addetto alla vigilanza, intervenuto solo dopo che il soggetto attivo abbia superato la barriera delle casse. Gli ermellini riuniti, nel rispondere al quesito, hanno dapprima ricapitolato i due opposti orientamenti maturati nel corso degli anni. Per alcuni, infatti, la condotta in questione integra gli estremi del delitto di furto consumato, a nulla rilevando, al riguardo, il dato che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato incaricato della sorveglianza; per altri, tra cui il tribunale di primo grado, proprio detta "sorveglianza continua dell'azione criminosa" impedisce la consumazione del reato di furto, in quanto la refurtiva, appresa e occultata permane nella "sfera di vigilanza e di controllo diretto dell'offeso, il quale può in ogni momento interrompere" la commissione definitiva del crimine. Dato questo scenario, i giudici romani hanno scelto di aderire all'orientamento da sempre minoritario che riconduce la condotta di cui trattasi nell'ambito del delitto tentato. Nella sentenza in rassegna, si motiva l'adesione alla tesi più benevola sul presupposto che l'impossessamento, da soggetto attivo del delitto di furto, postula "il conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell'agente". Detta disponibilità deve ritenersi esclusa dalla concomitante vigilanza, attuale e immanente, della persona offesa e dall'intervento esercitato a difesa della detenzione del bene materialmente appreso che, proprio per questo motivo, non esce dalla sfera del controllo del suo legittimo titolare. Peraltro, ha osservato la Corte, la condanna alla pena prevista per il furto consumato, oltre a violare il disposto dell'art. 624, c.p., infliggerebbe un duro colpo anche al principio di offensività della condotta. In conclusione, dunque, il monitoraggio durante l'azione furtiva avviata, esercitato sia mediante la diretta osservazione della persona offesa (o dei dipendenti addetti alla sorveglianza o delle forze dell'ordine presenti in loco), sia mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della mercé, e il conseguente intervento difensivo a tutela della detenzione, "impediscono la consumazione del delitto di furto, che resta allo stadio del tentativo, in quanto l'agente non ha conseguito, neppure momentaneamente, l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto del soggetto passivo". Giustizia: Papa Bergoglio; davanti al carcere è bene pensare "lo meriterei anch'io…" Agi, 3 marzo 2015 "Vado per la strada, passo davanti al carcere e penso: eh, questi se lo meritano". Papa Francesco ha esemplificato così il "sentirsi giusto" che caratterizza molti cristiani. Secondo il Papa sarebbe meglio invece dire a se stessi: ‘Ma tu sai che se non fosse stato per la grazia di Dio tu saresti lì? Hai pensato che tu sei capace di fare le cose che loro hanno fatto, anche peggio ancora?". "Questo - ha spiegato nell'omelia di oggi alla Domus Santa Marta - è accusare se stesso, non nascondere a se stesso le radici di peccato che sono in noi, le tante cose che siamo capaci di fare, anche se non si vedono". Nella sua omelia, infatti, Bergoglio ha indicato oggi "un'altra virtù: vergognarsi davanti a Dio, in una sorta di dialogo in cui noi riconosciamo la vergogna del nostro peccato e la grandezza della misericordia di Dio". "A te, Signore, nostro Dio, la misericordia e il perdono. La vergogna a me e a te la misericordia e il perdono", ha pregato ad alta voce il Papa. "Questo dialogo con il Signore - ha poi spiegato ai fedeli - ci farà bene di farlo in questa Quaresima: l'accusa di se stessi. Chiediamo misericordia". "Nel Vangelo - ha poi concluso - Gesù è chiaro: "Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso". Quando uno impara ad accusare se stesso è misericordioso con gli altri perché dice: ‘Ma, chi sono io per giudicarlo, se io sono capace di fare cose peggiori?'". Giustizia: Sappe; è allarme per crisi penitenziari per minorenni, subito interventi urgenti Comunicato Sappe, 3 marzo 2015 L'evasione di un detenuto maggiorenne (tuttora in fuga) dal carcere minorile Ferrante Aporti di Torino ed i gravi disordini accaduti all'interno della struttura detentiva per minori di Airola, in provincia di Benevento, determina la dura reazione del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri. "Questi gravi episodi sono il sintomo di un Dipartimento, quello della Giustizia Minorile, allo sbando, senza una guida certa e definita, gestita da un Capo Dipartimento reggente, e quindi non titolare, che per altro subisce le decisioni incomprensibili della politica, che ha previsto la permanenza nelle carceri per minori di delinquenti adulti fino a 25 anni", denuncia Donato Capece, segretario generale del Sappe. "Da quando sono stati assegnati detenuti adulti, per effetto di una recente legge, questi si comportano con il personale di Polizia e con alcuni minorenni ristretti con prepotenza e arroganza, caratterizzando negativamente la quotidianità penitenziaria. È quel che è accaduto l'altro giorno ad Airola, con i gravi disordini provocati da detenuti maggiorenni arrivato nel carcere minorile e giovanissimi. Ed era maggiorenne anche il detenuto evaso sabato a Torino dal Ferrante Aporti". Il Sappe, alla luce dei gravi fatti accaduti in questi giorni in alcune carceri minorili, denuncia di aver da subito ritenuto "impensabile inserire detenuti di venticinque anni nei penitenziari minorili, come è previsto oggi dalla legge, perché è impensabile far convivere negli stessi ambienti carcerari adulti di venticinque anni con bambini di quattordici. E quello che è accaduto ad Airola e Torino conferma le nostre previsioni, purtroppo. Quel che ci vorrebbe è una complessiva riorganizzazione della giustizia minorile, che metta a capo dei Reparti negli Istituti e servizi della Giustizia Minorile i Funzionari Commissari del Corpo di Polizia penitenziaria. Ma si deve seriamente riflettere se non sia giunta l'ora di sopprimere il Dipartimento della Giustizia Minorile, utile solo a distribuire poltrone dirigenziali, e ricondurre il circuito penitenziario minorile (poco meno di 400 le presenze detentive in tutta Italia) nel suo naturale alveo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, com'era una volta. Visto che la Giustizia minorile non ha neppure un Capo Dipartimento in pianta stabile, ma un magistrato che temporaneamente regge l'incarico". Giustizia: agenti sospesi per insulti via Facebook, l'Osapp diserta l'incontro con il Dap Ansa, 3 marzo 2015 L'Osapp non parteciperà alla convocazione per il nuovo accordo quadro nazionale indetta presso il Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, per il 4 marzo: un segno di protesta contro la sospensione di 16 agenti per il caso degli insulti via Facebook a un detenuto suicida. Sospensione che, secondo il sindacato di polizia penitenziaria, è stata presa "per ragioni assolutamente non chiare ma comunque in dispregio alle regole vigenti" e ha comportato una sospensione cautelare "senza alcuna scadenza", eludendo "i principi del giusto processo disciplinare". Il sindacato lo ha comunicato ieri con una lettera, firmata dal segretario generale Leo Beneduci, inviata al capo del Dap, Santi Consolo, ai presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso, al ministro della Giustizia Andrea Orlando. L'organizzazione sindacale ritiene che, con al sua decisione, l'Amministrazione penitenziaria non abbiamo messo gli agenti nelle condizioni di "contestare gli addebiti" e di "fornire i prescritti elementi di discolpa anche relativi al proprio stato di servizio, nella maggioranza dei casi immacolato e pluridecennale". L'Osapp ricorda inoltre che a diversi agenti viene contestato non il fatto si aver postato dei commenti, ma di aver cliccato "Like" a commenti altrui. Il sindacato contesta inoltre "l'ennesima ed immutabile prassi di criminalizzare pubblicamente i poliziotti penitenziari in maniera del tutto avulsa da fatti e circostanze" e lamenta "lo stato di abbandono senza difese istituzionali che da tempo grava sull'intero Corpo", chiedendo un intervento delle autorità politiche. Giustizia: iniziativa solidale Conad per donne detenute e donne che subiscono violenza di Silva Valier www.corriereinformazione.it, 3 marzo 2015 Da oltre quarant'anni Conad mette in pratica valori consolidati quali l'impegno sociale, il dialogo con le comunità, la condivisione delle loro necessità: un impegno solidale che trova sintesi nel sostegno a progetti nazionali e internazionali. In occasione della ricorrenza dell'8 marzo Conad sostiene le detenute e le donne che subiscono violenza con un'iniziativa solidale legata a braccialetti sartoriali confezionati in carcere. Per aiutare queste donne a reinserirsi nella società e migliorare il loro futuro saranno messi in vendita, a partire dal prossimo 2 marzo, 380 mila braccialetti sartoriali realizzati in materiale lycra riciclata e confezionati nelle carceri femminili da Officina Creativa. Una concreta opportunità di sostegno alle donne che vogliono lasciarsi alle spalle un passato difficile. Conad devolverà una quota del ricavato all'associazione DiRe - Donne in rete contro la violenza, cui aderiscono 70 centri antiviolenza presenti in tutta Italia. Centri in cui le donne che hanno subito violenza sono aiutate a superare il loro dramma personale grazie all'accoglienza telefonica, ai colloqui personali, all'ospitalità in case rifugio e a numerosi altri servizi messi a loro disposizione. Attraverso il marchio Sigillo, nato nel 2009, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria certifica la qualità e l'eticità dei braccialetti e di tutto ciò che è realizzato all'interno delle sezioni femminili di alcuni istituti penitenziari coordinando lo sviluppo di un'imprenditorialità femminile. Attraverso un modello di economia sostenibile che fa dialogare tra loro i laboratori sartoriali che operano a livello nazionale nelle carceri, alle detenute è offerta una concreta opportunità di reinserimento nella vita sociale, perché imparano un mestiere e percepiscono un regolare stipendio. "Vogliamo celebrare la giornata dell'8 marzo non limitandoci al gesto di donare la mimosa, bensì offrendo alle donne più deboli - che vivono l'esperienza del carcere o hanno subito violenza - una concreta opportunità di chiudere con un passato difficile e contribuendo a migliorare il loro futuro" dichiara l'amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese. "Una sensibilità, quella verso la condizione delle donne, che si rispecchia anche nella nostra struttura. Sono anni che la solidarietà praticata ha un ruolo di primo piano in ciò che facciamo: i nostri clienti sono sensibili su questo tema e ci seguono nelle iniziative che proponiamo. I risultati che otteniamo ci spingono a fare sempre di più". "Una scommessa difficile, certo, ma la vitalità di questo progetto ha ricevuto numerose adesioni da parte delle direzioni di istituti penitenziari e delle cooperative sociali operanti nel settore del tessile", fa notare il vice capo vicario del Dipartimento amministrazione penitenziaria Luigi Pagano. "Ad oggi sono oltre 15 gli istituti in cui il progetto Sigillo ha attivato laboratori sartoriali, grazie a un importante lavoro di collaborazione tra le cooperative promotrici dell'iniziativa, le eccellenze dell'imprenditorialità italiana e tutte quelle realtà penitenziarie territoriali che, mettendosi in gioco, offrono alle donne detenute coinvolte nel progetto nuove opportunità di crescita e di valorizzazione delle proprie capacità professionali. Il nostro obiettivo è quello di estendere il progetto a tutte le carceri femminili e per riuscirci abbiamo bisogno della collaborazione convinta di aziende e realtà produttive che credono nella missione del progetto Sigillo. E proprio in quest'ottica è nata la collaborazione con Conad per la produzione di braccialetti e tovagliette, che ha visto impegnate molte delle donne detenute impiegate nei laboratori sartoriali presenti negli istituti di Milano, Lecce, Trani, Vigevano, Santa Maria Capua Vetere, Genova e Torino". "È un grande piacere per noi collaborare con Conad in questa iniziativa", sottolineala presidente di DiRe Titti Carrano. "Il marchio Conad rappresenta un legame concreto e quotidiano con un numero enorme di donne di ogni regione, età, livello culturale. È proprio questo il pubblico che vogliamo raggiungere per informare tutte e tutti che la violenza maschile contro le donne è un fenomeno endemico, strutturale della nostra società. Dobbiamo sapere e far sapere che è possibile sottrarsi alla violenza e ricostruire la propria vita, come vediamo ogni giorno accadere nei centri antiviolenza. Per ottenere questo risultato è necessaria la collaborazione di tutti, delle istituzioni come delle grandi aziende. Ci rende poi doppiamente orgogliose partecipare a una iniziativa che coinvolge il carcere. Le donne in carcere hanno alle spalle una storia di dolore e fatica. Attraverso il lavoro, la cura delle proprie abilità, la socializzazione, molto si può fare per l'autostima e il futuro reinserimento di queste donne". Un problema di forte impatto sociale, quello delle donne che subiscono violenza. La cronaca quotidiana e le indagini giornalistiche degli ultimi anni sono piene di donne uccise da mariti, fidanzati, compagni, amanti, ex. Il 2013 è stato un anno nero per i femminicidi, con 179 donne uccise, una vittima ogni due giorni. Rispetto alle 157 del 2012, le donne ammazzate sono aumentate del 14 per cento (fonte: 2° Rapporto sul femminicidio in Italia, Eures). Dati allarmanti, ancor più perché registrati soprattutto in seno alle famiglie e tra le mura domestiche. Sul fronte carcerario, le donne detenute sono presenti in tanti dei 201 istituti penitenziari italiani, 5 dei quali, peraltro, interamente per donne. Rappresentano il 4,3 per cento (2.349) della popolazione carceraria complessiva di 53.889 detenuti (fonte: ministero della Giustizia). Lettere: i magistrati e l'interpretazione della riforma di Rodolfo Sabelli (Presidente dell'Anm) La Repubblica, 3 marzo 2015 Caro direttore, domenica ho letto l'editoriale di Scalfari. Ne apprezzo gli spunti di riflessione ma non posso condividere il giudizio sulla buona qualità della riforma della responsabilità civile dei magistrati. Purtroppo, l'azione civile non sarà consentita solo all'esito della sentenza definitiva ma sarà possibile anche in corso di giudizio, contro i provvedimenti sommari e cautelari divenuti irrevocabili e contro ogni provvedimento, una volta trascorsi tre anni. Dunque, potrà accadere che l'azione civile si sviluppi parallelamente al processo, col rischio di causare incompatibilità dei giudici e di prestarsi (come già accaduto in passato) ad abusi, che il filtro ha consentito, finora, di stroncare sul nascere. La sua abolizione darà spazio invece ad ogni sorta di azione, la cui inammissibilità potrà essere dichiarata solo all'esito del giudizio. Quanto alla tutela dell'interpretazione, avere ampliato la responsabilità al "travisamento del fatto o delle prove" apre un varco al sindacato sul merito del giudizio. Se per "travisamento" deve intendersi soltanto il macroscopico e inescusabile stravolgimento dei fatti, perché si è scelta invece una formula così ambigua? In realtà, i rischi della riforma li avevamo segnalati sia alla Commissione giustizia della Camera sia al ministero della Giustizia. Se alcune previsioni del testo originario sono state eliminate, la volontà politica è rimasta ferrea sul travisamento e sull'eliminazione del filtro. Quanto alla richiesta di maggiori risorse - ma anche di migliori leggi civili, penali e processuali - da sempre noi la rivolgiamo alla politica, senza grandi risultati, finora. Che la riforma della responsabilità civile sia giunta prima, dovrebbe far riflettere sul senso di tale scelta. Risponde Eugenio Scalfari Ho piacere che queste obiezioni così lucide e sottili siano portate, tramite il nostro giornale, a conoscenza della pubblica opinione. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando, con il quale ho avuto negli ultimi giorni vari contatti telefonici, credo conosca bene le vostre obiezioni e credo anche che nei limiti delle sue possibilità ne abbia tenuto conto, modificando in alcuni punti ancora più sensibili il testo iniziale della legge la quale passò al Senato e più recentemente anche alla Camera. Il medesimo ministro mi ha detto che proprio parlando con lei seppe che la maggioranza della vostra Associazione voleva comunque che la legge passasse per evitare che la rivalsa fosse direttamente effettuata sul magistrato denunciato da un ricorso e non più dallo Stato nella persona del Presidente del Consiglio, salvo rivalsa in alcuni casi e comunque nei limiti di metà dello stipendio dal medesimo percepito. Non credo, anzi escludo, che il ministro mi dicesse bugie. Lei, egregio presidente, smentisce o conferma questa vostra pressione affinché comunque la legge fosse approvata? Questo sarebbe interessante saperlo. Quanto al resto delle sue obiezioni, penso che tocchi non certo a me ma al ministro rispondere sul nostro giornale o in Parlamento o comunque pubblicamente. Lettere: speriamo almeno che Bossetti non sia innocente... di Tiziana Maiolo Il Garantista, 3 marzo 2015 Dobbiamo solo sperare che sia colpevole, Massimo Bossetti, che abbia aggredito, seviziato e ucciso Yara Gambirasio. Perché, se così non fosse, ci troveremmo di fronte a uno dei maggiori scandali giudiziari del nostro Paese. E non ce ne è davvero bisogno, neppure dopo che il Parlamento ha votato la riforma sulla responsabilità civile dei magistrati. Perché in questo caso occorrerebbe chiamare in causa anche le forze dell'ordine, gli uomini del Ris (che in esibizionismi e prove muscolari non sono secondi a nessuno) e la gran parte dei giornalisti italiani. Il grande circo mediatico-giudiziario alla sbarra, tutti insieme. Gli hanno costruito addosso un vestito che pare una bara di cemento: il dna, le immagini del furgone vicino alla palestra dove si era recata Yara quel 26 novembre 2010 prima di essere inghiottita nel nulla, le celle telefoniche, i fili di tappezzeria sugli indumenti di Yara compatibili a quelli dei rivestimenti interni al furgone, le immagini cancellate da un computer comprato usato da Bossetti, la testimonianza tardiva di una signora residente in un paese vicino. Questi erano, fino a pochi giorni fa, gli indizi. Processualmente, con la sola eccezione del dna di Bossetti trovato su leggins e slip di Yara, alquanto fragili, facilmente rovesciabili da un bravo avvocato. E anche lo stesso dna nucleare, in assenza del corrispondente mitocondriale, può essere messo in discussione. Se in Italia la parola di ogni Pubblico Ministero non fosse vangelo, il bravo avvocato potrebbe anche sospettare che il vero assassino abbia in qualche modo "trasportato" tracce dei geni di Bossetti sul corpo di Yara. Ipotesi un po' romanzesca, certo, ma non lo sono anche troppo spesso certe suggestioni dei rappresentanti dell'accusa? Noi non siamo in grado di leggere le 60.000 pagine del Pubblico Ministero. Ma speriamo che spieghino prima di tutto quando, dove e come è morta la vittima. E poi che abbiano trovato l'arma del delitto e il movente. Oltra al nome dell'assassino, naturalmente. Ma questa è l'unica risposta che ci è stata data finora: l'assassino, secondo l'accusa, si chiama Massimo Bossetti. Ma succede in questi giorni qualcosa di singolare. Con il deposito degli atti - non è vero che siano pubblici, sono solo a disposizione delle parti, solo alcune delle quali hanno interesse a diffonderli - non pare ci siano risposte ai quesiti principali su prove e indizi, ma solo intercettazioni. Sì, frasi spezzettate e selezionate a effetto dei colloqui in carcere tra Bossetti, sua moglie e altri familiari, registrati tramite una cimice, così segreta che i detenuti l'hanno trovata dopo poche ore. E a questo punto che la "prova regina" non è più quella del dna, ma le parole dell'imputato. E come se stessero cercando di trasformare Bossetti nel Pubblico Accusatore di se stesso. La sua accorata autodifesa viene liquidata con frasi del tipo "e dopo aver ripetutamente come al solito cercato di difendersi, diceva però che..." e giù la tesi dell'accusa. Dice alla moglie di far sparire coltelli e coltellini? Sono sicuramente le armi del delitto, come se la sua casa, l'auto e il furgone non fossero stati passati al microscopio nelle perquisizioni. Dice che non gli interessano gli sconti di pena perché non ha niente da dire e comunque non potrebbe mai, con una eventuale confessione, dare un dispiacere alla sua famiglia? Colpevole e reo confesso. Non dimentichiamo che, quando Bossetti fu arrestato, il ministro dell'interno Angelino Alfano disse: "Abbiamo arrestato l'assassino di Yara Gambirasio". Oggi noi aspettiamo di sapere, a quasi un anno di distanza, se è vero. Ma prima vogliamo capire perché, se il movente era di tipo sessuale, non ci sia stata violenza, e anche perché sul furgone di Bossetti non ci siano tracce di Yara, neanche del suo sangue prodotto dalle ferite trovate sul suo corpo. Dove è stata ferita la ragazzina, se non nel furgone? Nel campo di Chignolo, in una serata invernale di freddo e di pioggia? E di che cosa è morta? Se nelle sessantamila pagine del Pm non ci sono queste risposte, Massimo Bossetti è innocente. E la procura di Bergamo ha sprecato quattro anni e mezzo di indagini. Infine, si prepari Bossetti a fare la sua causa di risarcimento per ingiusta detenzione e la causa civile allo Stato, se non c'è la prova delia sua colpevolezza. Perché Yara Gambirasio, la sua famiglia e noi tutti, abbiamo diritto a vedere un processo con le prove. E presto. Sicilia: una bomba di amianto sulle carceri dell'isola di Rosario Battiato Quotidiano di Sicilia, 3 marzo 2015 La mappa del ministero: 11 strutture dell'Isola sulle 28 nazionali presentano manufatti da rimuovere o in fase di rimozione. Segnalazioni del sindacato di polizia penitenziaria e del M5S. A rischio Piazza Lanza e Bicocca. Pensare alle carceri italiane come strutture di recupero non è mai stato un pensiero immediato, dati i ben noti problemi che gravano sul sistema nazionale in termini di sovraffollamento e qualità degli spazi, ma adesso sarà ancora più difficile. L'Adnkronos ha infatti diffuso la mappatura nazionale del ministero della Giustizia relativa alla presenza di un compagno di cella particolarmente invasivo e pericoloso: l'amianto. In tutta Italia sono 28 le carceri, pari al 14% del totale, che ancora mantengono manufatti realizzati col minerale cancerogeno, responsabile di alcune patologie correlate all'esposizione tra cui il mesotelioma pleurico. Di queste 11 si trovano in Sicilia. Nel mirino del rischio non ci sono soltanto i detenuti, ma anche i lavoratori delle strutture. Un ritardo colossale nelle bonifiche a fronte di una legge nazionale che ne ha disposto l'azione di rimozione nel 1992. Lo scorso 11 febbraio Alessio Mattia Villarosa, deputato del M5S alla Camera, ha presentato una interrogazione in materia, riportando le segnalazioni del Sippe (Sindacato di polizia penitenziaria) al Visag (servizio di vigilanza sull'igiene e la sicurezza dell'amministrazione della giustizia) "in merito alla presenza, all'interno di diversi istituti penitenziari della penisola, di materiale in cemento amianto potenzialmente dannoso per la salute umana". Nel 2013 lo stesso Villarosa, durante una visita ispettiva al carcere di Messina Gazzi, "ha notato la presenza di un capannone, con una copertura di circa 250 metri quadrati in eternit, in prossimità di uno dei muri esterni della struttura carceraria, quindi, molto vicino anche alle abitazioni dei cittadini residenti nelle vicinanze del carcere". Inoltre la presenza di materiale in cemento amianto "è stata riscontrata anche nel carcere di Palermo Ucciardone e, a tal riguardo, il Sippe e l'Associazione diritti e tutele hanno presentato un esposto alla procura della Repubblica di Palermo". Segnalazioni che anticipano quanto contenuto nella mappatura ministeriale che riporta ben 11 segnalazioni in Sicilia, pari al 40% del totale nazionale. Si comincia con la struttura di Castelvetrano, dove esistono 2 recipienti da 200 litri ciascuno in eternit, impianto in cui "lo smaltimento avverrà a breve tramite ditta specializzata" riporta la nota ministeriale. A Catania sono ben due le strutture da bonificare: a piazza Lanza c'è una tettoia cortile di passeggio per un totale di 110 mq, per la quale sono "avviate procedure di ricerca di mercato", mentre a Bicocca si trovano pannelli in eternit presso l'impianto di depurazione e nella canna fumaria della centrale termica. Restiamo in provincia di Catania con Giarre, dove si trovano piccoli manufatti in eternit all'interno della serra. Il percorso prosegue a Enna, materiali accantonati da smaltire, e Favignana, 50 pannelli in eternit nella vecchia struttura dismessa. A Messina si sono trovate parti in amianto in corso di rimozione così come sono in corso le operazioni di incapsulamento di coperture in cemento amianto e di rimozione canne fumarie e pluviali. Il nostro giro si conclude con Noto, 10 contenitori in eternit, Palermo Ucciardone, avviate le operazioni di rimozione per alcuni materiali in eternit, San Cataldo, avviata una ricerca idonea di mercato per procedere alla bonifica di una quantità non precisata di eternit, e Trapani, amianto presso le coperture magazzino. Ascoli: Achille Mestichelli ucciso in carcere; i parenti "abbandonati dalle istituzioni" Corriere Adriatico, 3 marzo 2015 "Abbandonati dalle istituzioni, lasciati soli nel momento più buio della nostra famiglia da coloro che, invece, avrebbero potuto esprimerci la loro vicinanza e adoperarsi per aiutarci a far luce su un dramma senza fine. Anche solo con una telefonata". A poche settimane dalla morte di Achille Mestichelli, ucciso nella cella del carcere di Marino del Tronto, Luigia Cialini, parente della vittima, che insieme al resto della famiglia vive a Castel di Lama, punta il dito contro le istituzioni locali. Contro chi, a suo dire, "ha mostrato un assordante silenzio. Che fa male". Ma il dolore della famiglia di Mestichelli risale a circa un mese e mezzo prima della sua morte, quando, racconta Luigia Cialini "Achille mi scrisse una lettera dal carcere: mi disse che la vita li dentro era dura e che stava cercando in tutti i modi di ottenere un incontro con me, ed io stessa, per almeno un mese, ho chiesto più volte il permesso alla direzione del carcere di poter andare a colloquio con lui. Ma non c'è stato verso. Me l'hanno negato più volte. Si sono ricordati della famiglia solo quando è avvenuta la tragedia". Poi, l'ombra di un sospetto atroce sulla fine di Mestichelli: "Il giorno della tragedia - prosegue la parente della vittima - siamo stati chiamati a casa ed il carcere ci ha avvisati di un improvviso malore di Achille, forse una ischemia. Ci siamo recati subito all'ospedale Torrette di Ancona e quando siamo arrivati i medici che lo hanno assistito ci hanno guardati in faccia allibiti. E sono stati proprio loro a far partire la segnalazione". È stato spinto, oppure Achille Mestichelli è stato vittima di una selvaggia aggressione? Un interrogativo, questo, che ora è al vaglio degli inquirenti. Ma la gravità delle lesioni riportate dalla vittima parlano chiaro: sette costole fratturate, frattura del cranio, di una vertebra, infrazione della milza e diverse ecchimosi agli arti superiori del corpo. Un quadro autoptico agghiacciante, che potrebbe dare più forza alla tesi dell'aggressione selvaggia. E a questo punto, il quadro accusatorio del suo compagno di cella, Ben Ali, tunisino di 24 anni, accusato di omicidio preterintenzionale, compagno di cella di Mestichelli, potrebbe aggravarsi ulteriormente. "Nei giorni scorsi - prosegue Cialini - sono stata in carcere per ritirare gli effetti personali del povero Achille: si tratta di una vicenda gravissima e i funzionari del penitenziario mi hanno assicurato che faranno tutto il possibile per scoprire la verità". Ma lo sdegno e lo sgomento dei parenti resta vivo: "La struttura carceraria - conclude Cialini - ci ha, di fatto, impedito di vedere Achille. Ci hanno avvisato solo per dirci che si era sentito male. E qualche ora dopo è morto". Bolzano: sta per nascere il carcere in project financing, primo caso in Italia Il Sole 24 Ore, 3 marzo 2015 La Società Italiana Condotte, tramite la controllata Inso, è coinvolta in un'opera da 54 milioni, di cui il 67% a carico del privato: dovrà gestire anche mensa, attività sportive e formative. Per la prima volta un carcere in project financing. Accadrà a Bolzano: la Società Italiana per Condotte d'Acqua - in raggruppamento temporaneo di imprese con Inso - si è aggiudicata la gara della Provincia autonoma (il bando era del 15 luglio 2013) per la progettazione, la costruzione e gestione della nuova Casa circondariale della città altoatesina. Il valore complessivo della gara è di 54 milioni di euro, il 67% dei quali a carico del privato (36,18 milioni) e il rimanente 33% (17,82) a carico del pubblico. La durata della concessione sarà di 18 anni, di cui due anni e tre mesi previsti per la realizzazione dell'opera. La struttura - che sorgerà nella zona sud di Bolzano, vicino all'aeroporto, su un'area di 18mila metri quadrati - potrà ospitare 220 detenuti, 100 operatori di polizia penitenziaria, con 30 posti per agenti in caserma e 25 unità di personale civile. Fuori dalla cinta muraria - precisa una nota di Condotte - sono previsti il controllo accessi, la direzione e i relativi alloggi e la sezione dei detenuti semiliberi. All'interno, invece, oltre alla sezione di reclusione, saranno ricavati l'infermeria, gli spazi per il lavoro, una sala polivalente, un campo da calcio a sette, una palestra, la cucina e la lavanderia. La fase gestionale prevede più servizi: la manutenzione ordinaria e straordinaria, la gestione delle utenze, i servizi mensa, lavanderia e pulizia, nonché la gestione delle attività sportive, formative e ricreative. "È una novità assoluta in Italia - commenta Duccio Astaldi, presidente di Condotte - e ci affascina l'idea di essere pionieri in questo settore, come ci è più volte capitato nella nostra storia in mercati e Paesi diversi L'eterogeneità dei servizi previsti dalla gara non è un problema, ma al contrario esalta la nostra natura di general contractor". Quelli che Condotte gestirà per la nuova Casa circondariale di Bolzano sono servizi che il terzo general contractor italiano già svolge in altre situazioni. Nel caso specifico del carcere di Bolzano, sono richiesti protocolli di sicurezza molto stringenti. I detenuti, oltre a essere impiegati in alcuni servizi interni (mensa, pulizia), saranno coinvolti in laboratori teatrali e musicali e in corsi professionalizzanti. Ora è solo questione di tempi: si parte dalla conferenza dei servizi per poi giungere all'approvazione del piano esecutivo definitivo. Vicenza: ampliamento del carcere, da dicembre il cantiere è chiuso per mancanza di fondi Giornale di Vicenza, 3 marzo 2015 I Sindacati: "Casse all'asciutto. Si attendono notizie da Roma". Erano previsti 200 posti in più. Da tempo si parlava dell'allargamento con 200 posti in più. Intervento iniziato, ma da dicembre scorso il cantiere è vuoto. Un cantiere fantasma, senza operai. Da dicembre non si vede anima viva in via della Scola. Eppure il progetto per l'ampliamento rientrava nel Piano Carceri voluto dal ministro Angelino Alfano, poi rivisto con alcuni tagli che non riguardavano però la struttura della città. Che cosa sia accaduto da marzo dello scorso anno, quando in prefettura venne firmato il protocollo di legalità con il prefetto Eugenio Soldà per prevenire infiltrazioni criminali, lo si sa in parte. La ditta appaltatrice ha iniziato ad operare, sono state gettate le fondamenta di quel padiglione che doveva permettere a San Pio X di avere 200 posti letto in più da costruire in 430 giorni di lavoro, come prevede il capitolato ministeriale. Spazi voluti, chiesti in più occasioni da una delle case circondariali più sovraffollate d'Italia. Con una capienza di 120 posti letto si è trovava ad accogliere oltre 300 detenuti. Milano: mancano strutture idonee, per i detenuti malati scarcerazioni ritardate Redattore Sociale, 3 marzo 2015 La denuncia del giudice del Tribunale di Sorveglianza di Milano, Beatrice Crosti. Mancano le strutture nonostante le numerose richieste di affidamenti a servizi esterni al carcere. La proposta del giudice: un centro per lo smistamento dei detenuti che devono essere scarcerati per motivi di salute. "È capitato spesso di dover tenere persone in carcere perché non si sapeva dove mandarle. Oppure di ritardare scarcerazioni per riuscire a trovare una soluzione". Sono le parole con cui il giudice del Tribunale di sorveglianza di Milano Beatrice Crosti ha sintetizzato il più grosso problema che il sistema carcerario di Milano. Mancano le strutture adeguate per detenuti che hanno bisogno di un ospedalizzazione una volta usciti dal carcere. Così capita che alcuni di loro, i più gravi, restino in infermeria nel penitenziario, nell'attesa che si liberi un posto in qualche hospice. È la denuncia che emerge dall'incontro "Il carcere e la città. Promuovere buoni processi di inclusione sociale e di sostegno all'autonomia", nell'ambito del Forum delle Politiche sociali del Comune di Milano. Misure alternative. Il Tribunale dei Sorveglianza fa quanto può per alleggerire con pene alternative da scontare fuori dal carcere. E i risultati sono apprezzabili: nel 2013 le richieste accolte di affidamento ai servizi sociali sono state 1116 e 111 le respinte. Nel 2014 1.463 accolte e 100 respinte e nei primi due mesi del 2015 le richieste accolte sono state 184 e 12 respinte. Gli ultimi numeri dell'Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna) di Milano indicano che i casi di affidamento sono stati 1.423, altri 820 i casi di detenzione domiciliare e 190 quelli in libertà vigilata. Numeri che evidenziano l'impegno della magistratura milanese a tenere, chi può, fuori dal carcere. Almeno quando ci sono le condizioni. Anche con i detenuti ai domiciliari, infatti, sorgono spesso problemi. Capita spesso che il ristretto a fine pena o che deve espiare a casa sua non possa rientrare nella sua vecchia abitazione perché inquilino abusivo: come fare a quel punto? "Il più delle volte gli ex detenuti tornano a casa dai loro familiari, evento che spesso crea nuovi conflitti in famiglia", racconta la Garante dei detenuti di Milano Alessandra Naldi. Per questo il magistrato Crosti propone di creare "come un centro di smistamento di chi va preso in carico fuori dal carcere, per evitare che si debba ricorrere sempre alla buona volontà di qualcuno o ai propri contatti". Una proposta accolta anche dalla Garante dei detenuti. Sovraffollamento. Notizie migliori invece sul fronte sovraffollamento delle carceri: in tutte le strutture milanesi, spiega il provveditore lombardo Aldo Fabozzi, "sono garantiti i tre metri quadri a detenuto, in alcuni casi si arriva anche a quattro". La situazione migliorerà ulteriormente con l'aggiunta di 75 posti nel carcere di Busto Arsizio e un altro reparto a Cremona. Milano: Expo, il ministero assume cento detenuti per i sei mesi dell'esposizione Redattore Sociale, 3 marzo 2015 Faranno di tutto: dai facchini al servizio di accoglienza alla fiera. Saranno pagati a mercede e lavoreranno per tutti i sei mesi dell'esposizione. Il risultato grazie ad un accordo firmato dal Provveditorato dell'amministrazione penitenziaria con Expo Spa. All'Expo lavoreranno cento detenuti delle carceri milanesi. È il risultato ottenuto dal Provveditorato dell'amministrazione penitenziaria (Prap) di Milano grazie ad un accordo con la società Expo spa. Lo annuncia il provveditore Aldo Fabozzi durante l'incontro "Il carcere e la città", nell'ambito del Forum delle Politiche sociali. La convenzione tra Prap ed Expo si articola in tre moduli. Il primo prevede appunto che l'amministrazione assuma 100 detenuti che svolgeranno diverse mansioni nei sei mesi dell'esposizione universale, dal facchinaggio all'accoglienza dei visitatori. "Saranno pagati a mercede, con uno stipendio inferiore di un terzo rispetto ai contratti collettivi nazionali, come previsto dalla legge 354 del 1975", spiega Luigi Palmiero, responsabile del settore lavoro in carcere all'interno del Prap. Nella convenzione l'amministrazione penitenziaria si impegna poi ad organizzare un convegno a Expo sul tema dell'inclusione sociale a cui parteciperà il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Ancora da fissare la data e il titolo dell'evento. Il terzo modulo è stato parzialmente modificato rispetto alla stesura originale: all'inizio prevedeva che le cooperative sociali che lavorano in carcere avessero un loro spazio espositivo dentro Expo. Ma il ministero della Giustizia non aveva soldi per partecipare, così alla fine l'esposizione sarà fatta al carcere di Bollate, molto vicino all'area espositiva di Rho. All'interno del sito Expo i visitatori potranno solo vedere i prodotti realizzati dai detenuti di San Vittore insieme alla Libera scuola di cucina: il carcere ha infatti vinto un bando del Padiglione Italia dedicato alle "produzioni carcerarie". Milano: al carcere minorile "Beccaria" iniziative per i detenuti padri www.radiolombardia.it, 3 marzo 2015 "Puntare l'attenzione sui casi, fortunatamente limitati ma in aumento, di detenuti minori già padri. Questa tipologia di detenuti non ha una corretta individuazione nell'ordinamento penitenziario, contrariamente a quanto già avviene nel caso di giovani madri in carcere". Questo l'aspetto che il Presidente della Commissione speciale sulla situazione carceraria, Fabio Fanetti (Lista Maroni) ha voluto sottolineare al termine della visita al carcere minorile "Beccaria" di Milano. Attualmente all'interno del carcere sono presenti 49 ragazzi dai 15 ai 25 anni che vengono seguiti da 55 agenti di Polizia penitenziaria, da 9 educatori, oltre a circa una ventina di istruttori per le varie attività professionalizzanti (falegnameria, elettrotecnica, cucina, oreficeria). "Abbiamo notato il grande impegno degli educatori che riescono a far conseguire qualifiche importanti a questi ragazzi - ha stigmatizzato il Presidente Fanetti. Sarebbe importante sostenere ed ampliare le possibilità lavorative per permettere a questi ragazzi, spesse volte con grandi difficoltà famigliari, di crescere responsabilmente e di reinserirsi nella vita sociale". Al sopralluogo hanno partecipato i consiglieri Paola Macchi (M5S), Fabio Pizzul (Pd), Lara Magoni, Antonio Saggese e Carolina Toia (tutti del gruppo Lista Maroni), che hanno incontrato la direttrice dott.ssa Alfonsa Micciché. Firenze: fiaccolata chiede giustizia per Riccardo Magherini a un anno dalla morte Il Manifesto, 3 marzo 2015 Un anno fa, nella notte tra i 2 e il 3 marzo, moriva a Firenze Riccardo Magherini. Per ricordarlo oggi pomeriggio alle 17.30 familiari e amici daranno vita a una fiaccolata per chiedere la verità sulla sua morte, avvenuta dopo che l'ex calciatore della Fiorentina era stato fermato, in evidente stato di confusione, in Borgo San Frediano da de pattuglie dei carabinieri. Alle 18 si terrà una funzione religiosa nella chiesa di Santo Spirito e alle 18.30 inizieranno gli interventi dei familiari e degli amici. Nel corso della celebrazione saranno consegnate delle candele, simbolo della luce accesa sul caso che ha sconvolto Firenze. "Vogliamo ricordare Riccardo nella sua bellezza e nella sua purezza - hanno spiegato ieri Guido e Andrea Magherini, padre e fratello dell'ex promessa viola - con le persone che gli volevano bene e che in questo anno ci hanno accompagnato in questo cammino difficile e con tutti i fiorentini che vorranno venire a ricordare Riccardo. Purtroppo Riccardo non potrà mai restituircelo nessuno ma insieme ai suoi amici e alle persone che ogni giorno ci dimostrano affetto e solidarietà continueremo a raccontare la sua storia perché nessuno possa più morire nelle mani dello Stato mentre chiede aiuto". Lo scorso 3 febbraio il Gup del Tribunale di Firenze, Fabio Frangini, ha rinviato a giudizio i quattro carabinieri e i tre soccorritori del 118, volontari della Croce Rossa, accusati di omicidio colposo per la morte di Magherini. Uno dei militari è accusato anche di percosse. Il processo è stato fissato per il prossimo 11 giugno. Lecce: tenta di evadere da Borgo San Nicola scalvando il muro del reparto transito www.lecceprima.it, 3 marzo 2015 Fermato un nigeriano 26enne. I baschi azzurri l'hanno bloccato ancora all'interno del perimetro di sicurezza del carcere. Pressappoco nello stesso modo nei giorni scorsi è evaso un 18enne a Torino. La notizia trapelata dal Cosp, una delle sigle sindacali della polizia penitenziaria. Si sarebbe arrampicato sul muro perimetrale che delimita il passeggio del cortile reparto transito, e tutto questo davanti agli occhi di un agente di polizia penitenziaria che lo teneva sotto osservazione. Ehiejilikwe Moritz Ifeanyi, giovane nigeriano di 26 anni, avrebbe tentato in questo modo una clamorosa evasione dal carcere di Borgo San Nicola. La notizia è trapelata tramite una nota della segreteria generale nazionale del Cosp, uno dei sindacati della penitenziaria, coordinata da Domenico Mastrulli. Subito è stata messa in allerta la sorveglianza generale dell'istituto e i "baschi azzurri". Il nigeriano sarebbe stato alla fine intercettato e bloccato ancora all'interno del perimetro di sicurezza del carcere. Tutto questo, intorno alle 10,20 circa. Il 26enne si trova nel penitenziario del capoluogo per scontare una condanna definitiva, con fine pena prevista nel 2018, per reati contro persona e patrimonio. All'atto del fermo, avrebbe opposto anche una passiva. Il 26enne è stato fermato più volte, negli anni scorsi, per aver molestato gli automobilisti all'altezza di un semaforo nei pressi di un incrocio con viale Gallipoli, pretendendo denaro con modi bruschi e intimidazioni e arrivando a minacciare anche i poliziotti chiamati da alcuni passanti spaventati. In passato era stato fermato anche per violenza sessuale e tentato omicidio e condannato dal Tribunale di Foggia. Un personaggio, dunque, dal carattere molto particolare. Il Cosp invia dunque una nota di apprezzamento agli agenti della polizia penitenziaria per il fermo del fuggitivo e coglie l'occasione per rimarcare per l'ennesima volta come a Lecce si operi con personale sottodimensionato di circa cento uomini e venti donne, fra pensionamenti e riforme, senza alcun ricambio. L'episodio di oggi a Lecce, peraltro, ricorda Mastrulli, segue a 24 ore di distanza dall'evasione consumata a Torino di un detenuto di 18 anni, praticamente nello stesso modo e ancora ricercato. "Il sindacato Cosp - si legge nella nota - si dichiara contro la vigilanza dinamica e le celle aperte nelle carceri a fronte delle negative situazioni registratesi sul territorio, e chiede al ministro della giustizia Andrea Orlando e al capo del Dap, Santo Consolo, maggiore attenzione per le 236 carceri in Italia e per i baschi azzurri del corpo che operano in sofferenza, con eccessivo carico di lavoro e in condizioni igienico-sanitarie preoccupanti". Torino: si costituisce dopo 48 ore il diciottenne evaso dal carcere minorile www.torinotoday.it, 3 marzo 2015 È durata appena due giorni la sua fuga prima di decidere di costituirsi. Il ragazzo, che ha fatto il suo ritorno in cella, era scappato sabato durante l'ora d'aria scavalcando il muretto di protezione nel cortile interno- Condannato a scontare una pena per rapina e violazione della legge in materia di sostanze stupefacenti, un detenuto diciottenne era evaso dal carcere minorile Ferrante Aporti nella giornata di sabato. Sparito nel nulla, la sua fuga è durata appena 48 ore. Il ragazzo si è costituito nel tardo pomeriggio di ieri, presentandosi spontaneamente. D'intesa con la Polizia penitenziaria, con i Carabinieri, con i suoi familiari e avvocato, il diciottenne ha fatto il suo rientro in cella. La fuga del detenuto era avvenuta nell'ora d'aria: in un momento di distrazione delle guardie era riuscito a scavalcare il muro di protezione del carcere attraversando il cortile interno dello stesso. Il suo ritorno in cella non chiude però il capitolo: Antonio Pappalardo, il dirigente del Ferrante Aporti, ha fatto sapere che "il lavoro della commissione d'inchiesta costituita per l'indagine amministrativa in corso, finalizzata a individuare eventuali negligenze e/o superficialità di singoli operatori di Polizia penitenziaria andrà avanti". Terni: la denuncia dell'Ugl "agente aggredito in carcere, terzo caso in quattro giorni" www.umbria24.it, 3 marzo 2015 L'ultimo episodio lunedì pomeriggio: un detenuto ha colpito un poliziotto con una testata. Sale la tensione tra la polizia penitenziaria del carcere di vocabolo Sabbione a Terni. Gli agenti infatti nel giro degli ultimi quattro giorni sono stati aggrediti dai detenuti in tre occasioni. La denuncia arriva dal segretario locale Ugl per la polizia penitenziaria, Tony Di Fiore e dal segretario regionale Francesco Petrelli. Testata all'agente "L'ultima aggressione in ordine di tempo - si legge in una nota del sindacato - è avvenuta lunedì pomeriggio nel reparto As3, dove un detenuto preso dall'ira per motivi futili ha colpito con una testata un agente di polizia penitenziaria. Il fine settimana è stato incandescente: venerdì un ispettore durante le normali attività è stato aggredito con un manico di scopa da un detenuto tossicodipendente, mentre sabato un assistente, durante la perquisizione ordinaria del mattino, è stato sfregiato sul torace con forbici da bimbo. Tanta paura per tutti ma dai referti le prognosi li giudicano guaribili in pochi giorni". Ugl all'attacco Da tempo il carcere di vocabolo Sabbione soffre per il sovraffollamento. Ma il problema, secondo l'Ugl, non sarebbe soltanto questo. "Troppe tipologie di reato per una struttura penitenziaria obsoleta, mal costruita e non in grado di gestire più di cinquecento detenuti. Non parliamo di sovraffollamento ma di dinamiche che hanno accentuato una carenza strutturale e di personale. Troppa accondiscendenza da parte della direzione per una realtà sempre più a rischio, personale sovraccaricato di richieste e ospiti reclusi non soddisfatti della loro cura. La nostra piena solidarietà va al personale aggredito con la speranza che non sia l'inizio del susseguirsi di episodi evitabili e da censurare". Firenze: domani si tiene il convegno "Opg addio, per sempre" di Federica Cioni www.parlamento.toscana.it, 3 marzo 2015 Si terrà a Firenze mercoledì 4 marzo a partire dalle ore 9.30 (Sala delle Feste di Palazzo Bastogi, via Cavour 18), il convegno organizzato dal Garante toscano per i diritti dei detenuti. Saranno presenti i presidenti di Consiglio e Regione Alberto Monaci ed Enrico Rossi. Il processo di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg) che ha preso forma nell'ambito del passaggio di competenze in tema di sanità penitenziaria dallo Stato alle Regioni, sembra giunto a un momento decisivo essendo prevista, per il 31 marzo prossimo, la chiusura definitiva di tali strutture. Governo e Regioni hanno lavorato in questi anni per individuare modalità alternative di gestione del disagio psichiatrico, che dà luogo a pericolosità sociale, nella prospettiva di privilegiare l'aspetto medico e di riservare le misure di sicurezza detentive a quei casi residuali che non sia possibile prendere in carico altrimenti. Il Garante per i diritti dei detenuti della Toscana Franco Corleone, in collaborazione con la Fondazione Giovanni Michelucci e l'Associazione di volontariato penitenziario Onlus di Firenze, organizza un seminario, "Opg addio, per sempre", che si terrà mercoledì prossimo, 4 marzo, a partire dalle ore 9.30 presso la Sala delle Feste di Palazzo Bastogi (Firenze - via Cavour, 18). Il convegno, che vedrà la partecipazione anche dei presidenti di Consiglio e Regione Alberto Monaci ed Enrico Rossi, sarà occasione ideale per presentare un'indagine sulla popolazione internata nell'Opg di Montelupo Fiorentino. La ricerca ha analizzato infatti i fascicoli delle presenze in istituto all'8 novembre 2014 e i nuovi ingressi fino al 31 dicembre 2014 con lo scopo di mettere in evidenza, oltre alle caratteristiche generali della popolazione detenuta, gli elementi della presa in carico da parte dei servizi sociali, i meccanismi di proroga delle misure di sicurezza, la durata della permanenza in Opg alla luce dei nuovi limiti di legge. Ai lavori è stato invitato a partecipare anche il sottosegretario di stato al ministero della Salute, Vito De Filippo. Fdi: in fumo 7,5 milioni su Opg "Tra 28 giorni l'Opg di Montelupo dovrebbe essere chiuso e nessuno ancora ha trovato una soluzione adeguata. Facile per Luca Lotti dire di voler restituire la bella villa alla cittadinanza e dimenticarsi sia i 7,5 milioni di euro spesi dal 2007 ad oggi per adeguare la struttura detentiva di Montelupo, sia i gravissimi rischi per la sicurezza dei cittadini se la Regione dovesse individuare come sede per la Rems (residenza per l'esecuzione di una misura di sicurezza sanitaria) un non carcere". È quanto commenta il capogruppo regionale di Fratelli d'Italia e candidato governatore Giovanni Donzelli dopo il sopralluogo alla struttura di Montelupo: "Probabilmente- aggiunge- è anche possibile un recupero della usufruibilità aperta di parti della villa con il contributo di eventuali detenuti, ma gli amministratori locali e regionali dovrebbero avere gli attributi di contraddire Lotti e pensare al bene della collettività e questo nel Pd renziano è fantascienza. Speriamo che presto non si debba piangere crimini efferati causati dalla leggerezza di questa gente". Verona: "viaggio tra i diritti negati", al via un ciclo di incontri, si inizia con il carcere di Paola Arosio Famiglia Cristiana, 3 marzo 2015 Il primo incontro dedicato all'universo-carcere. Ma poi si parlerà anche di "povertà e diritti privati", "lavoro e diritti precari", "scuola e diritti svalutati", "finanza e diritti sacrificati". È la serie di incontri inaugurata nei giorni scorsi a Verona, per promuovere - come sottolineano gli organizzatori - "concrete strategie di cambiamento sociale". "L'ingiustizia in un luogo qualsiasi è una minaccia per la giustizia ovunque", diceva Martin Luther King. Ne è convinta la rete di associazioni, con capofila Spazio Solidale Arci, che ha lanciato a Verona Diritti per le nostre strade (www.dirittiperlenostrestrade.it), un progetto di informazione, sensibilizzazione, condivisione per promuovere dignità e giustizia, trasformandole in concrete strategie di cambiamento sociale. Fa parte dell'iniziativa un laboratorio permanente dal titolo "Regimi di legalità e pratiche di cittadinanza", rivolto soprattutto a volontari, operatori, insegnanti e articolato in cinque tappe. La prima cui seguiranno gli appuntamenti del 26 marzo (povertà e diritti privati), 23 aprile (lavoro e diritti precari), 21 maggio (scuola e diritti svalutati), 18 giugno (finanza e diritti sacrificati) - è stata tutta dedicata al carcere. "Sono le zone intermedie tra diritti e abusi a condizionare la vita dei detenuti", denuncia Paolo Bottura, volontario dell'associazione Ripresa responsabile, da anni attiva per promuovere un'altra cultura della pena. "Il carcere rimane un mondo a parte, un'istituzione totale, dove vigono i principi di separazione, isolamento, negazione. Spesso diventa una scuola di delinquenza, dove i detenuti non sono più persone". Non sempre questo risulta evidente, alla luce del sole. "La violenza che il carcere esercita non è stata eliminata, ma solo mascherata, disinfettata. Non lascia traccia, ma si insinua gradualmente". E sono proprio i diritti, secondo Bottura, "a fare la differenza. Un vero salto di qualità non passa attraverso corpi gestiti con più attenzione. Occorre andare oltre la richiesta di più docce, carta igienica, cibo, spazi, attrezzature, medicine. Va distinta la soddisfazione dei bisogni di base dall'essere cittadini a pieno titolo, individui". Una questione che in apparenza riguarda solo chi è dietro le sbarre, ma che coinvolge, in realtà, tutto il tessuto sociale, diventando paradigma, cartina di tornasole della società stessa. "Quando riusciamo a metterci dalla parte dei poveri, dei perdenti, dei senza voce, dei vinti, possiamo percepire il carcere come la reificazione di un sistema che sconfigge tutti, anche chi non è recluso", osserva Bottura. Al termine del ciclo di incontri, "si giungerà alla definizione di un vocabolario dei diritti, capace di esprimere le sfumature che ci sono tra rispetto e violazione", spiega Giovanni Ceriani, responsabile del progetto. "Oltre a questo, si completerà un "manifesto dei diritti" da sottoporre alla cittadinanza e alle realtà associative del territorio. Infine, si indicherà una lista di proposte pratiche di cittadinanza attiva e si cercherà di favorire la nascita di reti sociali di mutuo-aiuto". Bologna: "Diritti doveri solidarietà", da domani parte un Corso al carcere della Dozza Ristretti Orizzonti, 3 marzo 2015 Mercoledì 4 marzo 2015 alla Casa Circondariale Dozza di Bologna, Wajih Saad Abu Abd Al-Rahman, Imam di Reggio Emilia e la Prof.ssa Cinzia Benatti, terranno la lezione: "I rapporti familiari: diritti e doveri dei componenti del nucleo familiare. La gestione della crisi coniugale. Panoramica della situazione italiana e di quella dei Paesi arabo-islamici". Alla lezione parteciperà la Garante delle persone private della libertà personale della Regione Emilia-Romagna, avv. Desi Bruno. Si tratta della quindicesima di un ciclo di ventiquattro lezioni dedicate ai detenuti della Casa Circondariale Dozza di Bologna iscritti ai corsi dell'anno scolastico 2014-2015, nell'ambito del Progetto "Diritti, doveri, solidarietà. La Costituzione italiana in dialogo con il patrimonio culturale arabo-islamico", realizzato a seguito dell'Accordo quadro tra la Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale della Regione Emilia-Romagna e il Centro per l'istruzione degli adulti Cpia Metropolitano di Bologna. Varese: i Giovani Alianti insegnano la "scuola di riconciliazione" www.varesenews.it, 3 marzo 2015 Giovedì 5 marzo presso il teatro di Varese si terrà l'annuale conferenza dei Giovani Alianti che concluderà il progetto dell'anno 2014-2015. La conferenza conclusiva della XIV edizione del progetto Giovani Alianti si terrà giovedì 5 marzo presso il teatro di Varese dalle ore 8 alle ore 13 circa. A prendere parola saranno gli studenti di diverse scuole di Varese che hanno aderito all'iniziativa, esponendo i propri progetti relativi al tema della "Riconciliazione", affrontato in tutte le sue forme. Sul palco saliranno anche alcuni relatori per affiancare i ragazzi durante la presentazione. Parlerà di "Riconciliazione con se stessi e con gli altri" Elena Marta, Professoressa di Psicologia Sociale e di Psicologia della Comunità presso l'Università cattolica Sacro Cuore di Milano. A seguire verrà affrontato il tema della "Riconciliazione tra carnefici e vittime" dove la relatrice sarà Marcella Reni, presidente dell'organizzazione Prison Fellowship Italia Onlus, associata all'ente "Prison Fellowship International" con sede a Washington D.C. che si occupa di detenuti, ex detenuti e delle loro famiglie e che è presente in 135 paesi nei 5 continenti. Verrà affiancata da Mario Congiusta cofondatore dell'associazione Victim Fellowship Italia Onlus e fondatore dell'Associazione Gianluca Congiusta Onlus, fondata in seguito all'uccisione del figlio avvenuta nel maggio del 2005. A concludere sarà Giacomo Crespi educatore professionale della Barabbàs Clowns Onlus per affrontare l'argomento della "Riconciliazione tra i popoli (e tra i ragazzi difficili)". Gli studenti avranno un ruolo attivo durante l'evento presentando i propri progetti, elaborati in seguito a una serie di 5 incontri per informarli e sensibilizzarli sul tema. Droghe: giudici e legislatori, chi sbaglia e chi paga di Luigi Saraceni Il Manifesto, 3 marzo 2015 Poteri dello Stato. La Cassazione dà l'ultimo colpo alla Fini Giovanardi, sbagliata come la legge sulla responsabilità delle toghe. Le Sezioni unite della Cassazione, risolvendo un contrasto interpretativo fra i giudici, hanno stabilito nell'udienza di giovedì scorso che le pene in corso di esecuzione per fatti relative alle "droghe leggere", irrogate sulla base della famigerata legge Fini-Giovanardi (che prevedeva pene da 6 a 20 anni di reclusione), dichiarata incostituzionale nel febbraio dell'anno scorso, devono essere rideterminate sulla base della ripristinata legge precedente, che prevede pene più miti (da 2 a 6 anni). Bene. La giurisdizione ha fatto il suo dovere; sia pure con i tempi propri della nostra giustizia, ha stabilito che la galera illegittima va rimossa, perché questo vuole la legalità costituzionale. Chi non ha fatto il suo dovere è invece il legislatore, che, mentre i giudici risolvevano i loro prevedibili contrasti, è rimasto inerte e ha consentito che i condannati continuassero a scontare la loro pena illegittima. E continueranno ancora a scontarla, perché la meritoria decisione della Cassazione non ha effetti immediati, generalizzati e automatici. Sarà pur sempre necessario, per riavere la libertà, che il condannato (o il suo difensore, se ce l'ha) si attivi per aprire e portare a compimento la "pratica" e sempre che il giudice cui è affidata non voglia "ribellarsi" - com'è nei suoi poteri - alla decisione del vertice giudiziario. Perciò un anno fa, all'indomani del verdetto della Consulta, sarebbe stato necessario un intervento urgente del legislatore che disponesse, con effetti generali immediati per tutti i condannati, l'obbligo dei giudici di provvedere d'ufficio a rideterminare le pene in corso di esecuzione, per riportarle ai ripristinati parametri legali della legge precedente. Questo è quello che avrebbe richiesto, e continua a richiedere, un effettivo rispetto della libertà personale. E invece l'inerzia della politica ha condannato, e continua a condannare, migliaia di detenuti delle nostre affollate galere a scontare pene costituzionalmente illegittime. In compenso quella stessa politica ha approvato una legge - sulla responsabilità civile dei magistrati - che solo la demagogia e il garantismo confuso, anche di certa sinistra, può presentare come efficace presidio di libertà e di garanzia dei diritti dei cittadini, e soprattutto di coloro che più avrebbero bisogno della tutela giudiziaria. La vicenda di Enzo Tortora, strumentalmente evocata per propagandare le virtù di questo intervento legislativo, è invece la miglior riprova della sua inutilità: se all'epoca fosse stata in vigore, la decantata legge non avrebbe né risparmiato l'ingiusta galera preventiva né assicurato un risarcimento alla vittima più emblematica della nostra malagiustizia. La verità è che questa legge - al di là delle semplificazioni demagogiche che la rendono popolare - non ha alcuna attitudine né a mettere i cittadini al riparo da iniquità, errori ed abusi che certamente affliggono l'esercizio della giurisdizione né a modellare una figura di giudice indipendente e rispettoso delle regole. Il cittadino comune danneggiato nella libertà o nel patrimonio dalla negligenza di un giudice, difficilmente avrà tanta pazienza e fiducia nella giustizia, da affrontare, anticipandone le spese, un altro processo della durata di qualche lustro e il cui esito è affidato alla decisione di un altro giudice. Una simile trafila può affrontarla solo chi dispone di floride condizioni economiche e di attrezzati studi legali, interessato, più che ad avere un lontano risarcimento, ad esercitare una immediata pressione sul giudice o a delegittimarne il giudizio. Non è questa la strada per risanare gli innegabili malanni della nostra giustizia. Occorrerebbero se mai incisivi interventi per elevare il livello della cultura della giurisdizione tra i nostri giudici. Una strada lunga e impegnativa, ma non valgono scorciatoie, che servono soltanto alle esigenze propagandistiche della cattiva politica. Mondo: in Iran impiccati altri 31 carcerati, in Arabia Saudita decapitato uno spacciatore La Repubblica, 3 marzo 2015 Il periodico resoconto dell'associazione Nessuno Tocchi Caino, sulle esecuzioni in diversi paesi del mondo. In Virginia (Usa) sventato dal Parlamento il tentativo del governatore (democratico) di rendere segrete le iniezioni letali. In Uganda l'inamovibile presidente Museveni (al potere da 29 anni) chiede la pena capitale per gli autori di omicidio. Dai periodici resoconti di Nessuno Tocchi Caino - una lega internazionale di cittadini e parlamentari impegnati nella abolizione della pena di morte nel mondo, fondata a Bruxelles nel 1993 e costituente il Partito Radicale Transnazionale - si apprende che in Iran i primi quattro prigionieri, condannati per reati di droga, sono stati impiccati il 22 febbraio nel carcere di Arak, a circa 290 chilometri a sud est di Teheran. Lo ha reso noto il sito ufficiale della magistratura nella Provincia di Markazi. Tre di loro - identificati come Mohammad M., Ehsan J. e Amir Hossein G. - sono stati accusati di partecipazione alla produzione di 59,68 chili di ice. Mohammad M. e J. Ehsan stati inoltre accusati, rispettivamente, di vendita di 2 e 13 chili di ice che avevano prodotto. Il quarto prigioniero, identificato come Reza Z., era accusato di partecipazione in possesso e traffico di 972 grammi di eroina. Impiccati altri 21 in diverse regioni. Tra il 22 e 23 febbraio, 21 prigionieri sono stati giustiziati in tre diverse prigioni iraniane, ha riferito la Human Rights Activists News Agency in Iran (HRANA). Nove detenuti accusati di traffico di droga e omicidio sono stati impiccati a Bandar Abbas. Sono stati identificati come: Sajad Ghochany, 27 anni, di Teheran, Mohammad Gholami, 33, di Tabriz, Mohammad Kazem Yazdani Doboron, 55, di Mashhad, Alireza Razmi, 45, di Bushehr, Mehdi Shahdadi, 31, di Iranshahr, Mosa Nekoei Zadeh, 22, di Bandar Abbas, Ghasem Moradi Zadeh, 35, di Yazd. Altri nove prigionieri, le cui identità non sono state rese note, sono stati giustiziati nel carcere di Adel Abad a Shiraz, dopo essere stati condannati per crimini legati alla droga e omicidio. Inoltre, 3 prigionieri, che sono stati identificati come Mohammad Hojat Abadi, Rasool Naderi e Hossein Mir Dost, sono stati impiccati nel carcere centrale di Bam per traffico di droga. Altre esecuzioni pubbliche nelle ultime 48 ore. Infine, la Hrana ha ricevuto numerose segnalazioni di due esecuzioni pubbliche nelle ultime 48 ore. Un prigioniero accusato di reati legati alla droga sarebbe stato impiccato in Piazza Kozeh Garai a Shiraz, mentre un uomo di 27 anni accusato di stupro, Hamid Mohammadi, originario di Haji Abad, sarebbe stato giustiziato nella piazza del Mercato del Pesce a Bandar Abbas. - Il 23 febbraio un prigioniero identificato come Mohammadreza Ranjbar Kermani è stato impiccato nel carcere di Rasht, ha reso noto il sito web della magistratura provinciale del Gilan. Era stato riconosciuto colpevole del traffico di 195 kg di oppio, della vendita di 13700 g di "crystal" ed il possesso di 325 g di eroina. - Il 24 febbraio, altri tre uomini sono stati impiccati per omicidio sempre nel carcere di Rasht, ha riportato il sito di notizie Lahijan, citando la magistratura del Gilan. I tre giustiziati sono stati identificati solo come "M. R." (35 anni), "A. Z." (32) e "R. K." (34). - Il 25 febbraio altri due prigionieri sono stati impiccati in pubblico nella città occidentale di Kermanshah. Le due impiccagioni sono state effettuate alle 10 di mattina, in due diversi punti della città. (Fonti: Iran Human Rights In Virginia (Usa). "No" alla segretezza delle esecuzioni. Il 24 febbraio scorso, il Parlamento della Virginia ha bocciato il disegno di legge SB 1393 che avrebbe aumentato la segretezza delle esecuzioni. Il ddl, voluto dal governatore democratico Terry McAuliffe, intendeva rendere più agevole per l'amministrazione penitenziaria reperire i 3 farmaci letali usati in Virginia, garantendo l'anonimato ai laboratori artigianali che intendessero collaborare alle esecuzioni. Il Senato lo aveva approvato il 10 febbraio. La Camera ha votato 56-42, con un voto che non ha seguito strettamente le linee di partito. Ad esempio il repubblicano David Albo era favorevole alla legge, mentre un altro repubblicano, Rick Morris, ha votato contro. "Non credo sia un problema di pena di morte, ma di quanto lo stato debba essere aperto e trasparente" ha commentato Morris. Tra i contrari, diversi deputati hanno ritenuto l'iniziativa legislativa "prematura" visto che diverse istanze relative al protocollo dell'iniezione letale sono in discussione sia davanti alla Corte Suprema di Stato che degli Stati Uniti. In Virginia non sono previste esecuzioni a breve, lo stato ha 8 detenuti nel braccio della morte, ma nessuno di loro ha un mandato di esecuzione attivo. Arabia Saudita, un giordano decapitato per traffico di droga. Il 25 febbraio scorso, un cittadino giordano è stato decapitato in Arabia Saudita per traffico di droga, portando a 32 i prigionieri giustiziati nel Regno dall'inizio dell'anno. Identificato come Omar Mohammed Abdul Muti al-Rubai, l'uomo è stato giustiziato nella regione nord-occidentale di al-Jawf. Lo ha reso noto il Ministero degli Interni saudita. Secondo le autorità di Riad, al-Rubai avrebbe confessato di aver tentato di introdurre una ingente quantità di anfetamine attraverso il confine tra Giordania e Arabia Saudita. Uganda, il presidente Museveni chiede più condanne a morte. Il 23 febbraio scorso, il presidente ugandese Yoweri Museveni - da 29 anni ininterrottamente al potere - ha chiesto ai giudici di condannare a morte i colpevoli di omicidio. Aprendo la 17a Conferenza dei Giudici presso l'Imperial Golf View Hotel ad Entebbe, Museveni ha detto che i giudici sono inutilmente indulgenti con gli assassini e che le condanne più leggere comminate a chi uccide stanno erodendo la fiducia dei cittadini nei confronti della magistratura. Il Presidente ha citato i recenti casi di sospetti chiave negli omicidi del leader musulmano Sheikh Abdu Kadir Muwaya nel distretto di Mayuge e di Tito Okware, un leader del Movimento di Resistenza Nazionale (Nrm) nel distretto di Namayingo, che sono stati fermati dalla polizia dopo il completamento delle indagini e rilasciati dai tribunali. "C'è il rischio di azioni extragiudiziarie". "Le persone che volontariamente uccidono dovrebbero essere condannate a morte e impiccate in base alla legge. A Mayuge e Namayinga, la gente ha lottato dopo che i sospetti chiave sono stati frettolosamente liberati", ha aggiunto. Museveni ha osservato che il rilascio di sospetti di omicidio che non abbiano ancora scontato 180 giorni di carcerazione cautelare potrebbe spingere la popolazione a compiere "azioni extragiudiziarie". "Che fretta c'è? Volete forse che alcuni di noi compiano azioni extragiudiziarie?" ha chiesto il Presidente. Secondo i registri ufficiali delle prigioni, gli ultimi ad essere impiccati in Uganda sotto il governo Nrm sono stati 29 prigionieri del braccio della morte nel 1999. Quattordici detenuti erano stati uccisi in precedenza. In origine, per chi veniva riconosciuto colpevole di un reato capitale c'era la condanna a morte obbligatoria. Tuttavia, la sentenza del 2009 della Corte Suprema sulla petizione di Susan Kigula e 417 detenuti nel braccio della morte lascia alla discrezionalità del giudice emettere o meno una condanna a morte dopo aver esaminato le circostanze relative al caso. Norvegia: carceri in affitto dall'Olanda, così governo cerca di ridurre il sovraffollamento Ansa, 3 marzo 2015 L'Olanda ha firmato un accordo con la Norvegia per ospitare, ovviamente a pagamento, alcune centinaia di detenuti norvegesi nelle proprie carceri. L'intesa, al momento in attesa dell'approvazione dei parlamenti dei due Paesi, prevede la spesa da parte del governo di Oslo di 25 milioni di euro per l'affitto delle celle olandesi a partire dal primo settembre del 2015 che ospiteranno 242 carcerati nel penitenziario di Norgerhaven. E sarà valida per un periodo iniziale di 3 anni, con possibilità di rinnovo per un anno. "La ragione di questo accordo internazionale - spiega il ministero della Giustizia olandese - sta nel fatto che l'Olanda ha istituti disponibili, mentre la Norvegia non ha abbastanza spazio per i suoi detenuti", con possibilità di rinnovo per un anno. Oltre alla Norvegia, anche il vicino Belgio ha stretto un accordo simile con i suoi vicini olandesi. Sempre a causa del sovraffollamento, il governo belga prende in affitto dal 2009 molti posti cella nella prigione di Tilburg. Si tratta di circa 650 detenuti belgi per un costo stimato di ? 42 milioni all'anno. Il contratto scade alla fine del 2016. Brasile: libertà condizionale e nuove misure di sicurezza, una rivoluzione nelle carceri www.internazionale.it, 3 marzo 2015 Con circa 550mila detenuti, il Brasile ha la quarta popolazione carceraria del mondo, dopo Stati Uniti, Russia e Cina. A causa dell'aumento degli arresti per reati di droga (anche non gravi) e di uno scarso servizio di difesa d'ufficio degli imputati, negli ultimi vent'anni il numero delle persone incarcerate è quadruplicato, causando un grave sovraffollamento degli istituti penitenziari: attualmente servirebbero almeno altri 200mila posti. Il carcere di Pedrinhas, a São Luis, nello stato di Maranhão, era uno dei penitenziari più pericolosi del paese: solo nel 2013 vi erano avvenuti 62 omicidi. Ma grazie a una diversa distribuzione dei detenuti, a una politica di concessione della libertà condizionale e a nuove misure di sicurezza, dall'ottobre del 2014 non sono avvenuti omicidi. Stati Uniti: California; un senzatetto ucciso dalla polizia a Los Angeles Il Post, 3 marzo 2015 E c'è un video che mostra cosa è successo e farà parlare di nuovo dei metodi della polizia americana. La polizia di Los Angeles, negli Stati Uniti, ha sparato e ucciso un uomo sospettato di aver compiuto una rapina: è successo nel quartiere popolare di Skid Row, nel tardo pomeriggio, vicino a un accampamento di senzatetto. Un video di quattro minuti girato da un passante e pubblicato su Facebook mostra cosa è successo: si vede l'uomo muovere le braccia contro gli agenti, forse agitando qualcosa, si vedono i poliziotti afferrarlo e gettarlo a terra, si vede una donna che prende un manganello e che sembra prendere le sue difese, si sente il suono di un taser e si sente più volte gridare il comando "Getta l'arma". Poi, con l'uomo già a terra circondato da agenti, si sentono vari colpi di pistola. L'uomo (di cui si conosce solo il soprannome, "Africa") era nero ed è stato dichiarato morto sul posto. Durante una conferenza stampa il portavoce della polizia, Barry Montgomery, ha dichiarato che gli agenti avevano risposto alla segnalazione di una rapina avvenuta nella zona e che, quando il sospettato era stato rintracciato, si era mostrato molto poco collaborativo. Non è ancora stato confermato se fosse armato o se avesse tentato di rubare l'arma a un agente, né è stato detto quanti poliziotti siano stati effettivamente coinvolti: nessuno di loro è comunque rimasto ferito. La Bbc scrive che sul luogo dello scontro comunque non è stata recuperata nessun'arma che non appartenesse ai poliziotti. L'uomo è stato ucciso in una parte del centro di Los Angeles conosciuta per i frequenti episodi di violenza e per la presenza di un grande numero di persone senza fissa dimora, autorizzate a piantare delle tende dalle 9 di sera alle 6 del mattino. Diversi giornali e televisioni locali hanno intervistato alcuni testimoni: hanno spiegato che l'uomo ucciso non aveva una casa, che viveva accampato nella zona da quattro o cinque mesi, che era mentalmente instabile e che aveva trascorso diversi anni in una struttura psichiatrica. Dopo l'accaduto decine di persone si sono riunite a Los Angeles vicino al luogo dell'uccisione per protestare contro i metodi secondo loro violenti utilizzati dagli agenti. Anche nel video si sentono alcune persone chiedere il perché dell'uso di tanta forza. Il portavoce della polizia ha detto che le indagini richiederanno del tempo e che nei prossimi giorni saranno visionati anche altri filmati che molto probabilmente sono stati registrati da due telecamere di sorveglianza poste sugli edifici di quella stessa strada.