Gli Stati Generali sul carcere e la pena "dal di dentro". Seconda puntata di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 25 marzo 2015 "Senza i miei figli non sarei in grado di pensare e neppure di sognare". (Diario di un ergastolano: www.carmelomusumeci.com). Quando il nostro Ministro della Giustizia Orlando ha annunciato la convocazione degli Stati Generali sul carcere e sulla pena, ci siamo subito dati da fare perché fosse riconosciuto un ruolo fondamentale alle persone detenute. Nell'attesa che il Ministro torni a parlare degli Stati Generali, e nella speranza che accetti la proposta di Ristretti Orizzonti, di organizzarli nella Casa di reclusione di Padova, abbiamo deciso, per iniziare il dibattito dal di dentro, di rendere pubbliche alcune testimonianze che ci sono già arrivate dai detenuti di altre carceri d'Italia. Carmelo, non so a cosa serviranno questi Stati Generali di cui mi parli perché penso che il carcere è cattivo e ci tiene in carcere perché è più cattivo di noi. Ti confido che dopo 20 anni di carcere non mi sento più normale. E mi sembra di puzzare di galera e di morte. Non rido quasi mai e non faccio l'amore con mia moglie da una vita. Credo che ormai il mio cervello è prigionizzato perché il carcere così com'è non ci rieduca ma ci offende e ci umilia. Io vorrei, se fate gli Stati Generali, che parlaste dell'affettività perché l'amore in carcere è ferito, cancellato, perduto e misterioso. Ed è una grande cazzata pretendere di fare giustizia con il carcere, la sofferenza e il castigo. Piuttosto con i prigionieri bisognerebbe parlarci, ragionarci e dargli delle opportunità. Se puoi, durante i lavori degli Stati Generali, poni la domanda se l'uomo sarà meno pericoloso dopo un lungo periodo o dopo un breve periodo di detenzione, perché a mio parere la punizione deve essere misurata e deve cessare quando non è più necessaria, cioè quando l'individuo è guarito. Carmelo sono appena stato "sballato" in Sardegna e mi sembra di essere sceso all'inferno. Qui ci sono spazi ridotti, passeggi e celle disastrate, condizioni igieniche da terzo mondo, ruggine nei cancelli e nelle brande, trattamento da lager (…). Credo che punire non è sempre utile né giusto e spesso lo si fa solo per cavalcare le paure della gente. In tutti i casi credo che le pene non dovrebbero essere una vendetta che lo stato attua per conto della vittima. Invece, purtroppo, in realtà accade questo. Purtroppo qui in Sardegna, per ovvi motivi di distanza e finanziari non potrò fare colloqui con i miei familiari. Ed in carcere, solo con l'amore si resiste, ma è anche per colpa dell'amore che si continua a soffrire perché solo per i miei familiari non mi appendo ancora alle sbarre della finestra. Riguardo alla declassificazione i burocrati del Ministero di Giustizia mi hanno detto ancora di no con una motivazione che non sta né in cielo né in terra. E ti confido che a volte vorrei essere proprio quello che loro scrivono di me, sarei sempre ugualmente migliore di loro. Sono da diciassette anni che sono detenuto in Alta Sicurezza come scatto automatico perché provengo dal regime del 41 bis. E continuano a rispondermi che non si può escludere eventuali miei collegamenti con la criminalità ma anch'io non posso escludere che sono prevenuti nei miei confronti. Se vi fanno fare gli Stati Generali nel carcere a Padova, mi raccomando parlate delle declassificazioni e dei trasferimenti. E spero che finalmente approvino la legge sull'affettività. Giustizia: quel mio amico detenuto che ha smesso di sperare di Totò Cuffaro (detenuto a Rebibbia) Il Garantista, 25 marzo 2015 La testimonianza di chi, a Rebibbia, vede il dolore di chi non ha futuro. "L'ergastolo è un omicidio di stato che si realizza attraverso il suicidio. Ma questa non è libertà, è tortura" Abolire l'ergastolo o ipocrisia fine pena 9999: speranza che conosce la canzone del mio cuore e me la canta. Giovedì 2 aprile papa Francesco, che ha abolito nel suo Stato l'ergastolo, verrà a Rebibbia a lavare i piedi a 12 detenuti ergastolani, fine pena 9999, e a celebrare la Santa Messa. Ogni detenuto continua a sperare che ci sarà un giudice a Berlino. Ma c'è Berlino? Se lo chiede ogni giorno il detenuto del "fine pena mai", che ormai da anni guarda passare altri detenuti, e ancora purtroppo ne vedrà, ed è anche lui seduto con me sul sedile di cemento del cortile. Anche lui, per cui il desiderio sempre, così prevede lo Stato, dovrà rimanere tale, desidera come me la libertà; per lui però, purtroppo, il desiderio è solo ricordo e deserto e non futuro e mare. Solo di un'onda può godere, quella che rifluisce dai ricordi. sol di questa si bagna, si imbeve e si dilata il suo desiderare. Il suo desiderio è fermo nel passato, il passato lo alimenta e lo contiene; nel passato è scritto con tagli e virgole, e solo nel passato è vissuto ogni segmento del suo desiderio. Sono fiducioso, anche se solo un po', per il mio amico detenuto "fine pena mai", un giorno anche lui potrà desiderare il futuro e il mare. È impossibile vivere in carcere senza la speranza di poter tornare liberi, eppure si vive anche se non tutti lo fanno per sempre. Al devastante effetto causato sulla testa dalla pena dell' ergastolo, si aggiunge la condizione inumana del luogo e la consapevolezza insana e spietata di dover vivere per sempre sospesi e cancellati dal mondo. Vivere in un posto lugubre, in un "marcitoio" dove con una incredibile forza della natura i detenuti "fine pena mai" si aggrappano alla esistenza con una voglia di vivere, quelli che scelgono di farlo, che ha dell'immaginifico, del miracoloso. La vita per loro scorre calma, ordinata, apatica, tra porte blindate e cancelli che si aprono e si chiudono con un rumore ormai familiare. Questi che sono i tanti, sono quelli che non crollano e che superano e vincono la tortura di una attesa senza fine, anche loro però non rinunciano alle urla, alle imprecazioni. alla disperazione, e non rinunciano alla preghiera e con essa a poter credere in una speranza senza speranza, e a chiedere patetiche e inutili domande di grazia. Altri che sono pochi, ma non pochissimi, cercano, incontrano e aggrappano la morte, la scelgono una sola volta per non morire ogni giorno sino alla morte, per non morire più volte e sempre È fatica tenere in vita la vita quando è reclusa in una cella, per i "fine pena mai" è una fatica inumana. Tanti nelle carceri pensano alla morte, "i fine pena mai" più degli altri, hanno più motivi e più tempo per farlo; specialmente la notte, quando il carcere assassino colpisce l'anima, la notte quando i motivi per morire sono più forti delle ragioni per vivere, perché la notte, in carcere, la morte non è come fuori, è liberatoria. Nessuno, se non l'ha provata, può capire quando sia pesante, lunga, infelice e infausta la notte in carcere. È la notte, che il detenuto che sceglie di morire dice, in cuor suo, ai suoi compagni le parole di Socrate anche senza sapere che sono del filosofo: "È giunta l'ora di andare ciascuno di noi per la sua strada, io a morire, voi a vivere, che cosa sia meglio solo Iddio lo sa"; ma non per sempre tutti rimarranno nella strada della vita. Ho visto in questi miei anni di carcere, dopo aver vissuto e sofferto con loro, i loro cadaveri portati via; uomini che il giorno prima vivevano, morti per loro scelta: impiccati nelle celle, con le vene tagliate, per inalazione di gas, soffocatisi nei modi più impensabili. Immagini reali e orribili di morte di chi per paura di vivere una non vita aveva scelto di non vivere. A volte nelle notti più impervie mi sembra di vedere le loro anime sulla rive del fiume Stige, che inquiete e sprovvedute mercanteggiano con Caronte. Le rivedo e ne ricordo di alcuni il sorriso, di altri il dolore e di altri ancora il fastidio di vivere, e li vedo tutti insieme intenti ad attraversare le acque dello Stige, fiume le cui acque per la mitologia greca separano il mondo dagli inferi, e però rendono immortali, come è stato per Achille, se in esse ti immergi da bambino. Li vedo e penso che immergendosi nelle acque dello Stige per attraversarlo diventeranno immortali, perché anche se non sono bambini sono innocenti come i bambini: sono detenuti che hanno cercato la libertà nella morte. Mi piace pensare con Fabrizio De Andre che stanno attraversando "l'ultimo vecchio ponte" e che troveranno ad attenderli chi dirà loro, baciandoli in fronte, "venite in Paradiso lì dove sono anch'io, perché non c'è l'Inferno nel mondo del buon Dio". Il carcere toglie la vita perché è senza vita. Non so se è vero che nel nostro Paese non c'è la pena di morte se consideriamo che nelle carceri italiane muoiono ogni anno per suicidio più persone di quante ne vengono giustiziate con la pena di morte nei Paesi dove ancora c'è. Il "fine pena mai" è come se fosse un omicidio programmato dallo Stato ma che aspetta di essere realizzato dal suicidio. Come se fosse una pena di morte la cui esecuzione viene lasciata alla libera scelta dell'ergastolano, alla sua libera determinazione, perché così il nostro Stato nella sua ipocrisia può sentirsi un Paese dove al suo popolo viene garantita sempre la libertà e il diritto alla vita. Ipocrisia di un Paese che si iscrive tra quelli che chiedono una moratoria per la pena di morte e nel contempo mantiene l'ergastolo che è una morte con una lunghissima pena. È vero, la libertà è vita: ma non è libero un uomo che per essere libero deve togliersi la vita. Nessun uomo ha il diritto di togliersi la vita, perché la vita non è sua. L'esistenza però è dell'uomo, è il carcere su mandato dello Stato ai detenuto "fine pena mai" toglie l'esistenza, cioè il vivere, perché lo lascia morire in carcere. La Giustizia dello Stato non ha il diritto di mettere l'uomo nelle condizioni di togliersi la vita, di costringerlo a essere esecutore del suo programma di morte, e facendolo non può continuare a sostenere che è uno Stato dove non c'è la pena di morte. Il nostro magari sarà, giuridicamente, un Paese dove non c'è la pena di morte, ma è certamente uno Stato che moralmente ed eticamente la prevede, perché con l'ergastolo spinge il detenuto "fine pena mai" al suicidio, facendolo diventare l'esecutore della sua morte. Una Legge perché renda responsabile lo Stato che la deve far rispettare e. etica, la politica che la vuole, deve essere una Legge in grado di far vivere e di viversi. Mi vado sempre più convincendo che si arriverà a guardare alla pena torturale dell'ergastolo con lo stesso imbarazzo e la stessa perplessità con cui oggi si guarda all'applicazione della vecchia tortura. Sono però, purtroppo, convinto che per quanto molti oggi riconoscano l'inumanità e l'arretratezza di un'esecuzione di pena superata qual è la condanna a vita in carcere, questa nostra società che crede di essere civile non sia ancora pronta a scegliere e applicare una soluzione cristiana al problema della pena. Per avere la capacità di modificare la pena del carcere a vita introducendo una pena più razionale e più rispondente a Giustizia manca ancora alla nostra società una volontà più propensa al perdono, l'esperienza e la conoscenza per acquisire questa volontà, il coraggio per metterla in pratica. La classe dirigente politica invece di stimolare e guidare la società nella ricerca di questa volontà, finisce col subirne il condizionamento. La sensibilità dello Stato è arrivata, bontà sua, al punto di decidere di cambiare la dicitura fine pena mai", ora sulla data di scarcerazione c'è scritto anno 9999: che grande ipocrisia. Ha tolto "fine pena mai" per non demoralizzare il detenuto con condanna all'ergastolo, ma per non rischiare che possa uscire ha messo una data che sa molto di presa per il culo. Penso che la libertà sia il più grande dono che abbiamo ricevuto dalla vita, e che nessuno, neanche lo Stato, debba avere il potere, e ancor più il diritto, di negarla e toglierla per sempre, a nessuno, per nessun motivo. Sarebbe altrimenti una ben magra libertà e non il dono di Dio, per questo penso che Lui possa aiutarci a superare questa non compiuta idea di difesa e di supremo valore del bene della libertà, e rendere possibile il miracolo di una presa di consapevolezza piena della nostra coscienza sulla libertà, per questo sono fiducioso che prima o dopo anche questa nostra società riuscirà a difendere il suo bene più prezioso e ad abolire l'ergastolo. È questa la speranza che conosce la canzone del mio cuore e me la canta, quando vivo con questi miei compagni che hanno un "fine pena mai" e il cuore soffre per loro più del dovuto. I detenuti per sempre, essere umani come noi, non hanno la capacità di fermare la vita, hanno il potere di fermare il corpo, possono stare fermi, pazienti o impazienti, hanno il potere di stare immobili nelle loro celle. Vite fermate, prima che la vita le fermi. Non sono uccise e non si uccidono, ma stare così per sempre, per tutta la vita, è come morire. Si è morti senza morire. Queste vite possono essere salvate e riportate in vita solo dall'amore, solo l'amore di una società rinnovata alla coscienza da un Amore più grande può rianimarle, solo un miracolo dell'Amore può farlo, con la sua speranza di vita. Il silenzio che vivo dentro di me mi fa compagnia e come un suono triste, leggero e inquietante mi porta a perdermi in un silenzio più grande sul quale mi arrampico per raggiungere il miraggio di una pace illusoria sotto lo sguardo incurante delle figure della costellazione del cielo che tante volte ho guardato risplendere dalla mia terra, e che ora mi appaiono fredde e spogliate delle loro veste celesti. Nei giorni più difficili la fiducia sbiadisce e sommersa d'irrealtà perde di consistenza. Una sensazione intensa e impetuosa mi trascina nel flusso cupo del carcere e mi lascia stordito, anche se avverto sempre spiragli di lucidità nei meandri del mio cervello. I miei compagni detenuti ergastolani, "fine pena mai", fine pena 9999, mi aiutano a sperare. Giustizia: "se la pena diventa tortura", colloquio con il giurista argentino Roberto Carlés di Silvina Pérez L'Osservatore Romano, 25 marzo 2015 Abolire la pena di morte in tutte le sue forme così come l'ergastolo, una "pena di morte nascosta". Francesco non potrebbe essere più netto nelle sue richieste. "La giustizia rispetti la dignità della persona" quindi no anche alla carcerazione preventiva, di fatto una pena illecita occulta, e no alle carceri di massima sicurezza dove la reclusione si trasforma in tortura. Lo scrive Papa Francesco in un messaggio alla Commissione Internazionale contro la pena di morte, consegnata personalmente venerdì 20 marzo al presidente dell'organismo, Federico Mayor e ai suoi rappresentanti durante l'incontro in Vaticano. Il sistema penale può rinchiudere i trasgressori ma, afferma Bergoglio, "mai deve privarli della loro speranza". Roberto Carlés - un giovane giurista argentino di 33 anni - fa parte della Commissione Internazionale contro la pena di morte e, da ieri, ha il compito di essere il trait d'union tra il Santo Padre e quest'ultima per elaborare proposte tecniche concrete nella ricerca dell'abolizione della pena di morte. "Il nostro impegno - ci dice - è quello di coniugare l'impegno concreto alla riflessione teorica in favore della battaglia contro la pena di morte". Si osserva una tendenza mondiale verso l'abolizione della pena di morte. Qual è la situazione attuale? "Benché il ricorso alla pena di morte sia in diminuzione in tutto il mondo, i numeri sono ancora troppo alti. Nei Paesi in cui vige la pena capitale ci sono seri problemi riguardo al rispetto delle norme e degli standard internazionali, in particolare per quanto riguarda la limitazione della pena di morte unicamente ai reati più gravi, l'inapplicabilità ai minorenni e le garanzie per un processo equo. La pena capitale non è compatibile con il rispetto dei diritti dell'uomo, svilisce anche la dignità umana e il diritto di non essere sottoposti a tortura e ad altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Poi il suo carattere irreversibile rende impossibili le revisioni delle sentenze, portando, in alcuni casi, all'esecuzione di persone innocenti. Questo basta a toglierle qualsiasi legittimità. Inoltre, la pena capitale non impedisce che i delitti vengano commessi, non garantisce maggiore sicurezza, come non porta giustizia né consente risarcimenti alla società nel suo complesso o alle famiglie delle vittime di un crimine. A livello mondiale, tuttavia, il cammino verso l'abolizione richiede un impegno forte e costante. I cambiamenti non avvengono da un giorno all'altro. È un'evoluzione lenta e graduale. I progressi sono tuttavia reali e dobbiamo fare in modo che proseguano". Il Papa ha condannato l'ergastolo sostenendo che è una pena di morte nascosta: cosa ha provato ascoltandolo? "Il Pontefice ha lanciato un messaggio molto forte e coraggioso che spero possa aiutare ad accelerare il dibattito pubblico sull'abolizione dell'ergastolo ostativo, quel "fine pena: mai" che è in stridente contraddizione con l'idea cristiana di un perdono e di una redenzione sempre possibili, oltre che con un principio-cardine della civiltà giuridica occidentale che fa riferimento al carattere rieducativo, e non semplicemente punitivo, della pena. La lettera di quattro pagine che il Pontefice ci ha consegnato durante l'incontro di venerdì è un ampio discorso sulla giustizia umana: non solo Francesco condanna l'ergastolo, il carcere preventivo e la corruzione, ma soprattutto e innanzitutto chiede di abolire la pena capitale, "legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme". Il Papa sostiene anche che "la pena dell'ergastolo, così come tutte le condanne che per la loro durata rendono impossibile per il condannato progettare un futuro, può essere considerata una pena di morte nascosta" perché non si priva la persona solo della sua libertà ma anche della "speranza". Guardi, in queste parole ho riscontrato il senso della giustizia-ingiustizia presente nella tragedia di Antigone. Giustizia e vita sono due parole che stanno o cadono insieme: non c'è l'una senza l'altra. Se togli una, cade l'altra, se togli la vita, cade la giustizia: è un punto saldo, fermo, per la riflessione, ma anche un programma concreto d'azione e un impegno che questa commissione ha assunto con Papa Francesco". È giusto ipotizzare che anche i responsabili dei reati più efferati possano uscire? "Ritengo che sia un principio giusto. Credo che l'ergastolo sia una pena inumana, dovrebbe essere abolita. Sono riflessioni affrontate spesso dai teologi e dai giuristi. Secondo alcuni teologi è illogico pensare che sia punito con l'eternità un fatto che è stato compiuto nello spazio e nel tempo. Io penso che per quanto una condotta sia stata efferata, dopo venti anni dal fatto la persona non è più quella. Sono convinto che questo dibattito si arricchirà notevolmente di molti contributi durante il prossimo giubileo: il tema della misericordia è stato centrale in questi primi due anni di pontificato". Poi c'è il rovescio della medaglia, il tema della carcerazione preventiva. Cosa ne pensa? "Il Papa ha messo in guardia "giudici e operatori del sistema penale" dalla "pressione dei mezzi di comunicazione di massa e dalla cattiva politica". Il ragionamento parte da una premessa, un monito che ha l'obiettivo di formare una giustizia integrale che è in linea con la lettera del maggio 2014 ai partecipanti al XIX congresso internazionale della stessa Associazione internazionale di diritto penale". Lei appartiene a quella generazione di trenta-quarantenni costretta dalla crisi e dalla storia ad accettare le sfide e ad assumere le responsabilità del tempo presente. In Europa i giovani guidano il cambiamento politico e sociale del continente. È il momento di darsi da fare? "Proprio questo mi ha chiesto Papa Francesco il 19 marzo, giorno di san Giuseppe, quando ho avuto la possibilità di condividere più di un'ora del suo prezioso tempo nella casa di Santa Marta. Abbiamo parlato molto. Bisogna darsi da fare, mi ha ripetuto più volte. Credo sia proprio questo il compito della nostra generazione: cercare la strada giusta per avere un mondo più equo e più giusto. I diritti sono la base della convivenza tra i popoli e la pena di morte è la loro negazione. Più che mai bisogna sostenere l'abolizione della pena capitale, poiché solo un forte impegno permetterà un giorno di vederla scomparire". Giustizia: i magistrati e l'ebbrezza irresistibile del potere assoluto di Piero Sansonetti Il Garantista, 25 marzo 2015 Il patto del Nazareno "due-punto-zero", come lo abbiamo chiamato su questo giornale qualche giorno fa, e cioè il patto tra Renzi e i vertici dell'Anni (associazione magistrati), prende forma sempre più netta. Le prime clausole sono già state rispettate. Ieri è stata approvata alla Camera la "prescrizione lunga" (ma sarebbe meglio dire l'abolizione della prescrizione, che diventa così lunga da essere praticamente disinnescata), e il partito di Alfano, che era contrario, è stato messo a tacere; intanto in Senato è iniziato l'esame di un disegno di legge che istituisce un nuovo reato, e cioè quello di omicidio stradale. Il reato di omicidio stradale - che è in realtà una fattispecie dell'omicidio colposo - porta le pene fino a 12 anni, se il guidatore colpevole ha provocato un morto e fino a 18 anni se ne ha provocato più di uno. L'istituzione di questo nuovo reato è abbastanza inutile dal momento che con il sistema delle aggravanti già era possibile condannare una persona fino a 15 anni di carcere (è la pena che si è beccata recentemente un ragazzino africano condannato a Lamezia Terme, in Calabria). Però fa effetto. Siccome i giornali nei giorni scorsi hanno dato molto risalto ad alcuni incidenti stradali mortali, la politica si è sentita in dovere di dare una risposta. La politica - che ormai ragiona solo con la pancia dell'opinione pubblica - non pensa mai che la risposta possa essere quella di prevedere delle norme che rendano meno probabile il reato ( questo vale per la corruzione, per gli omicidi stradali e tutto il resto) ma pensa che la cosa bella sia quella di aumentare le pene o magari istituire nuovi reati. Quando il reato stradale sarà diventato legge, in Italia avremmo ben quattro tipi diversi di omicidio: colposo, preterintenzionale, stradale e volontario (più c'è l'omicidio volontario e premeditato). I magistrati volevano questo nuovo reato, non perché sia utile o faciliti il loro lavoro: per dare un segnale. Il segnale dice questo: siamo uno Stato in grado di punire e ci interessa solo questo: punire, punire, punire!. L'allungamento della prescrizione invece è una cosa più concreta. Non solo un fatto simbolico. Serve ai Pm per poter andare avanti anche all'infinito con i processi. L'allungamento della prescrizione serve esclusivamente a questo: a rendere eterno il processo. Con il sistema attuale solo il 4 per cento dei processi finiva in prescrizione. (Per ragioni statistiche, la metà di questi processi sarebbe finito con una condanna e la metà con una assoluzione). Naturalmente era possibile annullare questo margine, peraltro piccolissimo, di reati prescritti, operando sulla velocizzazione dei processi, o sull'aumento del personale, o sullo snellimento delle procedure (magari anche sulla cancellazione dell'obbligatorietà dell'azione penale che sarebbe la soluzione di ogni problema). Ma, al solito, governo e magistrati (appunto, i contraenti del nuovo patto del Nazareno, che dovrebbe garantire copertura a Renzi almeno fino al 2018 dal rischio di incursioni della magistratura contro il suo governo) preferiscono evitare riforme di struttura e lavorare sul rafforzamento dello Stato-sbirro, che riduce tutti i diritti degli imputati e che aumenta le pene. PS. Per i giornalisti sarebbe importante la capacità di autocritica. Anche se è merce rara. Noi proviamo a fare autocritica. Qualche giorno fa, dopo la sentenza Ruby che sputtanava di fronte al mondo intero la Procura di Milano ( e i giornali organici a quella Procura, che non sono pochi) avevamo fatto un titolo davvero azzardato: "È morto il partito dei giudici". Clamoroso errore. La sentenza Ruby ha incattivito il partito dei giudici, che è ancora potentissimo ed è in grado di far valere la sua forza ideologica e soprattutto la sua incontrollabile potenza di ricatto, specialmente sul ceto politico. Il partito dei giudici, furioso per la riformina della responsabilità civile, per la riduzione delle ferie e poi per la sentenza pro-Berlusconi, ha deciso di lanciare una offensiva su vasta scala. I primi obiettivi erano quello di annullare l'Ncd e quello di ottenere da Renzi una resa sui temi della giustizia. Obiettivi raggiunti con un blitzkrieg. Son bastati un paio di giorni. Giustizia: il doppio fronte di Orlando. Le toghe? Diranno che non basta di Giovanni Bianconi Il Corriere della Sera Al momento del voto Andrea Orlando è seduto al banco del governo, penultimo posto a sinistra della fila dei ministri, tutti gli altri sono vuoti. È venuto ad assistere alla sistemazione di un tassello importante, sebbene non ancora definitivo, della sua riforma della giustizia, annunciata a fine agosto in tandem con Renzi: allungamento dei tempi della prescrizione (accorciati dal governo Berlusconi). Era una delle richieste dei magistrati. "Ma tanto diranno che non va bene - confida il Guardasigilli nel corridoio di Montecitorio. Per loro quello che facciamo è sempre insufficiente, ogni volta il problema è più complessivo: sulla responsabilità civile, sulla corruzione, sulla prescrizione. Capisco le ragioni del loro sindacato, ma non è sulla base di quelle esigenze che si può valutare ciò che stiamo facendo". Il governo deve andare avanti, fa capire il ministro, anche se stavolta ha rischiato di perdere un pezzo di maggioranza: quelli di centro destra che sostengono il governo si sono astenuti, sostengono che i processi troppo lunghi sono un rischio. Orlando capisce pure loro, e in aula ha spiegato che nel passaggio al Senato si cercherà di equilibrare il testo con le altre norme in via di approvazione: "So anch'io che sarebbe stato meglio approvare una riforma organica, ma abbiamo dovuto prendere atto che la Camera ha voluto stralciare la parte sulla prescrizione, forse anche sulla spinta ultimi scandali legati alla corruzione". Prescrizione e corruzione sono due temi appaiati, il ministro lo sa bene. E le riforme procedono parallelamente alla Camera e al Senato, il cammino è arrivato a metà; a Orlando tocca coordinare i due percorsi a distanza, cercando di fare in modo che uno non intralci l'altro. Compito difficile, che si aggiunge a quello che porta faticosamente avanti da un anno: districarsi tra due linee che sembrano invariabilmente contrapposte. Fra i magistrati che protestano (contro Renzi più che nei suoi confronti) e un partito di governo, il Ncd, che contesta certi atteggiamenti (più delle toghe che di Orlando) in virtù delle antiche battaglia berlusconiane. Stavolta il dissenso s'è manifestato sulla prescrizione, probabile che quando si passerà alle intercettazioni esploda in maniera ancor più fragorosa. In mezzo resta sempre Orlando. Quando si ritrovò un viceministro alfaniano e un sottosegretario in quota Forza Italia (magistrato leader della corrente più moderata), provò a protestare. Renzi gli disse che bisognava fare così, e lui s'è adeguato. Avviandosi lungo un sentiero impervio e stretto, attento a non cadere tra le braccia dei detrattori, da un lato e dall'altro; protagonista suo malgrado di un conflitto che sembra non doversi arrestare mai. Il ministro fa mostra di non curarsene, cercando di andare avanti e annunciando obiettivi raggiunti. Due settimane fa il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemaine Zeitung gli ha dedicato un'intera pagina definendolo "il tenace riformatore della giustizia italiana", attribuendogli frasi con cui il ministro si chiama fuori dalla disputa ormai ultraventennale: "Le priorità su cui punta il nostro governo ora sono diverse; invece di mettere in primo piano il processo che fa scalpore e la lite politica su alcuni dettagli procedurali, il punto per noi è il funzionamento di tutta la giustizia". Su Orlando pesa ancora l'incognita di una ventilata candidatura alle presidenza della Campania, ma col passare dei giorni sembra un'ipotesi sempre più improbabile. Anche perché un ricambio al ministero di via Arenula potrebbe aprire, per il premier, un buco più grande di quello che il Guardasigilli andrebbe a tappare in quella competizione regionale. E così il ministro va avanti, consapevole del pericolo di inciampare in ogni momento e cercando di approfittare delle coincidenze favorevoli; a lui l'anticipazione della nuova prescrizione non piaceva granché, ma certo può tornargli utile che la riforma abbia fatto un passo avanti all'indomani dell'ennesimo scandalo costato il posto al suo ex collega Lupi, e nel giorno in cui una già molto celebrata fiction fa rivivere i giorni di Mani Pulite. Giustizia: prescrizione lunga, primo sì; ma la legge anticorruzione rischia un nuovo stop di Liana Milella La Repubblica, 25 marzo 2015 S'annuncia, da oggi, bagarre al Senato sull'anticorruzione. Forza Italia prepara un duro ostruzionismo e punta a rinviare il voto a dopo Pasqua, mentre il presidente Grasso, sulla sua legge, l'avrebbe voluto già tra oggi e domani. Per questo il Guardasigilli Orlando tiene buono Alfano sulla prescrizione alla Camera. Che passa con 274 sì (Pd, Sc, Fdi, il gruppo di Tabacci), 26 no (Fi, Lega, Psi), 121 astenuti (Ap, Sel, M5S). Orlando media perché a Montecitorio i 33 alfaniani non sono determinanti, ma al Senato in 36 lo sono, eccome. Orlando tratta a lungo col vice ministro Costa e lascia intravedere "possibili modifiche" sulla prescrizione. Incassa subito il risultato, perché l'annunciato "no" di Area popolare (Ncd più Udc) diventa una ben meno plateale astensione. "La maggioranza non si spacca" vanta il ministro della Giustizia. Poi sembra fare una mini marcia indietro quando dice che "le linee guida della prescrizione non si toccano". Alfano, ministro dell'Interno e fondatore di Ncd, non gliela fa passare liscia. Rilancia sulla prescrizione corta e sulle intercettazioni. Della prima dice: "Siamo pronti a dare battaglia al Senato". E degli ascolti: "Abbiamo approvato nuove norme in consiglio dei ministri, e non stavamo su Scherzi a parte . Quel ddl va messo in pole position". Peccato che il presidente dell'Authority anti-corruzione Cantone bocci senza appello qualsiasi manovra sulle intercettazioni perché "in questa fase le considero completamente fuori dall'agenda". Non solo, Cantone propone che per le indagini sulla corruzione ne sia consentito "un uso più ampio", quello stoppato al Senato. Prescrizione, intercettazioni, anti-corruzione. I destini s'incrociano. Fi è asserragliata a difesa di norme deboli contro la corruzione. Su 213 emendamenti che incombono sul ddl Grasso ben 68 sono di Fi e Gal. Per sopprimere o per svuotare articoli. In una situazione così il Pd non può andare allo scontro con gli alfaniani. Nasce la mediazione di Orlando sulla prescrizione. Tutto matura in poche ore. Di mattina i falchi di Ncd De Girolamo e Pagano annunciano il no sulla legge che aumenta la prescrizione per la corruzione. Parte la trattativa tra Orlando e Costa, convinto che "ci sia una stretta connessione tra prescrizione e corruzione". Significa che se al Senato aumenta la pena per la corruzione (da 8 a 10 anni) questo fa salire la prescrizione. Quindi i termini si possono accorciare. Anziché calcolarla sul massimo della pena più la metà, ci si potrebbe fermare a un terzo. I falchi si convincono. Il no rientra. A questo punto il Pd tira un sospiro di sollievo. Orlando vanta la sua manovra sulla giustizia. Un "finalmente" arriva dalla Ferranti, "perché dopo dieci anni c'è un netto superamento delle regole della ex Cirielli". Pure Cirielli, sì proprio l'ex An Edmondo che scrisse la legge ma poi la ripudiò perché Berlusconi aveva imposto il taglio della prescrizione, dice che il testo attuale va bene. Il renziano Ermini parla di "norma equilibrata" e polemizza con M5S che, astenendosi, avrebbe confermato "la sua inutilità". In realtà M5S è stato tentato dal votare contro, ma non se l'è sentita di votare con Fi. Due curiosità: passa l'emendamento Morani per far partire la prescrizione da 18 anni nei casi di delitti gravi contro i minori, mentre quello di Ferranti sulla prescrizione lunga anche per l'induzione viene "sacrificato" per far contento Alfano. Il processo Ruby è finito, però non si sa mai. Giustizia: bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? riforma della prescrizione ancora confusa di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 25 marzo 2015 Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? Mezzo pieno, se si considera che dopo dieci anni da quell'aberrazione della legge ex Cirielli, che aveva dimezzato i termini di prescrizione, e dopo un anno dall'insediamento del nuovo governo, una proposta di riforma della prescrizione ha finalmente superato il primo giro di boa. Mezzo vuoto se si pensa, invece, al contesto politico-parlamentare in cui si è arrivati al voto, ai tempi e ai contenuti del provvedimento approvato ieri, alle riserve mentali con cui è stato licenziato per il Senato e, dunque, all'alea che ancora grava sulla riforma definitiva. In teoria, quello di ieri avrebbe dovuto essere un passaggio storico, un traguardo (sia pure parziale) rincorso per due lustri, il riscatto di una politica verbosa ma inerte. In realtà, l'aula semivuota (tranne al momento del voto), il tenore degli interventi, i distinguo, le prese di distanza l'hanno trasformato in un imbarazzante "atto dovuto", votato solo da Pd, Sel e Fratelli d'Italia, che ipoteca il successivo iter parlamentare del provvedimento. Non a caso, il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha dovuto "rassicurare" il principale alleato del governo Renzi - Ncd - che al Senato i giochi potrebbero riaprirsi proprio per i reati contro la pubblica amministrazione: il "raddoppio" della prescrizione sancito dalla Camera potrebbe essere modificato in funzione sia della scelta finale dell'aula di Palazzo Madama sull'aumento delle pene per i reati di corruzione propria (articolo 319), impropria (318) e in atti giudiziari (319 ter), sia dell'esito della riforma del processo penale. Una "promessa" che ha evitato il voto contrario del Nuovo centrodestra ma che non dà, appunto, alcuna garanzia sul prodotto finale della riforma. Certo, il passo avanti di ieri non va sminuito, anche se sembra frutto di una navigazione a vista. È comunque "grazie" alla Camera se si è arrivati al primo traguardo, peraltro in tempi tutt'altro che ragionevoli rispetto alla conclamata urgenza della riforma, sollecitata da decenni da istituzioni e organismi internazionali per rendere più "efficace" la lotta alla corruzione. La commissione Giustizia di Montecitorio, conia caparbia presidenza di Donatella Ferranti (Pd), non si è fermata agli annunci del governo e ha incardinato le proposte di legge sull'argomento avviandone la necessaria istruttoria. Ha rallentato quando, dopo le slide di giugno 2014, il 29 agosto Consiglio dei ministri ha annunciato il varo di una serie di ddl tra cui quello sulla prescrizione ma ha ripreso quasi subito i lavori visto che il ddl era desaparecido. Tant'è che, quando finalmente si è materializzato (gennaio 2015), i relatori avevano già predisposto un testo base, frutto del precedente lavoro, durante il quale il governo era stato un "convitato di pietra". Oggi ne è più chiaro il motivo - se ce ne fosse stato bisogno, e cioè le divisioni con l'Ncd. La proposta governativa si limitava a sospendere la prescrizione, per due armi, dopo la condanna di primo grado e, per un anno, dopo l'appello. Difatti il governo si è opposto all'aumento di un quarto dei termini di prescrizione previsto dal testo base della commissione per tutti i reati. Così come a un regime speciale per i reati di corruzione (almeno quanto alla decorrenza dei termini). Il dilagare delle inchieste ha imposto un compromesso e così si è arrivati alla proposta dei relatori di allungare della "metà" la prescrizione almeno per corruzione propria, corruzione impropria e in atti giudiziari. Ieri Orlando ha spiegato che questa scelta dipende dalla "natura" di quei reati, basati su un "patto corruttivo che emerge, spesso, molto dopo il momento in cui questo patto si è concluso". Non si vede perché, allora, analoga operazione non sia stata fatta con il reato di "induzione indebita", al confine tra concussione e corruzione (visto che l'indotto è considerato complice). La conseguenza è che concussione e induzione si prescriverebbero prima, pur essendo reati più gravi (ieri un emendamento della Ferranti per allungare la prescrizione dell'induzione è stato fatto ritirare). Ma tant'è. Grazie a quel compromesso, Matteo Renzi può parlare di "prescrizione raddoppiata", soprattutto se si tiene conto degli aumenti di pena previsti dal Senato, che l'aula dovrebbe confermare già oggi. In tal caso, però, il "raddoppio" potrebbe essere "riequilibrato". E così pure in funzione delle modifiche al processo penale. Si continua infatti a insistere che, allungando la prescrizione, si allunghi, automaticamente, la durata del processi. Dimenticando che finora è accaduto il contrario, e cioè che la prescrizione è diventata una strategia difensiva per portare i processi allo stremo, allungandone i tempi. Giustizia: Renzi tiene il punto (manettaro) e fa arrabbiare i garantisti. Conviene? di Claudio Cerasa Il Foglio, 25 marzo 2015 Anche gli alfaniani, nel loro piccolo, s'incazzano con Matteo Renzi e denunciano la frantumazione dolosa di un patto sulla giustizia che avrebbe dovuto contenere entro limiti più ragionevoli l'innalzamento dei termini di prescrizione per i reati di corruzione propria, impropria e in atti giudiziari, che dopo il voto di ieri alla Camera sono invece aumentati della metà (se ne riparla in Senato). Area popolare (Alfano più Casini) ha votato contro insieme con Forza Italia; astenuti, per vocazione abitudinaria all'irrilevanza, i pentastellati. C'è stato clangore, prima del voto finale sull'articolo 1 del ddl che innalza i tempi di prescrizione, quando l'Aula ha bocciato l'emendamento soppressivo del testo presentato dal capogruppo in commissione Giustizia di Area popolare, Alessandro Pagano, e altri due emendamenti identici. I voti contrari sono stati numerosi (337) e hanno provocato l'ira minacciosa dei centristi, rintuzzata a fatica dal ministro della Giustizia Andrea Orlando. Il malumore degli alfaniani s'intensifica, et pour cause, all'indomani del siluramento di Maurizio Lupi dal ministero delle Infrastrutture. È evidente che quelle di Ncd sono minacce ad alzo zero, sì, ma sparate a salve, nell'attesa di negoziare una contropartita ministeriale per il dopo Lupi e nella realistica convinzione di non poter separare i propri destini da quelli del governo. Ma ci sono dei ma. Renzi ha dimostrato una volta ancora che il suo tasso di spregiudicatezza è pronto a innalzarsi fino alla soglia delle maggioranze variabili, e per di più su un dossier rovente come la giustizia, con i grillini per ora fermi al ruolo d'interdizione demolitoria contro le intemerate garantiste dei moderati, ma più avanti chissà. Il premier sta scommettendo in modo un po' spericolato sulla possibilità che la sua durezza sui reati di corruzione gli valga come un contrappeso granitico per rendere più credibile, e meno aggredibile, il percorso di riforme del potere giudiziario (vedi alla voce responsabilità civile dei magistrati). Ma fossimo in lui non daremmo per scontato che l'episodio di ieri possa essere serenamente utilizzato come una sorta di lasciapassare per tenere a distanza le rivendicazioni corporative della casta giudiziaria. La disintermediazione dei rapporti di forza in Parlamento è un esperimento suggestivo e legittimo, ma a furia di bastonare troppo la (pur piccina) nomenclatura degli interlocutori-alleati, si rischia di finire isolati, se non di ammanettarsi a compagni di strada rivestiti di toghe. Giustizia: sulla prescrizione crepe nella maggioranza, Ncd contro il Pd sulla corruzione di Domenico Cirillo Il Manifesto, 25 marzo 2015 Il ministro Orlando deve promettere: correggeremo ancora il testo. Prima approvazione (con astensione) per l'allungamento dei termini. Il nodo del sostituto di Lupi. Era il punto 9 del "pacchetto" giustizia annunciato nove mesi fa dal governo: la riforma della prescrizione, vale a dire il suo prolungamento. Ieri è stata approvata dall'aula della camera e ora passa al senato dove però sarà sicuramente modificata, quindi tornerà indietro. E così si allungano i tempi dell'allungamento della prescrizione. Lo ammette il ministro della giustizia Orlando, avvertendo che sarà tenuta ferma "l'impostazione" ma che bisognerà "coordinare" l'allungamento dei tempi della prescrizione per la corruzione, votato ieri dalla camera, con l'aumento della pena per lo stesso reato in corso di approvazione (proprio da oggi) al senato. Tutti e due i provvedimenti sono dettati dal governo, quindi il coordinamento si sarebbe potuto fare prima a palazzo Chigi. Adesso pesa soprattutto la contrarietà degli alleati del Nuovo centrodestra. Ieri si sono astenuti, Alfano ha detto che al senato "faremo la nostra battaglia". Ha buoni argomenti il deputato alfaniano Pagano che interviene per motivare l'astensione: "Il nostro potere contrattuale al senato è un ulteriore elemento di garanzia". A palazzo Madama il margine per la maggioranza è assai ristretto e sono 36 i senatori di Area popolare-Ncd. "L'iter parlamentare del provvedimento sulla prescrizione vede oggi una sua fase importante ma non definitiva", sintetizza il viceministro Ncd della giustizia Enrico Costa. Non piace agli alfaniani che la prescrizione per il reato di corruzione (propria, per induzione e in atti giudiziari) sia stata allungata del 50% rispetto alla pena massima. Al momento sarebbe di 12 anni, ma nel parallelo disegno di legge del senato si alzano le pene per lo stesso reato (fino a 12 anni per quella in atti giudiziari) tanto che è stato giorni fa direttamente Renzi a esultare su twitter per il (tutto da approvare) "raddoppio della prescrizione). Il disegno di legge approvato ieri prevede anche la sospensione della decorrenza dei termini di prescrizione dopo la condanna in primo grado. Per due anni, prolungabili di un altro dopo la condanna in appello per dare tempo alla Cassazione di esprimersi. Ma in caso di assoluzione si annulla lo stop e il reato è prescritto. Previsti anche altri tre casi di sospensione dei termini (più brevi, 6 o 3 mesi) per le rogatorie all'estero, la ricusazione dei giudici o particolari perizie chieste dall'imputato. Per i reati più gravi commessi contro minori, i termini di prescrizione cominceranno a decorre dal compimento della maggiore età delle vittime (che così avranno più tempo per denunciare). La mediazione di Orlando, la promessa di correttivi al senato, ha consentito al Ncd di passare dal voto contrario (che ha comunque espresso sull'articolo 1) all'astensione. Fermo invece il No di Forza Italia e dei socialisti, che hanno denunciato il rischio di un allungamento oltre misura dei processi, per i quali il nostro paese è già ripetutamente condannato in sede europea. Stesso timore espresso da Sel, che però ha preferito un'astensione "neanche troppo benevola". Mentre si è astenuto per motivazioni opposte il Movimento 5 stelle, per il quale il provvedimento è troppo blando perché si limita ad aumentare i termini per la corruzione e non per altri reati che riguardano la cosa pubblica. Inoltre i grillini proponevano il congelamento perpetuo dei termini di prescrizione dopo la prima condanna. Le divergenze tra alleati sulla prescrizione si collegano naturalmente anche ai postumi del caso Lupi. Renzi dovrà scegliere a breve il nuovo ministro delle infrastrutture, l'Ncd preme per portare Quagliariello al governo (per fare spazio nel partito proprio a Lupi) ma non si accontenta di un ministero minore come quello degli affari regionali. Alfano e Renzi dovranno incontrarsi ancora per risolvere il puzzle. Problemi anche in Forza Italia, visto che proprio intervenendo a nome del partito sulla prescrizione il deputato Chiarelli - legato al "dissidente" Raffaele Fitto - ha approfittato per attaccare in pubblico il consigliere di Berlusconi Toti e altri del "cerchio magico" berlusconiano come la senatrice Rossi. Risultato: il capogruppo Brunetta lo ha immediatamente escluso dalla commissione giustizia. E i fittiani hanno cominciato a protestare per "l'epurazione". Giustizia: Orlando "riforma prescrizione non è aumento irragionevole tempi dei processi" www.camera.it, 25 marzo 2015 Cosi il guardasigilli Andrea Orlando, intervenendo alla Camera dei Deputati nella discussione del disegno di legge che modifica il codice penale in materia di prescrizione del reato. Sono consapevole del fatto che la prescrizione non si determina soltanto nell'ambito del processo, però noi dobbiamo tener conto, ragionando anche dei tempi del processo, se la prescrizione così com'è attualmente costruita non sia oggettivamente un incentivo ad allungare il processo. Così com'è costruita oggi la prescrizione, per una fetta consistente di casi, costituisce un incentivo ad utilizzare il rito principale ed evitare di utilizzare i riti alternativi, perché, nel sistema di convenienze definito dal processo, è relativamente meno conveniente utilizzare i riti alternativi, perché c'è sempre la possibilità di utilizzare questa possibilità di chiudere il processo in questo modo. Per cui il fatto che un numero consistente di processi si estingua durante le indagini non è una buona ragione per non affrontare, invece, il tema dei reati che si estinguono all'interno del processo. Certo, questo consiglierebbe, come il Governo ha fatto, di affrontare questo tema nell'ambito complessivo della riforma del processo. La Commissione ha deciso, credo anche sulla base di una considerazione di carattere generale, cioè il fatto che c'erano molti provvedimenti che intervenivano sul tema della prescrizione, di stralciare questo elemento, questo tema della prescrizione dalla riforma complessiva del processo. È una scelta che, naturalmente, ci complica la lettura di questo provvedimento, perché non ci consente di metterlo in relazione con le altre cose che stanno venendo avanti e che la presidente Ferranti ricordava: cioè, non ci consente di coordinare questo con gli interventi che devono incidere sulla ragionevole durata del processo; non ci consente di leggerlo, quindi, alla luce dei tempi del processo e anche alla luce della modifica delle pene che, nel frattempo, stanno intervenendo su alcuni tipi di reato. È una possibilità che sarà riservata alla Pag. 49seconda lettura di questo testo normativo, a cui competerà il compito di tener conto di quanto in Commissione e alla Camera si sarà fatto sul fronte dei tempi del processo, della riforma del processo penale, e a quanto sarà successo sulla definizione complessiva del catalogo delle pene per quanto attiene una serie di reati. Però, detto tutto questo, respingo l'accusa di aumentare in modo irragionevole e senza un disegno di insieme i tempi della prescrizione e, quindi, di allungare di conseguenza i tempi del processo. Noi partiamo dal tentativo di trovare un equilibrio tra la pretesa punitiva dello Stato e la ragionevole durata del processo e decidiamo che sospendiamo la prescrizione nel momento in cui si determina una corroborazione della pretesa punitiva con una condanna di primo grado. La pretesa punitiva dello Stato viene rafforzata da una condanna di primo grado, sulla base di questo si consente di procedere ulteriormente nel processo; così vale anche per il passaggio in Cassazione. Da questo punto di vista, onorevole Colletti, la risposta a quel suo collega che le poneva il tema del condannato in primo grado per truffa, lei l'avrebbe avuta, perché, certo, se in due anni non si riesce a condannare uno per truffa, un problema del sistema esiste, ma, sicuramente, non ci sarebbe stato quel caso che lei citava, per cui l'imminente decorrere del termine di prescrizione impediva la possibilità di portare avanti il processo ed arrivare alla condanna. Non abbiamo allungato e non sono stati allungati i tempi della prescrizione per alcuni reati per ragioni di esecrazione di quel tipo di reato. Questo allungamento è dovuto alla particolare natura di quei reati. Non abbiamo scelto perché riteniamo più grave la corruzione propria e la corruzione in atti giudiziari rispetto ad altri tipi di reati contro la pubblica amministrazione. La scelta è dovuta al fatto che quel tipo di reato si basa su un patto corruttivo che emerge, spesso, molto dopo il momento in cui questo patto si è concluso. Da questo punto di vista, c'è una corrispondenza con una scelta che lo stesso Parlamento ha fatto quando ha deciso di allungare i tempi di prescrizione, per esempio, nell'ambito dei reati ambientali, reati che, al di là del giudizio che gli si può dare nella Pag. 50gerarchia dell'esecrazione sociale, della riprovazione sociale, sono però reati che, oggettivamente, emergono molto tempo dopo rispetto al momento in cui vengono commessi. Questa è la scelta che sta alla base di questo testo e questa è la scelta per cui io credo che il provvedimento che stiamo affrontando - con l'esigenza di quel coordinamento che richiamavo, cioè di tener conto di che cosa si farà sul fronte delle modifiche per il raggiungimento di obiettivi sulla ragionevole durata del processo e tenendo conto delle modifiche di pena che interverranno - dovrà essere coordinato con questi altri aspetti. Ma se lo giudichiamo oggi, credo che costituisca un segnale positivo e non un elemento di allungamento del processo, ma, e lo ripeto, ma - e su questo vorrei spendere l'ultimo minuto del mio intervento - è uno strumento attraverso il quale si ridà vigore al percorso dei riti alternativi. Da questo punto di vista, però, inviterei i parlamentari che dicono che questo intervento allunga i tempi del processo ad essere conseguenti quando si parla di riti alternativi e non, invece, tutte le volte, porre poi la questione del perché c'è il beneficio nel rito alternativo. I riti alternativi sposano uno spirito utilitaristico: si fa uno sconto, perché si realizza più rapidamente la pretesa punitiva dello Stato. Teniamo insieme questi due aspetti, perché questo è un aspetto di carattere fondamentale. Trovo poi singolare, e mi avvio a concludere, che i gruppi politici che invitano costantemente a un'estensione dell'ambito del diritto penale - è là che si misura quando esiste o meno la pretesa punitiva dello Stato - poi, invece, in qualche modo siano disponibili ad accettare l'idea che il semplice decorrere del tempo sia l'arbitro del fatto che quella pretesa punitiva deve durare o meno. Se vogliamo discutere seriamente di quale sia il modo più efficace di contrastare gli illeciti allora discutiamo del perimetro del diritto penale, non dei tempi nei quali si prescrive un reato, perché una volta che lo Stato ha detto che quel comportamento deve essere sanzionato come un reato ha detto una cosa che non può essere smentita semplicemente perché si arrende di fronte al fatto che il tempo passa e non c'è più niente da fare. Giustizia: omicidi a quattro ruote, da 8 a 12 anni di carcere per chi causa incidenti mortali di Simona D'Alessio Italia Oggi, 25 marzo 2015 Reclusione "da 8 a 12 anni" per chiunque, al volante in stato d'ebbrezza, o sotto l'effetto di droghe, provochi il decesso di una persona. Rischia, invece, una condanna da 6 a 9 anni il guidatore che, "procedendo a una velocità pari al doppio di quella consentita", determini un incidente mortale, stessa pena inflitta pure a chi (ucciso qualcuno) si dia alla fuga. E saranno punite pure le "lesioni personali" inflitte a chi, investito, patisce problemi di salute. Messo a punto ieri, in commissione giustizia al senato, il testo che unifica le norme penali in materia di omicidio stradale (859 e connessi disegni di legge 1357, 1378, 1484 e 1553), "un grosso passo in avanti", ha dichiarato a Italia Oggi il relatore Giuseppe Cucca (Pd), precisando di confidare nella fase emendativa (fino al 21 aprile sarà possibile depositare le modifiche) per "integrare il provvedimento con elementi che nella versione originaria c'erano e ho tolto per accelerare i tempi, fra cui le misure sulla sospensione della patente"; scelta, ha precisato il parlamentare, necessaria per "evitare sovrapposizioni" con la commissione lavori pubblici di palazzo Madama, che sta esaminando il disegno di legge delega di riforma del codice della strada (1638, approvato dai deputati) che "contiene la revoca" dell'abilitazione alla guida. Il "giro di vite" nei confronti di chi lascia vittime sull'asfalto contempla il carcere fino a 12 anni per comportamenti scorretti (assunzione di bevande alcoliche oltre i limiti consentiti, o sostanze stupefacenti, nonché pigiare troppo sull'acceleratore) da parte dei cosiddetti "pirati della strada"; nel caso, poi, recita il testo, in cui le vittime siano più d'una la condanna potrà essere aumentata sino al triplo, ma non potrà superare i 18 anni. Novità è, inoltre, l'introduzione del delitto di "lesioni personali stradali": il guidatore del veicolo che, sotto effetto di alcol o di droghe, cagioni alla vittima non la morte, bensì un danno dal quale derivi una malattia, rischia la condanna da uno a quattro anni. E se la colpa, invece, è dell'alta velocità, la reclusione sarà da sei mesi a due anni, mentre la stessa sorte toccherà al conducente che si dia alla fuga, rendendosi irreperibile, dopo aver cagionato un sinistro "dal quale sia derivata una lesione personale che abbia causato una malattia a una persona". Nel caso in cui le vittime con lesioni siano più d'una "si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentate sino al triplo", ma senza che si superi il tetto massimo dei sette anni. Giustizia: testo unificato per il reato di omicidio stradale, carcere fino a 12 anni Dire, 25 marzo 2015 Arrivano due nuove reati che verranno inseriti nel Codice penale per punire i pirati della strada: l'omicidio stradale e le lesioni personali stradali. In commissione Giustizia al Senato, il relatore Giuseppe Cucca (Pd) ha depositato un testo unificato nell'ambito dell'esame dei disegni di legge in materia che erano all'attenzione di Palazzo Madama dallo scorso 17 giugno. Il testo unificato è stato adottato dalla commissione e sarà la base per il prosieguo dei lavori. Il termine degli emendamenti è fissato a martedì 21 aprile, alle ore 18. Per quanto riguarda il delitto di omicidio stradale, con l'introduzione dell'articolo 589 bis viene previsto che "Chiunque ponendosi alla guida di un autoveicolo o di un motoveicolo o di altro mezzo meccanico in stato di ebbrezza alcoolica o di alterazione psico-fisica conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope cagiona per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da otto a dodici anni". Per le lesioni personali stradali, dalle quali derivi una malattia, con una modifica all'articolo 590 bis del Codice penale, viene previsto, nei casi in cui l'incidente sia provocato da guida in stato di ubriachezza o di alterazioni conseguenti all'assunzione di droghe o altre sostanze psicotrope, il carcere da uno a quattro anni. Pene più severe sono introdotte anche per la guida non in stato di alterazione ma comunque a una velocità doppia di quella consentita: per l'omicidio stradale carcere da sei a nove anni; per le lesioni personali stradali pena da sei mesi a due anni. Nel testo unificato del relatore non è previsto ‘l'ergastolo della patentè, ossia il ritiro a vita in caso di guida in stato di ebrezza o sotto alterazione di droghe o sostanze psicotrope. Il relatore Giuseppe Cucca spiega: "All'attenzione della commissione Lavori Pubblici del Senato c'è la riforma complessiva del Codice della strada. Nella sede della commissione Giustizia ho preferito non inserire la questione della revoca definitiva della patente per velocizzare l'iter dell'omicidio stradale". Il capogruppo Pd in commissione Giustizia del Senato, Giuseppe Lumia, spiega: "Come gruppo del partito democratico abbiamo chiesto che sul nuovo reato si acceleri partendo dal testo base presentato dal relatore e con l'esame degli emendamenti. Benché si tratti di una materia complessa dobbiamo dare una risposta a a un dramma che si consuma oggi sulle strade". Di seguito il resto delle nuove norme previste dal testo unificato del relatore Giuseppe Cucca (Pd), adottato dalla commissione Giustizia del Senato. Nell'ambito del reato di omicidio stradale, per i pirati della strada sobri ma che si sono dati alla fuga, rendendosi irreperibili, la condanna va da 6 a 9 anni se dall'incidente è derivata la morte di una persona. Se il sinistro stradale cagiona la morte di più persone la pena può essere aumenta fino al triplo ma non può superare gli anni 18. Per le lesioni personali stradali, pena da sei mesi a due anni per chi si è dato alla fuga senza prestare assistenza. Se il conducente dell'auto pirata provoca lesioni a più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentate sino al triplo (non potrà superare in ogni caso i sette anni). Nel caso di lesioni gravi la pena è aumentata da un terzo alla metà, mentre per le lesioni gravissime la pena è aumentata dalla metà a due terzi. Il delitto di lesioni personali stradali è punibile a querela della persona offesa solo se la malattia ha una durata non superiore ai 20 giorni e se non ricorre alcuna circostanza aggravante. Giustizia: crescere chiusi dietro le sbarre, in carcere ci sono anche bambini e ragazzi di Cristina Da Rold L'Espresso, 25 marzo 2015 Sono i figli neonati delle detenute o i minori (spesso stranieri) che non accedono alle misure alternative. E gestirli è sempre più difficile a causa delle ristrettezze economiche. Ecco quanti sono, dove e per quali reati sono stati reclusi. Un lungo corridoio, stanze con tre letti e tre culle, una piccola cucina, un giardinetto e qualche disegno colorato alle pareti. Ma nessuna candelina, nessun regalo. Ci sono bambini oggi in Italia, per i quali compiere gli anni non è una festa, così come non lo è per le loro madri, che sanno che cosa capiterà al loro nucleo famigliare allo scoccare del terzo anno di vita del proprio bambino. Sono le donne detenute nei carceri femminili italiani, a cui la legge permette di vivere con i propri figli all'interno della struttura fino al compimento dei tre anni. E non è un modo di dire, poiché il giorno stesso del compleanno il bambino viene prelevato dalla struttura dove vive con la madre e affidato ad altre cure, nella migliore delle ipotesi alla famiglia d'origine. Secondo i dati ministeriali , nel 2014 le detenute madri in Italia erano 27, e 28 i bambini con meno di tre anni che vivevano all'interno delle carceri per adulti. Non moltissimi, se si pensa che si è arrivati anche a 78 bambini nel 2000 e a 73 nel 2009. Una vita, quella dei piccoli, modulata sulle dinamiche della detenzione adulta, con le stesse sbarre e gli stessi colori. Eppure una legge che dispone diversamente esiste, ed è la legge 62 dell'aprile 2011 , che introduce due alternative alla detenzione per questi bambini. La prima di queste opzioni sono gli Icam (Istituti a custodia attenuata per detenute madri con prole fino a tre/sei anni) che sebbene siano carceri, a livello edilizio sono comunque più simili a una casa normale, anche se la donna vive la propria quotidianità da detenuta. La seconda alternativa al carcere vero e proprio sarebbero invece le famose case famiglia protette, che dovrebbero essere destinate a donne che non hanno la possibilità di ripristinare la normale convivenza con il figlio per mancanza di un domicilio. Il condizionale è d'obbligo, dal momento che a oggi di Icam ce ne sono solo due in tutta la penisola e di case famiglia protette nemmeno l'ombra. "Non c'è da stupirsi - racconta Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell'Associazione Antigone - dato che secondo la normativa le case famiglia non devono comportare oneri per la finanza pubblica e devono essere individuate con l'aiuto degli Enti Locali che come sappiamo al momento hanno ben altre priorità dal punto di vista economico." La spending review la pagano tutti quanti. I minori in carcere non sono però solo i figli delle detenute, come mostrano i dati recentemente pubblicati dal Ministero della Giustizia e aggiornati al 28 febbraio 2015. Sebbene oggi la detenzione per i minori sia in qualche modo un'extrema ratio e non una prassi - ci raccontano dall'Associazione Antigone - all'interno dei cosiddetti Ipm (Istituti Penali per i Minorenni) sono ospitati oggi circa 300 ragazzi. E la maggior parte è italiana. "Basta fare due conti per capire che sono numeri molto piccoli rispetto al mondo adulto - prosegue la Marietti - dato che gli Ipm attivi al momento in Italia sono solo 15, mentre le carceri per adulti sono circa 200, ma al tempo stesso negli ultimi anni i minori presi in carico dagli Uffici di Servizio Sociale per i Minorenni (Ussm) sono cresciuti non di poco, passando dalle 14.744 unità del 2007 alle 20.268 del 2014". E 15.992 di questi sono giovani italiani. Inoltre, solo nei primi due mesi del 2015, 181 minori sono entrati in carcere e 252 in comunità, numeri che comprendono anche i cosiddetti "giovani adulti" cioè i ragazzi fino ai 25 anni di età, che con la legge 144 dell'11 agosto 2014 , possono continuare a usufruire dei servizi giudiziari per minori non più fino ai 21 anni, ma fino al compimento del venticinquesimo anno. L'iter per i minori è più lasco rispetto a quello per gli adulti, con maggiori possibilità di evitare la detenzione vera e propria. Se un minore viene arrestato lo si porta in un centro di prima accoglienza, dove attende la convalida del fermo da parte dell'autorità giudiziaria, che deve avvenire entro le 72 ore. Se la convalida arriva, si procede con la valutazione della situazione del minore per capire se inserirlo in una comunità oppure direttamente in un Ipm, nei casi più gravi. "Per i minorenni c'è anche la "messa alla prova" - spiega la Marietti - che consiste nella decisione del giudice, quando ritiene che vi siano le condizioni, di sospendere addirittura il processo e di tornare a valutare il ragazzo alla fine di un periodo di osservazione. La macchina giudiziaria non viene così proprio messa in moto". Non per tutti però è così facile. Se è vero infatti che pochi minori finiscono davvero in queste strutture, sembra altrettanto vero che la presenza di un'offerta diversificata in realtà porta a galla importanti disuguaglianze dal punto di vista etnico, e quindi sociale. "Negli anni il sistema minorile di giustizia ha mostrato di reggere meglio di quello per adulti - prosegue la Marietti - ma mano a mano che si entra nel vivo del percorso di giudizio si nota come i giovani stranieri, che sono alla fine l'anello più debole della catena, abbiano meno possibilità di usufruire di misure alternative alla detenzione vera e propria." Come mostrano i dati del Ministero, se la percentuale di stranieri presi in carico dai Servizi di Giustizia Minorile è circa il 20 per cento del totale, essi costituiscono il 43 per cento dei ragazzi presenti in comunità e il 47,3 per cento dei detenuti presso Ipm. In altre parole: i minori stranieri che commettono reato sono molti, molti meno rispetto agli italiani, ma alla fine la percentuale di essi che finisce in carcere è più alta rispetto ai nostri connazionali. "Sono di più perché la gestione pratica è oggettivamente più complessa, è più difficile agganciare i minori stranieri e far fare loro un percorso alternativo" ribadisce anche Guido Mussini, avvocato penalista e docente di Giustizia penale minorile presso la Lumsa di Roma. Giustizia: criminalità ed immigrazione, cosa dicono (davvero) i dati di Adriano Biondi www.fanpage.it, 25 marzo 2015 Quali sono i fondamenti "reali" della ricostruzione che vuole le carceri italiane "piene di stranieri", quali sono i reati commessi dagli immigrati e quanto tempo trascorrono effettivamente in carcere: il fact checking sulla emergenza (?) carceri in Italia. È opinione comune e frequentemente rilanciata da media e politica che uno dei maggiori problemi delle carceri italiane sia la massiccia presenza di stranieri. E, al contempo, la presunta propensione a delinquere dei cittadini stranieri presenti in Italia è argomento cardine della propaganda anti - immigrazione. Insomma, due concetti che si alimentano a vicenda e che armano soprattutto la polemica politica, spesso, è persino superfluo sottolinearlo, in concomitanza con qualche episodio di cronaca particolarmente significativo per l'opinione pubblica. Le questioni (sovraffollamento carcerario, presenza di detenuti stranieri e tasso di delinquenza) sono in effetti collegate, anche se, come triste prassi, i riferimenti numerici sono del tutto arbitrari e manca ogni tipo di contestualizzazione. Basandoci sugli ultimi dati rilasciati dall'Istat, proviamo a fare un po' di chiarezza ed a rispondere a qualche domanda di senso. La situazione delle carceri italiane è una delle "costanti emergenze" del Paese e ci è costata una serie di richiami e multe da parte dell'Unione Europea. Il tema è molto complesso (e in parte abbiamo provato a svilupparlo qui, qui e qui), ma per quel che concerne l'oggetto della nostra discussione bisogna registrare la costante diminuzione del numero di detenuti, per effetto di una serie di provvedimenti approvati nel corso degli ultimi anni (e la cifra è destinata a scendere ulteriormente nei prossimi mesi). Secondo l'Istat, al 31 dicembre 2013 risultano detenute nelle carceri italiane 62.536 persone, il 4,8% in meno rispetto al 2012 (-8% sul 2010); Antigone stima poi in 53.982 i detenuti al 28 febbraio 2015, cifra non lontanissima dalla capienza regolamentare dell'intero sistema carcerario italiano, fissata in 47.709 posti (il tasso di affollamento è dunque di 108 detenuti per 100 posti letto). Tra i detenuti, "il 17,8% è in attesa di giudizio, il 9,7% è costituito da appellanti, il 6,5% da ricorrenti in Cassazione, mentre il 2,5% presenta situazioni miste senza condanne definitive, per il 54,2% si tratta di condannati in maniera definitiva, cui si aggiunge un ulteriore 7,3% di condannati con più giudizi pendenti"; il numero di persone che entrano in carcere ogni anno si è ridotto fino a 60mila unità (2013) e per il 40% di esse l'iter è stato velocissimo: "Arresto, conduzione in carcere, processo per direttissima oppure convalida dell'arresto in pochissimi giorni, con il 15,9% dei detenuti esce dal carcere nel giro di una settimana". Va sottolineato, inoltre, che l'Italia ha complessivamente un basso tasso di detenzione: 102,9 ogni 100mila abitanti, mentre la media europea si attesta a 124,1 e quella mondiale a 145. Perché è diminuito il numero dei detenuti nelle carceri italiane? Si tratta di dati determinati in larghissima misura dai provvedimenti adottati a cavallo tra il 2011 ed il 2014. In questi anni, messa da parte, per ragioni eminentemente politiche, la possibilità di concedere indulti o amnistie, si è fatto ampio ricorso alle misure alternative al carcere, "tentando" di lasciare in carcere solo "i soggetti effettivamente pericolosi per la società, in quanto autori di crimini efferati e/o con tendenza alla reiterazione del reato" (obiettivo riuscito a metà, come vedremo analizzando la composizione della popolazione carceraria). I condannati in esecuzione penale esterna al carcere sono infatti circa 30mila, in aumento del 70% rispetto al 2000 e costituiscono il 43,6% del totale delle condanne. Tra le misure alternative al carcere la più utilizzata è l'affidamento in prova ai servizi sociali (50,2%), poi la detenzione domiciliare (il 46%) e la semilibertà (3,8%). Tra gli interventi legislativi di maggiore impatto in tal senso, si segnalano il decreto legge 211/2011, che estende la concessione della detenzione domiciliare speciale e agisce sul fenomeno delle cosiddette "porte girevoli" (permanenza di pochi giorni in carcere, approvato dal Governo Monti), la modifica della Bossi-Fini che puniva con la reclusione la violazione dell'ordine di espulsione per gli stranieri irregolari (Governo Letta), il decreto legge 146/2013, che conferma l'esecuzione della pena presso il domicilio e mitiga le pene irrogate per la detenzione di sostanze stupefacenti nell'ipotesi della lieve entità del fatto (Governo Letta), la dichiarazione di incostituzionalità della Fini - Giovanardi e la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Infine, a contribuire alla diminuzione del numero dei detenuti concorre (seppur in misura minore, anche data la tempistica di alcuni procedimenti giudiziari) il calo dei reati: solo nel 2014, ad esempio, i furti in abitazione sono diminuiti del 12% rispetto all'anno precedente, le rapine del 9%, quelle in uffici postali del 20% e in banca del 37%. Gli stranieri che delinquono (più degli italiani?) I detenuti stranieri sono pari al 34,9% del totale e provengono per il 46,3% da paesi africani, per il 41,6% da altri paesi europei, per il 5,7% dall'Asia e per il 6,3% dalle Americhe; la nazionalità "più rappresentata" è quella marocchina (18,6%), seguita da quella rumena (16%), albanese (13%), tunisina (12%), nigeriana (4%) ed algerina (2,5%); oltre il 50% dei detenuti stranieri è ospitato in strutture del Nord Italia, il 30% al Centro ed il 20% tra Sud e Isole; al Nord gli stranieri rappresentano oltre il 50% dell'intera popolazione carceraria, al Centro circa il 45%, al Sud solo il 13,5% e nelle Isole il 20%. È evidente dunque come, in proporzione alla consistenza della popolazione, tali dati sembrerebbero confermare l'idea che "gli stranieri delinquono molto più degli italiani". Ma l'analisi non può limitarsi a questo, dal momento che, come evidenziava un report di Barbagli per il Cestim, basta un rapido excursus storico a confermare che "l'immigrazione provoca sempre l'aumento del numero di reati nel paese di arrivo" e che "gli immigrati extracomunitari nel nostro paese commettono alcuni reati (furti, spaccio e traffico di stupefacenti, rapine, omicidi) più spesso degli italiani" (reati "a forte rischio reiterazione", condizione che determina la carcerazione per il 95% dei casi). Per avere un quadro completo, però, è necessario aggiungere altri elementi: la popolazione carceraria di nazionalità straniera tende ad usufruire in maniera nettamente inferiore delle misure alternative al carcere; i reati commessi di solito dagli stranieri sono proprio quelli che più spesso portano in carcere; i tempi di permanenza degli stranieri in carcere sono mediamente molto più bassi rispetto a quelli degli italiani. A sostegno di quest'ultima considerazione (che si incrocia con la minore frequenza del ricorso alle misure alternative per la popolazione straniera), vi sono i dati forniti dall'Istat, che mostrano una forbice sensibile nella fascia di detenzione da 0 a 5 anni. Le ragioni sono diverse: maggiore propensione a commettere reati "minori", frequenza della reiterazione di piccoli reati e, appunto, minore ricorso a misure alternative alla carcerazione. Insomma, per concludere: non vi è dubbio che le statistiche mostrino un rapporto sproporzionato fra presenza degli stranieri in Italia e tasso di detenzione nelle carceri, ma i dati, oltre ad essere molto lontani dalla "percezione comune" e dalla "vulgata" della propaganda politica, necessitano di contestualizzazione e di un'analisi il più possibile oggettiva, in cui siano inseriti i riferimenti normativi, le condizioni di vita complessive della popolazione straniera in Italia (redditi più bassi, maggiore tasso di disoccupazione, salari inferiori, discriminazioni razziali e difficoltà legate all'inserimento sociale) e le oscillazioni temporali. Omettere tali fattori è operazione strumentale ed ideologica, oltre che intellettualmente disonesta. Un discorso a parte merita invece la propaganda legata agli sbarchi nel Mediterraneo e alla presunta emergenza criminalità collegata agli immigrati che arrivano nel nostro Paese. Considerazioni di questo tipo, infatti, si scontrano con un confronto fra gli stessi dati citati in precedenza: in primo luogo, la percentuale di stranieri provenienti da paesi africani che sono reclusi nelle carceri italiane è vicina al 15% del totale (a questa va aggiunta una quota, circa lo 0,5% di siriani e profughi provenienti dal vicino oriente) ed è anch'essa in calo negli ultimi anni, nonostante l'aumento progressivo degli sbarchi; in secondo luogo i dati "complessivi" sulla criminalità sono in diminuzione e, dunque, non risentono dell'aumento del numero degli sbarchi in territorio italiano. Giustizia: chiusura degli Opg, Veneto inadempiente… ma le sanzioni non bastano di Eleonora Martini Il Manifesto, 25 marzo 2015 Intervista a Nerina Dirindin, della Commissione Sanità del Senato. "Va promosso quel dialogo troppo carente tra le strutture sanitarie e la magistratura". Ci sono regioni che si sono attivate appena qualche settimana fa, quando hanno capito che non ci sarebbe stata nessun'altra proroga. Ma c'è anche chi, come il Veneto di Luca Zaia, ha scelto deliberatamente di non prestare particolare attenzione ad un evento considerato "storico" come la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari. E a sei giorni dall'ora X che per legge scatta a fine marzo, continua a non predisporre alcun piano. "Purtroppo c'è qualcuno che tende a considerare un optional ciò che è imposto per legge", commenta la senatrice Pd Nerina Dirindin, che per la commissione Sanità ha effettuato in questi giorni una serie di sopralluoghi per verificare il processo di dismissione degli Opg. Qual è la situazione? "Finalmente questo percorso è stato avviato in tutte le regioni, tranne il Veneto. Alcune si sono attivate prima, altre dopo, come il Piemonte che lo ha fatto solo recentemente. Ma ora l'importante è che in questo percorso, che sarà lungo e ad ostacoli, si evitino certe scorciatoie: non si trasferiscano semplicemente le persone da una struttura degradata ad una solo un po' più bella, si attuino effettivamente percorsi riabilitativi terapeutici personalizzati, si rispetti la dignità di queste persone che sono al contempo rei e folli". Per le regioni che non rispettano i termini di scadenza è previsto il commissariamento… "Sì, c'è un commissario nazionale, unico per tutte le regioni, per fare in modo che ci sia omogeneità nell'attuazione della riforma". Nessuna sanzione? "Guardi, io credo che sia inutile sanzionare, perché le sanzioni non possono che essere minuscole. Mentre invece bisogna creare una cultura nuova: accompagnare, monitorare, supportare, arrabbiarsi magari. Nella legge abbiamo scritto che il rispetto delle scadenze sugli Opg sarebbe stato considerato uno degli indicatori per maturare il diritto alla quota integrativa del Fondo sanitario nazionale, però non credo che la sanzione sia un deterrente". Il Partito Radicale insieme ad alcuni deputati di Alternativa libera denunciano il mancato rispetto, di fatto, della scadenza del 31 marzo. "Guardi a me non interessa che il 1° aprile chiudano gli Opg e buttino via la chiave, perché questa è la cosa peggiore che potremmo fare. Sappiamo che non siamo tutti pronti e se pure resterà un solo internato bisognerà che per lui sia predisposto il migliore piano di cura personalizzato. Allora, tutta questa furia nel denunciare l'arretratezza del processo io la utilizzerei per dare una mano a non creare allarmismi, a sostenere la cultura del rispetto, cosa che per altro i Radicali hanno sempre fatto. Io però non sono per la repressione, ma per la sensibilizzazione, la formazione, la creazione di una cultura positiva". Come si stanno attrezzando i Dipartimenti di salute mentale? "I Dsm sono già in sofferenza perché in questi anni di forti restrizioni economiche sono stati spesso trascurati. Perciò sono previste risorse per i concorsi e per l'assunzione del personale, e ci auguriamo che tutte le regioni si attivino immediatamente. Però c'è anche bisogno di formare e creare motivazione nel personale, perché da troppi anni le strutture sanitarie si sono disinteressate agli internati. E la stessa cosa vale anche per la magistratura che finora ha spesso utilizzato gli Opg a mò di ripiego rispetto alle carenze dei servizi. Davanti ad un'amministrazione sanitaria che non garantisce una risposta adeguata per qualsiasi motivo, presunto o reale, la magistratura non ha avuto sufficiente attenzione e consapevolezza che si tratta di omissione di atti d'ufficio". Come si scardina questa prassi? "Abbiamo visto ovunque una scarsa abitudine al dialogo tra l'amministrazione sanitaria e quella giudiziaria ma ora quasi dappertutto si stanno attivando tavoli e sottoscrivendo protocolli per rimettere in moto una collaborazione più proficua, sia nell'interesse del malato che degli operatori e delle comunità. Nella legge 81 però è stato introdotto anche qualche elemento di novità importante che potrà condizionare il comportamento dei magistrati. Uno per tutti, il concetto di pericolosità sociale, che non può essere ricondotto in alcun modo alla condizione economico-sociale degli internati. Doveva accadere prima per gli Opg, dovrà accadere d'ora in poi per le Rems, le residenze che li sostituiranno". Opg: staffetta di digiuno per campagna pro-chiusura Il presidente nazionale dell'Auser Enzo Costa partecipa oggi alla staffetta "digiuno per chiudere gli Opg". L'iniziativa è stata lanciata dalla campagna Stop Opg promossa da un gruppo di associazione fra cui l'Auser per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. In vista della data del 31 marzo 2015, fissata dalla legge per la chiusura degli opg, la campagna ha promosso una grande mobilitazione. Per tutto il mese di marzo i responsabili delle associazioni che hanno dato vita alla campagna digiunano a turno "per tenere viva l'attenzione dell'opinione pubblica, per essere sicuri che la data sarà rispettata, per evitare che ci siano proroghe e trucchi che facciano rinascere strutture manicomiali sotto altre forme". Lettere: "Sosta forzata" deve riaprire di Desi Bruno (Garante dei detenuti della Regione Emilia Romagna) Ristretti Orizzonti, 25 marzo 2015 Ho aspettato ad intervenire sulla sospensione delle attività della redazione di Sosta Forzata, nella speranza che si potesse arrivare ad un incontro tra le parti interessate, per affrontare il problema. L'incontro, verosimilmente, ci sarà, ma intanto la sospensione è in essere, dopo 11 anni di attività della redazione all'interno del carcere di Piacenza. Sul punto si sono già espressi sia la Direzione dell'istituto che il Garante territoriale, ma è necessario fare un passo avanti. Parliamo spesso del processo di "infantilizzazione " a cui il carcere, questo carcere, comunque sottopone le persone ristrette, a cui spesso, al di là degli intenti, vengono offerte attività non sufficienti a stimolare il senso di responsabilità e l'autonomia. Il percorso di acquisizione del senso di responsabilità e di cittadinanza comporta lo sviluppo di senso critico e autonomia, e come potrebbe essere diversamente? La redazione di un giornale, soprattutto nei luoghi di restrizione della libertà, ha queste caratteristiche e rappresenta una delle possibilità per arrivare a conoscere "il dentro e il fuori", creando momenti di riflessione comuni, conoscenza e anche di critica dell'esistente. Si dice che qualcuno potrebbe utilizzare il giornale per ragioni "strumentali": può essere, ma questo avviene in tutti i settori. Di certo non mancano gli strumenti di vigilanza per fermare l'uso indebito di una redazione, come la Direzione del carcere di Piacenza ha lamentato. Il lavoro di redazione costituisce a tutti gli effetti attività trattamentale, e non credo che possa essere così conclusa una esperienza in una struttura che al momento grosse opportunità non offre. Allora sarebbe bene provare a ricominciare, mettendo in campo tutte le obiezioni e perplessità, ma l'umanizzazione della pena passa anche attraverso la valorizzazione e il recupero dell'esistente. Aspettiamo il prossimo numero di Sosta forzata, sarebbe un bel segno. Campania: detenuti psichiatrici, il 30 maggio apre la nuova struttura in Irpinia di Livio Coppola Il Mattino, 25 marzo 2015 Non più un ospedale che sa di prigione. Non più una detenzione spesso somigliante a quella in un lager, a un punto di non ritorno per chi, curandosi, potrebbe realmente tornare a vivere. Degli ospedali psichiatrico giudiziari (Opg) si parla da anni, probabilmente fin dalla loro ideazione, a metà degli anni 70, quando furono chiamati a sostituire i manicomi criminali, proprio allo scopo di garantire un "soggiorno" più umano ai condannati con infermità mentale. Ora, si avvicina un nuovo capitolo, con un nuovo tentativo di "umanizzare" questo tipo di detenzione, con la nascita delle Residenze per Misure di Sicurezza (Rems), strutture più piccole e ospitali, tese più ai recupero che all'abbandono di chi sarà, gioco forza ospitato. L'Irpinia è pronta a contribuire a questa riforma, con la residenza che, il prossimo 30 maggio, sarà inaugurata a San Nicola Baronia. È una svolta epocale per la provincia. L'ex ospedale, poi diventato Residenza sanitaria assistenziale, situato nel centro della cittadina, tra poco più di due mesi diventerà una struttura d'avanguardia, destinata ad ospitare non più di 20 detenuti psichiatrici (tutti di sesso maschile). Si tratterà, è bene dirlo, di un luogo gestito dalla sanità territoriale in collaborazione con il Ministero della Giustizia. L'obiettivo è chiaro: "garantire l'esecuzione della misura di sicurezza (dunque la detenzione) e, al tempo stesso, l'attivazione di percorsi terapeutico riabilitativi territoriali per i soggetti a cui è applicata una misura alternativa al ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e all'assegnazione a casa di cura e custodia". Quella in Baronia è una delle tappe del lungo, annoso percorso di superamento degli Opg. L'Irpinia va a dare un contributo sostanziale al ricovero di questo tipo di detenuti, che ad oggi sono concentrati nei due ospedali di Aversa e Napoli (Sant'Eframo). Questi, complessivamente, ospitano circa 200 persone. In media, solo metà è di origine campana. Il nuovo programma condiviso da governo e enti locati prevede che ciascuna regione prenda in carico i propri detenuti psichiatrici. La Campania ha così prodotto un piano di superamento degli Opg, che deve essere applicato già a fine marzo. Un piano che prevede la nascita di 8 Rems nelle varie province: San Nicola Baronia, per la quale è stato investito un milione 126mila euro tra fondi statali e regionali, insieme a Calvi Resorta, nel casertano, sarà le prime ad entrare in funzione. Poi toccherà a Arpaise, Francolise, Napoli, Cicciano, Acerra e Capaccio. I tempi sono stretti: in settimana il senatore Lucio Romano ha effettuato un sopralluogo nell'Opg di Aversa, quello in cui più volte sono state denunciate condizioni quasi disumane di detenzione, con uomini condannati e abbandonati a loro stessi anche per scontare reati non gravi. Di questi, gli irpini dalle ultime stime sarebbero sei. Che nelle prossime settima ne potrebbero riavvicinarsi alla propria terra, in condizioni migliori. Allo stato, in attesa che la Residenza di San Nicola Baronia apra i battenti, da inizio aprile sarà la Struttura intermedia di residenza (Sir) di Bisaccia ad ospitare 10 dei 58 detenuti campani di Aversa. Successivamente ci sarà il passaggio nella Rems, che a regime potrà accogliere 20 persone, provenienti dai territori di competenza delle Asl di Avellino, Benevento, Napoli 3 Sud e Salerno. L'As. Irpina è impegnata da diversi mesi nella preparazione dei nuovi servizi, che prevedono, attraverso apposite Unità operative di salute mentale, penitenziaria, l'apertura di speciali "Articolazioni" alternative nei quattro istituti di reclusione della provincia. Quella di Sant'Angelo dei Lombardi è già pronta all'uso. Isernia: detenuto morto, l'autopsia conferma "cranio sfondato da più parti" www.isernianews.it, 25 marzo 2015 L'avvocato Galeazzo: "Nessun dubbio, è stato ucciso. Nessuna caduta accidentale. Il medico legale Vincenzo Vecchione, nominato dalla procura, la esclude". Non fu una caduta accidentale. A escludere l'incidente come causa della morte di Fabio De Luca, detenuto nel carcere di Isernia deceduto lo scorso novembre in seguito a gravi ferite riscontrate alla testa, è ora, finalmente, l'autopsia effettuata dal medico legale Vincenzo Vecchione, consulente tecnico nominato dalla procura della Repubblica. La perizia, depositata già da qualche giorno, è stata letta attentamente dall'avvocato del Foro di Isernia Salvatore Galeazzo, legale della famiglia del detenuto, il quale fornisce anche qualche dettaglio al riguardo. "Il mezzo che ha prodotto le lesioni è da ricercare in un oggetto contundente a superficie liscia, di consistenza duro-elastica, che ha attinto il capo del De Luca in più punti". Di cosa si sia trattato - se un bastone di legno, un manganello di ferro, forse ricoperto da un telo o da un panno o cos'altro - non è dato sapere e il legale non si sbilancia. Anche perché in cella non è stato trovato nulla di corrispondente alla descrizione del dottor Vecchione. Dal grave trauma cranico e dalle conseguenti lesioni cerebrali all'altezza della nuca, sarebbe poi derivata la morte per arresto cardiocircolatorio. Per la morte di De Luca - avvenuta dopo qualche giorno di ricovero all'ospedale Cardarelli di Campobasso - sono indagati i due detenuti originari di Napoli che si trovavano nella cella quando la vittima fu colpita, più un terzo individuo, probabilmente un'altra persona rinchiusa nel carcere. Il reato ipotizzato è quello di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto. Ma ora, con la svolta nelle indagini determinata dall'autopsia, non è da escludere che il pubblico ministero possa intravedere nuove ipotesi di reato a carico degli accusati e richiedere nuove misure cautelari. Cosa sia accaduto davvero a Ponte San Leonardo, però, resta ancora un mistero fitto. Un omicidio? Ma per quale movente? Una lite tra detenuti finita male? Difficile fare qualsiasi congettura, al momento. La certezza, però, è che De Luca - 45 anni - originario di Roma - aveva il cranio sfondato in più punti. Per opera di qualcuno. L'uomo, secondo le ricostruzioni della Squadra Mobile di Campobasso, che indaga sul caso, si era recato in un'altra cella per prendere una gruccia quando, alla presenza di due detenuti, avrebbe battuto la testa e sarebbe finito in coma. A dare l'allarme furono proprio i due detenuti che si trovavano con De Luca. Piacenza: forzare la riapertura di "Sosta forzata" di Paolo Rizzi Libertà, 25 marzo 2015 Forzata. È l'aggettivo scelto per il giornale dei carcerati della nostra città, curato dall'associazione "Oltre il muro" insieme ad alcuni detenuti del penitenziario piacentino. Recentemente il giornale "Sosta forzata" per una particolare coincidenza semantica è stato "forzatamente" bloccato. Questo fatto mi ha fatto pensare ad alcuni amici. Alberto è stato il mio preside solo per un paio di anni ai tempi del liceo: sembra un personaggio pirandelliano, elegante e colto, irascibile e profondo. Francesca è una mia co-parrocchiana che mi conosce da quando facevo il chierichetto: ha degli anelli enormi alle dita e sorride sempre alle mie figlie come una zia o una vecchia amica. Gabriella è un'insegnante di filosofia in pensione che non ho mai avuto a scuola, ma era la prof di una sezione che ci interessava molto ai tempi, perché ad altissima densità di ragazze, particolarmente quotate allora: quando parla in pubblico è logica e dolce nello stesso tempo, come un buon pensatore esistenzialista. Carla è giornalista, nota a molti per il suo lavoro con il centro servizi di volontariato Svep e appunto come direttrice di Sosta forzata: è sempre stata impegnata nel sociale ed ha una particolare "vocazione" sui temi del carcere a cui ha dedicato interesse professionale e sensibilità personale. Alberto, Francesca, Gabriella e Carla sono persone che stimo molto, mi piace ascoltarle, starci insieme. Ed hanno in comune una cosa, strana peraltro: fanno, a vario titolo, volontariato legato al carcere di Piacenza. Perché? Non ho mai chiesto loro il motivo, ma posso presumere che ci siano ragioni di carattere solidaristico, fattori religiosi, ma soprattutto volontà di dare un'opportunità a persone che hanno sbagliato e stanno pagando per i loro errori, di "reintegrarsi". Brutta parola, ma potrebbe significare: ravvicinarsi alla società che hanno tradito, non essere condannati per sempre alla reclusione, oggi fisica, in futuro forse relazionale e culturale. Recuperare tratti di umanità e dialogo con altri. La testimonianza di Alberto, Francesca, Gabriella e Carla è anche uno stimolo silenzioso ma potente a pensare al nostro carcere. Quante persone ci sono chiuse oggi? Al 2014 327 di cui 8 donne e oltre 200 stranieri. La Polizia penitenziaria conta circa 200 agenti. Tra i detenuti la metà sono tossicodipendenti, in carcere anche per reati legati allo spaccio. In passato il carcere ha sofferto di un grave sovraffollamento, fino a 450 detenuti su una capienza tollerabile di 340 circa, ma oggi questo problema sembra in parte superato con un nuovo padiglione, più moderno e confortevole rispetto al precedente che ha celle di 9 metri quadri, qualche anno fa anche con 4 persone per cella. Ogni anno si registrano centinaia di casi di autolesionismo, tra cui 126 tentativi di suicidio due anni fa, per ricordarci che è una "sosta" sempre sofferta. Ebbene, la Casa Circondariale di Via delle Novate non è abbandonata a sé stessa, vi operano molti volontari, legati all'associazione Oltre il muro, alla Caritas, alla cooperativa Futura e all'associazione "L'arte di vivere con lentezza" che propongono attività di formazione e lavoro, offrono momenti di incontro, colloqui e assistenza per il vestiario e l'accompagnamento. Da queste iniziative era nata l'esperienza di Sosta forzata, che per 11 anni è stata pubblicata come allegato del giornale diocesano "Il nuovo giornale". Ogni anno circa 20 detenuti scrivono su questo giornale, aprendo spazi di confronto tra chi sta dentro e chi sta fuori, tra chi ha sbagliato ed è recluso e chi è libero. Un giornale che è fatto di racconti di vita, storie di errori, sentimenti di colpa e voglia di riscatto. Un riscatto che sarà difficile da realizzare se i detenuti saranno perennemente "chiusi" nelle loro colpe, soli di fronte ai terribili sbagli della loro vita. Non conosco i motivi della chiusura del giornale. Ma dobbiamo tutti chiederne la riapertura con forza. Il primo motivo è di semplice interesse egoistico e lo prendo da Vittorino Andreoli: "Il carcere come camicia di forza, come immobilità per non far del male è pura follia, è antieducativo. Non appena viene tolto il gesso, c'è subito una voglia di correre e di correre contro la legge. Senza considerare l'assurdo di un luogo dove si accumula la criminalità, che ha un potere endemico maggiore di un virus influenzale". Il secondo motivo è un richiamo alla dignità di tutte le persone ed anche dei carcerati e viene da una delle voci profetiche del nostro tempo, Nelson Mandela: "Si dice che non si conosce veramente una nazione finché non si sia stati nelle sue galere. Una nazione dovrebbe essere giudicata da come tratta non i cittadini più prestigiosi ma i cittadini più umili". Firenze: celle illegali a Sollicciano, detenuto risarcito di Eleonora Martini Il Manifesto, 25 marzo 2015 Carcere. Sovraffollamento e attività trattamentali inadeguate, nel penitenziario fiorentino di Sollicciano. Radicali italiani in sciopero della fame per chiedere amnistia e indulto e ricordare l'attualità del messaggio di Napolitano. Quaranta giorni di sconto sulla pena e 3.840 euro a mò di risarcimento del danno, per essere stato recluso per 880 giorni in una cella del carcere di Firenze-Sollicciano senza quei requisiti minimi imposti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo a tutela della dignità dei detenuti. Corte che tra qualche mese, a giugno prossimo, metterà di nuovo l'Italia sotto la lente di ingrandimento per valutare se sussistano ancora le condizioni che portarono alla condanna pilota cosiddetta "Torreggiani" dell'8 gennaio 2013. Non è la prima volta che un tribunale - in questo caso il magistrato di sorveglianza di Firenze, Susanna Raimondo - riconosce a un detenuto costretto a vivere in uno spazio a disposizione, al netto degli arredi, che si aggira tra i 3 e i 4 metri quadri, "in violazione dell'articolo 3 della Convenzione Edu", il rimedio previsto dall'articolo 35 dell'ordinamento penitenziario inserito dal legislatore nel 2014 come meccanismo compensatorio, su richiesta dalla stessa corte di Strasburgo. Risale al settembre 2014, infatti, il primo risarcimento in favore di un detenuto del carcere di Ferrara. "In Emilia Romagna è accaduto più volte - racconta Franco Maisto, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna - però c'è una parte della magistratura, sia pur minoritaria, che tende ad interpretare in modo restrittivo i requisiti necessari per accedere ai risarcimenti previsti dalla legge 117/2014, tanto che si sta pensando anche di riscrivere in modo più chiaro la norma". "In Toscana finora c'erano stati solo rigetti, speriamo che questa ordinanza faccia da apripista", commenta il garante dei detenuti regionale, Franco Corleone. Uno dei punti più controversi del meccanismo di compensazione voluto dal Guardasigilli Orlando per evitare una serie infinita di ricorsi davanti alla Corte europea dei diritti umani è la cosiddetta "attualità del pregiudizio", sulla quale si attende prossimamente il pronunciamento della Cassazione. Non è interpretato univocamente neppure quale sia il giudice - se quello civile o il magistrato di sorveglianza - a cui presentare ricorso, quando il ricorrente è ormai un ex detenuto. Nel caso fiorentino, il magistrato Susanna Raimondo, accogliendo la richiesta di un uomo di 44 anni condannato nel 2011 per reati legati agli stupefacenti, ha riconosciuto la violazione dei diritti umani commessa a Sollicciano malgrado l'amministrazione penitenziaria del carcere non abbia risposto - come spesso avviene - in modo preciso ed esaustivo alle richieste di chiarimento del giudice riguardo le attività trattamentali offerte al detenuto. Perché, come si legge nell'ordinanza, se a disposizione di ciascun recluso c'è uno spazio inferiore ai 3 mq, deve essere considerata violata la giurisprudenza della Corte europea e il trattamento inumano e degradante è da ritenersi accertato. Se invece lo spazio vitale è superiore ai 3 mq ma inferiore ai 4 mq, "vanno valutati altri aspetti delle condizioni carcerarie quali ad esempio il rispetto o meno delle esigenze sanitarie di base, l'aerazione disponibile, le attività trattamentali praticate, l'accesso alla luce e all'aria naturali, la possibilità di permanere in spazi aperti per un congruo numero di ore". Peraltro, scrive Raimondo, "va considerato che nella determinazione dello spazio fruibile deve essere detratto l'ingombro costituito dal mobilio fisso mentre non devono essere scomputati gli arredi rimovibili, come sgabelli o tavolini. Anche la superficie del letto è ininfluente, essendo utilizzato per distendersi di giorno e per dormire la notte e dunque rientrante nello spazio concretamente disponibile dal detenuto". "L'ordinanza di Raimondo rappresenta un barlume di lucidità nella giustizia italiana: speriamo che a questa sentenza ne seguano altre e che si riesca a compensare la totale inerzia delle istituzioni, nazionali e locali", commentano i Radicali fiorentini sottolineando l'iniziativa della segretaria del partito, Rita Bernardini, che "è in sciopero della fame proprio per ricordare il messaggio alle Camere del presidente Napolitano (ottobre 2013, ndr)". Anche Marco Pannella è intervenuto ieri di nuovo sulla questione da Radio Radicale, annunciando iniziative nonviolente per "chiedere immediatamente amnistia e indulto". Provvedimenti tesi, sostiene Pannella, soprattutto a "salvare Cesare". Perché, "come aveva previsto Napolitano nel suo messaggio alle camere, senza provvedimenti come amnistia e indulto, sarebbe proseguita la condizione tecnicamente criminale, direi assassina e torturatrice, di Cesare, dello stato italiano". Radicali: bene il risarcimento, ma servono amnistia e indulto Dopo la notizia della scarcerazione anticipata e il risarcimento concessi ad un detenuto del carcere fiorentino di Sollicciano, sono intervenuti Maurizio Buzzegoli e Massimo Lensi, rispettivamente segretario e presidente dell'Associazione radicale fiorentina "Andrea Tamburi": "L'ordinanza della dottoressa Susanna Raimondo che riconosce Sollicciano come un luogo dove un detenuto ha subito detenzione "inumana e degradante" rappresenta un barlume di lucidità nella giustizia italiana: speriamo che a questa sentenza ne seguano altre e che si riesca a compensare la totale inerzia delle Istituzioni, nazionali e locali". I due esponenti radicali, però, non sono convinti che le soluzioni messe in campo dal governo Renzi sui risarcimenti ai detenuti possano risolvere il problema delle carceri italiane: "La decisione del Tribunale di Firenze fa riferimento alla sentenza pilota "Torreggiani" che ha imposto all'Italia di porre fine alla violazione dei diritti umani: anche il Presidente emerito Napolitano inviò un messaggio alle Camere per chiedere l'amnistia e l'indulto, unici provvedimenti in grado di ripristinare nel Paese lo Stato di Diritto e la Democrazia". Intanto i radicali fiorentini annunciano nuove mobilitazioni sul tema e ricordano quelle in corso: "La segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, è in sciopero della fame proprio per ricordare il messaggio alle Camere del Presidente Napolitano: anche a Firenze, a ridosso della scadenza di giugno (mese in cui la Corte Edu si riunirà per valutare l'operato dell'Italia, ndr), verranno organizzate manifestazioni per continuare a denunciare la drammatica situazione delle carceri italiane". Firenze: il Garante regionale "detenuto risarcito caso positivo, il carcere volta pagina" di Daniele Biella Vita, 25 marzo 2015 Intervista a Franco Corleone, politico e attuale Garante dei detenuti degli Istituti di pena toscani, a poche ore dalla sentenza del magistrato di sorveglianza di Sollicciano che ha stabilito la scarcerazione e un indennizzo per gli spazi vitali troppo ristretti secondo le norme europee. "Mi auguro che alla sentenza di Firenze ne seguano molte altre sulla stessa linea". Franco Corleone, ex sottosegretario alla Giustizia e parlamentare europeo, oggi garante dei detenuti della carceri toscane, non esita ad appoggiare la decisione del magistrato di sorveglianza del carcere di Sollicciano, Susanna Raimondo, di accogliere il ricorso di un recluso approvandone la scarcerazione - e un indennizzo economico - per le condizioni inadeguate della cella in cui si trovava. La notizia è ancora fresca quando raggiungiamo Corleone al telefono. La sentenza avrà un effetto domino? "Penso proprio di sì, anche perché altri detenuti hanno presentato un ricorso analogo, che nel caso di Sollicciano il giudice ha accolto sulla base della sentenza Torrigiani della Corte europea del 2013 che condannava l'Italia per trattamenti inumani e degradanti a causa dello spazio vitale troppo piccolo nella cella. Con la decisione del magistrato di sorveglianza, che ha rimediato a una palese ingiustizia, si chiude una pagina buia nella vita delle carceri italiane, verso un futuro diverso che spero venga già definito nei prossimi Stati generali annunciato dal ministro Andrea Orlando". Le condizioni carcerarie sono migliori rispetto al 2013? "Lo sono, perché il sovraffollamento è diminuito, ma non per cause politiche, bensì soprattutto per effetto della decisione della Corte di Cassazione che annullava gli effetti della Legge Fini-Giovanardi sulle droghe, sulla spinta di associazioni e magistratura quindi. Da qui in avanti con programmi più efficaci sulla detenzione domiciliare e la messa alla prova, il numero potrebbe scendere ulteriormente". È la strada che indicherebbe al Dap, Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria? "Sì, assieme a concentrare gli sforzi verso un miglioramento della qualità della vita detentiva. Il 15 aprile noi Garanti incontreremo proprio il nuovo presidente del Dap Santi Consolo, e proporremo azioni in tal senso, come per esempio la possibilità di pasti comuni per aumentare la socialità e non ognuno nella propria cella. Ancora, chiederemo lumi su alcune mancanze, come le poche informazioni che ci sono giunte dopo la conclusione del censimento voluto dalla Commissione Palma, in particolare sul tema dei servizi igienici e dell'affettività tra detenuti e le famiglie che necessariamente rimangono all'esterno del carcere". Quale modello di carcere vedrebbe bene per il futuro? "Una struttura in cui rimangano detenuti solo le persone con uno spessore criminale di rilievo, perché i soggetti con pene lievi e soprattutto quelli con fragilità non devono rimanere dietro le sbarre e magari poi essere assistiti da uno psicologo: al contrario, devono potere trovare altre strutture dove scontare la loro pena". Lucca: il Consiglio comunale pensa ai diritti dei carcerati, istituita la figura del garante di Silvia Toniolo La Gazzetta di Lucca, 25 marzo 2015 "C'è bisogno anche a Lucca di una nuova figura che vada in soccorso dei diritti mancati dei detenuti, la fascia debole della popolazione". Nel fiume di parole spese oggi in una seduta consiliare noiosa quanto basta, la frase del consigliere Angelo Monticelli rende bene l'idea di quale sia il fronte comune di un insieme di persone, riunite in una stanza, cui dovrebbe spettare il compito di discutere provvedimenti importanti per la città. I detenuti, cioè le persone che, per aver commesso reati, di varia natura, sono finiti in carcere, sono delle vittime cui spettano particolari, a quanto pare, diritti. Il consiglio comunale di oggi, dopo due ore di discussione - la prima era già stata spesa a vuoto per rispondere all'interrogazione di Martinelli sull'antenna di Sant'Alessio, poi azzerata dalla telefonata della sovrintendenza - ha accolto all'unanimità, con 24 voti favorevoli, zero contrari e due astenuti, la pratica che riguarda il garante dei diritti dei detenuti, una figura che sarà istituita a breve anche a Lucca. Il testo della delibera ha subito modifiche a seguito di alcuni emendamenti da parte della minoranza e, dopo una sospensione dell'assise, si è raggiunto l'accordo sull'introduzione del garante dei diritti dell'infanzia, in aggiunta a quello dei carcerati. Niente di nuovo - del resto è la stessa maggioranza che ha bocciato la mozione di Forza Italia contro l'accattonaggio - ma sorprende che, in tale frangente, dall'opposizione non si sia sentita volare una mosca se non per una questione puramente tecnica di metodologia nella nomina del garante. È questo il punto su cui si è concentrata la critica del consigliere di Liberi e Responsabili Pietro Fazzi: "È, senz'altro, una iniziativa meritoria - ha esordito - ma devo porre in rilievo alcuni aspetti, a partire dalla titolarità della designazione, ovvero qual è il soggetto che deve in definitiva nominare il garante affinché non si riduca il tutto ad un atto burocratico. Mi preme anche parlare della questione del voto. Il testo parla di una nomina a maggioranza assoluta. Ritengo doveroso infatti che per questo tipo di nomine fossero coinvolte anche le opposizioni, per un tentativo di elezione a maggioranza qualificata". Alla questione posta da Fazzi ha risposto la consigliera del Pd Valentina Mercanti: "Siamo aperti a valutare tutte le proposte - ha detto. Lungi da noi arrivare in consiglio comunale con degli atti blindati. Non vogliamo una nomina politica e proprio per questo abbiamo spostato la scelta dal sindaco al consiglio comunale". L'introduzione della figura del garante non era obbligatoria, ma essendo attualmente prevista a livello comunale, provinciale e regionale in 14 regioni - lo ha portato ad esempio, il consigliere del Pd Renato Bonturi, presidente della commissione partecipazione - allora anche per Lucca pare sia diventata una sorta di adeguamento necessario cui non sta bene sottrarsi: "La commissione - ha spiegato Diana Curione di Lucca Civica - in un primo momento ritenne non necessaria l'istituzione del garante, ma ora il tempo lo riteniamo maturo". Firenze: carceri e Opg, la Uil-Pa Penitenziari incontra il viceprefetto Daniela Lucchi www.gonews.it, 25 marzo 2015 "Stamani il Coordinamento Provinciale della Uil-Pa Penitenziari di Firenze ha incontrato nella persona del Vice Prefetto di Firenze la Dr.ssa Daniela Lucchi, al fine di addivenire ad una soluzione definitiva circa l'apertura di un reparto di degenza ospedaliera per detenuti così come previsto dall'art. 7 della Legge 296/1993. È quanto comunica Eleuterio Grieco, Coordinatore della Segreteria Provinciale della Uil-Pa Penitenziari di Firenze. "L'incontro si è reso necessario, dal momento in cui nessuna azione concreta, è stata messa in atto negli anni, sia da parte dalla Regione Toscana - Assessorato alla Sanità che dal Provveditore Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria, su di un aspetto fondamentale ed importante come la creazione nella città di Firenze di un reparto di degenza ospedaliera, riservato ai detenuti ". La sensibilità e l'interesse dimostrato dal Vice Prefetto, ha reso proficuo l'incontro, visto che la questione riveste un rischio anche sotto l'aspetto dell'ordine e della sicurezza dei cittadini e degli stessi detenuti/pazienti, nonché degli operatori di Polizia - sottolinea Grieco la questione che desta oggi maggior preoccupazione è la chiusura dell'Opg di Montelupo Fiorentino (31.3.2015), laddove seguiranno i trasferimenti alla CC di Firenze Sollicciano, dei detenuti posti sotto osservazione per l'accertamento delle infermità psichiche di cui all'art. 112 del Dpr 230/2000, di quelli con condannate per infermità psichiche sopravvenute nel corso della misura detentiva "art. 148 C.P." e di quelle condannate a pena diminiute per vizio parziale di mente "art. 111 comma 5 e 7 del Dpr 230/2000", le quali prima venivano ricoverate nel reparto ospedaliero attrezzato dell'Asl 11 di Empoli e domani dove verranno ricoverate. In conclusione Grieco afferma speriamo nell'impegno e nelle coscienze di coloro che hanno responsabilità istituzionali affinché il problema sia risolto al più presto. Venezia: detenuto aggredisce tre guardie "dateci lo spray al peperoncino" www.veneziatoday.it Nel pomeriggio di lunedì gli agenti di polizia penitenziaria hanno dovuto affrontare la violenza dell'uomo. Uno di loro ha una costola rotta. Sale la tensione al carcere Santa Maria Maggiore di Venezia, dove un detenuto ha dato in escandescenze e ha assalito tre agenti in servizio. L'episodio lunedì pomeriggio, al termine dell'ora d'aria che i carcerati hanno passato nel cortile dei passeggi: uno di loro, che non aveva alcuna intenzione di tornare in cella, ha fatto valere le proprie ragioni a modo suo. In una nota il segretario del Sappe (Sindacato della Polizia penitenziaria) spiega che l'uomo, nordafricano, ai richiami dell'agente in servizio ha reagito improvvisamente con violenza, aggrendendolo. Sono intervenuti altri poliziotti e nella colluttazione tre di loro sono rimasti feriti, uno dei quali con una costola rotta. "Sono anni - rileva il sindacato - che sollecitiamo di dotare le donne e gli uomini della polizia penitenziaria di strumenti di tutela efficaci, come può essere lo spray anti aggressione recentemente assegnato - in fase sperimentale - a polizia di stato e carabinieri. Mi auguro che la proposta sia valutata positivamente. Il sindacato evidenzia che, nel 2014, nella casa circondariale di Venezia si sono contati "due tentati suicidi di altrettanti detenuti, sventati in tempo dalla polizia penitenziaria e 19 episodi di autolesionismo (ingestione di corpi estranei, chiodi, pile, lamette, pile, tagli diffusi sul corpo e provocati da lamette). Salerno: avvocato in lutto, ma il giudice di Nocera non concede il rinvio ell'udienza La Città di Salerno, 25 marzo 2015 Respinta la richiesta del legale, costretto a lasciare i funerali della madre per assistere il proprio cliente. Un lutto improvviso mentre è in aula davanti al giudice monocratico del tribunale penale. Il praticante dell'avvocato chiede un rinvio per impedimento familiare, ma il giudice lo nega, richiamando la presenza del professionista perché l'imputato è detenuto. L'avvocato viene fatto chiamare, arriva di corsa per adempiere il suo dovere, ma l'udienza viene successivamente rinviata per una concomitante causa di forza maggiore, una omessa notifica. La vicenda è finita al centro di una riunione straordinaria della commissione del consiglio dell'ordine degli avvocati del foro di Nocera Inferiore che hanno firmato un duro documento inviato all'Associazione nazionale magistrati, al presidente della sezione penale del tribunale e al consiglio giudiziario, per un fatto definito "increscioso", indice di scarsa sensibilità. Tutto è accaduto ieri mattina quando il lutto ha colpito l'avvocato Mario Gallo che ha perso la madre. Il legale è stato richiamato al suo lavoro proprio mentre i necrofori stavano compiendo la tumulazione, costretto a indossare la toga e presentarsi in tribunale, su disposizione del giudice monocratico Antonio Tarallo, per presenziare all'udienza, nonostante la richiesta di un rinvio, un rinvio, però, che è stato negato perché l'imputato era detenuto. Ovviamente era una questione di sensibilità che non è stata tenuta in considerazione. Appena si è diffusa la notizia è esplosa la rabbia dei colleghi visto che il problema poteva essere risolto usando un po' di comprensione. Il richiamo, sintetizzato in un foglio inoltrato con "preghiera di attenzione" alle autorità preposte e responsabili delle diverse istituzioni giuridiche, apre il caso a nome della categoria. Formalmente gli avvocati hanno preso atto della situazione, stigmatizzando l'accaduto per decidere all'unanimità di convocare l'apposita commissione, decisi a prendere posizione contro il comportamento del giudice per la preparazione immediata di un documento ufficiale. La reazione è arrivata di fronte all'avvocato costretto a precipitarsi al banco, in difesa del suo assistito, con una ritenuta chiamata "urgente" e "necessaria". Normalmente la legge prevede cinque giorni di permesso accordati ai lavoratori statali quando ci si trova in situazioni di questa natura. Poi, probabilmente, il discorso va anche un attimo allargato. Da un punto di vista squisitamente tecnico il giudice aveva ragione ma, in determinate circostanze, bisognerebbe anche usare un metro diverso di valutazione. Padova: teatro al Due Palazzi; in carcere entrano i figli, i detenuti cantano e narrano fiabe di Alberta Pierobon Il Mattino di Padova, 25 marzo 2015 Spettacolo teatrale al Due Palazzi: le famiglie dei detenuti trascorrono una giornata di festa con i propri parenti. L'enorme, fredda e plumbea palestra del carcere penale Due Palazzi, riscaldata da una quarantina di bambini, tutti figli di detenuti, e una sessantina di mamme. Tavolini apparecchiati, bibite, patatine, le pizze, il volo dei colombi bianchi che si sono annidati all'interno, i piccolini vestiti a festa, le mamme del mondo eleganti ognuna a modo suo chi con il hijab, chi con il turbante, chi con i leggins. Le donne e i bambini, le famiglie dei detenuti: l'altra faccia del carcere. Quella ancora più nascosta, quella della solitudine, della fatica di tirare avanti, di rapporti spezzati o legati da un filo sottile. Un filo che difficile da tenere annodato: "All'inizio degli incontri", racconta un detenuto quarantenne, italiano "mia figlia di 12 anni mi saluta appena, anche oggi è così. Deve passare almeno un'ora perché un po' alla volta si avvicini e cominciamo a parlarci". Ma a quel punto la visita finisce. La giornata di apertura del carcere perché mamme e figli potessero passare delle ore assieme in un ambiente diverso dal parlatorio, è stata organizzata domenica dalla sezione padovana di Telefono Azzurro trainata dall'inesauribile Concetta Fragasso, 54 anni, che ha riempito la giornata con i nasi rossi del gruppo Dottor Clown, con il buffet e con uno spettacolo. Si intitola "A mille ce n'è", ed è stato costruito apposta per i bambini dal Teatro Carcere di Maria Cinzia Zanellato, che da 20 anni conduce i laboratori con i detenuti e produce spettacoli che, quando possibile per via dei permessi, porta in giro. Sono una trentina i detenuti attori, e quello che tirano fuori da sé sul palco ma soprattutto durante il lavoro lungo e costante di preparazione, è straordinario. Un'immagine su tutte, presa dallo spettacolo: la fiaba africana raccontata da Collins, nigeriano e da "zia Maria", volontaria teatrale. Lui trentenne nero nero, non alto, ondeggiante, forte; lei con più del doppio degli anni, candida, magra magra, leggera nel suo tremore. Quando escono di scena tenendosi per mano, è un intero film che raccontano, loro due soli. È la forza della contaminazione, della condizione umana che crede in se stessa e si rigenera. Il gruppo teatrale, ha lavorato e si è esibito assieme al coro Canto Libero del Due Palazzi, fondato lo scorso anno dall'associazione Coristi per Caso, e diretto da Chiara Pagnin, che di lavoro fa la psicopedagogista. Un unico spettatore esterno, Piero Ruzzante, consigliere regionale Pd, che il carcere l'ha sempre seguito (anche come volontario per una ventina d'anni). E in scena favole e canzoni: da "A mille ce n'è... nel mio cuore di fiabe da narrar", intonata con divertimento dal coro dei detenuti più i volontari che con loro fanno prove settimanali, a "Non insegnate ai bambini" di Gaber, testo importante, all'inizio pareva, chissà, troppo difficile e invece è entrato nel cuore a tutti, detenuti e non. E attorno, a dare una mano alla preparazione dello spettacolo, altre persone speciali: il giovane Eros, che nel frattempo assieme a un detenuto ha scritto una sceneggiatura ora in finale a un concorso nazionale; Stolfo, travolgente percussionista; frà Stefano, francescano manco trentenne, con alle spalle la scuola del Piccolo Teatro a Milano che bazzica gli ultimi degli ultimi nelle carceri africane, dove stanno ammonticchiati su pavimenti di terra ed è una festa quando arriva un po' d'acqua. E con loro fa teatro. Libri: "Fiori di Serra", un romanzo ambientato in carcere, recensito da un ergastolano di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 25 marzo 2015 "Ogni giorno mi tocca inventarmi e pensare come trascorrere la giornata. E vivendo in pochi metri quadri con delle sbarre dietro e un cancello davanti non è facile. Per fortuna ho dei libri da leggere e la penna per scrivere". (Diario di un ergastolano: www.carmelomusumeci.com). Ci sono dei giorni che il carcere dà un tal senso d'inutilità che non riesci neppure a sentirti infelice. E quando mi viene il desiderio di uscire e non posso farlo mi metto a leggere perché i libri mi aiutano a segare le sbarre della mia finestra e mi trasmettono la forza per esistere e resistere. In questi giorni ho letto un bel libro della scrittrice e poetessa Miriam Ballerini dal titolo "Fiori di Serra" (Rapsodia Edizioni Isbn 978-88-99159-12-2 pag. 239 euro 15.00) che sarà presentato a Francoforte alla tradizionale fiera del libro della città. Il romanzo è ambientato in una casa circondariale, il "Bassone" di Como, e si sviluppa attorno alla figura della protagonista, Gloria Tassi, in carcere per aver ucciso accidentalmente un uomo durante una rapina. Il libro di Miriam è importante perché parla di carcere dando voce e luce ai detenuti. E sfogliando le sue pagine si viene a sapere che in carcere il dolore, la delusione e la sofferenza sono normali, sono pane quotidiano. Leggendo fra le righe si scopre che i prigionieri si sentono umiliati e mortificati poiché sentono che la società non li vuole perché li considera cattivi e colpevoli per sempre. Io sono fortemente convinto che è un libro da consigliare ai politici, perché forse questa lettura gli potrà essere utile per migliorare le carceri e portare la legalità nelle nostre "patrie galere", poiché il sistema spesso ci vuole migliori, costruttivi e propositivi e poi al momento opportuno ci ricorda che siamo solo spazzatura sociale. Ed io credo che una società, che rinuncia al perdono e chiede giustizia ma pensa piuttosto alla vendetta, di fatto rinuncia alla libertà, alla serenità e alla felicità. L'opera di Miriam è un libro che emoziona e ti fa immaginare come vive e cosa pensa un prigioniero e conferma che il carcere è la privazione di tutto, dalla libertà di scegliere, che è l'atto fondamentale della condizione umana, fino al divieto di amare. Dentro questo libro ci sono sentimenti, passioni e sofferenze che provano tutti i detenuti dietro le mura di una prigione. È un'opera che merita non solo di essere letta, ma di fare anche il passaparola per farlo conoscere e farla adottare nelle scuole. Vi confido che una delle cose che mi ha colpito più di tutto di questo libro è il titolo "Fiori di Serra" perché Miriam con la sua umanità e sensibilità paragona i detenuti, nonostante il male che hanno fatto, a dei fiori che vivono e crescono in una serra. Buona lettura Immigrazione: Unhcr "vittime delle frontiere in aumento, 5 morti ogni 100 arrivati" di Ludovica Jona Redattore Sociale, 25 marzo 2015 All'incontro promosso alla Lumsa dagli studenti di "Good morning youth" la portavoce dell'Agenzia Onu per i Rifugiati ribadisce l'importanza dell'istituzione di un canale umanitario e denuncia: "Vediamo accolti con indifferenza gli appelli che facciamo". "Il numero delle vittime è in aumento, sono morte 5 persone ogni 100 che sono arrivate, sono già 400 i morti solo dall'inizio dell'anno". Lo ha affermato Carlotta Sami, portavoce dell'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr) questa mattina all'incontro "Protect People Not Borders", organizzato all'università Lumsa di Roma dal gruppo di studenti "Good morning youth". Sami ha citato il dramma dell'aumento delle vittime per ribadire l'importanza dell'istituzione di un canale umanitario che permetta a coloro che fuggono da guerre e violenza di richiedere l'asilo in Italia e in Europa senza rischiare la vita. Nonostante l'importanza di "canali legali per la richiesta di asilo", "ai vertici europei ci si concentra sulla tutela dei confini", ha spiegato la portavoce dell'Unhcr agli studenti. Sami ha poi affermato che "le agenzie dell'Onu non sono più - come si crede - una soluzione", "vediamo accolti con indifferenza gli appelli che facciamo, siamo obbligati a lavorare con il 40 per cento del budget necessario". "Oggi si parla di rifugiati ma non delle guerre che costringono alla fuga, che vengono date per scontate - ha concluso Sami - manca la pressione dell'opinione pubblica per la pace". Il tema dell'accoglienza in contrasto con la tutela delle frontiere è stato affrontato dagli studenti di "Good morning youth" con un filmato che ha messo in evidenza il numero di civili colpiti, uccisi e messi in fuga dal conflitto siriano. Sono stati inoltre posti a confronto i fondi stanziati dall'Unione Europea per la "protezione dei confini" con quelli destinati all'accoglienza: 1 miliardo e 820 milioni contro 630 milioni nel periodo 2007-2013. Francesco Bonini, rettore dell'ateneo ha parlato dell'importanza del sostegno dell'Università al tema delle migrazioni che consente di "guardare in prospettiva e in profondità" al mondo attuale. Tareke Brhane, presidente del Comitato Tre Ottobre ha sottolineato l'obiettivo di investire negli studenti e nelle persone giovani per il lavoro di sensibilizzazione che fa parte del percorso della proposta di legge per rendere il 3 ottobre, data in cui naufragarono 368 richiedenti asilo a largo di Lampedusa, "giornata della memoria e dell'accoglienza". Paolo Beni (Pd), primo deputato a firmare la proposta di legge sull'istituzione della giornata della memoria raccogliendo l'appello del Comitato 3 ottobre, ha affermato che "di fronte a oltre 20mila persone morte in fuga nel mediterraneo in 10 anni, non basta l'indignazione servono scelte politiche ma anche una consapevolezza diffusa". Di fronte all'aumento dei richiedenti asilo - "nel 2014 sono stati 270 mila i profughi in Europa, di cui 170 in Italia, quasi il doppio del 2011, mentre i conflitti in Siria e Libia sono fuori controllo" - è inoltre fondamentale "superare la logica dell'approccio emergenziale", "chiudere l'esperienza fallimentare dei mega centri in cui i rifugiati sono ammassati per mesi" e "organizzare un sistema di accoglienza permanente, che costerebbe meno". Droghe: le alternative alla proibizione globale di Grazia Zuffa Il Manifesto, 25 marzo 2015 In vista dell'Assemblea Generale Onu sulle droghe (Ungass), prevista a New York nell'aprile 2016, le Ong che si battono per la riforma della politica delle droghe stanno preparando una piattaforma di rivendicazioni. International Drug Policy Consortium, la rete cui aderiscono 130 associazioni da ogni parte del mondo, le ha riassunte in un documento. Il primo obiettivo è che l'Assemblea sia aperta alla società civile: da qui l'impegno a costruire una Civil Society Task Force, che sia riconosciuta come interlocutore ufficiale anche nella fase preparatoria dell'evento. L'approccio bottom up, se accolto, sarebbe un segnale di apertura democratica, e al tempo stesso la condizione per vincere l'autoreferenzialità, l'immobilismo del sistema, i suoi vuoti rituali: come la Dichiarazione Politica Finale che chiude questi incontri internazionali, frutto di defatiganti compromessi per raggiungere l'unanimità. Il rito unanimistico ha oggi la sola funzione di cementare le crepe del sistema, evitando un dibattito aperto sulle differenze di politiche fra gli stati membri: differenze clamorosamente venute alla luce dopo che molti paesi hanno scelto di depenalizzare il possesso e l'uso personale di droghe, e ancor più dopo che l'Uruguay e un numero significativo di stati Usa hanno legalizzato l'offerta di cannabis a uso ricreativo. Ciò di cui si avverte oggi la necessità è un cambio di passo, a iniziare dal linguaggio e dalle forme del confronto e della decisione politica: ci si aspetta un "full and honest debate", come ha chiesto lo stesso Ban Ki Moon; e che il confronto aperto sia documentato ufficialmente in un rapporto finale, a disposizione dei policy maker degli stati membri. Soprattutto, si abbandoni la vecchia retorica del "mondo libero dalla droga", ricalibrando gli obiettivi del sistema di controllo. Perfino altre agenzie Onu puntano il dito contro la strategia di guerra totale alla droga: si veda il recente documento dello United Nations Development Programme (Undp), laddove sono citati come effetti controproducenti delle attuali politiche "il mercato criminale, la corruzione, la violenza, le minacce alla salute pubblica, gli abusi su larga scala dei diritti umani comprese le punizioni inumane, la discriminazione e la marginalizzazione dei consumatori di droga". Meglio allora scegliere altri obiettivi, più in linea con la mission umanitaria e di promozione sociale delle Nazioni Unite. A cominciare dallo sviluppo dei diritti umani, rispettando il principio di proporzionalità della pena rispetto al reato: oggi clamorosamente contraddetto dai paesi che applicano la pena di morte per reati di droga e da quelli che infliggono la carcerazione per semplice consumo (sono milioni i consumatori imprigionati per questo reato nel mondo). Scegliendo di focalizzare sulla salute pubblica, la riduzione del danno è la strategia più consona a tale obiettivo. È giunta l'ora che essa sia riconosciuta come "pilastro" della politica della droga, anche a livello internazionale. Di più, la riduzione del danno deve diventare una modalità complessiva di governo della questione droga, ivi compreso l'aspetto di riduzione del danno della proibizione. Va in questa direzione la risposta del governo uruguayano allo International Narcotics Control Board (Incb), in difesa della legalizzazione della cannabis: la legge sulla cannabis deve esser letta come un tentativo di "combattere gli effetti dannosi del traffico di droga", attraverso "una modalità alternativa (alla repressione ndr) per sottrarre il mercato ai trafficanti di droga, in armonia con lo spirito e la finalità ultima delle Convenzioni". Il dibattito "onesto e completo", invocato dal Segretario Generale dell'Onu, è di fatto già cominciato. Germania: ancora in carcere Federico Annibale, arrestato durante un corteo di protesta di Beppe Caccia Il Manifesto, 25 marzo 2015 "Colpevole" solo di avere partecipato con migliaia di coetanei alla protesta contro la Bce del 18 marzo. Anche Noam Chomsky chiede la liberazione dello studente della School of Oriental and African Studies di Londra. C'è una cosa che da sempre lo Stato tedesco non ama sia messa in discussione: lo Strassenordnung ovvero "l'ordine nelle strade". E non ha mai mancato di vendicarsi, accanendosi verso chi avesse osato turbarlo. Anche a costo di cercare un capro espiatorio. Pare che ciò stia accadendo a un cittadino italiano, detenuto ormai da una settimana a Francoforte nel carcere di Preungesheim. Si chiama Federico Annibale ed è studente di Master in studi dello sviluppo presso la prestigiosa School of Oriental and African Studies (Soas) dell'Università di Londra. La sua colpa? Aver partecipato, insieme ad alcune migliaia di coetanei, alla mobilitazione di Blockupy contro l'inaugurazione della nuova sede della Banca Centrale Europea lo scorso 18 marzo. Annibale è stato brutalmente tratto in arresto - come denunciano gli amici che si trovavano con lui - da un'unità speciale della polizia tedesca mentre, a ore di distanza dagli scontri del primo mattino, si trovava seduto su una pachina lungo lo Zeil, la strada commerciale nel centro di Francoforte, a mangiare un panino. È stato trascinato via in manette e a tutt'oggi neppure i suoi legali hanno potuto sapere quali siano gli specifici addebiti che gli vengono contestati. Sta di fatto che tutte le persone fermate (nella foto lapresse-reuters) durante le iniziative di Blockupy sono state rilasciate dopo poche ore, chi per evidente mancanza di prove a carico, chi su cauzione, mentre lo studente romano resta l'unico dei manifestanti ancora nelle mani dello Stato tedesco. L'impressione è che, dopo l'allarme preventivo lanciato dalla Polizia dell'Assia e la successiva campagna mediatica, Annibale stia pagando la nazionalità italiana scritta sul suo passaporto, e quindi il tentativo di attribuire ai "pericolosi Kaoten arrivati dal Sud" la responsabilità degli attacchi alle forze dell'ordine. Per la liberazione di Federico, capro espiatorio designato per il successo della protesta anti-austerity, si stanno intanto mobilitando in molti. I suoi compagni denunciano il fatto che "a Francoforte questa settimana si sia vista una sospensione delle libertà civili, con la detenzione usata come misura punitiva, invece che come misura investigativa", aggiungendo che "questa violazione dei diritti umani è un'ulteriore testimonianza della complicità degli apparati di sicurezza dello Stato con il sistema economico neoliberista". "Solidale con lui" si è espresso Noam Chomsky, che ha chiesto a tutti "una forte e coordinata protesta". Appello raccolto subito dal coordinamento tedesco della coalizione Blockupy, dalla redazione del magazine on line "Daily Storm" con cui Annibale collabora e dalla Soas Students' Union, il sindacato studentesco dell'università londinese che denuncia "un arresto politicamente motivato e utilizzato come strumento di intimidazione", notando come ad ora "non sia stata neppure fissata la data di un'udienza". Il caso di Federico Annibale approda infine anche nelle aule parlamentari. Il deputato di Sel Erasmo Palazzotto ha presentato un'interrogazione urgente al ministro degli Esteri Gentiloni, chiedendo alla diplomazia italiana di "attivarsi per la sua immediata scarcerazione". Intanto, al Parlamento Europeo, è Eleonora Forenza (Altra Europa con Tsipras - Gue/Ngl) a sollevare di fronte alla Commissione Ue una questione cruciale: se, di fronte alla giornata di lotta di Blockupy, gli apparati di sicurezza della cancelliera Merkel abbiano o meno "rispettato i principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione". Giusto per sapere se, a chi chiede un'Europa dei diritti sociali, si contrapponga invece la costruzione di un'Europa delle polizie. Pakistan: ancora 6 impiccagioni, oltre 60 sentenze capitali eseguite da dicembre Ansa, 25 marzo 2015 Sei detenuti condannati a morte per omicidio sono stati saliti oggi sul patibolo in Pakistan, in seguito alla revoca della moratoria sulle esecuzioni decisa dopo la strage in una scuola di Peshawar. Lo riferisce Express News. Le impiccagioni sono avvenute in diverse prigioni di Lahore e in altre località della provincia centrale del Punjab e di quella meridionale del Sindh. Altre due impiccagioni previste per oggi sono state sospese all'ultimo momento da un ordine presidenziale. Da quando il governo di Islamabad ha deciso di riprendere le esecuzioni lo scorso dicembre, oltre 60 uomini sono stati impiccati, molti dei quali militanti islamici con accuse di terrorismo. Il premier conservatore Nawaz Sharif ha revocato la sospensione delle esecuzioni dopo il massacro di 150 persone, la maggior parte bambini, in una scuola militare di Peshawar attaccata da un commando talebano. Sospesa esecuzione condannato minorenne Le autorità pakistane hanno deciso per la sospensione dell'esecuzione di un ragazzo, Shafqat Hussain, condannato alla pena di morte per reati commessi quando era probabilmente minorenne. Il giornale The Express Tribune riferisce di una lettera del ministero dell'Interno di Islamabad in cui si decide per la sospensione dell'esecuzione per 30 giorni. L'esecuzione era prevista per il 19 marzo, ma era stata rinviata di 72 ore. Shafqat Hussain è accusato di aver sequestrato e ucciso un bambino di sette anni nel 2004. Secondo la famiglia del detenuto il ragazzo aveva 14 anni all'epoca dei fatti, mentre per le autorità carcerarie ne aveva 23. In Pakistan non è prevista l'applicazione della pena di morte nei confronti dei minori. Lo scorso 10 marzo le autorità di Islamabad hanno deciso la revoca totale della moratoria sulla pena di morte per tutti i reati per i quali è prevista. Da allora nel Paese sono state eseguite almeno 52 condanne. Uruguay: stop accoglienza ex prigionieri di Guantánamo, ultimo arrivo a metà anno Il Velino, 25 marzo 2015 L'Uruguay non accoglierà più alcun prigioniero proveniente dal carcere Usa di Guantánamo. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri, Rodolfo Nin Novoa, il quale ha spiegato in una conferenza stampa che "si è studiato" il caso di sei prigionieri, arrivati nel paese latino americano lo scorso dicembre a seguito della disponibilità manifestata dall'allora presidente Jose Mujica di cooperare con Barack Obama nel programma per la chiusura della struttura detentiva sull'isola di Cuba, accogliendo ex detenuti a bassa pericolosità, considerandoli dei rifugiati. "Ciò che è certo è che non accoglieremo più nessun prigioniero", ha aggiunto il ministro, confermando però che Montevideo sta ragionando sulla possibilità di adempiere agli impegni presi da Mujica un'ultima volta, e cioè accogliere alcuni rifugiati siriani che dovrebbero arrivare verso l'estate. "Stiamo considerando l'ipotesi", ha detto. In particolare ciò che preoccupa l'amministrazione del neo presidente Tabare Vazquez sono le richieste dei rifugiati, che potrebbero creare frizioni con la popolazione e determinare possibili problemi sul versante della sicurezza. Il riferimento è alle richieste effettuate dai sei rifugiati (quattro siriani, un tunisino e un palestinese) di avere un terreno assegnato gratuitamente dove costruirvi una moschea. La stessa decisione di Mujica di "offrire la nostra ospitalità alle persone che soffrono a Guantánamo" non era piaciuta a gran parte della popolazione uruguayana, che l'aveva rigettata in un sondaggio pubblico. Anche l'opposizione era insorta per una scelta "che non ha nulla a che fare con il miglioramento delle condizioni di vita nel nostro paese". Peraltro, gli stessi ex detenuti non si sono integrati nella società del paese latino americano, anzi. Si sono sempre rifiutati di lavorare e in diverse occasioni hanno espresso critiche sugli alloggi loro assegnati. Inoltre, uno di loro - Abu Wael Dihab - ha annunciato uno sciopero della fame davanti all'ambasciata Usa a Montevideo fino a che il governo uruguayano non metterà a disposizione il terreno per la moschea e non contribuirà alla sua costruzione. India: Corte suprema ordina cancellazione legge arresti per commenti online Adnkronos, 25 marzo 2015 La Corte suprema indiana ha disposto la cancellazione della controversa legge contro la pubblicazione di commenti offensivi online che prevedeva fino a tre anni di carcere e sanzioni pecuniarie per chi avesse provocato "disturbo, inconvenienti, pericolo, ostruzione o insulti" con i suoi commenti pubblicati in rete. La massima Corte ha deliberato l'incompatibilità della legge con il diritto costituzionale alla libertà di parola e di espressione. "Non c'è nesso fra l'ordine pubblico e la discussione o fra il provocare disturbo e disseminare informazioni", ha spiegato il giudice Rohinton Fali, uno dei due giudici che ha firmato il provvedimento, all'agenzia Ians. Nel 2012 due donne che avevano postato su Facebook commenti negativi sul lutto proclamato nello stato del Mahareshtra dopo la morte del leader della destra hindu Bal Thackerat erano state arrestate sollevando una ondata di polemiche contro la legge. Il ricorso alla Corte suprema era stato presentato dallo studente di legge Shreya Singhal. Da allora, altre persone tuttavia erano state arrestate in ottemperanza alla legge, l'ultimo dei quali uno studente dell'Uttar Pradesh nei giorni scorsi, per commenti negativi su Facebook sul politico locale Azam Khan. Russia: detenuto con gamba amputata uccide due poliziotti ed evade www.rainews.it, 25 marzo 2015 Fuga rocambolesca di un detenuto russo: è scappato su una gamba uccidendo due agenti. Evasione mai vista di un pericoloso criminale russo, degna dei migliori film d'azione di Hollywood. Il narcotrafficante Vladimir Bespalov, in attesa di processo, doveva essere portato in tribunale scortato da due agenti della polizia penitenziaria. A un certo punto ha finto di fare il matto, urlando e battendo la testa. Quando un ufficiale della scorta è entrato nella sua cella a bordo del furgone, il detenuto l'ha aggredito, gli ha strappato la pistola dalla fodera e gli ha sparato alla testa, uccidendolo sul colpo. Poi ha sparato al secondo agente a bruciapelo, ferendolo gravemente. Più tardi anche quest'ultimo è morto in ospedale. Il detenuto è invalido, gli manca una gamba amputata fino al ginocchio, ha una protesi, ma si muove con evidenti difficoltà. Ciononostante è riuscito a beffare l'intero distretto di polizia ed è ora ricercato. Dopo essere fuggito dal furgone, brandendo la pistola, ha fermato un autobus di linea, ha fatto scendere i passeggeri e si è fatto portare dall'autista in una zona densamente popolata, dove ha seminato gli inseguitori. Più tardi si è scoperto che è entrato in un condominio, ha bussato ad un appartamento dove c'era soltanto una donna, e, minacciandola con la pistola, si è fatto consegnare gli abiti del marito per travestirsi. Poi ha costretto la donna a chiamare un taxi ed è uscito a braccetto con lei. Saliti sul taxi, l'ha fatto fermare al primo negozio di liquori, dove ha comprato e bevuto una bottiglia di cognac. La donna, sfruttando l'occasione, è scappata via con il tassista ed ha allertato la polizia, ma il criminale è riuscito nuovamente a beffarla e far perdere le proprie tracce. Ora è ricercato e latitante. Per il reato di narcotraffico era stato condannato a 15 anni di reclusione in carcere duro. Ora rischia fino a 3 ergastoli.