Gli Stati Generali sul carcere e la pena visti "dal di dentro". Terza puntata di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 28 marzo 2015 "Ho letto che un altro detenuto s'è tolto la vita. Il carcere non insegna molte cose, ma una cosa la sa fare molto bene, sa convincerti a toglierti la vita". (Diario di un ergastolano: www.carmelomusumeci.com). Il Ministro della Giustizia Orlando, dopo avere annunciato la convocazione degli Stati Generali sul carcere e sulla pena e dopo che i detenuti e gli ergastolani della redazione di Ristretti Orizzonti si sono resi disponibili a collaborare e a farsi portavoce delle richieste e delle riflessioni della popolazione detenuta in Italia, ancora non ha chiarito ufficialmente se davvero gli Stati Generali li farà, e se è interessato a sentire il punto di vista delle persone detenute. Noi però, Ministro Orlando, continuiamo lo stesso a parlarne, a prepararci e a raccogliere testimonianze dai detenuti sparsi in tutte le carceri d'Italia perché vogliamo dimostrare che non siamo solo cani arrabbiati da lasciare chiusi in un canile. Nonostante tanti anni passati in carceri spesso illegali, disumane e degradanti (come hanno stabilito i giudici della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo) molti di noi hanno ancora un cuore e un'anima. E vogliamo dimostrare che se anche abbiamo fatto del male siamo pronti a fare altrettanto bene. Vogliamo dimostrare che nonostante il carcere continuiamo ad essere padri, nonni e mariti, abbiamo solo bisogno che qualcuno creda in noi, qualcuno che ci dia una mano. Lei signor Ministro se la sente di coinvolgerci nell'organizzare questi Stati Generali sul carcere e sulla pena per portare la Carta Costituzionale nelle nostre celle? Noi speriamo di sì ed intanto le offriamo questa testimonianza di un ergastolano dal carcere di Voghera. Carmelo, più o meno una quindicina di giorni addietro è venuto in visita qui al carcere il Sottosegretario alla Giustizia. Prima si fece un giro in sezione, poi si è intrattenuto in teatro. Siamo stati chiamati cinque detenuti per sezione (solo dell'Alta Sorveglianza) e abbiamo scambiato due chiacchiere con lui. Sai bene come sono fatti i nostri compagni che cercano sempre difetti non soluzioni per cui senza perdere tempo ho sollevato due problematiche. Il primo problema che ho sollevato è stato l'ergastolo ostativo, e le due lingue che usa la politica, da un lato, ripudia la pena di morte, parla a livello internazionale di essere un paese civile ecc. ecc. e poi mantiene nel suo paese una "Pena di Morte Nascosta" come la chiama Papa Francesco. Mi ha risposto che lui tornava proprio da un convegno tenuto a Rebibbia sull'ergastolo … sono problemi complessi … non dipende da lui … è tutto un sistema che si deve muovere, sono cose che viaggiano lentamente. L'altro problema, mi chiese, qual è? L'altro, trattasi della declassificazione … Le faccio un esempio molto semplice … se un bambino che è iscritto alla prima elementare impara a fare i bastoncini, a leggere le vocali, l'alfabeto, ecc. ecc. gli viene riconosciuto il progresso e viene promosso in seconda classe, se poi impara i conticini ecc. ecc. gli viene riconosciuto questo progresso e passa in terza classe. Come mai la maggioranza di noi detenuti da oltre 20 anni si trova solo e sempre in sezioni di Alta Sicurezza? Sono tre le ipotesi: o il sistema di valutazione va rivisto, o siamo considerati irrecuperabili a vita, oppure non ci si pone neppure il problema? E lui ha risposto: insomma siamo noi del Dap che dobbiamo un po' vedere, questa questione dobbiamo mettere mano alla circolare. (…) E niente, ti ho aggiornato di questo. Speriamo che il Ministro Orlando mantenga la promessa e che convochi gli Stati Generali. Ti abbraccio. Alla prossima. Giustizia: carcere e sessualità; intervista a Mauro Palma, Consigliere del ministro Orlando di Giancarlo Capozzoli www.huffingtonpost.it, 28 marzo 2015 "Le ultime faccende di cui ci siamo occupati, come Consiglio europeo per la cooperazione nell'esecuzione penale, sono state le regole che devono accompagnare l'uso del braccialetto elettronico, e l'ampliamento delle Regole penitenziarie europee rispetto alla detenzione degli stranieri. I problemi che si aprono relativamente al loro inserimento nel sistema detentivo, sono enormi. E l'Italia lo sta sperimentando: tanto per fare un esempio, nel 2008, finalmente sono stati istituiti i ministri di culto, per i detenuti di religione diversa da quella cattolica". "In qualità di presidente della comitato europeo di prevenzione contro la tortura e i trattamenti inumani e degradanti, ho svolto compiti ispettivi e di controllo della privazione della libertà. E tutto ciò che comporta, a partire dal trattamento sanitario obbligatorio". Mauro Palma è stato attualmente nominato vice capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e consigliere del ministro sulle tematiche della detenzione. Palma è presidente del Consiglio europeo per la cooperazione nell'esecuzione penale del Consiglio d'Europa e già presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Coordinatore scientifico di "Treccani scuola". Nominato dal precedente ministro, Annamaria Cancellieri, presidente della commissione del ministero della Giustizia per la elaborazione degli interventi in materia penitenziaria, volta a predisporre i provvedimenti richiesti dalla Corte europea per i diritti umani nella sentenza Torreggiani. È consigliere del ministro Andrea Orlando su tali temi. C'è una questione che, parlando di carcere, viene affrontata sempre poco e che mi piacerebbe approfondire con lei. Il tema della sessualità. Sessualità negata evidentemente. "Sì sessualità negata. Diciamo subito che una alternativa, sarebbe dare la possibilità che ci siano visite senza "controllo visivo" almeno per i detenuti che non presentano necessità di alta sicurezza. In altri paesi europei questo accade. In Spagna ad esempio. In Italia se ne è iniziato a discutere nel 2000, quando fu proposto il nuovo regolamento penitenziario. Nella prima bozza appunto, fu introdotta questa possibilità. Ma il Consiglio di Stato eccepì che era una materia che doveva essere regolata non con un regolamento, bensì con una legge. Il Parlamento non se la sentì di tramutare la proposta in legge, anche per timore di una possibile accoglienza negativa del provvedimento da parte del personale penitenziario stesso". In quali altri paesi europei è prevista una legislazione simile? "Sono 31 i paesi in Europa che regolamentano così la materia. 31 su 47. Prevista e regolata". In che modo? "Ad esempio sono stati istituiti dei luoghi nella parte "inter-cinta" degli Istituti carcerari, cioè tra l'area detentiva e il muro perimetrale Veri e propri piccoli appartamenti in cui i detenuti possono incontrare i rispettivi partner facendosi carico anche di lasciarli poi puliti". Sembrerebbe una buona esperienza, quindi... "Guardi nei 31 paesi in cui la materia è così regolata, ci sono state delle esperienze davvero eccezionali, positive e normali, altre invece piuttosto negative, in qualche raro caso anche squallide". Pertanto, la materia non è direttamente regolata, se ho ben inteso... "Esattamente. La Convenzione europea dei diritti non riconosce come un diritto la possibilità di avere visite senza supervisione". In che modo è possibile allora affrontare la questione allora? "Attraverso altri due diritti che la Convenzione tutela. Il primo è il diritto alla propria integrità psico-fisica: la pena non deve intaccare l'integrità psico-fisica della persona e ci si può chiedere se la prolungata astinenza sessuale non finisca con incidere su tale integrità. Il secondo è il rischio di violare il diritto del partner alla possibilità non solo di sposarsi ma di costituire una famiglia, nel momento in cui la proibizione imposta al detenuto rischia di avere effetti di violazione di un diritto del coniuge innocente". Quindi in Italia, ci sarebbe una violazione di questi diritti per così dire? "Non proprio... Innanzitutto perché le due ipotesi che ho formulato ancora non costituiscono giurisprudenza della Corte dei diritti umani: sono ipotesi di studio. Inoltre in Italia è in vigore il sistema dei permessi, anche se tali permessi emergono, se così si può dire, solo dopo un cospicuo periodo". Ed inoltre, se non sbaglio, la normativa vigente esclude i permessi per una determinata categoria di reati... "Sì, esattamente. Relativamente ai reati cosiddetti ostativi. Ovvero i reati previsti dall'art. 4 bis dell'ordinamento penitenziario. In questo caso, la pena però può rischiare appunto di avere una connotazione di pena "fisica", oltre ciò che la privazione della libertà di per sé comporta". La sessualità non è un vero e proprio diritto. "Più che di un diritto, parlerei di interesse legittimo da tutelare proprio perché non finisca col ledere il diritto all'integrità di cui ho parlato prima. La tutela comporta una serie di conseguenze pratiche volte a migliorare la vita all'interno. Una maggiore affettività determina certamente una diminuzione della tensione all'interno. E al tempo stesso, contribuisce a dare un maggior senso alla detenzione stessa". Perché secondo Lei questo in Italia, non è stato possibile finora? "Intanto Le dico subito che in Italia c'è di fatto una quotidianità per così dire "deresponsabilizzante" dei detenuti". Le domandine ad esempio? "Sì a partire dal linguaggio, tutto è deresponsabilizzante. Diciamo così: si vuole una sorta di richiesta di essere un ricettore ubbidiente. Poco altro". Che naturalmente si pone in forte contrasto con i modelli europei a cui invece faceva riferimento. "Esattamente. In Spagna per esempio hanno cominciato a sperimentare quelli che chiamano moduli di rispetto, particolari unità (moduli) all'interno di un Istituto in cui si punta sulla responsabilizzazione vera e propria del detenuto nella gestione della sua giornata". Ci sono altri modelli simili in Europa? "Questo spagnolo si rifà al sistema danese, in realtà. In Danimarca, ad esempio, il detenuto ha una gestione personale dei soldi che riceve una volta "dentro". Può comprare quello che vuole e gestirli come vuole. Ma quei soldi gli devono bastare. Ognuno può scegliere cosa mangiare e cosa comprare, da solo". In Italia quanto si spende per ogni detenuto? "La spesa attuale è di circa 130 euro al giorno, se consideriamo il complesso delle spese (dagli stipendi del personale, alle strutture, alla manutenzione e al mantenimento dei detenuti etc). E mi creda per il cibo che un detenuto riceve si spende molto meno". Ci sono le altre voci di spesa, naturalmente. Il personale, la manutenzione ordinaria e straordinaria, in questo costo, immagino... "Sì. Come Le dicevo in alcuni Istituti in Danimarca danno dei soldi. La somma della paga è molto bassa. Si dà quindi anche la possibilità di lavorare, per incrementare i propri soldi. Attraverso corsi di formazione. O tramite la possibilità di scatti, che permettono di guadagnare di più e acquistare di più". Si dà la possibilità di una progettazione individuale, per così dire... "Sì, esattamente. Progettazione individuale attraverso un percorso personale". Sembrano due sistemi contrastanti. "Da una parte c'è il sistema proposto che ti organizza la giornata, ti propone anche attività più o meno interessanti, ma comunque decide per te. Dall'altra la possibilità di autogestire la propria giornata. E la propria vita, anche di sbagliare e di pagarne le conseguenze. Questa autorganizzazione centrata sulla responsabilizzazione del detenuto rispetto alla propria giornata si verifica anche riguardo al tema di cui parlavamo prima. Quello della sessualità". In che modo? "Le visite senza supervisione, senza, cioè, controllo visivo, si svolgono in apposite strutture gestite dai detenuti stessi che organizzano i turni settimanali. Sono strutture semplici ma accoglienti e chi gode di questi benefici si assume la responsabilità di lasciare come si è trovato. E di pulire il posto". Non ci sono problemi di sicurezza? "Il detenuto è perquisito adeguatamente all'uscita, questo dovrebbe bastare". In Italia? È possibile secondo lei? "Torniamo al concetto espresso di deresponsabilizzazione dei detenuti. La sessualità è strettamente legata alla responsabilizzazione o meno dei detenuti". Deresponsabilizzarli per meglio controllarli... "No alla infantilizzazione. L'apertura delle celle, delle sezioni, la autogestione della giornata deve essere tutto letto in funzione di questa volontà di responsabilizzare il detenuto nella gestione del proprio rapporto con il tempo della privazione della libertà. Volevo aggiungere una ultima cosa riguardo al tema della sessualità e di quelli che a me sembrano errori d'impostazione. Qui noi parliamo di inserire il tema nel complesso percorso di chiedere responsabilità al detenuto. In alcuni paesi centro americani c'è la possibilità di far entrare una volta al mese le prostitute. Ma questo sistema non funziona. Proprio perché il tema della sessualità è svincolato dal resto: per questo non sono contrario al fatto che da noi il tema sia inserito nel concetto di affettività. Pertanto bisogna sempre ponderare bene, prima di giudicare una questione". Certo. Riguardo all'ergastolo, volevo sentire la sua opinione. "Innanzitutto, sono contrario perché credo che debba comunque costruirsi sempre un percorso di ritorno al contesto sociale. La legislazione vigente prevede che un detenuto che scontare possa essere ammesso alla liberazione condizionale dopo ventisei anni di detenzione, che ridotti per i giorni di liberazione anticipata accumulati durante gli anni possono divenire circa ventidue. Tuttavia si tratta di una decisione discrezionale e inoltre questo non vale per i reati ostativi a cui prima abbiamo fatto cenno. In questi casi la pena a vita resta pena a vita: sono gli actual lifers, come si dice in inglese". Se non sbaglio però ci sarebbe un contrasto con la Costituzione? "La Corte Costituzionale ha stabilito che poiché la collaborazione permette di togliere l'ostatività non si ha una previsione di legge che di per sé esclude per l'ergastolo l'accesso alla liberazione condizionale e quindi non si ha contrasto con la Costituzione. Auspico che su questo terreno si vada progressivamente verso sentenze più coraggiose". Ci può spiegare come è regolata la liberazione condizionale? "La liberazione condizionale è prevista dal codice penale e concessa dal magistrato, dopo che sia stata espiata almeno metà della pena (o i tre quarti della pena in caso di recidiva) e se comunque la pena residua non supera i cinque anni. Il magistrato stabilisce anche le prescrizioni di libertà vigilata a cui la persona dovrà sottostare: il magistrato può decidere per la firma giornaliera del detenuto presso il commissariato; per il divieto di soggiorno in un dato luogo. La sorveglianza. La cauzione. La confisca di un bene. Il divieto di allontanamento". Cos'altro? "Dopo la liberazione condizionale si può riacquistare anche, se il caso lo prevede, la riabilitazione. A meno che non sia stata prevista diversamente dalla legge nel caso specifico". D'accordo. Senta, come è la situazione degli edifici penitenziari in Italia? "In assoluto, in una media europea, l'Italia si colloca esattamente a metà. L'Europa è l'Europa dell'est, e quella dell'ovest. Rispetto a certi paesi dell'est, il patrimonio edilizio penitenziario in Italia è decisamente messo meglio. Pur senza dimenticare che tale patrimonio, in Italia, è vecchio". Che intende? "Le celle sono in molti casi senza doccia, per farle un esempio. Tale patrimonio, spesso dislocato in manufatti storici, rende alcune situazioni insanabili, secondo gli standard europei". Alcuni istituti andrebbero chiusi... "Sì è vero. Ma guardi anche in questo caso la questione va affrontata con cognizione di causa Mi spiego. È vero alcuni edifici come detto, sono vecchi, o non ci sono le docce. Ma almeno non ci piove dentro. Le cosiddette "carceri d'oro", invece, costruite in alcuni anni passati, presentano spesso una qualità edilizia più scadente". Le problematicità sono altre vuol dire... "Sì. Ed inoltre, a mio avviso, gli istituti storici andrebbero riadattati ma non andrebbero chiusi. Sono posti al centro delle vecchie città. Appartengono alla comunità sociale anche solo come monito. Espellendoli dalle città li si rende dei luoghi inaccessibili". Chiusi. "Metallici. Io sono contro quello che definirei il carcere hi-tech". E posti fuori dai centri abitati, difficilmente raggiungibili.... "Sì, sono impermeabili alla società esterna. Lei capisce bene la difficoltà di avere un carcere fuori dal centro cittadino. Per i familiari che vogliono visitare i parenti detenuti. E per i detenuti stessi, all' uscita. Ma anche per eventuali osservatori esterni. Guardi un carcere è realmente aperto quando si dà facile accesso agli osservatori esterni". Concordo. Uno dei problemi che ha affrontato grazie ai suoi incarichi, è quello del sovraffollamento. Può dirci a che punto è la situazione, oggi, in Italia? "La Corte europea dei diritti ha iniziato ad essere rigida negli anni Duemila relativamente al crescente sovraffollamento carcerario in Europa. E ha mantenuto ancor più questa giurisprudenza dopo la sentenza pilota del caso Torreggiani. Le sentenze cosiddette "pilota" sono adottate quando tanti casi simili presentato indicano implicitamente l'esistenza di un problema strutturale, da affrontare in quanto tale. Con la sentenza l'Italia è stata condannata solo per i primi sette casi, a pagare una cifra intorno ai 100.000 euro di risarcimento per i detenuti. Gli altri casi sono stati sospesi e si è dato un periodo di un anno per affrontare appunto il problema strutturale. È una sentenza pilota perché fa da orientamento in vista della risoluzione del problema. Ora la Corte ha riconosciuto i passi compiuti e le linee di riforma iniziate e ha rinviato i casi pendenti al giudice italiano". In che modo si sta risolvendo il problema quindi? "I provvedimenti per ovviare a questo problema sono stati presi in diverse direzioni. Innanzitutto si è facilitato il ricorso alle misure alternative. Facilitare l'accompagnamento sociale, per intenderci. Si è poi intervenuto sulla custodia cautelare e sulla depenalizzazione. Ed inoltre si è cambiata la vita detentiva". Ha sortito qualche risultato? "Intanto non c'è più la violazione automatica previsti dalla Corte data dal fatto che ciascun detenuto aveva meno di tre metri quadri di spazio disponibile. E questo è un primo punto fondamentale. Comunque occorre fare ancora molto perché un alto numero di detenuti ha uno spazio disponibile tra i tre e i quattro metri quadrati e proprio in questi casi è importante che sia limitato il tempo trascorso in cella. La nuova regolamentazione prevede che i detenuti trascorrano fino a otto ore fuori dalle celle. Questo permette anche l'elaborazione di progetti destinati al tempo da trascorrere fuori dalle celle, con quel cambiamento sostanziale della vita trascorsa all'interno, da sistema infantilizzante a sistema responsabilizzante, di cui Le accennavo". Senta ancora qualche domanda. Riguardo ai bambini figli di detenute, cosa mi può dire? "La vigente legge deve avere come principio prioritario l'interesse del minore. Il bambino non può pagare l'errore del genitore. Occorre dare vita alle soluzioni che da tempo sono state individuate, in particolare all' istituzione di case protette, esempio per mamme e bambini". Rispetto alle donne invece? "La reclusione è pensata per gli uomini. Le donne sono molto poche, in effetti. Questo però pone due problemi principali.. Da una parte le carceri femminili in tutta Italia sono poche, cinque o sei in tutto, quindi spesso distanti dalle proprie famiglie. Con i problemi che facilmente può comprendere di ambientazione e visite tanto per fare un esempio. D'altra parte invece la realizzazione di sezioni femminili in istituti maschili, comporta tutta una serie di problemi dovuta all' irrilevanza del numero di donne in un universo maschile, che lasciano la questione irrisolta". Qualche giorno fa, Manconi, in un articolo su un settimanale nazionale parlava di abolizione del carcere. Quale è la sua opinione a riguardo? "Le rispondo con una formula di qualche anno fa, che ho fatto mia: liberarsi dalla necessità del carcere. Il carcere è una pena nata in un altro secolo, con un altro tipo di società. Mi auspico, ma credo che sia là da venire, che la società possa arrivare a farne meno. Ma come?". Lo smantellamento dello stato sociale può essere una causa, non crede? "Sì certo, investire nel sociale, può essere una misura per arginare la povertà e di conseguenza parte della criminalità. Ma io credo che stiamo vivendo un periodo di ipertrofia del carcere stesso. C'è un uso simbolico del carcere perché lo si vede erroneamente come rassicurante per una società spesso confusa e in affannosa ricerca di sicurezza. Si crede di poter risolvere tutto con il carcere. Questa idea è da superare. Bisogna comprendere che il reato è una lacerazione vera e propria del tessuto sociale: ripartire proprio dal ricucire il sociale per giungere alla diminuzione degli stessi reati". Giustizia: Migliucci (Ucpi); prescrizione, tutto quello che dovete sapere… e non vi dicono di Chiara Rizzo Tempi, 28 marzo 2015 Parla Beniamino Migliucci, presidente dell'Unione Camere Penali. "Far sì che un processo duri all'infinito non è giustizia. Il 70 per cento delle prescrizioni matura in fase di indagine preliminare". Dopo che la Camera ha approvato il disegno di legge che allunga i tempi di prescrizione per i reati di corruzione, e il Senato avvia l'esame del ddl anti-corruzione, i penalisti d'Italia sono sul piede di guerra e convocano una manifestazione per il prossimo 31 marzo, dopo aver proclamato lo stato di agitazione. "Contestiamo due cose: una di metodo e una di merito", dice Beniamino Migliucci, presidente delle Unioni Camere Penali. "Sul metodo anzitutto sottolineiamo che c'è un Governo "smentito" in corso d'opera dalla elaborazione di una proposta del tutto diversa da quella originaria che egli stesso aveva avanzato, il tutto per un cedimento della politica alle richieste della Procura, e non dell'Europa come invece vengono fatte passare. Siamo contrari anche nel merito. Non siamo ancora arrivati all'astensione, cioè allo sciopero, ma il 31 marzo abbiamo pensato di dare un segnale chiaro a tutti e spiegare le nostre ragioni". Perché nel merito dei ddl anti-corruzione e sulla prescrizione siete contrari? "Siamo contrari anzitutto perché questa riforma ci è stata spacciata come un richiamo dell'Europa. Non è così. E quello che si farebbe se il ddl sulla prescrizione diventasse legge sarebbe solo porsi contro una regola costituzionale contenuta nell'articolo 111, che prevede la ragionevole durata del processo. Anziché far sì che un processo si tenga in tempi ragionevolmente brevi, si interviene allungando la sua durata "sine die", in eterno. Non è ragionevole che una persona offesa veda riconosciuto un proprio diritto dopo vent'anni. Dire che solo se non ci sono più prescrizioni i corrotti vengono puniti va contro il senso di giustizia: la giustizia, per definirsi tale, deve essere esercitata in tempi brevi. L'Europa non ha mai chiesto di allungare la prescrizione ma, letteralmente, ci ha chiesto che "la pronuncia giudiziale di merito sui reati contro la Pa pervenga in tempi ragionevoli". La magistratura obietta che la prescrizione va bloccata perché non sempre le prove di una corruzione si trovano immediatamente, e che occorre tempo per fare le indagini. "Guardiamo i numeri. Le prescrizioni per i reati di corruzione contro la Pa sono il 3,5 per cento dei casi. Quindi, nel restante 96 per cento dei casi, con la legge attuale si è arrivati a sentenza. È vero, casomai, che il 70 per cento delle prescrizioni matura nel corso delle indagini. Oggi non abbiamo una norma che sanziona l'iscrizione scorretta nel registro degli indagati né le eccessive proroghe. Se un pm, ad esempio, iscrive una persona e poi si accorge di aver commesso un errore e di dover indagare un'altra persona, non gli accade nulla: semplicemente proroga l'indagine, e cambia soggetto. Ora si prevedrebbe, invece, che la prescrizione venga sospesa per due anni dopo la sentenza di primo grado, e per un anno dopo quella di appello. Noi penalisti diciamo che se dopo la condanna di primo grado si sospende la prescrizione, va previsto allora anche un termine perentorio per le indagini, entro cui va celebrato il processo. Oggi non esiste alcuna sanzione per il pubblico ministero nemmeno se un fascicolo rimane nel suo cassetto per mesi o anni. Occorrerebbe che la politica intervenisse su questo anziché sulle regole costituzionali, permettendo che un processo duri per l'eternità. La prescrizione, oltretutto, è un istituto che ragionevolmente deve essere previsto in uno Stato perché non si può esercitare la giustizia dopo decenni dai fatti". Non è invece che, come crede gran parte dell'opinione pubblica, la prescrizione è una panacea per gli avvocati, che cercano mille cavilli pur di far sì che i propri assistiti non vengano condannati? "Sì, è vero che una buona fetta dell'opinione pubblica pensa questo. Ma è una sciocchezza che sia uno strumento a vantaggio degli avvocati. Se - ripeto - il 70 per cento delle prescrizioni matura in fase di indagini preliminari, in quel frangente gli avvocati non hanno alcun potere per fare allungare i tempi. Tutto è nelle mani dei pubblici ministeri. Se le indagini di proroga in proroga durano almeno due anni, e se poi dalla chiusura delle indagini all'apertura del processo passano in media altri due anni, nemmeno questa è responsabilità degli avvocati. Allora perché questi ritardi li devono pagare i cittadini? Perché forse dimentichiamo che i processi più lenti in Italia sono quelli del civile, dove non è prevista la prescrizione: eliminarla o sospenderla, come vorrebbe fare il ddl, significa solo allungare i tempi dei processi e allontanare la giustizia dal cittadino". Voi penalisti siete contrari anche alle proposte del ddl anti-corruzione che prevede di aumentare le pene: avete proposto, invece, "una seria riforma delle amministrazioni, delle burocrazie e delle leggi sugli appalti". Cioè? "E oltre a noi, queste cose le sostengono anche il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio e il primo presidente di Cassazione, Giulio Santacroce, che all'inaugurazione dell'anno giudiziario ha ricordato che l'aumento delle pene non costituisce affatto un deterrente, mai, né per la corruzione né per altri reati. Una dimostrazione solare l'abbiamo già con la legge Severino che ha aumentato la pena per la corruzione a 8 anni: se la corruzione è rimasta quanto meno stabile, evidentemente la legge Severino non è servita al suo scopo, ed è stata solo una risposta emotiva per accontentare l'opinione pubblica nel momento. Ritengo che l'opinione pubblica più avveduta sa bene che così non si risolve il problema. Il meccanismo di prevenzione principale è far ruotare i burocrati, soprattutto quelli che hanno poteri decisionali forti, e prevedere norme per l'assegnazione degli appalti semplici e chiare. Da noi bisogna sempre chiedere un'interpretazione delle norme, e da quello poi è molto facile passare alla richiesta del favore. Più è difficile orientarsi, più c'è spazio per la discrezionalità e di conseguenza per la corruzione. Inoltre chiediamo che più un reato è grave, più i processi siano veloci. Non dimentichiamo che il nostro paese è quello dove il 40 per cento delle sentenze viene riformato in appello e dove ogni anno paghiamo 12 milioni di euro all'anno per riparare le ingiuste detenzioni. È bene arrivare allora a sentenze in tempi brevi per non rovinare la vita a persone innocenti e allo stesso tempo per dare giustizia il prima possibile a chi ne ha diritto". Giustizia: diritto alla difesa, avvocati sempre più "disarmati" di Anna Chiusano (Componente Giunta Unione Camere Penali) Il Garantista, 28 marzo 2015 Principi fondamentali del processo penale, sanciti non solo dal codice di rito ma anche dalla Costituzione e dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, sono il contraddittorio nel momento di formazione della prova, il principio dispositivo e la terzietà del giudice. Deroghe a tali principi sono previste soltanto qualora l'imputato scelga di definire il processo con un rito alternativo. E in questo caso viene "premiato" con uno sconto sulla pena. Così almeno dovrebbe essere ma così purtroppo non è, perché si assiste ormai sempre con maggior frequenza ad una sistematica disapplicazione e violazione dei principi cardine del processo accusatorio che si traducono nella violazione costante del diritto di difesa e nella vanificazione del principio di "parità delle armi" tra accusa e difesa, che avrebbe dovuto caratterizzare il processo penale, così come disciplinato dal codice di rito del 1988. È ormai prassi diffusa da parte dei giudici, soprattutto dell'impugnazione, l'invito rivolto ai difensori a limitare l'intervento orale, e si coglie talvolta manifesta insofferenza per l'arringa, quasi che il principio dell'oralità debba essere travolto perché inutile per la valutazione finale da parte del giudice. L'insofferenza per le regole accusatorie è evidente anche nel momento della formazione della prova quando, nel corso del dibattimento, il giudice invita, talvolta anche "vivacemente", il difensore a prestare il consenso all'acquisizione dei verbali di assunzione di prove raccolte nella fase delle indagini e a rinunciare a sentire i testimoni nel contraddittorio delle parti. La richiesta viene percepita, ma non è un sentire soggettivo, come una sorta di invito che è meglio seguire per non danneggiare l'assistito, perché a volte si comprende che un diniego potrebbe tradursi in un trattamento processuale più sfavorevole per l'imputato, quasi che il difendersi chiedendo il rispetto delle regole potrebbe tradursi in una colpa aggiuntiva. La violazione del principio della parità delle parti si avverte anche quando il giudice riduce drasticamente i testi indicati dalla difesa, cosa difficilmente riscontrabile per quelli dell'accusa: per non parlare della scarsa - per non dire nulla - considerazione che ricoprono i verbali di assunzione di indagini difensive assunte ai sensi degli articoli 391 bis e seguenti del Codice di procedura penale. A volte si ha quasi l'impressione che chi meno disturba il "manovratore" possa godere di un trattamento processuale migliore. Si potrebbe continuare a lungo rammentando ad esempio che quando il giudice cambia nel corso del dibattimento la difesa viene invitata caldamente a prestare il consenso all'utilizzabilità delle prove precedentemente acquisite, ignorando il principio secondo cui il giudice che assume la prova dovrebbe essere quello della decisione. Non sempre l'Avvocatura è ferma nel respingere queste prassi devianti e consapevolmente tendenti ad allontanarsi da un modello di processo liberale e democratico. Specializzazione, qualificazione professionale, rispetto delle regole deontologiche, consapevolezza della funzione della difesa e del ruolo del difensore nella società potranno arginare un atteggiamento culturale che ha come conseguenza pericolose ricadute, nel processo, di senso autoritario. Questo non basta. È necessario respingere l'inconscio inquisitorio che anima gran parte della magistratura e rilanciare i princìpi dell'articolo 111 della Costituzione, richiamando la politica al coraggio di attuarli effettivamente con la previsione di un giudice che per essere realmente terzo non potrà che essere separato nella carriera da chi sostiene l'accusa. Giustizia: Congresso nazionale di Md, la "svolta moderata" delle ex toghe rosse di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 28 marzo 2015 Ribadita la concezione della giustizia "come servizio, che dal Dna di Md è divenuta consapevolezza crescente di tutta la magistratura". Toghe rosse? No, toghe "moderate", probabilmente "le più moderate" nel panorama della magistratura italiana, e nel senso "migliore del termine", ovvero di una magistratura "equilibrata" che guarda al futuro battendosi per gli ideali ma percependosi, al tempo stesso, come "servizio". Una magistratura che tiene la barra dritta sulla sua funzione di "rendere effettiva la tutela dei diritti" ma che sa che "per farlo, occorre far funzionare la giustizia civile, premessa essenziale per rendere efficace anche la giustizia penale". Il "cambiamento" di Magistratura democratica, la corrente di sinistra confluita nel "cartello" di Area insieme alle altre parti progressiste della magistratura, è "certificato" da Vincenzo Roppo, Ordinario di diritto civile all'Università di Genova, al termine di una delle quattro tavole rotonde in programma da ieri al teatro Cilea di Reggio Calabria, dove Md celebra il suo XX Congresso nazionale dal titolo "Diritti, giurisdizione e futuro. Il ruolo dei giudici nell'epoca dell'incertezza". Un ruolo da "protagonisti" rivendica Anna Canepa, segretario di Md, nella relazione introduttiva in cui lancia la sfida del "cambiamento". Tre gli imperativi: "reagire, proporre, uscire dal recinto dell'autodifesa in cui la magistratura è stata costretta in questi anni". Nel pomeriggio ci si interroga: "A che cosa serve la giurisdizione?". Domanda solo all'apparenza retorica in una stagione di "ridimensionamento" dell'intervento del giudice auspicato da più parti, spiega Renato Rordorf, presidente di sezione della Cassazione nei panni del moderatore, sia per la diffidenza nella discrezionalità del giudice, sia per l'eccesso di regole, sia per l'incertezza del diritto, sia per l'inefficienza del servizio. Bisogna trovare "un punto di equilibrio", soprattutto nel campo dei rapporti economici. Ma "con due punti fermi: che le compatibilità economiche non possono prevalere sul rispetto della dignità dell'uomo e dei diritti fondamentali e che l'insopprimibile discrezionalità, insita nell'interpretazione e applicazione della legge da parte del giudice, non sconfini mai nell'arbitrio o nel soggettivismo". "È indubbio che la crisi della giustizia si ripercuote sull'economia perché quanto maggiore è l'efficienza della giustizia tanto maggiore è la fiducia nelle relazioni economiche" osserva Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria, collegata in videoconferenza. "Io non temo la discrezionalità del giudice, se la norma è scritta bene; la temo se è scritta male" dice, ripercorrendo i passi avanti compiuti dal 2009 e tuttavia non sufficienti. Al dibattito interviene - ma con un video registrato - anche Maurizio Landini, segretario di Fiom-Cgil, puntando il dito sulla "deriva" della politica del lavoro del governo e sulla "marginalizzazione" del giudice, ben rappresentate dal Jobs act. "Il governno - sostiene - colpisce i lavoratori e non la criminalità che controlla l'economia". Il Jobs act viene citato più volte a Reggio, anche da Pietro Curzio, giudice della sezione lavoro della Cassazione, secondo cui si è passati da una "bipartizione del mercato del lavoro (imprese con più o con meno di 15 dipendenti e quindi con tutele diverse, ndr) ad una quadripartizione, se si considera anche il pubblico impiego. Per cui può accadere che, nella stessa azienda, due persone svolgano lo stesso lavoro ma in caso di licenziamento abbiano tutele diverse solo in funzione della data della loro assunzione". Uno scenario che non sembra immune da criticità. "È chiaro - osserva Curzio - che il giudice rispetta la legge. Quel che può fare è interpretarla e applicarla con la massima correttezza, verificare se è conforme ai principi costituzionali o interpretarla in modo da correggere alcuni punti per dare certezza al diritto". Anche da qui passa la giustizia come "servizio", che Rordorf rivendica "nel Dna di Md" ed è diventata una consapevolezza crescente di tutta la magistratura "anche se c'è il rischio che questa consapevolezza ci trasformi in burocrati, facendoci dimenticare che la ragione principale del nostro agire è realizzare una tutela efficace dei diritti". Giustizia: Magistratura democratica contro il Governo e (un po') anche contro se stessa di Andrea Fabozzi Il Manifesto, 28 marzo 2015 A Reggio Calabria il ventesimo congresso della corrente di sinistra dei magistrati. Attesa, arriva puntuale la critica al governo, e direttamente al presidente del Consiglio - "modello fortemente maggioritario fondato tutto sul carisma personale e mediatico del vincitore di turno" - ma dalla prima giornata del congresso di Md a Reggio Calabria arrivano anche l'autocritica e la testimonianza di uno sforzo per non eludere le questioni più difficili per la corrente di sinistra della magistratura. Se la segretaria Anna Canepa nella relazione ripercorre la infelice e ormai un po' lontana vicenda di Antonio Ingroia - è a lui che allude quando critica il "populismo giudiziario che ha visto protagonisti pm poi passati alla politica", nella introduzione alla sessione di lavoro sull'associazionismo giudiziario (tema caldo sia a sinistra, dove stenta la coalizione di Area, sia a destra, dove Mi ha subito una scissione) si affrontano questioni più recenti e delicate. Nel testo che servirà da base per i lavori di oggi pomeriggio (parteciperà il filosofo del diritto Luigi Ferrajoli, autore di una sferzata memorabile alla platea dell'ultimo congresso) si legge che "troppo spesso non siamo stati capaci di mettere in pratica ciò che abbiamo declamato e teorizzato, dalla presa di distanza da logiche spartitorie alla concretizzazione del modello di dirigente, dal rifiuto del carrierismo alla centralità della giurisdizione come strumento di garanzia per i meno garantiti". Parole, queste ultime, dove si può cogliere l'eco di difficoltà recenti tra l'associazione che ha storicamente contrastato la tendenza a gerarchizzare gli uffici giudiziari e il procuratore capo di Milano Bruti Liberati, figura storica di Md (in platea a Reggio). Parole scritte dal giudice del tribunale di Torino Roberto Arata, e condivise dall'esecutivo di Md, che non è azzardato riferire anche alla vicenda dell'ex procuratore di Torino Giancarlo Caselli, assai criticato per l'inchiesta Tav e protagonista di un polemico addio alla corrente. E anche Canepa nella sua relazione ha scritto "molti di noi sono diventati grandi, molto spesso anche capi, e non sempre ciò che Md aveva ereticamente teorizzato ha trovato e trova reale inveramento". Sono passaggi destinati a restare in ombra rispetto alle urgenze della polemica politica - lo scontro con il governo sulla riforma della responsabilità civile, le preoccupazioni per la sorte delle intercettazioni, la prescrizione - ma che meritano attenzione se è vero come dice ancora Canepa che "la magistratura deve uscire dal recinto dell'autodifesa in cui è stata costretta in questi anni". Anche perché Md contrasta le scelte di Renzi, ma si trova a disagio nel ruolo di chi si oppone alle riforme. E tocca alla segretaria spiegare che "la mistica del riformismo non è certo il nostro metodo", e "si impone un'analisi del senso e della direzione di quelle riforme che investono l'architettura costituzionale, l'idea stessa di rappresentanza e diritti fondamentali come il lavoro". Da qui alla proposta del segretario della Fiom Landini (in videoconferenza) a "fare insieme molta strada" il passo è breve. Perché al di là delle critiche sui singoli punti - per Md la prescrizione andava interrotta dopo la sentenza di primo grado, sulle intercettazioni c'è il rischio del bavaglio alla stampa e la nuova legge sulla responsabilità civile aprirà la strada a "timidezze e conformismi interpretativi" - è radicale l'opposizione al renzismo come "riduzione degli spazi del confronto, della critica e del ripensamento". Questo dice un'associazione che rivendica orgogliosamente il ruolo politico della giurisdizione. E che individua in Renzi una minaccia meno plateale - "non più accuse di voler sovvertire l'ordinamento giudiziario, non più macchina del fango" - ma più pericolosa per l'autonomia della magistratura. E nell'elenco mette anche lo strumentale "arruolamento" alla causa di governo di "magistrati che erano stati rappresentati come eroi della lotta alla criminalità". E cioè Raffaele Cantone e Nicola Gratteri. Giustizia: lo Stato pignorato per lentezza. Legge Pinto, possibile aggredire beni ministeriali di Debora Alberici Italia Oggi, 28 marzo 2015 Sentenza della Cassazione accoglie un ricorso sull'equo indennizzo (legge Pinto). L'equa riparazione, una delle voci più preoccupanti del debito pubblico, alla resa dei conti: lo Stato deve pagare e non può impedire che il cittadino ottenga in tempi stretti il ristoro. Sono infatti pignorabili le somme del ministero della Giustizia presso la Banca d'Italia, a esclusione di quelle riserve dichiarate dal dl 143/2008 come tassativamente impignorabili (e destinate essenzialmente agli stipendi o ai servizi). Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 6078 del 26 marzo 2015, ha accolto il ricorso di un cittadino che, nonostante avesse vinto da tempo la causa sull'equo indennizzo da ingiusta durata del processo, non era riuscito a ottenere il pagamento. Una sentenza dura quella depositata dalla terza sezione civile che mette in mora lo Stato reclamando una legge e applica le norme a disposizione in favore di quanti, soprattutto prima del 2008 (anno di entrata in vigore del pignoramento diretto) hanno vinto la lite sulla legge Pinto, senza ancora ottenere un euro. "La violazione del diritto alla ragionevole durata del processo", scrivono i Supremi giudici, "è particolarmente grave e odiosa, come il mancato rispetto della Carta dei diritti dell'Uomo, ed è di pari rango alla tortura, alla negazione della libertà di stampa e di espressione, all'impedimento dell'esercizio dei diritti civili". Infatti per la Cassazione i fondi del ministero della giustizia, comunque diversi da quelli tassativamente indicati dall'art. 1 del dl 143/08, sono liberamente pignorabili. Fra l'altro, si precisa in sentenza, non è applicabile a questo caso l'attuale disposizione dell'art. 5-quinquies della legge n. 89 del 2001, che prevede la modalità di pignoramento diretto, vale dire nella forma dell'espropriazione diretta presso il debitore, attraverso atto notificato al funzionario delegato del distretto in cui è stato emesso il provvedimento giurisdizionale posto in esecuzione. Infatti, la disposizione è entrata in vigore in data 9 aprile 2013, ai sensi dell'art. 13 del decreto legge n. 35 del 2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 82 dell'8 aprile 2013 e non ha efficacia retroattiva. La Cassazione ha chiuso la vicenda accogliendo nel merito il ricorso del cittadino e avviando il pignoramento presso la Banca d'Italia. Giustizia: nei tribunali arrivano i rinforzi, oltre 2 mila dipendenti per ridurre l'arretrato di Giovanni Galli Italia Oggi, 28 marzo 2015 Oltre mille dipendenti pubblici passeranno nei ranghi delle cancellerie dei tribunali per smaltire l'arretrato. Gran parte di questi arriveranno dagli esuberi delle province. E altri mille rinforzi arriveranno entro la fi ne dell'anno. Lo ha detto ieri il ministro della Giustizia Andrea Orlando illustrando il decreto, approvato dal consiglio dei ministri, di riorganizzazione del dicastero di via Arenula. Un'operazione dalla quale dovrebbe derivare un "risparmio annuo di 64 milioni di euro". Orlando ha ricordato che "da settembre gli uffici giudiziari non saranno più gestiti dai comuni ma dal ministero" e ha snocciolato le misure introdotte: a giugno è partito il processo civile telematico, il ministero ha acquisito fondi strutturali per 100 milioni di cui 50 saranno utilizzati per l'informatizzazione del processo penale, infine il bando della mobilità grazie al quale come detto oltre 1031 persone passeranno da diverse p.a., in particolare le province, alle cancellerie. Ma, ha sottolineato il guardasigilli, "non sono sufficienti 1031, abbiamo scoperto di organico di ottomila persone. Una goccia nel mare, ma dalla fi ne del 1990 non c'erano immissioni. Stiamo lavorando all'immissione di altre mille persone nelle cancellerie entro la fi ne dell'anno", oltre a 250 assunzioni già previste. Inoltre "abbiamo attinto alle liste degli idonei di altri ambiti della p.a. per individuare 96 giovani che manderemo in tutti i tribunali per un progetto di abbattimento dell'arretrato: non saranno inseriti nell'organico generale ma mandati laddove si immaginerà un percorso contro l'arretrato". Tra gli interventi organizzativi previsti dal decreto, la riduzione da 61 a 36 delle direzioni, dei dirigenti di seconda fascia da 1.600 a 712 e dei provveditorati sul territorio da 16 a 11. Via libera inoltre a un dipartimento che si occupa di esecuzione penale esterna, cioè di pena alternativa al carcere. Orlando, è anche intervenuto sulle intercettazioni annunciando che "la delega sulle intercettazioni è nel ddl sul penale. A seconda dell'iter e dei tempi sul penale valuteremo quale strada seguire: dobbiamo fare di tutto perché il ddl nel suo insieme proceda rapidamente. Escluderei totalmente che il testo sulle intercettazioni andasse ad affiancarsi al ddl sulla diffamazione, che riguarda la professione giornalistica ed è un tema a sé". Sulla riorganizzazione del ministero è intervenuto il capo del Dipartimento organizzazione, Mario Barbuto, artefice a Torino di una case history sullo smaltimento dell'arretrato. "Finalmente oggi conosciamo, e in modo analitico, quanto è vecchio il nostro arretrato. Finalmente conosciamo l'anzianità dei processi. Il 37% delle cause durano più di tre anni, il 18% sono nella media mondiale, solo l'11% rappresentano la virtù perché hanno tempi di durata delle cause inferiore alla media mondiale. I 27 migliori tribunali in Italia hanno una durata del processo di 490 giorni, 16 tribunali di 663 giorni e 96 tribunali sotto media con 965 giorni. La media mondiale è 631 giorni. Svizzera, Germania e Francia sono attorno ai 390 giorni". Giustizia: "intercettazioni, legge entro l'anno". Renzi detta la linea sull'intervento di Virginia Piccolillo Corriere della Sera, 28 marzo 2015 "La legge sulle intercettazioni verrà approvata entro il 2015". Matteo Renzi promette che metterà il turbo. "Meraviglia che sia questa la priorità", replica a distanza l'Associazione nazionale magistrati. Ma il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, rincara: "Dobbiamo fare di tutto per procedere rapidamente". A premere per la limitazione della pubblicazione di intercettazioni è il Nuovo centrodestra, dopo la vicenda che ha coinvolto l'ex ministro Maurizio Lupi: dimessosi per quei colloqui in cui si parlava di un lavoro dato a suo figlio. Angelino Alfano aveva chiesto che la norma sulle intercettazioni venisse inserita nel ddl sulla diffamazione, così da arrivare prima alla meta. Il coordinatore nazionale Ncd, Gaetano Quagliariello, ieri ha twittato: "Sì a lotta a corruzione e crimine, no a #levitedeglialtri sui giornali". E così ieri il premier, al termine del consiglio dei ministri, ha dato garanzie. Entro fine anno la legge sulle intercettazioni entrerà in vigore. Ma come? Attualmente la norma è contenuta nel disegno di legge sul processo penale, che ha tempi molto lunghi. Ma il Guardasigilli assicura: se non si procederà in modo veloce "si utilizzeranno altre strade". Una cosa è certa. Non sarà utilizzata come veicolo la legge sulla diffamazione. "Lo escludo" ha detto Orlando che ha precisato: "Il testo della diffamazione, che riguarda la professione giornalistica è un tema a sé". Nel Consiglio dei ministri di ieri si è parlato anche di riorganizzazione della Giustizia. E Orlando ha annunciato l'arrivo nelle cancellerie di 1.031 persone in mobilità dalle Province. La prospettiva dell'arrivo di personale non preparato e magari con qualifiche più alte di coloro che dovrebbero essere aiutati, e che saranno chiamati a formarli, ha già messo in allarme i sindacati dei cancellieri. Che invece chiedono l'assunzione di giovani, pieni di energia e con conoscenze specifiche adatte all'avvio del nuovo processo telematico. Ieri Orlando ha garantito che, oltre agli organici provenienti dalle province, "250 nuove assunzioni ci sono già. Stiamo lavorando all'arrivo di altre 1.000 persone. Abbatteremo la scopertura di un quarto". Da settembre, poi, i tribunali non saranno più gestiti dai comuni, ma dal ministero. Il governo ha varato anche un piano di riorganizzazione del ministero della Giustizia. "Questo meccanismo qui è uno dei segnali più forti del fatto che stiamo facendo sul serio, si vanno a ridurre le inefficienze che il sistema ha. È una lotta alle storture per smaltire l'arretrato civile", esulta Renzi. Un piano che, secondo Orlando, comporterà un risparmio di 64 milioni di euro. Il risparmio sarà realizzato attraverso "una riduzione delle direzioni del ministero da 61 a 36, dei dirigenti di seconda fascia da 1.600 a 712 e dei provveditorati sul territorio da 16 a 11". Verrà costituito un dipartimento che si occupa di pene alternative al carcere. Cura dimagrante, ma anche ricostituente l'ha definita il ministro. "Perché le prescrizioni dei processi - ha fatto notare - si realizzano anche perché non ci sono le strutture per far andare avanti il processo". "Siamo favorevoli alla riorganizzazione della Giustizia, ma attendiamo di vedere i fatti concreti. La politica ci informi non di quello che farà ma di quello che è stato fatto", dice il presidente dell'Anm, Rodolfo Sabelli. Lui è scettico che le misure di ieri portino a risultati concreti: "Pensare che mille dipendenti arrivati dalla mobilità risolvano la gravissima sofferenza dell'organico che ha uno scoperto di oltre 8 mila persone o che ciò determinerà una significativa ricaduta sulla prescrizione è veramente una illusione". "Bisogna ricordarsi - ha evidenziato - che queste mille unità andranno formate e si innestano in personale già esistente. In gran parte andranno nel settore civile e soltanto una parte sarà destinata al penale, quindi non penso si avrà una significativa ricaduta sulla prescrizione. Con ciò, ovviamente non dico che non siamo favorevoli agli innesti, anzi". I tempi della giustizia si confermano da lumaca. Il 37% delle cause dura più di tre anni, il 18% è nella media mondiale, solo l'11% rappresenta la virtù perché hanno tempi di durata delle cause inferiore alla media mondiale, ha spiegato in conferenza stampa Mario Barbuto, capo del Dipartimento organizzazione della Giustizia. "I 27 migliori tribunali in Italia - ha aggiunto - hanno una durata del processo di 490 giorni, 16 tribunali di 663 giorni e 96 tribunali 965 giorni. La media mondiale è 631 giorni". Giustizia nel "piano Gratteri" anche il carcere per chi pubblica le intercettazioni irrilevanti di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 28 marzo 2015 Nel dibattito sull'annunciata riforma delle intercettazioni e delle regole per la loro diffusione, il governo ha a sua disposizione una nuova proposta di soluzione. Più precisamente la presidenza del Consiglio, giacché la proposta viene dalla commissione istituita a Palazzo Chigi e presieduta dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, il magistrato che Matteo Renzi avrebbe voluto come ministro della Giustizia. La sua relazione prevede un ampio intervento sulle intercettazioni, compreso il divieto di pubblicazione di quelle considerate "irrilevanti" per la formazione della prova, con la previsione di multe salate e del carcere per chi lo viola. Prima ancora, però, c'è un altro divieto, imposto a pubblici ministeri e giudici: nelle richieste e nelle ordinanze d'arresto non potranno inserire i testi integrali dei colloqui registrati, a meno che la trascrizione completa non abbia una diretta relazione con il capo d'imputazione. Il resto delle intercettazioni finirà ugualmente a disposizione delle parti dell'indagine, in atti che però non potranno essere diffusi. Ed ecco la conseguente norma immaginata per chi non rispetta questo divieto. È un nuovo articolo del codice penale, numero 595 bis, da inserire subito dopo il 595 che punisce la diffamazione. Il reato dovrebbe chiamarsi "pubblicazione arbitraria di intercettazioni", e prevede che chiunque pubblichi o diffonda con qualsiasi mezzo i testi di intercettazioni o altre forme di comunicazione "acquisite agli atti di un procedimento penale", il cui contenuto "abbia portata diffamatoria e risulti manifestamente irrilevante ai fini di prova", venga punito con una sanzione da 2.000 a 10.000 euro, o con la detenzione da due a sei anni. È una novità molto rilevante, che darà adito a discussioni e polemiche per la previsione del carcere (nonché di contravvenzioni pesanti) e perché in buona misura lascia al giornalista sia la valutazione della "portata diffamatoria" delle conversazioni sia la sua rilevanza penale. Inoltre, vietando tout court la diffusione di ciò che non è contenuto nelle ordinanze d'arresto e nelle relative richieste, ma è tuttavia contenuto in atti a disposizione degli avvocati - e dunque non più segreti - si impedirebbe di rendere noto anche conversazioni che, pur non utili alla individuazione di un reato, potrebbero avere comunque un interesse pubblico. L'obiettivo della proposta è difendere la privacy delle persone, in particolare quelle non sottoposte a indagini che entrano in contatto con gli inquisiti, ma è evidente che ogni intervento su questa materia va a incidere sia sulla discrezionalità del magistrato nella valutazione degli indizi derivanti dalle intercettazioni, che degli operatori dell'informazione. Ma le proposte della "commissione Gratteri" non si limitano al divieto di pubblicazione. Subito dopo l'esecuzione di arresto, i difensori degli accusati dovrebbero poter avere copia di tutti i risultati delle intercettazioni, anche se non ancora depositati, ad esempio, al tribunale del Riesame, in modo da rendere effettivo il cosiddetto "diritto all'ascolto". Inoltre si suggerisce di allungare i tempi previsti per le registrazioni, estendendo a tutte le indagini quelli più ampi già in vigore per le inchieste antimafia. A fronte di una maggiore tutela della riservatezza delle comunicazioni, il gruppo di lavoro coordinato dal procuratore aggiunto di Reggio intende estendere il potere di indagine ad altre forme di comunicazione. Regolando due nuove forme di intercettazione: le riprese video - quindi "dei comportamenti", non solo dei dialoghi - degli indagati nelle loro case o nei luoghi di riunione, autorizzate dal giudice, rendendole così utilizzabili nel processo. Inoltre si prevede una nuova forma di "intercettazione epistolare", sempre previa autorizzazione del giudice, parificando le lettere ai colloqui registrati. In questo modo si potrebbe venire a conoscenza del contenuto delle lettere in maniera clandestina, facendole recapitare regolarmente senza che il destinatario sappia che quella corrispondenza, prima di giungere nelle sue mani, lungo il tragitto è stata bloccata, letta e interpretata, prima dalla polizia giudiziaria e poi dai magistrati. Giustizia: Cantone; anticorpi contro la corruzione per non ripetere gli errori fatti nel 1992 di Liana Milella La Repubblica, 28 marzo 2015 Le intercettazioni? "Indispensabili per contrastare la corruzione". E la corruzione "peccato capitale della democrazia"? "Forse il peccato più grave". Un cancro? "Purtroppo sì, ma curabile". I magistrati, moralizzatori del Paese o potente casta? "Né l'uno né l'altro, funzionari pubblici a tutela della legalità". L'inchiesta di Firenze? "Uno spaccato interessantissimo". Nei panni di Lupi che avrebbe fatto? "Penso che non mi sarei ritrovato in quei panni...". Raffaele Cantone è reduce da Parigi, dove in un forum dell'Ocse ha illustrato la sua ricetta contro la corruzione. Intercettazioni, Renzi promette la nuova legge, niente più fatti penalmente irrilevanti negli atti pubblici. Sarà censura? "No. Il tema della limitazione della pubblicità dei colloqui irrilevanti è importante, il problema è trovare un giusto equilibrio che consenta ai giudici di stabilire quali sono le intercettazioni utili. Ovviamente non va depotenziato il meccanismo". Un'intercettazione come quella di Lupi doveva o non doveva stare nell'ordinanza? "Sul fatto specifico non rispondo. Ma l'utilità della telefonata va valutata in modo complessivo. Anche i rapporti di un indagato con un personaggio di primo piano della politica possono essere utili a individuare il suo ruolo e la sua eventuale attività illecita". Il procuratore di Torino Spataro dice che in un'indagine conta il contesto. Condivide? "Assolutamente sì, un'indagine fuori dal contesto è una non indagine, uno stesso colloquio cambia completamente di senso se non è inserito in un contesto. Questa è un'impostazione anche a garanzia degli imputati. La stessa affermazione potrebbe essere uno scherzo o un fatto di reato". Poche intercettazioni danneggiano l'indagato? "Se è il giudice a fare la selezione nel contraddittorio delle parti, questo rischio non credo ci sia". Multe ai giornalisti che le pubblicano lo stesso. Un bavaglio? "Se si stabilisce la regola che prima di un certo momento le intercettazioni non sono pubblicabili è giusto prevedere una sanzione. Sennò rischierebbe di essere un divieto inutile". Corruzione, "il male italiano". È il titolo del suo libro. Non dà troppo lustro a corrotti e corruttori? "Assolutamente no, questo è il tema che per lungo tempo ha portato a dire che parlare di mafia poteva essere un danno. Invece è stato proprio il parlarne che ha consentito di cambiare la mentalità e far capire a tutti quanto fosse pericolosa la mafia. Questa stessa operazione va fatta sulla corruzione, dicendo anche quanto di buono si fa nel nostro Paese. A Parigi un americano ha proposto, come una grande innovazione, le white list delle imprese. Gli ho fatto notare che in Italia le abbiamo introdotte da anni". Lei scrive di avere più rispetto per i Casalesi che per i colletti bianchi corrotti. "È un'iperbole. Ma chi si nasconde dietro il perbenismo spesso dà anche l'esempio peggiore, che finisce per influenzare un pezzo della società. Dal criminale certi atteggiamenti te li aspetti, dal colletto bianco ti aspetteresti altro". Le inchieste sulla corruzione aumentano. Significa che, come scrive lei, "puoi sempre cucire un abito perfetto dentro il quale però è nascosto un killer"? "Le inchieste sono un fatto positivo perché se la mafia è un tumore bisogna estirparlo. Quanto sta emergendo è il segnale di un tentativo di cambiamento, che va raccolto senza fare gli errori del 1992". Quali? "Non inserire nel sistema gli anticorpi e credere che le sole indagini bastino per contrastare la corruzione. Io rilancio: subito un codice degli appalti ben fatto come strumento per evitare che in futuro si verifichino fatti di corruzione". Con il capo gabinetto del Mef Garofoli ha scritto il decalogo anti-corruzione. Ci crede davvero? "Io ci credo, eccome. Il tentativo di estendere le regole anti-corruzione alle società pubbliche è un salto di qualità vero, perché si esce dall'ambiguità di considerare questi enti ermafroditi, qualcosa di diverso da quelli pubblici e li si sottopone alle stesse regole". Opere inutili e massimo ribasso che producono revisioni continue. Cambiare le regole? "Certo, rivedendo scelte del passato che avevano creato l'attesa di un'abbuffata di opere che non c'è stata. Voglio fare una provocazione: se certe norme avessero consentito di fare le opere, il malaffare avrebbe fatto meno impressione. Il paradosso è che non si sono fatte le opere ed è aumentato il malaffare". Si riferisce a qualche legge? "Soprattutto alla legge Obiettivo, una montagna che ha prodotto un topolino dal punto di vista delle opere e che ha generato quanto si legge nelle carte di Firenze". Lei è critico sulla correnti dei giudici. Ancora "offeso" perché non l'hanno nominata procuratore aggiunto a Napoli? "Ma io ringrazio il Csm per non avermi nominato, perché forse avrei perso l'occasione di fare una cosa come quella che sto facendo, che mi piace moltissimo e che mi sta dando grande soddisfazione. Ciò non toglie che come tanti colleghi sono deluso da correnti divenute solo uno strumento di promozione delle carriere o di tutela della corporazione e che tradiscono le ragioni per cui sono nate". Senza citarla esplicitamente, la segretaria di Magistratura democratica Canepa dice che non le piacciono "gli eroi dell'Antimafia arruolati nell'esecutivo a dimostrare che il governo fa sul serio". "Non raccolgo nessuna critica in queste parole, non mi sono mai annoverato tra gli eroi dell'Antimafia e non ho mai fatto nella mia vita la foglia di fico. A oggi, non ho mai accettato un incarico in un ministero, e fino a questo momento non avevo mai fatto un giorno fuori ruolo. I fatti parlano molto più delle parole". Giustizia: chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, pronta solo una Regione su due Agi, 28 marzo 2015 Il 31 marzo chiuderanno gli Ospedali psichiatrici giudiziari, ma solo una Regione su due è pronta ad applicare la riforma con le nuove strutture, le Rems (Residenze per l'Esecuzione della Misura di sicurezza Sanitaria), che dovrebbero accogliere gli attuali ospiti. Alla scadenza fissata allo scorso 15 marzo, infatti, secondo quanto apprende l'Agi da fonti del ministero della Salute, sul versante della concreta attuazione del passaggio da Opg a Rems solo dieci Regioni e una Provincia autonoma potranno contare già dal primo aprile su Residenze funzionanti. Si tratta di Val d'Aosta, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Basilicata, Sicilia e Sardegna, oltre alla Provincia Autonoma di Bolzano. A queste potrebbero aggiungersi Abruzzo e Molise frenate solo da un giudizio amministrativo pendente che potrebbe risolversi, almeno in fase cautelare al Tar, già prima dell'inizio di aprile. Il Veneto, invece, non ha ancora individuato le soluzioni logistiche per l'attuazione della riforma, il Piemonte, pur avendo individuato soluzioni, non ha fornito i relativi atti deliberativi. Altre sei Regioni e la Provincia Autonoma di Trento hanno individuato soluzioni per le quali, tuttavia, i tempi di effettiva attivazione, in relazione a lavori e procedure da ultimare variano da pochi giorni (il caso delle Marche che conta di attivare la propria struttura il 15 aprile prossimo) fino al massimo del primo settembre 2015 (il caso del Piemonte). Le altre sono l'Umbria, che congiuntamente alla Toscana utilizzerà la struttura di Careggi dalla fine di maggio, il Friuli Venezia Giulia e la Puglia, che prevede l'attivazione delle proprie Rems il prossimo maggio, la Calabria, che stima in 120 giorni il tempo necessario per l'attivazione di una struttura transitoria ed ha intanto chiesto disponibilità alle Regioni limitrofe per ospitare i pazienti calabresi non dimissibili attualmente in Opg, e la Provincia Autonoma di Trento che conta di essere pronta il prossimo primo luglio. Marino (Pd): se Regioni non sono in grado Governo nomini commissario "Se le regioni non sono in grado il Governo nomini un commissario". Così il sindaco di Roma Capitale Ignazio Marino al termine di un convegno sul tema "Vite in Bilico: progetti di vita, percorsi di cura e programmi riabilitativi per un reale superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari" presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università Roma Tre. Il 31 marzo 2015 infatti scade per legge il termine ultimo per la chiusura degli Opg, dopo numerose proroghe, e il sindaco di Roma sostiene che molte regioni non siamo ancora pronte per questo passo. "Già avevo indicato nell'ottobre 2012 al presidente del consiglio Mario Monti di intervenire con la nomina di un commissario per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari che avesse pieni poteri - ha spiegato quindi il primo cittadino di Roma Capitale - e si sostituisse nei confronti di quelle regioni che erano inadempienti nel superamento questo orrore, dei lager dove sono stati chiusi per decenni i folli autori di reato senza alcuna possibilità di cura e con la loro dignità di persone completamente devastate, ridotte ad oggetti e rinchiusi in molti di questi luoghi". Dirindin (Pd): processo superamento avviato, non si torna indietro "È stato avviato un percorso da cui non si tornerà più indietro e questo è un risultato positivo di cui siamo soddisfatti", Così la senatrice Nerina Dirindin, capogruppo Pd in commissione Sanità, commenta, a pochi giorni dalla data del superamento definitivo degli Opg del 31 marzo, il lavoro svolto e le recenti visite alle strutture delle senatrici e dei senatori della commissione. "Siamo soddisfatti del lavoro svolto - aggiunge Dirindin - anche se ancora molto ne resta da fare, perché nonostante le molte criticità che abbiamo potuto rilevare nel percorso che porterà al superamento definitivo degli Opg, possiamo dire che in tutte le Regioni, tranne il Veneto, il processo è stato avviato. Alcune si sono attivate prima, altre dopo come il Piemonte. Ora l'importante è che in questo processo che sarà lungo e ad ostacoli, si evitino scorciatoie: non si trasferiscano semplicemente le persone da una struttura degradata ad una solo un po' più bella, si attuino effettivamente percorsi riabilitativi terapeutici personalizzati, si rispetti la dignità delle persone. È anche previsto un commissario nazionale, unico per tutte le Regioni per fare in modo che ci sia omogeneità nell'attuazione della Riforma". "Noi come Istituzioni - sottolinea Dirindin - continueremo a vigilare con attenzione su questo percorso e saremo da stimolo la dove sarà necessario, perché, come dimostra lo spirito che ha portato a questa riforma, quando si collabora insieme si ottengono i risultati, e questo per noi è motivo di conforto e soddisfazione", conclude Dirindin. Giustizia: Fp-Cgil Medici "no ai mini-Ospedali Giudiziari, serve cambiare Codice penale" Ansa, 28 marzo 2015 "Medici, infermieri e poliziotti non sono la stessa cosa: diciamo no ai mini-Opg e chiediamo di superare la logica manicomiale e modificare il codice penale". Lo affermano Cecilia Taranto, Segretaria Nazionale Fp-Cgil e Massimo Cozza, Segretario Nazionale Fp-Cgil Medici, in riferimento all'entrata in vigore dal primo aprile della legge per il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). "La prossima chiusura degli opg, obiettivo da sempre perseguito dal sindacato e dagli operatori del settore - affermano i due esponenti sindacali in una nota - rischia di essere compromessa da ritardi e mancanze. Giusta quindi la richiesta del comitato Stop Opg di commissariare le Regioni inadempienti". Tanti i nodi ancora da sciogliere, sottolineano: "in primo luogo la modifica del codice penale per il quale chi soffre di disturbi psichiatrici deve avere gli stessi diritti e doveri degli altri cittadini: il giudice deve poter decidere che chi ha compiuto delitti efferati venga curato in carcere; gli altri devono poter essere presi in carico dai dipartimenti di salute mentale, da potenziare viste le risorse oggi carenti". Serve quindi, rilevano, "un intervento normativo del Parlamento, ma soprattutto un impegno concreto delle Regioni, colpevolmente in ritardo, e una regia complessiva del Governo". Ciò che va evitato, affermano, "è l'affidamento di compiti di custodia ai medici e agli infermieri, compresi coloro che lavorano nelle Rems (Residenze per le misure di sicurezza), che rischiano di diventare dei mini-Opg. Snaturare le funzioni di cura con responsabilità di natura carceraria sarebbe un danno per tutti, a partire da chi dovrebbe essere curato. I medici e gli infermieri non sono poliziotti, i poliziotti non sono operatori sanitari. Basterebbe mettere tutti in condizione i fare il proprio mestiere al meglio, senza confondere ruoli e funzioni". Giustizia: Raffaele Sollecito e Amanda Knox assolti, non uccisero Meredith Kercher Ansa, 28 marzo 2015 Innocenti: Raffaele Sollecito e Amanda Knox sono stati assolti dalla Corte di Cassazione dall'accusa di aver ucciso otto anni fa a Perugia la studentessa inglese Meredith Kercher. Tra chi immaginava una sentenza definitiva di condanna e chi puntava ad un processo d'appello-ter con annullamento del verdetto della Corte d'assise di secondo grado di Firenze che aveva dichiarato i due giovani colpevoli dell'omicidio, la Suprema Corte ha scelto una terza via, forse la più difficile. Rivalutati in oltre dieci ore di camera di consiglio i fatti e gli atti, i giudici hanno concluso per l'assoluzione degli imputati: tecnicamente "per non aver commesso il fatto", in sostanza per insufficienza di prova (come spiega l'indicazione, nel dispositivo, del secondo comma dell'articolo 530 del codice di procedura penale). Resta una sola condanna, diventata definitiva, per Amanda: tre anni (con uno sconto rispetto alla decisione dei giudici di secondo grado) per aver calunniato Patrik Lumumba, accusandolo dell'omicidio nella prima fase delle indagini. "Sono immensamente felice, torno a riprendermi la mia vita", ha commentato Raffaele Sollecito, che ha atteso la sentenza nella sua casa di Bisceglie (Bari). "Quella stessa magistratura che mi ha condannato ingiustamente - ha aggiunto - mi ha restituito oggi la dignità e la libertà". E da Seattle Amanda Knox, informata dell'assoluzione, ha trasmesso la sua felicità ai difensori Luciano Ghirga e Carlo Dalla Vedova. "Sono enormemente sollevata e grata per la decisione della Cassazione italiana", ha detto, sottolineando che "la consapevolezza della mia innocenza mi ha dato la forza nei tempi più bui di questo calvario", in cui "ho avuto l'inestimabile sostegno della mia famiglia, degli amici e di sconosciuti". L'urlo di gioia dell'avvocato Giulia Bongiorno, difensore di Sollecito, alla lettura della sentenza ha ricordato quello che lei stessa fece in occasione dell'assoluzione di Giulio Andreotti, che pure difendeva. "È stata una battaglia durissima, era pacifico che Sollecito è innocente, e questa Cassazione ha avuto il coraggio di affermarlo". Arline Kercher, madre di Meredith Kercher, dal canto suo, si è detta "sorpresa e molto scioccata". Di tono dimesso anche il commento dell'avvocato Francesco Maresca, difensore della famiglia Kercher. "È una verità difficile da digerire per la famiglia, per noi che l'abbiamo difesa e per i giudici che hanno emesso i verdetti di condanna". "Evidentemente avevamo ragione noi", ha commentato Claudio Pratillo Hellmann, presidente della Corte d'assise d'appello di Perugia che nel 2011 assolse Amanda e Raffaele; mentre il sostituto procuratore generale di Perugia Giancarlo Costagliola ha detto di essere "curioso di leggere le motivazione della sentenza. "Prendo atto della sentenza - ha detto il magistrato - e ho il massimo rispetto per le decisioni della Corte". La vicenda dell'omicidio di Meredith Kercher si chiude, dunque, con un unico punto fermo: riguarda Rudy Guede, il solo degli imputati che ha scelto il rito abbreviato e definitivamente condannato a 16 anni di reclusione. L'ivoriano ha da subito ammesso la sua presenza nella villetta del delitto, affermando però di essere stato in bagno mentre la Kercher veniva uccisa da altre due persone. Guede ha poi sostenuto più o meno espressamente che in casa c'erano Sollecito e la Knox. Lei, originaria di Seattle, era arrivata a Perugia per studiare scrittura creativa all'Università per Stranieri. Appassionata di yoga e calcio era da poco fidanzata con Raffaele, conosciuto a un concerto di musica classica. Lui, amante tra l'altro di fumetti manga, all'epoca frequentava ingegneria informatica in cui si è laureato in carcere specializzandosi poi da libero in realtà virtuale. Le immagini di Sollecito e della Knox abbracciati davanti all'ingresso della casa di via della Pergola hanno fatto il giro del mondo. I due hanno però sempre negato di essere stati nella villetta la sera dell'omicidio. Erano invece - hanno detto più volte - a casa di Sollecito dove avrebbero dormito. Una versione alla quale non ha tuttavia creduto la polizia che ha condotto una complessa indagine coordinata dal sostituto procuratore Giuliano Mignini (poi affiancato in dibattimento da Manuela Comodi). Per gli inquirenti le tracce di Dna (come quello di Sollecito sul gancetto del reggiseno della studentessa inglese), le impronte (anche di piedi nudi insanguinati) e le testimonianze raccolte collocano i due giovani nell'abitazione mentre la Kercher veniva uccisa. Un omicidio con un movente a sfondo sessuale ha ipotizzato inizialmente l'accusa. Collocato in un quadro che ha portato all'arresto e alla condanna in primo grado dei due giovani ma anche a quella definitiva di Guede. Elementi che le difese di Sollecito e della Knox hanno ritenuto da subito non certi. Dando battaglia in particolare sull'attendibilità della prova genetica (il gancetto di reggiseno repertato dalla polizia scientifica dopo diversi giorni di sopralluoghi) e quella delle testimonianze, in particolare di Guede. Tesi accolte dai giudici d'appello perugini che hanno assolto i due giovani, rendendoli di nuovo liberi, con una sentenza poi però annullata dalla Cassazione e ribaltata in appello a Firenze con una nuova condanna. Per i giudici toscani fu la Knox a sferrare la coltellata mortale a Meredith colpita con un'altra lama anche da Sollecito nel corso di un'aggressione successiva a una lite alla quale prese parte anche Guede. Una ricostruzione che non ha convinto la Cassazione, la quale ha scritto la parola fine alla vicenda giudiziaria di Amanda e Raffaele, assolvendoli definitivamente dall'accusa di omicidio. Giustizia: perquisizione in cella, trovato un Ipod. Cosentino trasferito nel carcere di Terni di Dario Del Porto La Repubblica, 28 marzo 2015 L'ex Sottosegretario all'Economia aveva un Ipod. Un poliziotto penitenziario indagato per corruzione. E al processo Ce4 è scontro tra accusa e difesa. C'era anche un Ipod, fra gli oggetti rinvenuti nella cella del carcere di Secondigliano dove, fino a giovedì scorso, era rinchiuso l'ex sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino. Gli agenti del Nic (il nucleo investigativo delle carceri) entrati in azione su disposizione della Procura, hanno sequestrato l'Ipod e altro materiale che, nella interpretazione dell'accusa, Cosentino non poteva tenere in cella. Poi è scattato il trasferimento in un altro istituto, fuori dalla regione Campania. Da ieri Cosentino è recluso nel carcere di Terni. Il caso è ora sulla scrivania dei pm Sandro D'Alessio e Fabrizio Vanorio, del pool coordinato dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, che ipotizzano il reato di corruzione nei confronti di un poliziotto penitenziario. Nell'inchiesta, l'ex parlamentare non è indagato. Dopo e perquisizioni scattate nel fine settimana, la Procura indaga per accertare i presunti collegamenti fra l'agente penitenziario ora indagato per corruzione e la "rete" di rapporti e amicizie intrecciata dall'ex sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino in tanti anni di attività politica sul territorio. L'esito delle verifiche e il sequestro di materiale che dovrà essere esaminato dagli investigatori ha però fatto scattare il trasferimento in un istituto fuori regione. La misura è stata disposta ieri, proprio mentre a Santa Maria Capua Vetere si celebrava un'udienza tesa del processo che vede Cosentino (non presente in aula) imputato di concorso esterno in associazione camorristica. I legali dell'ex coordinatore regionale del Pdl, gli avvocati Stefano Montone e Agostino De Caro, hanno incalzato con decime ne di domande l'ex presidente del consorzio dei rifiuti Ce4 Giuseppe Valente, il manager divenuto nei mesi scorsi collaboratore della giustizia. A molte domande della difesa, si è opposto il pm Alessandro Milita. "Lei non può opporsi ad ogni domanda, presidente mi tolga la parola e ne vado", è sbottato a un tratto l'avvocato De Caro. Il presidente del collegio ha poi mediato tra le parti ed è tornata la calma. Dopo undici udienze, si è dunque conclusa la lunga deposizione di Valente. Il primo aprile è fissato il processo dove Cosentino è imputato per l'operazione, poi non andata a buon fine, che puntava alla realizzazione di un centro commerciale a Casal di Principe. Il 9 invece arriverà il caso delle presunte pressioni denunciate da un imprenditore che voleva aprire un distributore di carburanti non lontano da un impianto di proprietà della famiglia Cosentino. Un quadro giudiziario pesante, al quale si aggiungono i sospetti della nuova inchiesta, e la tegola del trasferimento in un carcere lontano dalla Campania. Emilia Romagna: chiusura degli Opg; a Bologna una Rems regionale, ospiterà 14 pazienti Ansa, 28 marzo 2015 Un'ambiente accogliente, nella prima periferia di Bologna. Un'antica casa colonica lontana anni luce, nell'aspetto, dai pensionandi Ospedali psichiatrici giudiziari. È la Rems, residenza per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria, di Bologna che oggi è stata presentato alla città e che, a partire dall'inizio di aprile, accoglierà quattordici ospiti provenienti dall'Opg di Reggio Emilia. "Quella dell'Emilia-Romagna è un'esperienza pilota a livello nazionale. Come Regione abbiamo rispettato i tempi previsti - ha sottolineato il sottosegretario alla presidenza della Regione, Andrea Rossi, che ha presentato la Rems insieme ai vertici della sanità di Bologna, Parma, Reggio e all'assessore Venturi - Si passa dalla struttura di Reggio, che era una vera casa circondariale, a questa residenza, inserita in un contesto socio-abitativo ben diverso: credo che abbiamo raccolto fino in fondo quello che era lo spirito del percorso avviato a livello nazionale per il superamento degli Opg". Quella di Bologna è una delle due residenze realizzate in regione (l'altra è a Casale di Mezzani a Parma e ospiterà altri dieci pazienti) che accoglieranno i ricoverati emiliano-romagnoli. Le due strutture sono state realizzate in attesa dell'ultimazione del centro che sorgerà a Reggio Emilia entro il 2016. La Rems di Bologna è una struttura di 1.160 metri quadrati su due edifici collegati da un tunnel vetrato. All'interno di questa casa colonica con fienile annesso (chiamata ‘Casa degli svizzerì dalla nazionalità della famiglia che l'abitava e che l'ha donata al Comune) opererà un'equipe composta da uno psichiatra, due psicologi, 14 infermieri, sette operatori socio-sanitari, quattro educatori, un'assistenza sociale e un amministrativo. La sicurezza della struttura è fondata su una particolare attenzione per gli aspetti relazionali e terapeutico-riabilitativi. La vigilanza del perimetro esterno e l'intervento d'urgenza in caso di necessità sono regolati da un accordo con le Forze dell'ordine (che potranno essere allertate direttamente dagli operatori premendo un pulsante). Inoltre la Rems sarà sorvegliata da un servizio di vigilanza privato. In totale i residenti in Emilia-Romagna presenti nell'Opg di Reggio sono 26 (nel 2008 erano 46) e tre sono ospitati a Castiglione delle Stiviere (Mantova). 23 saranno trasferiti nelle due Rems, mentre per tre sono già avviati i percorsi di dimissione. Al momento all'Opg reggiana sono presenti 136 persone, 68 delle quali - oltre agli emiliano-romagnoli - destinati alle Rems attivate dalle Regioni di residenza. Nel caso in cui nelle altre regioni non fossero ancora attive le strutture, le persone resteranno all'Opg fino all'apertura delle residenze. Nell'Opg sono inoltre presenti 42 detenuti, quindi provenienti da istituti penitenziari e sottoposti a misure di sicurezza specifiche collegate alla loro pericolosità sociale: queste persone non sono destinate alle Rems e al termine della misura di sicurezza nell'Opg torneranno a essere detenute in istituti penitenziari. Emilia Romagna: ma nell'Opg di Reggio Emilia restano 80 internati. Parla il Cappellano Dire, 28 marzo 2015 "Lavoro qui dall'1 novembre 1990. Presiedo questa comunità cristiana, un po' originale ma unica. Come ogni comunità cristiana, anche questa ascolta la parola, celebra l'eucarestia, fa esercizio di carità. Ogni tanto, poi, mi capita di fare fronte alle esigenze a cui non riescono a sopperire le Istituzioni". Don Daniele Simonazzi è il cappellano dell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, quella struttura che, per il decreto legge 52 del 31 marzo 2014, chiuderà il prossimo 31 marzo. "Solo due anni fa, qui c'erano oltre 200 internati, oggi sono poco più della metà: diciamo che abbiamo già visto partire molti dei nostri amici". Tra pochi giorni, infatti, gli internati emiliano-romagnoli saranno in parte presi in carico dal sistema sanitario regionale, in parte trasferiti nelle due strutture temporanee di Casale di Mezzani, alle porte Parma, e di Bologna, alla Casa degli Svizzeri, in attesa dell'attivazione, prevista per il 2017, delle due Rems definitive a Reggio Emilia. Gli internati di altre regioni (35 solo quelli del Veneto) saranno trasferiti in istituti nei territori di provenienza non appena le loro Istituzioni daranno la disponibilità ad accoglierli. Insomma, don Daniele dall' 1 aprile avrà ancora il suo bel da fare: "Resteranno nella struttura le persone non emiliano-romagnole detenuti con infermità psichica sopravvenuta durante la carcerazione normale e i detenuti minorati psichici: un'ottantina di persone, con cui andremo avanti. Certo, saremo più soli, ma nemmeno il Signore i suoi se li è tenuti sempre con sè. Credo che il Vangelo non solo debba essere annunciato ai poveri, ma anche dai poveri". "La legge adesso esiste, fu il mio ultimo atto da parlamentare nel marzo 2013 di portare al voto un emendamento che dà un potere preciso al governo italiano. Se una regione è inadempiente il governo può intervenire nominando un commissario unico per tutte le regioni inadempienti. Questo scandalo che è stato definito dal consiglio d'Europa "vera tortura" e dal Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano un "orrore indegno per un Paese civile", conclude Marino. Sicilia: scompare il Garante dei detenuti, in sette anni esitate oltre 20mila pratiche di Alessia Cannizzaro www.extraquotidiano.it, 28 marzo 2015 Istituito con legge regionale nel 2005, diventerà a breve una costola dell'assessorato regionale alla Famiglia. La nuova Finanziaria prevede infatti la cancellazione della carica e dell'intero ufficio Mentre nelle altre regioni d'Italia si lavora per istituire, laddove non presente, il Garante dei detenuti, in Sicilia, regione pioniera, l'ufficio chiude i battenti. Una morte annunciata, vista la mancata nomina di un Garante da quasi due anni, ma che adesso verrà sancita dalla nuova Finanziaria che ne prevede lo smantellamento per diventare una branca dell'assessorato regionale alla Famiglia, snaturando la natura di tale ufficio che di fatto perde la propria autonomia. Istituita nel 2005, con legge regionale, la figura del Garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti, è stata ricoperta sino al 2013, dall'ex senatore Salvo Fleres. In sette anni di effettiva attività sono state esitate oltre 20 mila pratiche, senza contare le denunce, i ricorsi, le ispezioni all'interno delle carceri, la riapertura di processi archiviati erroneamente come suicidi, e i numerosi esposti per le condizioni inumane e il mancato rispetto dei diritti dei detenuti. Battaglie portate avanti dall'ufficio e che, per i tempi della giustizia, non sono ancora tutte concluse. In questi due anni di vacatio, sono state recapitate centinaia di lettere, spedite dai detenuti, che giacciono ancora là, sugli scaffali. "Quelle indirizzate al Garante non possono essere aperte, se non dal Garante, che di fatto non c'è - precisa Gloria Cammarata, funzionario direttivo assegnato all'ufficio del Garante dei detenuti - quelle indirizzate all'ufficio sono state aperte, ma nessuno può rispondere. Al loro interno, richieste d'aiuto per il trattamento ricevuto, denunce di abusi, e ingiustizie subite dai carcerati e chissà cos'altro". L'ufficio ha all'attivo due dipendenti a Palermo e quattro nella sede di Catania, dipendenti che negli anni hanno acquisito competenze specifiche nel settore (c'è chi, ad esempio, ha frequentato a spese proprie master e corsi di specializzazione) che adesso la Regione dovrà rimodulare e assegnare ad altri uffici. Stipendi, affitto dei locali e spese di gestione: la Regione, per questi due anni ha sborsato una cifra esorbitante per tenere in vita un ufficio "fantasma", reso improduttivo proprio a causa della mancata nomina del Garante da parte del governatore Rosario Crocetta. Costi che, adesso, non verranno però né ammortizzati né ridotti in nessun modo. I dipendenti regionali saranno riassegnati ad altri uffici e i locali resteranno comunque a disposizione della Regione, per cui continuerà a pagare il canone di locazione. Pesaro: detenuto di 67 anni muore in cella forse ucciso da un malore, disposta l'autopsia Ansa, 28 marzo 2015 Un detenuto italiano di 67 anni è stato trovato morto nel carcere di Pesaro, forse stroncato da un malore. Il nome dell'uomo non è stato reso noto. Il sostituto procuratore Maria Letizia Fucci ha disposto l'autopsia. Il carcere di Pesaro è stato spesso al centro di polemiche e di proteste per le condizioni fatiscenti della struttura e per l'eccessivo numero di reclusi. Firenze: qui c'è un bravo Magistrato di Sorveglianza… ma desta scandalo di Riccardo Polidoro (Responsabile Osservatorio Carcere dell'Ucpi) Il Garantista, 28 marzo 2015 Quando il provvedimento di un giudice fa notizia, non sempre nell'opinione pubblica viene colto il suo valore giuridico. Ne viene data solo una rilevanza parziale, quella mediaticamente più funzionale e corrispondente ai desiderata del cittadino. Leggere e sentire che a Firenze un detenuto è stato scarcerato perché la cella non rispetta gli standard europei, potrebbe trarre in inganno e far ritenere che si stanno per aprire i portoni degli istituti penitenziari, molti dei quali notoriamente non conformi a quanto indicato dagli organismi europei. Chiariamo, quindi, innanzitutto che in Italia non vi è questo "pericolo", mentre in alcuni Paesi, quando non si riesce a garantire una detenzione dignitosa, a causa del sovraffollamento, viene posticipata l'esecuzione della pena, in attesa che si possa offrire una collocazione che rispetti la legge, evitando così che lo Stato punisca un comportamento illecito, con analoga condotta. Il magistrato di sorveglianza di Firenze ha applicato correttamente l'art. 35 ter dell'ordinamento penitenziario, previsto dal d.l. 26 giugno 2014 n. 92, convertito con modificazioni in Legge 11 agosto 2014 n. 117, che prevede il risarcimento del danno derivante da condizioni di detenzione contrarie all'art. 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, o in forma specifica, mediante riduzione di pena: un giorno in meno ogni dieci scontati in condizioni disumane e degradanti; o mediante liquidazione monetaria, pari a otto euro al giorno, quando il detenuto è ormai libero. Nel caso in esame, era stato accertato che il ricorrente aveva subito, presso la casa circondariale di Firenze-Sollicciano, una detenzione, dal 24 dicembre 2011 al 23 maggio 2014, quindi per ben 880 giorni, in violazione di legge ed avrebbe avuto diritto, pertanto, ad 88 giorni di sconto di pena. Il Magistrato, nell'emettere il provvedimento il 17 marzo 2015, gli ha concesso i giorni necessari alla sua immediata scarcerazione, mentre per il residuo ha condannato lo Stato al risarcimento del danno, pari a un totale di 3.840 euro. La scarcerazione, quindi, ha interessato un detenuto che sarebbe divenuto libero comunque dopo pochi giorni. La notizia non avrebbe dovuto destare particolare attenzione, né allarme sociale, se valutata esclusivamente sotto il profilo dell'ottenuta libertà. Andavano, invece, evidenziati altri aspetti. Innanzitutto il lunghissimo tempo, circa due anni e mezzo, durante il quale il detenuto è stato sottoposto ad una carcerazione in violazione di legge, circostanza che induce a ritenere che egli non era certamente il solo a soffrire tale ingiustizia. Ed ancora, che finalmente un magistrato ha accolto il ricorso relativo ad una norma in vigore da quasi un anno, ma che resta di fatto ancora, nella maggior parte dei casi, non applicata, come ha dimostrato la recente indagine dell'Osservatorio carcere dell'Unione camere penali. "Detenuto per 880 giorni con trattamenti disumani. Un magistrato riconosce i suoi diritti", questo il titolo che dovevamo leggere. La scarcerazione, senz'altro importante per il ricorrente, non doveva avere, nel caso specifico, la prevalenza mediatica su altri elementi, quali l'ingiustizia subita e la condanna dello Stato inadempiente al risarcimento dei danni. Far comprendere all'opinione pubblica che i detenuti perdono la libertà, ma non i diritti e la dignità, è un segmento fondamentale del percorso verso la certezza e la legalità della pena. Se lo Stato non è in grado di garantire una detenzione conforme ai suoi principi costituzionali e alle norme europee, è giusto che paghi. Il cittadino, correttamente informato, si ribellerà allo sconto di pena e al risarcimento danni, con distrazione di danaro pubblico, esigendo una pena che rispetti il senso di umanità e tenda al recupero del detenuto. Tale pretesa costringerà finalmente i politici ad attivarsi per un'effettiva risoluzione delle problematiche relative alla detenzione, sul "campo" e non sulla "carta". Intanto, 1'Osservatorio carcere si accinge a visitare anche la casa circondariale di Sollicciano, per verificare se le condizioni disumane e degradanti accertate dal magistrato fino al maggio del 2014, sono tuttora persistenti. Torino: i detenuti del carcere "Lorusso e Cotugno" chiedono più opportunità di lavoro Adnkronos, 28 marzo 2015 I detenuti del carcere di Torino, Lorusso e Cotugno chiedono più opportunità di lavoro "perché consapevoli - ha detto il Garante regionale dei detenuti, Bruno Mellano - che un lavoro vero dà un senso alla detenzione, ma anche alla vita fuori dal carcere". Mellano ha visitato oggi il carcere con alcuni membri della Consulta regionale dei giovani presieduta da Alessandro Benvenuto. Attualmente vi sono rinchiusi 1.264 persone di cui 88 donne e 300 lavoratori coordinati da 7 cooperative. "Quella che oggi è un'eccellenza per pochi dovrebbe diventare una consuetudine per molti, se non per tutti", ha spiegato Mellano. "Oggi praticamente tutti i detenuti vorrebbero lavorare - ha aggiunto Alberto Saluzzo, vicepresidente della Consulta dei giovani - occorrerebbe un maggior coinvolgimento degli enti locali e dei privati, per permettere a tutti di lavorare, imparare un mestiere e anche mettere da parte un po' di denaro per sè e la famiglia". Attualmente sono attive diverse cooperative interne al carcere. Tra queste Libera Mensa, che prepara catering esterni, Terre di Mezzo, che si occupa di arredo urbano, Pausa Caffè, Senza Macchia, una società di lavanderia, che organizza all'interno del carcere anche percorsi di tirocinio, Fumne che disegna e produce accessori femminili, profumi e altri oggetti. Molti di questi sono collegati con il negozio in Torino Marte che mette in vendita i prodotti dei detenuti. "Questo carcere si sta aprendo sempre di più al mondo esterno, ora tocca al mondo esterno e alle amministrazioni locali raccogliere questa opportunità", ha concluso Mellano. Sassari: detenuti in rivolta per l'acqua imbevibile, la Procura avvia inchiesta contro di loro Il Garantista, 28 marzo 2015 I detenuti avevano inscenato una rivolta a causa dell'impossibilità di bere acqua, ma la procura ha avviato un'inchiesta contro di loro. La vicenda risale al 30 luglio del 2014 nel carcere sardo di Bancali, ma i malumori tra i detenuti sono andati avanti anche negli ultimi mesi a causa di una situazione di "vita carceraria" che a loro dire non rispetterebbe sacrosanti diritti, come quello alla salute tanto per citarne uno. E la scorsa estate queste rimostranze si erano trasformate in fatti: in venticinque si erano rifiutati di rientrare nelle celle "cagionando - scrive il pm nel 415 bis - una interruzione di pubblico servizio". La protesta - come scrissero nei verbali di servizio gli agenti di polizia penitenziaria - era nata su iniziativa di sette detenuti che si erano "schierati a muro" davanti al cancello di ingresso della sezione "costringendo a intervenire tutto il personale in servizio nel turno serale, distogliendolo così dagli altri compiti e fermando in questo modo le altre attività". I carcerati, in particolare quelli coinvolti nell'episodio specifico, chiedevano come "contropartita" il rientro in cella di due detenuti che erano stati trasferiti nella terza sezione a regime chiuso, in isolamento per motivi precauzionali. Però la verità è un'altra. Il legale racconta che nella nuovissima struttura di reclusione, i detenuti, impossibilitati a comprare acqua in bottiglia, verrebbero costretti a bere quella del rubinetto, gialla e oleosa, e se qualcuno si sottopone a controlli clinici non è detto che riesca a conoscere l'esito degli esami a cui si sottopone. L'emergenza idrica il 30 luglio 2014 è sfociata in una vera e propria "rivolta" all'interno del carcere, costringendo la polizia penitenziaria a riorganizzare i turni e la copertura delle sezioni al fine di riportare la calma tra i carcerati, 25 dei quali non erano rientrati nelle celle dopo l'ora d'aria, con lo scopo proprio di sollevare un polverone e portare alla luce quelle che consideravano vere e proprie disfunzioni nella gestione del carcere. Ma gli stessi detenuti che hanno manifestato per denunciare queste profonde ingiustizie, ora sono indagati dalla procura. I due sistemi, quelli penitenziari e giudiziari, oltre ad essere in osmosi, hanno creato di fatto una vera e propria alleanza contro le vittime del degrado. Lecce: l'Osapp lancia l'allarme sulla situazione del carcere di Borgo San Nicola www.leccenews24.it, 28 marzo 2015 "Sono anni che ribadiamo il bisogno di riformare il sistema e sono anni che i problemi restano e, addirittura, aumentano". Con toni duri il Segretario Nazionale dell'Organizzazione Sindacale degli Agenti di Polizia Penitenziaria, Pasquale Montesano, apre la conferenza stampa indetta oggi nella sede del super carcere di Lecce. Alla base delle innumerevoli difficoltà scontate dal sistema vi sarebbe la scarsa volontà di riformare in maniera efficace l'amministrazione penitenziaria. "La nostra battaglia - aggiunge Montesano, affiancato dal Segretario Provinciale Osapp, Ruggero Damato - è quella di supportare ogni volontà di riforma del sistema penitenziario italiano per migliorare la sicurezza degli operatori di polizia che si trovano spesso ad operare in condizioni di precarietà e pericolo". 56mila detenuti e strutture spesso inadeguate, sovraffollamento e agenti in carenza di organico sono le questioni che caratterizzano lo stato di agitazione, ormai continuativo, delle cosiddette guardie carcerarie. Il Segretario Nazionale ha svolto oggi numerosi sopralluoghi e in particolare ha affrontato le delicate questioni degli istituti penitenziari di Taranto e Lecce, dopo aver già verificato la difficilissima situazione del carcere di Foggia. Quello della Puglia è un vero e proprio caso nazionale che può essere affrontato e risolto solo con una forte e incisiva attività politica e di governo. Tutto quello che l'amministrazione penitenziaria in Italia non ha ancora fatto è necessario che venga posto nelle prime posizioni dell'agenda affinché il personale di Polizia possa operare in condizioni di umanità e di sicurezza. Le questioni esaminate oggi in sede di conferenza stampa a "Borgo San Nicola", sono state sempre oggetto di lotta sindacale e confronto democratico da parte delle guardie carcerarie del territorio salentino, in prima linea per accelerare ogni possibile processo di riforma. Bologna: Sportello Informazioni dentro l'Ipm, accordo tra Pratello e Garante regionale Ansa, 28 marzo 2015 Dopo un primo anno di sperimentazione, arriva l'accordo definitivo tra la Garante regionale delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, e il Centro di giustizia minorile dell'Emilia-Romagna, il Pratello di Bologna, per l'istituzione di uno "Sportello di informazione giuridica e consulenza extragiudiziale" all'interno della struttura. Lo sportello è dedicato sia alla consulenza sul diritto dell'immigrazione per le direzioni e operatori dei servizi minorili sia, soprattutto, "all'ascolto, informazione e orientamento per i minori e i giovani adulti collocati nell'area penale". Alla fine del 2014, al Pratello erano stranieri 15 ristretti sui 21 complessivi. Come si legge nella convenzione, che ha una durata iniziale di due anni, "lo sportello diventa strumento fondamentale per la tutela dei diritti soggettivi dei minori anche in considerazione della complessità e della contraddittorietà che emerge tra i dettami della normative per la tutela, la protezione e i diritti dei minori e quella che regolamenta la presenza degli stranieri". Un avvocato o esperto di diritto dell'immigrazione, individuato dalla Garante, offrirà infatti, oltre a un servizio di consulenza ai servizi minorili, supporto e consulenza ai giovani, principalmente di cittadinanza straniera, che "presentano difficoltà in materia di acquisizione o conservazione del permesso di soggiorno", "richiedono informazioni sulle modalità di acquisizione della cittadinanza italiana o dello status di apolidi", "intendono usufruire del rimpatrio assistito", "richiedono protezione internazionale, umanitaria, temporanea o sociale" o "per i quali non è stata avanzata alcuna richiesta di tutela". Il comunicato della Garante regionale Dopo un primo anno di sperimentazione, arriva l'accordo definitivo tra la Garante regionale delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, e il Centro di giustizia minorile dell'Emilia-Romagna, il "Pratello" di Bologna, per l'istituzione di uno "Sportello di informazione giuridica e consulenza extragiudiziale" all'interno della struttura. Lo sportello è dedicato sia "alla consulenza sul diritto dell'immigrazione per le direzioni e operatori dei servizi minorili" sia, soprattutto, "all'ascolto, informazione e orientamento per i minori e i giovani adulti collocati nell'area penale". Alla fine del 2014, al Pratello erano stranieri 15 ristretti sui 21 complessivi. Come si legge nella convenzione, che ha una durata iniziale di due anni, "lo sportello diventa strumento fondamentale per la tutela dei diritti soggettivi dei minori anche in considerazione della complessità e della contraddittorietà che emerge tra i dettami della normative per la tutela, la protezione e i diritti dei minori e quella che regolamenta la presenza degli stranieri": un avvocato o esperto di diritto dell'immigrazione, individuato dalla Garante, offrirà infatti, oltre a un servizio di consulenza ai servizi minorili, supporto e consulenza ai giovani, principalmente di cittadinanza straniera, che "presentano difficoltà in materia di acquisizione o conservazione del permesso di soggiorno", "richiedono informazioni sulle modalità di acquisizione della cittadinanza italiana o dello status di apolidi", "intendono usufruire del rimpatrio assistito", "richiedono protezione internazionale, umanitaria, temporanea o sociale" o "per i quali non è stata avanzata alcuna richiesta di tutela". Sono diverse le modalità di intervento previste: si va dalle segnalazioni dei servizi minorili su casi che presentano particolari difficoltà alla richiesta scritta o verbale dei ragazzi, che possono rivolgersi sia alla direzione della struttura che direttamente alla Garante. Ogni mese poi un avvocato esperto di diritto dell'immigrazione incontrerà gli operatori organizzati in equipe del trattamento per la valutazione dei casi segnalati, e sono in programma anche "incontri, convegni ed ogni altra iniziativa ritenuta idonea a favorire una informazione trasparente verso l'esterno per quanto riguarda la condizione dei minori collocati nelle strutture". Desi Bruno si è detta "molto soddisfatta per il rinnovo di un accordo che già nel suo anno di sperimentazione ha portato a risultati importanti soprattutto per i giovani della struttura". Anche la dirigente del Centro giustizia minorile, Silvia Mei, ha espresso "la più viva soddisfazione per un protocollo che consente di utilizzare risorse importanti a vantaggio dei minori ristretti o seguiti dai servizi minorili della giustizia". Cagliari: Pili (Unidos); nuovo carcere di Uta costato 95mln, appena aperto ci piove dentro Ansa, 28 marzo 2015 "Acqua da tutte le parti, dal tetto e dal pavimento, recipienti e stracci in ogni angolo del carcere per tamponare le perdite di una struttura aperta di tutta fretta. Il filmato girato dentro il carcere è la rappresentazione più eloquente di quanto sta avvenendo dentro il carcere di Uta appena aperto e già in crisi. Piove dentro e gli agenti sono costretti a trasformarsi in ingegnosi raccoglitori d'acqua. Lo scenario che si presenta nella struttura costata 95 milioni di euro è qualcosa di surreale", lo ha detto il deputato di Unidos Mauro Pili annunciando un'interrogazione parlamentare sulla situazione del carcere di Uta e pubblicando su Facebook le immagini di quanto sta avvenendo nel penitenziario. "In queste ultime settimane di pioggia la principale occupazione dentro la struttura è stata quella di tamponare l'avanzata delle perdite. Le immagini che ho pubblicato - ha sottolineato Pili - sono solo una minima parte di quello che sta avvenendo dentro il carcere ma rappresentano in maniera eloquente il gravissimo disagio che stanno vivendo agenti e non solo nella struttura di Uta". "È impensabile che nessuno paghi per questa situazione - ha concluso Pili -. È necessaria un'indagine urgente su una gestione che ogni giorno di più appare rivolta a nascondere quanto realmente accade in quella struttura piuttosto che a porvi rimedio". Caserta: maltrattamenti nell'Opg di Aversa, a processo 16 medici tra cui l'ex direttore Ansa, 28 marzo 2015 È iniziato oggi, nel Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), davanti al giudice monocratico Rosaria Dello Stritto, il processo a carico di 16 tra medici psichiatri e medici di guardia dell'Opg di Aversa, tra cui l'ex direttore sanitario Adolfo Ferraro, per i reati di maltrattamenti e sequestro di persona ai danni di 27 ex internati nella struttura. I fatti contestati sarebbero stati commessi tra il 2006 fino al gennaio 2011. Uno degli imputati è deceduto un mese fa. Secondo la Procura di Santa Maria Capua Vetere (pm Federica D'Amoddio) le vittime - una ventina si sono costituite parti civili e sono assistite dall'avvocato Antonio Mirra - sarebbero state costrette dagli imputati a restare a letto per un periodo superiore a quello consentito, cioè 24 ore, e qualcuno sarebbe addirittura rimasto fermo nel letto, facendo i propri bisogni per un periodo di 12 giorni senza alcuna assistenza. Le indagini sulle condizioni dei pazienti dell'Opg partirono nel gennaio 2011 dopo il suicidio di un detenuto, che si impiccò nella sua cella. La Procura fece sequestrare cartelle cliniche, documenti e foto. Proficuo per l'inchiesta giudiziaria fu anche lo scambio di informazioni con la Commissione d'inchiesta del Senato sul Servizio sanitario nazionale presieduta da Ignazio Marino, attuale sindaco di Roma, che all'Opg di Aversa inviò nello stesso periodo i Nas dei carabinieri. L'udienza di oggi è stata rinviata al 10 luglio prossimo per alcune irregolarità emerse nelle notifiche alle parti. L'Opg chiuderà per legge il 31 marzo. Pescara: progetto Libera-Mente Mamme, oggi la festa conclusiva nella Casa circondariale Ristretti Orizzonti, 28 marzo 2015 A Conclusione del Progetto Libera-Mente Mamme svolto dall'associazione Solideando di Pescara grazie al contributo della Casa circondariale di Chieti, oggi 28 marzo 2015 ore 11:00 si svolgerà la festa conclusiva per mamme detenute e loro familiari. L'Associazione Solideando di Pescara opera nel settore sociale e presta particolare attenzione nella presentazione di progetti formativi e di auto mutuo aiuto su problematiche sociali emergenziali (alcol-dipendenza, tossicodipendenza, minori, etc.). L'Associazione ha proposto al Direttore della Casa Circondariale di Chieti, Dott.ssa Giuseppina Ruggero, e realizzato grazie alla disponibilità del Commissario Capo Valentino Di Bartolomeo e della dott.ssa Annamaria Raciti dell'area educativa, un progetto sulla genitorialità ("Libera-mente mamme") a favore di 12 detenute della sezione femminile, con l'obiettivo di approfondire il percorso di consapevolezza del ruolo genitoriale e garantire la cura delle relazioni familiari nonostante la condizione di detenzione. Questo progetto è nato dalla convinzione che, anche in situazioni di disagio e limitazione dell'azione genitoriale, si può migliorare mettendosi in gioco in prima persona a livello di introspezione, introiezione del ruolo di madre, motivazione e progettualità educativa. I risultati attesi e raggiunti dall'azione, sono stati: prendersi cura del sé per prendersi cura dei figli, accrescere la consapevolezza dell'essere genitore in donne che vivono situazioni di restrizione fisica e imparare a saper leggere i bisogni e le esigenze dei propri figli migliorando la comunicazione e la relazione. Inoltre nel corso degli incontri i partecipanti sono riusciti a raggiungere un buon livello di empatia che ha permesso una notevole apertura introspettiva. Il percorso "Libera-mente mamme" si è occupato della genitorialità attraverso 7 incontri tematici (1 a settimana), ciascuno dei quali ha toccato un tema diverso. Dopo l'esperienza di gruppo gli operatori hanno effettuato dei colloqui individuali per approfondire in maniera più introspettiva e personale le esperienze vissute in gruppo. Inoltre il progetto ha previsto, in via sperimentale, 3 feste delle famiglie dove le detenute hanno potuto vivere con i propri familiari e sperimentare in un clima formale e de istituzionalizzato la relazione inter familiare. Gli incontri di gruppo hanno coinvolto attivamente le detenute in una dinamica di confronto e aiuto reciproco che ha consentito sia di estrinsecare le paure, le ansie e le difficoltà dell'essere genitori, sia di condividere consigli da poter poi praticare per essere migliori nel ruolo più difficile che esiste, quello di genitore. Negli incontri sono state proposte delle esercitazioni pratiche e delle proiezioni video in relazione ai temi svolti e a conclusione del percorso, il 28 marzo 2015, verrà realizzata l' ultima festa della famiglia che consentirà un momento di socializzazione e condivisione comune tra genitori, figli e familiari i quali verranno intrattenuti con dei giochi di socializzazione, la visione di alcuni video che anticiperanno una discussione e riflessione finale sull'esperienza vissuta dalle detenute e dai loro familiari. Verona: dal carcere immagini di rigenerazione, progetto fotografico con le detenute di Laura Perina Verona Fedele, 28 marzo 2015 "Ri-genero" è un parto: si mette al mondo una nuova vita, passando dalla relazione. È una bella immagine per introdurre il progetto realizzato dall'associazione MicroCosmo onlus nella sezione femminile del carcere di Montorio, in occasione dell'Otto Marzo. MicroCosmo promuove da anni la partecipazione delle donne detenute alle iniziative che riguardano la cultura di genere. Quest'anno ha attivato un laboratorio fotografico con l'artista Giovanna Magri, docente all'Accademia di Brescia, a cui hanno partecipato dieci detenute definitive, che hanno cioè terminato l'iter processuale e stanno scontando la pena. È stato sostenuto dalle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil, dalla Consulta delle associazioni femminili e dall'assessorato alle Pari opportunità del Comune di Verona. Durante la serata di condivisione, la responsabile di MicroCosmo Paola Tacchella ha spiegato che "Ri-genero" è stato concepito come un modello narrativo per immagini, dove fotografie e racconto rappresentano una rielaborazione: quella delle esperienze dolorose, a cui si può dare un senso. Durante le testimonianze, nella stanza-laboratorio le luci erano spente e le detenute, raccontandosi, illuminavano con una torcia i loro ritratti; perché ripensando ai momenti di crisi, hanno spiegato, tutte hanno elaborato la stessa immagine: buio. Il dolore, di per sé individuale, è qualcosa che sì impara a condividere e crea una relazione. "Avevo vent'anni e una figlia di tre settimane. Ho subito una molestia e ho reagito. Ho preso 14 anni. Il periodo a Montorio è uno spazio nel quale prendermi cura di me, una forma di equilibrio", ha raccontato Jana, rumena, che uscirà di prigione fra cinque mesi. "Ho subito maltrattamenti fisici e verbali - ha continuato Sandra. Se ci ripenso mi viene la pelle d'oca. Non vedevo via d'uscita e mi domandavo come avessi fatto a finire in quella situazione. Ma quando ho deciso di prendere in mano la mia via, è bastato un attimo per rimettermi in piedi. È cominciata la mia rinascita, anche se non potrò mai cancellare quel momento". "Quando è morto mio marito pensavo di non farcela. Avevo sei figli. Loro sono stati la mia forza"; "Sono giovane e questa è la mia prima vera crisi. La mia forza è mia mamma"; "Quando hanno ucciso mio fratello. Ce l'ho fatta per sostenere mia mamma", hanno spiegato altre. La forza della ripresa passa quasi sempre dalla maternità: essere importanti per qualcuno, trovare nella catena generazionale il proprio spazio. Ecco perché "Ri-genero" è come un parto, dove quel "ri" ha a che fare con qualcosa che già esiste. "La popolazione carceraria è variegata, ma è bassissima la percentuale di chi delinque per arricchimento. Prima di considerare il carcere solo come un covo di delinquenti, dovremmo renderci conto che è Fatta di persone che già alla base hanno avuto meno opportunità", ha sottolineato Paola Tacchella. Il progetto è piaciuto molto alle donne detenute che hanno già chiesto alla direttrice del carcere Maria Grazia Bre-goli di poterlo replicare. Le premesse ci sono tutte, ha assicurato quest'ultima. Nel frattempo, si aspetta il via libera per far uscire la mostra dalla casa circondariale ed esporla in uno spazio cittadino da identificare. Prato: teatro nel carcere della Dogaia con spettacoli targati Metastasio di Alessandra Agrati Il Tirreno, 28 marzo 2015 Prato, il protocollo di intesa, che coinvolge anche la casa circondariale, verrà firmato nei prossimi giorni e di fatto ufficializza una collaborazione che comunque è già attiva da qualche anno. Il teatro Metastasio produrrà una parte degli spettacoli organizzati da Teatro Metropopolare. all'interno del carcere della Dogaia e soprattutto investirà nella formazione delle figure professionali che ruotano intorno ad uno spettacolo, dai tecnici della luce, ai costumisti fino ai parrucchieri. Il protocollo di intesa, che coinvolge anche la casa circondariale, verrà firmato nei prossimi giorni e di fatto ufficializza una collaborazione che comunque è già attiva da qualche anno. "Il nostro impegno - ha spiegato Edoardo Donatini responsabile settore innovazione- consisterà nel sostenere la compagnia con un supporto tecnico anche nella fase della produzione. Del resto il teatro vive nel territorio in cui opera e la Dogaia è una parte importante". L'attività teatrale all' interno del carcere è nata otto anni fa con un progetto di Teatro Metropopolare, guidato da Lidia Gionfrida. "Il nostro obiettivo - ha sottolineato - è di creare un'attività permanente e formativa per chi vuole fare teatro. Il progetto coinvolge ogni anno circa 70 detenuti che per poter recitare devono passare dei test molto selettivi. Con la convenzione che firmiamo trasformiamo il progetto in una vera e propria casa artistica, dove oltre a recitare si accolgono anche attori e cantanti". L'attività di è sostenuta dalla Regione Toscana e dal comune di Prato. "Il carcere - ha sottolineato l'assessore alla cultura Simone Mangani - non è un luogo staccato dalla realtà cittadina, per questo la convenzione che verrà firmata potrà essere utilizzata come modello. L'amministrazione continuerà a mantenere aperto il canale con il carcere, organizzando anche concerti all' interno delle mura della Dogaia". L'impegno dell' amministrazione non riguarda solo l'aspetto culturale, ma anche quello sociale. "Nonostante le ristrettezze economiche - ha spiegato Luigi Biancalani assessore al sociale - cercheremo di mantenere i servizi presenti come la collaborazione con le associazioni sportive, la ricerca di un alloggio temporaneo per chi ha terminato di scontare la pena, il servizio di mediazione e quello di borse lavoro che partirà a breve". La presidente del consiglio comunale Ilaria Santi ha promesso ai detenuti che "pungolerò i vari assessorati affinché mantengano quello che hanno promesso". L'accordo firmato è stato possibile soprattutto grazie alla direzione carceraria. "Il protocollo che avrà validità di quattro anni tacitamente rinnovabili - ha sottolineato il direttore Vincenzo Tedeschi - formalizza un percorso già in essere che è molto importante per i detenuti". Forlì: Domenica delle Palme, 13 ristoratori donano il pranzo ai detenuti della Rocca di Piero Ghetti www.forlitoday.it, 28 marzo 2015 Ci saranno anche le tradizionali colombe pasquali, donate dai dipendenti della Banca di Forlì Credito Cooperativo di Forlì. La stessa Radio Maria farà avere radioline transistor, corone del Rosario, libri ed opuscoli a tutti i residenti della Casa Circondariale. Domenica delle Palme all'insegna di radio Maria. Alle 10.30 il network cattolico Radio Maria, presente in 62 paesi al mondo con 19 radio nelle Americhe, 21 in Europa, 18 in Africa, 3 in Asia e 1 in Oceania, più 7 radio per le minoranze linguistiche e un gemellaggio in Libano, trasmetterà la "Santa Messa delle Palme" dalla Casa Circondariale di Forlì. Per il 18° anno consecutivo, la diretta consentirà alla popolazione carceraria, composta da circa 120 detenuti, fra cui una ventina di donne, di riunirsi eccezionalmente in un'unica assemblea e di "evadere" per un'ora dalle restrizioni della prigione. La funzione, rievocazione dell'ingresso festante di Gesù Cristo a Gerusalemme e avvio formale della Settimana Santa, sarà presieduta dal cappellano del penitenziario don Enzo Zannoni e animata dal Coro Città di Forlì diretto da Nella Servadei Cioja. Nell'omelia, il sacerdote, che è anche assistente della comunità forlivese di Comunione e Liberazione, illustrerà brevemente la realtà carceraria locale. Durante la messa, i detenuti riceveranno il tradizionale rametto d'ulivo in segno di riappacificazione con la società civile. Alcuni leggeranno le sacre letture della "Passione di Nostro Signore Gesù Cristo", mentre una giovane divulgherà l'augurio pasquale inviato dalle monache Clarisse del Monastero Corpus Domini di Forlì. Nonostante la crisi, persiste l'encomiabile impegno di 13 ristoratori forlivesi, che doneranno il pranzo a tutte le persone detenute in via della Rocca. Alcuni volontari porteranno in via della Rocca, ancora calde e rigorosamente tagliate a spicchi, circa 150 pizze raccolte la sera precedente dai ristoranti Al Duomo, da Gusto, Del Corso, Fofò, Il Fienile, L'Aquilone, Le Macine, Le Querce, Le Terrazze, Los Locos, Lo Spizzico, Muffaffè e Peter Pan. Andando incontro ai carcerati di religione islamica, alcuni pizzaioli hanno acconsentito di escludere dai loro prodotti la carne di maiale. Ci saranno anche le tradizionali colombe pasquali, donate dai dipendenti della Banca di Forlì Credito Cooperativo di Forlì. La stessa Radio Maria farà avere radioline transistor, corone del Rosario, libri ed opuscoli a tutti i residenti della Casa Circondariale. Televisione: in "Mala Vita" storie di vita carceraria… un bel film buttato via su Raitre di Aldo Grasso Corriere della Sera, 28 marzo 2015 "Mala Vita" è un corto di Angelo Licata e interpretato da Luca Argentero (nel panni di Antonio) e da Francesco Montanari (Rocco, boss della camorra). È una storia di vita carceraria liberamente ispirata al racconto Pure in galera ha da passà ‘a nuttata di Giuseppe Rampello, incluso nell'omonima raccolta (Mala Vita) edita da Rai-Eri. L'idea di produrre questo corto nasce dal Premio letterario "Goliarda Sapienza - Racconti dal Carcere", rivolto ai detenuti nelle carceri italiane. Come si dice in questi casi, "la pellicola nasce da un progetto di grande interesse socio-culturale" ed è stata realizzata con il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ricevendo una menzione speciale da parte del Sindacato nazionale giornalisti cinematografici al Cortinametraggio 2015. E poi questo è il primo vero progetto multi piattaforma della Rai, il primo di una lunga serie voluta da Pino Corrias ed Eleonora Andreatta, direttore Rai Fiction, che hanno annunciato la produzione di un corto all'anno: il prossimo si focalizzerà sulla giornata di libertà di una detenuta in un carcere femminile, con la regia di Anna Negri e la sceneggiatura di Monica Rametta. La storia racconta la discesa "agli inferi" di Antonio, uno Zelig capace di adattarsi e assecondare anche linguisticamente i suoi interlocutori; ma il giochino non gli riesce con Rocco, che gli renderà ancora più dura la vita dietro le sbarre. Ecco, ma se il progetto è così importante, e se n'è occupato persino Pino Corrias, che credevamo disperso, se alla presentazione è intervenuto nientemeno che il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, perché poi buttarlo via così, su Rai3, tra un film di Albanese e la serie "Scandal"? Questi prodotti hanno senso se si costruisce attorno a loro una cornice, se c'è un minimo di promozione, se si elimina l'effetto "tappabuchi". Le tv digitali non insegnano nulla? Immigrazione: è l'ora di "Amber Light", ovvero riparte la caccia all'irregolare di Damiano Aliprandi Il Garantista, 28 marzo 2015 Dopo la "Mos Maiorum" è in arrivo un'altra operazione di polizia europea contro immigrati. L'operazione si chiama "Amber Light 2015" e si tratta di una nuova operazione di polizia europea per la lotta all'immigrazione irregolare coordinata questa volta dalla presidenza lettone dell'Ue - ma sempre in collaborazione con l'agenzia per il controllo delle frontiere esterne Frontex - e che vedrà il coinvolgimento volontario sia dei ventotto Stati membri che dei paesi dell'area Schengen. Ad aprile, in pratica, ci saranno controlli intensificati negli aeroporti per cercare i cosiddetti "overstayers", cioè quelle persone (turisti, studenti o lavoratori in viaggio per affari) che originariamente disponevano di un visto legale per risiedere per un certo periodo di tempo nell'Unione europea ma che, una volta scaduto tale visto, non hanno lasciato il territorio dell'Ue. I controlli, secondo quanto si legge su un documento riservato svelato dalla ong Statewatch, si concentreranno non solo negli aeroporti, ma se la maggioranza degli stati coinvolti lo richiederà potranno essere estesi anche ai confini marittimi e terrestri. Il periodo scelto è tra il 1 e il 14 aprile, a ridosso della Pasqua, quando dovrebbero intensificarsi le partenze, ma nel documento è prevista anche, in alternativa, una finestra tra il 18 e il 30 aprile. Ufficialmente, Amber Light dovrebbe servire solo a raccogliere dati sull'entità del fenomeno degli overstayers, sulle loro "rotte" per aggirare i controlli, e sull'utilizzo di documenti falsi, ma è prevedibile che per chi verrà sorpreso, ad esempio in un aeroporto italiano, scatteranno le sanzioni. A cominciare da un'espulsione che gli impedirà di rientrare regolarmente nell'Ue per i prossimi anni. Sembra insomma che, almeno nella sua fase iniziale, Amber Light 2015 dovrà colmare un gap di dati riguardo gli overstayers, di cui non dispone o dispone solo parzialmente l'agenzia Frontex. Nel lungo termine poi, l'operazione sarà utile anche per armonizzare le sanzioni negli Stati membri dell'Unione europea e nei paesi che fanno parte dell'area Schengen, così da punire in maniera uniforme le violazioni commesse da chi continua a soggiornare nel territorio di tali paesi pur avendo il visto scaduto. Le informazioni che verranno raccolte dai paesi partecipanti e trasmesse al coordinamento dell'operazione saranno dettagli riguardanti l'identificazione (data, ora e luogo); informazioni sul cittadino di paesi terzi identificato: nazionalità, età, genere e periodo di soggiorno illegale nello Stato membro (fino a una settimana, fino a un mese, fino a un anno o più a lungo); modus operandi: se i cittadini di paesi terzi cercano di nascondere il fatto che il loro visto sia scaduto con l'utilizzo di documenti falsi, falsificati o rubati: itinerario percorso: se i cittadini di paesi terzi privi di visto cercano di lasciare il paese in cui hanno soggiornato illegalmente o se cercano di partire da un altro paese in modo da nascondere il loro soggiorno illegale o comunque da renderne più difficile l'identificazione; ulteriori procedure o sanzioni applicate al cittadino di paesi terzi fermato da parte dello Stato membro da cui cerca di partire. Frontex fornirà supporto mettendo a disposizione la modulistica per raccogliere le suddette informazioni e un sistema per la valutazione di impatto dell'operazione. Amber Light sembrerebbe l'esatta fotocopia dell'altra operazione europea congiunta contro gli irregolari: la Mos Maiorum che si è svolta lo scorso ottobre. Ricordiamo che quest'ultima operazione poliziesca europea capitanata dall'Italia, avvenuta nelle due settimane dell'ottobre scorso, ha provocato ben 19000 arresti. La maggior parte degli arrestati sono immigrati clandestini che non hanno commesso nessun reato. A denunciarlo è stata sempre l'ong umanitaria londinese Statewatch. Secondo l'associazione, che ha messo a confronto i report finali delle ultime operazioni, il numero dei fermati è raddoppiato rispetto alla precedente operazione Perkunas (10.459 fermi in due settimane), e addirittura quadruplicato in confronto all'operazione del 2012, Aphrodite (5.298 fermi in due settimane). Proprio nel report finale dell'operazione Mos Maiorum, redatto dal Consiglio d'Europa, si evidenzia che "i cittadini siriani sono stati quelli maggiormente identificati (5088 persone), seguiti da afghani (1466 persone), serbi (in particolare kosovari, 1196) ed eritrei". Poco più di 11mila le richieste di protezione internazionale presentate dopo l'intercettazione dagli stranieri controllati. Il report non esplicita invece, esattamente come i documenti relativi alle precedenti operazioni, il numero degli agenti coinvolti. Piuttosto, sottolinea che "per motivi sconosciuti Mos Maiorum ha catturato l'attenzione dei mass media, che hanno etichettato l'operazione come un'azione finalizzata all'arresto dei migranti, nonostante gli obiettivi fossero l'individuazione di reti criminali coinvolte nel favoreggiamento dell'immigrazione irregolare e il monitoraggio dei percorsi usati dai trafficanti. Un obiettivo raggiunto, visto che sono stati fermati 257 trafficanti", si legge sempre nel report. Il dato parla da solo: sui 19000 arrestati, chi ha commesso reati sono solo 257. Del resto, lo stesso Statewatch sottolinea che nel documento di avvio dell'operazione di polizia uno degli obiettivi dichiarati era proprio "arrestare i migranti irregolari". Immigrazione: lezione da "scafista" ai detenuti in cella di Tommaso Fregatti Ansa, 28 marzo 2015 C'è la recitazione, incessante, del Corano (dalla mattina alla sera) qualche lamentela per i pasti serviti dalla mensa del carcere "voglio andare via, qui si mangia davvero male" o per il telefilm trasmesso dalla tv italiana: "Questa serie è brutta e noiosa". I protagonisti sono Idris, Habi, Labib ed Abdall, i quatto "leader" (come amano chiamarsi) degli scafisti arrestati dalla squadra mobile di Genova nel luglio scorso con l'accusa di essere alla guida del barcone naufragato al largo di Capo Passero (Siracusa) con 106 migranti a bordo. Non c'è pentimento nelle loro parole, intercettate dalla polizia, anzi. Essere scafisti è una cosa di cui andare fieri. Al punto da insegnare ai colleghi di cella (rigorosamente nordafricani) le regole e i segreti di questo lavoro. "È semplice, si guadagna molto bene e soprattutto c'è sempre tanto, tanto lavoro in Egitto". Idris e gli altri non sanno che la squadra mobile su mandato dei sostituti procuratori della Dda di Genova Federico Panichi e Federico Manotti registra tutto quanto. Ha piazzato delle cimici nelle celle e quelle conversazioni saranno la "prova" regina del loro coinvolgimento come scafisti (per sfuggire all'arresto, infatti, si erano mescolati ai migranti e le fonti di prova sono le sole accuse di alcuni passeggeri). I quattro raccontano di come il mestiere di scafista sia una fonte di reddito incredibile: "Sai quanto ha guadagnato il proprietario della barca? - dice Hassan ad un compagno di cella - 8 milioni di lire egiziane? (circa 800 mila euro)". Chi organizza i viaggi viene descritto come un mito, un'icona: "Il giro d'affari in Egitto è gestito da Samir B. - racconta Idris - è un mito, perché paga tutti e bene. Ma lo fa perché ci guadagna. Ha un sacco di soldi, 30 anni e porta i baffi: un vero capo". Il sogno è quello di aprire una gelateria nel centro di Alessandria D'Egitto: "Appena esco dal carcere - sottolinea Labib - vado a farmi dare i miei soldi. E investo tutto in una gelateria. Dovrebbero bastare 100 mila lire egiziane (10 mila euro) per aprirla". I quattro poi raccontano ai compagni di cella la propria avventura e spiegano i segreti del mestiere: "I controlli? Non ti preoccupare, in Egitto non spara nessuno - dice Hassan - si parte alle 2 o a mezzanotte, prendiamo la Fluka (piccolo gommone, ndr) si caricano dieci persone per volta e si trasbordano sulla barca più grossa. Se fai così è perfetto, nessuno ti prende se fai così". I controlli sono rari: "La polizia qualche volta va sulla spiaggia con i cammelli. Sono per la sorveglianza. Ma si possono corrompere con dei soldi?". C'è tantissima gente che vuole partire dall'Egitto verso l'Italia: "I clienti migliori sono i siriani - dice Labib - loro hanno la certezza di non essere rispediti indietro e pagano fino a 5 mila dollari". Altra lezione, il cellulare satellitare: "Devi sempre usare quello per telefonare, non il tuo privato - dice Habi - quando poi arriva la guardia costiera lo butti in mare!". C'è poi il vanto per la traversata per cui sono dietro le sbarre: "Nessuno è mai arrivato fino il Liguria, nel nostro paese quando torniamo ci cercheranno tutti per questo lavoro" e la descrizione del viaggio appena fatto: "Abbiamo rischiato grosso - dicono - la barca aveva un problema meccanico e con il mare grosso non saremmo riusciti a controllarla. Dobbiamo ringraziare Allah". Sul barcone c'è anche tempo per fare amicizia: "A quelli che durante il viaggio erano più simpatici - racconta Idris - ho chiesto il nome e chiedo l'amicizia su Facebook...". Per i quattro la procura ha chiesto il rinvio a giudizio sono indagati per associazione per delinquere finalizzata all'introduzione illegale di extracomunitari in territorio italiano, trasporto illegale e false generalità. Ciad: carcere a vita per ex funzionari del dittatore Habré, accusati di omicidi e torture di Chiara Nardinocchi La Repubblica, 28 marzo 2015 A 25 anni dalla fine del regime ciadiano, il tribunale di N'Djamena ha condannato a pene dai 15 ai 20 anni la maggior parte degli imputati per aver commesso violenze e abusi contro i civili, gli stessi che da tempo aspettavano giustizia. Un capitolo buio della storia del Ciad si è appena concluso. I giudici della corte suprema di N'Djamena hanno riconosciuto gli imputati alla sbarra colpevoli di brutalità commesse durante la lunga e sanguinosa dittatura di Hissène Habré detenuto in Segal in attesa del processo che lo vede accusato di crimini contro l'umanità. Il passato dietro le sbarre. Tra i condannati eccellenti ci sono Saleh Younous, ex capo della Direzione di documentazione e direzione della sicurezza (Dds), la polizia politica di Habré e Mahamat Djibrine descritto nel 1992 dalla Chadian Truth Commission come uno dei "torturatori più temuti in Ciad". Entrambi dovranno passare tutta la vita dietro le sbarre. Stessa sorte ma con una formula diversa toccherà altri cinque imputati condannati ai lavori forzati, una pena che nell'ordinamento ciadiano per consuetudine viene sostituita con la detenzione. Gli altri dei 28 condannati sconteranno pene dai quindici ai vent'anni di carcere. Inoltre la corte ha stabilito che lo stato e i persecutori dovranno versare 75 milioni di franchi (pari a 125 milioni di euro) alle 7.000 vittime accertate che hanno fatto causa ai loro aguzzini ed erigere loro una statua commemorativa. "Finalmente". Un sospiro di sollievo che certo non potrà cancellare gli otto anni, dal 1982 al 1990, del regime del "Pinochet d'Africa". Le vittime che nel processo hanno testimoniato le atrocità subite durante la feroce repressione del regime hanno festeggiato la sentenza della corte. "Finalmente - afferma Clément Abaifouta, presidente dell'Associazione delle vittime dei crimini di Hissène Habré che i tempi della sua prigionia è stato costretto a scavare le tombe di molti suoi compagni di cella - gli uomini che ci hanno brutalizzati e riso in faccia per decenni hanno avuto la loro giusta punizione. Il governo adesso deve attenersi alla decisione del tribunale e risarcire le vittime per ciò che hanno sofferto". Un popolo in attesa. La sentenza è stata attesa per molti anni. Centinaia di ciadiani ogni giorno hanno seguito le udienze del processo in televisione. Gli imputati sono stati accusati di omicidio, tortura, rapimenti, detenzioni arbitrarie, aggressione e percosse. Accuse che le vittime avevano depositato già nel 2000, ma che la giustizia ciadiana aveva ignorato fino all'arresto nel 2013 dell'ex dittatore. Altri condannati sono Nodjigoto Haunan, ex direttore della National security agency (Suretè Nationale) e implicato nella repressione contro il gruppo etnico Zaghawa e Khalil Djibrine, ex capo dipartimento della Dds, nel sud del Ciad durante la repressione del 1983- 1984. "Le condanne di oggi - sottolinea Reed Brody, consulente legale di Human Rights Watch che dal 1999 ha lavorato con le vittime di Habré - sono una splendida vittoria per le vittime di Habré. La condanna di funzionari statali per crimini contro i diritti umani non è solo una testimonianza della tenacia delle vittime, si tratta di un notevole sviluppo in un paese in cui l'impunità per le atrocità del passato è sempre stata la norma".