Giustizia: l'emergenza terrorismo diventa occasione per estendere i poteri delle Procure di Massimo Bordin Il Foglio, 27 marzo 2015 Il circo mediatico-giudiziario vuole cogliere l'occasione dell'emergenza del terrorismo islamico per estendere i propri poteri sull'intelligence. La pressione delle procure, il potere di supplenza e quel testo del Csm. Un titolo garantista a tutto tondo, come apertura della prima pagina del Fatto, è a suo modo un evento. "Ci frugano nelle email con la scusa dell'Isis". Nel sommario però un occhio esperto e malizioso intravede subito qual è il vero problema e il vero punto della questione. Nella denuncia del rischio che intelligence e polizia possano introdursi in telefonini, tablet e computer l'accento - segnatevi questa parola - è sul "controllo". Non si chiede una struttura di tutela dagli abusi ma una diversa catena di comando. "La procura nazionale è disarmata" dicono il procuratore nazionale antimafia e quello romano, e il giornale diretto da Travaglio rilancia nel sommario il loro grido di dolore. In fondo è la solita storia. Mentre le procure resistono sul fronte della pubblicizzazione delle intercettazioni, ma sanno che qualcosa dovranno concedere, aprono un nuovo fronte su un tema ancora più importante, quello relativo al rapporto fra procure e polizia giudiziaria. "Vi chiediamo di condannare una struttura di polizia giudiziaria che si è comportata come un servizio segreto" fu l'incipit della requisitoria del pm Nino Di Matteo in un processo contro il capo del Ros, il generale Mori (che peraltro fu assolto). Il senso di quelle parole era "non possono investigare di testa loro, devono obbedirci". Alla tensione connaturata, in ogni latitudine, ai differenti ruoli nell'indagine - per capirci, quella che nei libri di Simenon si avverte fra Maigret e il giudice istruttore - in Italia dagli anni 80, si aggiunge qualcosa che connota un tipo di magistrato dell'accusa che si sente investito, in nome di una logica emergenziale, di un potere di supplenza che dilaga in ogni direzione, dall'alto al basso. C'è la pretesa di fare le leggi al posto dei politici e di condurre le indagini al posto degli investigatori. La riforma degli anni 70, superando la prassi borbonica dell'interrogatorio di polizia e imponendo la presenza del magistrato a presidio dell'intangibilità dei diritti dell'imputato fin dall'inizio degli atti processualmente rilevanti, era apparsa come un necessario progresso che portava come corollario una più stretta dipendenza della polizia giudiziaria dalle procure. Oggi non si può non notare come un forte stato di tensione caratterizzi i rapporti fra alcune procure e alcune strutture investigative di eccellenza, non solo il Ros, mentre metodi che si pensavano superati ricompaiono nelle strutture territoriali di polizia senza trovare particolare sanzione da parte della magistratura, basti pensare a un caso come quello di Stefano Cucchi. La posta in gioco dunque nella legge anti-terrorismo non è la riservatezza delle nostre e-mail ma il ruolo di comando nella loro effrazione. Non il controllo di legalità, si badi, perché è scontato che esso tocchi al magistrato, ma il potere di iniziativa, soprattutto in materia di norme che i giuristi definiscono "a tutela anticipata". In parole povere si tratta di sanzioni preventive, dove ci si muove in quella delicatissima e infida terra di nessuno che ancora non ospita la commissione di un reato ma l'impalpabile disposizione a compierlo. Da questo profilo è logico attendersi una critica improntata alla cultura del garantismo mentre è singolare trovarla in chi ha manifestato con la parola d'ordine "intercettateci tutti". Infatti le critiche che vogliono mostrare il salto di qualità dalle intercettazioni telefoniche e ambientali a quelle telematiche appaiono deboli. Ieri il Fatto mobilitava in proposito un deputato di Scelta civica che sosteneva come l'intromissione nella casella della posta elettronica sia ben più che qualche intercettazione telefonica. È vero, ma non è però cosa molto diversa da una perquisizione con il sequestro di un archivio. Così come a quell'ex ufficiale della Guardia di Finanza che, sempre sul Fatto, faceva notare quanto possa essere contestabile, in linea di principio, la provenienza di un documento da un determinato computer si potrebbe rispondere che, sempre in linea di principio, si può contestare anche il rinvenimento di qualcosa in una perquisizione, allo stesso modo negando la correttezza degli investigatori. No, non sono questi gli argomenti veri. Approfittare della legge anti terrorismo La scelta di Renzi di accantonare la norma che riguarda computer e tablet, per inserirla nel provvedimento sulle intercettazioni, sposta un problema ma non quello principale, che, a proposito del testo delle leggi, è da sempre contenuto nella risposta che Humpty Dumpty dà ad Alice sul significato delle parole: "Bisogna vedere chi è che comanda". La magistratura, col suo organo di autogoverno, si era preparata per tempo. Per la precisione dal mese scorso, quando il Csm, l'11 febbraio, aveva adottato una delibera che formulava il proposito, poi attuato nelle settimane successive, di avviare una serie di audizioni proprio in tema di misure di prevenzione anti terrorismo e di coordinamento di esse attraverso un "soggetto destinatario delle richieste di autorizzazione alla effettuazione di intercettazioni preventive e di colloqui investigativi in materia di terrorismo". È evidente che almeno una parte della magistratura vuole cogliere l'occasione dell'emergenza del terrorismo islamico per rafforzare il proprio controllo e indirizzo sulle attività investigative, in questo caso estendendo i propri poteri anche nei confronti dell'intelligence. Si può pensare che spostare la questione della prevenzione all'interno del provvedimento sulle intercettazioni, cambiando così il campo di gioco, possa modificare l'esito della partita. Ma forse è presto per capire a favore di chi. Quello che è sicuro è che si tratta di uno scontro, non tanto sotterraneo, che si può datare dall'epoca della costituzione dell'Alto commissariato antimafia, poi della super procura voluta da Falcone ma non dal Csm, infine dello scontro fra procura di Palermo e Ros. Giustizia: decreto anti-terrorismo, stralciata la norma di controllo sul web La Repubblica, 27 marzo 2015 Si tratta di un passaggio che consente di frugare nei computer dei cittadini. Sarà affrontato - fa sapere il viceministro dell'Interno Bubbico - in maniera più articolata all'interno del provvedimento sulle intercettazioni. Uno stop in piena regola dopo tante perplessità. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha chiesto e ottenuto lo stralcio del passaggio che consente di frugare dati e documenti nei computer dei cittadini come previsto nel provvedimento antiterrorismo in discussione in aula a Montecitorio. Lo si apprende da fonti di governo. Il passaggio in questione tocca un tema delicato e importante che riguarda diritti, privacy e sicurezza e che verrà affrontato in maniera più complessiva - viene spiegato - all'interno del provvedimento sulle intercettazioni già in esame in Commissione. Questo organismo ha quindi recepito le condizioni della commissione Bilancio, introducendo tre modifiche al testo precedentemente licenziato. Ha predisposto un nuovo testo del provvedimento, sul quale ora inizieranno le votazioni degli emendamenti. Il decreto (n. 7/2015), emesso dal governo il 18 febbraio scorso, prevede una serie di misure urgenti per il contrasto del terrorismo. Il testo di base considerava una serie di aumenti di pena per l'addestramento ad attività con finalità di terrorismo, per l'istigazione a delinquere e a commettere dei delitti contro lo Stato e per i reati di apologia quando commessi attraverso strumenti informatici o telematici soprattutto in caso di crimini contro l'umanità. Ma con gli emendamenti approvati in Commissione lo scenario è decisamente cambiato. Al punto che con questa legge l'Italia diventerebbe il primo paese europeo a rendere legale in maniera esplicita e in via generalizzata l'autorizzazione alle "remote computer searches" e all'utilizzo di software occulti da parte dello Stato per indagare tutti i reati "commessi mediante l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche". Ieri mattina, quindi, il dietro-front. O, più precisamente, uno stop. Poi se ne riparlerà. "L'emendamento che prevedeva l'acquisizione di dati da remoto è stata stralciata dal decreto anti-terrorismo", ha detto il viceministro dell'Interno, Filippo Bubbico, a proposito del provvedimento antiterrorismo. "Rimane confermata la volontà del governo su un rafforzamento delle misure di prevenzione e contrasto al terrorismo, oggi più che mai urgenti e necessarie, ma si ritiene che tale norma debba essere trattata nell'ambito del provvedimento sulle intercettazioni telefoniche - ha aggiunto. "Abbiamo la necessità di contemperare le esigenze di sicurezza nella lotta al terrorismo con quelle di tutela della privacy, per questo motivo è utile approfondire il confronto e la riflessione sulla intercettazioni telematiche da remoto". Appena qualche ora prima il ministro dell'Interno Angelino Alfano, intervenendo a Radio Anch'io aveva parlato in questi termini: "Abbiamo previsto la possibilità da parte dell'autorità giudiziaria di accedere ed eventualmente spegnere i siti web attraverso i quali si veicola un messaggio di radicalizzazione violento. Questo - aveva detto il ministro - perché i social sono utilizzati dai terroristi per il reclutamento", con il decreto l'autorità giudiziaria potrà entrare nei telefonini o nei personal computer per controllare l'attività da remoto. "È una possibilità di indagine già prevista per reati di terrorismo. Visto che ci sono questi scambi informatici tra terroristi - rimarca il ministro - occorre aumentare la penetrazione". Giustizia: lo Stato che fruga nei pc? Un vicolo cieco di Valter Vecellio Il Garantista, 27 marzo 2015 Per una volta (capita), si può convenire con il presidente del Consiglio. Il provvedimento antiterrorismo in discussione a Montecitorio conteneva una serie di norme che consentivano di acquisire dati e informazioni nei computer dei cittadini; e passi quando si tratta di aumenti di pena per attività di terrorismo, istigazione a delinquere, e a commettere dei delitti contro lo Stato e reati di apologia commessi attraverso strumenti informatici o telematici. a quando si tratta di rendere legale in modo generalizzato e indiscriminato l'autorizzazione alle "remote computer searches"; e si consente l'utilizzo di software occulti da parte dello Stato per indagare tutti i reati "commessi mediante l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche"; ecco: è bene andarci con i piedi zavorrati di piombo. E dunque positivo il fatto che Matteo Renzi abbia chiesto e ottenuto lo stralcio di queste norme, che toccano temi delicati e importanti in materia di diritto, di diritto alla riservatezza, diritto alla sicurezza. In linea generale: perché le leggi non dovrebbero mai essere frutto della contingenza e dell'emotività; al contrario, vanno discusse ed approvate a mente fredda, senza essere preda di questa o quell'altra contingenza. Nel caso specifico, poi, perché esistono una quantità di "pro" e i "contro" che vanno attentamente soppesati e considerati. Non è materia insomma per spot pubblicitario, o per medaglie di cartapesta di cui si può fregiare questo o quel ministro voglioso di dimostrare quanto tiene il punto. Auguriamoci che la pausa ottenuta porti consiglio. Perché di "consiglio" ne occorre davvero tanto. Troppe volte si vuole la botte piena e la moglie ciucca. Qui c'è poco da girarci intorno. Ha ragione chi, come l'ex generale della Guardia di Finanza Umberto Rapetto, rabbrividisce al pensiero che si vorrebbe consentire di "guardare nei computer attraverso dei grimaldelli come trojan", e che "si autorizzano le perquisizioni senza alcun controllo". Non è una semplice intercettazione, è l'allarme del parlamentare Emilio Quintarelli, componente della. Commissione di studio per la elaborazione di principi in tema di diritti e doveri relativi ad Internet. Perché si prevedeva l'acquisizione di tutte le comunicazioni fatte in digitale dal proprio computer violando il domicilio informatico dei cittadini e riunendo quattro differenti metodologie di indagine: ispezioni, perquisizioni, intercettazione delle comunicazioni e acquisizione occulta di documenti e dati anche personali: "In pratica si rende possibile entrare nei computer delle persone e di guardare nel loro passato usando software nascosti. Significa che fra dieci anni qualcuno potrà leggere quello che Matteo Renzi ha scritto quando stava al liceo o "acquisire tutta la vita della persona oggetto di indagine". Resta tuttavia il nodo da sciogliere: quello relativo alla sicurezza della collettività per quel che riguarda le minacce terroristiche. Si invoca spesso l'utilizzo dell'intelligence: i mezzi, le professionalità di cui i servizi segreti sono dotati. L'intelligence alternativa alle esibizioni muscolari e muscolose dei militari. Si può convenire: meno marines, più infiltrati, uomini che agiscono nell'ombra. Ma questa intelligence deve essere però essere messa in condizione di operare, con rapidità ed efficienza. Significa mezzi e investimenti; significa personale altamente specializzato; significa poter contare su una "rete" di contatti e complicità in territori difficili e ostili; significa a volte anche "operazioni sporche", fatte in modo che non dobbiamo conoscere se non molti anni dopo che queste operazioni si sono concluse; significa anche essere dotati di apparati tecnologici raffinati, per la prevenzione e l'intercettazione di quello che il terrorista ha in animo di fare; e il terrorista non ce l'ha scritto in faccia che è un terrorista, un terrorista non convoca una conferenza stampa per annunciare il suo attentato. Ne parla magari ai suoi complici, che magari sono insospettabili... o se sono sospettabili, vanno tenuti costantemente e discretamente sotto controllo, altro che espellerli... quello che il terrorista ha in animo di fare bisogna saperlo cinque minuti prima che lo faccia, non cinque minuti dopo che lo ha fatto. Non se ne esce: una quota di libertà individuale va sacrificata, l'abbiamo già sacrificata. Non solo: chi è chiamato a operare su questo terreno minato, dove ogni passo falso può comportare dolorose e gravi conseguenze, deve anche poter contare su una fiducia da parte di un potere politico che deve concedere ampi margini d'azione e iniziativa. Ha ragione Repetto quando osserva che non si può istituire una opportunità investigativa senza garanzie contro gli abusi, e che "servono regole che vadano al di là delle suggestioni emotive"; garanzie che il "materiale sequestrato sia usato solo per quelle finalità". Ha ragione; ma la questione non è l'aver o no ragione, quanto come rendere applicabili queste garanzie, come riuscire a scongiurare gli abusi, come evitare che per "altre" finalità il materiale acquisito sia utilizzato. Questa è la vera cruna d'ago: le esigenze dell'intelligence; il diritto del cittadino a non vivere sotto la cappa di un "grande fratello". Renzi ha guadagnato tempo, ma il nodo lo si dovrà pur cominciare a sciogliere: è un'attualità che, senza cercarla, ci verrà imposta dalle situazioni, dai fatti. Marco Pannella da tempo è impegnato su questo tema, e i radicali un anno fa hanno tenuto importante convegno a Bruxelles su queste questioni: "Ragione di Stato contro Stato di Diritto per lo Stato di Diritto". A fine primavera è prevista una seconda sessione che già si annuncia sorprendente e interessante, per gli spunti e le prospettive di lavoro, le "visioni" che verranno tracciate e indicate. Farebbe cosa saggia Renzi a non mancare quell'appuntamento, anche solo come spettatore. Giustizia: pc spiati, emendamento cancella norma, che però tornerà nel ddl intercettazioni Il Manifesto, 27 marzo 2015 Stop al libero accesso da parte dello stato ai nostri computer. La discussa norma del decreto antiterrorismo che assegnava ampi poteri di indagine alla polizia arrivando a permettere l'acquisizione da remoto di tutti i dati contenuti nei sistemi informatici è stata cancellata ieri dall'aula della Camera dove si sta discutendo il provvedimento. A denunciare l'anomalia era stato due giorni fa il deputato di Scelta civica Stefano Quintarelli, ma ieri un emendamento al testo presentato da Sel e votato a maggioranza ha cancellato definitivamente la norma, che adesso potrebbe finire col far parte del disegno di legge sulle intercettazioni. Ridotti anche i tempi di conservazione dei dati raccolti, fissati dal decreto in 24 mesi, accogliendo così i rilievi fatti nei giorni scorsi al testo dal Garante per la privacy Antonello Soro. Che ieri ha salutato con soddisfazione le decisioni dell'aula di Montecitorio. "Lo stralcio della norma sulle intercettazioni da remoto - ha commentato il Garante - consentirà un supplemento di riflessione quanto mai necessario quando sono in gioco libertà e protezione dei dati personali". Apprezzamento per la decisione è stato espresso anche dal commissario dei diritti umani del Consiglio d'Europa, Nils Muiznieks. Tutto adesso è rinviato al disegno di legge sulle intercettazioni, che il governo vorrebbe approvare il più velocemente possibile e dove la norma incriminata potrebbe ritornare sotto forma di emendamento, come ha lasciato intendere ieri lo stesso premier Matteo Renzi. Contrariamente a quanto previsto fino a due giorni fa dal decreto, però, le intercettazioni non potranno essere più indiscriminate e coinvolgere potenzialmente tutti i cittadini, bensì limitate ai soli soggetti sospettati di svolgere un'attività terroristica e comunque autorizzate da un magistrato. "Non si possono utilizzare le norme contro il terrorismo per spiare tutti e bypassare la doverosa tutela della privacy", ha commentato ieri il capogruppo di Sel alla Camera Arturo Scotto. "Evidentemente il ministro Alfano, che dimostra ancora una volta di essere inadeguato a ricoprire quel ruolo, è stato troppo occupato, e preoccupato, dalle vicende del suo partito per rendersi conto che quella norma era da regime totalitario". Il decreto viaggia intanto velocemente verso la sua trasformazione in legge. Ieri le opposizioni hanno tagliato gran parte dei 250 emendamenti al testo, consentendo così all'aula di votare tutti i rimanenti entro sera e di arrivare al voto definitivo martedì prossimo. Esclusa a questo punto, il ricorso al voto di fiducia da parte del governo. Tra le novità di ieri c'è il via libera - grazie a un emendamento presentato dal M5S - all'uso di droni per i controllo de territorio da parte delle forze dell'ordine. I droni potranno essere utilizzati per prevenire e contrastare reati ambientali, di criminalità organizzata e di natura terroristica sulla base di un decreto che ministero degli Interni., della Difesa e dei Trasporti dovranno varare entro 120 giorni dall'approvazione della legge. Tutto il pacchetto anti-terrorismo avrà un costo complessivo ce si aggira intorno ai 950 milioni di euro, la maggior parte dei quali provenienti dal decreto missioni internazionali e da altre coperture specifiche. Tre milioni, - e non più 14 come previsto inizialmente - verranno invece presi dal fondo per le politiche di asilo dei migranti. 40 milioni di euro sono invece destinati all'operazione Mare sicuro, la missione anti terrorismo avviata nel Mediterraneo. Specificata meglio, infine, la norma che colpisce i foreign fighter, coloro che decidono di arruolarsi nell'esercito dell'Isis, e quanti organizzano viaggi all'estero. La norma prevedeva genericamente una reclusione tra i 5 e gli 8 anni di carcere, senza indicare lo scenario in cui viene commesso il reato. Due emendamenti identici di Sel e M5S precisano invece che si deve trattare di viaggi verso l'estero. Giustizia: antiterrorismo, se il genio italico si infila nei computer di Massimo Villone Il Manifesto, 27 marzo 2015 Lo spione di Stato è approdato in Parlamento. Il fattaccio è accaduto nelle commissioni congiunte II e IV della Camera, che hanno approvato nella seduta del 19 marzo l'emendamento 2.100 del governo al disegno di legge AC 2893-A (conversione del cosiddetto decreto antiterrorismo). L'emendamento modificava l'art. 266-bis, co. 1, c.p.p. consentendo le intercettazioni "anche attraverso l'impiego di strumenti o di programmi informatici per l'acquisizione da remoto delle comunicazioni e dei dati presenti in un sistema informatico". Non si tratta più di intercettare un dato o una comunicazione in transito o in corso di svolgimento. È spionaggio in senso proprio. Ogni computer, tablet, smartphone diventa un libro aperto. E non - si badi - solo per fatti di terrorismo, ma anche per un gran numero di reati che con il terrorismo nulla hanno a che fare. Spyware e phishing si coprono con la sacralità dell'interesse pubblico. A Palazzo Chigi le pensano di notte. L'emendamento 2.100 arriva alle Commissioni nel corso della seduta - appunto, notturna - del 18 marzo 2015, iniziata alle 20.05. Accantonamento degli emendamenti all'art. 2, termine per i subemendamenti la mattina successiva, votazione nella seduta del 19 marzo iniziata alle 17.30. Sono respinti i - pochissimi - subemendamenti, tesi a limitare la portata del 2.100. L'ineffabile viceministro Bubbico afferma che "si utilizzeranno tutti gli strumenti tecnici esistenti per rendere possibile la finalità perseguita dalla norma, vale a dire l'acquisizione da remoto delle comunicazioni e dei dati presenti in un sistema informatico". E rincara poi la dose, chiarendo che "non è possibile far sapere quali mezzi tecnici le forze dell'ordine useranno per perseguire i reati e contrastare il crimine, in quanto questo tipo di pubblicità vanificherebbe la loro azione" (Bollettino Commissioni, 19.03.2015, pag. 10). Forse un governo meno arrogante avrebbe almeno avuto la cautela di far presentare l'emendamento da qualche innocuo peone di maggioranza, per non metterci troppo la faccia. Ma non questo governo, che non esita a dichiarare apertamente di voler spiare in segreto propri cittadini. E soprattutto colpisce che norme stravolgenti siano state approvate in poche ore, nella inconsapevolezza dei gruppi parlamentari, e senza alcun parere delle commissioni di merito. La giustificazione, ovviamente, è nel fatto che si tratta di conversione di decreto legge, che deve giungere all'approvazione entro 60 giorni. Ma questo dimostra come abbia ragione la Corte costituzionale nella sent. 32/2014, in cui afferma sulla decretazione di urgenza che una "penetrante e incisiva riforma, coinvolgente delicate scelte di natura politica, giuridica e scientifica, avrebbe richiesto un adeguato dibattito parlamentare, possibile ove si fossero seguite le ordinarie procedure di formazione della legge, ex art. 72 Cost. Nella misura in cui le Camere non rispettano la funzione tipica della legge di conversione… al fine di perseguire scopi ulteriori rispetto alla conversione del provvedimento del Governo, agiscono in una situazione di carenza di potere". È esattamente quel che è accaduto. Di certo, la materia trattata nell'emendamento 2.100 era troppo delicata, importante e innovativa rispetto al testo originario per essere veicolata in un emendamento in sede di conversione, e per di più nottetempo. E abbiamo anche un assaggio di quel che può diventare il procedimento legislativo con il potere di ghigliottina permanente che la riforma costituzionale in itinere concede all'esecutivo, e la conseguente sempre possibile strozzatura dei tempi del lavoro parlamentare. Il dubbio di incostituzionalità sull'emendamento si aggiunge ai molti già espressi dagli esperti nelle audizioni sul decreto. Mancato rispetto dei principi di determinatezza e di offensività, di necessità e proporzionalità, della riserva di giurisdizione. Ora il testo è stato di nuovo emendato in aula ma la norma sullo spione di Stato, stralciata, potrebbe rientrare nel ddl intercettazioni, speriamo ridotta al solo terrorismo, al fondato sospetto che la specifica utenza informatica vi sia direttamente e attivamente coinvolta, e comunque su decisione del giudice. Se tornerà uguale a prima, potremmo consolarci con qualche paradosso. È in Senato l'AS 1627, già approvato dalla Camera, che introduce il reato di inquinamento processuale e depistaggio punito con la reclusione fino a 4 anni. Se fosse definitivamente approvato, quid juris se il nostro antivirus scoprisse e neutralizzasse lo spione di Stato? Dovremmo temere la galera? E se facessimo un hard reset dello smartphone o del tablet? Se formattassimo l'hard disk? Si aprono orizzonti di cui forse possiamo sorridere. Ma non è divertente l'idea che una mail ricevuta per errore o un dato occultamente e con malevola intenzione introdotto nel computer, possa dissolvere a nostra insaputa le difese contro l'invasione del potere pubblico. Renzi ha ragione: esiste un genio italico, in specie governativo. Peccato sia volto al male. Giustizia: reato di tortura, verso un primo passo importante. Ma è una vittoria a metà di Fabio Ferrara e Federico Vianelli (Componenti Giunta Unione Camere Penali) Il Garantista, 27 marzo 2015 L'introduzione del delitto di tortura nel nostro ordinamento giuridico sta per avverarsi: una gran bella notizia. Una delle battaglie condotte dall'Unione delle Camere Penali Italiane, unitamente ad associazioni umanitarie, per far sì che l'Italia compisse un ulteriore salto di qualità nel campo della tutela dei diritti umani sembra stia per approdare. Una norma di civiltà che dovrebbe contraddistinguere la "qualità" di uno Stato di diritto: con essa si fissa il limite invalicabile dell'integrità e dell'incolumità fisica, psichica e morale di un individuo affidato, per motivi di giustizia od altro, alla custodia dello Stato. Dunque una buona notizia. Dal retrogusto un po' amaro, che provocherà anche qualche imbarazzo. Infatti, ciò che lascia insoddisfatti nel testo di legge che sta per essere varato alla Camera è che il delitto di tortura viene delineato come reato comune, aggravato qualora sia commesso da un pubblico ufficiale, e non, invece, come un reato proprio di chi esercita una funzione pubblica, come da sempre richiesto dall'Ucpi. Tale differenza non è di poco conto, poiché quel che dovrebbe essere espressamente sanzionato dalla legge è il fatto della violenza, sia fisica sia morale, esercitata sulla persona che si trova nelle mani dello Stato, in quanto assoggettato all'autorità statale e alla sua custodia. Del resto, è proprio la Convenzione dell'Onu che ha determinato quale debba essere il bene giuridico tutelato dalla normativa contro la tortura: "il termine "tortura" indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate". E che il reato di tortura debba delinearsi come "reato proprio" lo si ricava anche dalla lettera dell'art. 7 dello Statuto della Corte Penale Internazionale, laddove al comma 2, lett. e) essa viene definita come la condotta consistente nella inflizione volontaria di "gravi dolori o sofferenze, fisiche o mentali ad una persona di cui si abbia la custodia o il controllo; in tale termine non rientrano i dolori, o le sofferenze derivanti esclusivamente da sanzioni legittime, che siano inscindibilmente connessi a tali sanzioni o dalle stesse incidentalmente occasionati". Ed una interpretazione costituzionalmente orientata nella elaborazione normativa della nuova fattispecie penale avrebbe potuto trarre ispirazione dall'art. 13 comma 4 della Costituzione che vieta ogni "violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizioni di libertà". Questo il dato più rilevante, al di là di alcuni aspetti di carattere più squisitamente tecnico-giuridico. Siffatte osservazioni erano state puntualmente raffigurate dall'Unione delle Camere Penali Italiane in sede di audizione parlamentare. Peccato: se non verranno apportate correzioni si sarà persa l'occasione per conferire, nell'ambito dell'ordinamento statuale, alle condotte di violenza fisica o morale commesse dal pubblico ufficiale nei confronti della persona affidata alla sua custodia, il particolare e specifico disvalore di cui è portatrice una simile condotta. Si è detto anche degli imbarazzi, provocati dalle evidenti ipocrisie, che tale normativa inevitabilmente porterà con sé, in ragione del fatto che nel nostro ordinamento andranno a convivere discipline contrastanti sul piano della tutela dei diritti della persona: da un lato la previsione del delitto di tortura; dall'altro la previsione del regime del cd. 41 bis, da più parti definito come la "tortura democratica". Ed ancora, il permanere di una situazione carceraria che è assimilabile, sotto molti aspetti, alla tortura. Non sono mancati moniti e condanne anche da parte della Cedu. In più occasioni le condizioni detentive nelle carceri italiane sono state additate come inumane e degradanti. La situazione è rimasta tuttavia pressoché invariata. Degno di nota il report del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti del 2013 che, proprio con riferimento al regime del cd. 41 bis, riscontrava che lo stesso determina una vera e propria forma di isolamento che, se applicata per lunghi periodi, può causare effetti dannosi tanto di natura psicologica che di natura fisica. Con la conseguenza che le modalità di esecuzione della pena finiscono per arrecare al detenuto un disagio ingiustificatamente superiore a quel livello di afflizione già intrinseco alla detenzione stessa e trasmodano in una vera e propria tortura. Una condizione quella italiana che pone il nostro Paese in una posizione scomoda e forse per certi versi persino ridicola (se non ci fosse nulla per cui ridere!) anche sul piano internazionale. Basti pensare che la Magistratura americana è giunta a negare l'estradizione richiesta dall'Italia, sulla base della considerazione che il regime carcerario cd. del 41 bis presenta caratteristiche che costituiscono una forma di tortura e, come tale, viola la Convenzione dell'Onu. Da un lato i proclami, dall'altro le inumane condizioni dei detenuti nelle carceri italiane, come del resto sottolineato da papa Francesco in occasione della recente visita al carcere di Poggioreale ove ha affermato che "i carcerati troppo spesso sono tenuti in condizioni indegne della persona umana, e dopo non riescono a reinserirsi nella società". La buona notizia è allora il fatto che la legge, fortemente voluta dall'Unione delle Camere Penali Italiane, che introduce il delitto di tortura, possa diventare il mezzo o comunque il primo passo per eliminare le storture e gli abusi che in campo giudiziario ancora, purtroppo, ammorbano il nostro Paese. Giustizia: "Il 41 bis? ha generato solo tortura e falsi pentimenti" di Anna Germoni Panorama, 27 marzo 2015 Giuseppe De Cristofaro, senatore di Sel, critica da sinistra il regime carcerario duro anti mafioso. "Il presunto patto Stato-mafia? Lo escludo". "Può uno stato democratico usare un regime particolarmente duro di carcere non per evitare che il detenuto comunichi con l'esterno, ma per il solo fine di farlo pentire? Non lo può fare. Siamo unici in Europa a applicare norme così ingiuste". Usa parole forti e controcorrente sul regime del 41 bis il senatore Giuseppe De Cristofaro, vicepresidente del gruppo misto-Sinistra ecologia e libertà. Oltre a far parte della commissione parlamentare Antimafia, De Cristofaro è vicepresidente della commissione Affari esteri e membro della commissione straordinaria per la Tutela dei diritti umani. Nonostante l'appartenenza allo stesso gruppo politico, il senatore De Cristofaro sembra essere lontano anni luce dalle posizioni di Claudio Fava, vicepresidente dell'Antimafia. Senatore De Cristofaro, lei sostiene che il 41 bis è tortura se usato per indurre il pentimento? "Lo dico per esperienza diretta. E ho questa opportunità di guardare al 41 bis da due punti di vista sull'efficacia e sulla sicurezza di soggetti pericolosi, ma anche alla tutela dei diritti umani. Perché io non dimentico che quando il 41 bis venne applicato per la prima volta nel nostro Paese, cioè dopo la morte di Giovanni Falcone, si disse in Parlamento che doveva essere un sistema assolutamente transitorio. Il 41 bis era nato come regime eccezionale: la risposta dello Stato alle stragi, per poi ritornare a una gestione più normale. Ma poi è divenuto stabile. Io penso che oggi sia necessaria una riflessione per rompere il tabù". Lei ha detto: "mentre in commissione Diritti umani guardiamo prevalentemente il diritto umano del detenuto, in Antimafia ci soffermiamo sull'efficacia del carcere duro". Come superare la discrasia? "Il 41 bis deve essere usato per evitare contatti con l'esterno di un capomafia, per eludere flussi di informazione. Questo non lo metto in discussione. Quel che invece non mi convince del regime carcerario duro è mettere il detenuto una condizione psicologica di particolare costrizione, in modo da indurlo al pentimento. Così non si hanno veri pentimenti, ma richieste di collaborazione con la giustizia, che servono solo a evitare l'isolamento. Il decreto Scotti-Martelli in realtà era nato proprio per questo proposito, non detto, ma implicito. Ma questa normativa, che sollevò molti dubbi fin dall'epoca, è contraria alla nostra Costituzione. Allora diciamo apertamente che se la ratio del 41 bis è ed era quella di costringere al pentimento, ripeto è una tortura". Lei dice, insomma, che lo Stato ha usato il regime carcerario duro solo per indurre certi mafiosi a collaborare con la giustizia? "Io penso che lo Stato, se ha concezione democratica, se ha un articolo della Costituzione che dice che le pene devono educare, non può applicare un regime di carcere così duro da indurre a un pentimento "finto", pur di uscire da quello stesso regime. Senza tener conto, che con l'applicazione del decreto Scotti-Martelli, entrarono in isolamento carcerario persone che non erano mai state affiliate o consociate alla criminalità organizzata mafiosa. Uno scandalo". Che comporta molti rischi. "Lo Stato democratico deve applicare le leggi, ma non costringere un detenuto, per le condizioni disumane in cui vive, a un pentimento che non è maturato da una sua coscienza personale e intima. Per questo abbiamo collaboratori di giustizia che, pur di uscire dal regime carcerario, dicono tutto e il contrario di tutto. E la colpa è dello Stato". Le intercettazioni su Totò Riina in cella, disposte dalla Procura di Palermo durante i colloqui con il suo "compagno d'aria" nel cortile del carcere di Opera, hanno occupato per mesi le copertine dei giornali, vanificando di fatto il 41 bis cui è sottoposto Riina dal giorno del suo arresto, il 15 gennaio 1993: è stato come permettere a Riina di pubblicare i suoi messaggi all'esterno. Che ne pensa? "È un fatto vergognoso. Si è vanificata l'applicazione del 41 bis a Riina. Non c'è dubbio che sia vicenda scandalosa. E andremo fino in fondo. Voglio sapere chi ha divulgato le intercettazioni alla stampa". Secondo lei, l'ex ministro della Giustizia Giovanni Conso nel 1993 non rinnovò alcuni 41 bis per dare un segnale di "distensione" a Cosa Nostra, come ipotizzano i pm palermitani nel processo sulla cosiddetta "trattativa Stato-mafia"? "Onestamente non credo che Conso, insigne giurista di fama internazionale, abbia revocato o non rinnovato alcuni decreti del 41 bis, per una sorta di "pax" mafiosa. Lo escludo in maniera categorica. E dico di più: contesto questa forma mentis che si è sviluppata da vari anni, che è una mera semplificazione. Cioè se uno contesta il 41 bis, con ragioni valide, sembra che faccia un favore alla mafia e quindi diventa automaticamente mafioso. Mentre chi sposa in toto la normativa è dalla parte buona della società. Questo è un pregiudizio che va combattuto". Lei crede a un patto tra cosa nostra e Stato, durante il biennio 92-93, in cambio di revoche del 41 bis? "Lo escludo sicuramente". E allora cosa pensa del processo palermitano, sulla presunta trattativa Stato-mafia, che vede sul banco degli imputati boss e uomini di Stato, che hanno catturato tali criminali? "Preferisco non commentare…". Giustizia: custodia cautelare non obbligatoria per concorso esterno in associazione mafiosa di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 27 marzo 2015 No all'obbligo di custodia cautelare per il concorso esterno in associazione mafiosa. La Corte costituzionale, con la sentenza 48 scritta da Giuseppe Frigo, ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 275, comma 3, secondo periodo, del Codice di procedura penale, nella parte in cui rende obbligatorio il carcere preventivo per chi è indagato di appoggio esterno a Cosa Nostra. Di fronte alla questione sollevata dal Gip di Lecce, la Consulta osserva che se il soggetto che delinque con "metodo mafioso" o per agevolare l'attività di una associazione mafiosa può, a seconda dei casi, appartenere o meno all'associazione stessa, il concorrente esterno è, per definizione, un soggetto che non fa parte del sodalizio: diversamente, perderebbe tale qualifica, trasformandosi in un "associato". Nei confronti del concorrente esterno non è, quindi, in nessun caso ravvisabile quel vincolo di "adesione permanente" al gruppo criminale che - secondo la giurisprudenza della stessa Corte costituzionale - è in grado di legittimare il ricorso in via esclusiva alla misura carceraria, quale unico strumento idoneo a recidere i rapporti dell'indiziato con l'ambiente criminale di appartenenza e a neutralizzarne la pericolosità. A questo proposito, non serve sostenere che il concorrente esterno, analogamente a chi partecipa a tutti gli effetti all'organizzazione, offre comunque un contributo causale al raggiungimento delle finalità del sodalizio criminale: "con la conseguenza che la sua condotta risulterebbe pienamente espressiva del disvalore del delitto di cui all'articolo 416-bis Codice penale, concretandosi anzi, talora, in apporti di maggior rilievo rispetto a quelli dell'intraneus". Si tratta però di considerazioni che riguardano, in effetti, la gravità dell'illecito commesso dal concorrente esterno, che dovrà essere considerata in sede di determinazione della pena, al momento della formulazione di un giudizio definitivo di colpevolezza. Esse non impongono, invece, preclusioni sul diverso piano della verifica della esistenza e del grado delle esigenze cautelari, che condiziona l'identificazione della misura idonea a soddisfarle. Non ne risulta compromesso, infatti, il rilievo di fondo, espresso dalla sentenza n. 57 del 2013, secondo il quale "il mero "contesto mafioso" in cui si colloca la condotta criminosa addebitata all'indiziato non basta ad offrire una congrua "base statistica" alla presunzione, ove esso non presupponga necessariamente l'"appartenenza" al sodalizio criminoso". E, nella specie, a prescindere dal peso specifico dei rispettivi contributi, la figura del concorrente esterno - se pure significativa di una posizione di contiguità alla organizzazione mafiosa - si differenzia da quella dell'associato proprio per l'elemento che è in grado di rendere costituzionalmente compatibile la presunzione assoluta e, cioè, lo stabile inserimento in una organizzazione criminale con caratteristiche di spiccata pericolosità (assente nel primo caso, presente nel secondo). Giustizia: risarcimenti della legge Pinto, i processi troppo lenti ci costano 8 milioni al mese di Patrizia Maciocchi Il Sole 24 Ore, 27 marzo 2015 I processi lumaca costano all'Italia circa 8 milioni al mese. A lanciare l'allarme sulle ricadute economiche della legge Pinto sull'ingiusta detenzione è il capo del dipartimento per l'Ordine giudiziario del ministero della Giustizia, Mario Barbuto, in occasione della conferenza stampa che si è tenuta ieri a Roma per presentare il 5° Salone della giustizia. Un problema drammatico, come mostrano i numeri. Dal 2002, anno successivo all'entrata in vigore della Pinto, a regime l'Italia è debitrice nei confronti degli indennizzabili, che hanno già ottenuto un decreto ingiuntivo, per 313 milioni di euro. A giugno 2014, le domande di indennizzo ammontavano a 405 milioni, diventati 455 a dicembre 2014. Un aumento di 50 milioni in sei mesi con un trend in crescita. Inevitabile per Barbuto chiedersi quanti cancellieri, giudici e operatori si potrebbero pagare con queste somme: in sei o sette mesi, gli organici potrebbero essere coperti. Il presidente del Tribunale di Roma Mario Bresciano ricorda che la produttività dei magistrati italiani e di Roma in particolare, è la più alta d'Europa. Malgrado il vuoto d'organico sia del 40%: il 30% fisso e il 13% dovuto alle contingenze del momento dalle ferie alla malattia ai permessi. Il Tribunale di Roma rischia di avere vuoti di organico ancora per 10 anni, anche per effetto della nuova legge che manda in pensione i magistrati a 70 anni. Il giurista Filippo Patroni Griffi fissa al 25 % l'aumento di organico che sarebbe necessario al Consiglio di Stato. Mentre il presidente emerito della Consulta Annibale Marini sposta l'attenzione sull'importanza di recuperare la norma costituzionale della durata ragionevole del processo, per ridare fiducia ai cittadini. Temi che saranno affrontati dal 28 al 30 aprile al Salone della Giustizia, che si terrà a Roma, nel Salone delle fontane. A mettere l'accento sull'importanza dell'appuntamento è Guido Alpa, presidente del comitato scientifico. Alpa ha ricordato che l'evento, che punta ad avere un respiro internazionale, con i suoi 27 seminari sarà l'occasione per avvicinare il cittadino e soprattutto ai giovani al mondo della giustizia. Tanti gli appuntamenti ad iniziare con il Convegno del 28 aprile sulla riforma della giustizia, promosso dal Consiglio nazionale forense. Nel programma anche i seminari del Consiglio superiore della magistratura sulla responsabilità civile delle toghe e l'organizzazione degli uffici giudiziari. Giustizia: ddl anti-corruzione, la maggioranza regge alle votazioni in Senato Askanews, 27 marzo 2015 Nonostante il banco di prova del voto segreto su alcuni emendamenti, la maggioranza ha retto alle prime votazioni sul ddl anti-corruzione. Concordi il relatore, del Nuovo centrodestra, Nico D'Ascola, e il governo rappresentato dal Guardasigilli Andrea Orlando. I senatori dem erano stati precettati con un sms: "Sono possibili numerosi voti segreti. La presenza è pertanto obbligatoria senza eccezione alcuna, anche Governo". Così, al termine di una mattinata non priva di qualche tensione, l'aula del Senato ha approvato gli articoli 1 e 2 del provvedimento di cui tornerà a discutere martedì prossimo, per chiudere con il voto finale previsto per la serata di mercoledì. In sostanza, dopo l'approvazione di alcuni emendamenti, sono previste pene più severe per i reati legati alla corruzione, tempi di sospensione dall'attività professionale più lunghi per i condannati (da un minimo di tre mesi a un massimo di tre anni), ma anche, grazie a due emendamenti di Lega Nord e Forza Italia, accolti con il parere positivo di relatore e governo, un aumento a due terzi dello sconto di pena per i collaboratori di giustizia. Ma, ha voluto puntualizzare il Guardasigilli, "non ci siamo limitati ad aumentare le pene": si sono colmate alcune "lacune" stigmatizzate dai report internazionali in tema di auto-riciclaggio e di falso in bilancio, si è avviata una lotta "seria" a un fenomeno che è "un'emergenza nazionale" tale da richiedere "l'unità delle forze politiche" nel combatterla. Insomma, ha attaccato Orlando, "basta con la propaganda di chi anche su questo tema cerca di lucrare qualche voto". Il messaggio è uno: "Chi corrompe o si fa corrompere tradisce il Paese". In aula si sono palesate tensioni in un paio di occasioni. La prima quando Forza Italia ha stigmatizzato l'aumento delle pene minime previste, la seconda per l'attacco del senatore Lucio Barani (Gal) al presidente Pietro Grasso che guidava i lavori. "È un'aberrazione - ha sbottato Giacomo Caliendo, senatore azzurro, già sottosegretario alla Giustizia dell'ultimo governo Berlusconi - mantenere pene minime così alte da costringere il giudice ad applicare la detenzione. Mi appello al presidente Napolitano che in passato e prima di me ha fatto considerazioni in questo senso". Barani gli ha dato man forte sostenendo che "l'aumento della pena minima è del 50% e dunque per fatti minimi ancorché gravi e solo per accuse ancora non controllate facciamo arrestare anche degli innocenti". Per concludere in crescendo: "In quest'aula il primo che recita Calamandrei gli do quattro ceffoni, non siete degni di nominarlo". Qui si è inserita la polemica con Grasso, che l'ha invitato ad usare un linguaggio più adeguato. Barani ha risposto con parole, poi smentite, in una nota, dallo stesso senatore, ma riportate dal resoconto stenografico del Senato in questa forma: "Credo che anche i suoi genitori le abbiano dato ceffoni, e forse se gliene avessero dati di più l'avrebbero educata meglio". Infine il Movimento 5 stelle, al di là della conferma, avallata dal capogruppo Andrea Cioffi, di votare a favore o contro "punto per punto", ha giudicato la legge un compromesso al ribasso e invitato Grasso a togliere la firma. L'appello è giunto dal vice presidente della Camera, Luigi Di Maio, secondo il quale "Grasso dovrebbe togliere la sua firma da quel disegno di legge se veramente tiene a una legge anticorruzione perché quella non è una legge anticorruzione, è stata svuotata e svilita". Orlando: chi corrompe tradisce Paese Senato. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando è intervenuto questa mattina nell'aula del Senato prima dell'inizio dei voti sugli articoli del disegno di legge anticorruzione: "Cosa c'è di più grave in un momento come questo se chi svolge funzioni pubbliche tradisce la collettività per un interesse proprio? In questo momento storico chi corrompe o si fa corrompere tradisce il Paese. Con questo provvedimento offriamo strumenti più efficaci nel contrasto alla criminalità economica e mafiosa e nella lotta alla corruzione". Nel suo intervento il guardasigilli ha poi precisato: "Sono consapevole che aumentare le pene non basta e a volte è inutile. Ma noi non ci siamo limitati ad inasprire le pene, miglioriamo e rendiamo più congruo il sistema di repressione di cui disporre". Il ministro cita i molti report internazionali, che segnalano due grandi lacune nel nostro Paese "una sull'auto-riciclaggio e il sostanziale svuotamento del reato del falso in bilancio: il primo è già legge, il secondo lo ridiventerà con questo provvedimento". È un appello all'unità quello che il Ministro della Giustizia Andrea Orlando rivolge in conclusione al Senato: "Non sconfiggeremo la corruzione se non riusciremo a dare un segnale che deve caratterizzare tutte le forze politiche: la costruzione dell'unità viene prima della costruzione del singolo punto di vista". Giustizia: proposta di legge in tema di intercettazioni, il senso del diritto a intermittenza di Vincenzo Vitale Il Garantista, 27 marzo 2015 I contorsionismi politico-legislativi del governo Renzi sulle questioni legate alla giustizia sono un susseguirsi disomogeneo ed imprevedibile di macchie di leopardo. Dopo aver ignorato ostinatamente qualunque principio di razionalità giuridica in tema di prescrizione e di legislazione di anticorruzione, Renzi viene oggi invece ad invocare invalicabili limiti nell'ambito della nuova proposta di legge in tema di intercettazioni telefoniche. Non mi piace il termine garantismo. Un po' perché finisce in "ismo", suffisso che nella lingua italiana generalmente indica una valenza deteriore; ma soprattutto perché dà un'idea debole di quello che vorrebbe in realtà significare. Infatti, la vera differenza non è fra garantismo e antigarantismo - non me ne voglia l'amico Piero Sansonetti che firma un quotidiano così titolato - bensì tra chi ha il senso del diritto e chi non ce l'ha. Ecco dunque la contesa che da molti anni affligge la vita pubblica italiana: da una parte, coloro che se ne infischiano bellamente di qualunque limite imposto dai principi giuridici, anche a costo di calpestarli impunemente; dall'altra parte, coloro che faticosamente e quotidianamente se ne fanno invece carico, evidenziando limiti a loro modo assoluti che neppure la ragion di Stato è legittimata a scavalcare. Ne viene che questi limiti o ci sono o non ci sono, o vengono riconosciuti o vengono ignorati: non ci sono alternative. Sicché, osservando con un po' di attenzione i contorsionismi politico-legislativi del governo Renzi, molto si stenta ad individuare in essi il riconoscimento di questi limiti, in quanto l'azione di governo si connota, per dir così, quale un susseguirsi disomogeneo ed imprevedibile di macchie di leopardo. Infatti, il governo, dopo aver ignorato ostinatamente qualunque principio di razionalità giuridica in tema di prescrizione e di legislazione di anticorruzione, viene oggi invece ad invocare invalicabili limiti nell'ambito della nuova proposta di legge in tema di intercettazioni telefoniche. Poche settimane fa abbiamo assistito a una riforma della prescrizione dei reati che praticamente consente di perseguire anche quelli di scarso allarme sociale per 15 o 20 anni di seguito, come nulla fosse, ignorando completamente il senso giuridico di cui è portatore l'istituto della prescrizione e reati. Abbiamo anche assistito, impotenti, ad un aumento indiscriminato delle pene previste per la corruzione, nell'ottusa speranza che aumentare le pene serva a ridurre il numero dei reati commessi, cosa che si è sempre dimostrata assolutamente falsa. Oggi, improvvisamente e inaspettatamente, dopo essersene dimenticato per mesi, Renzi si ricorda di quel diritto che bussa alla sua porta e, per non scontentarlo, tira i remi in barca, confezionando un disegno di legge che limita alquanto la libertà delle intercettazioni telefoniche e che perciò ovviamente scontenta sia i versanti giustizialisti del suo partito sia una buona parte delle Procure italiane che la pensano diversamente. Domanda: si può coltivare il senso del diritto ad intermittenza? A macchia di leopardo? Probabilmente no, perché c'è da credere che in questo caso quando del diritto ci si ricorda ad intermittenza, non si tratti di coltivarne il senso a beneficio di tutti, ma al contrario si tratti di confusione politica oppure di puro e semplice opportunismo. C'è da temere che quest'ultima sia l'interpretazione più corretta, in quanto da alcuni mesi Renzi mostra una crescente insofferenza verso il Nuovo Centro Destra, cioè verso quella componente di maggioranza di governo che per tradizione e vocazione ripropone l'azione politica circoscritta dai limiti invalicabili del diritto. Vogliamo scommettere che dopo le dimissioni del ministro Lupi, quella poltrona invece di tornare appannaggio del Ncd sarà invece affidata a un fedelissimo di Renzi? Giustizia: stretta sulle intercettazioni, multe per la stampa. Fnsi: temiamo il bavaglio La Repubblica, 27 marzo 2015 Multe per chi pubblica le intercettazioni già chiuse nella cassaforte destinata a contenere quelle secretate per sempre, quelle che riguardano chi finisce coinvolto in una registrazione disposta dalla magistratura, ma non è né colpevole, né tantomeno indagato. Un caso Lupi, tanto per intenderci. Ci sarà questo, ma anche molto altro, nella legge Renzi sulle intercettazioni. In cottura a Palazzo Chigi proprio da quando è esploso il caso dell'ex ministro delle Infrastrutture di Ncd costretto a lasciare la poltrona per via delle intercettazioni. Gli alfaniani premono molto, ma anche il premier è convinto che si debba voltare pagina sulla questione. All'insegna di due leit motiv: stop all'intercettazione irrilevante che finisce nelle ordinanze delle toghe, stop alla stampa che comunque la pubblica. I contenuti sono già individuati, tutto ruota su quattro capisaldi: regole ferree per i magistrati che non potranno più utilizzare le intercettazioni penalmente non rilevanti nei provvedimenti cautelari, di sequestro o di perquisizione; l'udienza stralcio in cui magistrati e avvocati selezioneranno le registrazioni; una cassaforte in cui chiudere il materiale destinato alla più totale riservatezza; un responsabile unico della cassaforte; multe per la stampa che, nonostante tutto questo, pubblica lo stesso i testi più succosi. I dubbi riguardano il vagone su cui camminerà la riforma. Una legge autonoma, tutta sulle intercettazioni, da mandare avanti spedita. Oppure la sola delega, com'è attualmente, all'interno della riforma del processo penale, che giace alla Camera dall'autunno scorso. O ancora una delega che si scioglie in un testo, ma sempre all'interno di quel disegno di legge. Certo è che il Guardasigilli Andrea Orlando avversa l'ipotesi dello stralcio, su cui preme invece Ncd a favore della legge sulla diffamazione (emendamento Pagano) perché strategicamente ritiene che le intercettazioni possono "trainare" tutta la riforma del processo penale verso il voto. In calo, invece l'ipotesi di utilizzare il vagone del ddl sulla diffamazione, fortemente sponsorizzato da Ncd, proprio per evitare che le norme sugli ascolti assumano subito un imprinting colpevolista verso la stampa. Lo esclude recisamente il Pd Walter Verini perché, dice, "non è quella la sede giusta". Molti dem autorevoli dicono che quel ddl non ha un futuro, e potrebbe arenarsi nelle secche parlamentari. Il dato certo è che la notizia di un lavorio legislativo sugli ascolti scatena le opposte fazioni. C'è quella favorevole, in primis l'Ncd di Alfano e Lupi, che domani, in molte città, darà vita alla giornata intitolata "le vite degli altri", banchetti in piazza per sollecitare proprio la legge sugli ascolti. Sul fronte opposto ecco la Fnsi che col segretario Raffaele Lorusso tuona "contro il rischio di un nuovo bavaglio e della limitazione del diritto di cronaca". Il sindacato dei giornalisti "non invoca né il libero arbitrio, né l'impunità assoluta", ma dice che "il diritto alla privacy non va affrontato con misure che ledano il diritto-dovere di informare". Giustizia: non più celle ma "residenze", addio agli ultimi manicomi di Gian Luca Favetto Venerdì di Repubblica, 27 marzo 2015 Un uomo, in uno stanzone disadorno, beve da un bicchierino di plastica. Tira giù tutto d'un fiato. Con l'altra mano impugna un contenitore trasparente su cui è scritto: Terapie Pz. Una pozione terapeutica. È la medicina quotidiana. Dietro di lui, un vecchio ragazzo corpulento aspetta la sua dose. In primo piano si intravede la mano guantata di un infermiere. È un'immagine, un frammento di tempo che si ripete ogni giorno a Castiglione delle Stiviere, provincia di Mantova, in uno dei sei Ospedali psichiatrici giudiziari. Per gli addetti ai lavori, Opg. In Italia esistono ancora. Per pochi giorni, però. Dal primo aprile chiudono tutti: quello di Castiglione e quello di Aversa, quello di Napoli e quello di Reggio Emilia, quello di Montelupo Fiorentino e quello di Barcellona Pozzo di Gotto. Hanno sostituito i manicomi criminali e adesso chiudono anche loro. È sicuro. Quasi. Già nel 2012 erano stati aboliti, ma poi sono stati tenuti in vita due volte con una proroga. Ora, spariscono definitivamente, salvo poi vedere quanto si impiega a sostituirli con i Rems, le Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria previste dalla legge. Saranno almeno un paio di strutture in ogni regione ad accogliere i 704 internati degli Opg, quelli che, incapaci di intendere e di volere, etichettati come pazzi, hanno commesso un reato grave. "Ho trovato di tutto lì dentro" spiega Max Ferrero, autore di un reportage nelle carceri della follia, un residuo di Ottocento nell'Italia di oggi. È un lavoro fotografico realizzato fra giugno 2014 e gennaio 2015 in quattro dei sei Opg italiani: Reggio Emilia, Montelupo, Castiglione e Aversa. "Dovevo trovare un leader che si facesse fotografare per primo" racconta. "Il suo esempio, poi, convinceva gli altri. In genere è facile individuarlo, basta trovare il più grosso o il più tatuato. A Reggio Emilia, per esempio, l'ho trovato subito: un body builder con uno sguardo di pietra, che ha fatto il buttafuori nelle discoteche, la riscossione crediti e il giocatore di calcio fiorentino. E poi ne ho trovato un altro, che ha trasformato il suo corpo in un manifesto pieno di scritte, disegni e cicatrici". A Montelupo ha incontrato un ragazzo con un teschio tatuato su tutta la schiena. "Mi ha chiesto di fotografare i suoi tatuaggi. Non mi hanno aperto la cella, dicevano che era troppo violento. Ho infilato un attimo la macchina fra le sbarre, ma la guardia mi ha portato subito via. A colpirmi è stato il vuoto intorno: immenso. La cella era abbastanza grande, aveva solo un letto e il senso di soffocamento era totale". Dice Antonella Tuoni, direttore penitenziario da vent'anni e dal 2011 responsabile della struttura di Montelupo. "Da questa esperienza mi porto a casa un'intensa consapevolezza umana. Ho avuto anche l'opportunità di cambiare positivamente la vita delle persone qui dentro. Quando sono arrivata, c'era ancora la contenzione. Negli Opg ci sono esseri umani con grandi sofferenze, appartenenti spesso ad aree della marginalità, con situazioni familiari problematiche, relegati dalla società in luoghi lontani dagli occhi, veri non-luoghi, perché rappresentano il fallimento del nostro stato sociale. Gli Opg sono lo spaccato più drammatico di quello che è chiamato pianeta carceri, usando un'espressione che tende ad attribuire al carcere un carattere di extraterritorialità, come fosse un pianeta marziano, ma non lo è". È parte del nostro mondo. Parte di noi. Più facile capirlo a Castiglione delle Stiviere, Opg non carcerario, diverso dagli altri che dipendono dal Ministero della Giustizia. Fondato nel 1939, funziona come una struttura sanitaria dell'Azienda ospedaliera di Mantova. È quello con più ospiti e con una sezione femminile: 156 uomini e 64 donne. "Ho trovato gli sguardi dei ricoverati meno spenti" racconta Ferrero. "Ma è stato più difficile il lavoro. Le persone sembravano avere più coscienza di sé, di ciò che avevano fatto, e non avevano voglia di parlare, né di farsi fotografare. Qui si muovono liberamente, non ci sono guardie carcerarie, né sbarre. Ci sono un parco, una piscina, il campo da pallavolo, quello da tennis, il campetto da calcio. Sembra una comunità. È il prototipo di ciò che, dalla prossima settimana, dovrebbero essere le nuove residenze". Conferma Andrea Pinotti, ex primario di Psichiatria nel Basso mantovano, da un anno direttore di Castiglione: "Siamo il superamento già attuato delle Opg, sin dalle origini. Più della metà dei nostri pazienti lavora con uno stipendio. Abbiamo anche un teatro, una palestra, un laboratorio di tipografia, di sartoria, di pittura, di falegnameria e restauro. Ogni stanza ha il suo bagno. Siamo una struttura di eccellenza per la psichiatria forense. Ed è per questo che nei nostri spazi, da aprile, funzioneranno sei Rems con 120 posti a disposizione. Siamo come un ospedale specialistico che lavora in sinergia nel territorio". Quella degli Opg è una popolazione divisa in due, e non in base alla gravità dei reati. Ci sono i più anziani, con i classici disturbi bipolari, le psicosi, le forti depressioni. Poi ci sono i gravi disturbi di personalità legati all'abuso di sostanze, e in questi casi l'età è sempre più bassa. "Aversa è il luogo dove le persone mi hanno raccontato di più le loro storie" ricorda Ferrero. "Ho trovato uno che ha spaccato la testa al padre, un serial killer che ha segato almeno un paio di donne, uno che ha mangiato la madre e uno che è entrato e uscito quattro volte, perché appena lo trasferiscono in comunità rifiuta le medicine e ridiventa violento. Ho scelto il bianco e nero per concentrare l'attenzione sulle luci e sulle forme, senza la distrazione dei colori, per poter misurare la dimensione alienante degli spazi". Il risultato è un viaggio al di là dello specchio, in una normalità assurda, dove il tempo sospeso ti riflette e ti imprigiona. Quello che vedi è una sofferenza disorientata. Per allontanarla non basta chiudere gli occhi. Continua a respirarti addosso. E il suo alito è dolore e violenza. Giustizia: "Shakespeare ci fa liberi". Seconda Giornata Nazionale del Teatro in Carcere di Diletta Grella Vita, 27 marzo 2015 Si celebra oggi la Seconda Giornata Nazionale del Teatro in Carcere (iniziativa istituita nel 2014, qui il programma), in occasione della 53a Giornata Mondiale del Teatro (World Theatre Day) indetta dall'Istituto Internazionale del Teatro presso la sede Unesco di Parigi. "Tra i personaggi che ho interpretato quello che mi è ‘entrato dentrò di più è Prospero, il vero Duca di Milano de "La tempesta" di Shakespeare. Donatella Massimilla, la nostra regista a San Vittore, a Milano, ha voluto sottolineare la sua saggezza, la sua pacatezza. Quella saggezza e quella pacatezza che tante, troppe volte, sono mancate a me nella vita". Alfredo, 50 anni, è un uomo libero da un mese. Gli ultimi vent'anni li ha passati fuori e dentro dal carcere. Dove ha sempre cercato di frequentare i laboratori teatrali. "Sono stati anni lunghi, difficili… Una cosa mi ha aiutato ad andare avanti: il teatro. Le ore delle prove erano momenti di serenità. Finalmente potevo fare qualcosa che non fosse stare sdraiato sulla mia branda o giocare a carte. Perché in galera, di solito, non si fa molto di più... Potevo socializzare, stare in un gruppo. Potevo capire qualcosa in più di me. Potevo anch'io provare emozioni". "La storia del teatro nelle carceri è abbastanza recente" spiega Massimo Marino, critico teatrale e autore di una ricerca su teatro e carcere nel nostro Paese, condotta nel 2005 all'interno di un progetto europeo, in collaborazione con il Ministero della Giustizia. "Tutto nasce sull'onda di un movimento di opinione che, dagli anni Settanta, chiede misure alternative alla detenzione e un carcere meno segregante. La Legge Gozzini, del 1986, rafforza questa tendenza, perché promuove le attività che favoriscono il recupero e la formazione dei detenuti, anche di chi ha commesso i reati peggiori". Una data storica per il teatro in carcere nel nostro Paese è il 1984. Il San Quentin Drama Workshop, la compagnia fondata nell'omonima prigione californiana dall'ergastolano Rick Cluchey (graziato poi per meriti teatrali; storia incredibile, la sua!) arriva prima in Toscana e poi in altre città d'Italia, con una tournée organizzata da Pontedera Teatro. "L'interesse che suscita sono fortissimi" continua Marino. "Prima di allora non si era mai visto un ex-detenuto recitare. La messa in scena di alcune opere di Samuel Beckett lascia senza parole. In quegli stessi anni, anche in Italia iniziano a svilupparsi esperienze simili. E forse non è un caso che le carceri in cui il teatro si radica di più sono proprio quelle della Toscana (la prima regione raggiunta da Cluchey)". In base ad una ricerca del 2012, condotta dalla Direzione Generale Detenuti e Trattamento del Ministero della Giustizia, in più della metà degli oltre duecento penitenziari italiani, è presente un laboratorio teatrale o musicale. "Le esperienze sono numerose e variegate sotto tanti punti di vista" spiega Vito Minoia, direttore della rivista "Teatri delle diversità". "Già le diverse tipologie delle carceri impongono differenti modalità di svolgimento dei laboratori teatrali: nelle case circondariali è più difficile costituire una compagnia teatrale, perché le persone si trattengono per un periodo breve. Il discorso cambia nelle case di reclusione, dove si viene destinati per una detenzione lunga. Per fare rete, superando le diversità, e per creare occasioni di scambio e di confronto, nel 2011, abbiamo dato vita ad un Coordinamento Nazionale Teatro in che io presiedo. Il Coordinamento interagisce con le istituzioni, a partire dal Ministero della Giustizia, con cui nel 2013 abbiamo sottoscritto un protocollo d'Intesa, tramite l'Istituto Superiore di Studi Penitenziari". Al momento le esperienze che vi aderiscono sono 43, in rappresentanza di 13 regioni. "Purtroppo va sottolineata la fragilità di molti laboratori teatrali, che non riescono a perdurare nel tempo, soprattutto per problemi economici" continua Minoia. "Un tempo il Ministero della Giustizia dava un contributo che, negli anni, a causa della crisi, è venuto meno. Ad oggi, sono soprattutto alcuni enti regionali che garantiscono la continuità del lavoro. Tra tutti segnalo l'eccellenza della Toscana". Tra le iniziative organizzate dal Coordinamento, la Giornata Nazionale di Teatro in Carcere: il 27 marzo, in occasione della Giornata Mondiale del Teatro, si svolgerà la seconda edizione, con eventi aperti al pubblico, sia all'interno che all'esterno degli istituti di tutta Italia. L'esperienza più continuativa e longeva di teatro in un carcere, ad opera dello stesso regista, è quella di Armando Punzo e della sua Compagnia della Fortezza a Volterra. Un'eccellenza dal punto di vista artistico. Punzo si è felicemente autorecluso, da 27 anni, nella suggestiva Fortezza Medicea, l'istituto di pena della città toscana, "perché non ho trovato niente di meglio fuori", come lui stesso dichiara. "Era il 1988 e il teatro che vedevo non mi interessava. Non volevo lavorare con attori professionisti, ma con altre voci, altri corpi, altre possibilità. Guardavo il carcere e pensavo: lì dentro ci sono tante persone che non hanno niente da fare tutto il giorno. Oltretutto, persone che non giocano con la cultura, perché ne hanno poca, e quindi, in un certo senso, culturalmente più libere. Proprio lì si poteva reinventare il teatro, ripartire da zero… Ho chiesto di poter lavorare con loro". Il primo progetto approvato prevede 150 ore. Punzo ne fa 1.400. "Non riuscivo più ad uscire. E non sono più uscito. Io non sono entrato in carcere per il carcere, mosso da finalità sociali o educative. Sono entrato per il teatro. Il carcere mi aiuta a capire l'essenza del teatro e quindi dell'uomo. In quella stanzetta di tre metri per nove, dove tutti i giorni proviamo, cerco di comprendere, attraverso il teatro, chi è l'uomo, chi sono io… Come scriveva il poeta Franco Fortini: ‘La mia prigione vede più della tua libertà'". Con la sua Compagnia della Fortezza, Punzo ha realizzato una trentina di spettacoli, ospitati nei più importanti festival e rassegne del Paese. L'ultimo, adesso in tournée, è "Santo Genet", che sta riscuotendo grande successo di critica e di pubblico. Tra i numerosi riconoscimenti conquistati in questi anni, sei Ubu, il più prestigioso premio per il teatro in Italia. "Ora, il mio desiderio è di realizzare un teatro stabile all'interno del carcere, il primo al mondo. Un luogo di ricerca artistica e culturale, oltre che di formazione per i mestieri dello spettacolo, aperto a tutti". Il progetto sta scatenando un grande dibattito. Tra i sostenitori c'è Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti della Toscana: "Credo fermamente nella necessità di una riforma delle carceri. Penso che questa debba nascere dal territorio, a partire da un'idea di convivenza piuttosto che di esclusione sociale. In questo senso, l'idea di un Teatro Stabile come quello pensato da Punzo, che confonda i ruoli di chi è dentro e di chi è fuori, potrebbe essere un'opportunità generativa per ripensare un'istituzione come quella carceraria che, così com'è, non ha più senso". A credere molto nell'importanza di creare una rete internazionale di esperienze di teatro in carcere è Donatella Massimilla. Donatella è l'anima creativa e vulcanica del laboratorio teatrale nel carcere di San Vittore a Milano, tra i più significativi e apprezzati nel nostro Paese, dal punto di vista artistico. Forte di una lunghissima esperienza di lavoro in contesti europei, quindici anni fa, Massimilla ha fondato il Cetec-Centro Europeo Teatro e Carcere, una cooperativa sociale che si occupa di realizzare progetti di teatro e arte nel sociale in Italia e in Europa, oltre che del reinserimento lavorativo degli ex-detenuti. Tanti gli eventi e le occasioni di confronto con altre realtà internazionali. Donatella racconta così come ha iniziato a lavorare negli istituti di pena: "Mi sono formata con i grandi maestri del teatro contemporaneo, da Jerzy Grotowsky a Heiner Müller, e da subito ho preso confidenza con un linguaggio teatrale legato al corpo e all'interiorità" spiega. "Sentivo il bisogno di lavorare in una comunità, su storie di vita vere. Il carcere è stato il naturale esito di questo mio desiderio". San Vittore è una casa circondariale, dove la maggior parte dei detenuti rimane per un breve periodo, in attesa di giudizio. "Nell'organizzazione dei laboratori, devo tenere conto che i partecipanti, da un giorno all'altro, potrebbero non esserci più. I miei lavori, quindi, sono quasi sempre studi, più vicini al linguaggio della performance che alle rappresentazioni del teatro classico". Grande il successo riscosso dall'ultimo spettacolo, "San Vittore Globe Theatre", al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano. Repliche previste in occasione dell'Expo. Tra i prossimi eventi aperti al pubblico, "Happy Alda!" e "A cena con Alda", un omaggio alla poetessa Alda Merini, che alle detenute-attrici di San Vittore ha dedicato questi versi: ‘Forse la durezza delle leggi potrà nulla contro la speranza che c'è in ognuno di noi… Ci sono bellissimi fiori che vivono avvinghiati ad una sbarra". Il teatro, per Donatella, è un ponte tra il dentro e il fuori. È terapia. È libertà: "In carcere il tempo si ferma. Il detenuto, sradicato dai suoi affetti e dai suoi luoghi, non sa più chi è. Recitando, può recuperare una relazione con gli altri, può riconquistare la sua autostima e lentamente ritrovare la sua essenza". Anche il cinema si è interessato al teatro in carcere. Nel 2012, Paolo e Vittorio Taviani girano "Cesare deve morire" nel reparto di alta sicurezza del carcere di Rebibbia, a Roma: il film narra la messa in scena del "Giulio Cesare" di Shakespeare da parte dei detenuti, diretti dal regista Fabio Cavalli. Tra i premi vinti: l'Orso d'oro al Festival di Berlino e cinque David di Donatello. A colpire è il fatto che gli attori recitano Shakespeare in napoletano, siciliano, romano. "Il dialetto, per la maggior parte dei detenuti, è la lingua madre, quella in cui esprimono la loro emotività più profonda. I lavori che mettiamo in scena, quindi, sono perlopiù in dialetto" chiarisce Cavalli, direttore generale del Centro Studi Enrico Maria Salerno (www.enricomariasalerno.it) che, dal 2002, ha la responsabilità delle attività teatrali a Rebibbia Nuovo Complesso. Cavalli, attore e regista, ha lavorato con i più grandi: da Alberto Lionello a Franco Zeffirelli, a Mario Missiroli. Poi, nel 2002, l'incontro con il carcere. Un po' per caso: "Un amico mi chiese di dargli una mano. La prima opera che mettemmo in scena fu ‘Napoli Milionarià di Eduardo De Filippo. Lì, con quei 25 detenuti di massima sicurezza, incontrai più teatro di quanto ne avessi mai visto prima. E continuo ad incontrarlo. Più volte mi sono chiesto da dove arrivi tutta questa carica espressiva... Gran parte degli scrittori che hanno segnato la storia della letteratura ha vissuto storie di prigionia, di costrizione... I detenuti hanno una biografia simile agli autori che interpretano e quindi, forse, riescono ad esprimere meglio le emozioni dei loro testi". Gli stessi Taviani hanno dichiarato: "Quando il Bruto di "Cesare deve morire" dice "Per questo io l'aggio acciso", non è che sia più bravo di Marlon Brando o di James Mason. Solo che nello sguardo di questo attore brilla una luce particolare: dice qualcosa di un mondo che ha visto davvero. E lo stesso succede con gli altri attori del nostro film... è questo che ci ha travolto!". "Ripenso al regista Carlo Cecchi" prosegue Cavalli "che una volta, vedendo un nostro spettacolo, disse provocatoriamente: ‘Per forza non riesco a trovare attori bravi là fuori. Stanno tutti in galera!'". Interessante un'indagine osservazionale che il Centro Studi Enrico Maria Salerno sta svolgendo in collaborazione con alcuni docenti di medicina e fisiologia dell'Università La Sapienza di Roma: "Tra i carcerati che hanno commesso reati gravi, il tasso di recidiva in media è del 65-70 per cento" dice Cavalli. "Per chi fa teatro, invece, scende sotto il dieci. Significa che la recitazione è uno strumento potente anche dal punto di vista rieducativo. Ecco perché è fondamentale che a gestire i laboratori siano persone qualificate". Ad accomunare le esperienze di teatro-carcere, è che non sono né i registi né la direzione penitenziaria a scegliere i detenuti che partecipano ai laboratori. "Tutti possono fare domanda. Poi, incontro dopo incontro, è il teatro che sceglie: c'è una sorta di selezione naturale" spiega Maria Cinzia Zanellato, regista che, dal 2005, ha la direzione artistica del progetto "Teatrocarcere" al Due Palazzi di Padova. "Questo è uno stimolo per il mio lavoro, perché incontro persone diverse e inaspettate. Ci sono anche stranieri, di varie provenienze geografiche: Africa, Sud America, zone balcaniche... Le differenze linguistiche non sono mai un problema, ma un'opportunità da sfruttare teatralmente!". Prima di lavorare è importante amalgamare le persone, formare un gruppo. Anche perché il carcere, di per sé, produce individualismi fortissimi. "Gli incontri iniziali sono momenti di ascolto, di dialogo…" chiarisce Zanellato. "Cerchiamo di creare relazioni autentiche, che poi, peraltro, perdurano quando i detenuti ritornano in cella. Per me è fondamentale coniugare l'aspetto artistico con quello umano". Veneto: la Cgil e Stop Opg a Zaia "la Regione accolga i 55 detenuti psichiatrici" di Michele Bugliari Il Mattino di Padova, 27 marzo 2015 La Cgil chiede a Zaia e Coletto di garantire i servizi alternativi agli ospedali giudiziari chiusi per legge. "La legge nazionale prevede che gli ospedali psichiatrici giudiziari siano chiusi entro il 31 marzo ma la Regione non ha ancora provveduto ad una sistemazione alternativa e dignitosa per i 55 reclusi veneti, 48 uomini e sette donne, affetti da gravi problemi mentali". È la denuncia di Ugo Agiollo della segreteria confederale della Cgil di Venezia e di Gianfranco Rizzetto del Comitato Stop Opg Veneto, che oggi alle 17.30 nella sede di Mestre della Cgil, in via Cà Marcello, saranno tra i protagonisti del convegno sul tema: "Restituire un volto, un nome, dignità e diritti. Per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari". Sarà l'occasione per discutere del libro "Mala dies. L'inferno degli ospedali psichiatrici e delle istituzioni totali in Italia" (Infinito Edizioni) di Angelo Lallo, ricercatore recentemente scomparso. All'iniziativa saranno, inoltre, presenti i figli dello studioso, Alex ed Ivan Lallo, Stefano Cecconi della Cgil nazionale, l'avvocato Annamaria Marin ed Anna Poma del Forum veneto Salute Mentale. La Cgil, inoltre, continuerà a promuovere il un digiuno a staffetta a favore della reale chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. "La legge che prevede la chiusura delle strutture che attualmente ospitano i detenuti", sostengono Agiollo e Rizzetto, "rappresenta una conquista di civiltà. Gli ospedali giudiziari, come ha dimostrato anche un'importante inchiesta giornalistica, sono stati luoghi in cui sono stati calpestati i diritti dei pazienti reclusi. Il parlamento giustamente ha stabilito per legge la chiusura, dopo un appello dell'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il problema però è che la Regione a pochi giorni dalla prevista chiusura non sia ancora pronta a sistemare i detenuti psichiatrici veneti nelle strutture sanitarie. Inoltre, l'amministrazione veneta sinora ha dimostrato di essere intenzionata a realizzare una Rems (residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza) a Verona. Noi, invece, sosteniamo che il Veneto così come ha fatto il Friuli dovrebbe opporsi a questa politica perché i Rems saranno solo degli ospedali giudiziari con un nome più accettabile". Oggi i detenuti psichiatrici veneti sono 47 uomini in carico all'ospedale giudiziario di Castiglione delle Stiviere (Mantova) e sette donne ricoverate nell'analoga struttura di Reggio Emilia. Il sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo (Pd) ha denunciato i ritardi del Veneto dicendo: "Nel merito deciderà il Governo, dopo due anni di proroghe, sarebbe intollerabile un allungamento indeterminato dei tempi nell'apertura delle Rems. Il ministero monitorerà attentamente il rispetto delle scadenze da parte delle Regioni". Sicilia: chiusura degli Opg; la Regione è pronta con due Rems, a Naso e Caltagirone Adnkronos, 27 marzo 2015 Ci siamo. Il 31 marzo è prevista la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) ed è corsa delle Regioni per mettersi in regola a pochi giorni dal time-out. La Sicilia riferisce l'assessore regionale alla sanità Lucia Borsellino all'Adnkronos è pronta con due Rems (residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria) che andranno ad ospitare i detenuti dell'ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto che oggi conta più di un centinaio di internati. "È stato definito un programma per l'attivazione di due Rems provvisorie da attivare nei comuni di Naso, in provincia di Messina, e Caltagirone nel catanese. Ciascuna ha una ricettività di 20 posti letto", ha detto Borsellino. Quanto alle risorse messe a disposizione, secondo la legge, per la realizzazione di strutture alternative agli Opg in questa fase transitoria, l'assessore Borsellino spiega che "la Regione Sicilia sta anticipando queste risorse utilizzando quelle del fondo sanitario regionale con la possibilità di rivalersi su quelle risorse" messe a disposizione "sia per gli investimenti di parte corrente sia per quanto attiene agli investimenti in conto capitale". Abruzzo: chiusura Opg; ecco l'immobile che farebbe risparmiare alla Regione 3,7 mln www.primadanoi.it, 27 marzo 2015 A pochi giorni dalla scadenza l'Ente regionale non si è ancora organizzato. Ancora pochi giorni poi il 31 marzo prossimo tutte le Regioni, così come disposto dal Ministero della Salute, dovranno chiudere gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e costruire strutture alternative, le cosiddette Rems, per il ricovero dei pazienti psichiatrici autori di reato ancora considerati pericolosi per se stessi e per gli altri. A pochi giorni dalla scadenza di questo termine apparentemente perentorio, la Regione Abruzzo non solo non ha iniziato i lavori della struttura definitiva individuata presso il Comune di Ripa Teatina ma non è riuscita nemmeno a provvedere alla individuazione di una struttura alternativa a carattere provvisorio. Il finanziamento per l'esecuzione dell'opera è di 4,5 milioni di euro, una somma ingente che tuttavia potrebbe essere anche eccessiva. Infatti Vittorio Sconci?, direttore del dipartimento di Salute Mentale dell'Asl aquilana racconta oggi che, in qualità di referente della Regione Abruzzo per il superamento degli Opg, venne invitato, "in tutta fretta", lo scorso agosto 2014, in piena estate, ad una riunione presso l'assessorato regionale alla Salute, alla presenza dell'assessore e del sub commissario, per cercare di colmare i ritardi con la individuazione, qualora fosse stato possibile, almeno di una struttura transitoria. "Nonostante lo stupore per la riscoperta repentina di un ruolo, quello di referente regionale, che pensavo di non avere più", racconta Sconci, "nel giro di circa dieci giorni ho trovato, ahimé, una soluzione che sarebbe potuta addirittura essere definitiva: a Collimento, Comune di Lucoli utilizzando un Palazzo Nobiliare del 700 già ristrutturato e completamente idoneo al funzionamento di una Rems. Prezzo? Circa 800 mila euro". Dunque una cifra lontanissima dai 4,5 milioni a disposizione dell'Ente regione per la realizzazione di una nuova struttura e che avrebbe fatto fruttare un risparmio di ben 3,7 milioni di euro "che sarebbero potuti essere utilizzati", sottolinea Sconci, "per rinforzare le attuali risorse dei Centri di Salute Mentale per realizzare progetti individualizzati per pazienti provenienti dagli ex Opg e non solo". Ma la regione non si è mossa e pare che l'idea non sia stata gradita, non è chiaro il motivo. Secondo il referente questa strada, nonostante tutto, sarebbe ancora percorribile e "posizionerebbe la nostra Regione ai primi posti nazionali per l'attuazione di un progetto di avanguardia a coronamento anche di una attività scientifica molto ricca e qualificata da parte di tutti gli operatori abruzzesi del settore". Per questo Sconci invita il presidente D'Alfonso, il sindaco di Lucoli, Comune proprietario dell'edificio, il sindaco dell'Aquila ed il direttore Generale della Asl Avezzano - Sulmona - L'Aquila a visitare insieme questo complesso architettonico "di grande valore artistico già pronto per l'uso e in grado di annoverare la Regione Abruzzo tra le prime in Italia per il perseguimento di un obiettivo di grande rilievo sociale ed umanitario". Calabria: Candido (Radicali); Presidente Oliverio istituisca Garante regionale dei detenuti www.zoomsud.it, 27 marzo 2015 A chiedere con forza l'istituzione e la nomina del Garante dei detenuti regionale, con un comunicato stampa, è l'esponente radicale Giuseppe Candido. Il senso del comunicato è che "non c'è tempo da perdere" perché "oltre a condizioni inumane e degradanti, oltre alle condizioni igienico sanitarie", sostiene nel comunicato il radicale, "alcuni dei detenuti stanno dietro le sbarre per una legge dichiarata incostituzionale. Non solo la metà delle carceri calabre continuano a rimanere sovraffollate, non solo hanno pareti ammuffite, scarafaggi e, pure in Calabria, i detenuti patiscono l'assenza di lavoro che non li rieduca e di personale che possa consentire loro le ore di passeggio e socializzazione. Condizioni inumane e degradanti anche per chi in carcere lavora, agenti, educatori e direttori. Nella triste fotografia pubblicata nel rapporto "Oltre i tre metri quadri" curato dall'associazione Antigone ma fondato sui dati pubblicati dal Ministero della Giustizia" - continua Candido nella nota - "emerge una realtà calabrese desolante: ben sei, di dodici istituti di pena, permangono in condizioni di sovraffollamento, e anche quelle meno affollate soffrono gravi carenze igieniche. Una situazione che come Radicali abbiamo sempre denunciato dopo ogni nostra visita condotta nelle carceri. Senza dimenticare quanto denunciato dal Presidente della Corte d'Appello di Catanzaro, Domenico Introcaso durante l'inaugurazione dell'Anno giudiziario lo scorso 15 gennaio che ha parlato, letteralmente, di gravi condizioni igienico sanitarie in cui tutti gli istituti di pena calabresi versano. Il presidente Mario Oliverio" - scrive ancora Candido - "in attesa che il Parlamento almeno discuta un provvedimento di amnistia e indulto così come aveva indicato chiarissimamente nel messaggio inviato alla Camere nell'ottobre 2013 l'allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha un grandissimo potere: quello di istituire subito il Garante regionale delle persone private della libertà personale". Poi la nota prosegue ricordando la lotta nonviolente per chiedere un provvedimento di amnistia e indulto. "Rita Bernardini" - si legge nella nota "segretaria dei Radicali, è in sciopero della fame da 10 marzo proprio per ricordare quel messaggio di Napolitano che, come Radicali, abbiamo fatto nostro manifesto politico a rilanciare in ogni luogo e che, appunto, sollevava l'obbligo giuridico (oltreché morale) di far cessare subito le condizioni inumane e degradanti che la sentenza Torreggiani della Cedu aveva sanzionato come strutturali e sistematiche e che, come dimostra la recentissima sentenza del Tribunale di Sorveglianza di Firenze che ha scarcerato e risarcito un detenuto per aver patito una detenzione inumana e degradante nell'Istituto di pena di Sollicciano, spesso continuano a permanere. Quel giudice ha scarcerato il detenuto non solo in base al minimo (violato) dei tre metri quadri che un detenuto ha il diritto umano ad avere, ma anche (e forse sarebbe da dire soprattutto) in relazione alle condizioni strutturali del carcere: muffa alle pareti, scarafaggi e ragni nelle celle, mancanza d'acqua calda. Condizioni che anche nelle carceri calabresi ricorrono dappertutto. Non sono occasionali, ma, come il sovraffollamento, sono pure loro strutturali e sistemiche. Il Garante Regionale dei detenuti, in attesa di un provvedimento di amnistia e indulto, consentirebbe quantomeno di far emergere i casi più eclatanti che pure esistono in Calabria anche per come dimostrato nelle numerose visite, fatte anche a Capodanno, come da consuetudine del partito radicale. Olivero, su questo, potrebbe marcare la differenza. Ma c'è un altro aspetto che dovrebbe invitare a considerare, con maggior ragione, la necessità urgente del Garante: anche nelle carceri, e magari in condizioni inumane e degradanti, oggi c'è pure chi sconta una pena illegale di fatto illegale perché irrorata in base a una legge dichiarata incostituzionale: la Fini-Giovanardi. Una legge dichiarata incostituzionale dalla suprema Corte nel febbraio 2014 e, adesso, con la sentenza n° 22621 del 26 febbraio scorso, la Cassazione ha ribadito la necessità di "rideterminare" (a ribasso) tutte le pene riguardanti le così dette droghe leggere. È la stessa Cassazione che sembra ricordare al legislatore, magari nelle more di un'amnistia specifica e mirata, che nelle carceri ci sono persone sottoposte, di fatto, ad una pena illegale". Padova: l'ergastolano Carmelo Musumeci abbraccia la famiglia "immensa felicità" di Alice Ferretti Il Mattino di Padova, 27 marzo 2015 Il caso di Carmelo Musumeci che ha ottenuto un permesso premio. Adesso ha chiesto la semilibertà. La testimonianza. Il primo traguardo l'ha già raggiunto, il 14 marzo scorso dopo ventiquattro anni di carcere ha ottenuto il suo primo permesso. E adesso punta già al secondo obbiettivo, ancor più ambizioso: la semilibertà. Questione di giorni e il Tribunale di Sorveglianza gli darà la risposta definitiva. Carmelo Musumeci, 59 anni, siciliano d'origine, con un passato da malavitoso all'interno di un'organizzazione criminale che controllava la Versilia negli anni Ottanta, per la sua storia e le sue lotte è diventato uno degli ergastolani più conosciuti. Entrato in carcere nel 1991 con appena la seconda elementare Carmelo Musumeci in galera si è laureato ed ha pure scritto un libro che ha vinto anche diversi premi letterari: "Gli uomini ombra". Uomini ombra in riferimento a quelli come lui, o meglio a com'era lui. Quelli con l'ergastolo ostativo: fine pena mai, niente permessi, niente visite, niente sconti. L'unica via d'uscita diventare un collaboratore di giustizia. "Carmelo inizialmente non ha voluto collaborare per paura, temeva per l'incolumità dei suoi figli", racconta Ornella Favero, direttrice della rivista del carcere "Ristretti Orizzonti" con cui Musumeci collabora in maniera attiva. "Poi il problema è diventato un altro. Anche se avesse voluto parlare ormai sulla banda malavitosa a cui apparteneva non c'era davvero più nulla da dire". Nessun nome più da fare, nessun segreto da rivelare, nessuna via d'uscita dall'ergastolo più terribile. Poi a dicembre. quando ogni speranza era ormai persa da tempo la svolta. Il Tribunale di Sorveglianza concede a Carmelo Musumeci la "collaborazione inesigibile". I reati cioè che potrebbe indicare sarebbero già prescritti o già accertati. E così il 14 marzo scorso l'ergastolo di Musumeci da ostativo è diventato semplice ergastolo, con la possibilità di avere fino a quarantacinque giorni di permesso premio in un anno. "Carmelo è contentissimo, è uno stravolgimento totale della sua vita", racconta Ornella Favero, che con Musumeci ha a che fare quotidianamente. "È ancora stravolto dal forte impatto emotivo di uscire dopo tanti anni dal carcere e di riabbracciare i suoi cari. Deve imparare a conoscere la felicità, un sentimento che da troppo aveva dimenticato". Carmelo Musumeci il 14 marzo ha avuto nove ore di permesso premio, dalle 9 del mattino alle 18. Accompagnato da un operatore volontario del carcere si è recato presso la Casa di Accoglienza "Piccoli Passi", una struttura di via Po, poco lontana dal Due Palazzi, che accoglie sia detenuti in permesso premio che ex detenuti. Lì ha rincontrato dopo anni la moglie, i due figli e diversi amici. "È stata una festa per Carmelo, hanno pranzato tutti insieme, non gli sembrava vero", ricorda Ornella Favero. Manca dunque adesso solo l'ultimo passo: quello di ottenere la semilibertà. "Sarebbe il massimo. Attendiamo con ansia questi ultimi giorni prima del verdetto del Tribunale di Sorveglianza". Padova: l'ergastolano Bastiano Prino si laurea in Storia Ha studiato mentre sta scontando in carcere una condanna in via definitiva per la strage di Chilivani. Emozionato, circondato dai parenti più stretti arrivati da Nuoro, ieri mattina ha conseguito la laurea in Storia e filosofia all'università di Padova discutendo una tesi sul grande storico francese Marc Bloch, autore del celebre "Apologia della storia". Una tesi che confronta Bloch con Antonio Gramsci e Emilio Lussu. È stata una giornata del tutto particolare, insomma, quella di ieri, per Sebastiano Prino, 51 anni, nuorese, condannato all'ergastolo in via definitiva per la strage di Chilivani del 1995. Prino sta scontando la sua pena nel carcere di Padova, dunque, ed evidentemente ha scelto di impiegare in modo utile il tempo trascorso in cella nel penitenziario veneto. Negli ultimi anni, infatti, si è iscritto al corso di laurea in Storia e filosofia, ha dato un esame dietro l'altro, e alla fine ha raccolto anche i frutti del suo impegno sui libri. Ieri mattina, davanti alla commissione di docenti universitari della sua facoltà, circondato dall'affetto dei suoi parenti, dalla mamma, dalle sorelle Carmela e Pasqualina, dai nipoti e cognati arrivati numerosi da Nuoro, per Bastiano Prino è arrivato, dunque, un "110" per il suo percorso di studi e per la sua tesi di laurea. Laureana di Borrello (Rc): Nesci (M5S) interroga il ministro Orlando sul "Luigi Daga" Il Velino, 27 marzo 2015 La parlamentare pentastellata chiede il ripristino della pianta organica del personale penitenziario e sanitario. La deputata del Movimento 5 Stelle, Dalila Nesci, ha presentato un'interrogazione rivolta al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, per sapere "quali azioni urgenti intenda adottare in relazione alla difficile situazione del carcere "Luigi Daga" di Laureana di Borrello, in provincia di Reggio Calabria, in particolare rendendo esecutivo l'impegno di raggiungere la capienza complessiva dell'istituto penitenziario". Con riferimento a un sinistro del passato, la parlamentare ha chiesto, inoltre, se il ministro "non ritenga opportuno provvedere immediatamente al ripristino della pianta organica del personale penitenziario e sanitario, affinché in futuro si evitino incidenti". Secondo Nesci, "è fondamentale che i penitenziari siano capienti e sicuri, che garantiscano al personale in servizio e ai detenuti buone condizioni di lavoro e dignità umana, soprattutto in strutture all'avanguardia, come l'istituto "Luigi Daga" di Laureana di Borrello, in cui i detenuti possono imparare a fondo un mestiere per reinserirsi nella società civile, mai più incorrendo in atti fuori legge". Firenze: sindacato Cnpp; dopo la chiusura dell'Opg destinare Montelupo a penitenziario Ansa, 27 marzo 2015 Tra meno di una settimana, il 31 marzo, chiuderà l'Opg di Montelupo ma la struttura penitenziaria nella villa medicea dell'Ambrogiana dovrebbe continuare ad esistere, anche dopo l'uscita degli internati, ospitando detenuti a basso e medio indice di pericolosità, impiegati in attività lavorative, magari anche nella manutenzione dell'immobile. È quanto sostiene il sindacato di polizia penitenziaria Cnpp della Toscana. Il Cnpp, attraverso il segretario regionale Stefania Cozzolino, rileva che negli ultimi anni per ristrutturare il sito penitenziario di Montelupo sono stati spesi "7,5 milioni di euro che hanno reso la zona detentiva perfettamente funzionante ed accogliente, pronta per ospitare 160 detenuti" e che "proprio in questi giorni è stato reso pubblico che le condizioni strutturali di alcune carceri toscane come Sollicciano, Pisa, Pistoia e altri sono pessime e che alcuni padiglioni dovranno chiudere per essere ristrutturati. Quale migliore occasione per sfruttare un sito penitenziario come quello di Montelupo, perfettamente efficiente e funzionale?". In Cnn evidenzia poi che "l'eventuale chiusura dell'istituto di Montelupo porterebbe al licenziamento di circa 15 lavoratori dell'area sanitaria oltre che generare un enorme disagio per i circa 100 dipendenti del ministero della Giustizia, poliziotti e civili, che verrebbero assegnati ad altra sede. A parte qualche breve accenno sulla sorte dei lavoratori nella giornata di ieri - conclude il Cnpp, il Dap continua a dimostrarsi sordo alle richieste di incontro delle organizzazioni sindacali: non possiamo e non vogliamo credere che i giochi e gli accordi sono già fatti e che non ci sia più niente da fare poiché siamo convinti che la nostra partecipazione nei processi decisionali unita alla trasparenza dell'azione del Governo, dell'Amministrazione penitenziaria e delle Istituzioni regionali e locali possa portare ad una soluzione del problema condivisa che accontenti tutti". Cgil: no a proroghe per chiusura Opg "Non è accettabile né giustificabile una proroga alla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Per questo se necessario, come previsto in modo chiaro dalla legge, il governo può commissariare le Regioni che, a pochi giorni dalla scadenza del 31 marzo, non sono ancora pronte ad accogliere i propri cittadini internati. Non sarebbe una punizione ma un atto di responsabilità, visto che in molte realtà sono state trovate soluzioni, seppur transitorie". Così Stefano Cecconi, responsabile Salute della Cgil nazionale e tra i promotori di Stop Opg, interviene nel giorno in cui si riunisce l'organismo di monitoraggio per la chiusura degli Opg, presieduto dal sottosegretario De Filippo. "Ritardi, incongruenze e difficoltà sono fisiologiche per una riforma di questa portata - continua Cecconi - ma non la possono fermare. Serve una forte regia nazionale per attuare la legge 81/2014, norma che - spiega concludendo il dirigente sindacale - ha spostato il baricentro degli interventi per il superamento degli Opg dalle strutture (le Rems) ai percorsi di cura e inclusione sociale per ogni persona". Ariano Irpino (Av): detenuto inala gas e ingerisce farmaci epilettici, finisce in ospedale Agi, 27 marzo 2015 Un detenuto del carcere di Ariano è stato trasportato all'ospedale Frangipane per aver inalato gas e ingerito una dose eccessiva di farmaci epilettici. Il giovane 30enne originario di Napoli avrebbe perso i sensi. L'allarme è stato lanciato dai compagni di cella e dalla Polizia Penitenziaria. Immediatamente soccorso dai sanitari del 118, il giovane si trova ricoverato in ospedale sotto osservazione. Le sue condizioni non sarebbero gravi. Mantova: già condannato per spaccio all'Opg di Castiglione, patteggia altri venti mesi Gazzetta di Mantova, 27 marzo 2015 Anfetamina, coca, hashish, marijuana: un eldorado per piccoli spacciatori quello trovato due anni fa a casa di Sergio Pedrazzoli, 48 anni, pluripregiudicato di Castel Goffredo e della sua convivente, dipendente dell'Opg di Castiglione delle Stiviere. Nel dicembre del 2013 il giudice per l'udienza preliminare Gilberto Casari lo aveva condannato a cinque anni e quattro mesi di reclusione. Ieri mattina lo stesso giudice ha rincarato la pena, in quanto a seguito di un'ulteriore perquisizione nella sua casa, i carabinieri avevano trovato altri quantitativi di anfetamine. Da qui un anno e otto mesi patteggiati che portano la detenzione a sette anni e due mesi. Un vero e proprio bazar la casa di Pedrazzoli, con merce per tutti i gusti e per tutti i prezzi. Roba destinata soprattutto ai degenti-detenuti dell'ospedale psichiatrico giudiziario, al cui approvvigionamento provvedeva proprio la convivente, in qualità di operatrice socio assistenziale. L'anfetamina, in particolare, era diretta ai pazienti ricoverati nella struttura di cura e detenzione, sia a uomini che donne, condannati per crimini gravissimi. Tra questi gli infanticidi. L'infermiera lavorava proprio a contatto con le mamme ospitate nel reparto Arcobaleno. Al termine di una complicata indagine, partita proprio dalla soffiata di un paziente dell'Opg, i carabinieri di Castiglione erano arrivati a individuare la coppia dello spaccio e altri due giovani pusher e a sequestrare quasi tre chili di stupefacenti. La Spezia: "Gaol", le sedie prodotte da due detenuti saranno in vetrina all'Expo di Benedetto Marchese www.cittadellaspezia.com, 27 marzo 2015 Grazie alla collaborazione fra la direzione di Villa Andreino e Metallica Srl è nato il progetto che ha consentito di assumere le due persone che hanno prodotto 500 sedie. Costa Group le porterà all'esposizione di Milano. La Spezia - Il loro nome "Gaol", dall'inglese "prigione", indica immediatamente la loro provenienza mentre le mani che le hanno prodotte arrivano da lontano ed hanno dietro storie diverse confluite in una lodevole iniziativa sviluppata all'interno della casa circondariale della Spezia "Villa Andreino". Si tratta delle 510 sedie in metallo realizzate da due detenuti, uno tunisino e l'altro ecuadoriano, che dal primo maggio saranno visibili all'Expo di Milano. La vetrina più importante per un progetto che oltre alla sensibilità e all'interesse nel reinserimento dei detenuti da parte dello staff della direzione guidata da Maria Cristina Bigi, ha trovato l'entusiasta adesione di Giorgio Manfroni, titolare della Metallica Srl, azienda fortemente radicata sul territorio che da più di un secolo opera nel settore della carpenteria metallica e d'arredo occupando una quindicina di persone e che venderà le sedie anche nel proprio punto vendita. Il progetto della carpenteria nel carcere spezzino era partito nel 2010 ed aveva preso concretamente forma l'anno successivo con un articolato percorso formativo cofinanziato dalla Cassa delle Ammende, ente del Ministero della Giustizia che finanzia "programmi di reinserimento in favore di detenuti e internati, programmi di assistenza ai medesimi e alle loro famiglie e progetti di edilizia penitenziaria finalizzati al miglioramento delle condizioni carcerarie". Grazie ad una cooperativa 20 persone avevano seguito un corso in piena regola e riguardante le tecniche di saldatura, il primo soccorso e tutto il necessario per consentirgli di avere un'adeguata preparazione in vista della loro scarcerazione. Un'esperienza che si è rivelata molto preziosa dato che la maggior parte dei 18 arrivati fino alla certificazione, hanno poi trovato una precisa collocazione lavorativa una volta scontata la pena. Nel luglio 2014 è poi subentrata la Metallica Srl che ha subito colto la proposta della direzione di scommettere sul progetto, assumendo in piena regola due detenuti, selezionati in base a motivazioni ed attitudine, da far lavorare all'interno delle mura di Villa Andreino sempre nell'ottica del reinserimento sociale anche grazie ad alcune agevolazioni messe a disposizione dallo Stato. "Al momento - spiega Manfroni - l'azienda ha una sua vera e propria filiale interna al carcere, con contratti validi a tutti gli effetti che permettono a questi due ragazzi (entrambi sotto i trent'anni) di poter svolgere un lavoro part-time che viene adeguatamente retribuito. C'era la necessità di adattare il lavoro alle capacità e al materiale disponibile nell'officina, così abbiamo deciso di puntare su queste tre sedie con lo schienale personalizzabile. L'idea è piaciuta molto a Franco Costa di Costa Group che ha aderito con entusiasmo al progetto decidendo di portarne 510 fra quelle prodotte all'Expo di Milano. Molto del merito - aggiunge - va anche all'agente Roberto Uccheddu che segue con grande attenzione ed aiuta i due ragazzi nel loro lavoro". Un impiego, quello dei due detenuti, che oltre ad aiutarli molto anche dal punto di vista umano responsabilizzandoli e abituandoli al lavoro di squadra, ha stimolato l'attenzione e la curiosità del resto della popolazione del carcere - circa 180 persone, numero in linea con la capienza dell'istituto - che è impegnata in numerose altre attività culturali e sportive. "Spero che questa mia esperienza possa spingere altri imprenditori ad investire per ridare speranza e dignità a queste persone. Non solo in loro ma in tutto lo staff della direzione ho trovato uno spirito costruttivo e di piena collaborazione che mi ha gratificato molto. Posso assicurare - conclude Manfroni - che non c'è stipendio o guadagno che possa eguagliare la felicità e alla soddisfazione di questi ragazzi quando sono al lavoro". Lamezia Terme: i club Rotary finanziano progetto "Oltre le mura" nell'Istituto Penale Minorile www.lametino.it, 27 marzo 2015 "Oltre le mura" è il progetto finanziato dai Rotary Club Lamezia Terme e Catanzaro Tre Colli, e dalla Sovvenzione della Rotary Foundation del Distretto 2100, per creare un momento d'interazione fra la realtà carceraria minorile e la società civile e, in particolar modo, il mondo della scuola. "L'iniziativa - è scritto in una nota - ha promosso attività tese a migliorare le primarie esigenze del disagio minorile inframurario, ed il taglio che si è voluto conferire al progetto è stato, prima di tutto, di carattere pratico. Per questo, infatti, sono stati attivati, all'interno dell'Istituto Penale Minorile di Catanzaro, corsi professionali di pizzaiolo, che hanno consentito ai giovani detenuti di imparare un mestiere. La formazione professionale, infatti, oltre ad alleviare il peso della carcerazione, costituisce uno stimolo di vitale importanza per i ragazzi che, finito di scontare il proprio debito con la giustizia, avranno la necessità di ricollocarsi positivamente nel consesso civile. Una qualificazione professionale potrà, di certo, agevolare il loro percorso di reinserimento sociale". A presenziare alla cerimonia di consegna degli attestati di qualifica di pizzaiolo ai giovani detenuti, che si è svolta dopo la degustazione delle pizze preparate dai ragazzi, sono stati oltre al direttore dell'Ipm, Francesco Pellegrino, il past governor Francesco Socievole (presidente della Commissione Rotary Foundation del Distretto 2100 - che ha sovvenzionato il progetto), il presidente del Rotary Club Catanzaro Tre Colli, Felice Foresta, il presidente del Rotary Club Lamezia Terme, Raffaella Gigliotti (accompagnata dal vice-presidente - Massimo Sdanganelli, e dal segretario - Claudio Sdanganelli) ed il presidente della Scuola Pizza di Cosenza, Michele Intrieri. Il Pdg Francesco Socievole ha spiegato "l'impegno del Rotary profuso per il mondo adolescenziale e giovanile; impegno, che con questo progetto si è voluto in particolare dedicare ai giovani reclusi, al fine di far sentire loro più vicina e più vera la prospettiva di una serena vita di lavoro, senza il contraccolpo dell'emarginazione e dell'isolamento post carcerario". "Siamo entusiasti degli esiti di questo progetto; un progetto straordinario - ha detto il presidente del Club di Lamezia Terme, Raffaella Gigliotti - perché è rivolto ai giovani, al nostro futuro - a voi, che siete una generazione di giovani che ha tanto bisogno di aiuto, che ha il bisogno di credere che esiste una società accogliente "oltre queste mura", quando sarà per voi il momento della libertà; ma è un progetto straordinario anche perché è rivolto ai giovani studenti delle nostre città (alcuni sono già stati qui, altri ancora ne verranno il mese prossimo), perché vogliamo che queste mura non siano mai da considerare un frammento insormontabile di pregiudizio - tra voi e loro, tra voi e tutti i giovani ai quali arriverà questo messaggio da parte nostra. E ha proseguito, rivolgendosi ai giovani detenuti, "Noi siamo orgogliosi di voi e siamo certi che un giorno - fuori da qui - saprete fare tesoro di questa professionalità acquisita, testimoni e protagonisti di una azione solidale, che è partita dal cuore dei Rotary Club". "Considerando che la reclusione minorile dovrebbe essere l'ultima spiaggia cui approdare - quando è franata ogni altra strada di prevenzione, è da prendere atto - ha affermato il presidente del Rotary Club Catanzaro Tre Colli, Felice Foresta - che la tragica frattura che si crea tra giovani reclusi e mondo esterno può essere recuperata e sanata solo comprendendo l'importanza del recupero a tutela della dignità umana e dell'interesse collettivo, affinché successive ricadute nella disperazione siano fortemente contrastate. Con questo progetto abbiamo raggiunto gli obiettivi prefissati, contribuendo alla formazione professionale ed al recupero sociale dei giovani ospiti dell'Ipm". I Rotary Club Lamezia Terme e Catanzaro Tre Colli, oltre a finanziare i corsi di pizzaiolo rivolti ai giovani detenuti, hanno organizzato visite presso l'Istituto Penale Minorile di giovani studenti di alcune Scuole Superiori delle rispettive città. In particolare, hanno aderito al Progetto il Liceo Classico Galluppi di Catanzaro e l'Istituto Tecnico Commerciale V. De Fazio di Lamezia Terme - unitamente ai giovani soci dei Club Interact Catanzaro e Lamezia Terme-Reventino. Nel corso delle visite lo staff dell'IPm, diretto egregiamente dal dottor Francesco Pellegrino, ha illustrato l'organizzazione ed il funzionamento dell'Istituto, le iniziative poste in essere di continuo, a sostegno dell'educazione e della dignità dei giovani ospiti, cercando di comunicare la mission che ispira la loro azione: non solo di custodia, ma fortemente educativa e costruttiva rispetto alla proiezione dei ragazzi nella società civile. Tali aspetti sono stati rimarcati anche dai docenti accompagnatori, che hanno indirizzato gli studenti a considerare il disagio attraversato dai loro coetanei meno fortunati, portando proprio per questo rispetto e comprensione. I gruppi hanno anche incontrato alcuni giovani ospiti dell'Istituto restando senza dubbio colpiti dai contenuti del dialogo instaurato; contenuti che hanno dato prova della buona qualità della vita condotta all'interno di questa struttura d'eccellenza, ma, soprattutto, del grande e valido patrimonio umano presente al suo interno. Cagliari: il 31 marzo incontro-dibattito sul tema "41bis e territorialità della pena" Ristretti Orizzonti, 27 marzo 2015 La territorialità della pena e il regime di massima sicurezza nelle carceri sono due aspetti delle norme penitenziarie che offrono spunti di riflessione e confronto. Il primo, sancito dall'articolo 42 della legge sull'ordinamento penitenziario e dall'art. 62 del regolamento di esecuzione, ripropone la questione della funzione rieducativa della pena e del reinserimento sociale della persona privata della libertà. Il secondo "41bis" mette invece l'accento sull'esigenza del massimo rigore nei confronti di detenuti considerati pericolosi come i terroristi e gli appartenenti a clan e/o a organizzazioni criminali. La territorialità della pena resta in moltissimi casi solo un principio a cui non conseguono atti concreti, mentre l'annunciata apertura nelle Case Circondariali di Cagliari-Uta e Sassari-Bancali di un apposito padiglione destinato ai detenuti in regime di 41bis sta suscitando preoccupazioni per le conseguenze derivanti da possibili infiltrazioni mafiose della criminalità organizzata. In considerazione dell'attualità delle problematiche, l'associazione culturale Onlus "Socialismo Diritti Riforme" e la sezione cagliaritana dell'Associazione Nazionale Forense organizzano un incontro-dibattito su "41bis e Territorialità della Pena". L'iniziativa è in programma nella Sala Biblioteca dell'Ordine degli Avvocati, al quarto piano dell'ala nuova del Palazzo di Giustizia, in piazza Repubblica, martedì 31 marzo ore 16.30. Coordinerà il dibattito l'avv. Francesco Mulas, segretario dirigente della sezione cagliaritana dell'Associazione Nazionale Forense. Ad introdurre il tema dell'incontro sarà Maria Grazia Caligaris, responsabile dell'associazione Sdr. Tra gli interventi programmati quelli Rita Dedola, presidente dell'Ordine degli Avvocati di Cagliari, Anna Maria Busia, consigliera regionale CD, Pierluigi Farci, direttore della Casa Circondariale di Oristano-Massama, Giampiero Farru, referente regionale dell'associazione "Libera". L'evento è in corso di accreditamento per il riconoscimento dei crediti formativi. Cagliari - martedì 31 marzo - Sala Biblioteca Ordine Avvocati - 4 piano - Ala Nuova Palazzo Giustizia - Piazza della Repubblica - ore 16.30. Busto Arsizio: "Voce Libera", il giornale voluto da Fabrizio Corona diventa cartaceo www.varesenews.it, 27 marzo 2015 È uscito il primo numero di Voce Libera, il progetto voluto dal noto paparazzo durante il suo periodo di detenzione nel carcere di via per Cassano. È stato presentato nei giorni scorsi il nuovo giornale realizzato dai detenuti del carcere di Busto Arsizio. Il 24 marzo è uscito il numero zero di "Voce Libera", il mensile fortemente voluto da Fabrizio Corona durante il suo breve periodo di detenzione a Busto Arsizio. A presentarlo è stato il fratello Federico insieme a Rita Gaeta, responsabile dell'area trattamentale del carcere di Busto Arsizio. Il giornale, gestito da una redazione di detenuti e realizzato dalla cooperativa sociale 3B, intende dare voce al mondo carcerario, alle riflessioni sullo status di detenuto, ad approfondimenti sul sistema giudiziario e penitenziario, norme, regolamenti e informazioni utili raccontati in forma critica ma attinente alla verità anche attraverso inchieste e analisi di dati. Il giornale è anche fornito di un portale su internet (www.vocelibera.net) dove si possono trovare alcuni dei contenuti del giornale e le modalità per avere informazioni ulteriori. Lucca: studenti dell'Istituto "Benedetto Croce" si recano in visita al carcere di San Giorgio www.luccaindiretta.it, 27 marzo 2015 Alla scoperta della realtà carceraria, trovando spunti di riflessione importanti. Venti ragazzi del centro studi Benedetto Croce - Gruppo Esedra di Lucca, ieri (26 marzo) hanno fatto visita ai detenuti della Casa circondariale di via San Giorgio. L'iniziativa, fa parte del progetto Carcere - scuola, organizzato dallo stesso istituto lucchese con i dirigenti della struttura di detenzione. Accompagnati dalla direttrice del centro, Arianna Fanani, e dalle docenti Federica Brugiati e Marina Ciucci (che hanno curato la parte didattica in aula e seguito l'interazione coi detenuti), gli studenti del Benedetto Croce hanno socializzato con gli ospiti, attraverso la produzione di attività sociali gestite dai volontari del gruppo teatrale Empatheatre. Dopo questo passaggio emotivamente forte, si è passati ad un vero e proprio "faccia a faccia" tra alcuni detenuti e gli studenti. La giornata in San Giorgio è seguita all'incontro svoltosi un mese e mezzo fa nella sede di Esedra Scuole a San Concordio, quando il direttore della struttura, Francesco Ruello, parlò del rapporto tra detenzione e rieducazione. In queste settimane di intensa preparazione all'evento di ieri, la professoressa Brugiati (insegnante di diritto) si è occupata di curare gli aspetti giuridici del sistema penale e carcerario italiano, mentre Marina Ciucci ha puntato sulle dinamiche psicosociali che si vivono all'interno della realtà penitenziaria: "Sono soddisfatta - dichiara Arianna Fanani, perché i ragazzi hanno lavorato sodo per preparare questa giornata che sicuramente non dimenticheranno, e che si inserisce nella filosofia dell'azienda, cioè che la scuola deve guardare anche fuori dalle aule e vivere la realtà quotidiana, anche quella più delicata". Milano: "Bail Bond", una mostra fotografica che parla ai detenuti del carcere di Opera di Silvia Parmeggiani Il Fatto Quotidiano, 27 marzo 2015 Ci sono oltre una ventina di scatti di medie dimensioni, tutte a colori. Una dopo l'altra, pannello dopo pannello, raccontano la storia di Warren, rapinatore seriale, di altre decine e decine di persone che hanno commesso reati, oltre alle storie di Bobby e del fratello George: di uno che presta ai soldi agli imputati per non finire dentro e l'altro che, se questi non rispettano le regole, li cerca in capo al mondo per riportarli in carcere. È una storia particolare quella di Bail Bond, di un mondo underground della legislazione americana raccontato dalla fotografa freelance Clara Vannucci nel suo progetto per Fabrica e in mostra fino al 2 aprile al carcere di Opera a Milano. È qui, tra le celle, che Clara ha deciso di ospitare la sua mostra, nel posto dove ha già insegnato qualche lezione di giornalismo e dove presto seguirà un nuovo corso di fotografia assieme ai detenuti di Opera. Una mostra che, per ragioni di estrema sicurezza, non rimarrà aperta a tutto il pubblico (lo è stata solo il 19 marzo in una serata particolare) ma che sarà riservata - proprio per proseguire le attività che avvicinano il carcere al mondo esterno- ai giovani studenti delle scuole e anche a tutte le famiglie di chi è detenuto a Opera che potrà passare una giornata diversa coi propri famigliari. "Un'iniziativa che permette di ridare o mantenere la dignità delle persone" ha detto l'ispettore Maria Visentini, presentando l'iniziativa. Una mostra che parla di pene e detenuti americani all'interno del più grande carcere italiano e che, come spiega Clara Vannucci, "non poteva trovare sede migliore se non all'interno del carcere". Un carcere dove stanno nascendo sempre più progetti da parte di detenuti che vogliono cercare di cambiare le loro vite, come il corso di giornalismo che sta portando molto lavoro esterno ai detenuti che si stanno impegnando a formare una start up che faciliti l'accesso al mondo del lavoro, che dia competenze, formazione e che sia qualcosa in cui credere e a cui aggrapparsi. Ed è qui che si inserisce Clara che, dopo la mostra, con Fabrica entrerà nelle aule del carcere per insegnare fotografia ai detenuti e dove, forse, potranno nascere anche nuove collaborazioni con il centro di ricerca sulla comunicazione di Benetton Group. Notizia che dà Enrico Bossan, responsabile dell'area Editorial di Fabrica, nell'ottica di proseguire questo percorso di riabilitazione e avvicinamento col mondo esterno dei detenuti. È stato lo stesso Bossan a scoprire Clara Vannucci, a darle delle dritte su come proseguire con il suo progetto fino a pubblicare Bail Bond per Fabrica. Un progetto nato per caso nel 2011 in un bar dove Clara incontrò Bobby, un bounty hunter. Un cacciatore di taglie, uno che segue gente in debito col suo capo e aspetta giorno e notte il momento migliore per recuperare i crediti dai defendant, cioè tutti coloro che, in America, si fanno prestare soldi dai Bail Bondsmen per riuscire a pagarsi la cauzione e non finire in carcere. Tra defendant e bail bondsmen si crea un rapporto fatto di regole da rispettare e se l'imputato non le rispetta, il garante può assumere un cacciatore di taglie, il bounty hunter, per ritrovare il fuggitivo affinché si presenti in aula. Una storia complicata di una zona giuridica ancora inesplorata che Clara racconta in Bail Bond. "Un progetto che più volte avrei accantonato - dice - ma che alla fine sono riuscita a portare a termine. Sono stata scaraventata in un mondo troppo distante dal mio, non avevo freddezza nello scatto e non sapevo mai cosa sarebbe successo". Per diversi mesi Clara ha infatti lavorato al fianco di un bondsman e ha condiviso con lui i tempi lunghi e incerti degli appostamenti, le uscite notturne a caccia di fuggitivi, la tensione nell'indossare un giubbotto antiproiettile, le scariche di adrenalina durante le irruzioni nelle case dei presunti evasi, le notti insonni nonostante la stanchezza. Storie difficili come quella di Warren, che ha colpito Clara tra tutte. "Lui ha messo a segno 13 colpi, al tredicesimo è stato arrestato a seguito di un incidente. Quando si è svegliato dal coma si è trovato ammanettato al letto. È stato arrestato, si è fatto 11 anni in carcere e poi è uscito, poi arrestato di nuovo per detenzione arma da fuoco. Oggi Warren è libero, è stato dichiarato innocente per il suo secondo reato. È la testimonianza che, anche dopo un grosso errore, si può cambiare". Roma: Ospedali Psichiatrici Giudiziari verso chiusura, in mostra i volti dell'alienazione di Maria Teresa Squillaci www.vocidiroma.it, 27 marzo 2015 Via le sbarre dagli ospedali giudiziari, dal 31 marzo saranno sostituiti dalle Rems. Al Museo di Roma in Trastevere 40 disegni sul disagio mentale. Oggi oltre 700 persone in Italia sono internate negli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). La loro definitiva chiusura è stata stabilita da un decreto, convertito in legge il 17 febbraio 2012, con scadenze via via prorogate. L'ultima data fissata è il 31 marzo 2015. Proprio a cavallo del fatidico giorno (dal 25 marzo al 3 maggio 2015), il Museo di Roma in Trastevere ospiterà la mostra I volti dell'alienazione. L'esposizione raccoglie 40 disegni e 70 studi dell'artista e designer milanese Roberto Sambonet realizzati tra il 1951 e il 1952 nel manicomio di Juqueri, in Brasile, che raccontano il complesso fenomeno del disagio mentale. Guardare a queste persone come pazienti bisognosi di cure e non come criminali, è questo l'obiettivo della campagna di sensibilizzazione a cui questa mostra vuole dare il suo contributo. Da tempo si parla del trasferimento della sanità penitenziaria dal ministro della Giustizia a quello della Salute, aumentando e potenziando i percorsi alternativi e riabilitativi per i pazienti malati, ma così non è stato. Almeno fino ad oggi. L' articolo 32 della Costituzione Italiana è chiaro "La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana". A seguito della riforma penitenziaria (legge 25 luglio 1975 n°354) gli ospedali psichiatrici giudiziari hanno rimpiazzato i "manicomi giudiziari". In Italia, sono sei gli ospedali giudiziari: uno in Sicilia (Barcellona Pozzo di Gotto), due in Campania (Aversa e Napoli), uno in Toscana (Montelupo Fiorentino), uno in Emilia Romagna (Reggio Emilia), uno in Lombardia (Castiglione delle Stiviere). Ospitano oltre 700 persone. Il primo piano di superamento delle Opg risale al 2008. Da allora, sono state tante le inchieste che hanno denunciato il pessimo stato di molte di queste strutture. In particolare dal 2010 quando la commissione parlamentare d'inchiesta presieduta dall'attuale Sindaco di Roma Ignazio Marino, entrò per la prima volta in questi manicomi. Le condizioni erano simili a quelle delle carceri italiane: stanze con quattro internati invece di due, letti sporchi, bagni impossibili da usare e pessime condizioni igieniche dei detenuti. "Non potrò mai dimenticare quando entrammo a Barcellona Pozzo di Gotto e vidi il letto di contenzione - racconta Michele Saccomanno, relatore della commissione di inchiesta sugli Opg - chiamarlo letto era una vergogna, era una branda semi arrugginita con un foro centrale che il malato, nudo e legato con delle corde, usava per defecare e urinare. C'era poi un altro, rinchiuso da 25 anni solo perché omosessuale, non aveva fatto niente ma la famiglia non lo voleva perché si vergognava". Secondo l'ex senatore gli internati sono persone malate e come tali vanno curate e recuperate nel pieno rispetto della dignità umana e dei diritti costituzionalmente garantiti: "Dimentico i ritardi, dimentico tutto, finalmente non ci sarà più un mondo veramente vergognoso come quello che abbiamo raccontato". Dal 1 aprile 2015 dopo anni di rinvii, come fissato dalla legge 81/2014, gli Opg dovranno essere chiusi. Al loro posto ogni regione dovrà rendere operative strutture residenziali definite Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems). Le Regioni inadempienti rischiano il commissariamento. Per finanziare la creazione o la riconversione delle strutture esistenti, il Parlamento ha già stanziato 120 milioni di euro (più 38 milioni per il personale) nel 2012 e 60 milioni (più 55 milioni per il personale) nel 2013. Le Rems non saranno più strutture carcerarie in senso stretto ma finalizzate alla riabilitazione dei pazienti internati. Ci saranno reparti più piccoli, per un massimo di 20 posti letto ciascuno, con un aumento del personale e si toglieranno le sbarre dalle finestre. Una struttura come quella di Castiglione delle Stiviere oggi accoglie 160 pazienti. Da aprile si trasformerà in 8 residenze per accogliere le misure di sicurezza Rems. Più stretto anche il rapporto con il territorio. Le nuove strutture saranno regionali ed accoglieranno i pazienti puntando anche al reinserimento lavorativo in quelle zone. La chiusura delle Opg si rimanda da anni. Ogni volta che veniva messa sul tavolo, emergevano una serie di criticità relative alla capacità delle regioni di fornire strumenti adeguati per accogliere i malati (la Conferenza Stato - Regione, tenutasi nel mese di gennaio 2014, aveva approvato un emendamento che proponeva un'ulteriore proroga della chiusura fino ad aprile 2017, ma è stato rigettata dal governo). Innanzitutto molti Opg ospitano detenuti che non sono solo malati mentali, ma persone che hanno commesso crimini e perciò devono scontare lì la loro pena. Il più delle volte questi internati dovrebbero essere riaccolti dalla famiglie che invece non li vogliono e quindi restano nella struttura che li accoglie. Ad oggi sono 704 gli internati negli attuali sei ospedali psichiatrici giudiziari ancora attivi, di questi circa 250 sono considerati dimissibili al primo aprile ma potranno di fatto essere dimessi solo se vi sarà una rete adeguata di centri sociali e strutture finalizzate al reinserimento pronte ad accoglierli. Gli altri 450 internati dovranno invece essere trasferiti gradualmente nelle Rems, gestite dal servizio sanitario nazionale, in base alla provenienza, tornando dunque nelle regioni d'origine. I trasferimenti avverranno sulla base di provvedimenti della magistratura e di precisi programmi terapeutici. Un altro aspetto è stato messo in luce dal direttore dell'Opg di Castiglione delle Stiviere, Andrea Pinotti. In un'intervista all'Ansa, ha sottolineato che la riforma "porterà ad una parcellizzazione e non vi saranno più poli di specializzazione per patologie". Il Comitato Stop Opg infine ha denunciato il rischio che le 43 nuove Rems che verranno costruite si trasformino in mini-Opg, cioè strutture simili a quelle precedenti che puntano sulla detenzione anziché sul recupero della persona. Napoli: un altro abbraccio per papa Francesco… ecco la stola dei ragazzi di Nisida di Paolo De Luca La Repubblica, 27 marzo 2015 Napoli torna ad abbracciare papa Francesco. Stavolta con un regalo, proveniente direttamente da Nisida. A pochi giorni dal suo intenso viaggio partenopeo, il Sommo Pontefice ha infatti ricevuto mercoledì in Vaticano un gruppo di quindici ragazzi del carcere minorile dell'isolotto di Coroglio. I giovani detenuti gli hanno portato in dono una stola bianca ricamata da loro stessi, frutto di un laboratorio sartoriale promosso dalla Regione, che hanno seguito tra le mura del penitenziario, diretto da Gianluca Guida. Ad accompagnarli, il loro maestro e ideatore del corso, Pino Peluso, titolare dell'omonima sartoria storica di via Martucci. Affiancato da un assistente, Peluso ha tenuto per i novelli apprendisti (sia ragazzi che ragazze) lezioni di storia del costume e della moda, dello studio dei materiali, del disegno su carta e la sua successiva traduzione su stoffa. Ogni incontro ha dato i suoi frutti, tanto che ogni alunno è stato in grado di realizzare un proprio gilet su misura, oltre che la stola per il Pontefice, ricamata con soggetti e simboli sacri, dalla colomba al ramoscello d'olivo. "All'inizio - spiega Peluso, che è anche presidente nazionale della Camera europea dell'Alta sartoria - facevano fatica a credere a dei progressi così concreti. Lezione dopo lezione, i ragazzi hanno capito che i sogni si possono realizzare se coltivati con impegno" Firenze: "Aperitivi Galeotti" a Sollicciano, 4 serate da passare in carcere di Gianni Carpini www.ilreporter.it, 27 marzo 2015 Quando l'apericena è "al fresco". Sollicciano da fine aprile ospita gli "Aperitivi Galeotti": grandi chef accanto a cuochi d'eccezione per un fine benefico. Un aperitivo curato da uno chef di grido, musica e momenti di teatro a fare da contorno. Tutto nella norma se non fosse per la location: un carcere. E gli invitati sono tutti i fiorentini. A Sollicciano arrivano gli "Aperitivi galeotti", sulla falsa riga delle "Cene Galeotte" che si svolgono dal 2006 nella casa di reclusione di Volterra, coinvolgendo detenuti-cuochi guidati da maestri dei fornelli. Si inizia con 4 serate, sempre al giovedì dalle ore 18.00 (23 aprile, 21 maggio, 4 e 18 giugno), all'interno del Giardino degli incontri, la struttura voluta dentro Sollicciano dall'architetto Giovanni Michelucci come luogo della città all'interno del carcere. "Il desiderio è di realizzare in questo spazio eventi ai quali far partecipare la comunità esterna per ridare al Giardino degli incontri la valenza per la quale è nato", spiega la direttrice del carcere Maria Grazia Giampiccolo, intervistata da Il Reporter, che nel numero di aprile del mensile dedicherà un approfondimento all'istituto penitenziario di Firenze, il più grande della Toscana. Ad aprire le danze, sarà il 23 aprile, Simone Cipriani del Ristorante Il Santo Graal. Seguiranno poi Enrico Panero del "Da Vinci" (21 maggio), Nicola Schioppo dell'Osteria Cipolla Rossa (4 giugno) e per finire il 18 giugno, Marco Stabile del ristorante "Ora d'Aria". Come già successo a Volterra, anche per gli aperitivi galeotti l'aiuto principale arriverà da Unicoop Firenze, che fornirà il cibo e assumerà una decina di detenuti a sera che saranno seguiti in cucina da chef professionisti, selezionati dal critico gastronomico Leonardo Romanelli. Un modo per imparare un mestiere e fare un primo passo per il reinserimento sociale. Ad allietare la serata saranno i detenuti che partecipano alle attività del carcere, come ai laboratori teatrali e musicali. A ogni aperitivo possono partecipare un massimo di 80 persone, ma è meglio prenotare per tempo (agenzie Argonauta Viaggi, telefono 055.2345040) viste le procedure burocratiche per andare al di là delle sbarre. Il costo per gli "Aperitivi Galeotti" a Sollicciano è di 20 euro a persona che saranno devoluti in favore del restauro del Battistero di Firenze. Droghe: il Sottosegretario Benedetto Della Vedova e il Parlamento dello spinello libero di Eleonora Martini Il Manifesto, 27 marzo 2015 Intervista al Sottosegretario Benedetto della Vedova, a capo dell'intergruppo. Dopo la relazione della Dna, più di cento deputati e senatori per legalizzare la marijuana. Sono già più di cento, sono giovani e hanno già dato un volto nuovo al parlamento italiano, ponendo all'ordine del giorno la legalizzazione e la depenalizzazione della marijuana. Si è riunito ieri per la prima volta l'intergruppo di cui fanno parte deputati e senatori del Pd, del Movimento cinque Stelle, di Sel, di Alternativa libera, di Scelta civica e uno, uno solo del centrodestra: sempre lui, il liberale Antonio Martino di Forza Italia. A guidare la pattuglia di illuminati è il sottosegretario agli Affari esteri Benedetto della Vedova, Radicale di ferro passato da Scelta civica al Gruppo misto, che su questi temi si batte da almeno vent'anni, protagonista con Marco Pannella e Rita Bernardini di clamorose azioni di disobbedienza civile quando ancora negli Stati uniti vigeva il pensiero unico della war on drugs, e a condividerlo in Italia c'erano perfino i comunisti. Oggi è tutto cambiato, di sicuro non è più il parlamento che nel 2005 riuscì a infilare in un decreto sulle Olimpiadi invernali una legge, la Fini-Giovanardi (approvata nel 2006 perfino dalle commissioni Affari costituzionali) che, dopo anni di arresti, persecuzioni e pure morti in carcere, è stata finalmente spazzata via un anno fa dalla Consulta per manifesta incostituzionalità. Sottosegretario, perché dopo tanti anni ha deciso che questo era il momento? "Le ragioni per una scelta antiproibizionista sulla cannabis sono rimaste intatte, anzi sono aumentate: dopo la svolta pragmatica di tanti stati americani che hanno capito il fallimento della war on drugs - un segnale molto forte in un paese di tradizione proibizionista che oggi vede gli effetti positivi della legalizzazione, la spinta finale è stata la presa di posizione della Direzione nazionale antimafia che mi ha portato a prendere l'iniziativa sul piano parlamentare. La risposta che c'è stata, con centinaia di parlamentari che hanno aderito o aderiranno a breve direi che è la testimonianza che i tempi sono ormai maturi. (La "svolta" della Direzione nazionale antimafia, va ricordato, è contenuta nell'ultima relazione annuale: in materia di droghe, scrive la Dna, "si deve registrare il totale fallimento dell'azione repressiva", visto che il quantitativo sequestrato "è di almeno 10/20 volte inferiore a quello consumato", e "con le risorse attuali, non è né pensabile né auspicabile", "impegnare ulteriori mezzi ed uomini sul fronte anti-droga inteso in senso globale", perciò il legislatore valuti "una depenalizzazione della materia", ndr)". Come è andata la prima riunione dell'intergruppo? "Abbiamo definito solo un po' gli obiettivi di massima, primo tra tutti il fatto che questa è un'iniziativa parlamentare senza alcun interesse a diventare un tema di maggioranza o di opposizione. Non ci interessa affatto, perché la materia è trasversale come lo è l'intergruppo, anche se per il momento c'è solo un parlamentare del centrodestra ma altri sicuramente ne arriveranno. Il nostro obiettivo è di arrivare a un disegno di legge che parta già con un ampio sostegno alle camere (e già così ci siamo, direi) e che nelle nostre intenzioni avrà un iter parlamentare. Ci sono al momento alcune proposte di legge sulla marijuana terapeutica e quelle sulla depenalizzazione del M5S e di Sel (che l'ha presentata mercoledì alla Camera, e che "contempla la libertà della coltivazione della cannabis per uso personale o collettivo, con la necessità di una regolamentazione da parte dello Stato del relativo mercato in linea con i percorsi antiproibizionisti" avviati in Uruguay, Colorado, Washington, Oregon, Alaska, Spagna e in diversi altri Paesi, ndr). Partiremo da qui e da quelle che arriveranno. Poi ci rivedremo a metà aprile". Insomma un approccio pragmatico, quello che lei propone? "Guardi, lei mi ha chiesto come mai ora si è riusciti a costruire l'intergruppo parlamentare? Io credo che andando avanti così l'unica cosa che non cambia saranno i soldi alle mafie quindi parlare di legalizzazione significa avere un approccio più razionale e meno ideologico, simile a quello che usiamo con altri consumi nocivi: regolamentazione, tasse, campagne di dissuasione, informazione sugli effetti. Anziché investire in sicurezza senza alcun risultato che poi vuol dire solo grande dispendio inutile di energie e soldi per polizia, processi, carceri… Poi io credo che si sia un fatto generazionale anche in Parlamento, con la rappresentanza di generazioni di italiani che sono ormai cresciuti e hanno vissuto conoscendo bene la diffusione del consumo di cannabis nella popolazione. Credo che sia un'informazione che si stratifica in qualche modo e diventa patrimonio culturale di tutti". Droghe: libertà di cannabis e monopolio dello Stato sulla vendita, proposta di Sel Askanews, 27 marzo 2015 Libertà di coltivazione per uso personale della cannabis, individuale o collettiva, ad esempio attraverso i cannabis social club, con la necessità di una regolamentazione da parte dello Stato del relativo mercato attraverso un monopolio della cannabis. È il cuore della proposta di legge presentata dal gruppo di Sel alla Camera. "La più grande operazione antimafia possibile", l'hanno definita il capogruppo Arturo Scotto e il primo firmatario del testo Daniele Farina. "Con questa proposta - ha spiegato Scotto - superiamo definitivamente la Fini-Giovanardi, cioè un pezzo di una idea punitiva e repressiva che ha animato la peggiore destra italiana e che ha prodotto 24mila detenuti". Il testo prevede che non sia vietata e non sia punibile "la coltivazione per uso personale di cannabis fino al numero massimo di cinque piante di sesso femminile, nonché la cessione a terzi di piccoli quantitativi destinati al consumo immediato, salvo che il destinatario sia un minore". La proposta consente anche "la coltivazione in forma associata di cannabis in quantità proporzionata al numero degli associati". La proposta del partito di Nichi Vendola prevede che al monopolio dello Stato sia assoggettata la coltivazione, la lavorazione, l'introduzione, l'importazione e la vendita della cannabis e che l'amministrazione finanziaria può concedere licenza di lavorazione e vendita al dettaglio di cannabis e prodotti derivati dalla cannabis. Un decreto del ministero dell'Economia stabilisce annualmente le specie della qualità coltivabile, il prezzo e le accise. Secondo Giovanni Paglia, capigruppo in commissione Finanze, "si sostituirebbe un monopolio di fatto del narcotraffico che fattura 20 miliardi l'anno con un monopolio dello Stato che porterebbe 10 miliardi di guadagno tra accise e Iva". Risorse che, secondo Scotto, possono essere usate "per il reddito di cittadinanza, per il riassetto del territorio, per abbassare le tasse". Infine "la coltivazione estensiva della cannabis - secondo Scotto - accelererebbe la bonifica di territori come la Terra dei fuochi, per la capacità della pianta di mangiare i metalli". Sel porterà la sua proposta all'intergruppo parlamentare promosso dal senatore Benedetto Della Vedova, sottosegretario agli Esteri, che si riunirà oggi in Sala Berlinguer a Montecitorio e che finora raccoglie 80 persone: "Non pretendiamo sia il testo base ma certamente un contributo importante". Bulgaria: il Consiglio d'Europa denuncia "detenuti picchiati e vita nelle prigioni inumana" Ansa, 27 marzo 2015 Essere arrestati in Bulgaria vuol dire correre il serio rischio di essere picchiati dalle forze dell'ordine. Mentre se si va a finire in carcere, si ha la certezza che si vivrà non solo in un luogo dove regna la violenza, ma inadatto a ospitare esseri umani. Questa è la terribile situazione, che ha spinto il comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa a pubblicare oggi un forte avvertimento alle autorità bulgare, colpevoli di non essere intervenute, per anni, per risolvere questi problemi. Il Comitato, noto anche come Cpt, ha deciso di pubblicare l'avvertimento, che viene chiamato "dichiarazione pubblica", dopo essere andato in Bulgaria quest'anno e aver scoperto che la situazione è ulteriormente peggiorata e che le autorità non stanno facendo quanto dovrebbero. Nella dichiarazione pubblica il Cpt denuncia il crescente numero, rispetto al 2014, di denunce di maltrattamento, schiaffi, calci, manganellate, che ha ricevuto da persone arrestate. "Dalla visita il Cpt ha concluso che uomini, donne e minori corrono il serio rischio di essere maltrattati, durante l'arresto e l'interrogatorio" si legge nel documento. Mentre per le carceri, che il Cpt negli ultimi 20 anni ha visitato tutte tranne una, il Comitato afferma che il maltrattamento dei detenuti da parte dei guardiani resta a livelli allarmanti e che questi maltrattamenti sono spesso inflitti deliberatamente. Resta inoltre "onnipresente" la violenza tra detenuti, mentre la corruzione nelle prigioni è "endemica". Inoltre le carceri, dove molti dei detenuti vivono in meno di due metri quadrati, sono sempre più dilapidate. Il Cpt porta l'esempio delle cucine, infestate da vermi, insetti, e dove l'acqua delle fogne fuoriesce e cola ovunque. Il Comitato vuole quindi che le autorità agiscano e lo facciano urgentemente anche per rispettare gli obblighi che si sono assunte quando la Bulgaria è entrata a far parte del Consiglio d'Europa e poi dell'Unione Europea. Francia: rivolta con ostaggio in carcere, uno dei detenuti si arrende Ansa, 27 marzo 2015 Uno dei due detenuti che trattenevano un guardiano nel carcere di Saint-Maur, nel dipartimento francese dell'Indre, si è arreso alla polizia. L'uomo presenta problemi psichiatrici e mentre era chiuso col sorvegliante ha lanciato un appello per ottenere il ricovero d'ufficio. Le squadre di pronto intervento e sicurezza (Eris) di Parigi e Digione sono giunte sul posto ieri in serata. Presente anche una cellula di crisi specializzata composta da quaranta agenti. La prigione accoglie attualmente 206 detenuti per una capacità di 206 posti destinati soprattutto ai detenuti condannati per lunghe pene. "Le discussioni sono cordiali e poco aggressive", ha detto una fonte vicina alla vicenda. Secondo France Info, una trattativa è in corso con la direzione del penitenziario. Maldive: ex ministro Difesa condannato a 11 anni di carcere Ansa, 27 marzo 2015 Un tribunale speciale antiterrorismo delle Maldive ha condannato ieri l'ex ministro della Difesa Mohamed Nazim a 11 anni di carcere per importazione e possesso illegale di armi. Lo riferisce oggi il quotidiano Haveeru. Durante il dibattimento, il pubblico ministero ha assicurato che le indagini svolte sulle armi trovate in casa dell'imputato dovevano servire a realizzare attacchi a personalità ufficiali, fra cui il presidente Abdulla Yameen, il ministro del Turismo Ahmed Adheen e il capo della polizia Hussein Waheed. Nell'arringa difensiva, i legali hanno sostenuto che le armi in questione erano state collocate da estranei nella casa del ministro con il chiaro intento di metterlo in difficoltà. Lo stesso tribunale aveva condannato il 13 marzo scorso l'ex presidente Mohamed Nasheed, conosciuto come il ‘Mandela delle Maldivè, a 13 anni di carcere per "terrorismo", avendo ordinato nel 2012 l'arresto di un giudice accusato di corruzione e abuso di potere.