Giustizia: "così avremo processi eterni", i penalisti contro la riforma della prescrizione di Errico Novi Il Garantista, 31 marzo 2015 Oggi l'incontro con i partiti per chiedere di rivedere il ddl che allunga la prescrizione. Che il vento tiri verso il polo del giustizialismo è così chiaro che persino l'assoluzione di Amanda e Raffaele suggerisce soluzioni restrittive. "Rivedremo il sistema delle impugnazioni", è stato uno dei primi commenti del guardasigilli Orlando dopo la sentenza. Parole in fondo neutre, che nel contesto però paiono cercare l'ingranaggio sbagliato grazie al quale i colpevoli sono diventati innocenti. Il ministro non pensa questo, evidentemente. Ma è un fatto che dopo l'approvazione della responsabilità civile i successivi interventi sulla giustizia sono andati praticamente tutti incontro all'ansia forcaiola. È stata varata dalla Camera una riforma della prescrizione che spinge la durata di certi processi contro i corrotti oltre la folle soglia del quarto di secolo. E il tutto si aggraverà se a Palazzo Madama, nelle prossime ore, arriverà il primo sì al disegno di legge anticorruzione, che inasprisce i limiti di pena per tutti i reati contro la pubblica amministrazione e in questo modo determina prescrizioni ancora più lunghe. A tentare di fare argine a questa specie di onda anomala avrebbe dovuto essere l'Ncd. Messo però "in condizioni di non nuocere" dal caso Lupi. La corsa è irrefrenabile. Al punto che Renzi non trova modo migliore per aprire il suo intervento alla direzione del Pd che facendo l'elogio della legge sulla prescrizione: "È giusto allungarla per i casi di corruzione". La tesi è sempre la stessa, quella secondo cui il patto scellerato tra corrotto e corruttore differisce i tempi della notizia di reato. È la logica a cui da settimane si richiamano lo stesso ministro Andrea Orlando e la presidente della Commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti, principale artefice della riforma che amplifica la durata dei processi. Contro questa dottrina in apparenza inconfutabile continuano a mobilitarsi i penalisti. Che per oggi hanno organizzato alla sala Capranichetta di Roma un dibattito in cui queste teorie dovranno reggere al cospetto di qualche professore universitario, come Antonio Fiorella, già presidente di una commissione ministeriale, e Luigi Storioni dell'università di Bologna. Ci saranno appunto Ferranti e un altro grande sponsor della svolta forcaiola come il responsabile Giustizia del Pd David Ermini. Il presidente dell'Unione Camere penali Beniamino Migliucci ha chiesto un confronto aperto, in cui dovrebbe intervenire uno dei pochi ad aver tentato di correggere la linea, il viceministro della Giustizia Enrico Costa. Che proprio sulla prescrizione ha visto incrinarsi come mai era successo il suo rapporto con Orlando. I penalisti sono in stato di agitazione e continueranno a esserlo "fino al completamento dell'iter" del ddl sulla prescrizione. Sia Orlando che Costa hanno aperto "a modifiche in Senato", ma le parole di Renzi confermano la difficoltà dell'impresa. In una lunga nota, le Camere penali tanno notare che "i reati di corruzione non si combattono con l'innalzamento delle pene (strategia che si è sempre rivelata inefficace), ma con una seria riforma delle amministrazioni e della legge sugli appalti pubblici, con leggi chiare e semplici". È la tesi di Carlo Nordio. Minoritaria tra le toghe, però. Nella riforma della prescrizione c'è anche "il prolungamento generalizzato per tutti i reati di ben he anni, ottenuto con le sospensioni nelle fasi di impugnazione". Eppure i reati prescritti in Cassazione "incidono complessivamente in misura irrilevante (0,8 %)". In realtà "più un reato è grave e dannoso per la società e più rapidi dovrebbero essere i procedimenti". Invece "allungare la prescrizione significa renderli irragionevolmente lunghi, con costi sociali altissimi e in aperta violazione dell'articolo 111 della Costituzione". Quello che imporrebbe la ragionevole durata. E che è diventato un trascurabile orpello. Giustizia: prescrizione; penalisti in stato agitazione fino ad approvazione definitiva ddl Il Velino, 31 marzo 2015 Apertura a modifiche in Senato sia reale. "Sia il Ministro Orlando che il Vice Ministro Costa hanno formulato una espressa apertura a possibili modifiche in Senato del ddl sulla prescrizione. Lo stato di agitazione proclamato dalla Giunta dell'Unione Camere Penali prosegue fino al completamento dell'iter legislativo in attesa di tale voto". Così in una nota i penalisti, che sottolineano: "le molteplici perplessità espresse dall'Ucpi hanno infatti trovato accoglimento non solo in sede parlamentare ma anche nelle opinioni espresse da numerosi giuristi e da esponenti della stessa magistratura. Nell'ambito della manifestazione nazionale fissata a Roma per domani, alla quale parteciperanno i rappresentanti dell'avvocatura e dell'accademia ed esponenti politici della maggioranza e dell'opposizione, saranno esposte ed approfondite le ragioni del dissenso nei confronti del Ddl sulla prescrizione, approvato la scorsa settimana alla Camera". Tra i partecipanti all'incontro di domani nella Sala Capranichetta a piazza Montecitorio (a partire dalle 14,30), il viceministro Enrico Costa e la Presidente della Commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti. "I reati di corruzione - ribadiscono i penalisti - non si combattono con l'innalzamento delle pene (che costituisce una strategia di contrasto della criminalità che si è sempre rivelata inefficace), ma con una seria riforma delle amministrazioni, delle burocrazie e della legge sugli appalti pubblici con leggi chiare e semplici. L'allungamento della prescrizione per tali reati, da un quarto alla metà della pena massima edittale, provoca un deleterio allontanamento del giudicato dalla commissione del fatto, rendendo meno incisivo l'accertamento processuale e la eventuale espiazione della pena e sbilanciando inevitabilmente il processo verso la fase delle indagini e delle cautele". "Il prolungamento generalizzato per tutti i reati di ben tre anni, ottenuto per effetto delle sospensioni nelle fasi di impugnazione - prosegue l'Ucpi, provoca un ulteriore espansione di tale già notevolissimo intervallo temporale esasperandone gli effetti deleteri, senza che le relative sospensioni trovino una adeguata giustificazione della incidenza della prescrizione in tali fasi processuali, in quanto è noto che, ad esempio, le prescrizioni nel giudizio di Cassazione incidono complessivamente in misura irrilevante (0,8 %). Più un reato è grave e dannoso per la società e più rapidi ed efficaci dovrebbero essere i procedimenti. Allungare la prescrizione significa, dunque, rendere i processi irragionevolmente lunghi con costi sociali altissimi e in aperta violazione dell'art. 111 Cost. e dell'art. 6 della Cedu". Per i penalisti, i cittadini "dovranno, dunque, rassegnarsi a procedimenti lunghissimi, prima di vedere risolta la propria posizione processuale, con danni umani, psicologici, patrimoniali e d'immagine assai rilevanti. L'Ucpi ha più volte rilevato come la riforma della giustizia dovrebbe essere affidata a provvedimenti di sistema organici e così anche il tema della prescrizione avrebbe dovuto essere approfondito e valutato insieme alle proposte di riforma del codice penale e del codice di procedura penale, senza trascurare che nel corso delle indagini maturano gran parte delle prescrizioni (circa il 70%) e rammentando che non viene sanzionata in modo appropriato la mancata corretta iscrizione nel registro degli indagati". "Ancora una volta la Politica, come bene ha osservato anche Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera - conclude la nota -, ha inseguito gli umori dell'opinione pubblica e accelerato i tempi di approvazione di una norma sulla spinta di presunte emergenze, invece inesistenti. A riguardo basti osservare che rispetto al 2005 il numero delle prescrizioni era diminuito di circa la metà e che i reati contro la Pubblica Amministrazione che venivano definiti attraverso tale istituto erano solo il 3,5%. Operare sotto la spinta delle emozioni non è un buon modo di legiferare e risponde alla demagogia dell'urgenza, che mai può soddisfare l'esigenza di produrre buone riforme che consentano agli indagati e alle persone offese di avere un processo rispettoso di principi e regole costituzionali e sovranazionali". Giustizia: "togliete i bambini ai condannati per mafia", la proposta choc dell'On. Carbone di Maria Brucale Il Garantista, 31 marzo 2015 Con un emendamento, Ernesto Carbone, Pd, vorrebbe proporre una sconcertante novità normativa: togliere la potestà genitoriale a chi sia stato condannato per reati di mafia, di terrorismo, di riduzione in schiavitù, di traffico di sostanze stupefacenti. Chi abbia riportato una condanna definitiva per i reati menzionati, non sarebbe in grado di fare il genitore. La suggestione è forte e benpensanti, manettari, giudici senza appello potrebbero coglierla. Cattivi uomini ergo cattivi genitori. Ma le semplificazioni sono sempre subdole. Si impone una prima riflessione. Importante, urgente, rabbiosa. Che fare di questi uomini che hanno riportato gravi condanne con sentenza definitiva? Sono pregiudicati. I loro errori devono avere un'emenda? Una speranza di perdono? Un'aspirazione di oblio? Le loro vite devono muoversi all'indietro ripercorrendo in un solco immutabile i propri passi? Deve essere loro concesso di tornare uomini, di ricostruirsi, di essere restituiti alla società, alla libertà? C'è, ci può essere libertà con un marchio scavato e impresso per sempre nella propria esistenza che compromette ogni dignità, ogni anelito di recupero? Rieducazione e reinserimento. Povera Costituzione! Povera legge! Poveri noi! Nel percorso di vita in carcere un detenuto è osservato, soggetto al trattamento penitenziario. Il suo comportamento è oggetto di verifica e tra i momenti salienti di tale verifica c'è il rapporto con la famiglia, la capacità di mantenere solide relazioni con i propri congiunti, di rapportarsi a loro in una prospettiva di continuità di vicinanza e di unione nella proiezione del definitivo ripristino del vivere insieme dopo la scarcerazione. Questo percorso, nella tragica eventualità del prospettato cambiamento normativo, verrebbe meno, perderebbe senso e sostanza. Un uomo, scontata la condanna che gli è stata inflitta avrebbe perso tutto, anche la capacità di essere padre per i suoi figli. Che presa in giro la "rieducazione", che desolante ipocrisia la tensione di qualunque carcerazione al ripristino della vita in società, al ritorno alla vita! Che uomo può diventare quello a cui è tolta perfino la possibilità di vivere i suoi affetti più cari? Non solo. La potestà genitoriale è un diritto, un diritto del genitore, un diritto del fanciullo, per Costituzione. Per l'articolo 2 della Costituzione, la Repubblica garantisce e riconosce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Non si può dubitare che tra i diritti inviolabili del fanciullo vi sia quello di crescere con i genitori e di essere educati da questi, e, al pari, tra quelli del genitore, la possibilità di educare e accompagnare i propri figli nella crescita. Anche dal diritto internazionale si trae conferma di tale elementare principio. La Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, attribuisce al bambino il diritto di conoscere i genitori e di essere da loro allevato, mentre il successivo art. 8 obbliga gli Stati a preservare le relazioni familiari del fanciullo, sempre fermo restando il suo interesse superiore (art. 3), a tutela del quale è possibile adottare, di volta in volta, provvedimenti di allontanamento o di ablazione della potestà genitoriale. Ma qual è l'interesse superiore del fanciullo? Può un emendamento certificarlo per legge, in modo aprioristico, ottuso, assoluto? Il Tribunale di Milano ha sollevato in passato, nel 2012, questione di legittimità costituzionale dell'articolo 569 del codice penale, nella parte in cui prevede "l'applicazione automatica della pena accessoria della perdita della potestà genitoriale a seguito della commissione del reato di cui all'art. 567 c.p.". Nel rimettere la questione alla Corte Costituzionale il collegio riteneva evidente che, per tutelare i preminenti interessi del minore, gli eventuali provvedimenti di sospensione o di decadenza dalla potestà genitoriale dovessero essere adottati caso per caso, all'esito di un capillare esame di tutte le peculiarità della fattispecie, al fine di stabilire se quei provvedimenti corrispondessero effettivamente nel caso concreto al preminente interesse del minore. Irragionevole dunque qualunque automatismo. I provvedimenti di sospensione o decadenza dalla potestà genitoriale, attribuiti al tribunale per i minorenni devono, infatti, essere adottati all'esito di approfondita analisi, "solo quando vi sia la ricorrenza di un pregiudizio agito dai genitori nei confronti dei figli derivante da una mancata osservanza dei doveri nascenti dalla titolarità della potestà". Il pregiudizio deve essere valutato con estrema cautela perché la famiglia è la formazione per eccellenza in cui il minore svolge la sua personalità. L'istruzione, l'educazione e il mantenimento si esprimono nell'alveo della potestà genitoriale. Il principio, pur codificato dalla legge ordinaria, ha chiara valenza costituzionale - art. 30, primo comma, Cost. "È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio". Dovere e Diritto! È evidente, dunque, che la potestà genitoriale, se correttamente esercitata, risponde all' interesse morale e materiale del minore, il quale, dunque, è inevitabilmente coinvolto da una statuizione che di quella potestà sancisca la perdita. È possibile, e la stessa Costituzione lo prevede (art. 30, secondo comma), che uno o entrambi i genitori si rivelino incapaci di assolvere ai loro compiti, con conseguente necessità per il legislatore di disporre interventi sostitutivi. E tuttavia, proprio perché la pronunzia di decadenza dalla potestà genitoriale incide sull'interesse del minore, sulla sua vita, sulla sua formazione, sulla sua psiche, non è conforme al principio di ragionevolezza, e contrasta quindi con il dettato dell'art. 3 Cost., il disposto di una norma che, come quella posta all'attenzione della Corte Costituzionale, ignorando tale interesse, statuisce la perdita della potestà sulla base di un mero automatismo e preclude al giudice ogni possibilità di valutazione e di bilanciamento, nel caso concreto, tra l'interesse stesso e la necessità di applicare comunque la pena accessoria. Nel caso indicato, la corte costituzionale, riteneva fondata la questione di legittimità valutando preminente l'interesse del figlio minore a vivere e a crescere nell'ambito della propria famiglia, a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione ed istruzione, un interesse complesso, articolato in diverse situazioni giuridiche, che hanno trovato riconoscimento e tutela sia nell'ordinamento internazionale sia in quello interno. In virtù di tale preminenza, la corte costituzionale riteneva irragionevole e, quindi, in contrasto con l'art. 3 Cost., l'applicazione automatica della pena accessoria della decadenza dalla potestà genitoriale e dichiarava, conseguentemente, l'illegittimità costituzionale dell'articolo 569 del codice penale, nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato, previsto dall'articolo 567, secondo comma, del codice penale, consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell'interesse del minore nel caso concreto. La pronuncia del giudice delle leggi afferma un principio assai importante: la potestà genitoriale non è solo diritto-dovere del genitore, ma è, ancor prima, un diritto del fanciullo. E ancora: i rapporti familiari non consentono valutazioni astratte ed aprioristiche con la cieca attribuzione ad un padre o ad una madre che abbiano commesso un reato, pur grave, della stigmate di cattivi genitori. La famiglia è prima di tutto un luogo di amore, un amore che può essere offerto e corrisposto da un pregiudicato che è ancora, è prima di tutto, un uomo. Giustizia: la denuncia di Pratillo Hellmann "così perseguitano i magistrati che assolvono" di Vincenzo Vitale Il Garantista, 31 marzo 2015 Dopo la sentenza della Cassazione, che ha definitivamente dichiarato l'innocenza di Amanda Knox e Raffaele Sollecito, scoppia un nuovo caso. Claudio Pratillo Hellmann, che fu il Presidente della Corte d'Assise d'Appello di Perugia che assolse con formula piena i due giovani, ha denunciato che lui e il suo collega, Massimo Zanetti, furono destinatari di dure e continue reazioni di sdegno da parte di vari gruppi organizzati, che li accusavano, fra l'altro, di essersi "venduti agli americani". "Quasi tutti (i colleghi magistrati, ndr) mi tolsero il saluto. In particolare - ha detto in un'intervista a Repubblica - quelli che a diverso titolo erano stati coinvolti nella vicenda. Mi resi conto che quella della mia Corte era stata una voce fuori dal coro in un tribunale dove tutti i giudici, a partire dal Gup per arrivare a quelli dei diversi Riesami, pur criticando l'inchiesta, avevano avallato l'accusa. Sei mesi dopo la sentenza quindi decisi di andare in pensione". In poche righe, Hellmann introduce temi di straordinaria gravità e che rendono urgente si sappia come stanno davvero le cose. Vediamone alcuni e formuliamo per il ministro della Giustizia Andrea Orlando i relativi quesiti perché a lui spetta trovare le risposte necessarie. Quasi persa nel mare di pagine di cui ormai consta ogni quotidiano, su Repubblica di ieri galleggia una notizia che non solo è una notizia in senso strettamente giornalistico -vale a dire un avvenimento meritevole di essere conosciuto dalla pubblica opinione - ma è anche una clamorosa e del tutto imprevista (benché comprensibile) - confessione da parte di un alto magistrato: niente meno da parte di quel Claudio Pratillo Hellmann che fu il presidente della Corte d'Assise d'Appello di Perugia che oltre tre anni or sono assolse con formula piena Amanda Knox e Raffaele Sollecito dell'omicidio di Meredith Kercher. A dispetto della teutonica inscalfibilità del suo nome, Hellmann si mostra magistrato dotato di buon senso e della necessaria dose di umiltà, e così fornisce al giornalista una informazione che è una vera bomba mediatica, perché, da sola, mette in discussione tante ipocrite certezze circa il modo in cui in Italia è amministrata la giustizia, propiziando molte e radicali domande per il ministro della giustizia Orlando. Hellmann afferma infatti che a partire dal giorno in cui la Corte da lui presieduta decretò l'assoluzione dei due giovani, lui e il suo collega, Massimo Zanetti, furono destinatari di dure e continue reazioni di sdegno da parte di vari gruppi organizzati, che li accusavano, fra l'altro, di essersi "venduti agli americani". Aggiunge però che la cosa più dolorosa da sopportare fu la "crescente ostilità" dei suoi colleghi magistrati. Testualmente: "Quasi tutti (i colleghi magistrati, ndr) mi tolsero il saluto. In particolare quelli che a diverso titolo erano stati coinvolti nella vicenda. Mi resi conto che quella della mia Corte era stata una voce fuori dal coro in un tribunale dove tutti i giudici, a partire dal Gup per arrivare a quelli dei diversi Riesami, pur criticando l'inchiesta, avevano avallato l'accusa. In più ero in predicato per la presidenza del tribunale e naturalmente quella carica venne assegnata ad un altro collega sicuramente degnissimo ma qualche sospetto che si trattasse di una ritorsione mi venne. Sei mesi dopo la sentenza quindi decisi di andare in pensione". In poche righe, Hellmann introduce temi di straordinaria gravità e che rendono urgente si sappia come stanno davvero le cose. Vediamone alcuni e formuliamo per il ministro della Giustizia Andrea Orlando i relativi quesiti perché a lui spetta trovare le risposte necessarie. 1) I due magistrati furono destinatari di dure e continue reazioni di sdegno da parte di gruppi organizzati accusandoli di "essersi venduti agli americani". Conoscendo la sollecitudine con cui il Consiglio superiore della magistratura apre le cosiddette "pratiche a tutela" per molto meno, cioè tutte le volte in cui vengano mosse critiche a magistrati per le loro decisioni (e la tutela è stata apprestata anche se ad avanzare le critiche fosse il capo del governo o, addirittura, il capo dello Stato), chiediamo al ministro di sapere se una qualche forma di tutela sia stata prestata ai due magistrati da parte del Csm o dello stesso dicastero da lui diretto. E se invece non fosse stata prestata, perché non lo sia stata e se il ministro abbia fatto qualcosa per censurare tale omissione o per rimediarvi. 2) I colleghi magistrati tolsero loro il saluto e specialmente tutti quelli che erano stati coinvolti nella vicenda. Allarmati da questa circostanza - che denuncia una inammissibile, antigiuridica ed anti deontologica pregiudiziale condannatoria presente in tutti quei magistrati ed una totale assenza dei livelli minimi di indipendenza (verso le pressioni esterne ) e di imparzialità (verso le parti in causa) - chiediamo al ministro di sapere se egli abbia accertato quale fosse il "clima" all'interno del palazzo di giustizia perugino, onde verificare la fondatezza delle sconcertanti doglianze di Hellmann, le quali, se provate, dovrebbero condurre di filato ad ovvie conseguenze disciplinari a carico dei soggetti interessati. E se invece nessuna iniziativa fosse stata a tale scopo intrapresa, chiediamo di sapere se intenda intraprenderla, a tutela della immagine della indipendenza e della imparzialità dell'intera magistratura italiana, per evitare che verso giudici non "conformisti" possa adottarsi analogo atteggiamento di "crescente ostilità". 3) La voce della Corte perugina che assolse i due giovani era "fuori dal coro" e, per giunta, "in un tribunale dove tutti i giudici... avevano avallato l'accusa". Allarmatissimi da questa affermazione che denuncia senza mezzi termini la presenza di non meglio identificati "cori" ai quali la voce dei tribunali e delle corti dovrebbe adattarsi o conformarsi per non incorrere nelle conseguenze negative sopra illustrate, e che denuncia ancora una pericolosissima influenza esercitata da codesti "cori" nei confronti delle decisioni di quei magistrati che evidentemente non ne fanno parte per scelta o per disinteresse in base al fatto che essi intendono restare davvero indipendenti ed imparziali, chiediamo al ministro di sapere se indipendenza ed imparzialità siano sacrificate o sacrificabili sull'altare del conformismo accusatorio e se di fatto abbiano rischiato di esserlo nella delicata vicenda giudiziaria perugina. Chiediamo ancora di sapere se simili gravi attentati alla libertà di coscienza di singoli giudici o di collegi giudicanti siano avvenuti a Perugia o altrove o possano avvenire in un prossimo futuro presso altre sedi giudiziarie; per quale ragione sia possibile che accadono e che cosa il ministro intenda fare per evitarne il pericolo. 4) Hellmann ha motivo di ritenere che l'isolamento in cui fu confinato gli costò il posto di presidente del tribunale, a causa di una "ritorsione" verso di lui operata. Super-allarmatissimi da questa affermazione che denuncia senza mezzi termini come i posti direttivi vengano assegnati dal Csm in base a considerazioni che non attengono per nulla al merito ed alla attitudine personale del richiedente, bensì sulla scorta di preferenze accordate in ragione del conformarsi delle sentenze a decisioni precostituite, chiediamo al ministro di sapere se a Hellmann sia stato preferito altro candidato, per il posto di presidente del tribunale, in forza dello stato di isolamento in cui lo stesso versava a causa della assoluzione sentenziata dalla Corte da lui presieduta a favore dei due giovani. Chiediamo anche al ministro di sapere se tale stato di cose sia anche comune ad altre assegnazioni di posti direttivi o semi direttivi e, se lo sia stato o lo possa essere, cosa intenda fare per evitarlo o per rimediarvi. 5) Hellmann conclude affermando che, visto come stavano le cose, capì che la sua carriera era stata bloccata e che perciò sarebbe stato meglio andare subito in pensione. Assolutamente e invincibilmente sbigottiti da tale affermazione che denuncia come l'isolamento, la crescente ostilità, il porsi fuori dal coro, in una parola l'aver adottato una decisione - cioè l'assoluzione - sgradita e contro corrente rispetto ai "desiderata" dei suoi colleghi abbiano potuto indurre il giudice a far cessare tale stato di cose, che doveva parergli irreversibile ed insopportabile, nell'unico modo certo, cioè andando in pensione anticipatamente, chiediamo al ministro di sapere se effettivamente l'anticipato pensionamento di Hellmann sia stato dovuto a tali deprecabili ragioni e se tale circostanza possa essersi ripetuta o possa ripetersi in altre sedi giudiziarie e cosa intenda fare per accertarlo ed evitarlo. Ci si ferma qui. Per ora. Aggiungo che le affermazioni di Hellmann sono state sostanzialmente confermate dal suo giudice a latere Zanetti, che, intervistato dal Tg1, ha espresso simili doglianze. Siccome può darsi che uno abbia le traveggole, ma è ben più difficile che le medesime traveggole siano in due ad avercele, confesso di aver tratto da questa bruttissima storia - a causa della scomparsa della libertà di coscienza del giudice, così come narrata nell'intervista - un senso di invincibile disagio, per non dire di grave preoccupazione. La preoccupazione di chi ha paura: per tutti e per ciascuno. Giustizia: processo civile; la riforma rischia di fare danni… il governo fermi la delega di Federico Carpi (Presidente Associazione italiana studiosi del processo civile) Il Garantista, 31 marzo 2015 La specializzazione dei tribunali è un rischio, la svolta arriva solo se si coprono i vuoti d'organico. Rileggendo ciò che ho detto e scritto spesso sulle proposte di riforma del processo civile, mi verrebbe di fare un semplice rinvio, non trovando gran che di nuovo da dire. Poi mi sono detto che, riguardo all'intenzione dichiarata dal governo di intervenire con una legge delega, due cose rilevanti vanno sottolineate. In primo luogo sembra che il ministro della Giustizia abbia deciso di potenziare il dipartimento per l'Organizzazione giudiziaria, chiamando a dirigerlo Mario Barbuto. La decisione è molto positiva e il presidente Barbuto ha già avuto modo di esplicitare le linee guida che indirizzano l'opera sua e dell'ufficio, secondo scelte apprezzabili, volte a censire e scorporare l'arretrato ed offrire soluzioni idonee a eliminare questa piaga, più volte rilevata in sede internazionale. E sono convinto che questa sia la strada da percorrere, piuttosto che ipotizzare improbabili benefici dal trasferimento volontario delle controversie giudiziali in arbitrato o dalla cosiddetta negoziazione assistita. Inoltre ci si attende benefici sull'efficienza della tutela giurisdizionale, a condizione, sia ben chiaro, che si consenta al dipartimento di operare, e non si frappongano quei rilevanti ostacoli, che deriverebbero da intempestive ed improvvide riforme normative del tessuto del codice di rito. La giustizia sia trasparente In secondo luogo è emerso con evidenza quanto importante sia la trasparenza nell'amministrazione della giustizia, trasparenza che è la premessa per una più precisa conoscenza della macchina giudiziaria. I risultati del convegno del 5 febbraio scorso, organizzato dal Centro di difesa e prevenzione sociale, con la nostra Associazione, sono nel senso che per attuare riforme ordinamentali e per por mano ad un futuro, ben ponderato, disegno riformatore del processo, è anzitutto indispensabile conoscere per amministrare, per mutuare la felice intuizione di Luigi Einaudi, di molti anni fa, ma sempre valida. Il Tribunale e la Corte d'appello di Milano hanno reso noto il bilancio sociale della giustizia. Il Tribunale di Bologna ha pubblicato il rendiconto 2013, con la collaborazione e per impulso di un'Associazione privata, Civicum di Milano, a dimostrazione di quanto la prospettiva della trasparenza stia a cuore a privati cittadini, pensosi del bene comune. Tutto questo non deve restare limitato ad alcuni uffici giudiziari, encomiabilmente attivi, ma deve estendersi subito, senza indugi o colpevoli resistenze, a tutto il territorio nazionale. Quanto alle riforme in cantiere, direi minacciate, ribadisco a gran voce (inascoltata): non se ne faccia nulla, pur se non tutto appare da buttare. Mi limito a due rilievi. Specializzazione del giudice: i rischi Il disegno di legge delega amplia, a costo zero, la competenza del cosiddetto Tribunale delle imprese, ed ipotizza la creazione del Tribunale della famiglia, sul quale vi sono progetti che risalgono agli anni 70 del secolo scorso. A mio avviso la specializzazione del giudice è un fattore di efficienza dell'organizzazione giudiziaria e di conseguenza di miglior tutela dei diritti fondamentali della persona (così in materia di famiglia e di tutela dei minori) oppure di sviluppo dell'economia (così in materia di Intellectual property, di disciplina antitrust, di diritto societario). Tuttavia è necessario osservare alcune idee generali: a) la specializzazione deve riguardare in principio l'organo e non il singolo giudice. È tuttavia inevitabile che sia il giudice ad essere specializzato ed a qualificare l'organo; b) la specializzazione deve essere contenuta a poche materie, di elevata tecnicità, altrimenti verrebbero meno gli effetti positivi; e) è necessario che siano messi a disposizione mezzi specifici di personale e di risorse economiche; d) la specializzazione non deve essere l'occasione per introdurre complicazioni processuali, con la moltiplicazione dei tipi di processo, fenomeno deleterio, se ampliato oltre modo, come accade in Italia, nonostante un espresso programma, contenuto in testi di legge, non attuato, malgrado una recente legge sia intitolata "Semplificazione dei riti"; e) i giudici specializzati non debbono essere giudici "separati" e debbono rispettare le garanzie fondamentali di imparzialità e di indipendenza; f) quest'ultimo punto introduce un argomento molto delicato e cioè quello del giusto bilanciamento fra specializzazione e rotazione o mobilità delle funzioni del giudice. Se ne occupa anche l'opinion numero 15 del 2012 del Consiglio consultivo dei giudici europei. Al punto 36 si legge che il C.c.j.e. è del parere che una più grande mobilità e flessibilità dei giudici può essere un rimedio ai possibili inconvenienti della specializzazione eccessiva. Poi al punto 54 si ribadisce l'unicità dello statuto del giudice e il disfavore per la creazione di sistemi od organi giudiziari distinti secondo la loro specializzazione, nei quali i giudici rischiano di essere sottoposti a regole differenti. La questione è reale, anche se non va dimenticato che il Consiglio consultivo è portato a mettere in primo piano la figura del giudice, rispetto alle esigenze del sistema e dei cittadini. Com'è stato ben scritto dal pres. Rordorf, "non si tratta di contrapporre alla specializzazione un modello (astrattamente) egualitario ma (concretamente) inefficiente e non adeguato alle esigenze di chi si rivolge alla giustizia. Si tratta, invece, di partire dal dovere primario di soddisfare quelle esigenze e di valutare come ciò possa avvenire evitando (o limitando) il rischio di distorsioni nel corpo giudiziario". Come sempre accade in presenza di esigenze parimenti fondamentali, è opportuno operare un bilanciamento con criteri di flessibilità ed adeguatezza al caso concreto. Tale non è, però, il criterio burocratico-formalistico adottato in Italia dal decreto legislativo n. 160 del 2006, modificato dalla legge del 20 luglio 2007, n. 11, che ha previsto il limite di tempo di dieci anni per lo svolgimento delle medesime funzioni dei giudici. Ciò esposto sul piano generale, ritengo che le scelte indicate nel disegno di legge delega siano insoddisfacenti. Sul Tribunale delle imprese si pretende di scaricare una serie di competenze disomogenee fra loro, contraddicendo la nozione stessa di specializzazione. Per di più senza mezzi. Il Tribunale della famiglia assorbirebbe molte competenze del Tribunale per i minorenni (si veda il riferimento all'articolo 38 disp. att), che però rimarrebbe in vita. In più si prevedrebbe l'ennesimo rito speciale. Bisognerà ritornarvi quando si conosceranno i particolari. Fin d'ora rilevo che è preferibile una seria riflessione conoscitiva, piuttosto che una frettolosa riforma a metà. E vengo alle riforme in cantiere. La delega: norme vaghe e generiche La delega è così generica, che non consente se non fieri dubbi di costituzionalità. L'articolato officioso suscita, invece, fondatissime perplessità, al punto che sembra sia stato studiato a tavolino per creare difficoltà a giudici ed avvocati. La fase introduttiva e di trattazione sembra risuscitare in parte il defunto rito societario ed impone un fermo dissenso. Si dimentica che il processo di primo grado è in concreto volto alla ricostruzione dei fatti, o dovrebbe esserlo sulla scorta delle obsolete norme sulle prove. E si dimentica che è la fase decisoria a determinare la durata irragionevole del processo. Come ha giustamente sottolineato Paolo Biavati, "l'idea di fondo è che il processo si deve giocare in primo grado e che l'appello deve consistere in una semplice rilettura delle carte, per mettere in luce eventuali errori". Si potrebbe con questo convenire, a patto che alla compressione o maggior rigore dell'appello corrisponda una più ponderata trattazione del giudizio di primo grado, destinandovi i magistrati più esperti e non i neo assunti o i got, ai quali oggi vengono delegate delicate funzioni, financo decisorie, senza alcuna possibilità di reazione (ad esempio con un rimodulato reclamo, anche istruttorio) all'interno della fase. È difficilmente immaginabile un'ordinanza, emessa alla prima udienza, che suggerisca una ragionevole "ipotesi di soluzione della controversia basata su una prognosi allo stato degli atti", come detta l'articolo 185-bis che si vorrebbe introdurre, quando ancora i fatti non siano stati ricostruiti, nel rispetto dei canoni del giusto processo. Davvero non si capisce perché i riformatori non passino qualche giorno o qualche mese "in pretura", come verrebbe da dire sulla scorta di note trasmissioni televisive. A me basterebbe che si realizzasse in concreto la possibilità di attuare quella norma di collaborazione fra giudice e difensori, che è l'attuale articolo 183, comma 4, del codice di procedura civile, che consentirebbe di evitare il rilievo d'ufficio di nullità (sostanziali e processuali) in appello o addirittura in Cassazione, con un catastrofico dispendio di tempo e di energie. Facciamo funzionare l'esistente e non illudiamoci che nuove norme migliorino l'efficienza, che al contrario sarebbe definitivamente affossata. Se dal processo spostiamo l'ottica sui soggetti, allora bisogna ripetere: troppi avvocati e pochi giudici. Rimedi immediati non sono all'orizzonte. Invece i magistrati da tempo sottolineano la necessità di personale amministrativo ed il momento sarebbe favorevole per accogliere la giusta richiesta e a costo zero. Il riordino della pubblica amministrazione in corso determinerà esuberi di personale a tutti i livelli, dal nuovo Senato alle moriture provincie, alle regioni, che costano fin troppo al contribuente. Ed allora si riqualifichi tale personale e lo si sposti all'amministrazione della giustizia. Ecco un cambiamento che sarebbe apprezzato da tutti, credo anche da sindacati e sindacalisti intelligenti, che abbiano a cuore il bene comune. Giustizia: l'anticorruzione al Senato, previsto per domani il voto al ddl Grasso di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 31 marzo 2015 Si stringono i tempi per approvare il disegno di legge sull'anticorruzione. Oggi proseguiranno le votazioni al Senato, con l'obiettivo di arrivare entro domani sera al voto finale. Ultimo scoglio l'esame della riforma del falso in bilancio, che molto ha fatto discutere e sulla quale il ministro della Giustizia Andrea Orlando si è detto convinto di avere presentato una soluzione di equilibrio tra la necessità di modificare l'impianto della riforma Vietti e quella di conservare un trattamento sanzionatorio diversificato a seconda delle dimensioni dell'impresa. Cruciale quindi il limite di pena a 5 anni per il falso in bilancio commesso in società non quotate, limite decisivo per applicare l'archiviazione per tenuità del fatto ed escludere però le intercettazioni. Per il resto, in larghissima parte, il disegno di legge prevede un aumento delle pene, per i principali reati contro la pubblica amministrazione (almeno quelli che riguardano la criminalità economica), sia nei massimi, elemento immediatamente visibile, sia nei minimi, aspetto forse più trascurato, ma non meno importante, visto che il limite minimo della sanzione rappresenta un punto di riferimento fondamentale per le richieste di patteggiamento, subordinate queste ultime, tra l'altro, anche alla completa restituzione dei proventi illeciti. Tutto da valutare poi l'effetto sulla prescrizione, tema oggetto di tensioni nella maggioranza con Ncd che, alla Camera, si è sfilato, sull'aumento previsto per i principali delitti di corruzione. L'aumento delle sanzioni che il Senato si accinge a votare, letto in parallelo con le norme varate (anche qui in prima lettura) alla Camera ha, come effetto certo, il prolungarsi dei termini. Orlando però ha già promesso una mediazione, i cui contorni sono però tutti da valutare per evitare accuse di schizofrenia nella strategia del Governo. Giustizia: Cassazione; indagini difensive possibili anche con il rito abbreviato di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 31 marzo 2015 Un punto a favore delle indagini difensive. Che possono svolte senza limiti e prodotte anche nel giudizio abbreviato. È questo uno dei passaggi chiave della sentenza n. 13505 della Quinta sezione penale della Cassazione, depositata ieri. La pronuncia fa così chiarezza sull'efficacia probatoria degli atti delle indagini condotte dalla difesa nella maniera più ampia possibile. Lo svolgimento dell'attività d'indagine da parte degli avvocati, sottolinea la Cassazione, è possibile senza limiti temporali in ogni stato e grado del procedimento e i risultati possono trovare spazio anche nel giudizio abbreviato. In questo senso, va ricordato che "l'articolo 442 comma 1 bis (del Codice di procedura penale, ndr) prevede che, ai fini della deliberazione, il giudice utilizzi gli atti contenuti nel fascicolo di cui all'articolo 416 comma 2, la documentazione di cui all'articolo 419 comma 3 e le prove assunte nell'udienza". Il materiale, quindi, non è unicamente quello contenuto nel fascicolo del pubblico ministero, ma anche quello che stato acquisito nello svolgimento dell'udienza. Non può infatti essere oggetto di contestazione il fatto che i risultati delle indagini difensive possono essere prodotti anche nel corso dell'udienza preliminare, "per cui, coincidendo il termine ultimo per la richiesta di giudizio abbreviato con quello per la formulazione delle conclusioni, il materiale probatorio utilizzabile dal giudice per la decisione (articolo 442, comma 1 bis, Codice procedura penale) non può che comprendere anche i risultati delle indagini difensive depositati in sede di udienza preliminare". Nel giudizio della Cassazione è evidente che le investigazioni difensive, presentate legittimamente, devono essere valutate dal giudice in rapporto a tutte le decisioni che è chiamato ad assumere in quella fase del procedimento e, quindi, anche per quelle di natura decisoria che definiscono il procedimento con i riti alternativi: è il caso del giudizio abbreviato e dell'applicazione di pena concordata). Infine, conclude la Corte, non si può pensare che la produzione e quindi l'utilizzabilità del contenuto delle investigazioni difensive operi solo in caso di richiesta di rito abbreviato condizionato a integrazione probatoria. Un'interpretazione che appare ai giudici della Cassazione in netto contrasto con quanto stabilito dal Codice di procedura penale. La conferma, in questo senso, è possibile trovarla nell'articolo 438, comma 5, del Codice di procedura penale, che prevede la possibilità di condizionare la richiesta di rito abbreviato ad integrazione probatoria, "ferma restando la utilizzabilità ai fini della prova degli atti indicati nell'articolo 442 comma 1 bis (e quindi anche delle investigazioni difensive prodotte)". Giustizia: corruzione, un romanzo letto al contrario di Massimo Villone Il Manifesto, 31 marzo 2015 Abbiamo capito. La corruzione è il vero romanzo italiano, e un nuovo Manzoni ci scriverebbe il sequel ai Promessi Sposi. A quel che si legge, nell'inchiesta su Ischia c'è tutto. Il politico che rimane a galla trasmigrando da una sponda all'altra; i partiti di successiva appartenenza che abbracciano il suo pacchetto di voti; i funzionari compiacenti che firmano le carte partecipando al maltolto; i parenti; il fangoso rapporto tra politica, amministrazione, denaro; l'impresa, per di più ammantata di una storia antica e persino un tempo nobile; il politico potente, magari un po' decaduto. E soprattutto l'omertà di tanti, che certamente sapevano o sospettavano, e hanno valorosamente taciuto. È l'Italia di oggi. Un remake con un copione nemmeno originale, che non ci insegna nulla di nuovo. Ma ci dà l'ennesima prova di quanto debole sia l'argine che la politica vorrebbe costruire. Il disegno di legge contro la corruzione arranca in senato, e va ancora ricordato che il disegno di legge AS 19 a firma di Grasso e altri fu presentato il 15 marzo 2013, all'avvio della legislatura. Sono passati due anni, e non più di un mese fa venne negata l'urgenza. La lotta alla corruzione arranca, mentre continuano le fibrillazioni sulla questione della prescrizione. Il punto è che una parte della maggioranza considera la corruzione come un peccatuccio, da confessionale piuttosto che da galera. La riluttanza di pezzi della politica verso interventi drastici riflette il pensiero di pezzi del paese che con la corruzione vivono senza problemi. Perché ne approfittano, perché la tollerano, perché pensano che non li riguarda. Combattere la corruzione è ovunque difficile, perché è un reato in cui è difficile distinguere un carnefice e una vittima. Corruttore e corrotto sono indissolubilmente legati dall'interesse a coprire il reato, e manterranno entrambi il silenzio se appena potranno. E può essere anche difficile dare la prova, che spesso richiede di smantellare apparenze ben nascoste. Leggiamo che i proventi della corruzione sarebbero nella specie venuti anche da consulenze - meccanismo ben noto e ormai sospetto in principio - e dalla messa a disposizione di camere di albergo per i dipendenti della impresa coinvolta. E qui un po' di fantasia c'è. Per questo la via di un contrasto efficace è più nella prevenzione che nell'inasprimento della sanzione penale. Bisogna stimolare chi è fuori del disegno corruttivo a riconoscerlo, darne notizia, rendere visibile ciò che non lo è. Dando nuova vitalità ai meccanismi di responsabilità politica e istituzionale, agli strumenti di controllo sociale, alla consapevolezza che la corruzione è in senso tecnico un costo. Certamente occulto, ma non meno reale. Anche se è difficile quantificarlo, è un pacco di miliardi che viene sottratto al bene comune. Ma proprio gli elementi del romanzo prima elencati ci dicono che la via è lunga. Non basta un tocco di bacchetta magica. Come ripulire la politica senza ricostruirla dalle fondamenta? Quella che abbiamo è fondata sulla personalizzazione estrema, sul successo commisurato ai pacchetti di voti di cui si dispone, su partiti disgregati che veicolano falsi riti pseudodemocratici come le primarie. Né si ritrovano strumenti efficaci di responsabilità politica senza rivitalizzare le assemblee elettive regionali e locali, oggi in larga parte occupate da ectoplasmi di nuovo notabilato attenti solo al proprio consenso. Né ancora si rinsalda una gestione corretta del denaro pubblico se non si ripensa a fondo la separatezza tra politica e amministrazione costruita a partire dagli anni ‘90. È probabile che, secondo le regole, il sindaco di cui si parla non abbia firmato alcuna carta. Ma lo avrà fatto un funzionario da lui nominato, o da lui lasciato sulla poltrona già occupata. Di sicuro non il portatore di una diversa concezione di vita. Quel che preoccupa è che le storture in atto andrebbero corrette con riforme opposte a quelle che il governo porta avanti: sulla Costituzione, sul sistema elettorale, sulla Pa, senza dimenticare le intercettazioni e la responsabilità dei magistrati. In specie, un'occhiuta vigilanza e il ripristino dell'etica pubblica si ritrovano con una partecipazione democratica effettiva e diffusa, e un sistema solido di checks and balances. Al contrario, le proposte in discussione riducono la rappresentatività e concentrano il potere in poche mani. Mentre la lotta alla corruzione non guarda alla prevenzione, ma si riduce a un disegno sanzionatorio penale che soffre di salute parlamentare cagionevole. Non è un caso che rimaniamo sul fondo delle classifiche internazionali sulla corruzione. Mentre si affida ancora alla logica del deus ex machina - Cantone e autorità anticorruzione - il messaggio che il paese risale la china. È falso, e non dipende dalle persone. Qualunque autorità può solo intervenire in pochi casi emblematici, a danno già prodotto. Non cura la malattia diffusa ed endemica. La cautela è d'obbligo. Dunque non distribuiamo condanne, e con la formula usuale auspichiamo che la magistratura faccia in fretta e bene. Ma intanto notiamo che è passato appena qualche giorno dall'esortazione di Mattarella a che la Pubblica amministrazione operi con tenacia e trasparenza contro la corruzione. E non c'è dubbio che qualcuno si muova con tenacia: ma contromano. Giustizia: "lo Stato e il missile", no ai risarcimenti alle vittime della strage di Ustica di Francesco Alberti Corriere della Sera, 31 marzo 2015 Siamo ancora qui, 35 anni dopo. In uno scenario di guerra processuale attorno al fantasma di quel Dc-9 che la sera del 27 giugno 1980 partì con 81 persone a bordo da Bologna per non arrivare mai a Palermo, scomparso dai cieli tra Ustica e Ponza. Come in un assurdo gioco dell'oca, che perennemente ti rimanda alla casella di partenza, siamo ancora qui a battagliare su che cosa e perché fece a pezzi quel carico di anime. Disputa odiosa che mette lo Stato contro i familiari delle vittime, aggiungendo al lutto e all'esasperazione dei tempi infiniti, pure la rabbia di sentirsi il nemico in casa. La Cassazione, nel 2013, rese definitivo che a provocare la strage non fu un'esplosione interna, ma un missile lanciato in uno scenario di guerra, condannando i ministeri della Difesa e dei Trasporti a risarcire i familiari delle vittime per non aver garantito la sicurezza dei cieli e aver ostacolato l'accertamento dei fatti. Ora lo Stato, tramite l'avvocato Maurilio Mango, nel chiedere alla Corte d'appello civile di Palermo di respingere le domande di risarcimento a 18 familiari, ha sostenuto che molti aspetti del caso Ustica "sono stati talvolta macroscopicamente influenzati dal consolidarsi di un immaginario collettivo che ha individuato la causa del disastro nell'abbattimento del velivolo da parte di un missile". Una sorta di ipnosi nazionale alla quale avrebbero contribuito "le considerazioni fantasiose alimentate dai media per confermare l'ipotesi di una battaglia aerea". L'avvocato ha poi precisato, consapevole dell'impatto sui familiari, che la sua tesi non è frutto di "un'algida indifferenza all'altrui dolore", ma l'adempimento "di un preciso dovere che la legge impone a tutela dell'Amministrazione". Precisazione doverosa, ci mancherebbe. Anche se sarebbe altrettanto doveroso tenere nella dovuta considerazione le sentenze della Cassazione, anziché relegarle nel regno della fantasia assieme alle aspettative dei parenti. I legali dei familiari ora parlano di "feroce offensiva dello Stato". Ricordano con Daria Bonfietti che "la stessa Avvocatura nei vari processi sostenne la tesi del missile". E l'avvocato Vincenzo Fallica bolla così la tesi del collega Mango: "Insiste su un percorso che andrebbe abbandonato: si vuole depistare perfino il depistaggio…". Dal governo, a questo punto, sarebbe doverosa una presa di posizione. Giustizia: l'orrore è finito, si conclude per sempre la barbarie degli Opg italiani di Marta Rizzo La Repubblica, 31 marzo 2015 Oggi, 31 marzo 2015 chiudono i 6 manicomi criminali italiani, luoghi che hanno lacerato le vite psichiche e fisiche di migliaia di persone. "Estremo orrore", li ha definiti Giorgio Napolitano e la giornata in cui gli Opg (Ospedali psichiatrici giudiziari) chiudono, arriva dopo anni di sentenze della Corte Costituzionale, dopo battaglie civili e dopo le denunce di giuristi, intellettuali, associazioni, gente comune e artisti. Anni durante i quali gli internati hanno continuato a morire, a soffrire, a perdere la loro dignità di cittadini, di esseri umani. Amnesty International e l'Associazione Antigone, così come altre numerosissime associazioni della società civile, come il Comitato stop Opg, partiti politici e parlamentari denunciano da anni la barbarie rappresentata dall'esistenza stessa degli Opg. Tutti aspettavano questo momento affinché vengano finalmente offerti spazi e tempi migliori ai detenuti. La vergogna della follia. "Perché la cultura occidentale ha affermato con chiarezza, a partire dal XIX secolo, ma anche già dall'età classica, che la follia era la verità denudata dell'uomo, e tuttavia l'ha posta in uno spazio neutralizzato e pallido ove era come annullata?": questo chiede il filosofo Michel Foucault nella sua celebre Storia della Follia nell'età classica (1961). Spazio neutralizzato, annullato e pallido: ecco cosa sono stati gli Opg. L'inciviltà degli Opg. L'idea di internare detenuti pazzi e pericolosi (non sono sinonimi) negli Opg, nasce con il Codice Penale fascista del 1930. Ma chiudere degli esseri umani in gabbie (per quanti crimini efferati possano aver commesso) e buttarne le chiavi, non è un'idea lungimirante. Eppure è stato fatto, secondo la legge di questo Stato, nei 6 Opg italiani: Montelupo Fiorentino; Aversa, provincia di Caserta; Napoli; Reggio Emilia; Barcellona Pozzo di Gotto; Messina, Castiglione delle Stiviere, provincia di Mantova, l'unico ad avere anche un reparto femminile. Poi, nel 1978, mentre la cultura psichiatrica (e non solo quella) si andavano evolvendo, la legge Basaglia sanciva la chiusura dei manicomi, che per molti anni a venire, purtroppo, fu solo teorica. Ma gli Opg restavano tali e quali. Nel 1982, una sentenza della Corte Costituzionale stabilì che la pericolosità sociale non può essere definita come attributo naturale di una persona e di quella malattia. Deve avere, piuttosto, opportunità di cure e di emancipazione. Ma gli Opg restavano tali e quali. Nel 2003 e nel 2004, altre 2 sentenze della Corte Costituzionale hanno dichiarato incostituzionale la non applicazione di misure alternative all'internamento in Opg, per "assicurare adeguate cure all'infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale". Ma gli Opg restano tali e quali. Il risveglio dello Stato. Nel 2008 il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa visita un Opg. Dopo aver letto il rapporto del comitato, il governo italiano è costretto a giustificarsi: "La legge non prevede un limite per l'esecuzione delle misure di sicurezza temporanee". Nel 2010, però, la commissione parlamentare d'inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del servizio sanitario nazionale effettua ripetuti sopralluoghi a sorpresa nei 6 Opg. "Le modalità di attuazione osservate negli Opg lasciano intravedere pratiche cliniche inadeguate e, in alcuni casi, lesive della dignità della persona". Dopo di che, i senatori di tutti i partiti politici approvano all'unanimità risoluzioni per la chiusura degli Opg, in vista di sostituirli con strutture interamente sanitarie. A luglio del 2011 la Commissione dispone la chiusura di alcuni reparti degli Opg di Montelupo Fiorentino e di Barcellona Pozzo di Gotto. A gennaio 2012 in Senato si discute il decreto ribattezzato "svuota carceri". La legge del 14 febbraio 2012 dichiara che "A decorrere dal 31 marzo 2013, le misure di sicurezza del ricovero in Opg sono eseguite esclusivamente all'interno delle strutture sanitarie". Poi. la prima proroga: 31 marzo 2013, poi la seconda: 31 marzo 2014. Oggi, la fine. Lo stato delle cose degli Opg. È trascorso quasi un secolo dall'apertura degli Opg in Italia. Sono morti o hanno interrotto le loro esistenze altre centinaia di migliaia di persone. I dati recenti dicono che il numero dei detenuti è diminuito, ma i ricoveri sono costanti: si è passati infatti dalle oltre 1200 persone internate nel 2012 alle 761 del 30 novembre 2014; ciò nonostante, la media di ricoveri è di 77 a trimestre, praticamente un paziente al giorno. Attualmente, la vera follia, è che dei 750 internati, circa la metà è dichiarato "dimissibile" (cioè non socialmente pericoloso) e ricoverabile in altre strutture. Dal 31 marzo, nascono le Rems (Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza): strutture sanitarie con pochi posti letto (al massimo 20) e diffuse in tutto il territorio nazionale. Ma non tutte le regioni sono pronte ad accogliere gli internati in complessi consoni. In molte regioni le Rems non sono ancora pronte. "Il Piemonte e la Liguria - spiega Michele Miravalle, coordinatore nazionale Osservatorio sulle condizioni di detenzione dell'Associazione Antigone - hanno preferito continuare a ospitare i propri internati nell'Opg di Castiglione delle Stiviere (sostenendo i costi delle rette) invece di riaccoglierli sul territorio, come previsto dalla legge, perché non sono ancora pronti i piani per le nuove Rems, in altre (come l'Emilia Romagna) si sono individuate delle "pre-rems", dove pare che la sicurezza degli interati sarà gestita da società di vigilanza privata. Il Governo deve continuare a monitorare e a pretendere risposte dalle Regioni inadempienti, altrimenti una battaglia apparentemente semplice, come quella di garantire a 300 persone (in un Paese di 60 milioni di abitanti) condizioni dignitose sul piano sanitario e giuridico, verrà persa". Lo Stato della follia. In questa vergogna senza aggettivi, nel 2010, per fornire una testimonianza visiva alle incursioni senza preavviso della Commissione Parlamentare negli Opg, Francesco Cordio viene chiamato come regista delle riprese che hanno cambiato lo stato delle cose degli Opg. L'orrore che documenta non può limitarsi a qualche immagine e nel 2013 Cordio realizza Lo Stato della follia, con le oscenità degli Opg alternate al doloroso racconto, girato in un teatro, di ex internato incolpevole dell'Opg di Aversa: l'attore Luigi Rigoni. Cordio mette a nudo la follia della società e delle istituzioni, con un documentario mirabile, girato con una fotografia livida (simile a quella "pallida" di Foucault), un montaggio rapido, uno sguardo profondo. L'orrore delle immagini modifica lo Stato delle cose. "Nel novembre del 2010 - racconta Francesco Cordio - fui chiamato dalla Commissione d'inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del servizio sanitario nazionale a riprendere ciò che avveniva negli Opg: le immagini avrebbero impresso per sempre ciò che lo Stato nascondeva, in primis, a se stesso. Arrivato nell'Opg rimasi sconvolto. Montai un video di 34 minuti che fece il giro dei Palazzi, dal Presidente Napolitano ai ministri competenti, Alfano e Fazio, e qualcosa cominciò a scricchiolare. Ma io sentii l'esigenza di raccontare ciò che vidi a chi i palazzi non li frequenta. Prima, con Riccardo Iacona, realizzammo un servizio per "Presa Diretta" (menzione speciale Premio Ilari Alpi 2011, ndr), che provocò un'ondata di indignazione e fece sì che nel giro di un mese 120 persone, non più pericolose o che non lo erano mai state, poterono uscire da un Opg. Poi, realizzai Lo Stato della follia. Di quest'esperienza mi sono rimasti le voci nelle orecchie, gli odori nel naso, gli sguardi negli occhi di ogni internato che ho intervistato". Quel nesso sbagliato fra follia e delinquenza. "La chiusura degli Opg è un atto da tempo necessario - osserva Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia - Nella maggior parte dei casi, il trattamento inflitto ai detenuti in queste strutture è contrario alla dignità umana e in violazione degli standard internazionali in materia di reclusione di soggetti psichiatrici o presunti tali. Gli Opg italiani hanno consolidato la pericolosa e infondata idea che vi fosse un legame tra follia e delinquenza e che la società potesse sentirsi al riparo dall'una e dall'altra attraverso la sedazione e la contenzione dei corpi dei detenuti. Le storie individuali di queste persone, rivelate dall'indagine parlamentare del 2011 e portate sullo schermo dal documentario Lo Stato della follia, hanno dimostrato invece che, nella maggior parte dei casi, non si trattava di soggetti socialmente pericolosi, ma anzi dimissibili, se solo fossero esistite strutture che avrebbero potuto prenderle in carico. Giustizia: Ospedali psichiatrici chiusi "rischio stigma su tutti i malati mentali" di Emanuele Salvato Il Fatto Quotidiano, 31 marzo 2015 In base alla legge 81/2014, oggi 31 marzo lo Stato chiude i 6 istituti presenti in Italia. I pazienti saranno ospitati presso le "Rems", costruzioni più piccole, senza celle. Usciti da queste strutture, saranno presi in carico dalle Asl, fino a che saranno dichiarati guariti. "C'è il rischio - avvertono però gli esperti - che entrando nel circuito ordinario di cura, tutti i malati siano additati come pericolosi". "Il problema di questa legge è che non fa distinzione fra il malato psichiatrico giudiziario, macchiatosi di reati contro la persona, e il malato psichiatrico puro. Il rischio più elevato è che la psichiatria faccia un balzo indietro di decenni e mini le conquiste della legge Basaglia". Ne è convinto Andrea Pinotti, direttore dell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere, che con queste parole getta parecchie ombre sulla legge di riforma degli Opg, la n. 81 del 30 maggio 2014, attraverso la quale lo Stato intende chiudere entro domani, 31 marzo, le sei strutture di detenzione presenti in Italia a favore delle Rems (Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza detentive), strutture più piccole (capienza massima 20 posti), agili, senza celle e altre forme contenitive delle libertà personali. Nelle intenzioni questa riforma dovrebbe far prevalere l'aspetto sanitario, favorire la cura dei malati comunque pregiudicati, anche se ritenuti parzialmente o totalmente incapaci di intendere e volere nel momento in cui hanno commesso il reato e il loro reinserimento nel tessuto sociale, nel territorio. Ma sarà proprio così? "Il rischio prosegue Pinotti è che nel momento in cui il paziente autore di reato entra nel circuito ordinario di cura, confondendosi con tutti gli altri, torni lo stigma e tutti i malati psichiatrici siano additati come pericolosi dalla gente. Quindi emarginati, evitati, esclusi. Altro che reinserimento. La mia paura è che le Rems tornino a essere dei piccoli manicomi senza speranza, dai quali non si porta a casa nulla". La Legge 81, di fatto, scarica sul territorio il problema degli internati negli Opg, 700 in tutto secondo i dati più recenti. Le Rems funzioneranno come tappa intermedia, come filtro che dovrà riconsegnare il malato alle strutture a bassa intensità di cura e, poi, alla società. Guarito? Questo è l'obiettivo. Ma c'è chi si chiede ed è il caso di un gruppo di 64 psichiatri del Dipartimento di Salute Mentale di Bologna, che hanno scritto una lettera al Ministero della Salute come pluriomicidi, di fatto internati negli Opg italiani, possano essere controllati una volta dismesse le misure detentive. La sicurezza è affidata alla Prefettura che predisporrà sorveglianza esterna nelle zone in cui insisteranno le strutture e disporrà altri interventi per garantire la sicurezza, se necessari. Una volta fuori dalla Rems i pazienti ex internati saranno presi in carico dai presidi psichiatrici di zona delle Asl per un certo periodo di tempo, fino a quando saranno dichiarati guariti. Ma chi potrà assicurare che i pazienti seguiranno i percorsi di cura? Altro quesito al quale non sembra esserci risposta. La dead line, come detto, è il 31 marzo. E non ci saranno proroghe. Per nessuno. Chi non sarà pronto ne risponderà e il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, parla di commissariamento per gli inadempienti. Ma, visto che la data limite è dietro l'angolo, gli Opg italiani (Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Napoli, Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto e Castiglione delle Stiviere) sono pronti per la trasformazione? Una risposta unica non c'è: alcuni sì, altri meno, altri ancora per nulla. Quasi tutte le Rems, in ogni caso, saranno provvisorie perché per quelle definitive serve più tempo. Lo Stato, per la realizzazione delle strutture necessarie, ha distribuito alle Regioni (tutte, anche quelle dove non c'erano Opg, perché l'idea è che ogni Regione si riprenda i suoi malati-pregiudicati) 172 milioni di euro. Altro stanziamento è previsto per l'assunzione e la formazione di nuovo personale. Quattordici di questi 172 milioni sono stai assegnati all'Opg di Castiglione delle Stiviere. Un caso unico, di per sé, perché da sempre questa struttura, a differenza delle altre cinque, non dipende dall'amministrazione penitenziaria, ma dall'Azienda Ospedaliera Carlo Poma e dall'Asl e ha una convenzione con il ministero di Giustizia. "A Castiglione spiega il direttore dell'Opg non ci sono agenti di custodia, non ci sono celle, gli internati si muovono liberamente e hanno a disposizione bar, campo da calcio, palestra, piscina, laboratori ricreativi, una comunità esterna dove le persone con psicosi meno gravi lavorano e sono retribuite. Nel corso del 2014 abbiamo dimesso un centinaio di persone, per cui da noi non si può parlare di ergastoli bianchi. A Castiglione la riforma, possiamo dire, era già arrivata da tempo e l'aspetto riabilitativo ha sempre prevalso su quello detentivo". L'Opg in provincia di Mantova che attualmente ospita 215 internati, unico in Italia ad avere anche una sezione femminile, dove sono ospitate le cosiddette ‘mamme killer' è pronto per la trasformazione, come sancito dalla Commissione Sanità del Senato in visita nei giorni scorsi. "In fase di transizione ha detto ancora Pinotti adatteremo le strutture già esistenti, sfruttando il nostro know-how. Partiremo con sei pre-Rems, suddivise a seconda delle patologie, che diventeranno otto quando l'opera complessiva di riqualificazione entrerà a regime". Giustizia: scatta "ora X" per la chiusura degli Opg, delicata gestione della fase transitoria Ansa, 31 marzo 2015 Nessuna proroga ha fatto slittare l'arrivo dell'ora X per la chiusura degli ultimi ospedali psichiatrici giudiziari e martedì 31 marzo, dopo tre slittamenti in due anni, si compirà un altro passo fondamentale della riforma che ha portato alla chiusura dei manicomi, con la minaccia dei commissariamenti per le regioni che non organizzeranno l'assistenza alternativa. Ad oggi sono ancora in funzione, in Italia, 6 ospedali psichiatrici giudiziari. I detenuti sono 700, di questi 450 entreranno nelle nuove Rems, le Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, per gli altri si va verso le dimissioni o lo spostamento in strutture che dovranno ancora essere definite con percorsi di recupero personalizzati. "Il problema più urgente da risolvere ora riguarda in particolare le persone che non hanno più famiglia e gli internati stranieri (circa 130 persone)", ha ricordato il deputato Pd Edoardo Patriarca. Gli Opg lasceranno spazio alle Rems, che prevedono un'assistenza solo sanitaria. Ma c'è chi, come la deputata della commissione Giustizia della Camera, Vanna Iori (Pd), teme che ora queste strutture si configurino come dei mini-opg. Le Rems, insomma, da sole potrebbero non bastare e il post-Opg sarà, secondo il giudizio di diversi, un processo lento, graduale e complesso. L'associazione Antigone ha già annunciato che i suoi osservatori monitoreranno questo processo che dalla fotografia che arriva dalle regioni appare ancora complessa e in divenire. I sei Opg ancora attivi sono localizzati in cinque regioni: Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Campania e Sicilia. Tra questi l'Opg di Castiglione delle Stiviere in Lombardia si trasformerà in struttura Rems, mentre gli altri Opg potrebbero - una volta concluse le operazioni di trasferimento degli internati - essere destinati ad altro uso. A Reggio Emilia esiste una struttura che, al momento, ospita circa 130 internati, dei quali 40 dell'Emilia-Romagna. Al momento i 40 internati di competenza dell'Emilia Romagna resteranno a Parma ed a Bologna, successivamente la regione dovrebbe dotarsi di una struttura Rems a Reggio Emilia. All'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino il primo di aprile, con l'entrata in vigore della legge per il superamento di queste strutture, operativamente non cambierà niente, spiega la direttrice dello stesso Opg Antonella Tuoni. "Domani - afferma - lavorerò come sempre. Sabato scorso c'è stato l'ingresso di una persona proveniente da una comunità e non ho indicazioni su provvedimenti di trasferimento con l'assegnazione nelle strutture individuate dalle regioni". Nel pomeriggio la Regione ha individuato sei residenze per ospitare gli internati: l'Istituto Mario Gozzini e la struttura psichiatrica residenziale "Le Querce" a Firenze (Asl 10 Firenze); la Comunità terapeutica "Tiziano" ad Aulla (Usl 1 Massa Carrara); la struttura residenziale "Morel" a Volterra (Usl 5); il modulo residenziale "I Prati" ad Abbadia San Salvatore (Usl 7 Siena) e il modulo residenziale in struttura terapeutico riabilitativa di Arezzo (Usl 8). Chiude invece l'Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. Ma il futuro dei 165 internati, tra cui dieci donne, ospiti dell'unico Opg della Sicilia resta un'incognita. Alcuni saranno destinati alle strutture carcerarie del territorio; quelli che hanno ancora bisogno di supporto psichiatrico dovrebbero essere trasferiti presso i vicini Rems a Naso (Messina) o a Caltagirone (Catania) che però non potranno ospitare più di 20 pazienti. In Campania sono presenti due Opg: il più noto è quello di Aversa (Caserta) ed è intitolato al medico Filippo Saporito. Al momento sono 104 gli internati, 38 dei quali sono campani, 52 laziali e il resto provenienti da Molise e Abruzzo. L'altro Opg campano ha sede a Napoli (da qualche anno è all'interno della struttura penitenziaria di Secondigliano, dopo la chiusura della antica sede di via Imbriani): questa struttura ospita 87 persone. Le Rems sorgeranno a Calvi Risorta, nel Casertano, (sarà attiva dal prossimo primo settembre) mentre quella di Avellino sarà operativa dal 30 maggio. Giustizia: chiusura degli Opg, gli psichiatri chiedono meno Rems e più risorse a ospedali Adnkronos, 31 marzo 2015 Sacchetti (Sip), micro-equipe sul territorio ancora tutte da costruire. Opg addio. Domani scatta la chiusura dei 6 ospedali psichiatrici giudiziari italiani e per chi ancora ci vive si apre un futuro incerto. Oltre 700 inquilini in cerca di una nuova casa. Dove andranno e chi li curerà, se le Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza detentive sono pronte o in arrivo in appena una decina di regioni? Emilio Sacchetti, presidente della Società italiana di psichiatria, sposta il focus del problema: "Servono meno Rems e più risorse per gli ospedali - avverte da Vienna, dove è in corso il 23esimo Congresso dell'Associazione europea di psichiatria (Epa) - perché delle micro-équipe dedicate che dovrebbero nascere nei Dipartimenti di salute mentale per assorbire i pazienti che torneranno sul territorio, per ora non c'è quasi traccia. Sono poche o nessuna. Qualche azienda ospedaliera ha lanciato il concorso, alcune coprono il buco con altro personale, ma quelle che non ne hanno sono in grave difficoltà". La normativa per il superamento degli Opg "è una buona legge per come è stata concepita, e per avere coinvolto per la prima volta anche gli addetti ai lavori". Ma "le Rems - assicura Sacchetti - non sono necessarie se non in casi estremi: 200-300 persone, 400 stando molto larghi. Queste strutture devono ospitare solo ed esclusivamente i pazienti non dimissibili, affetti da patologia mentale permanente, socialmente pericolosi e per i quali ci sia un rapporto diretto fra la malattia e il reato commesso". "I criminali, quelli veri, vanno in carcere. Mentre tutti gli altri stanno fuori e sono i Dsm ad assisterli negli ospedali. È soprattutto su di loro che le Regioni dovrebbero investire. Meno Rems e più risorse per il territorio, quindi, perché di pazienti così noi già ne abbiamo in carico un migliaio", calcola il numero uno della Sip. Cosa succederà di fatto dal primo aprile? "Non prevediamo caos, non cambierà molto rispetto a ora", tranquillizza Sacchetti. Tuttavia, precisa il presidente degli psichiatri italiani, affinché il dopo-Opg possa davvero funzionare senza sfociare in drammi da cronaca nera "è necessario sistemare varie cose". Innanzitutto la selezione all'ingresso: "È fondamentale riuscire a distinguere i malati che a causa della loro patologia hanno commesso un reato - insiste Sacchetti - dai criminali che magari soffrono anche di una malattia, ma non è per questa che delinquono. Per riuscirci è necessario ripensare alle perizie, oggi strumenti molto vecchi". Inoltre "bisogna rivedere il concetto di pericolosità sociale", e infine "occorre cambiare l'assistenza nelle carceri. Oggi ci sono poche risorse e cure profondamente carenti". Ma come viene vissuta la prospettiva del day after dai veri protagonisti di questa svolta, i pazienti? "C'è chi è felice della dimissione e all'opposto chi si barrica e non vuole uscire", testimonia l'esperto, direttore del Dipartimento di salute mentale degli Spedali Civili di Brescia. Timore, paura, disorientamento sono alcuni dei sentimenti più diffusi fra chi si chiude dietro le spalle la porta dell'Opg: "Alcuni vengono dimessi per scadenza dei termini e non hanno più una casa dove tornare. Altri hanno una famiglia che non può o non vuole accoglierli. Spetta allora a noi aiutarli a trovare una sistemazione protetta e assistita, se possibile a recuperare progressivamente un dialogo con i parenti. Queste persone devono reimparare a vivere da zero", osserva Sacchetti. E per non stordire, conclude, "la libertà va respirata a piccole dosi". Giustizia: Stefano Cecconi (Comitato Stop Opg) "gli internati sono persone, non pacchi" di Giovanni Augello Redattore Sociale, 31 marzo 2015 Il 31 marzo è l'ultimo giorno per gli Ospedali psichiatrici giudiziari, ma la chiusura sarà graduale. Cecconi, Stop Opg: "Ci vorranno alcuni giorni". E sulle regioni in ritardo: "Vanno commissariate, punto e basta". "Soddisfatti a metà". La data del 31 marzo 2015, ultimo giorno in Italia per gli Ospedali psichiatrici giudiziari, è "solo una tappa". Ora i nodi da sciogliere passano alle regioni e l'attenzione, oltre che sugli internati che lasceranno le strutture, si sposterà sui nuovi ingressi e sulle Rems, strutture che preoccupano non poco il mondo delle associazioni. È questo il bilancio tracciato da Stefano Cecconi, coordinatore della campagna Stop Opg, a poche ore dalla data fissata per il superamento degli Opg dalla legge 81 del maggio 2014. "Siamo soddisfatti, ma non ci siamo ancora spiega Cecconi. Ci sono resistenze. Le regioni chiedevano un rinvio al 2017. Per questo, fin dalle prossime ore, occorre organizzare il commissariamento di quelle regioni in ritardo perché non ci siano persone bloccate perché le regioni non hanno voluto organizzare quello che dovevano fare in questi mesi". Ad oggi sono circa 700 gli internati. Secondo la seconda relazione trimestrale al Parlamento sul programma di superamento degli Opg di febbraio, al 30 novembre 2014 gli Opg contavano 761 persone. Un dato che è quasi la metà di quello del 2012 (quando se ne contavano circa 1.200), ma che sembra non tranquillizzare le regioni. Per Cecconi, però, occorre far chiarezza: ci sarà bisogno di una certa gradualità nella chiusura. "Ci vorranno alcuni giorni spiega -, perché si tratta di persone e non di pacchi. Una parte di loro potrà già essere dimessa, perché ci sono le schede di dimissione pronte, altri saranno trasferiti spero temporaneamente in queste Rems, che sono pur sempre strutture di tipo detentivo. Rems vuol dire residenza per l'esecuzione della misura di sicurezza". Per Cecconi, però, quel che conta è che sia partito "un processo che non può essere fermato". Commissariare le regioni non pronte. Uno degli ostacoli da affrontare, quello delle regioni che non hanno ancora organizzato i servizi per accogliere i propri internati. "Ci sono regioni che non sono pronte spiega Cecconi. Non sono tante, ma vanno commissariate, punto e basta. Questo permette al Commissario di intervenire con decisione e organizzare gli spostamenti". Per Cecconi le regioni in serio ritardo sono il Piemonte, la Calabria, il Veneto. "Poi ci sono regioni che sbagliano spiega il coordinatore di Stop Opg, come la Liguria che sceglie di mantenere i propri internati a Castiglione delle Stiviere, invece che accoglierli nel proprio territorio". Gli Opg da chiudere sono sei: Castiglione delle Stiviere in Lombardia, l'Opg di Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino in Toscana, quello di Aversa e l'Opg di Napoli in Campania e quello di Barcellona Pozzo di Gotto in Sicilia. Tra questi, però, ce n'è uno che non chiuderà del tutto, spiega Cecconi, ma verrà trasformato in Rems. "Castiglione non chiude e questo è grave aggiunge - perché la regione Lombardia ha deciso che i propri internati, che sono 120, resteranno a Castiglione. Cambierà la targa, diventerà una Rems e invece di avere una struttura da 160 posti, ci saranno sei moduli da 20 posti ciascuno, con in più gli ospiti della Liguria e addirittura di altre regioni". Per Cecconi, questo dimostra che "le Rems sono degli Opg". Le altre strutture, invece, sono pronte a chiudere i cancelli. "I direttori hanno dichiarato che sono pronti a chiudere, basta che il Dap proceda ai trasferimenti. Il problema sono le regioni. Alcune regioni sono prontissime, come la regione Emilia Romagna, la Toscana o la Campania. Il problema sono quelle che non hanno ancora organizzato i servizi". Il nodo dei nuovi ingressi. Non c'è solo la questione dei trasferimenti degli internati. Una delle questioni chiave su cui si giocherà il futuro della gestione delle Rems e dei servizi riguarda i nuovi ingressi. Secondo l'ultimo rapporto di Antigone, infatti, nonostante la lenta e costante diminuzione del numero di internati in generale, gli ingressi continuano ad aumentare. Secondo l'ultimo rapporto dell'associazione la media dei ricoveri è di 77 a trimestre, un paziente al giorno. "La vera sfida è applicare bene la legge sulla chiusura dei manicomi e la legge 81 approvata a fine maggio 2014 spiega Cecconi, la quale privilegia decisamente le misure alternative alla detenzione, piuttosto che l'internamento nelle Rems. Sarebbe una iattura se al posto degli Opg restassero aperte centinaia di posti Rems. Non è questa la strada indicata né dalla legge sugli Opg, né dalla stessa riforma Basaglia". Per Cecconi, però, serve "una regia nazionale forte, perché il tema ora è costruire i servizi sul territorio che non sono soltanto per gli internati, ma per tutti i cittadini". Giustizia: dall'Ass. Antigone l'esito delle visite negli Opg di Napoli, Aversa e Castiglione Ristretti Orizzonti, 31 marzo 2015 Come preannunciato, oggi si sono svolte le visite da parte degli Osservatori dell'Associazione Antigone e dei responsabili delle sedi regionali, in quattro dei sei Opg attualmente esistenti in Italia: Aversa, Castiglione delle Stiviere, Barcellona Pozzo di Gotto (in corso in questo momento) e Napoli (anticipata ad oggi, rispetto a quanto comunicato in precedenza, per questioni logistiche). Nella mattina di mercoledì 1 aprile ci sarà la visita a Reggio Emilia mentre, nei giorni a seguire, a Montelupo Fiorentino. Quella di chiudere gli Opg è una decisione importante, frutto di anni di lunghe battaglie condotte da più soggetti, tra cui Antigone. Una riforma che, le nostre visite hanno dimostrato, essere stata necessaria. Molte delle persone che abbiamo incontrato avevano storie che parlano di un periodo di tempo molto più lungo passato in misure di sicurezza all'interno degli OPG di quella che sarebbe state le pene massima da scontare se fossero stati condannati al carcere. Spesso autori di reati non gravi. Esempio lampante è dato da un ragazzo internato ad Aversa che dal 2007 è in Opg per resistenza a pubblico ufficiale. "Sappiamo che è un percorso difficile ha dichiarato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, al termine della visita ad Aversa e non ci aspettiamo miracoli da un momento all'altro, ma il proseguimento di un percorso necessario dal quale non dobbiamo tornare indietro, facendoci magari spaventare da possibili difficoltà emerse in alcuni territori nell'accogliere queste persone". "Più visitiamo gli Opg ha aggiunto Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell'Associazione più ci rendiamo conto che la maggior parte dei casi hanno poco a che vedere con la sicurezza pubblica". "A tal proposito è importante che le Rems non ripropongano una logica per troppo tempo vista negli Opg, ma che mettano al centro un progetto di cura che non sia solo sedazione, ma ha concluso Marietti un progetto terapeutico con la presa in carico sociale della persona". Lettere: chiusura degli Opg, la vera rivoluzione è un cambio di mentalità di Massimo Lensi e Marco Pannella (Radicali Italiani) Corriere Fiorentino, 31 marzo 2015 Caro direttore, camminando per le città bisognerebbe provare a chiedere in giro che cosa si pensa della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). Pazzi in libertà, criminali, depravati pericolosi per la comunità: così ci si sentirebbe rispondere. Ci siamo ormai abituati a considerare il disagio psichiatrico dei malati di mente autori di reato solo come elemento estetico della nostra vita (in)civile, qualcosa da nascondere nei peggiori lager. Nella tarda epoca in cui viviamo, il rispetto dello stato di diritto è ormai defunto e, per opposto e ormai comune sentire, viva dunque la legalità, viva la ragion di stato, che tutto oppone a chi chiede semplicemente il rispetto delle leggi, il primato della legge come regola della convivenza. Opg per molti non significa nulla, e la loro chiusura, o meglio il superamento come chiede la legge 81/2014 con nuove strutture alternative chiamate Rems (residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza) dice ancora meno. Acronimi dal significato esoterico, chiusi nel verboso annuire degli specialisti della psichiatria forense e non, all'opposto, frutto di anni e anni di lotte e battaglie nonviolente compiute anche da noi radicali, come sempre, in prima fila. La battaglia per carceri meno degradanti, per il diritto umano alla conoscenza e per la chiusura di questi maledetti manicomi criminali, come voleva il deputato radicale Domenico Modugno che, già segnato dalla malattia, andava a far visita agli internati dell'Opg di Barcellona Pozzo di Gotto. Basta sostare per poche ore in un corridoio di un Opg, annusarne l'aria intrisa di medicinali e disinfettanti, dialogare con gli spossati internati condannati all'ergastolo "bianco" e le stanche guardie penitenziarie, fare due chiacchiere con i sempre più smarriti operatori sanitari in attesa di certezze, che si capisce come in quel mondo separato la salute mentale non si tutela. La salute del corpo e della mente si tutela solo laddove un soggetto può esistere e comunicare, ribaltando la nozione originaria di "pazzo criminale", anche nell'uso comune. Quindi non dentro un Opg. In Toscana, la villa Ambrogiana di Montelupo Fiorentino fu centro di passioni e arte della corte di Ferdinando I e dimora prediletta di Cosimo III; per le strani leggi del destino, la più bella delle ville medicee è oggi la più disastrata, ed è sede appunto dell'Opg della Toscana. Al suo interno le ex Scuderie fungo da padiglioni sanitari per gli internati, e carcere a custodia attenuata potrebbe diventare, con il superamento degli Opg prescritto dalla legge 81/2014, se solo si mettessero d'accordo il sindaco di Montelupo, il sottosegretario Luca Lotti e il Prap di Carmelo Cantone. Ma sono poche le regioni che hanno rispettato i criteri della legge 81. Alcune, come la Toscana, hanno proposto soluzioni provvisorie e transitorie. Altre nulle o quasi. Il rischio, poi, che le soluzioni provvisorie si trasformino in definitive è altissimo, quasi certo. Alcune Regioni, come sembra la Toscana, stanno presentando soluzioni per gli internati che prevedono il loro affidamento al privato sociale, o al privato mercantile. Il rischio, in questo caso, è quello di creare di mini- Opg privati. Deve esserci, allora, la massima coesione tra le Asl, i servizi sociali e il privato sociale per evitare il rischio che la presa in carico dell'internato diventi una soluzione a vita. A pensar male si fa peccato, si sa, ma giusto per darvi conto, si parla, di rette mensili a carica del servizio sanitario di circa 5.000 euro per ciascun malato. Si fa presto a creare un vero business sul disagio mentale. Un punto però è importante sottolineare: finché rimarrà inalterato il concetto di pericolosità sociale così come ereditato dai fascistissimi Codici Rocco non sarà possibile modificare l'essenza della modalità di risoluzione della questione "superamento Opg". La posizione dell'autore di reato malato di mente e come tale considerato incapace di intendere e volere continua, infatti, a essere sottoposta al giudizio di pericolosità sociale con le conseguenti misure di sicurezza, su cui si è retta fino ad ora l'esistenza dell'ospedale psichiatrico giudiziario. E delle Rems domani. Sono sempre i luoghi a farla da padrone, mai i malati, di mente o di altro, men che mai poi le terapie riabilitative di cui abbisognano. E allora, in conclusione, superiamoli questi maledetti ospedali giudiziari, superiamoli con slancio e attenzione alla persona e non ai luoghi, alla riabilitazione e cura e non alla punizione, ai diritti e non agli interessi economici. E che Montelupo sia sede e deposito della memoria di un passato che non deve più tornare. Lettere: l'Opg non è come il colesterolo di Giovanni Rossi Gazzetta di Mantova, 31 marzo 2015 Oggi 31 marzo gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari devono chiudere. Finalmente non vi sarà nessuna proroga. Chi, come il comitato Stopopg (www.stopopg.it) è nato per questo non può che rallegrarsene. Il giorno successivo, il primo di una nuova fase, il film "il viaggio di Marco Cavallo" dentro gli OPG, verrà proiettato in Senato alla presenza del Presidente emerito Giorgio Napolitano, che in prima persona ha voluto la chiusura di questi luoghi "indegni di un paese appena civile". Non ci sarà nessun effetto acceso/spento perché in quelle strutture obsolete e nocive per la salute, sono comunque accolte persone fragili, gli internati, e persone meno fragili, gli operatori, che hanno diritto, i primi, a programmi individuali di cura e risocializzazione, i secondi, a programmi formativi e di ricollocazione professionale. Il processo di chiusura si realizzerà attraverso la messa in pratica dei programmi terapeutici individuali. Non tutte le regioni hanno condiviso e messo in pratica le prescrizioni di legge : 1) un progetto terapeutico e di risocializzazione per ogni proprio internato; 2) risorse aggiuntive ai dipartimenti di salute mentale; 3) attivazione di un numero limitato di posti residenziali (r.e.m.s.) dove possa essere messa in atto la misura di sicurezza detentiva nei, pochi, casi che dovessero essere così sanzionati da un giudice. Per questo alcune rischiano il commissariamento. Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari che devono chiudere sono sei. In cinque prevale il Giudiziario, sono di fatto carceri. Il sesto, Castiglione delle Stiviere, esegue la detenzione per mezzo di un Ospedale Psichiatrico. Questa differenza viene utilizzata dalla regione Lombardia per sostenere che il suo Opg sarebbe oltre l'Opg. Insomma secondo la Regione Lombardia, gli Opg sarebbero come il colesterolo. C'è quello cattivo gli altri cinque e quello buono il suo. Ma non è così. La legge dello scorso anno non prevede che possa esistere l'Ospedale Psichiatrico Buono. E questo per una ragione molto semplice. La nocività dell'Ospedale Psichiatrico, oltre che documentata nella pratica, è stata scritta nero su bianco in una legge: la legge Basaglia. In un certo senso possiamo affermare che la legge 81 del 2014, sancendo la chiusura degli Opg, completa la legge 180. Così, se per la legge 180 la cura è di norma extra ospedaliera, per la legge 81 la misura di sicurezza è di norma non detentiva. Se per la legge 180 il trattamento sanitario obbligatorio (tso) deve comunque rappresentare l'estrema ratio e per questo viene sottoposto a vincoli di tempo, di luogo e di legittimità stringenti, analogamente l'estrema ratio della legge 81 è costituita dalla misura di sicurezza detentiva. Lo scopo di questa misura dovrebbe, infatti, essere quello di eliminare/attenuare la pericolosità sociale attraverso la cura. Ma la cura delle malattie mentali, come sappiamo bene, è di norma extra ospedaliera e volontaria. Una prova ulteriore del fatto che la cura si basa sui progetti individuali e non sulle strutture, ci viene dalla prima applicazione della legge 81. È bastato chiedere un piano di trattamento individuale per scoprire che : a) più della metà degli internati in Opg era già dimissibile (non più pericoloso); b) molti di coloro che non erano dimissibili lo erano per problemi psicopatologici più che per la pericolosità, e quindi in opg non avevano ricevuto la cura appropriata. Una verifica illuminante circa il fatto che l'istituzione totale nuoce gravemente alla salute, non riuscendo né a dimetterti né a curarti, ti cronicizza. È l'ergastolo bianco. A questo punto possiamo chiederci, riprendendo don Ciotti: la verità illuminerà la giustizia? Giustizia vorrebbe che, perché l'acqua nell'Opg non ristagni ma riprenda a scorrere, non venga chiusa con una diga di Rems ma si aprano tanti ruscelli quanti sono gli internati. Servono dei buoni idraulici. Gli operatori della giustizia e quelli della salute lo sono? Fino ad oggi è, purtroppo, indubbio che l'interazione tra giustizia e sanità, tra magistrati e psichiatri, sia stata fattore di internamento, spesso non necessario, in Opg. Si entrava tanto per la mancata presa in carico nel Dsm che per il ricorso automatico alla misura di sicurezza detentiva. Non si usciva semplicemente perché non veniva presentato un progetto terapeutico, né veniva particolarmente sollecitato dal giudice. Fortunatamente però le cose non andavano sempre così. Vi sono state anche intenzioni maggiormente efficaci. Secondo dati del Coordinamento interregionale sanità penitenziaria nel 2013 la regione con il maggior tasso di internamento era la Lombardia (più di 25 persone per milione) mentre altre come il Friuli e l'Emilia ne avevano meno della metà (meno di 10 per milione). Variabilità confermata anche dai dati aggiornati ad oggi. 8 friulani, 40 emiliano-romagnoli e ben 160 lombardi. Le regioni considerate hanno alcuni caratteri comuni : sono tutte del nord, i loro assetti socio economici e di welfare sono simili. È diversa, invece la cultura/organizzazione dei servizi sanitari e giudiziari. Tale diversità spiega perché negli Opg ci sia più del doppio di lombardi rispetto a emiliani e friulani. In Lombardia l'Opg si configura come la risposta per un sistema di servizi molto difensivo, centrato sull'ospedale e sugli specialismi. In Emilia si valorizzano le differenze tanto negli approcci culturali che in quelli organizzativi. Essendo allenati ad organizzare risposte integrate nelle reti territoriali, tale approccio viene esteso anche alle persone internate, la cui differenza viene, infine, valorizzata. In Friuli si condivide in maniera sistemica l'esperienza basagliana che considera superabile, dopo aver chiuso l'ospedale psichiatrico, e messo in pratica il principio della cura extra ospedaliera, anche il manicomialismo intrinseco in qualsiasi forma di coazione : dal trattamento sanitario obbligatorio alla misura di sicurezza in Opg. Purtroppo in Lombardia non sembra esserci alcuna consapevolezza del fatto che avere tanti lombardi in Opg dipende da uno scadente, e non eccellente, modello culturale/organizzativo. Anzi si fa di tutto per mettere sulle spalle dell'internato la responsabilità del suo internamento. Lombrosianamente si dibatte se si tratti di cronicità pericolosa, o non piuttosto, di pericolosità cronica. Portatori di tale responsabilità non sarebbero più gli "schizofrenici" ma i "giovani disturbi di personalità associati a dipendenza patologica". Per questo, nella nuova fase che si apre, va posta con forza la questione della verifica dell'efficacia dei programmi adottati dalle singole regioni. Non può esistere un diverso trattamento in base alla regione di residenza. Tutti i cittadini italiani hanno diritto alla miglior cura disponibile. Né può essere tollerato lo spreco di denaro pubblico per "grandi opere", come si configura il progetto della regione Lombardia - radere al suolo e ricostruire più bello l'Opg di Castiglione delle Stiviere la cui base culturale si rintraccia nell'alienismo ottocentesco (1800), e nemmeno nel migliore. La parola di oggi è Stop Opg. Fatevi sentire. Toscana: l'Opg di Montelupo chiude… anzi no, le strutture alternative non sono pronte di Gaetano Cervone e Jacopo Storni Corriere Fiorentino, 31 marzo 2015 La direttrice: rimango qui al lavoro, chissà fino a quando. Tempo scaduto, il 31 marzo è arrivato. Oggi, secondo la legge, avrebbero dovuto chiudere tutti gli ospedali psichiatrici giudiziari d'Italia. E invece il 31 marzo sarà ricordato come il giorno dell'ennesimo rinvio. Un Opg su due non chiuderà, né oggi né domani. E non chiuderà nemmeno Montelupo Fiorentino. I pazienti resteranno dentro Villa Ambrogiana ancora per settimane, forse mesi, addirittura fino al 2016. La Regione è incaricata di individuare le strutture alternative, le cosiddette Rems (Residenza per l'esecuzione di misure di sicurezza detentiva). E questo è stato fatto, ma molte non sono ancora pronte, altre invece sono piene. La direttrice dell'Opg di Montelupo, Antonella Tuoni: "La chiusura dell'Opg toscano sicuramente il primo aprile non ci sarà. Domani (oggi ndr) lavorerò come sempre, sabato scorso c'è stato l'ingresso di una persona proveniente da una comunità e non ho indicazioni su provvedimenti di trasferimento. Le strutture alternative all'Opg sono state individuate - aggiunge - ma la Regione Toscana non è ancora pronta e i pazienti toscani di fatto il primo aprile continueranno ad essere qui". Non solo: "Nel caso in cui i magistrati decidano per la misura di sicurezza provvisoria detentiva a un toscano, lo manderanno qui e non in una residenza non ancora operativa". Ad oggi nell'Opg di Montelupo sono presenti 115 pazienti internati. I 49 internati toscani dovranno essere trasferiti nelle strutture della nostra regione, mentre gli altri andranno nelle rispettive regioni di provenienza. Ai 49 si aggiungono altri tre pazienti toscani, due donne all'Opg di Castiglione delle Stiviere (Mantova) e un uomo all'Opg di Reggio Emilia. Cinquantadue complessivamente. Circa la metà di loro andranno all'istituto Gozzini, chiamato più comunemente Solliccianino. Una decisione scaturita dopo la lunga riunione di ieri pomeriggio della giunta regionale, una decisione che scontenta quanti chiedevano strutture alternative al carcere per i malati mentali, così come indicato dalla legge. Gli altri, ritenuti meno pericolosi, andranno nelle seguenti strutture con misure di sicurezza più leggere: padiglione Morel presso il presidio ospedaliero di Volterra (12 posti); comunità terapeutica "Tiziano" di Aulla (10); Le Querce di Ugnano, Firenze (8); struttura terapeutico riabilitativa I Prati ad Abbadia S. Salvatore (4) e struttura riabilitativa ad Arezzo (4), entrambe pronte soltanto ad ottobre. Per accelerare i trasferimenti, la Regione ha attivato corsi di formazione per gli operatori delle comunità di recupero e ha attivato un tavolo di coordinamento per monitorare gli interventi volti al superamento dell'Opg. Toscana: sulla chiusura degli Opg tanta demagogia e assenza di concrete soluzioni di Fabrizio Ciuffini (Segretario Generale Fns-Cisl Toscana) www.gonews.it, 31 marzo 2015 Oggi scade il termine di cui alla Legge 81 del 30 maggio 2014. Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari devono concludere la loro funzione relativa alla gestione da parte dell'Amministrazione Penitenziaria delle persone autori di reati dichiarati incapaci d'intendere e volere, oltre che sottoposte a privazione della libertà personale per Pericolosità Sociale che venivano Internati in Opg piuttosto che dichiarati Detenuti ed affidati alle Case Circondariali e/o alle Case di Reclusione. Questa è la conclusione di un percorso che delineava già dopo il 1978 la Legge Basaglia, che chiudeva i Manicomi Civili ma rinviava ad una successiva fase la stessa operazione per quelli Criminali. Purtroppo però proprio gli Opg hanno per tanti anni coperto la vergogna di un Paese, l'Italia, che non aveva create le Strutture previste dalla stessa legge Basaglia, ospitando con la diffusa complicità del sistema "Istituzioni" tanti malati che prima che in strada sono stati Internati in queste Strutture Penitenziarie. Non deve indurre in errore infatti la dicitura Opg (Ospedale Psichiatrico Giudiziario) perché non trattasi di Struttura Sanitaria, come molti hanno tentato e continuano a tentare di classificare queste Strutture, ma di una tipologia d'Istituto dell'Amministrazione Penitenziaria nell'esecuzione penale di restrizione della libertà individuale nelle persone autori di reati. Certo una Struttura Penitenziaria con spiccate attività di assistenza sanitaria al proprio interno, ma sostanzialmente un carcere. In alternativa, dopo domani, gli Internati dovrebbero essere portati nelle Rems (Residenze per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza) piccole Strutture delle Asl che non devono ospitare normalmente più di 20 persone. Una previsione che di fatto realizza una modifica circa la gestione delle persone autori di reati in Italia, affidando la competenza non più allo Stato come previsto per le attività del Ministero della Giustizia, ma definisce in capo alle Regioni una attività non prevista dal decentramento di funzioni. Non bastasse questo c'è poi il problema del Codice Penale che resta invariato e che pone i Giudici nella condizione di continuare a decidere nelle uniche scelte, poste dalla Legge rispetto alla privazione della libertà individuale nei soggetti autori di reato: o dichiararli detenuti se capaci d'intendere e volere ed affidarli alle case Circondariale e/o di Reclusione, oppure dichiararli Internati se incapaci d'intendere e volere ed affidarli agli Opg. Ma nel frattempo l'Opg risulta sulla carta chiuso! C'è poi la questione delle Regioni non pronte con le Rems. Ad oggi pochissimi casi in Italia potranno ricevere tra 48 ore i soggetti dimessi dagli Opg e comunque da inserire in una Struttura che possa impedire la "libera circolazione" tra i Cittadini di chi oggi ancora in Opg. Tra queste non c'è la Toscana, una delle Regioni fautrici di questa Riforma e che poi non si è fatta trovare pronta. Ma la chiusura degli Opg presenta anche altri rischi, legati per esempio al fatto che la criminalità organizzata potrebbe tornare a guardare con interesse questa ipotesi alternativa al carcere. Per un mafioso, un camorrista, ‘ndranghetista o della sacra corona, invece di un ergastolo in carcere tornerà conveniente ricercare un percorso fatto di perizie psichiche (visti i notevoli mezzi economici di cui quel sistema dispone per pagarsi periti e capacissimi avvocati di parte) per farsi riconoscere incapace d'intendere e volere, scontando così non più una reclusione dietro le sbarre ma venendo affidato alle cure delle Asl nelle Rems. E c'è il rischio inverso all'Opg. Visto che i Giudici non potranno più dichiarare certi autori di reati quali Internati ed affidarli agli OPG appunto, la valutazione di perizie etc., potrebbe complicarsi e vedere persone che comunque sono portatori di gravi disturbi psichici essere invece valutati come capaci d'intendere e volere, affidandoli alle carceri italiane quali detenuti. Il mix che si determinerebbe nei Penitenziari, con soggetti dalla personalità gravemente disturbata fatti forzatamente convivere con detenuti che quei disturbi non hanno e devono anzi fare un percorso di espiazione e rieducazione, potrebbe risultare pericoloso, sia per la sicurezza degli Istituti stessi ma soprattutto del personale di Polizia Penitenziaria che nelle Carceri opera. Infine la questione di Montelupo Fiorentino. L'Amministrazione Penitenziaria organizza da tempo immemore la propria attività, fino ad oggi con la funzione di Opg, all'interno di un plesso storico monumentale che è la Villa medicea dell'Ambrogiana. Dopo le tante visite ispettive o meno da parte della Politica la parte meno nobile del plesso monumentale, un padiglione dove sono organizzati i reparti detentivi, è stato completamente ristrutturato, spendendo negli ultimi 3 anni circa 7,5 milioni di euro, con un Reparto e spazi di attività comuni per i reclusi che oggi non è esagerato definire strutturalmente il migliore in Toscana. Con la chiusura della Funzione di Opg l'Amministrazione Penitenziaria riconvertirà Tutte le Strutture che erano destinate a tale scopo in Italia ad altra funzione penitenziaria, eccezion fatta per Montelupo Fiorentino che invece pare dover lasciare, più per scelte politiche non del Ministero della Giustizia e del Dap ma del Governo stesso, per un futuro che appare all'orizzonte più tramite dichiarazioni giornalistiche che altro; si parla di un futuro Centro Congressi nella parte di maggior pregio del plesso storico, così come di un possibile cambio d'uso del padiglione penitenziario appena ristrutturato che (dopo una necessaria demolizione) potrebbe essere destinato ad un gran resort. Nel frattempo il Ministero chiude per ristrutturazione il prossimo mese il carcere di Pistoia (per danni subiti da eventi sismici), dovendo ancora capire quale regione potrebbe ricevere i detenuti visto che in Toscana i carceri sono al completo. Infine il personale di Montelupo Fiorentino, che se la scelta sarà quella che si prospetta dovrà essere posto in mobilità, trasferendosi con le Famiglie in altre zone d'Italia e/o della Regione, magari dovendosi rivendere gli immobili che avevano acquistato negli anni a Montelupo per stabilirsi in quel Paese ed inserirsi nel tessuto sociale locale. Ma per loro e le loro Famiglie nessuno pare preoccuparsi più di tanto. Speriamo che Tutte le Istituzioni, gli Organismi Politici, le Redazioni giornalistiche e le Agenzie di Stampa che riceveranno questa ennesima lettera aperta, potranno fare qualcosa e portare all'attenzione Pubblica un dibattito che invece pare essere gestito in maniera sorda, come tante altre questioni nel nostro Paese". Toscana: superamento dell'Opg, individuate tutte le destinazioni per gli internati La Nazione, 31 marzo 2015 La giunta regionale ha approvato la delibera col piano attuativo. Superamento dell'Opg, l'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo, queste le soluzioni della Toscana, contenute nella delibera approvata dalla giunta regionale nel corso della seduta di oggi pomeriggio. Queste le residenze individuate per ospitare gli internati toscani che si trovano ora nell'Opg di Montelupo: 1. Istituto Mario Gozzini Località Sollicciano Firenze Azienda Usl 10 di Firenze 2. Struttura Psichiatrica Residenziale "Le Querce" Firenze - Azienda Usl 10 di Firenze 3. Comunità Terapeutica "Tiziano" Aulla Azienda Usl 1 Massa e Carrara 4. Struttura residenziale "Morel" Ospedale Volterra Azienda Usl 5 di Pisa 5. Modulo residenziale "I Prati" Abbadia S. Salvatore Azienda Usl 7 Siena 6. Modulo residenziale in struttura terapeutico riabilitativa di Arezzo Azienda Usl 8 Arezzo. Nella delibera si stabilisce anche di impegnare la Asl 10 di Firenze ad eseguire l'analisi di fattibilità inerente la quantificazione e qualificazione degli interventi di adeguamento dell'Istituto Mario Gozzini a Sollicciano (conosciuto come "Solliccianino"), corredandola di cronoprogramma. Si stabilisce di attivare un tavolo regionale congiunto delle autorità coinvolte nel processo di superamento dell'Opg, coordinato dalla Direzione Generale Diritti di cittadinanza e coesione sociale, con la partecipazione del Provveditore regionale dell'Amministrazione Penitenziaria per la Toscana, del Presidente del Tribunale di Sorveglianza, del Direttore Generale dell'Azienda Usl 10 di Firenze ed il supporto dei Settori regionali e territoriali competenti, al fine di garantire la sinergia delle azioni di rispettiva competenza e presidiare il monitoraggio ed il coordinamento degli interventi volti ad assicurare il superamento dell'Opg. Nella delibera si stabilisce inoltre di organizzare corsi di formazione per gli operatori del settore finalizzati alla progettazione e alla organizzazione di percorsi terapeutico-riabilitativi e alle esigenze di mediazione culturale; riqualificare i dipartimenti di salute mentale, contenendo il numero complessivo di posti letto da realizzare nelle strutture sanitarie; predisporre percorsi terapeutico-riabilitativi individuali di dimissione di ciascuna delle persone ricoverate in Opg. Il superamento dell'Opg è uno degli obiettivi prioritari della Regione Toscana, che in questi anni ha posto particolare attenzione alle problematiche degli internati e detenuti nell'Opg di Montelupo, individuando tra gli obiettivi prioritari dei propri atti di programmazione in ambito sanitario il superamento dell'Opg attraverso percorsi socio-assistenziali e di cura da realizzarsi nell'ambito territoriale. Dal 2011 ad oggi sono stati promossi e sostenuti a livello regionale 65 programmi di dimissione dall'Opg, per favorire il rientro degli internati toscani nel territorio di provenienza. I 65 percorsi di dimissione attivati sono stati diretti per il 73% in comunità terapeutiche psichiatriche, per il 9% in comunità terapeutiche per doppia diagnosi, il 14% in residenze sociali e il 4% al domicilio proprio o dei familiari. Con varie delibere, la giunta regionale ha stabilito il potenziamento della rete dei servizi territoriali, l'attivazione delle residenze intermedie, la realizzazione di una residenza destinata ad accogliere i pazienti internati con misure di sicurezza detentiva (Rems: residenza sanitaria per l'esecuzione della misura di sicurezza), la formazione professionale e l'aggiornamento continuo degli operatori, l'adeguamento della dotazione di personale, il sostegno dei percorsi di dimissioni per i pazienti internati toscani e per gli stranieri senza fissa dimora. Ad oggi nell'Opg di Montelupo sono presenti 115 pazienti internati, di cui 49 toscani, il resto da altre regioni. In più, 1 uomo toscano è nell'Opg di Reggio Emilia e 2 donne toscane sono nell'Opg di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova (l'Opg di Montelupo è solo per uomini). I pazienti di altre regioni verranno presi in carico dalle rispettive Regioni. La Regione Toscana ha individuato soluzioni innovative, basate su tre livelli: 1° livello: Rete ordinaria dei servizi territoriali 2° livello: Residenze intermedie e moduli 3° livello: Residenza con sorveglianza intensiva. Per quanto riguarda i pazienti toscani, queste le soluzioni individuate: per alcuni di loro (14) ci sono percorsi di dimissione in corso; per 22, l'Istituto Mario Gozzini a Sollicciano (sorveglianza intensiva); 12 andranno nella struttura appositamente realizzata nel padiglione Morel presso il presidio ospedaliero di Volterra (servirà la zona da Massa Carrara all'isola d'Elba) (struttura intermedia); 10 nella comunità terapeutica "Tiziano" di Aulla, già funzionante (struttura intermedia); 8 a Le Querce, a Ugnano, Firenze (struttura intermedia); per l'Area vasta sud sono stati individuati 2 moduli, ciascuno di 4 posti, in due strutture terapeutico-riabilitative a Siena e Arezzo, che entreranno in funzione a ottobre. Sicilia: chiude l'Opg di Barcellona Pozzo di Gotto, al via i trasferimenti degli internati Ansa, 31 marzo 2015 Da domani anche l'Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, sarà chiuso. Ma il futuro dei 165 internati, tra cui dieci donne, ospiti dell'unico Opg della Sicilia resta un'incognita. Alcuni saranno destinati alle strutture carcerarie del territorio; quelli che hanno ancora bisogno di supporto psichiatrico dovrebbero essere trasferiti presso i vicini Rems (residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza) realizzati a Naso (Messina) o a Caltagirone (Catania) che però non potranno ospitare più di 20 pazienti, come prescrive la legge. Gli altri saranno dirottati verso altre strutture. I Rems saranno gestiti dai Dipartimenti di salute mentale che dovranno garantire ogni assistenza e adeguati programmi terapeutici ai soggetti con patologie mentali. All'Opg di Barcellona Pozzo di Gotto ci sono situazioni molto diverse dal punto di vista giudiziario e clinico, con casi di patologie anche gravi. L'elegante costruzione in tardo stile Liberty, che ospita il Centro, realizzata nel 1925, era a suo tempo un modello sia sotto il profilo strutturale che scientifico, con un ingegnoso sistema alle finestre che, mimetizzando le sbarre, garantiva una completa visione dell'esterno. Per molti anni fu considerato una sorta di "buen ritiro" anche per i mafiosi che si fingevano pazzi pur di non essere rinchiusi in carcere. La struttura in passato è stata al centro di critiche sulla situazione igienico sanitaria e di un'ispezione nel 2010 da parte di una commissione parlamentare d'inchiesta guidata dall'attuale sindaco di Roma Ignazio Marino. Adesso diventerà un penitenziario destinato ai detenuti responsabili di reati di lieve entità. Veneto: Ospedali psichiatrici addio. Regione senza alternative, in arrivo un Commissario di Michela Nicolussi Moro Corriere di Verona, 31 marzo 2015 Coletto: "Ci pensi il governo a gestire un suo pasticcio" II Pd: "II Veneto è l'unico privo di strutture sostitutive". Venezia È questione di giorni il commissariamento del Veneto per l'"affaire Opg". Oggi scade infatti il termine ultimo imposto dalla legge per chiudere i sei Ospedali psichiatrici giudiziari d'Italia e trasferire i pazienti a più "umane" Residenze di esecuzione di misure di sicurezza (Rems), che ogni Regione avrebbe dovuto attivare. Il Veneto è l'unica a non averne di già operative, il Piemonte sarà pronto solo a settembre, così come risultano in ritardo Friuli, Trento, Calabria, Puglia, Toscana, Umbria e Marche, che ottempereranno al diktat da metà aprile a giugno. Le altre Regioni sono in regola. Ma allora dove finiranno i 48 detenuti veneti negli Opg di Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere (solo 4)? "Per il momento continueremo a pagare per la loro permanenza in quelle strutture, che non chiuderanno subito - spiega Luca Coletto, assessore alla Sanità - e a giorni aspettiamo il commissariamento. Visto che il governo non ha saputo garantire il processo graduale di dismissione degli Opg, comunicando alle Regioni solo lo scorso novembre la possibilità di Rems provvisorie cioè con parametri sanitari meno rigidi di quelle definitive, si occupi Roma della partita. Il Veneto ha presentato il progetto per la Rems di Nogara (40 posti, 20 per gli uomini e 20 per le donne, ndr) nel 2013, ma il ministero della Salute l'ha approvato solo nel 2014 e finanziato, con 12,5 milioni più altri 2,5 per l'avviamento della gestione, appena 15 giorni fa. Non ci sono i tempi tecnici per aprirla - chiude l'assessore - sarà pronta tra due anni. Gli stabili destinati ad accogliere i detenuti con problemi psichiatrici non si possono improvvisare". In effetti il dicastero della Giustizia impone parametri detentivi e sanitari molto rigidi: muro di cinta esterno, sorveglianza h24 e ambiente ospedaliero all'interno. Coletto ha scritto al sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo, responsabile del progetto: "In Veneto non abbiamo strutture idonee allo scopo e anche se i parametri per le Rems sanitarie sono stati declassati, tale decisione non è ancora legge. E io non mi prendo la responsabilità di inserire i pazienti-detenuti in realtà che non ne rispettano la dignità e non garantiscano la sicurezza dei cittadini". E così Palazzo Balbi gira al commissario ad acta, "che ha anche il potere di aggirare determinate norme", la patata bollente di trovare il luogo adeguato. Potrà anche rivolgersi al privato sociale, che di immobili già attrezzati ad ospitare i soggetti in dimissione dagli Opg ne ha. Per esempio nell'Alto Vicentino, nel Bassanese e nel Veronese. "Ecco, il problema è proprio questo - sottolinea Claudio Sinigaglia (Pd), il vicepresidente della commissione Sanità che per primo ha sollevato il problema - dei 48 reclusi veneti solo la metà può essere dimessa. Ed è già un problema capire se indirizzarli ai Centri di salute mentale 0 ad altri servizi, che potrebbero non avere le adeguate protezioni. Ma il vero nodo della questione riguarda gli altri, che non possono essere dimessi per motivi di pericolosità sociale: chi se li prenderà in carico, dove e come? Tutta questa vicenda dimostra come la Regione consideri tema di serie B la Psichiatria, carente di personale, strutture e risorse". L'attivazione di una Rems comporta un bando di gara "dedicato" e un altro per la ricerca del personale. "È tutto finanziato da Roma - chiarisce Coletto - ma l'ostacolo sono i tempi. Per avviare una realtà di questo genere ci vogliono almeno cinque anni, il governo non può dircelo all'ultimo momento". A Legnago c'è una comunità residenziale sperimentale per il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari, che segue pazienti provenienti dagli stessi, ma è un'esperienza temporanea e con pochi posti letto. Dal canto loro le Usl, per il momento non coinvolte nell'operazione, non intendono farsi carico di un progetto "che non hanno le forze né le risorse per gestire". Campania: Oliviero (Pd) chiede confronto con Ministero sul futuro dell'ex Opg di Aversa Ansa, 31 marzo 2015 "Ci faremo portavoce, insieme ai cittadini e alle istituzioni della Provincia di Caserta, di un confronto costruttivo con il Ministero della Giustizia per discutere sul futuro dell'ex Opg di Aversa, in modo da restituire centralità alla comunità normanna sull'utilizzo di un bene pubblico di grande valore storico". Lo dice il consigliere regionale del Partito democratico, Gennaro Oliviero. "Tutto ciò - aggiunge - è coerente e in linea rispetto ad un rinnovato risveglio culturale della cittadina normanna che in questi ultimi anni ha inteso dare spazio ad iniziative tese alla valorizzazione del meraviglioso centro storico cittadino. Ma tutto ciò non deve mai far calare le attenzioni rispetto alla realtà sociale degli internati che sono stati finora ospitati nel complesso Filippo Saporito, dove il dramma sociale necessita di un raccordo operativo e costante dell'autorità giudiziaria con i dipartimenti di salute mentale dell'Asl in modo da favorire dignità, assistenza sanitaria e soprattutto percorsi di inclusione sociale, laddove nel superamento della dimensione carceraria dovranno essere adottate misure tese alla riabilitazione sociale dell'individuo in modo da poterlo restituire alla propria comunità di riferimento", conclude Oliviero. Sicilia: mancata nomina del Garante dei detenuti, diffidato il governatore Crocetta www.extraquotidiano.it, 31 marzo 2015 I presidenti delle associazioni Cittadini Attivi di Gela e Polis di Caltagirone hanno inviato una diffida, invitando il presidente della Regione siciliana a procedere con immediatezza alla nomina. Il mondo delle associazioni non ci sta e alla mancata nomina del Garante dei detenuti risponde diffidando il governatore Crocetta. Carlo Varchi, presidente dell'associazione Cittadini Attivi di Gela, e Giuseppa Lo Bianco, presidente dell'associazione Polis di Caltagirone, seguiti dall'avvocato Carmela Puzzo, hanno invitato una diffida al presidente della Regione siciliana per chiedere con immediatezza di procedere alla nomina del Garante, ovvero di dare seguito "all'applicazione dell'art. 33 della legge regionale n. 5 del 2005 si legge nella nota ad oggi totalmente disatteso, riservandosi in caso di mancato riscontro di adire le competenti sedi giudiziarie al fine di tutelare i diritti dei loro rappresentati". Un'inadempienza che di fatto "priva i detenuti siciliani di una figura indipendente e fondamentale volta a garantire e migliorare, grazie alle competenze attribuitegli dalla legge, le condizioni dei detenuti all'interno delle carceri siciliane" . Allo scadere del mandato, nell'ottobre 2013, ricoperto fino a quel momento da Salvo Fleres, "Crocetta continuano i presidenti delle associazioni ha omesso di emettere il decreto di nomina del Garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e per il loro reinserimento sociale". Figura che invece si rivela di fondamentale importanza in quanto è deputata dalla legge "a porre in essere ogni iniziativa necessaria od opportuna al fine di promuovere e facilitare, anche attraverso azioni congiunte con altri soggetti pubblici e con soggetti privati, l'inserimento lavorativo dipendente ed autonomo nonché il recupero culturale e sociale e la formazione scolastica ed universitaria delle persone private della libertà personale, incluse quelle che scontano la pena anche in forma alternativa nel territorio siciliano, intervenendo pure a sostegno della famiglia ed in particolare dei figli minorenni la sua attività è rivolta anche ai detenuti siciliani che scontano la pena al di fuori del territorio regionale nel caso in cui essi abbiano richiesto l'intervento del Garante durante la loro detenzione in Sicilia e nella località di destinazione non sia presente la figura del Garante regionale dei diritti dei detenuti". Inoltre, tra i compiti del Garante c'è anche quello di vigilare affinché "venga garantito l'esercizio dei diritti fondamentali da parte dei soggetti detenuti e dei loro familiari, per quanto di competenza della Regione, degli enti locali e delle Ausl, tenendo conto della loro condizione di restrizione. A tale scopo il Garante si rivolge alle autorità competenti per eventuali informazioni, segnala il mancato o inadeguato rispetto di tali diritti e conduce un'opera di assidua informazione e di costante comunicazione alle autorità stesse". Sono infatti ancora in corso procedimenti avviati dall'allora garante, oltre alla riapertura di processi archiviati in un primo momento come suicidi. Spetta sempre al garante "promuovere iniziative ed attivare strumenti di sensibilizzazione pubblica sui temi dei diritti umani delle persone private della libertà personale, del loro recupero sociale e della umanizzazione della pena detentiva si legge ancora nel testo della diffida promuovere con le amministrazioni interessate protocolli di intesa utili al migliore espletamento delle sue funzioni, anche attraverso visite ai luoghi di detenzione; esprimere parere sui piani di formazione destinati ai detenuti o ex detenuti, nonché sulle istanze presentate ai sensi della legge regionale 19 agosto 1999, n. 16?. Isernia: esito dell'autopsia su Fabio De Luca, morto in cella… gli hanno sfondato il cranio di Damiano Aliprandi Il Garantista, 31 marzo 2015 Si infittisce sempre di più il mistero sulla morte di Fabio De Luca, detenuto nel carcere di Isernia deceduto lo scorso novembre in seguito a gravi ferite riscontrate alla testa. Era stata effettuata l'autopsia e ora abbiamo il responso: presenta il cranio sfondato da più parti. Cosa avvenne in quella cella è un vero e proprio giallo. A essere sotto inchiesta sono due detenuti originari di Napoli che si trovavano nella cella quando la vittima fu colpita, più un terzo individuo, probabilmente un'altra persona rinchiusa nel carcere. Il reato ipotizzato è quello di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto. La perizia, depositata già da qualche giorno, è stata letta attentamente dall'avvocato del Foro di Isernia Salvatore Galeazzo, legale della. famiglia del detenuto, il quale fornisce anche qualche dettaglio al riguardo: "Il mezzo che ha prodotto le lesioni è da ricercare in un oggetto contundente a superficie liscia, di consistenza duro-elastica, che ha attinto il capo del De Luca in più punti". Di cosa si sia trattato se un bastone di legno, un manganello di ferro, forse ricoperto da un telo o da un panno o cos'altro non è dato sapere e il legale non si sbilancia. Anche perché in cella non è stato trovato nulla di corrispondente alla descrizione del dottor Vecchione. Dal grave trauma cranico e dalle conseguenti lesioni cerebrali all'altezza della nuca, sarebbe poi derivata la morte per arresto cardiocircolatorio. Cosa sia accaduto davvero al carcere, però, resta ancora un mistero fitto. Un omicidio? Ma per quale movente? Una lite tra detenuti finita male? Oppure c'è qualche altra cosa sotto? Difficile fare qualsiasi congettura, al momento. La certezza, però, è che De Luca 45 anni originario di Roma aveva il cranio sfondato in più punti per opera di qualcuno. L'uomo, secondo le ricostruzioni della Squadra Mobile di Campobasso, che indaga sul caso, si era recato in un'altra cella per prendere una gruccia quando, alla presenza di due detenuti, avrebbe battuto la testa e sarebbe finito in coma. A dare l'allarme furono proprio i due detenuti che si trovavano con De Luca. Una vicenda simile alla storia del marchigiano Achille Mestichelli, un ascolano di 53 anni che era detenuto nel carcere di Ascoli Piceno. Il detenuto, nello scorso mese di gennaio, era stato arrestato dai carabinieri della stazione di Castel di Lama in esecuzione di una sentenza definitiva. Era stato condannato a due anni di reclusione per aver commesso un furto, episodio risalente ad alcuni anni fa. Intorno alle 21 del mese scorso i detenuti con i quali divideva la cella hanno lanciato l'allarme in quanto il loro compagno dava flebili segni di vita. È stato prontamente soccorso e visitato dal medico di turno il quale, valutato il suo stato di salute, ha deciso che l'uomo venisse trasferito all'ospedale di Torrette, provincia di Ancona, dove poi è finito in coma irreversibile per poi morire. Per il decesso è indagato con l'accusa di omicidio preterintenzionale un compagno di cella, Mohamed Ben Alì, tunisino di 24 anni. Secondo le testimonianze degli altri detenuti rinchiusi nella stessa cella (due italiani e due tunisini), Alì avrebbe spinto Mestichelli che sarebbe caduto battendo violentemente la testa. Benevento: i Sindacati; quattro agenti di Polizia penitenziaria aggrediti in carcere www.ottopagine.it, 31 marzo 2015 I sindacati denunciano l'ennesimo episodio avvenuto nella casa circondariale di Benevento. Ancora un'aggressione tra le mura del Penitenziario di Capodimonte. L'ennesimo grave caso di violenza ai danni della Polizia Penitenziaria. A denunciarlo le Segreterie Provinciali dei Sindacati Cgil, Uil, Sinappe e Ugl che riferiscono: "Nel primo pomeriggio di sabato, tre detenuti animati da futili motivi, hanno aggredito tre agenti e un sostituto commissario. A scatenare la prima selvaggia aggressione, sembra sia stato un semplice richiamo verbale proferito da parte di un agente circa una basilare norma del regolamento penitenziario, in merito alla sicurezza. Da qui i ristretti, fingendo apparente calma e, manifestando, addirittura, pentimento per quanto fatto, avevano in realtà pianificato il prosieguo della loro violenta esibizione e appena le condizioni sono risultate favorevoli, si sono scagliati improvvisamente con calci e pugni, contro altri operatori della polizia penitenziaria, tra cui il responsabile dell'area trattamentale, proprio quell'area deputata più di ogni altra al recupero dei detenuti attraverso varie attività formative e ludiche e sui cui tante risorse sono state investite in questi anni. Diverse le contusioni e le ecchimosi riportate dai tre poliziotti, più seria è apparsa invece la situazione per il graduato. È stato dunque necessario ricorrere per tutti alle cure mediche presso il pronto soccorso del Rummo, dove i medici hanno diagnosticato loro prognosi di 10 giorni". Quindi commentano: "Il grave episodio, ultimo tra tanti, è solo l'ennesima triste conferma di ciò che le organizzazione sindacali denunciano da anni e per cui è stato dichiarato lo stato di agitazione permanente e l'interruzione delle relazioni sindacali con la locale direzione. Risale infatti solo all'autunno scorso l'imponente manifestazione di protesta tenutasi dinanzi ai cancelli della Casa Circondariale e la successiva richiesta di intervento del Prefetto Galeone con cui si era cercato di rappresentare tutto il disagio degli operatori della polizia penitenziaria e il pericolo di una deriva nella percezione degli standard di sicurezza". E ancora "Se sarà necessario - concludono - saremo pronti a scendere nuovamente in piazza ed attuare ogni forma di protesta consentita, per manifestare tutta la nostra solidarietà ai colleghi barbaramente aggrediti e chiedere interventi concreti da parte dell'amministrazione centrale sui concetti legati alla sicurezza sia degli operatori penitenziari che dei reclusi". Milano: "Cani dentro e fuori", progetto tra l'Università Statale e il carcere di Bollate di Marina Terragni Io Donna, 31 marzo 2015 Si chiama "Cani dentro e fuori" il bel progetto di formazione professionale e ricerca scientifica che coinvolge Università Statale di Milano, carcere di Bollate e tre Onlus (Csen, "Cani Dentro" e "Cerca padrone"). Protagonisti: detenuti e cani randagi, con finalità di rieducazione e reinserimento (sia degli umani sia dei non umani) tramite un corso per dog-sitting, o dog-walking, o dog day-care, attività professionali riconosciute dal contratto nazionale del lavoro domestico. Il progetto è appena partito con un seminario propedeutico all'interno del carcere, e selezionerà tramite bando 15 detenuti da professionalizzare. Si sceglieranno i cani più adatti e i più felici di partecipare all'impresa - tra gli ospiti dei rifugi. I prescelti saranno sottoposti a training di recupero comportamentale, spesso necessario per animali che hanno subito un trauma da abbandono. "In questo modo si migliorerà l'indice di adottabilità dei cani" spiega la responsabile del progetto Federica Pirrone, docente di etologia presso il dipartimento di Scienze Veterinarie in Sanità pubblica presso l'Università Statale di Milano. "Con l'effetto virtuoso di liberare posti nei rifugi per altri randagi". Gli animali non vivranno nel carcere - anche se un eventuale futuro progetto potrebbe prevedere anche una residenzialità a tutti gli effetti. Il progetto ha anche valenza scientifica: "Con videoriprese e rilevazione dei parametri fisiologici, valuteremo il benessere del cane" dice ancora Pirrone "osservando il rapporto tra i detenuti e i non-umani come una relazione terapeutica in cui l'animale è il medico e l'uomo il paziente, relazione mediata da un coadiutore". L'esperienza di Bollate potrebbe costituire un progetto pilota da esportare in altre carceri Massa: il ministro Orlando in visita al Tribunale "uffici in affanno, sistema frustrato" Ansa, 31 marzo 2015 Il ministro della giustizia Andrea Orlando ha fatto visita al tribunale di Massa in occasione della presentazione di due progetti quello per i detenuti, attivato con il carcere di Massa e la prefettura, per il riordino degli archivi del tribunale e della procura grazie alle prestazioni di detenuti ammessi al lavoro esterno; e il progetto "procedura online" con il quale è possibile compilare e avviare da Pc 8 tipologie di istanze, senza ingolfare gli uffici giudiziari. "Non è casuale che questi progetti vedano protagoniste delle donne (è donna la direttrice del penitenziario, e anche il prefetto della provincia ndr) - ha commentato il ministro Orlando- che ancora hanno così poco spazio nella pubblica amministrazione e nella magistratura. Per rispondere allo stato di frustrazione che vive il nostro sistema giudiziario, occorre anche creatività organizzativa e qui l'avete avuta". Il presidente del Tribunale Failla, nel ricordare al ministro il carico di lavoro che solo 15 magistrati devono accollarsi per la procura di Massa Carrara, con un organico sottodimensionato del 29% anche per il personale amministrativo, ha chiesto "attenzione e più risorse". "Gli uffici giudiziari sono in affanno, il nostro sistema è frustrato; siamo arrivati ad avere oggi 9000 persone in meno che lavorano per la nostra giustizia, a fronte di 5 milioni di procedimenti in corso, molti di più di quanti ne conta la Germania, che ha una popolazione superiore alla nostra". Lo ha detto il ministro della giustizia Andrea Orlando in visita al tribunale di Massa. "Potrebbero arrivare nuovi fondi per i tribunali ha quindi proseguito Orlando, nel corso del 2015 il ministero della giustizia diventerà gestore di fondi comunitari; non abbiamo fatto altro che chiederli, prima nessuno lo aveva mai fatto; ne avevamo richiesti 400 milioni, ce ne sono stati dati 100, di cui 50 milioni confermo andranno nell'informatizzazione dei processi penali". "In Italia spendiamo circa 3 miliardi per l'esecuzione della pena ha concluso Orlando e rimaniamo il paese con la recidiva più alta d'Europa; va da sé che il carcere non può più essere l'unico strumento della pena, come è stato fino ad ora". Reggio Calabria: presentato il progetto "Letture d'evasione" dei Giovani Democratici www.strill.it, 31 marzo 2015 Presentato a Palazzo San Giorgio, dal gruppo dei Giovani Democratici, il progetto "Letture d'evasione" che prevede una raccolta di libri di testo da parte dei cittadini che li vorranno donare alle biblioteche degli istituti penitenziari. L'iniziativa è partita da un'idea di Antonino Castorina, capogruppo consiliare del Pd e responsabile nazionale Legalità Gd. Intervenuti alla presentazione del progetto, Matteo Trapani, responsabile nazionale Giustizia Giovani Democratici, Francesco Danisi, segretario provinciale Giovani Democratici Reggio Calabria e Seby Romeo, capogruppo Pd in Consiglio Regionale. La raccolta che durerà per trenta giorni attraverso dei banchetti dislocati nelle piazze cittadine, ha il fine di aumentare la disponibilità degli archivi delle case di reclusione e migliorare le condizioni di detenzione poiché come affermato da Danesi - il reintegro nella società di un detenuto non può avvenire solo attraverso il lavoro ma anche con la cultura, dunque la lettura può e deve recitare un ruolo fondamentale. Nonostante a seguito di una visita da parte di una delegazione del Pd nella casa circondariale si siano riscontrate condizioni ottimali rispetto ad altre carceri del paese -non ci sono infatti problemi di sovraffollamento né di igiene- ha affermato Castorina tuttavia uno degli obiettivi del Pd è quello di rendere le carceri più vivibili ed esaltarne la funzione rieducativa della pena. Secondo Trapani, un libro rende liberi anche in carcere, ed infatti in Italia si sta preparando un disegno di legge ispirato al modello brasiliano per cui vengono scontati quattro giorni di prigione per ogni libro letto raggiungendo lo sconto massimo di 48 giorni in un anno, cioè un libro al mese. Intanto un gruppo di giovani avvocati sta preparando una bozza di legge per l'istituzione del garante regionale dei detenuti. Si tratta di un fatto di civiltà- ha dichiarato il capogruppo Pd del Consiglio Comunale che affidando a Seby Romeo il compito di accelerare in consiglio regionale la bozza di legge per l'approvazione definitiva, ha sottolineato l'importanza della funzione rieducativa della pena così come iscritto nella Costituzione. Catania: colombe pasquali per i detenuti, da Caritas e Centro Commerciale "Etnapolis" www.blogsicilia.it, 31 marzo 2015 Un grande gesto di solidarietà che porta avanti la collaborazione tra la Caritas Diocesana e il Centro Commerciale "Etnapolis". Colombe pasquali e beni di prima necessità a lunga conservazione sono stati donati dal Gruppo Abate e Iperfamila in occasione della Pasqua. I dolci saranno destinati ai detenuti del carcere di Piazza Lanza e verranno distribuiti da Mons. Francesco Ventorino, cappellano della casa circondariale catanese. Gli alimenti, invece, serviranno al fabbisogno quotidiano della mensa dell'Help Center, aperta tutti i giorni, festivi compresi, dalle ore 18:30 in Piazza Giovanni XXII, angolo viale Africa. Un gesto che rinsalda l'impegno alla solidarietà del centro commerciale avviato lo scorso dicembre in occasione del pranzo di Natale offerto a 600 persone nella Basilica del Carmine. "La donazione rappresenta la continuazione di un impegno mantenuto e al quale la direzione non si è sottratta ha commentato don Piero Galvano. Un segno concreto di vicinanza verso coloro che passeranno la Pasqua in carcere o in ristrettezza economica. Spero sia d'esempio anche per altri centri commerciali ". Milano: tutti liberi con Alda, spettacolo teatrale con detenuti del carcere di San Vittore di Anna Spena Vita, 31 marzo 2015 Uno spettacolo dove detenuti e ex-detenuti del carcere di San Vittore, prendono i panni di Alda Merini. Gli attori del Cetec, sul palco, sembrano tutti artisti navigati. La mente di tutto il progetto è la regista e attrice Donatella Massimilla. Certe cose non te le aspetti, a sentirle ti sembrano bellissime, poi le vedi e capisci che bellissime lo sono per davvero. È quel che accade vedendo gli attori del Cetec, Centro europeo teatro e carcere, nello spettacolo "A cena con Alda", presentato al teatro Oscar di Milano: le donne folli meriniane si sono unite alle fate sognanti del "Sogno di una notte di mezza estate" di Shakespeare. Gli attori del Cetec sono tutti detenuti o ex-detenuti del carcere di San Vittore, ma a vederli recitare sembrano artisti navigati, sicuri, presenti a loro stessi. La performance è parte di un progetto artistico dedicato alla poetessa Alda Merini, che visitava spesso le detenute e i detenuti del carcere milanese. La mente di tutto il progetto è Donatella Massimilla, direttrice artistica del Cetec, che vuole rendere "possibile il teatro impossibile" come dice lei stessa. "Il teatro delle diversità", spiega Donatella Massimilla, "è possibile. Sogno di avere uno spazio per i nostri detenuti fuori dal carcere". Betsy-Alda, tutti utilizzano Alda come secondo nome per presentarsi al pubblico a fine spettacolo, ha 36 anni, è boliviana e un anno e mezzo della sua vita l'ha passato a San Vittore. "Non so se hai capito, la nostra regista è una diversa", mi spiega Betsy parlando di Donatella Massimilla. "Il primo spettacolo l'ho fatto nel 2012, è stato bellissimo, l'abbiamo presentato dentro la sezione femminile del carcere di San Vittore. Poi sono uscita ma ho continuato. Il teatro per me è stata terapeutico; in quei posti lì ti aiuta tantissimo. Da dicembre dell'anno scorso sono assunta dalla cooperativa Cetec". Con lo stesso entusiasmo di Betsy, a fine spettacolo parliamo con Alfredo-Alda, che ha 50 anni e a San Vittore c'è stato più di una volta. È fuori da un mese, "sono all'ultimo giro", dice, "e se dico ultimo è ultimo". Alfredo ha iniziato a fare teatro in carcere parecchi anni fa, nel 1992. "Il teatro è bello, emozionante", mi spiega, "ti crea, ti costruisce, ti disegna e ti disciplina anche. Ci sono un sacco di cose positive, però, devi essere tu a coglierle. Perché non è che magicamente inizi a fare teatro e smetti di delinquere. Deve esserci anche la voglia, il desiderio tuo". Unione Europea: report Parlamento chiede azioni più concrete per diritti fondamentali Il Velino, 31 marzo 2015 Sono ancora troppe le violazione dei diritti fondamentali in Europa. È quanto denunciano moltissimi cittadini e numerose ong, nel report del Parlamento europeo 2013-2014 sui diritti fondamentali in Europa. Il rapporto, che verrà presentato questo pomeriggio in un'audizione pubblica nella Commissione libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo, chiede agli Stati membri ed alla Commissione un contributo maggiore, per garantire la tutela dei diritti fondamentali su tutto il territorio dell'Unione europea. "La proposta che porterò avanti è quella di istituire una vera e propria strategia interna basata sull'applicazione dell'articolo 2 del trattato Ue, che coinvolga tutti gli organi dell'Unione nonché le Ong attive nel campo del rispetto dei diritti fondamentali e la società civile, mettendo in atto un sistema di monitoraggio costante e di prevenzione delle violazioni", ha dichiarato Laura Ferrara, Portavoce Movimento Cinque Stelle al Parlamento europeo e relatrice del rapporto. "Non ci si può più limitare a semplici richiami e raccomandazioni agli Stati membri, ritengo assolutamente necessario istituire un meccanismo che possa rappresentare un deterrente sufficiente per eradicare definitivamente situazioni di violazioni dei diritti fondamentali". Nella riunione di oggi, secondo quanto spiegato dalla deputata, oltre alle questioni istituzionali, verranno poi analizzate violazioni specifiche dei diritti contenuti nella Carta, con particolare attenzione all'impatto delle politiche di austerità e della corruzione sui diritti fondamentali, alla necessità di garantire il giusto bilanciamento tra rispetto dei diritti umani e garanzia della sicurezza collettiva, alla tutela delle minoranze, alla situazione nelle carceri, alla lotta alle discriminazioni e alla tutela dei diritti dei migranti e dei rifugiati. Bulgaria: Consiglio d'Europa; le carceri peggio di un girone infernale di Luigi Maria Rossiello www.globalist.it, 31 marzo 2015 Il Consiglio d'Europa ha criticato la Bulgaria per le condizioni delle sue prigioni che rendono la vita dei detenuti una vera e propria tortura. Essere arrestati qui significa, infatti, correre il serio rischio di essere picchiati dalle forze dell'ordine, mentre se si finisce in galera, si ha la certezza che si vivrà non solo in un luogo dove regna la violenza, ma inadatto a ospitare esseri umani. Tale terribile situazione è stata descritta dal Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa, che ha, inoltre, pubblicamente invitato le autorità bulgare, colpevoli di non essere intervenute per anni, a risolvere questi problemi al più presto possibile. Il Comitato ritiene poi che la situazione sia in continuo peggioramento ed è proprio per questo che ha deciso di denunciare quanto notato nel corso di una recente visita in Bulgaria. Il contenuto del documento sembra il copione di un film horror. Il Cpt rivela un numero crescente, rispetto al 2014, di denunce di maltrattamento, schiaffi, pugni, calci, manganellate, ricevute da persone arrestate. Nelle prigioni bulgare il livello di maltrattamento dei detenuti da parte dei guardiani resta a livelli allarmanti e tali abusi sono spesso inflitti deliberatamente. Si constata, inoltre, una diffusissima violenza tra detenuti, mentre la corruzione nelle prigioni è un fenomeno considerato "endemico". Le strutture, anche a causa del sovraffollamento carcerario, sono poi del tutto inadeguate e molti detenuti vivono in meno di due metri quadrati, a dispetto dei 6 metri quadrati indicati dalle normative internazionali, come requisito minimo. Le cucine sono infestate da vermi ed insetti e l'acqua delle fogne fuoriesce e cola ovunque. La maggior parte dei muri sono intaccati dalla muffa e il riscaldamento anche nei periodi più freddi è entrato in funzione solo per poche ore. Di notte l'acceso alla toilette non è alla portata di tutti e molti sono costretti a servirsi di secchi per i propri bisogni. L'assistenza sanitaria quasi inesistente. Le inadempienze delle autorità del Paese, andate avanti per circa 20 anni, emergono adesso tutte insieme attestandosi come un problema estremamente grave. Il Comitato per la prevenzione della tortura lamenta il fatto che le sue ripetute raccomandazioni siano state prevalentemente ignorate dalle istituzioni preposte ad intervenire. La causa di tutto può essere individuata anche nell'instabilità politica del Paese che dal 1995 ad oggi ha avuto 10 governi di cui tre di transizione che non hanno fatto altro che trascurare il problema facendo sì che si aggravasse sempre di più. Ora la situazione è davvero insostenibile. Nel corso delle visite in Bulgaria, avvenute nel 2010, 2012, 2014 e in questo 2015, le delegazioni del Comitato non hanno potuto fare altro che constatare la mancanza di un'azione decisa da parte delle autorità che ha portato ad un costante deterioramento della situazione fino alla privazione dei diritti fondamentali degli esseri umani. Le garanzie giuridiche a favore dei detenuti sembrano davvero un'utopia. I progressi compiuti in questo senso sono stati, infatti, pochissimi. La possibilità di avere accanto un avvocato è rimasta "un'eccezione" nelle prime 24 ore di presa in custodia da parte della polizia. E i legali, una volta nominati, non sono stati messi nella condizioni di svolgere la loro funzione di tutela. Le prigioni di grandi città del Paese come della capitale Sofia, Burgas e Varna continuano a far registrare numeri altissimi di casi di maltrattamenti e violenze, a volte confermate dai referti medici. Nonostante le ripetute garanzie date dalle autorità bulgare sulle azioni da intraprendere, la situazione rimane all'insegna del degrado. Le condizioni dei detenuti sono inumane. L'ultima visita, avvenuta a marzo, ha rilevato ancora una volta che poco o nulla è stato fatto. Il rapporto del Cpt evidenzia quindi un fallimento persistente da parte della autorità bulgare che non hanno mai affrontato con serietà e determinazione le carenze fondamentali delle carceri del Paese. Il Comitato pretende quindi che il governo agisca con massima urgenza anche rispettare gli obblighi che la Bulgaria si è assunta quando è entrata a far parte del Consiglio d'Europa e dell'Unione europea. Si ricorda poi che dal 1990, ovvero da quando il Comitato anti-tortura ha iniziato la sua attività di monitoraggio delle carceri dei vari Paesi, sono stati solo sei i casi di denuncia pubblica effettuati. Per tre volte è finita nel mirino dell'organizzazione la Russia. La Turchia è stata denunciata due volte e la Grecia una. Pakistan: impiccati tre condannati, molte decine già giustiziati da revoca della moratoria Ansa, 31 marzo 2015 Tre condannati a morte sono stati impiccati oggi in altrettante carceri del Pakistan, dove dal 10 marzo scorso è stata revocata completamente la moratoria sulle esecuzioni che era stata introdotta nel 2008. Lo riferisce DawnNews Tv. Le impiccagioni sono avvenute simultaneamente all'alba nelle prigioni di Attock, Rawalpindi e Sargodha. In quest'ultimo carcere non si eseguivano condanne a morte da ben 105 anni. In un primo momento il premier Nawaz Sharif aveva revocato la moratoria solo per i condannati per terrorismo, a seguito del massacro realizzato in dicembre dai talebani in una scuola di Peshawar, ma poi la misura è stata completamente generalizzata. E sono già molte decine i condannati messi a morte. Onu, Unione europea (Ue), Amnesty International e Human Rights Watch, hanno chiesto inutilmente al governo di Islamabad di reintrodurre la moratoria. Yemen: rilasciati 1.800 detenuti per reati comuni Nova, 31 marzo 2015 I militanti Houthi in Yemen hanno rilasciato 1.800 detenuti per reati comuni nella provincia di Sada. È quanto riferito all'emittente televisiva "al Arabiya" da testimoni, secondo cui "gli Houthi hanno tentato di liberare altri prigionieri detenuti nella prigione centrale del paese e nelle strutture in altre città". Intanto, proseguono gli attacchi aerei guidati dall'Arabia Saudita contro i siti militari e i depositi di armi controllati dai ribelli Houthi a Sada, dove i membri della milizia hanno preso il controllo del campo militare di Kahlan. I raid hanno colpito durante la notte la base di Al-Subaha nel settore occidentale della capitale Sanàa, secondo una fonte militare, la quale ha aggiunto che "sono stati segnalati anche scontri nella città di Aden". Afghanistan: detenute in sciopero della fame da tre giorni, chiedono migliori condizioni Reuters, 31 marzo 2015 Un gruppo di detenute afghane sono da tre giorni in sciopero della fame nella provincia centrale di Parwan, esigendo un miglioramento delle condizioni carcerarie e una riduzione delle pene. Lo riferisce 1TvNews. Nadira Gyahi, responsabile del Dipartimento provinciale per gli affari femminili, ha precisato che si tratta di una ventina di detenute che da giovedì rifiutano di consumare il cibo che viene loro consegnato. Gran Bretagna: detenuto clona sito del Tribunale e ordina la propria scarcerazione www.nextquotidiano.it, 31 marzo 2015 Neil Moore è un genio della truffa, non ci sono altri modi per definirlo. A 28 anni è già accusato di una serie di truffe per un totale di 1.8 milioni di sterline (quasi due milioni e mezzo di euro). Una volta arrestato però non si è arreso ed ha escogitato un metodo davvero ingegnoso per evadere dalla custodia preventiva dalla prigione di Wandsworth, nei dintorni di Londra. Wandsworth (considerata una delle prigioni più sicure d'Inghilterra) è la stessa prigione dalla quale è evaso nel 1965 Ronnie Biggs, la mente e uno dei protagonisti della "Grande rapina al treno" del 1963. Moore, che utilizzando quattro diverse identità (di cui una femminile), ha sottratto denaro a colossi bancari come i Lloyds, Santander e Barclays una volta rinchiuso in carcere ha messo immediatamente in atto un piano per riuscire ad evadere. Non si è trattato di un'azione spettacolare con complici ad aspettarlo fuori o di qualche altro stratagemma cinematografico. Neil Moore ha semplicemente pensato che il modo migliore per uscire di prigione era quello di farsi scarcerare dalle stesse autorità giudiziarie che lo avevano imprigionato. E così, grazie ad un telefono cellulare introdotto illegalmente all'interno del penitenziario, Moore riesce a creare un sito Web con il dominio simile a quello del sito ufficiale del tribunale di Southwark. Un trucco davvero banale: il sito di Moore usava i trattini al posto dei punti, ma nessuno si è accorto della differenza. Dopodiché Moore, spacciandosi per un impiegato del tribunale, ha inviato all'ufficio di custodia cautelare del carcere di Wandsworth una email con le istruzioni per il suo rilascio su cauzione. Incredibilmente il piano ha funzionato e Moore è stato liberato nonostante nel finto documento avesse sbagliato a scrivere il nome del tribunale scrivendo "Southwalk Crown Court". Il fatto è stato scoperto solo perché il consulente legale dei Moore si è presentato a Wandsworth per un colloquio e si è sentito rispondere che il suo cliente aveva ottenuto la libertà su cauzione. Tre giorni dopo Moore si è presentato alle autorità e si è fatto nuovamente arrestare. A differenza di Biggs, la cui fuga è durata 36 anni quella di Neil è durata davvero molto poco. Le truffe per cui è stato accusato Moore si sono svolte con lo stesso schema grazie al quale è riuscito a uscire di prigione. L'uomo ha infatti semplicemente telefonato alle banche utilizzando una falsa identità e fingendo di lavorare per l'ufficio anti-frode di altre banche (Royal Bank of Scotland, Bank of America e Bank of New York). Utilizzando la scusa che la sicurezza dei sistemi delle banche era stata compromessa Moore riusciva a farsi dare i codici di accesso per poter spostare il denaro in un posto "sicuro". Un po' come le email di spam che vi arrivano dai finti indirizzi email di Poste Italiane o di altre banche. Solo che l'abilità di Moore era nel riuscire a fare tutto questo "a voce". Le sue capacità sono così straordinarie che in un caso è stato necessario il ricorso ad un esperto per stabilire che la voce femminile registrata non era quella della sua compagna Kristen Moore ma proprio quella di Neil.