Allarme chiusura per i giornali in carcere? Appello al Dap e all'Ordine dei giornalisti di Laura Pasotti Redattore Sociale, 24 marzo 2015 Lettera aperta della redazione del carcere di Padova, dopo la chiusura di "Sosta Forzata", realizzato per 11 anni alle Novate di Piacenza e sospeso dalla direzione del carcere qualche settimana fa. "Ci dicano se vogliono che esistiamo oppure no". "La redazione di un giornale non è un'attività ricreativa per detenuti autorizzata sotto stretto controllo, l'informazione dal carcere è un bene comune, una risorsa di civiltà utile soprattutto al territorio, che può così conoscere meglio qualcosa che gli appartiene. Un carcere dove volontari e detenuti fanno informazione ha molte probabilità di diventare un carcere trasparente". Dopo che la direzione del carcere Le Novate di Piacenza ha deciso di sospendere "Sosta Forzata", il giornale realizzato al suo interno da 11 anni e in cui scrivevano in media 20 detenuti all'anno, Ristretti Orizzonti ha deciso di scrivere una lettera aperta ai giornali e alle realtà dell'informazione del carcere per chiedere che queste realtà, "così fragili, ma così importanti" siano tutelate. "Fare informazione in carcere è un'attività complessa, sapere che la direzione di un carcere può decidere di sospendere una redazione in qualsiasi momento rende tale attività estremamente precaria - scrive Ristretti Orizzonti. E dato che la redazione di un giornale in carcere è importante e preziosa quanto qualsiasi altro giornale del territorio, questa precarietà non dovrebbe esistere". Ecco perché invita a "farsi sentire di più" gli Ordini dei giornalisti del territorio. "Non è accettabile che, nonostante il volontariato e la società civile abbiano dato in questi anni un contributo enorme per rendere le carceri meno disumane, nel momento in cui subentrano ‘motivi di sicurezzà, spesso invocati in modo generico, qualsiasi attività possa essere spazzata via con un ‘ordine di serviziò di poche righe - scrivono ancora: che per gli operatori dell'informazione che lavorano nelle redazioni in carcere significa vedere cancellare anni di faticose conquiste". Da qui la richiesta ai rappresentanti del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di sedersi intorno a un tavolo con le redazioni, "per dirci se vogliono che esistiamo oppure no. E se hanno l'onesta di riconoscere l'importanza della nostra presenza nelle carceri, ci devono offrire garanzie chiare, permetterci di lavorare con la serietà che ha caratterizzato in questi anni l'attività di tanti giornali nati in carcere". E poi la proposta di un incontro per elaborare un documento collettivo da inviare al Dap e all'Ordine dei giornalisti: "La sospensione di Sosta Forzata ci deve far riflettere e invece che indebolirci deve darci nuova forza e idee per rendere il nostro lavoro più libero e meno precario". "Quello di Ristretti Orizzonti è un appello molto equilibrato, che sposta la questione là dove doveva essere posta fin dall'inizio". È il commento di Carla Chiappini, giornalista e direttore responsabile di Sosta Forzata fino alla sospensione decisa dalla direzione del carcere qualche settimana fa. "I giornalisti in carcere sono meno tutelati di altri, se non altro per la mancanza di contratti, sono più scoperti e hanno grandi responsabilità - dice Chiappini. Fare un giornale in carcere è una frontiera, impegnativa e appassionante e per chi è curioso dell'umanità un'occasione di apprendimento, ed è una frontiera necessaria, non solo per dare una giusta informazione sul carcere ma anche per un aspetto di narrazione sociale: le storie dal carcere ci raccontano pezzi di società che altrimenti avrebbero una visibilità limitata". "Sosta Forzata" usciva 3 o 4 volte l'anno. L'ultimo numero è quello dello scorso dicembre. Nato come allegato del giornale diocesano "Il nuovo giornale", aveva una tiratura di 4.500 copie e coinvolgeva persone di culture diverse con un grandissimo turnover. L'obiettivo? Come ha raccontato la stessa Chiappini a febbraio, annunciandone "con grande rammarico" la chiusura: "Il dialogo tra cittadini reclusi e cittadini liberi. Un dialogo che nascesse dall'idea di confronto, che ponesse occhi e orecchie delle persone libere di fronte ad altre storie". Ora la speranza è che quel dialogo non si interrompa e "che si possa trovare un modo per riaprire questo lavoro, che a Piacenza aveva generato tanti frutti". A distanza di qualche settimana dall'annuncio della sospensione della pubblicazione, però, ancora non si è mosso nulla. Giustizia: nuovo cartellino rosso di Strasburgo per l'Italia, troppe condanne non eseguite di Anita Sciarra Il Giornale, 24 marzo 2015 Sono oltre 2.600 le sentenze non ancora eseguite. E l'Italia resta al primo posto, seguita dalla Turchia. Nuovo cartellino rosso di Strasburgo per l'Italia. Aumenta il numero delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo che il Paese non esegue. E resta ancora alto il numero di quelle per cui lo Stato italiano non paga i dovuti indennizzi economici. Il dato è riportato dall'ottavo rapporto sull'esecuzione delle sentenze, pubblicato dal Consiglio d'Europa. Con l'arretrato che ha, aumentato nel 2014, l'Italia si guadagna ancora il primo posto in classifica con 2.622 sentenze che ancora non sono state eseguite. Molte di più rispetto alla Turchia, che arriva seconda con 1.500 sentenze. L'Italia è indietro pure sul fronte del pagamento degli indennizzi fissati dalla Corte. Pur restando tra i Paesi che pagano di più, la somma totale sborsata dall'Italia nel 2014 per risarcire le violazioni si è più che dimezzata rispetto al 2013. Si parla infatti di di 29,5 milioni di euro, contro i 71 pagati nel 2013. Unica nota positiva del rapporto sono gli interventi messi in campo per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, dopo la sentenza Torreggiani che aveva condannato Roma per la violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani. Giustizia: perché Papa Bergoglio è (anche) contro l'ergastolo di Vincenzo Vitale Il Garantista, 24 marzo 2015 Nulla è più scomodo e rivoluzionario della verità. Lo sapeva bene Erasmo da Rotterdam, il quale notava come i Principi del suo tempo preferissero la compagnia degli adulatori e dei buffoni a quella dei filosofi, appunto perché soltanto questi avevano il coraggio di dir loro la verità. Oggi, Papa Francesco è fra i pochi che ha questo coraggio, anche a costo di apparire contro corrente, contro lo spirito del tempo. Ne ha dato ultima prova, ieri l'altro, scrivendo alla commissione internazionale contro la pena di morte, di essere contrario non solo alla pena capitale, ma anche all'ergastolo e ad ogni pena che sia talmente lunga, come l'ergastolo, da divenire una pena di morte occulta. Qui il Papa non si limita a ribadire la condanna per la pena di morte, ma ne aggiunge una ulteriore a carico di una pena che sia eccessivamente lunga: e dunque non solo l'ergastolo, cioè il carcere a vita, ma anche una pena troppo protratta nel tempo in relazione alle condizioni concrete del soggetto di cui di volta in volta si tratti. Dietro questa inequivoca presa di posizione del Pontefice, che si pone del resto sulla medesima linea di insegnamento dei suoi predecessori, c'è un intero universo di significati sull'uomo e sulla società che chiede di essere preso in seria considerazione. Innanzitutto, si trova la riaffermazione del primato assoluto dell'essere umano sullo Stato o su qualsiasi altra organizzazione sociale. Prima viene l'uomo concreto, il singolo, sulla irripetibilità del quale tanto insisteva Kierkegaard: dopo, soltanto dopo viene il resto. Ne viene il rifiuto dell'onnipotenza, dell'onniscienza, dell'onnipresenza dello Stato: ed invece l'accoglienza delle ragioni profonde dello Stato di diritto, il quale, se è davvero tale, non può che ripudiare la pena di morte e i suoi occulti equipollenti. Altro aspetto di non secondaria importanza è la relativizzazione di ogni possibile giudizio sull'uomo e sui suoi comportamenti. Nessun giudizio umano, fosse anche il più perfetto e sagace, potrà mai davvero comprendere ed esaurire in modo completo e definitivo la verità di un essere umano: ciascuno di noi infatti è molto di più e di diverso rispetto ad ogni singolo atto che compie lungo la strada della vita. Nessun atto, considerato nella sua puntualità temporale, è in grado di contenere ed esprimere la totalità della personalità del suo autore: nessuno di noi può cioè essere ricondotto in modo assoluto e sena residui al suo singolo comportamento. Ecco dunque, fra l'altro, una profonda ragione per ripudiare quelle pene: perché esse, non cogliendo la complessa infinità della persona umana, ne assolutizzano un singolo atto a partire dal quale pretendono di cogliere il tutto e di giudicarlo. Mai fu commesso errore più grande, mai pene furono più antiumane e perciò da escludere categoricamente dal novero di quelle irrogabili dallo Stato di diritto, che veda al centro la persona umana. Questo ripudio espresso con forza dal Papa non riguarda soltanto la pena di morte, ma anche l'ergastolo: e fin qui, come dire, ci sta. Molti ed articolati sono infatti oggi i movimenti favorevoli all'abolizione dell'ergastolo. Ma il Papa si spinge oltre, fino a stigmatizzare ogni pena che, per eccessiva lunghezza, di fatto si trasformi in una pena di morte occulta e tuttavia di fatto inflitta al condannato. Fino ad oggi non mi risulta che ciò sia stato proclamato con altrettanta chiarezza e forza. Il Papa ci vuol dire che condannare, per esempio a trent'anni di reclusione, un sessantenne, spesso equivale di fatto a decretarne la morte in stato di detenzione. Insomma, la durata della pena , se rettamente considerata secondo giustizia, andrebbe calibrata non solo - come si fa da sempre - sulla gravità del reato commesso, ma anche tenendo conto della situazione reale di vita del condannato, della sua età, della sua condizione. Tenere presenti questi dati non significa cedere al crimine, ma soltanto cercare di mantenere la pena nel solco della giustizia, senza farla deviare verso le pericolose sponde dell'iniquità. Insomma, nessuna pena detentiva è legittimata a spegnere definitivamente e fin da principio la speranza di una vita umana, per quanto il reo possa apparire crudele e colpevole di efferati delitti. Perché, se anche questo spietato delinquente, che all'opinione pubblica più ottusa appare meritevole di morte, avesse dimenticato - in forza della sua efferatezza - di essere un uomo, nessuno di noi ha il diritto di fare altrettanto: nessuno di noi ha il diritto di dimenticare che dietro ogni condannato, anche per truci delitti, si cela il volto di un essere umano. Cioè di uno di noi. Giustizia: la inascoltata denuncia di Nordio e la "cattiveria" dei colleghi della Boccassini di Valter Vecellio Notizie Radicali, 24 marzo 2015 Ilda Boccassini, la "rossa", come viene chiamata più per la folta capigliatura che per le idee politiche di cui nulla ci importa e nulla vogliamo sapere, è magistrato che ha fama d'essere spigolosa brusca, e discutibile; nel senso che non ha un carattere facile (e questo è un punto a suo favore), e alle spalle una quantità di inchieste che hanno fatto "notizia", ma i cui esiti, spesso si prestano a critiche e osservazioni non infondate. Quel tipo di magistrato "decisionista", "poliziotto", ricordata per le sue inchieste sulle "olgettine" e la vicenda Ruby-Berlusconi; e le inchieste sulla mafia e la ‘ndrangheta in Lombardia, dalla "Duomo connection" fino ai giorni nostri. Ilda Boccassini, la "rossa", spigolosa e brusca andrebbe anche ricordata per essere stata accusatrice spietata dei suoi colleghi: col dito puntato contro i "traditori" di Giovanni Falcone, che l'hanno abbandonato e lasciato solo quando era in vita, per poi mostrarsi addolorati e appropriarsi della "memoria" l'indomani della strage di Capaci del 23 maggio 1992. Con Falcone aveva lavorato sull'inchiesta "Duomo Connection", e indagato su riciclaggio e corruzione a Milano. Ilda Boccassini, la "rossa", spigolosa e brusca, lancia il j'accuse tre giorni dopo la morte di Falcone; prende la parola all'interno della grande Aula del Tribunale di Milano e sillaba: "Voi avete fatto morire Giovanni Falcone, voi con la vostra indifferenza, le vostre critiche. Non potrò mai dimenticare quel giorno a Palermo, due mesi fa, quando a un'assemblea dell'associazione magistrati le parole più gentili per Giovanni, soprattutto da sinistra e da Magistratura Democratica, erano di essersi venduto al potere. Mario Almerighi lo disse: "Falcone è un nemico politico". Un conto è criticare la superprocura, un conto è dire, come il Csm, i colleghi, gli intellettuali del fronte antimafia, che Falcone era un venduto, una persona non più libera dal potere politico. Giovanni aveva scelto l'unica strada per continuare a aiutare i colleghi, andando al ministero per fare sì che si realizzasse quel progetto rivoluzionario di una struttura unica per combattere la mafia. A quanti colleghi che sono qui ho cercato di fare aprire gli occhi, ma sono stata spazzata via anch'io perché ero amica di Falcone. I colleghi che stamattina sono a Palermo fino all'altro ieri dicevano di diffidare di Giovanni. Gherardo Colombo, tu diffidavi di Falcone, perché sei andato ai funerali? E l'ultima ingiustizia Giovanni l'ha subita proprio dai giudici di Milano, la rogatoria per lo scandalo delle tangenti gliel'hanno mandata senza gli allegati. Mi telefonò e mi disse: "Che amarezza, non si fidano del direttore generale degli affari penali". C'è tra voi chi diceva che le bombe all'Addaura le aveva messe Giovanni o chi per lui. Abbiate il coraggio di dirlo adesso, e poi voltiamo pagina. Se pensate che non era più autonomo, libero, indipendente, perché andate ai suoi funerali? Dalla Chiesa non può andare ai suoi funerali, Orlando non può andare. Se i colleghi pensano che in questi due anni Falcone si sia venduto, lo dicano adesso, vergogniamoci e voltiamo pagina". Nessuno fiata, dopo quella spietata requisitoria. Ed è pagina, questa, che si tende a dimenticare; si capisce. Ilda Boccassini, la "rossa", spigolosa e brusca, oggi parla della riforma della giustizia "provocherà un avvicendamento ai vertici che sarà una vera e propria rivoluzione". Rivoluzione da intendere piuttosto come paralisi: paradossale effetto concreto opposto all'annuncio twittato con grande enfasi e clamore (un effetto dolosamente perseguito, vien da pensare, visto che più volte e da più parte se ne sono paventati gli effetti; ma forse no: di colpa si tratta; ed è perfino peggio, no essendoci nulla di più pericoloso di cretini, presuntuosi, arroganti inconsapevoli). La "rivoluzione" paralizzante (o se si vuole, la paralisi "rivoluzionaria") è quella indicata il 18 marzo in un articolo pubblicato su Il Messaggero e Il Mattino dal Procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio; segnatamente in quel passaggio dove richiama l'attenzione di tutti noi su "…un bizzarro decreto legge ha pensionato i 500 magistrati più importanti d'Italia, con la conseguenza di paralizzare gran parte dei processi e l'attività del Consiglio Superiore della Magistratura". Un allarme, una denuncia finora raccolta dal solo Marco Pannella e dai radicali. Silenzio da parte di tutte le altre forze politiche; e sì che perfino il Consiglio Superiore della Magistratura ha ritenuto di segnalare la cosa. Questa paralisi è la "rivoluzione" di cui parla Ilda Boccassini, la "rossa", spigolosa e brusca. Che poi aggiunge: "Sembra che tutto si riduca alla lunghezza delle ferie e alla responsabilità civile dei giudici. Certo che chi sbaglia deve pagare, ma chi dovrà giudicare un ricco e potente contro uno che non lo è, lo farà ancora in modo sereno?". Interrogativo che lascia il tempo che trova; e ancor più la successiva affermazione: che all'interno della magistratura esistono già organismi di disciplina. È noto che disciplina assicurano e hanno assicurato quegli organismi "interni". Ma non è questo che merita attenzione, quanto la successiva affermazione: "Proprio in questi giorni è stato aperto un procedimento nei miei confronti sulla base della segnalazione di un avvocato di un processo per mafia. Non mi preoccupa per niente, tanto che sono scoppiata a ridere, quando è arrivato. Ma poi ho riflettuto che un altro magistrato ha deciso di dare più credito a questo avvocato piuttosto che a me. E di fronte alla prospettiva della responsabilità civile, io temo soprattutto la cattiveria dei miei colleghi". Ilda Boccassini "la rossa", spigolosa e brusca, consentirà qualche spigolosità e considerazione brusca del tenore delle sue: che il procedimento sia stato aperto sulla base di una segnalazione di un avvocato di un processo per mafia è una suggestione come quella dell'orientale astuzia accampata per dare sostanza alle accuse da lei mosse e formulate nel caso Ruby. Non significa nulla. O la segnalazione dell'avvocato ha fondamento, o on ce l'ha; che l'avvocato difenda dei mafiosi è irrilevante. Naturalmente ci si augura di poter condividere la risata; e che un magistrato abbia deciso di non far cadere la segnalazione (e anzi di vederci chiaro) perché a muoverla è un avvocato che difende mafiosi, e perché si mette in discussione l'operato di Ilda Boccassini, "la rossa", spigolosa e brusca, in definitiva è rassicurante. Preoccupante sarebbe stato il contrario, la non presa in considerazione perché si "dà più credito a questo avvocato piuttosto che a me". L'ultima affermazione tuttavia è quella che più dovrebbe inquietare: "Temo soprattutto la cattiveria dei miei colleghi". Ilda Boccassini "la rossa", spigolosa e brusca, dice proprio così: "La cattiveria dei miei colleghi". Quella che, anni prima, aveva denunciato nel corso delle esequie di Giovanni Falcone. Ecco: che questo sia il vero timore di Ilda Boccassini "la rossa", spigolosa e brusca è cosa che rivela assai più di quanto non dica. Il Comitato Direttivo Centrale dell'Associazione Nazionale Magistrati si riunisce domenica 22 marzo, alle ore 11. All'ordine del giorno la convocazione dell'Assemblea Generale straordinaria e l'organizzazione del Congresso dell'Anm. Con buona pace del "bizzarro decreto" e della "paralisi di gran parte dei processi" evocati dal Procuratore Aggiunto di Venezia Nordio, e della "cattiveria dei miei colleghi" di Ilda Boccassini, "la rossa", spigolosa e brusca. Giustizia: il "caso" delle dimissioni di Lupi, quando il peccato è più grave del reato di Fulvio Cammarano Giornale di Brescia, 24 marzo 2015 Lupi ha annunciato le dimissioni da Vespa e poi le ha argomentate in Parlamento. Inutile lamentarsi: "Porta a porta" ha più spettatori della Camera e anche per presentare la propria fuoriuscita dal governo è opportuno avere il picco dell'audience. Lupi ha rivendicato nell'informativa alla Camera il ruolo decisivo della politica nella sua decisione di uscire di scena. Ed è giusto se è vero che la politica è anche vigilanza e responsabilità. In realtà la decisione ha molte ragioni anche di carattere personale, dato il coinvolgimento dei familiari del ministro. Queste dimissioni fanno comunque tirare un sospiro di sollievo al presidente del Consiglio, il cui gelido silenzio degli ultimi giorni era già stato più eloquente di mille parole. Ma rappresentano un'ottima via d'uscita anche per il gruppo dirigente del Ncd. Il ministro non indagato, ma intercettato mentre diceva cose politicamente inopportune, era diventato comunque un peso, una sorta di "ferito" da portarsi dietro mentre ci si addentra nella giungla insidiosa della lotta politica. Non erano tanto gli attacchi dell'opposizione a preoccupare il Ncd, quanto le evidenti avances di Forza Italia che, proclamatasi garantista, aveva già lanciato un ponte finalizzato ad accomunare i "perseguitati" delle due sponde del centro-destra. Solidarietà "pelosa" aveva pensato più di uno nel Ncd, che ora si trova di nuovo protagonista poiché in un modo o nell'altro dovrà ora impegnarsi a negoziare un proprio ministro nell'esecutivo. Inutile dire che, nell'età della cultura dell'antipolitica, nessun partito e soprattutto nessun governo può permettersi di convivere con l'accusa di proteggere la corruzione in qualunque forma essa si manifesti. L'insistenza di tutti gli amici politici sul fatto che Lupi non sia in alcun modo indagato rappresenta un importante punto fermo, formale e sostanziale, per l'interessato, ma nulla toglie alla sottile ipocrisia dell'affermazione, dato che a pesare come un macigno è la gravità politica della percezione degli eventi: un padre potente che raccomanda un figlio. Regali, reti di raccomandazioni, facilitazioni mentre migliaia di giovani hanno attraversato in questi anni tutti i gironi dell'inferno della disoccupazione. Non ci sono al momento, in Italia, peccati peggiori per l'opinione pubblica, altro che appalti truccati e controllati. Questi ultimi spesso sono reati di persone non note, tecnici-faccendieri, comportamenti illegali gravissimi che impoveriscono il Paese e che tutti ovviamente condannano, ma che, ormai, per assuefazione, non indignano più di tanto. Invece, quello che influenza l'elettore è il comportamento del "noto politico" che, stando alle intercettazioni, sembra aver utilizzato in modo discrezionale un potere permesso a pochissimi: quello di sistemare i figli, proteggerli, non farli soffrire. Alcuni hanno pensato al diverso trattamento assicurato ad Angelino Alfano, quando fu invitato a dimettersi dopo l'affare Shalabayeva. Ma i due eventi non sono comparabili. Non è solo la diversa caratura politica di Lupi ed Alfano ad aver determinato due esiti diversi. È anche la differente tipologia di responsabilità morale che venne allora sollevata nei confronti del Ministro degli Interni ad aver inciso sulla capacità di resistenza degli interessati. Il parallelo andrebbe invece fatto con Cancellieri, costretta dopo strenua resistenza alle dimissioni perché nessuna protezione politica poteva essere sufficiente a salvarla dall'accusa di familismo e di scambio di favori per interessi privati. In Italia, lo sappiamo, il peccato è più grave del reato. Giustizia: "vendetta" dell'Ncd, il no del partito di Alfano alla legge sulla prescrizione di Liana Milella La Repubblica, 24 marzo 2015 La maggioranza rischia oggi alla Camera. Le aperture del M5S. Blitz dei centristi sulle intercettazioni nel testo sulla diffamazione. Prescrizione, intercettazioni, anti-corruzione. Ncd parte all'attacco per "vendicare" Lupi, a costo di mettere in difficoltà il governo e votare contro la prescrizione lunga. Accadrà oggi, alla Camera, quando Pd e Area popolare (Ncd più Udc) premeranno bottoni diversi su una riforma che il premier Renzi sponsorizza e che vedrà in aula il Guardasigilli Orlando per metterci la faccia. Giusto mentre fa in fumo per prescrizione il processo a Moggi. Certo, gli alfaniani non arrivano alla provocazione che, al Senato, sul ddl anti-corruzione di Grasso, farà il socialista Barani: "la pena di morte, la fucilazione in piazza, i tribunali speciali sempre aperti, esposizione al pubblico ludibrio per corrotti e corruttori". Però Ncd, su cui incombe il nome storpiato via tweet di M5S (Nuovo Centro Detenuti), non ci sta a passare per l'alleato mogio e arrendevole del governo solo perché è successo a Lupi quello che è successo. Il fondatore del gruppo Alfano fa la voce grossa sulle intercettazioni ("contro la bolla mediatica bisogna accelerare la riforma" dice alla Stampa) e il vice ministro della Giustizia Costa rispolvera il suo ddl capestro sugli ascolti, rimodellato su quello famoso di Alfano quand'era ministro di Berlusconi. Il testo delle microspie per non più di 15 giorni, con il bavaglio ai giornalisti. Alfano punta i piedi, "riforma subito". I suoi eseguono, intercettazioni dentro la diffamazione. Come dice il superattivo Alessandro Pagano "se il Pd fa gli stralci dai ddl del governo perché non li possiamo fare pure noi?". Non basta, arriva la sorpresa sulla prescrizione sempre con gli emendamenti di Pagano e del tuttora capogruppo De Girolamo, scatenata nel pretendere dai pm tempi stringati nelle indagini, al punto da ipotizzare l'avocazione dell'inchiesta da parte del procuratore generale se non vengono rispettati. Emendamenti destinati ad arroventare l'aula di Montecitorio e mettere in difficoltà il governo. Perché sulle proposte di Ap confluirà di sicuro Forza Italia. Vediamo che succede. Alla Camera oggi si vota sulla prescrizione. Gli alfaniani sono furibondi perché, come dice Pagano, "il Pd ha rotti i patti". Sulla corruzione l'accordo era che fosse pari al massimo della pena più un quarto, "loro l'hanno raddoppiata". "Due vulnus" lamenta Pagano, notoriamente uomo di Costa, "aver tradito un accordo di governo e la fiducia di cittadini innocenti". E allora? "Se bocciano il nostro emendamento che elimina la stortura, noi votiamo contro tutta la legge". Detto fatto, la maggioranza si spacca. Per la verità M5S è pronto a mettere a disposizione i suoi voti, "a patto che ci siano tre modifiche" (prescrizione bloccata e raddoppiata, marcia indietro sulla ex Cirielli). Non va meglio al Senato dove domani parte il ddl Grasso. Lui, il presidente, contro chi dice che le leggi già ci sono insiste perché "ogni legge che ci fa fare un passo avanti nel contrasto alla corruzione è necessario, ma nessuno da solo è sufficiente". Ma gli emendamenti sono ben 220, e si potrebbe non chiudere in settimana. Anche qui gli alfaniani remano piano, come quando il relatore D'Ascola propone che chi patteggia non debba restituire la mazzetta. Giustizia: "limiti alle intercettazioni, legge pronta"…. l'Ncd insiste di Errico Novi Il Garantista, 24 marzo 2015 Il caso Lupi ha certificato la supremazia dei pm sul governo. Ora Renzi rischia di dover pagare questa sudditanza anche su un fronte delicatissimo come quello delle intercettazioni. La scena è questa: sulla materia c'è un emendamento dei soliti alfaniani. Nel tentativo di aggirare le esitazioni del Pd, il capogruppo dell'Ncd in commissione Giustizia, Alessandro Pagano, ha presentato da oltre un mese una modifica al ddl sulla diffamazione che introduce appunto limiti alla pubblicabilità dei brogliacci. Prima che deflagrasse il caso Lupi, Renzi si era detto d'accordo, persino in Consiglio dei ministri, sulla necessità di tutelare "chi non è indagato". Pagano torna alla carica e dice: "Bisogna accelerare". La cosa buffa che mette ancora più in difficoltà il Capo del governo è che a invocare una regolamentazione degli ascolti è anche la minoranza Pd. Il capogruppo dem a Montecitorio Roberto Speranza ha posto la questione in modo esplicito. Più defilata ma forse anche più "pesante" è la posizione assunta in proposito da Pier Luigi Bersani. È lui ad aver notato subito che con il sistema che ha messo knock out l'ex ministro delle Infrastrutture "chiunque può essere impallinato". Una riflessione riportata ieri da Francesco Verderami sul Corriere della sera. E a cui lo stesso Bersani ha dato implicitamente seguito nelle ultimissime ore. A chi gli ha chiesto se un avviso di garanzia comporti un "obbligo" di dimettersi, l'ex segretario del Pd ha risposto che "se uno fa il camionista tutta la vita una volta prende una multa, è inevitabile, e se uno fa il sindaco per vent'anni, un abuso d'ufficio senza danno patrimoniale può succedere". Non si può dare spazio all'automatismo tra inchieste, notizie di stampa e dimissioni dell'interessato, perché si rischia di subordinare la politica a inchieste e gossip giudiziari, dice in sostanza Bersani. Che ricorda anche come sia necessario "cambiare le leggi, senza illudersi che possa arrivare lo sceriffo per risolvere tutto". Il riferimento è all'eventualità che il ministero delle Infrastrutture sia assegnato a un pm. Se Bersani e Speranza lanciano segnali per spingere il loro partito a intervenire sulle intercettazioni, il responsabile Giustizia del partito, David Ermini, renziano, dice che di intercettazioni non se ne parlerà prima di maggio. Il sopracitato Alessandro Pagano dell'Ncd gli controbatte: "Sull'abuso mediatico delle intercettazioni serve presto una riforma: lo dice Bersani, lo dice Speranza, lo ha detto pochi giorni fa Serracchiani, lo dice da sempre il Nuovo centrodestra. All' appello però manca Renzi". Guarda un po'. "Se è vero quanto sostiene il suo responsabile Giustizia Ermini", dice Pagano, "e cioè che il provvedimento arriverà in aula solo a ridosso dell'estate, allora si vuole diluire il problema: Renzi batta un colpo". Glielo dice pure una primissima linea centrista come Maurizio Sacconi: "Il caso Lupi ha messo in evidenza l'abuso mediatico delle intercettazioni, questo è un nodo politico perché riguarda la stabilità delle istituzioni". Oltre alle nuove regole proposte da Pagano per rendere "impermeabile" l'udienza-filtro, Sacconi chiede di riproporre quella che era l'idea iniziale dello stesso guardasigilli Orlando: un'autoregolamentazione della stampa. "Faccio appello a Renzi affinché solleciti il garante della privacy ad adottare autonomamente il codice etico che il Consiglio dell'Ordine dei giornalisti ha rifiutato di rinnovare, includendo l'abuso di pubblicazione delle intercettazioni". Chiusura con una velenosissima avvertenza per Renzi: "Non ha futuro quella politica che si annichilisce di fronte alla gogna mediatico-giudiziaria: peraltro, oggi a me domani a te". Anche se con la richiesta di proscioglimento presentata per suo padre Tiziano, ora forse Matteo Renzi si sentirà più tranquillo. Giustizia: contro la corruzione, che cosa si può fare subito di Sergio Erede e Alessandro Musella (Avvocati) La Repubblica, 24 marzo 2015 La lotta alla corruzione è più che mai una priorità per l'Italia. Non soltanto per l'emergere dell'ennesimo nuovo filone di indagini, ma soprattutto perché la riduzione del fenomeno corruttivo è essenziale per sostenere i segnali positivi di ripresa economica (Roubini nell'intervista a Repubblica del 15 marzo). Quest'ultima si consolida solamente con un aumento significativo degli investimenti e al momento in Europa manca una propensione agli investimenti del capitale privato sufficiente a sostenere, da sola, la ripresa. Ci vogliono dunque nuovi e significativi investimenti pubblici (Mariana Mazzucato su Repubblica del 16 marzo), i quali però sono di dubbia efficacia in presenza di elevati livelli di corruzione (Centro Studi Confindustria, dicembre 2014). Per consolidare la ripresa economica è quindi necessario quello che Roubini ha efficacemente chiamato un "attacco frontale" alla corruzione. Questa offensiva è peraltro necessaria anche per combattere le mafie e la criminalità organizzata (Procuratore antimafia Scarpinato). Per questi obiettivi servono senza dubbio le nuove norme penali che ci raccomandano da tempo le principali organizzazioni internazionali (Onu, Consiglio d'Europa e Ocse) e delle quali tanto si parla e poco si è realizzato. Occorre il coraggio di adottare, in un colpo solo, tutte le regole che - anche a livello internazionale - sono considerate indispensabili, con riguardo almeno ai seguenti punti: 1) estensione della durata e interruzione/sospensione della prescrizione; 2) pene e sanzioni economiche efficaci e dissuasive (inclusa l'estensione ai reati di corruzione delle misure di sequestro/confisca previste dal Codice Antimafia); 3) reintroduzione del falso in bilancio; 4) non-punibilità per chi si auto-denuncia e collabora con la giustizia; 5) procedibilità d'ufficio per la "corruzione tra privati"; 6) estensione dell'ambito di ammissibilità delle intercettazioni per i reati contro la pubblica amministrazione. Il ddl Grasso in parte andava in queste direzioni, ma nel suo lungo e ancora incompiuto iter parlamentare è stato progressivamente svuotato e gravemente indebolito. Ma ancor più urgentemente serve un piano governativo di azioni concrete che, in tempi brevi, riduca il "prelievo" di 60 miliardi l'anno gravante sul nostro Pil a causa della corruzione (stime Commissione europea e Corte dei Conti). È quasi superfluo sottolineare l'effetto positivo che tale piano potrebbe avere sulla fiducia degli investitori esteri, inducendoli a considerare nuovi investimenti in Italia, anche in associazione con investimenti pubblici. Un piano governativo anticorruzione si può fare subito, perché non richiede un iter parlamentare, se non in misura limitata. Il piano può essere insomma la vera cartina di tornasole della effettiva volontà del Paese di segnare rapidamente una svolta decisiva contro la corruzione. Oggi in Italia esiste un "piano anticorruzione" emanato dall'Anac (l'Autorità per la prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, presieduta dal Dott. Cantone): si tratta di uno strumento importante, che però è focalizzato sulla prevenzione, è limitato al settore delle pubbliche amministrazioni (anche se - come anticipato da Repubblica il 23 marzo - verrà esteso alle società a partecipazione pubblica) e richiede tempi lunghi per dare risultati tangibili. La lotta alla corruzione impone azioni concrete a 360 gradi, anche in tema di repressione, prevenzione verso le imprese private, riorganizzazione amministrativa e comunicazione. Per tutto ciò serve quindi un piano di azioni più ampio, che vada oltre le ristrette competenze dell'Anac e che provenga direttamente dal Governo. Un buon esempio pratico cui ispirarsi è il piano anticorruzione recentemente adottato dal governo inglese, che consta di 66 azioni specifiche, tutte ispirate alla best practice internazionale e articolate sulle aree fondamentali di contrasto alla corruzione. Ciò che colpisce molto positivamente di questo piano è la sua concretezza e la ferma volontà, che esprime in modo convincente, di combattere la corruzione attraverso l'assunzione di un impegno incondizionato proveniente direttamente dal governo. Nessun governo italiano ha mai fatto nulla di paragonabile, ma un piano di questo tipo potrebbe davvero segnare una svolta di grande impatto. Un piano anticorruzione italiano, sulla base dell'esempio inglese, dovrebbe agire almeno sulle seguenti aree: 1) Scoperta e repressione: potenziamento dell'attività di "intelligence", mediante creazione anche in Italia di un'unità investigativa dedicata all'anticorruzione e al sequestro/confisca dei patrimoni di corrotti e corruttori; impiego di banche dati e dei sistemi informatici di fraud detection ormai disponibili sul mercato (sistemi in grado di scoprire "Red Flags" di possibili condotte illecite su cui investigare); impiego di agenti infiltrati; rafforzamento del whistleblowing, mediante un ufficio pubblico dedicato a raccogliere le denunce di corruzione anche via internet (come l'Office of Whistleblower degli Stati Uniti), che garantisca ai denuncianti protezione, anonimato e una ricompensa economica commisurata al beneficio ottenuto dallo Stato. 2) Prevenzione: ulteriori azioni per dare concretezza ed effettività al piano di prevenzione varato dall'Anac (in particolare favorendo l'implementazione effettiva e rapida dei principali presidi previsti da tale piano, in tema di nomina dei responsabili della prevenzione, trasparenza, "Whistleblowing" e formazione); azioni specifiche di prevenzione per singoli settori "a rischio", come "grandi opere", sanità, previdenza, fisco, giustizia, ecc., prendendo a base i vari studi che già esistono. 3) Collaborazione delle imprese: incentivare le imprese private ad adottare programmi di compliance anticorruzione e ad aderire a "iniziative collettive" contro la corruzione, per esempio condizionando all'adozione di tali misure l'accesso ad appalti, concessioni e finanziamenti pubblici; i programmi anticorruzione sono volti a prevenire e, in ogni caso, a scoprire tempestivamente e neutralizzare eventuali condotte corruttive di esponenti di un'impresa. A livello internazionale tutte le maggiori imprese adottano e attuano seriamente questi programmi ed esistono ormai numerose guide emesse dalle maggiori organizzazioni (Onu, Ocse, Icc, World Bank, Transparency, ecc.) che spiegano come i programmi devono essere strutturati, attuati e anche monitorati per verificarne la serietà; le "iniziative collettive" consistono in un patto tra un gruppo di imprese con cui ciascuna di esse si impegna ad astenersi da qualsiasi pratica corruttiva e accetta di subire sanzioni in caso di violazione di questo obbligo; la diffusione delle "iniziative collettive", insieme con l'adozione dei programmi di compliance anticorruzione, può ridurre in modo drastico le dimensioni del fenomeno corruttivo, poiché riduce la platea delle imprese inclini alla corruzione e le emargina dal mercato. 4) Riorganizzazione amministrativa: rafforzare il sistema dei controlli (troppo depotenziato fin dalla riforma del 1994); ridurre i tempi dei procedimenti decisionali delle amministrazioni; ampliare gli istituti di interlocuzione dell'amministrazione con i privati, rendendo più trasparente ogni rapporto; razionalizzare e ridurre i centri decisionali, in modo particolare nei settori più a rischio di corruzione. 5) Comunicazione: campagna di informazione e sensibilizzazione, per segnare una svolta culturale nel Paese e per incentivare l'adesione dei cittadini e delle imprese alle azioni previste dal piano; sradicare dalla cultura italiana la indulgenza e auto-indulgenza verso la corruzione che sono tra le cause della situazione attuale; stimolare il ricorso dei cittadini al whistleblowing, facendo comprendere che la corruzione non va tollerata, ma anzi va denunciata a tutti i livelli. Insomma, è giunto il momento di uscire dagli equivoci. Non è più credibile dire di voler combattere la corruzione e limitarsi a varare nuove norme penali a macchia di leopardo, che nascono già deboli a causa dei compromessi politici che le precedono. Le norme che ancora servono vanno tutte adottate, senza limitazioni e in tempi rapidi. Ma ancor più rapidamente, deve essere varato un piano di azioni concrete contro la corruzione, un piano su cui il Governo deve "mettere la faccia" per dare un messaggio inequivocabile di svolta. Un tale piano può essere decisivo non solo perché capace di produrre effetti di prevenzione e dissuasivi in tempi molto più brevi delle norme penali, ma anche e, soprattutto, perché in grado di produrre un impatto immediato sull'opinione degli investitori e della comunità internazionali e sulla loro propensione a investire nel nostro paese, così sostenendone la ripresa economica. Giustizia: sui reati ambientali bisogna distinguere tra il dolo e la colpa di Nicoletta Picchio Il Sole 24 Ore, 24 marzo 2015 Le industrie investono per garantire la compatibilità ambientale delle proprie produzioni e per sviluppare nuovi prodotti e tecnologie nella green economy. Un esempio è la chimica: "Negli ultimi 20 anni ha ridotto le emissioni di gas serra del 68% e quelle in atmosfera del 98%. Sforzi analoghi stanno compiendo anche altri settori a maggior rischio ambientale". Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria, ha citato questi dati per "smentire tutti coloro che hanno scritto o detto che ci opponiamo all'approvazione della riforma dei reati ambientali". Però la norma, approvata al Senato ed ora alla Camera, presenta "elementi di criticità", denunciati più volte e che ieri la Panucci ha ribadito, parlando al convegno "Delitti contro l'ambiente, prospettive di una riforma attesa", organizzato dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, presenti il presidente del Senato, Pietro Grasso, i ministri della Giustizia e Ambiente, Andrea Orlando e Gian Luca Galletti. È sul ravvedimento che si è concentrata la Panucci: "Non prevede sorprendentemente alcuna distinzione tra dolo e colpa, il che significa che il reato commesso dalle ecomafie e quello derivante da un incidente non voluto prevedono la stessa tipologia e riduzione di pena". Altro aspetto, il fatto che il ravvedimento sia ammissibile soltanto se le bonifiche vengono realizzate entro l'inizio del dibattimento di primo grado: una condizione "irrealistica", secondo il direttore generale di Confindustria, anche considerando la possibilità di sospensione di tre anni, perché i tempi dei procedimenti amministrativi di bonifica sono più lunghi. Inoltre il ravvedimento operoso non esclude sequestri e misure interdittive che potrebbero rappresentare un ostacolo ad un tempestivo risanamento, poiché non contempla la non punibilità in caso di inquinamento colposo. C'è anche un altro tema su cui Marcella Panucci si è soffermata: le legge "criminalizza l'uso dell'air gun, tecnologia universalmente utilizzata per la ricerca scientifica e i rilievi dei giacimenti nel sottosuolo marino". La norma, ha detto potrebbe determinare la chiusura di attività upstream a mare per oltre 10 miliardi e tagliare filoni di ricerca. "Se la Camera non apporterà modifiche un provvedimento di alto valore etico e sociale rischia di produrre effetti punitivi non voluti da nessuno che finiranno per scoraggiare nuovi investimenti", ha concluso la Panucci. Per il ministro dell'Ambiente, Gian Luca Galletti, il provvedimento sugli eco-reati va approvato subito, senza modifiche, ma qualche apertura c'è stata: "i provvedimenti possono essere modificati in futuro", ha aggiunto, riferendosi in particolare alla norma sull'air gun. "È sbagliata - ha detto - e va modificata nel più breve tempo possibile tenendo conto delle direttive internazionali ed europee". Anche dal ministro Andrea Orlando è arrivato l'auspicio ad una rapida approvazione: "È una legge che mette in discussione tutto il sistema, è ineludibile l'urgenza dell'inserimento dei delitti ambientali nel Codice penale", pur aggiungendo che "la legge potrà essere oggetto di modifiche in futuro". Sulla stessa linea il presidente del Senato, Pietro Grasso: "Sono molte le novità, direi rivoluzionarie che mi auguro verranno confermate senza cambiare una virgola", ha detto aprendo il convegno, auspicando che ci si muova in parallelo su tutti i fronti, dal ddl anticorruzione al codice degli appalti. Giustizia: chiudere gli Opg, un atto doveroso contro chi insiste con logiche da manicomio di Gabriele Terranova (Componente Direttivo Osservatorio Carcere dell'Ucpi) Il Garantista, 24 marzo 2015 Il percorso normativo finalizzato al superamento ed alla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari culminato nella 1. 81/2014, di conversione del d.l. n. 52/2014, rappresenta un passaggio storico di fondamentale importanza nella gestione delle problematiche sanitarie e sociali correlate al disagio mentale. Si stabilisce che la magistratura disponga, per gli infermi ed i seminfermi di mente, anche in via provvisoria, l'applicazione di misure di sicurezza diverse dal ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o in casa di cura e custodia, salvo quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla loro pericolosità sociale. Alle Regioni, e segnatamente ai Dipartimenti e Servizi di Salute Mentale, si è demandato il compito di predisporre, d'intesa con le Direzioni degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, per ciascun internato, un programma di trattamento individuale incentrato su percorsi terapeutico - riabilitativi di dimissione, con l'obbligo di documentare in modo puntuale, per i pazienti per i quali sia stata accertata la persistente pericolosità sociale, le ragioni poste a fondamento dell'eccezionalità e della transitorietà del prosieguo del ricovero. Si è avvertita anche l'esigenza di sancire mediante formale statuizione normativa un principio che avrebbe dovuto essere ovvio, e cioè che nessuno può essere ritenuto socialmente pericoloso ed internato sol perché il sistema sanitario nazionale non gli garantisce le cure di cui avrebbe bisogno per continuare a vivere in società: un riconoscimento della diffusa consapevolezza che buona parte della popolazione degli Opg avrebbe potuto condurre esistenze più dignitose, senza sacrificio per la sicurezza pubblica, se assistita da un'adeguata rete di supporto. Si decreta inoltre finalmente la fine dell'incresciosa prassi degli ergastoli bianchi, ossia delle proroghe reiterate all'infinito del giudizio di pericolosità sociale e dell'internamento, stabilendo che nessun malato di mente possa essere internato per un periodo più lungo della pena massima che gli sarebbe toccata se fosse stato sano e quindi responsabile del reato commesso. L'ispirazione di fondo è dunque quella che, all'abbandono del modello manicomiale rappresentato dalle attuali strutture di internamento (tristemente documentato qualche anno fa dalla Commissione Marino), debba corrispondere, salvo casi eccezionali, l'attivazione di forme di assistenza, demandate alle ordinarie strutture di salute mentale, per la cura dei malati in regime di libertà. La prevista istituzione delle Rems (Residenze per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza), strutture sanitarie e non penitenziarie, di piccole dimensioni (con un massimo di 20 pazienti), distribuite sul territorio delle Regioni e destinate ad ospitare i malati non dimissibili, fra quelli oggi destinati agli Opg, dovrebbe assolvere ad una funzione residuale, correlata all'eccezionalità ed alla tendenziale transitorietà della prosecuzione degli internamenti. Propositi non solo encomiabili ma doverosi, se si considera che la Costituzione riconosce a tutti, malati di mente compresi, il diritto alla salute ed a godere di idonee cure. A chi pensasse che si tratti di ambizioni idealiste è sufficiente fare osservare che già nella prima relazione trimestrale (diffusa nello scorso mese di settembre) dell'Organismo di Coordinamento del processo di superamento degli Opg, appositamente istituito per vigilare sull'attuazione di questa normativa, risulta che, degli 846 pazienti all'epoca ancora internati (il numero è oggi sceso, secondo gli ultimi dati, a 761), più della metà (425), stando ai programmi di trattamento individuale predisposti, sono giudicati dimissibili e si tratta di una stima che lo stesso Organismo pare considerare ancora piuttosto prudenziale e comunque suscettibile di essere sensibilmente rivista verso il basso in tempi non particolarmente lunghi secondo le stesse motivazioni addotte a sostegno della persistente pericolosità dei non dimissibili. E la dimostrazione che puntare sull'assistenza territoriale non solo è possibile, ma rappresenta anche la scelta più razionale per la gestione della materia, ed al contempo che è bastato un monitoraggio individualizzato delle esigenze dei malati e delle cure esperibili in contesti non detentivi per constatare che il numero di coloro che presentano effettive esigenze di internamento rappresenta meno di un terzo di quello che, solo pochi anni fa, raggiungeva la popolazione degli Opg (nel 2010 gli internati erano circa 1.450). Bene ha fatto dunque il Governo, nonostante le plurime sollecitazioni di segno contrario, a rifiutare l'ennesima proroga ed a ribadire il termine ultimo del 31 marzo 2015 per la chiusura degli Opg. Certamente molti sono i ritardi e le criticità che ancora si registrano a pochi giorni dalla scadenza del termine. Le dimissioni e le prese in carico da parte dei Dipartimenti di Salute Mentale procedono ancora troppo a rilento e soprattutto continuano a ritmo preoccupante i nuovi internamenti (circa uno al giorno), segno che la Magistratura, da cui questi dipendono, complice il coordinamento ancora insufficiente con i servizi sanitari, continua a privilegiare, nonostante le contrarie indicazioni normative, le misure di sicurezza detentive. Le Rems non sono ancora pronte ed in molte regioni non sono state ancora neppure definitivamente individuate le strutture destinate ad ospitarle, ciò che imporrà di adottare soluzioni provvisorie foriere di ulteriori problematiche organizzative e prefigura una preoccupante fase di transizione verso il nuovo regime. Si segnalano infine anche soluzioni gattopardesche, come quella della Regione Lombardia, che ha annunciato di voler trasformare in Rems l'Opg di Castiglione delle Stiviere (dove tuttora risulta attuata perfino la contenzione fisica dei pazienti, da tempo invece abbandonata in altri Istituti), con l'inevitabile timore che l'operazione si traduca in un semplice cambio di etichetta. L'Osservatorio Carcere dell'Unione delle Camere Penale Italiane, che ha attivamente condiviso fin dall'inizio la campagna per il superamento degli Opg e che, nei mesi passati, li ha visitati tutti, segnalandone le criticità e le problematiche, non può che trarne rinnovate motivazioni per aderire all'appello oggi lanciato da ampi settori della cultura e dell'associazionismo affinché, senza colpi di coda e senza indugio, si proceda celermente e congruamente al completamento del percorso di riforma avviato, si acceleri il processo di dimissione dei malati internati e la loro presa in carico da parte dei Dsm, rafforzando il coordinamento fra la Magistratura e le strutture sanitarie affinché si riducano drasticamente i nuovi internamenti, si completino rapidamente le Rems, nel rigoroso rispetto dello spirito della legge, che vuole trattarsi di strutture connotate da esclusive finalità di cura, garantendo al contempo analoghe caratteristiche, per quanto possibile, anche alle strutture destinate ad accogliere gli internati in via transitoria e procedendo al commissariamento (già previsto dalla legge) per sopperire all'inerzia delle regioni inadempienti. L'Osservatorio Carcere ha visitato, lo scorso 16 marzo, l'Opg di Montelupo Fiorentino, dove ha trovato un'assoluta mancanza d'informazione sulla dismissione. A quindici giorni dalla stabilita chiusura, nulla lo lasciava intendere. Nuovi ingressi; attività programmata anche per i mesi successivi; alcuna notizia sulle Rems; si stavano ultimando i lavori di ristrutturazione con i ritocchi ad una complessa opera che aveva finalmente consentito alla struttura - definita vergognosa in passato - di assumere un aspetto quanto meno dignitoso; si stava attendendo il collaudo dell'impianto di aerazione delle stanze, da poco ultimato. Segnali questi che potrebbero fare intendere che la chiusura non è affatto vicina. L'Osservatorio vigilerà e, intanto, ha già programmato, dopo la scadenza del 31 marzo, una campagna di monitoraggio sulle Rems, con visite nelle strutture, secondo la propria consolidata consuetudine riguardante gli Istituti di detenzione. Va espresso infine un doveroso invito al Legislatore, affinché il percorso di riforma sia completato attraverso l'organica revisione della disciplina codicistica dell'imputabilità e delle misure di sicurezza personali, il cui assetto - è fin troppo ovvio - non è più in linea con il sistema delineato. Anche questo, nonostante le immaginabili difficoltà insite nel nuovo percorso parlamentare, appare un imperativo imposto non solo da esigenze di coerenza sistematica, ma anche dalla necessità di dare più coerente impulso all'adozione di prassi giudiziarie conformi allo spirito della riforma. Giustizia: Opg, domani riunione Tavolo di coordinamento per indirizzare fase transitoria Adnkronos, 24 marzo 2015 Non tutte Regioni pronte e ci saranno criticità da affrontare, si lavora per dare linea univoca. Manca una settimana alla scadenza dell'ultima proroga concessa per organizzare il "dopo-Opg" in tutta Italia. Ogni Regione ha fatto il punto. Non tutte sono pronte e si profilano alcune criticità che andranno affrontate. Ci sono realtà in cui le cosiddette Rems (Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria), che dovrebbero entrare in gioco con la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, non ci sono o non saranno subito pronte (per esempio Piemonte e Veneto); Regioni con un piano B da mettere in campo in attesa di riuscire a dar corso all'assetto definitivo; Opg come quello di Castiglione delle Stiviere (Mantova) che ospitano parecchi pazienti da Regioni che hanno già fatto presente la difficoltà a prenderli in carico. E c'è un altro nodo: cosa succederà dall'1 aprile, a Opg chiusi, quando un magistrato di una Regione indietro sui piani deciderà per l'invio di un paziente in Rems? Temi caldi che il Tavolo di coordinamento istituito al ministero della Salute e presieduto dal sottosegretario Vito De Filippo ha intenzione di affrontare durante una riunione prevista mercoledì 25 marzo. Occasione in cui, a quanto si apprende, con un quadro completo del puzzle italiano sotto mano si lavorerà per dare un indirizzo univoco per gestire questa fase transitoria e per affrontare le sbavature emerse in questi giorni. Un esempio delle difficoltà che si dovranno affrontare si può evincere dalla situazione della Lombardia. Questa Regione accoglierà nelle sue Rems i pazienti della Liguria (che, non riuscendo a organizzarsi entro i termini, attiverà una convenzione per inviarle i suoi malati fino al 2016) e della Valle d'Aosta, e sarebbe pronta con un piano provvisorio che prevede la realizzazione all'interno dell'attuale Opg di Castiglione - unica realtà già a completa gestione sanitaria - di tutte e 8 le Rems pianificate per un totale di 160 pazienti. La delibera con cui si definiscono anche le risorse di personale in più da attribuire all'azienda ospedaliera cui fa capo Castiglione è attesa nella prossima seduta di Giunta, mentre i fondi assegnati da Roma per il progetto lombardo - 32 milioni di euro - non sono ancora arrivati. Ma c'è un dato che complica la situazione. La struttura ospita in questo momento circa un centinaio di pazienti in più provenienti da altre Regioni. Da un lato circa 50 donne da tutta Italia e dall'altro in particolare una quarantina di pazienti del Piemonte, Regione che ha già ammesso l'impossibilità a riprenderli in carico nell'immediato. Nel 2014 sono state 110 dimissioni dall'Opg ma ci sono anche nuove ammissioni, mediamente ogni mese 5 nuovi ingressi (a fronte di 9 dimissioni). Nel frattempo sono già stati predisposti gli interventi di ristrutturazione minimi per riconvertire l'Opg nelle 8 Rems provvisorie da 20 posti letto, ma queste potrebbero essere attivate se si raggiunge la quota di 160 malati da ospitare. Nei prossimi mesi dunque si attenderà che gradualmente il numero di pazienti scenda. La Lombardia intanto ha scritto al ministero della Salute, informandolo della situazione e delle problematiche che allungano oggettivamente i tempi per l'avvio della nuova era. Legnini (Csm): chiusura Opg è sfida per il Paese "La chiusura degli Opg (Ospedali psichiatrici giudiziari) è una grande sfida per il ‘sistema Paesè e chiama in causa un nuovo modello di magistratura di sorveglianza, che dovrà comunicare e confrontarsi con molteplici professioni". Lo ha detto il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Giovanni Legnini, in chiusura del convegno "Oltre gli Opg: prospettive e sfide di un incerto futuro prossimo", che si è tenuto nei giorni scorsi a Palazzo d'Accursio a Bologna. L'incontro, organizzato da Area e patrocinato dalla giunta distrettuale dell'Associazione nazionale magistrati, dal Comune di Bologna e dalla Regione Emilia-Romagna, ha riunito tutti i direttori degli Ospedali psichiatrici giudiziari d'Italia, che verranno chiusi entro il 31 marzo, in attuazione della legge 81/2014. "La magistratura - ha proseguito il numero due di Palazzo dei Marescialli - dovrà dare risposte tempestive e impegnarsi a fronteggiare situazioni di difficoltà, evitando il rischio di disarticolarsi "da questo collegamento tra diverse professioni, visto che, salvo casi di conclamata pericolosità sociale dell'individuo, dovrà adottare misure alternative rispetto agli ospedali psichiatrici giudiziari. "Il primo aprile - ha concluso - sarà l'avvio di un nuovo percorso, non la fine. Serve anche una valida formazione per prepararsi a questa sfida, a partire dalla Scuola superiore della magistratura. Sarà l'esperienza a dirci se prevarranno i rischi o i successi". Ucpi: rispettare tempi e modi chiusura Opg C'è assoluta "assenza d'informazione rispetto alla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, prevista per il prossimo 31 marzo". A denunciarlo sono l'Unione camere penali italiane e l'Osservatorio carcere Ucpi, secondo cui "mancano solo otto giorni e molte Regioni non hanno ancora individuato o attrezzato le Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) e non è stata rivalutata la pericolosità sociale degli internati, al fine di determinare la loro futura destinazione". Lo scorso 16 marzo l'Osservatorio carcere dell'Unione camere penali ha visitato l'Opg di Montelupo Fiorentino, dove "nulla faceva intendere - sottolinea una nota - che si era a pochi giorni dalla chiusura. Nuovi ingressi, attività programmate anche per i mesi successivi, lavori di ristrutturazione in via di ultimazione, prossimo collaudo dell'impianto di aerazione delle stanze, da poco completato". "Le recenti dichiarazioni del governo - raccomandano i penalisti - vengano rispettate. Vengano commissariate le Asl inadempienti e punita la responsabilità di coloro che non hanno reso possibile nei tempi programmati, nonostante i numerosi rinvii, l'applicazione concreta della riforma". Stop Opg: continua digiuno protesta, 31 marzo sarà data storica "Il 31 marzo prossimo, quando chiuderanno definitivamente gli Ospedali psichiatrici giudiziari, sarà una scadenza storica". Così Stefano Cecconi responsabile Welfare della Cgil e portavoce di Stop Opg all'Adnkronos, sottolineando che si andrà avanti fino a fine marzo con il digiuno organizzato dal Comitato di cui fa parte e che riunisce diverse sigle (da Antigone a Ristretti Orizzonti, da Cgil al Forum Salute Mentale) perché non ci siano più proroghe al superamento dell'Opg. "Altrimenti, prendiamo in giro gli italiani e gli internati che meritano una condizione migliore di cura", specifica Cecconi. Al posto dei sei Opg (Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Aversa, Napoli e Barcellona Pozzo di Gotto) l'alternativa saranno piccoli ospedali regionali con 20 posti letto, ovvero le Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems). Il rischio, secondo Cecconi, è che le Rems si trasformino in mini-Opg che puntino più alla detenzione che alla cura. "Meno persone stanno nelle Rems, più ci avviciniamo alla riforma Basaglia. Al contrario sarebbe solo un ritorno della logica manicomiale". Le Regioni dovrebbero rispondere anche con strutture alternative come comunità o ambulatori territoriali che possano accogliere i circa 476 internati dichiarati dimissibili. Ma nella corsa frenetica per mettersi in regola, la situazione in questa fase transitoria non è facile. Alcune Regioni, come "Veneto e Piemonte e alcune regioni del Centrosud" non sono pronte per l'accoglienza degli internati con strutture adeguate, afferma il sindacalista. Che sostiene: "Il governo in questi casi deve provvedere e commissariare così come previsto dalla legge". E aggiunge: "È assurdo che non ci sia una risposta per poche centinaia di persone che hanno diritto ad essere curate e non maltrattate come accade all'interno degli Opg, perché non sono mai stati luoghi adatti alla cura". Assurdo, secondo Cecconi, che secondo dati recenti è emerso "un dato clamoroso, ovvero che su 826 internati 476 potevano essere dimessi. Se sono stati invece là dentro per anni è perché non è stata resa obbligatoria la presentazione di progetti di cura individuali: un diritto di tutti i cittadini". Le risorse messe a disposizione per il superamento degli Opg non sono poche. "55 milioni all'anno che vanno alle Regioni solo per l'assunzione di personale e 180 milioni per la ristrutturazione di strutture", ricorda il portavoce del Comitato Stop Opg. Soldi che piuttosto che essere investiti in mini-Opg ("la risposta manicomiale", dice) potrebbero essere impiegati in strutture sociali e sanitarie utili per gli internati, per il loro reinserimento lavorativo, ma anche per tutti i cittadini". "C'è sicuramente un dovere di sicurezza e responsabilità che vanno mantenute", sottolinea Cecconi riguardo al superamento degli attuali Opg. Ma serve un sistema diverso "che metta in equilibrio la responsabilità delle persone che commettono il reato, il dovere di espiare una pena con il diritto alla salute e alla cura". Giustizia: Alternativa Libera-Radicali "difficile chiusura Opg a aprile, Rems non pronte" Public Policy, 24 marzo 2015 "Appare non veritiera la notizia, che i media stanno diffondendo, circa la prossima chiusura degli Opg. Le strutture che dal 1° aprile dovrebbero sostituirli, le Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria (Rems) non sono ancora pronte e resta un quadro piuttosto fumoso rispetto alle modalità con cui le Regioni intendano procedere". Lo spiegano i deputati Eleonora Bechis e Tancredi Turco (Alternativa Libera, ex M5s) che oggi hanno tenuto una conferenza stampa a Montecitorio insieme ad ex deputati e militanti dei Radicali (era presente il segretario Rita Bernardini) in merito agli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). "Serve una soluzione rapida e definitiva. Negli ultimi anni a fronte dell'emanazione di decreti e leggi, e dopo aver proceduto di proroga in proroga, gli Opg restano ancora operativi. Ed anche la data del 31 marzo non potrà vedere, come pure prescritto, il loro superamento. Si profila - aggiungono i deputati - la possibilità che, in attesa delle Rems che alcune Regioni addirittura non hanno ancora previsto, si trasferiscano temporaneamente gli internati in strutture private accreditate". Secondo i dati forniti durante la conferenza stampa, sono 732 gli internati negli Opg (656 uomini e 76 donne) e 67 i detenuti (tutti uomini). Il più popolato è quello di Castiglione delle Stiviere (Mantova) con 161 uomini e 66 donne. Giustizia: Ospedali Psichiatrici Giudiziari… il confine tra malati e detenuti di Diletta Della Rocca www.laveracronaca.com, 24 marzo 2015 "I matti sono punti di domanda senza frase, migliaia di astronavi che non tornano alla base. Sono dei pupazzi stesi ad asciugare al sole, i matti sono apostoli di un Dio che non li vuole". "Ti regalerò una rosa" è la canzone scritta da Simone Cristicchi, vincitrice del Festival di Sanremo nel 2007, che affronta il tema dei malati mentali e della loro solitudine. Ci serviamo di queste parole per fare un viaggio virtuale nella burocrazia del sistema penitenziario italiano e parlare, per quel che si può, del delicato tema che riguarda gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. L' articolo 32 della Costituzione Italiana è chiaro "La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana". Cosa sono gli Ospedali Psichiatrici giudiziari (leggi: Ospedali psichiatrici giudiziari: storia dei nuovi manicomi)? Gli Opg a seguito della riforma penitenziaria (legge 25 luglio 1975 n° 354) hanno rimpiazzato i "manicomi giudiziari" e da aprile 2015 saranno sostituiti della Rems, strutture residenziali sanitarie gestite dalla sanità territoriale in collaborazione con il Ministero della Giustizia. Queste residenze, serviranno a garantire l'esecuzione della misura di sicurezza, meglio conosciuta come detenzione, unita a veri e propri percorsi di recupero e terapeutici per i soggetti a cui è applicata la misura alternativa al ricovero in Opg o nelle case di cura. Il problema però è che proprio queste strutture non sarebbero in grado di accogliere i più dei 700 internati negli Opg. Gli Opg in Italia In Italia, sono sei gli ospedali giudiziari: Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa, Napoli, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere, che dal 1 aprile 2015 dopo anni di rinvii, come fissato dalla legge 81/2014 dovranno essere chiusi. In queste strutture sono 1400 i malati ospitati di cui 446 dichiarati dimissibili e 160 realmente passati a carico delle rispettive Asl. Queste strutture dovevano essere chiuse già nel lontano 2008, quando un decreto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri prevedeva il cosiddetto piano di superamento degli opg. In parole povere, un trasferimento della sanità penitenziaria dal ministro della Giustizia a quello della salute, aumentando e potenziando i percorsi alternativi, riabilitativi e di salute per i pazienti malati, ma così non è stato. Tante le inchieste che ne sono venute fuori. In particolare dal 2010 quando la commissione parlamentare d'inchiesta presieduta dall'attuale Sindaco di Roma Ignazio Marino, entrò per la prima volta in questi manicomi. Condizioni simili a quelle delle carceri italiane: stanze con quattro internati invece di due, letti sporchi, bagni impossibili da usare e pessime condizioni igieniche dei detenuti. Chiusura degli Opg e le nuove strutture: le Rems Il 30 marzo 2013, dovevano essere definitivamente chiusi, ma qualcosa non è andato nel verso giusto e il governo ha pensato bene di posticipare di un anno il provvedimento di chiusura. La Conferenza Stato Regioni, tenutasi nel mese di gennaio 2014 aveva approvato un emendamento che proponeva un'ulteriore proroga della chiusura fino ad aprile 2017, prevedendo le criticità per ogni regione di fornire strumenti adeguati per accogliere questi malati, ma è stata rigettata dal governo. Le Rems, finanziate con 172 milioni da tutte le Regioni, non hanno celle al loro interno, ecco perché tanti dubbi dai sindaci di molti Comuni che non hanno accettato la costruzione di queste strutture. Molti Opg ospitano detenuti che non sono solo malati mentali, ma persone che hanno commesso anche crimini e perciò devono scontare lì la loro pena. Il più delle volte questi internati dovrebbero essere riaccolti dalla famiglie che invece non li vogliono e quindi restano nella struttura che li accoglie. Ma quale sarà il destino dei malati ritenuti idonei per uscire dall'internato? Il destino degli attuali detenuti negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari Molti di loro saranno rifiutati dalle famiglie e mandati nelle comunità dove gli verrà dato un tetto e un lavoro; altri torneranno presso le proprie case, con non pochi problemi di reinserimento nella vita quotidiana e ovviamente non verrà data loro la possibilità di avere un lavoro né essere reintegrati. È difficile per un ex carcerato figuriamoci per un malato di mente, un escluso, che difficilmente verrà riammesso in società. Forse quello che manca è una cultura su chi siano realmente gli internati e su come vengono trattati, abbandonando le reticenze e cercando di debellare l'ignoranza e la malvagità che oggi purtroppo, esistono ancora. Liguria: chiusura degli Opg, la Regione costretta a inviare i malati alle Rems lombarde di Damiano Aliprandi Il Garantista, 24 marzo 2015 Metà delle regioni italiani a rischio commissariamento per la mancata chiusura degli Opg entro il termine stabilito dalla legge. Oramai è questione di giorni e secondo la legge gli ospedali psichiatrici giudiziari dovranno chiudere a fine mese. Dall'Ansa si apprende che sono solo 10 le Regioni pronte a far fronte alla chiusura degli Opg entro il termine del 31 marzo, avendo individuato le strutture alternative (le Rems, strutture residenziali sanitarie gestite dalla Sanità territoriale in collaborazione con il ministero della Giustizia) che saranno operative dal primo aprile. Il resto delle regioni saranno pronte però in autunno, quindi non rispetteranno la scadenza prevista dalla legge. Tra le regioni che rispetteranno i tempi c'è il caso della Liguria, la quale ha dovuto sborsare i soldi alla Lombardia perché non è riuscita ad organizzarsi. Il caso è stato sollevato da Massimo Cozza, segretario nazionale Fp Cgil Medici (e psichiatra), con un tweet: "I pazienti liguri in Opg, con la chiusura, andranno nelle Rems in un ex Opg lombardo". La Lombardia ha inserito lo schema dell'intesa in una delibera varata il 16 marzo, in cui si spiega che "gli uffici della Regione Liguria hanno valutato che la realizzazione in loco di una struttura sanitaria extra ospedaliera per il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari con i requisiti previsti dal Decreto del ministero della Salute del 1 ottobre 2012 sarebbe difficilmente sostenibile sotto il profilo organizzativo ed economico entro i tempi previsti dalla normativa". Da qui la decisione di mandare i pazienti nelle Rems della Lombardia che in attesa dei fondi promessi dallo Stato, ha optato per la soluzione provvisoria di realizzare tutte e 8 le strutture pianificate dentro l'Opg di Castiglione delle Stiviere (Mantova). La convenzione, valida fino a fine 2016, prevede che la Lombardia accolga un massimo di 10 pazienti liguri "ricevendo il rimborso dei costi". È previsto innanzitutto "un rimborso spese su base giornaliera pro-capite pari alla tariffa massima complessiva sostenuta attualmente dalla Regione Lombardia per i singoli casi complessi, e comunque non inferiore a 300 euro". Oltre a queste cifre da erogare direttamente in base alle giornate di presenza, a carico della Liguria "restano eventuali costi straordinari". E "In ogni caso - prevede ancora l'intesa - la Liguria riconoscerà alla Lombardia un rimborso spese minimo su base annua, indipendentemente dalle presenze registrate, corrispondente al 50% del rimborso spese complessivo per la saturazione dei posti" Ovvero ben 547.500 euro. Stefano Cecconi (Cgil) del Comitato Stop Opg fa notare all'Adnkronos Salute che "alcune Regioni sono pronte, anche con funzioni provvisorie, altre no. Chi non riesce a prendersi i suoi pazienti dovrà essere commissariato". Un rischio già paventato dalla presidente della Commissione Sanità del Senato, Emilia Grazia De Biasi. "La Liguria - commenta sempre Cecconi all' Adnkronos - dimostra di non aver mai affrontato seriamente la questione Opg. Non si è organizzata con le Rems pur avendo pochi pazienti e spero recuperi un ritardo che le non fa onore". Come altre amministrazioni, precisa, "è arrivata impreparata a una scadenza nota da tempo". Cecconi poi chiosa: "Certo che è incredibile essere arrivati all'appuntamento del 31 marzo in queste condizioni. Opzioni come quella ligure non sono buone, ma concedere un'ulteriore proroga sarebbe peggio". Infine auspica: "Speriamo che si chiuda in fretta la partita provvisoria e ogni Regione garantisca assistenza ai suoi pazienti. Si dovrà affrontare - conclude - il problema di costruire risposte di qualità, evitando anche che rinascano realtà manicomiali sotto mentite spoglie". Nel frattempo c'è chi si prepara a festeggiare la chiusura degli Opg con un concerto. Venerdì prossimo, alle ore 17.30, è in programma all'Opg di Aversa il Precetto pasquale officiato dal vescovo Angelo Spinillo e a seguire un concerto per ‘salutarè in musica la chiusura della struttura. La manifestazione ha ottenuto il patrocinio dell'amministrazione comunale di Aversa guidata dal sindaco Giuseppe Sagliocco con l'approvazione della delibera in giunta su proposta del vicesindaco. L'organizzazione del concerto è affidata all'associazione Casmu di Mario Guida. Da sempre, l'amministrazione Comunale di Aversa, si è dimostrata vicina agli internati dell'Opg Filippo Saporito. Alcuni internati negli ultimi mesi, grazie ad un protocollo siglato tra il Comune e la struttura giudiziaria, sono stati impiegati in lavori di pubblica utilità. Gli internati hanno tinteggiato le pareti delle sale dell'ex macello e della stazione dei Carabinieri di Aversa. "Con l'utilizzo di internati in lavori di pubblica utilità - ha detto il sindaco Sagliocco - abbiamo dato vita una cultura di accettazione reciproca nella quale gli interessi dei singoli e della collettività possano coesistere non solo in maniera armonica, ma diano la possibilità di una soluzione positiva ed innovativa condivisa al bisogno di giustizia espresso dalla collettività e a quella di ‘riscattò espresso dal singolo, nell'ottica della cosiddetta giustizia riparativa". Ma che la chiusura degli Opg non sarebbe stata rispettata da tutte le regioni nei tempi previsti, noi de Il Garantista l'avevamo già anticipato. La legge scaturita dall'ennesima proroga è in realtà molto debole ed è stata inevasa dalla metà delle nostre regioni non perché incrementa la massima applicazione di misure di sicurezza non detentive con inclusione sociale e territoriale dei percorsi di cura, ma semplicemente perché si riduce ad un problema di edilizia pubblica e privata. E ci vogliono tanti soldi che non tutte le Regioni non sono riuscite a reperire: il costo stimato per un Rems è di 6 milioni di euro (per la sola costruzione) con una capienza di 40 posti letto rispetto al centinaio abbondante degli attuali. I tempi di progettazione e appaltabilità sono fissati in 18 mesi e quelli di realizzazione sono definiti in 24 mesi. Ancora una volta l'alternativa non è quella di un percorso sociale, ma di edilizia carceraria - le Rems saranno sempre considerati istituti carcerari e il personale sanitario, come gli Opg che dovrebbero essere superati, rischia di essere adibito a ruolo di "secondino" - e penale. La questione penale riguardante i manicomi criminali è interessante, e andrebbe conosciuta per comprendere il suo necessario superamento. I manicomi giudiziari affondano le loro radici nell'800 e sono sorti per due ragioni: "accogliere" i detenuti folli e per accogliere anche, a differenza dei folli "normali", gli autori di reati poi prosciolti per vizio totale di mente. Per quest'ultimi l'allora codice Zanardelli non prevedeva alcuna conseguenza penale, ma il solo ricovero in un ospedale psichiatrico civile. Poi correvano gli anni 20, quelli del regime fascista che chiedeva "ordine e disciplina": non potendo accettare l'idea che i "pericolosi" potessero recar danno alle persone "perbene", occorreva essere più autoritari a cominciare dai nuovi codici. Alfredo Rocco, l'allora Guardasigilli fascista, esortava i tecnici del diritto a "svincolarsi dai "limiti garantistici della pena"(il garantismo è stato sempre inviso dalla cultura fascista, ma molti a sinistra se lo dimenticano) e introdusse il concetto del "doppio binario" nei confronti dei folli: ovvero affiancare alla pena, fondata sulla colpevolezza, un'ulteriore sanzione chiamata "misura di sicurezza". Il legislatore, in definitiva, chiede al giudice di stabilire quanto sia probabile che il soggetto compia nuovi reati in futuro: il concetto del "doppio binario" del Codice fascista Rocco, se non viene abolito, è un rubinetto che alimenteranno le nuove strutture sanitarie che sostituiranno gli Opg. Ma sono davvero alternativi queste Rems? Se di facciata i nuovi edifici dovrebbero essere più simili a cliniche terapeutiche di educazione e riabilitazione degli internati, nella realtà queste strutture saranno istituzionali esattamente come le precedenti e l'unica cosa che cambierà sarà il passaggio della gestione dallo Stato alla Regione. Non a caso queste strutture sono stare ribattezzate come "micro Opg". Lazio: Argentin (Pd); da Regione grande impegno, penderà in carico 100 pazienti ex Opg Il Giornale di Rieti, 24 marzo 2015 "La Regione Lazio, grazie al suo presidente e commissario ad acta Nicola Zingaretti, ha dimostrato anche in questa annosa vicenda della chiusura degli Opg efficacia nell'azione di governo e sensibilità nei confronti degli ultimi". Così Ileana Argentin, deputata del Pd, in merito alla scadenza del 31 marzo fissata per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. "Il Lazio prenderà in carico circa 100 pazienti cittadini del Lazio - spiega - e le Rems (Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza) provvisorie saranno a Palombara Sabina e Pontecorvo, mentre quelle definitive a Subiaco e a Ceccano. Le donne avranno, invece, un reparto dedicato a Rieti. Oltre ad aver avviato da tempo le procedure per reperire il personale necessario, poi, è stato approvato anche un decreto per il potenziamento dei servizi dei Dsm (Dipartimenti salute mentale) per oltre un milione di euro". Questa, secondo la deputata democratica, "è una battaglia di civiltà che non può essere persa: sono certa che il processo che inizierà a partire dal prossimo primo aprile si svolgerà senza intoppi e senza sorprese nel rispetto di tutti i cittadini del Lazio. È necessario chiudere definitivamente con un passato pieno di ombre - conclude Argentin - e guardare senza timori a un futuro più luminoso per tutti. Nessuno escluso". Piemonte: a Biella gli ex detenuti psichiatrici, sede provvisoria dopo chiusura degli Opg di Stefano Zavagli La Stampa, 24 marzo 2015 Villa Sella, arroccata sulle colline di Bioglio, non è pronta. Sarebbe dovuta diventare operativa dal 31 marzo, data indicata dalla Camera per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e l'entrata in funzione delle "Rems", le tanto discusse strutture residenziali sanitarie per l'esecuzione delle misure di sicurezza detentive. Il ritardo accumulato obbligherà in tempi stretti la Regione a cercare soluzioni provvisorie. E tra le ipotesi sul tavolo dell'assessore alla sanità Antonio Saitta c'è anche quella di riconvertire (in via temporanea) un'ala del vecchio ospedale "Degli Infermi" in Opg, per ospitare una parte o tutti i 43 pazienti psichiatrici piemontesi attualmente internati nelle strutture di Castiglione delle Stiviere, Reggio Emilia e Montelupo Fiorentino. Ad annunciare l'ipotesi è lo stesso Saitta: "Stiamo lavorando su diverse idee - spiega l'assessore -: non è esclusa una collocazione provvisoria nel vecchio ospedale di Biella, all'interno della palazzina, nel reparto che fu di Psichiatria. Se non si trovano sistemazioni per i pazienti, rischiamo oltretutto di perdere i finanziamenti". Il mancato rispetto dei tempi da parte delle Regioni comporta il commissariamento. Ma Saitta non vuole neanche sentirne parlare: "In Piemonte non c'è bisogno di un commissario, ci pensiamo noi". Campania: l'Opg di Aversa diverrà un Istituto di reclusione per detenuti non pericolosi Ansa, 24 marzo 2015 Da Opg più antico d'Italia, che ha ospitato nel tempo tra i più pericolosi criminali comuni, come il salernitano Lino Renzi, accusato di aver ucciso e mangiato la madre, o il "mostro di Posillipo" Andrea Maria Rea, tra i veterani essendo internato dal 1984 - colpevole dell'omicidio di due donne, una delle quali uccisa con 18 coltellate e poi fatta a pezzi prima di essere rinchiusa in una valigia, l'altra mai trovata - a "Istituto di reclusione" per condannati non particolarmente pericolosi. È la trasformazione che probabilmente subirà l'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa (Caserta) dopo il 31 marzo prossimo. "Ho già presentato al Ministero di Grazia e Giustizia un progetto di riconversione dell'Opg in istituto per 150-200 detenuti a basso indice di pericolosità" conferma il Provveditore regionale campano dell'Amministrazione Penitenziaria Tommaso Contestabile. Il direttore dell'Opg Elisabetta Palmieri spiega che "il nuovo istituto dovrebbe ospitare soprattutto condannati con pena definitiva ma non ergastolani, mentre una piccola parte dovrebbero essere detenuti in attesa di giudizio inviatici dal Tribunale di Napoli Nord (ha sede a poche centinaia di metri dall'Opg, ndr) che oggi finiscono solitamente nella case circondariali Santa Maria Capua Vetere e Napoli". E per i detenuti che arriveranno è pronto il progetto "Habitat sociale" già finanziato con fondi della sanità penitenziaria e dal Dipartimento di Sanità Mentale dell'Asl di Caserta (direttore Luigi Carrizzone, ndr). "Le celle - spiega il sociologo dell'Opg Massimo Ferrillo - non saranno come quelle delle normali carceri, spesso alienanti per i detenuti; i colori delle pareti saranno diversi e vivaci, ci sarà spazio per posizionare delle piantine, il letto sarà anche un divano. Sedici detenuti inoltre si costruiranno i mobili. Faremo in modo di migliorare l'ambiente carcerario" conclude. Nella riconversione alcune decine di operatori sanitari non assunti a tempo indeterminati dei 130 ora in servizio potrebbero perdere il lavoro, mentre resteranno ad Aversa i 79 poliziotti penitenziari e i 32 addetti amministrativi. Commissione Sanità del Senato in visita all'Istituto "Non ci saranno proroghe al superamento degli Opg. Ribadisco che dovranno essere le realtà territoriali a farsi carico degli internati ma ad ora, se si eccettuano alcune regioni come la Campania che hanno risposto molto positivamente, la situazione non è delle migliori. Penso a Regioni come il Veneto che non si sono ancora attivate nel reperire strutture nonostante il dettato normativo e le nostre sollecitazioni". È quanto ha dichiarato il senatore Lucio Romano, in visita questa mattina all'Opg di Aversa (Caserta) insieme ai colleghi della Commissione Igiene e Sanità del Senato Nerina Dirindin e Maurizio Romani. Dopo il sopralluogo della struttura avvenuto in mattinata sono iniziate, e andranno avanti fino al primo pomeriggio, le audizioni del Provveditore regionale dell'Amministrazione Penitenziaria Tommaso Contestabile, del direttore generale dell'Asl di Caserta Gaetano Danzi, del magistrato di sorveglianza Antonio Di Matteo e del direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell'Asl Napoli 1 Fedele Maurano. La "deadline" indicata dalla legge per chiudere definitivamente l'esperienza Opg è il 31 marzo prossimo; nella struttura aversana, la più antica d'Italia in funzione dal 1876, sono 104 gli internati, 38 dei quali campani, 52 laziali e il resto provenienti da Molise e Abruzzo. La legge prevede che ogni Regione si prenda in carico i detenuti del proprio territorio attraverso un sistema che coinvolge i dipartimenti di salute mentale delle Asl e il Ministero della Giustizia: da un lato sono previste le cosiddette Rems, ovvero Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, che non saranno piccoli Opg, assicura il senatore Romano. Nelle Rems saranno accolti i detenuti "meno pericolosi" e quelli per cui il periodo di detenzione sta per terminare. Il problema è che in Campania come nel resto dell'Italia non sono ancora pronte; a Calvi Risorta, nel Casertano, la Rems sarà attiva dal primo settembre prossimo, ad Avellino dal 30 maggio. Così nel frattempo gli internati finiranno nelle Sir (Strutture Intermedie di Residenza). In particolare dei 38 internati campani di Aversa, 20 andranno a Statigliano, nel comune casertano di Roccaromana, 8 a Mondragone e 10 ad Avellino. Gli internati molisani e abruzzesi (13) resteranno ancora per qualche tempo ad Aversa in attesa che tali Regioni si dotino di strutture d'accoglienza provvisorie. L'altro pilastro del sistema sono le "Articolazioni per il superamento degli Opg" create presso ogni carcere dove verranno trasferiti gli internati più pericolosi. "Tali articolazioni - spiega Contestabile - sono già pronte nelle carceri di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), Salerno, Benevento, Sant'Angelo dei Lombardi (Avellino) mentre a Secondigliano (Napoli) sarà operativa da venerdì 27 marzo". All'Opg di Napoli sono 87 gli internati: "Oltre la metà - afferma Contestabile - sono in particolare siciliani e di altre regioni, e torneranno nei luoghi di provenienza, per quelli napoletani provvederemo a giorni in strutture intermedie". Nei due Opg di Aversa e Napoli, su un totale di 190 internati, appena una novantina sono campani. "La Campania è stata tra le regioni più pronte a rispondere al dettato della legge" afferma Lucio Romano. Campobasso: morte detenuto, il Sappe difende il poliziotto che ha prestato soccorso www.primonumero.it, 24 marzo 2015 Dopo le polemiche su presunti ritardi nei soccorsi al 36enne deceduto nel penitenziario di via Cavour, interviene il Sappe: "Nulla da nascondere". A seguito della morte di un detenuto italiano di 36 anni venerdì nel carcere di Campobasso, a seguito di un probabile infarto, vi è stato chi ha parlato di omissione di soccorso da parte del Personale di Polizia Penitenziaria. Tesi, questa, contestata da Luigi Frangione, coordinatore regionale del Molise del Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. "Il poliziotto penitenziario di servizio è prontamente intervenuto, una volta resosi conto del malore del detenuto, ed ha immediatamente sollecitato l'intervento dei sanitari e del 118, che nonostante i tentativi di rianimazione non hanno potuto far altro che constatare il decesso del giovane. Parlare di omissione di soccorso, dunque, mi sembra ingeneroso, ancorché rispondente non vero". Aggiunge, da Roma, Donato Capece, segretario generale del Sappe: "La Polizia penitenziaria, a Campobasso come in ogni altro carcere italiano, non ha nulla da nascondere. L'impegno del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, è sempre stato ed è quello di rendere il carcere una "casa di vetro", cioè un luogo trasparente dove la società civile può e deve vederci "chiaro", perché nulla abbiamo da nascondere ed anzi questo permetterà di far apprezzare il prezioso e fondamentale - ma ancora sconosciuto - lavoro svolto quotidianamente dalle donne e dagli uomini della Polizia Penitenziaria". E mette in evidenza "la professionalità, la competenza e l'umanità che ogni giorno contraddistingue l'operato delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria con tutti i detenuti per garantire una carcerazione umana ed attenta pur in presenza ormai da anni di oggettive difficoltà operative, le gravi carenze di organico di poliziotti, le strutture spesso inadeguate. Attenti e sensibili, noi poliziotti penitenziari, alle difficoltà di tutti i detenuti, indipendentemente dalle condizioni sociali o dalla gravità del reato commesso". "Nel carcere di Campobasso", conclude il Sappe, "nei dodici mesi del 2014 ci sono stati 4 tentati suicidi di detenuti sventati in tempo dalla Polizia Penitenziaria, 10 episodi di autolesionismo, 4 ferimenti e 5 colluttazioni". Sassari: "rivolta" per l'acqua imbevibile; rifiuto di rientrare in cella, 25 detenuti indagati di Nadia Cossu La Nuova Sardegna, 24 marzo 2015 "Chi non ha i soldi per comprare l'acqua è costretto a bere quella del rubinetto, gialla e oleosa". Qualcun altro "fa esami clinici perché sta male ma a volte non riceve l'esito". L'avvocato di un detenuto di Bancali ha raccolto lo sfogo del suo assistito. Si tratta di uno dei 25 indagati tra i carcerati della settima sezione del nuovo istituto penitenziario di Bancali. Sembrerebbe un paradosso: i detenuti denunciano un malessere e finiscono sotto inchiesta. In realtà a Bancali la scorsa estate è successo qualcosa in più: i reclusi sono stati protagonisti di una sorta di "rivolta" all'interno del carcere che ha costretto tutto il personale di polizia penitenziaria in servizio quel giorno a dirottare turni e coperture di sezioni per ripristinare l'ordine e la sicurezza. E la Procura di Sassari alcuni giorni fa ha notificato l'avviso di chiusura delle indagini: l'ipotesi di reato per i 25 carcerati è interruzione di pubblico servizio. La vicenda risale al 30 luglio del 2014 ma i malumori tra i detenuti sono andati avanti anche negli ultimi mesi a causa di una situazione di "vita carceraria" che a loro dire non rispetterebbe sacrosanti diritti, come quello alla salute tanto per citarne uno. E la scorsa estate queste rimostranze si erano trasformate in fatti: in venticinque si erano rifiutati di rientrare nelle celle "cagionando - scrive il pm nel 415 bis - una interruzione di pubblico servizio". La protesta - come scrissero nei verbali di servizio gli agenti di polizia penitenziaria - era nata su iniziativa di sette detenuti che si erano "schierati a muro" davanti al cancello di ingresso della sezione "costringendo a intervenire tutto il personale in servizio nel turno serale, distogliendolo così dagli altri compiti e fermando in questo modo le altre attività". I carcerati, in particolare quelli coinvolti nell'episodio specifico, chiedevano come "contropartita" il rientro in cella di due detenuti che erano stati trasferiti nella terza sezione a regime chiuso, in isolamento per motivi precauzionali. Ma la verità è un'altra. Dietro quella mobilitazione c'era la voglia di denunciare un clima pesante. Tensioni che erano sfociate - proprio il giorno prima della protesta plateale - in una petizione scritta indirizzata tra gli altri al direttore di Bancali nella quale venivano elencati disservizi, disagi, diritti non garantiti. Una specie di ultimatum nel quale era scritto chiaramente che qualora le richieste fossero state disattese si sarebbero creati disordini nella sezione. Tra le denunce dei detenuti "l'assenza e l'indisponibilità da parte degli educatori in sezione", la "mancanza di riscontri sanitari o informazioni circa l'esito degli esami clinici interni ed esterni" e ancora l'impossibilità di "occupare il suolo del "cortile passeggi" con tappetini per fare attività fisica. Chiedevano, poi, il rispetto del diritto "di effettuare il passeggio nel corridoio della sezione". Lamentavano "l'assenza del lavoro e la riduzione dei fondi e delle mercedi" e reclamavano la "possibilità di effettuare due volte alla settimana la spesa". Rimostranze alle quali gli agenti hanno tentato di dare una spiegazione legittima. Che evidentemente, però, non ha convinto i 25 detenuti finiti sotto indagine e oggi tutelati dagli avvocati Antonio Secci, Luigi Esposito, Marco Manca, Paola Milia, Pietro Diaz e Paolo Spano. Viterbo: l'Asl adotta la Carta dei servizi per i detenuti del carcere di Mammagialla www.tusciaweb.eu, 24 marzo 2015 Garantire, ai detenuti ristretti nel carcere "Mammagialla" di Viterbo, le principali prestazioni di prevenzione, diagnosi e cura sulla base degli obiettivi generali di tutela della salute e dei livelli di assistenza stabiliti dalla Regione Lazio. Sono questi gli obiettivi della Carta dei servizi sanitari per i ristretti di Casal del Marmo approvata, con propria delibera, dalla direzione generale della Asl di Viterbo. "L'adozione della Carta dei Servizi anche da parte della Asl di Viterbo - ha commentato il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - è un segnale importante. Grazie alla Carta ormai nel Lazio i detenuti di 8 carceri su 14 hanno visto statuiti i propri diritti in ambito sanitario e il Lazio è fra le prime regioni nella tutela del diritto alla salute dei detenuti. Un premio anche all'attività che il nostro Ufficio ha condotto, in questi anni. sul tema della salute in carcere. La Carta dei servizi è l'ultima delle nostre proposte e la sua efficacia è stata certificata anche dal Ministero della Giustizia che l'ha indicata quale Best Practice da replicare su tutto il territorio nazionale. Una dimostrazione concreta di sensibilità che sta facendo la differenza". Nella Carta sono riepilogate le principali prestazioni mediche cui hanno diritto i detenuti reclusi al "Mammagialla" di Viterbo, oltre alle modalità e alla tempistica per la loro fruizione. È, altresì, previsto, che la Carta possa essere modificata sulla base delle indicazioni del Tavolo tecnico congiunto costituito tra Asl, carcere e Garante dei detenuti. Il documento adottato dalla Asl ribadisce, in sostanza, il dettato dell'art. 1 del D.Lgs. 230/1999 e della Costituzione: "detenuti ed internati hanno diritto al pari dei cittadini in stato di libertà all'erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione efficaci ed appropriate sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali di assistenza". Le Carte già adottate coinvolgono la metà delle carceri della Regione, 8 su 14 e l'Ipm di Casal del Marmo: oltre alle due di Civitavecchia, ci sono quelle per Regina Coeli e per le 4 strutture del complesso polipenitenziario di Rebibbia e Viterbo. Nelle altre realtà (Rieti, Frosinone e Velletri), sono in fase di realizzazione i lavori dei Tavoli tecnici propedeutici all'adozione del documento. A Latina, il tavolo tecnico ha approvata la Carta che dovrà essere adottata dalla direzione generale. "A Viterbo l'implementazione della Carta - ha concluso il Garante - porterà ad una stretta correlazione tra carcere e territorio in una realtà dove ha anche sede una struttura sanitaria protetta per detenuti, all'interno dell'Ospedale Belcolle. Tutto ciò, siamo sicuri, aumenterà l'efficienza e l'efficacia dei servizi sanitari, garantendo il diritto alla salute anche ai cittadini privati della libertà personale". "L'adozione della Carta dei servizi per i detenuti - ha commentato il commissario straordinario della Asl di Viterbo, Luigi Macchitella - rappresenta il primo importante passo verso un accordo quadro tra il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria e la sanità penitenziaria nelle Asl del Lazio, in conformità alle indicazioni dell'Amministrazione regionale di centralizzazione dei servizi, al fine di ottimizzare le cure rivolte alla popolazione detenuta, nel rispetto del diritto alla salute e della dignità della persona". Secondo Teresa Mascolo, direttore del carcere di Viterbo "condivisione e collaborazione premiano sempre: ne è la riprova la Carta dei servizi per le persone detenute della Casa Circondariale di Viterbo, frutto di una serie di incontri che hanno coinvolto per lungo tempo - al tavolo tecnico congiunto - differenti interlocutori istituzionali (Asl, Ufficio del Garante dei detenuti e Direzione Casa Circondariale), ognuno con il proprio apporto di conoscenze e di esperienze. La Carta dei Servizi rappresenta un traguardo, ma anche un punto di partenza per rendere effettiva la cura delle persone ristrette; rappresenta, altresì, uno strumento che consente - in un'ottica sistemica - di tutelare la vita, nonché di garantire il diritto alla salute delle persone detenute. La vita e la salute di ogni uomo sono beni preziosi, la cui tutela merita tante più attenzione ed impegno quando si tratta, appunto, di persone affidate alla sorveglianza ed alla cura di altri". Foggia: il personale civile del carcere in agitazione "gravi carenze e compiti non nostri" Corriere del Mezzogiorno, 24 marzo 2015 Una nota del sindacato Cosp al Dipartimento delle strutture penitenziarie sui disagi. "Troppi detenuti e con poco personale che deve svolgere anche compiti inadeguati". Stato di agitazione del personale civile del comparto Ministeri aderenti al Cosp, il Coordinamento sindacato penitenziario in servizio al carcere di Foggia. Lo ha annunciato il segretario nazionale del Cosp, Domenico Mastrulli, che lamenta le gravi carenze all'interno della struttura penitenziaria foggiana con "troppi detenuti ma con poco personale che deve svolgere anche compiti inadeguati". In una nota Mastrulli denuncia "l'affidamento di compiti non di competenza del Comparto Ministeri ma di ditte esterne specializzate quale il servizio postale esterno, il ritiro e trasporti pacchi da e per la popolazione detenuta ristretta di quasi 550 utenti, il prelievo e pagamento oltre al trasporto dei medicinali, la carenza di unità nel settore Area Pedagogica Educativa con sole tre specialiste del settore a fronte di cinquecento cinquanta detenuti". La Rappresentanza di Base e Regionale del COSP della sede foggiana ha inviato al capo del Dipartimento un richiesta affinché "chiarisca la posizione lavorativa degli operatori del Comparto Ministeri ed i relativi compiti oltre a fornire supporto all'Area Pedagogica Educativa inviando pari tempo unità di rinforzo". Lamezia Terme: il Comitato "riapriamo il carcere", organizza raccolta firme il 29 marzo www.lametino.it, 24 marzo 2015 Il "Comitato Riapriamo il carcere di Lamezia Terme" invita nuovamente la cittadinanza a sollecitare a gran voce la riapertura del nostro Istituto penitenziario - annunciano in una nota. Infatti, per non vanificare le iniziative già brillantemente intraprese, il Comitato ha richiesto e ottenuto, per la data del 31 marzo 2015, alle 10, un Consiglio Comunale aperto mirato alla riapertura della Casa Circondariale. L'invito à stato esteso a tutta la popolazione ed in particolare alla politica locale Provinciale e Regionale - ed a tutti gli organi istituzionali, lo scopo è quello di ottenere una delibera unanime per il ripristino dell'istituto, e tutelare il nostro territorio dai continui soprusi, dalle ruberie e dalle aggressioni selvagge che da anni minacciano lo sviluppo economico e politico della città. Vedi Ospedale, vedi stazione ferroviaria, reparto di pediatria, e di conseguenza quanto prima il Tribunale. Un forte appello lo rivolgiamo principalmente al Governo Renzi invitandolo a ripristinare la riapertura dell'Istituto - non si può permettere di togliere ai cittadini un esempio di efficiente servizio penitenziario che da secoli garantisce una sicurezza per i lametini. La scelta di chiudere la struttura, con l'obbiettivo di ridurre le spese, si è già tradotta in un moltiplicarsi di costi, disagi e tempo, a spese dei cittadini e della locale Procura, così facendo l'auspicato risparmio economico al quale debbono adeguarsi tutte le Amministrazione dello Stato non solo non è stato raggiunto ma, anzi, ha subito un enorme aggravio. Basta considerare il notevole flusso di arresti in un territorio come il nostro dove gravitano attività di cosche mafiose, si vedono costretti magistrati, personale della cancelleria, automezzi, con relativi autisti a fare la spola tra Lamezia Terme e Catanzaro, anche per una semplice notifica o convalida ad un detenuto appena arrestato". "Nonostante la decisiva presa di posizione dell'attuale Presidente del Consiglio Regionale Antoni Scalzo e del Consigliere regionale Arturo Bova i quali hanno presentato in Consiglio Regionale una mozione, approvata all'unanimità rivolta al Governo Renzi, a tutt'oggi notiamo che lo stesso Governo sta ignorando i lametini e tutta la classe politica dirigente. Considerato poi che il carcere di Lamezia Terme è stato completamente ristrutturato e adeguato alle vigenti leggi penitenziarie con una spesa pubblica di oltre 500 mila euro e che il nostro territorio è da sempre straziato dalle lotte tra violente cosche mafiose e criminalità organizzata è davvero inaccettabile per tutta la cittadinanza abbandonare una tale risorsa di legalità e giustizia. Attualmente nell'Istituto sono presenti attrezzature informatiche per uffici, apparecchiature per laboratori particolari, quali sala Dna, video conferenza - sale colloqui, le nuove apparecchiature per immatricolare un detenuto appena arrestato "costo esorbitante" mobili e attrezzature per il funzionamento degli uffici, stanze detentive, insomma materiale che essendo di nuova assegnazione (anno 2012 - 2013) è fermo li ad aspettare che il tempo lo consumi, queste sono le risposte che la classe politica attuale deve dare ai cittadini, questo è quello che i cittadini pretendono - una decisione determinante giusta o sbagliata che sia e non campata in aria o momentanea come è la chiusura del carcere temporanea". Per questi motivi il "Comitato Riapriamo il Carcere di Lamezia Terme", rende noto che domenica 29 marzo 2015, nello spazio adiacente la scuola elementare di Nicastro lungo il Corso, si effettuerà la prima giornata di raccolta firme per sottoscrivere la petizione a favore della riapertura del carcere lametino. Questa iniziativa proseguirà, in date da destinarsi e che si renderanno tempestivamente note, nelle piazze di Sambiase e di Sant'Eufemia. La petizione con le firme raccolte sarà quindi inviata al Ministro della Giustizia e al Presidente della Camera dei Ministri. Firenze: detenuto scarcerato e risarcito, la cella non rispetta gli standard europei di Massimo Mugnaini La Repubblica, 24 marzo 2015 "A Sollicciano violati i diritti umani". Non è l'allarme lanciato dalle associazioni che si battono per i diritti dei detenuti, né la denuncia di qualche politico in visita al carcere fiorentino. Stavolta a mettere nero su bianco che l'istituto di pena di via Minervini ha violato la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo è un giudice che, proprio per questo, ha scarcerato anticipatamente e risarcito un detenuto. È la prima volta a Firenze. Durante la sua reclusione a Sollicciano, ha infatti riconosciuto il magistrato di sorveglianza Susanna Raimondo nell'ordinanza con cui ha accolto il ricorso presentato dall'avvocato di I. S., quest'ultimo ha patito una "detenzione inumana e degradante" in violazione dei parametri europei sui diritti umani. Nello specifico, dell'articolo 3 della Convenzione (Cedu) che recita: "nessuno può essere sottoposto a tortura né a trattamenti inumani o degradanti". La decisione del giudice farà da apripista ai ricorsi di centinaia di reclusi, a Sollicciano come altrove in Toscana, che mirano a scarcerazioni anticipate e risarcimenti economici dallo Stato. Alcuni ci provano già da mesi, ingolfando l'Ufficio di Sorveglianza di Firenze con decine di reclami pendenti. "Finalmente! C'è un giudice a Berlino! - gioisce il garante dei detenuti Franco Corleone - sulle richieste di risarcimento c'erano stati solo rigetti. Rotto il ghiaccio, speriamo che a questa prima sentenza ne seguano molte altre". L'accoglimento del ricorso presentato dall'avvocato Giovanni Conticelli (la pubblica accusa ne aveva invece chiesto il rigetto) è avvenuto sulla base della sentenza pilota "Torreggiani" con cui la Corte Europea nel 2013 accolse il ricorso di 7 detenuti e condannò l'Italia proprio per violazione dell'articolo 3 della Cedu, dandole un anno di tempo per porre rimedio. Per questo lo scorso agosto il governo Renzi ha promulgato una legge - la n.117 - in materia di rimedi risarcitori in favore di detenuti. Di cui I. S. ha usufruito pochi giorni fa. "La mia non è stata detenzione ma segregazione - sostiene l'uomo, 44 anni, condannato nel 2011 per reati legati agli stupefacenti - Decima sezione penale, niente libertà di movimento, in 3 in una cella di neppure 12 metri quadri, l'acqua che filtra dal terrazzino, umida d'inverno e bollente d'estate: fino a 50 gradi, non puoi appoggiarti al muro". Lo spazio a disposizione in cella è stato il primo motivo di ricorso che il 44enne ha evidenziato nella memoria difensiva presentata dal suo legale. L'Europa prescrive che, escluso lo spazio occupato da sedie e sgabelli, il recluso abbia diritto ad almeno 4 metri quadri calpestabili. Se lo spazio è tra i 3 e i 4 metri, come nel caso in questione, la mancanza di spazio va integrata con altre condizioni negative. "E nel mio caso c'erano! - prosegue I. S. Escrementi di piccione, muffe alle pareti e sui materassi, presenza di scarafaggi e ragni, assenza di acqua calda, meno di 4 ore di passeggio al giorno, pessimo cibo portato in cella". L'avvocato ha chiesto al giudice, sulla base dell'articolo 35 dell'ordinamento penitenziario, "una riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari a 1 giorno ogni 10 espiati" in carcere in condizioni inumane e "una somma di denaro pari a 8 euro per ciascuna giornata". Il giudice l'ha accolta e calcolato i giorni di detenzione inumana: 880, dal 24 dicembre 2011 al 23 maggio 2014 (poi il detenuto è stato trasferito a Solliccianino). Avendo il fine pena fissato al 25 aprile 2015 e non potendo usufruire di tutti i giorni di detrazione cui avrebbe avuto diritto, al 44enne sono stati scontati 40 giorni (1 ogni 10 sui 400) e dati 3.840 euro come risarcimento (8 euro al giorno per il periodo residuo di 440 giorni). "L'acqua calda nelle celle al momento non c'è - ammette la direttrice di Sollicciano Maria Grazia Giampiccolo - ma sarebbe doveroso ci fosse, come i bagni con le docce in cella. Serve anche un sistema di refrigerazione ma anche per questo ci vorranno tempo e denaro. Stiamo comunque lavorando per migliorare le condizioni dei detenuti: d'estate li terremo più all'aperto e meno in cella" conclude. Bologna: a Castel Bolognese uno spettacolo sulla condizione di internamento negli Opg www.faenzanotizie.it, 24 marzo 2015 In scena, domenica 29 marzo al teatrino del Vecchio Mercato, il laboratorio teatrale dell'Opg di Reggio Emilia. A pochi giorni dalla chiusura ufficiale degli Ospedali psichiatrici giudiziari, arriva la testimonianza diretta sull'internamento in una di queste strutture. Domenica 29 marzo, alle 17.30 al teatrino del Vecchio mercato di Castel Bolognese, il laboratorio teatrale dell'O.P.G. di Reggio Emilia porta in scena "Pitbull", spettacolo sulla condizione dell'internamento raccontata di la chi vive. A seguire è previsto un dibattito in sala con gli attori e la regista Monica Franzoni. Ingresso libero, con accesso da via Rondanini 19. Lo spettacolo è organizzato dal collettivo Nuove Resistenze con il patrocinio del Comune di Castel Bolognese. "È possibile - si legge nella locandina dello spettacolo - reinserire all'interno della cosiddetta società civile un cane che ha vissuto innumerevoli combattimenti, che ha subito ed inferto inenarrabili violenze? La domanda di partenza alla fine dello spettacolo risulta ribaltata: è possibile reinserire all'interno della cosiddetta società civile un ricoverato dell'Opg? La risposta è sì. Rimane però inevaso un ultimo interrogativo: siamo sicuri che il "canile giudiziario" sia il luogo adatto per favorire questo processo?". Volterra (Pi): settimana del teatro, detenuti della Compagnia della Fortezza in tournée www.quinewsvolterra.it, 24 marzo 2015 La Compagnia della Fortezza a Siena con "Santo Genet". Domani Arena e Punzo nelle scuole e al circolo Arci Lavoro e Sport per presentare i loro lavori. Archiviato il grande successo di Bologna, continua la tournée della Compagnia della Fortezza: venerdì 27 marzo, alle 21,15, in occasione della Giornata Mondiale del Teatro, la Compagnia sarà al Teatro dei Rinnovati di Siena con il suo ultimo lavoro Santo Genet. Il 27 marzo di ogni anno, infatti, dal 1961, in tutto il mondo si festeggiano le arti della scena, per celebrare il grande valore della creazione artistica nel campo dello sviluppo umano, allargare la cooperazione tra le persone di teatro e promuoverne le potenzialità di internazionalizzazione della conoscenza. Per festeggiare il teatro il Comune di Siena e Fondazione Toscana Spettacolo hanno scelto di portare sul palco del Teatro dei Rinnovati di Siena gli attori della Compagnia della Fortezza diretta da Armando Punzo, con uno spettacolo visionario che dopo il debutto avvenuto a luglio nel carcere di Volterra ha calcato con un successo di pubblico enorme grandi palcoscenici italiani. Lo spettacolo sarà preceduto da una serie di iniziative preliminari aperte alla città, promosse dal Comune e da Toscana Spettacolo in collaborazione con il Circolo Arci Lavoro e Sport di Siena. La giornata clou delle iniziative preliminari è domani martedì 24: dalle 10,30 alle 12, nell'Istituto superiore Monna Agnese Armando Punzo e Aniello Arena, con il coordinamento di Igor Vazzaz, incontreranno gli studenti. Dalle 15 alle 18 Armando Punzo condurrà invece primo di tre incontri di un workshop gratuito e a numero chiuso rivolto a studenti e allievi attori, che verranno poi coinvolti attivamente sulla scena nello spettacolo Santo Genet (gli altri due incontri si svolgeranno invece, anche con la collaborazione della coreografa Pascale Piscina, il giorno 26 dalle 16.00 alle 19.00 e il 27, giorno dello spettacolo, dalle 15.00). Sempre martedì 24, alle ore 19 è in programma un incontro Aperitivo al Circolo Arci con la presentazione del lavoro della Compagnia della Fortezza e dello spettacolo SantoGenet. Testimonianze, proiezioni, dimostrazioni e un confronto-dibattito coordinato dal Professor Fabio Mugnaini, docente dell'Università di Siena, con la partecipazione degli studenti del laboratorio di Antropologia della performance e l'introduzione di Michele Bianchi e Giovanni Simiele del Circolo Lavoro e Sport di Siena di via dei Pispini, nel centro storico di Siena. Venerdì 27, invece, alle 21,15, l'appuntamento è al Teatro dei Rinnovati con "Santo Genet". Roma: seconda Giornata nazionale del teatro in carcere al "Teatro Libero di Rebibbia" di Maya Amenduni www.romatoday.it, 24 marzo 2015 In occasione della 53° Giornata Mondiale del Teatro, indetta dall'Istituto Internazionale del Teatro presso la Sede Unesco di Parigi, si celebra, in tutti i penitenziari italiani che aderiscono all'iniziativa, la Seconda Giornata Nazionale del Teatro in Carcere. Al Carcere di Rebibbia N.C. di Roma la celebrazione è organizzata il 26 marzo dalla Compagnia del "Teatro Libero di Rebibbia", formazione ultradecennale - promossa dal Centro Studi Enrico Maria Salerno - ritenuta tra le più interessanti espressioni europee di "arte reclusa". L'esperienza artistica nel carcere romano ha ottenuto risalto mondiale con il film dei fratelli Taviani Cesare deve morire, Orso d'Oro al Festival di Berlino 2012, incentrato sull'allestimento del Giulio Cesare di Shakespeare con i detenuti-attori. Guidato da Laura Andreini Salerno e Fabio Cavalli, il "Teatro Libero di Rebibbia" è sostenuto dalla Regione Lazio e conta, ad oggi, tre compagnie teatrali e una band musicale, e il loro luogo d'azione, il Teatro del carcere, è diventato, negli anni, una delle principali sale teatrali di Roma per affluenza di pubblico, capace di attivare sinergie con i teatri della città - in particolare con l'Argentina - Teatro di Roma. La Seconda Giornata Nazionale del Teatro in Carcere sarà celebrata, a Rebibbia N.C. con l'ultimo spettacolo realizzato dai detenuti-attori guidati da Fabio Cavalli, Arturo Ué, versione tutta partenopea del dramma surreale di Brech "La resistibile ascesa di Arturo Ui" (scene a fumetti di Alessandro De Nino, canzoni e musiche dal vivo di Franco Moretti, costumi di Paola Pischedda). Prima dello spettacolo, intellettuali, artisti e rappresentanti delle istituzioni incontreranno il pubblico e gli attori per riflettere sullo sviluppo impetuoso di questa forma d'arte teatrale che coinvolge migliaia di detenuti nelle carceri italiane e prova ad abbattere la barriera del pregiudizio fra il "dentro" e il "fuori" le mura. Saranno presenti il Direttore C.C. Rebibbia N.C. dott. Mauro Mariani, l'Assessore alla Cultura della Regione Lazio Lidia Ravera, il Provveditore Regionale per le Carceri del Lazio Maria Claudia Di Paolo, il Capo Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria Presidente Santi Consolo, Massimo De Pascalis Direttore Istituto Superiore di Studi Penitenziari, il Direttore Teatro di Roma Antonio Calbi, Laura Andreini Salerno Presidente Centro Studi Enrico Maria Salerno, Angiolo Marroni - Garante dei Diritti dei Detenuti del Lazio, Vito Minoia - Presidente Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere, Valentina Venturini - Università Roma Tre, Antonio Frasca - Detenuto-attore, protagonista di "Arturo Ué", Fabio Cavalli - Direttore Generale Centro Studi Enrico Maria Salerno. Alle ore 16,00 andrà in scena lo spettacolo "Arturo Ué - ovvero Brecht a fumetti" con la Compagnia Reparto G12 A.S. Teatro della C.C. Rebibbia N. C. via Raffaele Majetti, 70 - Roma 26 marzo 2015 - h. 14,30 Ingresso libero Prenotazione obbligatoria. Info: www.enricomariasalerno.it - laribalta@tiscali.it - tel. 0690169196 - 069079216. Lecce: Giornata del teatro in carcere; progetto teatrale "Io ci Provo" dal 25 al 27 marzo www.puglialive.net, 24 marzo 2015 La Compagnia Io ci Provo - nell'ambito del progetto teatrale "Io ci Provo" diretto da Paola Leone, regista e pedagoga teatrale della compagnia, in occasione della Festa Mondiale del teatro promuove due iniziative dentro la Casa Circondariale di Lecce Borgo S.Nicola. Mercoledì 25 e Giovedì 26 Marzo, ore 15.00 Seminario di approfondimento con l'attore Fabrizio Saccomanno dedicato ai detenuti/attori della Compagnia Io ci Provo. Venerdì 27 Marzo, ore 15.30 presso il Teatro all'interno della Casa Circondariale, un'anteprima importante del nuovo spettacolo "Gramsci" Antonio detto Tonino di Fabrizio Saccomanno. Lo spettacolo sarà riservato alla popolazione detenuta e alla stampa. Il seminario per gli attori/detenuti che prendono parte al progetto Io ci Provo è uno dei momenti importanti del percorso che la compagnia compie per la costruzione del loro nuovo spettacolo, che vedremo in scena prima a Giugno all'interno del carcere e poi a Ottobre nel Teatro Paisiello. Io ci Provo è ormai una realtà consolidata all'interno dell'istituto e ogni anno con le sue iniziative mette in relazione e confronto il dentro con il fuori attraverso l'incontro e la relazione, coinvolgendo nelle sue attività le scuole, l'università e professionisti del teatro. Ora non ci resta che aspettare di vedere il loro nuovo lavoro teatrale. Queste iniziative sono promosse anche dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria e l'Istituto Superiore di Studi Penitenziari che ha istituito la data del 27 Marzo 2015 come Seconda Giornata Nazionale del Teatro in Carcere in concomitanza con la 53a Giornata Mondiale del Teatro, promossa dall'ITI-Unesco (International Theatre Institute). Il testo da rivolgere alla comunità internazionale del teatro per tale occasione quest'anno è redatto dal regista polacco Krzysztof Warlikowski e tradotto dal Centro Italiano dell'ITI. "Gramsci" Antonio detto Nino, di Francesco Niccolini e Fabrizio Saccomanno e con Fabrizio Saccomanno. Gramsci racconta frammenti della vita di uno degli uomini più preziosi del Novecento. Vita assolutamente privata. Proprio le bellissime lettere del riccio, sono state il punto di partenza: queste tenerissime epistole per i due bimbi, ai quali Gramsci scrive senza mai nominare il carcere e la sua condizioni fisica e psichica, dando il meglio di sé come uomo genitore e pedagogo. Ma accanto a queste, le lettere di un figlio devoto a una madre anziana che lo aspetta in Sardegna e non capisce. Le lettere di un fratello. Di un marito. Il corpus delle lettere di Antonio Gramsci ai familiari è un capolavoro di umanità, etica, onestà spirituale e sofferenza, un romanzo nel romanzo, che apre a pensieri, dubbi, misteri che raccontare in teatro è avventura sorprendente. Genova: Uisp; a Marassi la "fuga per la vittoria" dei detenuti-podisti intorno al carcere di Erica Manna La Repubblica, 24 marzo 2015 Emozione per l'iniziativa promossa dall'Uisp a Genova con la presenza della maratoneta olimpica Emma Quaglia. Sono usciti di corsa dalle mura del carcere di Marassi, costeggiando il campo da calcetto e poi via, fuori dal portone, sfilando davanti all'ingresso fino alla Gradinata nord dello stadio Ferraris. Sembra Fuga per la vittoria e in effetti è la storia di un'evasione, a suo modo, quella dei trenta detenuti corridori che ieri si sono sfidati nella tre chilometri insieme ai podisti della Lega atletica dell'Uisp genovese, l'Unione sport per tutti, per la quarta edizione di "Vivicittà Porte Aperte". E pazienza se "non siamo troppo in forma, è paradossale ma qui di tempo per allenarci non ce n'è molto - racconta Rocco, 45 anni, dentro da sette, ancora due anni e mezzo da scontare e un bambino di undici che fuori lo sta aspettando - però è bello, è un modo per non pensare. Per liberare la mente". Accanto a lui c'è Lorenzo, 27 anni, a Marassi dal 2008 e ancora sette anni davanti che qui, tra queste mura rosse, si è ritagliato il ruolo di "corriere", se così lo si può definire. "Compro le sigarette, le riviste e quello che chiedono i detenuti - racconta - attraverso i loro parenti fuori. E poi, do una mano a pulire, a fare giardinaggio. Ora faccio anche l'attore: partecipo anche al progetto di teatro in carcere, mettiamo in scena il musical "Angeli con la "Pistola", facciamo le prove proprio in questi giorni, domani vengono a vederci i ragazzi delle scuole". Loro - Rocco, Lorenzo, Alessandro - sono quelli fortunati, quelli che dentro Marassi stanno provando a ritagliarsi delle finestre dentro giornate tutte uguali. In attesa di fare i lavori all'esterno, "giardiniere, o pizzaiolo, quello che capita, è una bella occasione - riflette Rocco - io ce l'avevo, prima, una pizzeria. Ma il problema non è tanto cercare un lavoro una volta usciti, la crisi c'è per tutti. Il difficile è cambiare vita, ma dentro di te". Per un pomeriggio, però, in maglietta bianca e pettorina al collo, un sole pallido e il tifo da stadio che arriva anche da sopra, dalle celle affacciate sul cortile, le cose sembrano già un po' cambiate, per i trenta podisti poco allenati ma pieni di energia. Con loro, lungo il tracciato di tre chilometri che arriva lungo piazzale Marassi e via Clavarezza, fin sotto la Gradinata Nord dello stadio, c'è anche Emma Quaglia, sesta ai Mondiali di Maratona di Mosca 2013, argento a squadre agli Europei di Zurigo 2014. Nel frattempo, nel campetto, va in scena un'altra partita. Calcetto a sette, arbitrato da alcuni detenuti che hanno superato il corso organizzato dalla Lega calcio Uisp. Quattro squadre, due di detenuti, una di agenti di Polizia penitenziaria, una degli operatori di Uisp, a sfidarsi per tutto il pomeriggio. "L'obiettivo è abbattere i muri tra dentro e fuori, perché i detenuti si devono sentire coinvolti - racconta il direttore della casa circondariale di Marassi Savatore Mazzeo, a bordo "pista" a fare il tifo anche lui - ora stiamo preparando altre iniziative. Come quella di mettere in piedi una cucina per far preparare ai detenuti i ravioli. E venderli in città". Livorno: un murales per i detenuti, studenti del Colombo all'opera nel carcere le Sughere di Nicolò Cecioni La Nazione, 24 marzo 2015 È quasi finito il lavoro dei ragazzi della 4C dell'Istituto Colombo. La scorsa settimana gli studenti sono entrati dentro il carcere de Le Sughere per regalare ai detenuti un murales interamente dipinto da loro. È la prima volta in Italia che viene messo in atto un progetto del genere. Ci sono già state molti altri contatti tra varie case circondariali e il mondo della scuola, ma mai nessuno era entrato dentro per lavorare. "Questo carcere - ha detto Marco Solimano - è parte integrante della città. Non dobbiamo dimenticarlo. E un'iniziativa del genere serve proprio a questo. I ragazzi stanno regalando arte e cultura a tutti i detenuti. I loro bellissimi colori riempiranno le giornate a chi è costretto a vivere qui dentro". Il disegno sprigiona un forte senso di libertà e armonia. "Ho pensato a Livorno - spiega Chiara Moneta - per realizzare la mia bozza, che poi è stata scelta per il murales. Al centro c'è un faro, simbolo della città, il mare e il sole che tramonta. In quel momento luce e ombra s'incontrano e la frenesia del giorno si mescola con la tranquillità della notte". Il murales è dipinto nella sala "relax" della casa circondariale, dove i detenuti trascorrono qualche ora di svago. "È proprio una bella esperienza - ha aggiunto la professoressa Eloise Takacs, che insieme a Paola Danesi ha seguito i ragazzi nel progetto - e sono convinta che abbia lasciato moltissimo agli alunni. Non solo dal punto di vista didattico, ma soprattutto per quanto riguarda la loro crescita personale". Il murales sarà pronto venerdì prossimo e tempere e pitture sono state messe a disposizione dal Comune di Livorno. "Siamo dei finti carcerati - hanno detto per scherzo Gianluca Taddei e Lorenzo Bettarini - ma non ci sembra di essere dentro una prigione. Ci hanno portati anche a far vedere le celle. È stato bello venire qui per due settimane". Milano: presentata la collezione di moda nata nelle carceri di San Vittore e Bollate www.merateonline.it, 24 marzo 2015 Un evento dedicato alla moda sì, ma con uno sfondo etico e sociale. "E.G.O. Night" è la serata che si è tenuta sabato 21 marzo presso il ristorante Antico Borgo della Madonnina ad Annone Brianza grazie all'agenzia "Wow territorio da vivere" gestita da Beatrice Panzeri, Cristina Catanzaro e Roberta Sangalli. Da sinsitra Cristina Catanzaro di "Wow territorio da vivere", Luisa della Morte della cooperativa Alice, la stilista Rosita Onofri, Roberta Sangalli e Beatrice Panzeri di "Wow territorio da vivere Sartoria San Vittore, il fashion brand nato nelle carceri di San Vittore e Bollate, ha infatti scelto di presentare, per festeggiare il lustro di attività, alcuni esclusivi capi della collezione primavera estate. Il marchio di moda è nato come come spin off imprenditoriale della Cooperativa Alice che da vent'anni gestisce i laboratori sartoriali delle carceri femminili e che ha trovato un partner nella stilista Rosita Onofri, che segue personalmente la creazione delle collezioni. "L'idea di lavorare nelle carceri è nata quasi per caso dopo un corso che si è tenuto proprio a San Vittore per insegnare alle donne ad utilizzare le macchine da cucire. Crediamo che grazie a questo progetto le donne possano cambiare la loro vita imparando un mestiere. Noi abbiamo cercato di cominciare avviando un percorso professionalizzante, ma poi, con la collaborazione di Rosita, abbiamo dato una svolta alla nostra idea" ha spiegato Luisa Della Morte della Cooperativa Alice che ha raccontato come, grazie alla presenza di una professionista, si sono potuti offrire strumenti alle donne delle carceri per reintegrarsi nella società e cominciare una vita nuova. Grazie alla presenza di una professionista del settore, la Cooperativa è riuscita a dare un cambio di direzione al progetto: cinque anni fa è uscita la prima collezione, cui ha fatto seguito anche l'apertura di un negozio in via Gaudenzio Ferrari a Milano. Tre sono i laboratori sartoriali coinvolti nella produzione dei capi e 25 le donne protagoniste di quest'originale iniziativa che non da spazio solo all'aspetto etico, ma anche alla tradizione sartoriale che caratterizza il Made in Italy. "Abbiamo scelto di creare collezioni e prodotti di alto livello. Volevamo creare qualcosa che avesse sì un contenuto sociale per cambiare le esperienze di queste donne, ma anche che rendesse merito all'alto valore della manifattura" ha aggiunto Luisa Della Morte. La linea presentata sabato sera, concepita dopo una visita al museo del Novecento che ha ospitato la temporanea di Lucio Fontana e Yves Klein, si basa sul taglio laser, sulle lavorazioni e sulle applicazioni. "In questi capi ci siamo focalizzati su questi aspetti perché riteniamo fondamentale sviluppare sempre più il lavoro artigianale, quel ‘fatto a manò che ormai diventa sempre più difficile trovare. Riteniamo inoltre fondamentale specializzare le sarte in lavori manuali come il ricamo e la confezione che per noi sono il futuro" ha spiegato Rosita Onofri, collaboratrice dello stilista francese Stephan Janson. "Usiamo tanti materiali che vengono donati alla cooperativa, quindi dobbiamo adeguarci con quello che abbiamo a disposizione" ha aggiunto la stilista. I capi esposti ad Annone sono pezzi unici, anche se Sartoria San Vittore crea una vera e propria linea di moda con un campionario e articoli casual e di uso quotidiano. Immigrazione: l'esternalizzare l'Asilo, ora l'Ue vuole prendere esempio dall'Australia? www.greenreport.it, 24 marzo 2015 Ieri sera Presa Diretta di Riccardo Iacona ci ha mostrato il verminaio, i marcanti di carne umana, lo sporco intrecci tra affari e politica che alimentano l'affare immigrazione sulla pelle dei migranti, un sottobosco al quale fanno riferimento le stesse forze del centro-destra e della destra estrema che, mentre si intascano i contributi e non forniscono servizi, poi i vanno in televisione e nelle piazze a manifestare contro "l'invasione" e a spargere falsità come gli stipendi dati a migranti e richiedenti asilo. Tutto questo mentre la Libia è definitivamente esplosa, la Tunisia viene attaccata dal terrorismo islamista e i profughi della "Terza Guerra Mondiale" che ha il suo campo di battaglia tra l'Africa e l'Afghanistan passando per il Medio Oriente, gonfia di profughi le sponde del Mediterraneo. Di fronte a tutto questo l'Unione europea ha avuto la bella idea di "esternalizzare" il trattamento delle domande di asilo in Nord Africa, prendendo esempio dalla non certo umanitaria esperienza dell'Australia. L'Unione europea e l'Italia vedono con terrore gonfiarsi l'ondata che nel 2014 ha scaricato sulle nostre coste 170.000 profughi (una goccia rispetto a quelli che vivono nei Paesi in via di sviluppo o a quelli arrivati nella piccola Tunisia dalla Libia) che potrebbe trasformarsi in uno tsunami nei prossimi mesi, quando le condizioni meteorologiche più favorevoli e i risultati sanguinosi dei nostri sciagurati interventi in Libia, Siria/Iraq ed Afghanistan porteranno centinaia di migliaia di disperati a tentare di salvarsi in Europa. Tra questi ci sono migliaia di richiedenti asilo, di perseguitati dalle dittature, di persone alle quali lo Stato Islamico, Boko Haram o i governi che avrebbero dovuto proteggerli hanno terminato le famiglie, imprigionato i fratelli, torturato loro ed i loro amici. Una situazione che fa paura - sulle quale lucrano le destre - e che è particolarmente delicata ai confini marittimi dell'Unione europea, tra l'Italia e la Grecia. Per questo, sulle ali della nostalgia dei bei tempi andati di Mubarak, Ben Alì e Gheddafi, sta riprendendo piede l a vecchia proposta di controllare le richieste di asilo dei migranti al di fuori dell'Unione europea. A Fine febbraio il ministro degli interni tedesco, Thomas de Maiziere, ha detto che bisognerebbe mettere in piedi centri di transito in Africa del Nord e poi ha rifatto qualche giorno fa la stessa proposta al vertice dei ministri degli interni dell'Ue. Poi il commissario europea per le migrazioni e gli affari interni, il greco Dimitris Avramopoulos ha detto che andrà in Egitto, Tunisia e Marocco "Per creare una zona nella regione" per combattere il contrabbando e l'immigrazione clandestina, mentre il nostro ministro degli interni, Angelino Alfano, ha assicurato che "Si tratta di una missione umanitaria che permetterebbe all'Europa di filtrare [gli ingressi] e di smantellare un immenso traffico di esseri umani". Come spiega Irin, l'agenzia stampa umanitaria dell'Onu, "La proposta viene presentata come una maniera per ridurre il flusso di migranti e di richiedenti asilo che rischiano la vita per raggiungere l'Europa, offrendo loro di richiedere un visto o di depositare una richiesta di asilo in maniera legale nei Paesi di transito o di origine". Tutto bene? Non proprio, a partire dall'iniziativa che viene presa ad esempio, quella dell'Australia che ha esternalizzato il trattamento delle richieste di asilo con l'intento dichiarato s di esaminarle in "Nel quadro di un processo di ripartizione giusto", ma, come spiega Irin "Questo sistema attualmente serve apertamente a dissuadere i migranti ed i rifugiati a recarsi in Australia". Così i centri di transito extraterritoriali creati dall'Australia da oltre 10 anni servono a trasferire i richiedenti asilo intercettati nelle remote a Nauru e nell'isola di Manus in Papua Nuova Guinea dove trovano vere e proprie galere tropicali, con violazioni dei diritti umani che possono far rimpiangere quelle dei Paesi dai quali i profughi sono fuggiti. L'Australia ignora i richiami dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) che la accusa di violare la Convenzione sui rifugiati del 1951 sul diritto di asilo ed anzi il governo di centro-destra di Canberra ha recentemente eliminato questi fastidiosi obblighi dalla sua legislazione sull'immigrazione. L'Australia sta mettendo - in maniera più soft - in atto il sogno dei vari Calderoli e Salvini: dalla fine del 2013 ha lanciato un'operazione militare che intercetta quasi tutte le imbarcazioni cariche di migranti provenienti dall'Indonesia. Quelli che vengono detenuti a Nauru e Manus ed ai quali viene poi riconosciuto lo Status di rifugiato - quasi sempre afghani, siriani e gente che fugge da altre dittature e guerre - non possono andare in Australia ma possono andare nella poverissima Papua Nuova Guinea, nella piccolissima Nauru ormai priva di qualsiasi risorsa e che ha trasformato i migranti in un business, o in Cambogia, un Paese retto da un governo autoritario e corrotto dal quale scappano diversi dissidenti politici. Melissa Phillips, un'esperta di migrazioni dell'università di Melbourne, avverte gli europei "È diventata una politica del "lontano dagli occhi, lontano dal cuore". Se seguite la stessa logica della politica australiana, vi mettete su un terreno scivoloso" Per ora L'Europa non sembra voler seguire l'esempio dell'Australia, cioè intercettare le imbarcazioni ed inviare i migranti in Paesi terzi (quali?) per metterli in lager dove esaminar le richieste di asilo (quelli ce li abbiamo già in Italia…), ma è indubitabile che la pressione di una parte dell'opinione sempre più disinformata dalla propaganda xenofoba - che sta crescendo anche politicamente - sta indicendo i governi di diversi Paesi a rafforzare le misure di "detenzione" ed a rafforzare i controlli alle frontiere, cosa particolarmente difficile se la frontiera è liquida, a meno di non pensare che un blocco navale come quello proposto da Salvini possa davvero fermare le centinaia di migliaia di profughi che si trovano staggi della guerra civile in Libia. Il problema dell'Europa, come dimostra anche il recente rapporto Eurostat, è che ogni Paese ha le sue priorità ed i propri obiettivi in materia di migrazione ed un sistema di esame delle domande di asilo nei Paesi extra-Ue dovrebbe passare da un accordo tra gli Stati membri sulla ripartizione delle quote dei rifugiati riconosciuti nell'Ue. Dato che, nonostante tutte le chiacchiere e gli impegni, una politica comunitaria sull'asilo resta un'utopia e che perfino l'accoglienza dei rifugiati di guerra siriani è estremamente differente a seconda degli Stati Ue, sembra poco probabile che i governi europei arrivino ad un accordo. L'indagine Irin fa notare un altro aspetto che scompare nelle "assicurazioni" governative e nella propaganda leghista-fascista: "La messa in campo di centri di transito extraterritoriali presenta altre difficoltà pratiche, a cominciare dalla determinazione della loro collocazione. La maggioranza delle barche che l'anno scorso hanno fatto la traversata venivano dalla Libia. Sarebbe quindi logico installare lì questi centri di transito. Solo che la Libia è in preda ad un violento conflitto che ha poche possibilità di essere risolto presto. A giudicare dalle dichiarazioni del Commissario europeo agli affari interni, la Tunisia, l'Egitto ed il Marocco sono dei potenziali candidati, ma i precedenti di questi tre Paesi in materia di diritti dell'uomo sono piuttosto preoccupanti. L'Ue come potrebbe garantire che i Paesi ospitanti i centri di transito li gestiscano conformemente alla legislazione europea ed internazionale relativa ai rifugiati ed ai diritti dell'uomo?". La legittimità di questa politica dovrebbe essere approvata dall'Unhcr e dipenderebbe in gran parte dall'aiuto tecnico che l'Agenzia Onu potrebbe e vorrebbe dare. Il portavoce Unchr, William Spindler, ha detto all'Irin: "Anche se l'Unhcr non esclude la possibilità di un accoglimento dei richiedenti asilo in un Paese terzo sulla base di un accordo multilaterale, in circostanze eccezionali e soggette a garanzie adeguate, la posizione dell'Unhcr è che i richiedenti asilo devono vedere la loro domanda trattata sul territorio dello Stato nel quale arrivano. L'Unhcr propone l'attuazione di alter vie legali per le persone in cerca di protezione internazionale in Europa, quali dei programmi di rilascio di visti umanitari, la riunificazione delle famiglie allargate e l'aumento e la migliore ripartizione tra gli Stati membri dei siti dei posti di reinsediamento". Tornando ai centri di rilascio dei permessi dei richiedenti asilo nei Paesi terzi, sul suo blog, Nando Sigona, un ricercatore che si occupa di migrazioni per l'università di Birmingham, ha fatto recentemente notare che "Delle proposte come quelle sono più facili da redigere che da applicare necessitano di un grosso trasferimento di risorse finanziarie ed umane. È da più di un decennio che queste proposte che sostengono l'esternalizzazione del trattamento delle richieste di asilo sono sul tavolo, ma non hanno mai raggiunto completamente la via di una loro attuazione". È però evidente che l'esplosione della guerra e del terrorismo nella costa sud del mediterraneo dopo lo sciagurato intervento Nato in Libia e le primavere arabe in Tunisia, sfociate in una giovane e debole democrazia a Tunisi e in un regime autoritario al Cairo che attizza lo scontro in Libia, stanno facendo il gioco delle destre xenofobe sulla costa nord del Mediterraneo, spingendo i governi a cercare soluzioni miracolistiche da dare in pasto all'opinione pubblica, "In questo caso . conclude Irin - resta da vedere se l'Europa eviterà la china scivolosa presa dall'Australia". Ma ci pare che gli sciatori, padani e nazional-nazionalisti ed eterni slalomisti della politica "moderata", siano in molti e già con ai piedi gli sci del comodo populismo anti-immigrati. Immigrazione: "inutili, cari e dannosi", il Ministero degli Interni vuole chiudere i Cie di Damiano Aliprandi Il Garantista, 24 marzo 2015 "Si può meditare su una sostituzione con uno strumento che abbia lo stesso tipo di obiettivo e porti gli stessi risultati". Il Viminale sta meditando per il superamento dei Centri di identificazione ed espulsione. A rivelarlo è stato il sottosegretario all'Interno, Domenico Manzione, rispondendo a un'interrogazione del Pd (risalente alla primavera scorsa) in aula alla Camera: "Si può meditare su una sostituzione con uno strumento che abbia lo stesso tipo di obiettivo e possa raggiungere lo stesso tipo di risultato". Manzione poi ha spiegato: "Attualmente non ci sono nei centri più di 400 persone e sul territorio nazionale, a parte i due siciliani, ne sono rimasti solo tre in funzione". Il rappresentante del Viminale ha aggiunto: "Proprio lo scarso afflusso di persone all'interno di questi centri e la loro dislocazione territoriale danno l'idea che si possa riflettere su un superamento dei centri, a condizione però che si capisca che il Cie rimane uno strumento che tende a evitare la confusione - che tanto stress provoca ai territori - tra chi ha diritto di asilo e chi no". Secondo Manzione più in generale, il governo - e il Parlamento - si sono mossi "nella direzione di rendere il più possibile accoglienti, nel rispetto dei diritti umani, i centri in questione". Tra le problematiche maggiori, ha ricordato Manzione, il protrarsi della permanenza nei centri, "vissuto dagli immigrati con un senso di frustrazione che può talvolta sfociare in violenza o episodi di autolesionismo". Il sottosegretario ha ricordato come vadano nella giusta direzione, per migliorare il sistema, la legge 161 del 2004, il recente decreto Svuota carceri e il regolamento unico per il funzionamento dei centri. Da ricordare che attraverso un'indagine istituzionale, i Cie sono risultati oggettivamente costosi, inutili e peggiori del carcere. Il rapporto sui centri di identificazione e di espulsione elaborato dalla Commissione diritti umani del Senato è stata una condanna senza appello delle strutture istituite nel 1998 dalla Legge Turco-Napolitano col nome di Centri di permanenza temporanea e assistenza (Cpta) e poi diventati, nel 2011, "centri di espulsione". Una lunga storia segnata da una serie di modifiche normative, spesso ispirate dall'esigenza politica di dar prova di una severità fine a se stessa - nel 2009 l'allora ministro Roberto Maroni disse che bisognava essere "cattivi" con gli immigrati irregolari - come l'allungamento fino a sei mesi della detenzione. L'ultimo aggiornamento del rapporto sui Cie chiarisce ulteriormente che le categorie del "buonismo" o del "cattivismo" sono del tutto inadeguate. I numeri, infatti, dicono semplicemente che i Centri di identificazione ed espulsione sono inefficaci. E che il problema va affrontato con razionalità. Senza pregiudizi ideologici e tenendo alla larga le esigenze della propaganda politica. Su un totale di undici, attualmente ne funzionano cinque (Bari, Caltanissetta, Roma, Torino e Trapani) e - dato aggiornato allo scorso 20 febbraio - ospitano 293 cittadini stranieri a fronte di una capienza di 753 posti. Quanti dei reclusi saranno effettivamente espulsi? Se prendiamo i dati degli anni precedenti, scopriamo che nel 2014 sono transitati nei Cie 4986 stranieri dei quali 2771 sono stati effettivamente rimpatriati e, nel 2013, su 6016 transitati, i rimpatriati sono stati 2749. Il "tasso di efficacia" (cioè il rapporto tra quanti sono entrati nel Cie perché considerati in condizione eli irregolarità e quanti effettivamente sono stati rimpatriati) è del 50 per cento. Ma se confrontiamo il numero dei rimpatriati col numero degli irregolari effettivamente presenti in Italia, il "tasso di efficacia diventa irrisorio. Nel 2013, a fronte di 294mila "irregolari", appena lo 0,9 per cento è stato rimpatriato attraverso i Cie. Interessante notare che questo "tasso di efficacia" non cambiò in alcun modo quando, nel 2011, il tempo di trattenimento passò da 30 a 180 giorni. Una decisione annunciata con le fanfare del "cattivismo" per dimostrare che si faceva sul serio e che determinò solo un aumento esponenziale dei costi. Proprio quell'anno, infatti, il "tasso di efficacia" crollò allo 0,3 per cento. D'altra parte la commissione d'inchiesta - attraverso gli uffici immigrazione delle questure - ha accertato che mediamente per arrivare all'identificazione sono sufficienti 45 giorni. E anche a partire da questa constatazione -nell'ottobre del 2014 i senatori Luigi Manconi - l'attuale presidente della commissione Diritti umani - e Sergio Lo Giudice hanno presentato e ottenuto l'approvazione dell'emendamento che ha dimezzato (da 180 a 90 giorni) il periodo massimo di trattenimento. All'interno dei Cie ci sono ex detenuti che hanno finito di scontare la pena e che passano direttamente dal carcere al Centro di identificazione prima di essere espulsi. Ma ci sono anche immigrati che risiedono da anni in Italia e non hanno potuto rinnovare il permesso di soggiorno in seguito alla perdita del lavoro. La casistica delle persone che è possibile incontrare nei Cie è molto ampia. Ci sono anche giovani stranieri che hanno sempre vissuto in Italia e che, al compimento dei 18 anni, non hanno potuto iscriversi a un corso di studi o firmare un contratto di lavoro. In base alla normativa attuale si trovano cosi in una condizione di irregolarità che li porta all'interno dei Cie. Raramente vengono espulsi, perché nel frattempo intervengono i familiari e gli avvocati. Ma vi transitato, ci restano per mesi, con ulteriori costi per lo Stato. Costi che vengono aggravati dalle spese sanitarie. Chi si trova improvvisamente recluso in un luogo che ha tutto l'aspetto di un carcere (e infatti ci sono anche ex detenuti) vive situazioni drammatiche sul piano psicologico e fisico. Non è un caso che nei Cie si faccia un grandissimo uso (e abuso) di psicofarmaci. In definitiva - ha sostenuto il rapporto della Commissione diritti umani - se si escludono i casi delle persone effettivamente pericolose, ci sono molti altri strumenti diversi dai Cie, meno costosi, meno disumani, per affrontare i casi di irregolarità: "Basterebbe un obbligo di firma o di dimora, vincoli e limiti ai movimenti per verificare che lo straniero irregolare sia reperibile dalla forze di polizia (misure peraltro già previste ma raramente applicate). E così i Cie sarebbero ridotti a pochi locali necessari a ospitare per qualche notte chi sia in attesa di un rimpatrio ormai esecutivo". Secondo un'articolata ricerca dell'Associazione Lunaria56 - i cui dati sono stati recepiti nel rapporto del Senato - dal 2005 al 2011 lo Stato ha impegnato in media 143,8 milioni di euro l'anno per gestire, mantenere e ristrutturare l'insieme dei vari centri. Se poi si va ad analizzare la gestione fatta da alcuni degli enti gestori si apre un ulteriore, spesso inquietante, capitolo della triste storia dei Cie italiani. Stati Uniti: in Utah torna la pena di morte per fucilazione, firmata la legge La Repubblica, 24 marzo 2015 Consentito l'utilizzo del plotone di esecuzione, alternativo all'iniezione letale. Il governatore dello Utah, Gary Herbert, ha firmato la legge che consente l'utilizzo del plotone di esecuzione per la pena capitale. Un metodo che viene reintrodotto come alternativa all'iniezione letale, quando quest'ultima non possa essere eseguita - come accaduto spesso di recente negli Usa - per mancanza dei medicinali. Lo Utah diventa così il primo Stato ad aver ripristinato la fucilazione negli Usa. L'imprimatur del governatore rende ufficiale il ritorno del plotone di esecuzione. Lo Utah aveva abbandonato la fucilazione oltre un decennio fa, consentendola solo nel caso in cui condannati a morte prima dell'entrata in vigore della legge l'avessero esplicitamente richiesta. Lo Stato, che ha otto uomini nel braccio della morte, non ha al momento a disposizione le sostanze chimiche che servono per l'iniezione letale e l'ultima volta che ne ha somministrata una è stato nel 1999. L'ultima esecuzione, nel 2010, è stata invece proprio la fucilazione di un detenuto, Ronnie Lee Gardner, condannato tuttavia prima che il plotone di esecuzione fosse stato abolito. Anche il Texas, lo Stato che mette a morte più condannati all'anno negli Stati Uniti, sta per finire i farmaci per l'iniezione letale. Turchia: 100 giorni carcere al giornalista opposizione Karaca direttore della Tv Samayolu Ansa, 24 marzo 2015 È già da 100 giorni in carcere il giornalista di opposizione Hidayet Karaca, direttore della tv Samayolu, accusato di dirigere una organizzazione terroristica "senza la minima prova e senza una incriminazione" hanno denunciato i suoi legali citati dalla stampa di Ankara. Karaca, ritenuto vicino alla confraternita islamica Hizmet dell'imam Fetullah Gulen, ex-alleato ora arci-nemico del presidente Recep Tayyip Erdogan, era stato arrestato il 14 dicembre scorso in una retata contro giornalisti di opposizione che aveva visto finire in manette anche il direttore del grande quotidiano Zaman, Ekrem Dumanli. Gli altri arrestati erano stati rimessi in libertà dopo alcuni giorni mentre Karaca è rimasto in carcere. Secondo Zaman online contro di lui è stata mossa la fantasiosa accusa di avere inserito nel 2010 in una puntata di un serial televisivo presunti messaggi per una organizzazione estremista islamica. Nel suo ultimo rapporto l'Ong Usa Freedom House ha declassato la Turchia da paese "parzialmente libero" a "non libero" sotto il profilo della stampa. In una lettera al segretario di stato Usa John Kerry, 74 senatori americani su 100 hanno espresso "preoccupazione" per la libertà di stampa in Turchia e hanno chiesto a Washington di premere sul governo di Ankara. Francia; dalle ex carceri di Lione vengono ricavati alloggi moderni di Simonetta Scarane Italia Oggi, 24 marzo 2015 Case al posto delle celle. Dalla dismissione di due edifici carcerari nel cuore di Lione, in Francia, nascerà un nuovo pezzo di città. Sarà un quartiere misto che vedrà l'insediamento dell'università mescolata ad uffici, residenze e negozi. L'area diventerà una sorta di isola intergenerazionale, abitata da persone di tutte le età, dai giovani fino agli anziani. E proprio per ottenere questo mix generazionale, alcuni edifici penitenziari sono stati trasformati in appartamenti di edilizia privata misti ad alloggi pubblici che verranno dati in affitto agli anziani appena dimessi dall'ospedale. Accanto, ci sarà la casa dello studente, un campus universitario e un istituto di ricerca. Un'operazione esemplare alla quale l'Italia dovrebbe guardare per prendere esempio. Il progetto prevede anche la trasformazione di parte delle ex-prigioni in uffici e spazi per attività commerciali. Prevista un'area verde di 4 mila metri quadrati, per un terzo aperta alla città. L'operazione di trasformazione urbana e riqualificazione edilizia sarà completata a fine anno. Nel 2010 lo stato francese ha venduto i due vecchi penitenziari, Saint-Joseph e Saint-Paul, che si trovano nei pressi della stazione ferroviaria di Lione-Perrache, edificati rispettivamente nel 1830 e nel 1870 su un'area fondiaria di circa un ettaro in pieno centro cittadino. A comprare: l'immobiliarista Ogic e l'università cattolica di Lione che hanno presentato, ognun per sé, un progetto di sviluppo immobiliare. L'università ha trasformato la prigione di Saint-Paul in un campus che aprirà a settembre, mentre il gruppo Ogic ha trasformato il carcere di Saint-Joseph in un moderno complesso edilizio. Accanto ai nuovi palazzi è stata lasciata, a testimonianza del passato, un'ala del vecchio carcere, ristrutturata: al posto delle celle ospita 16 appartamenti. A legare i due differenti progetti, e a dargli coerenza e unitarietà anche con i materiali, ci ha pensato lo studio di architettura lionese Thierry Roche. La vecchia cappella del carcere di Saint-Joseph ospiterà un ristorante al piano terreno e un istituto di ricerca al primo. Gli uffici amministrativi sono stati completamente rifatti e affiancati da due immobili moderni per un totale di 11.300 mq destinati ad uffici. Cinque padiglioni carcerari sono stati demoliti e rimpiazzati con la parte residenziale del progetto che integra 312 nuovi alloggi, un terzo dei quali in vendita a un prezzo fra 4.850 e 4.900 euro al mq. E altri 120 appartamenti sono stati costruiti dal gruppo Ogic in partenariato con l'associazione Habitat e Humanisme destinati a studenti e agli anziani. Inoltre, altri 66 abitazioni sono state costruite per conto di Opac-Rhone. Le gallerie che collegavano le due prigioni sono state ristrutturate. Gran Bretagna:: drone atterra sul carcere di Bedford con droga, coltello e un cellulare Agi, 24 marzo 2015 Le guardie della prigione di Bedford, nel Regno Unito, hanno intercettato un drone che era atterrato nel recinto del penitenziario e che trasportava un modesto quantitativo di droghe leggere, un cacciavite, un coltello e persino un telefono cellulare. L'intervento ha impedito che il detenuto destinatario del plico potesse entrarne in possesso. La notizia, confermata dal ministero della Giustizia di Londra, getta un'ombra sulla sicurezza delle carceri del Regno Unito ma è anche una conferma dei pericoli legati all'uso dei droni, i piccoli dispositivi volanti che già la settimana scorsa avevano fatto scattare un allarme dopo che un uomo è stato incriminato per aver fatto volare un elicottero telecomandato sopra il Parlamento di Westminster. Il ministero ha fatto sapere che si tratta della prima volta che un drone viene usato per una consegna illegale in una prigione. La polizia del Bedfordshire sta indagando e sono già state raccolte alcune testimonianze dei negozianti della zona, che hanno parlato di due uomini che da giorni stazionavano vicino al penitenziario in atteggiamento sospetto. Il carcere di Bedford ha avvertito che "il detenuto che dovesse risultare il destinatario di questi oggetti andrà incontro a duri provvedimenti".