Lettera aperta ai giornali e alle realtà dell'informazione dal carcere Ristretti Orizzonti, 23 marzo 2015 Di recente la direzione del carcere di Piacenza ha sospeso le attività della redazione di Sosta Forzata. Un'azione che ci ha spinto a riflettere molto, perché sappiamo bene le difficoltà che incontrano i redattori detenuti e i redattori esterni impegnati a produrre informazione dalle carceri. E osserviamo quotidianamente gli sforzi messi in campo da chi vorrebbe che le carceri diventassero davvero luoghi trasparenti e dignitosi per chi vi abita e per chi vi lavora, ma sappiamo anche quanto sia difficile riuscire a fare passi avanti, quando il cambiamento viene contrastato perché garantire i diritti a volte viene percepito come perdita di controllo, come perdita di potere. Cambiamento significa conquistare diritti, ma anche spazi di autonomia che bisogna gestire con responsabilità da parte di tutti, naturalmente anche da parte delle persone detenute, che sono spesso poco abituate ad avere occasioni di responsabilizzazione. Chi conosce le carceri sa che, in situazioni di privazione, ci sarà sempre quello che "farà il furbo" e approfitterà degli spazi guadagnati per ottenere qualcosa per sé, e tuttavia questo non può e non deve essere motivo di restrizione, e tantomeno di chiusura. Una redazione di un giornale non può essere un'attività ricreativa per detenuti autorizzata sotto stretto controllo, l'informazione dal carcere è un bene comune, una risorsa di civiltà utile soprattutto al territorio, che può così conoscere meglio qualcosa che gli appartiene. Un carcere dove volontari e detenuti fanno informazione ha molte probabilità di diventare un carcere trasparente. E sappiamo che in tutte le istituzioni dove ci sono rapporti di potere fortemente sbilanciati, la trasparenza è l'unico strumento che garantisce il rispetto delle regole, e una qualità di vita e di lavoro migliore. Altrimenti le carceri rimangono luoghi opachi e nascosti dove è facile scivolare nell'arbitrio e nell'abuso. Se fare informazione dal carcere è un'attività complessa, sapere che la direzione di un carcere può decidere di sospendere una redazione in qualsiasi momento rende tale attività estremamente precaria. E dato che la redazione di un giornale in carcere è importante e preziosa quanto qualsiasi altro giornale del territorio, questa precarietà non dovrebbe esistere. E gli Ordini dei giornalisti del territorio dovrebbero farsi sentire di più per tutelare questi giornali così fragili, ma anche così importanti. Come afferma il Consiglio nazionale dei giornalisti, che ha espresso "apprezzamento per l'impegno volontario dei molti colleghi che realizzano strumenti di informazione all'interno degli istituti di pena in collaborazione con i detenuti e hanno dato vita alla Carta di Milano". Non è accettabile che, nonostante il volontariato e la "società civile" abbiano dato in questi anni un contributo enorme per rendere le carceri meno disumane, nel momento in cui subentrano "motivi di sicurezza", spesso invocati in modo generico, qualsiasi attività possa essere spazzata via con un "ordine di servizio" di poche righe: che per gli operatori dell'informazione che lavorano nelle redazioni in carcere significa veder cancellare anni di faticose conquiste. Occorre allora chiedere ai rappresentanti del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di sedersi intorno ad un tavolo con le redazioni e di dirci chiaramente se vogliono che esistiamo oppure no. E se hanno l'onestà di riconoscere l'importanza della nostra presenza nelle carceri, ci devono offrire delle garanzie chiare, devono permetterci di lavorare con la serietà e l'onestà che hanno caratterizzato in questi anni l'attività di tanti giornali nati in carcere. Da parte nostra, dobbiamo rianimare il nostro coordinamento dei giornali e delle realtà dell'informazione dal carcere e riunirci per elaborare un documento collettivo da presentare al Dap e all'Ordine dei Giornalisti. Proponiamo quindi di fare al più presto un incontro nella redazione interna di Ristretti Orizzonti e decidere il da farsi, perché la sospensione di Sosta Forzata ci deve far riflettere e invece che indebolirci deve darci nuova forza e idee per rendere il nostro lavoro più libero e meno precario. La redazione di Ristretti Orizzonti La libertà d'informazione va difesa perché anche i "cattivi" hanno diritto di parola Il Mattino di Padova, 23 marzo 2015 Fare informazione dalle carceri è davvero una sfida: perché significa cercare di "aprire" il luogo più chiuso che esista; perché bisogna tentare di fare una Informazione onesta e rispettosa delle regole proprio con le persone che sono lì dentro perché le regole non hanno saputo rispettarle; perché si deve cercare di parlare con una società, che è sempre più impaurita e incattivita, e lo si deve fare dando la parola ai "cattivi". I giornali dalle carceri combattono ogni giorno per conquistarsi piccoli spazi di libertà, e si difendono da soli con le unghie e con i denti, nella speranza che i "giornali veri" e l'Ordine dei giornalisti li "adottino" e li tutelino. E oggi c'è un giornale dal carcere di Piacenza, Sosta Forzata, che ha bisogno di essere adottato perché sta rischiando di essere messo a tacere per sempre. Nelle patrie galere è importante raccontarsi Oggi, nella riunione di "Ristretti Orizzonti" abbiamo parlato di "Sosta Forzata", il giornale del carcere di Piacenza chiuso o sospeso senza un motivo ufficiale. A me dispiace molto quando viene chiuso un giornale scritto prevalentemente dai detenuti, provo tanta amarezza perché i giornali realizzati in carcere cercano di dare una informazione equilibrata. E credo che senza di loro non si saprebbe quasi nulla di quello che accade nelle nostre Patrie Galere. A volte i nostri governanti ci rimproverano che nei detenuti non c'è abbastanza riflessione per i reati commessi, ma spesso sono proprio loro che ci imbavagliano perché "l'Assassino dei Sogni" sembra abbia paura del prigioniero che legge,. studia, pensa ed è terrorizzato se scrive per fare conoscere quel lo che accade dentro. Pochi sanno che si viene controllati anche in bagno, neppure lì esiste il diritto al la riservatezza; pochi sanno che in molte galere mancano educatori, insegnanti, assistenti sociali in numero sufficiente, e le strutture sono fatiscenti, e la promiscuità è la regola. Pochi sanno che per i detenuti i rapporti con l'amministrazione sono difficoltosi e troppo "discrezionali", nel senso che ogni carcere è un mondo a sé. Il giornale "Sosta Forzata" ha dato voce e luce ai detenuti, senza deformare la realtà, e lo ha fatto per rivendicare giustizia, diritti e rispetto delle regole. E lo ha fatto insieme ad altri giornali dalle carceri. "Sosta Forzata" ci ha sempre aiutato a fare conoscere l'illegalità che spesso regna in questi luoghi. E non dimentichiamo che ci sono persino alcuni istituti dove ti proibiscono ancora di stampare un fiore o una poesia per tua figlia, o per la tua compagna, con il tuo computer (capitava a me nel carcere di Nuoro anni fa). Queste "piccole" restrizioni ad alcuni potrebbero far sorridere, ma la vita di un prigioniero è fatta anche di cose "inutili" senza le quali però la stessa esistenza non avrebbe senso. Purtroppo spesso nelle carceri ci si trova dinanzi ad un potere smisurato e non si può fare nulla per cambiare il corso delle cose, e chi non accetta le regole del potere non può fare altro che soffrire, perché in molti casi accade che il detenuto ha ragione ma ha torto in quanto detenuto, ed il custode ha torto ma ha ragione in quanto ha il potere di comandare. Incredibilmente si vuole che il detenuto, in quanto prigioniero, accetti di non avere voce perché si vuole che i prigionieri siano sempre e soltanto ciò che il carcere li farà essere. Eppure molti di noi hanno tanto da trasmettere e possono far sapere che i n carcere convivono dolore, prostrazione, fede, abbandono, odio, pentimento, talvolta brutalità, ma c'è anche un senso infinito di umanità e la possibilità che una vita rinasca. Scrivere di e dal carcere può sembrare inutile ma è terribilmente importante che un detenuto possa farlo, perché la persona che non parla e non scrive perde la sua libertà proprio nel momento che spera di ottenerla stando zitto. Sinceramente non capisco il senso della condanna alla "pena di morte" di "Sosta Forzata" se non in una logica punitiva fine a se stessa. Da cattivo e colpevole per sempre mi permetto di lanciare un appello ai vari direttori di giornali per invitarli a trasmettere solidarietà alla loro collega Carla Chiappini, direttore di "Sosta Forzata", e chiedere che nel carcere di Piacenza non si stacchi la spina ad un piccolo giornale di periferia che dava voce e luce a chi è in carcere. Carmelo Musumeci Il limbo del silenzio tra giornale e potere L'Italia, Paese poco educato al valore dell'informazione: potrebbe sembrare un'affermazione provocatoria, se non fosse drammaticamente reale, potrebbe risultare di secondaria importanza se non incidesse così profondamente nel nostro quotidiano nell'epoca di difficoltà che viviamo. Economica, sì, ma anche di riconoscimento di quei valori fondamentali su cui dovrebbe basarsi una democrazia. Voglio partire da una storia di "provincia", in un certo senso "esemplare". Succede nel carcere circondariale d i Piacenza. Succede che il "giornale" dell'Istituto, una voce a volte insostituibile per chi vive questo tipo di realtà, da dicembre viene "sospeso" dalla direzione, costretto ad un "limbo" di silenzio. "Sosta Forzata", questo è il nome del giornale pubblicato dalla redazione e dai detenuti-redattori del carcere di Piacenza, ha una storia decennale. Una parte della società, della comunità viva di Piacenza, non può più narrare storie e pezzi di vita che appartengono a tutti, ma che purtroppo sono spesso sconosciuti o raccontati male, con semplificazioni, con luoghi comuni. Questa storia non fa bene a nessuno... se fossi un cittadino di Piacenza sarei profondamente dispiaciuto. Ma lo sono anche come detenuto, comunque, e come cittadino italiano! Quando sono venuto a conoscenza di questa storia mi sono tornate in mente le parole del giornalista Mimmo Càndito, della Stampa, in un articolo del 12 febbraio 2015. Nell'analizzare la relazionerà il giornalismo ed il potere, il giornalista non nasconde, anzi, ammette chiaramente come, pur esistendo norme ben precise che garantiscono ampiamente il libero esercizio della professione, nella pratica quotidiana questo viene quasi "sistematicamente" ristretto dalla consuetudine (cattiva!) delle influenze "dalle minacce più o meno sussurrate, quando non da una repressione che ignora con arroganza il dettato costituzionale". Non voglio credere che il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria voglia "restringere" le possibilità per i detenuti di fare informazione, e del resto proprio il Dap di recente, in seguito ai fatti di cronaca che hanno portato alla luce tutte le difficoltà e le criticità del sistema carcerario italiano, ha proclamato una nuova linea di trasparenza nel la gestione degli Istituti e dei detenuti. Bene, "Sosta Forzata" e la sua direttrice Carla Chiappini, ma tutti i giornali delle carceri italiane, possono aiutare a perseguire questa "trasparenza". L'ultimo rapporto di "Reporters sans Frontières" fa precipitare l'Italia al 73 posto della classifica mondiale della libertà di stampa. Ben 9 paesi dell'Africa, quelli che noi con arroganza chiamiamo "terzo mondo", vengono prima dell'Italia (ultima anche in Europa). Namibia (17), Ghana (22), Sud Africa (39), Botswana (42), Burkina Faso (46), Niger (47), Mauritania (55), Senegal (71), possono dire di essere società più trasparenti di quella italiana. Qualcuno potrebbe chiedersi quale influenza ha nella propria vita la sopravvivenza o meno di questo "giornalino" di provincia, per giunta atto in carcere dai detenuti. Ebbene, è come quando si parla della la pace. Sì, forse farà sorridere un accostamento così altisonante, ma se pensiamo che la pace sia solo un tema da Onu e non la pratichiamo quotidianamente nel la nostra famiglia, con il nostro vicino, in auto, la società non riuscirà mai a conquistarla. La libertà di stampa e d'informazione va sempre sostenuta in tutte le sue realtà, anche le più piccole. Gian Luca C. Giustizia: la responsabilità civile dei magistrati e quella "cattiveria" a cui porre rimedio di Pierluigi Battista Corriere della Sera, 23 marzo 2015 Ilda Boccassini, parlando della nuova legge sulla responsabilità civile dei giudici, dice di "temere la cattiveria" dei suoi colleghi. Se la teme lei, figurarsi noi. Pensi alla cattiveria con cui qualche suo collega, sicuro dell'impunità accordata a chi non è costretto a pagare per il suo "dolo" e per la sua "colpa grave", ha messo in galera gente innocente senza validi motivi, o ha perseguitato qualche cittadino non per un banale errore giudiziario ma per un accanimento sadico. Ora finalmente un magistrato incapace, o che ha volontariamente commesso degli abusi, potrà pagare per la sua pessima condotta. E a deciderne le sorti non sarà certo un grottesco tribunale del popolo, o qualche organismo arbitrario, ma un collegio di altri giudici, che valuteranno con accuratezza e in base alla legge se qualche collega si è comportato male e deve essere sanzionato. Se poi i giudici colleghi della Boccassini sono "cattivi" e vendicativi, di chi mai potremmo fidarci? Finalmente c'è una legge di risposta a un referendum vinto plebiscitariamente da chi proponeva che un giudice comportatosi con dolo e colpa grave fosse perseguibile come un chirurgo distratto che abbia dimenticato una pinza nella pancia del poveraccio appena operato, o come un ingegnere che con i suoi calcoli sbagliati sia responsabile del crollo di un ponte. Chi si oppone a questa legge continua a sostenere che sarebbe un bavaglio per i magistrati coraggiosi, un modo per dissuaderli dal compimento di un preciso dovere, un regalo per i ricchi che possono mobilitare stuoli di avvocati per far pagare i magistrati che li avevano perseguiti. Le parole della Boccassini rimettono la questione nei suoi giusti binari. Saranno dei giudici a valutare il comportamento eventualmente doloso di colleghi che da adesso in poi dovranno pagare non per i loro errori, è bene ribadirlo, ma per le colpe commesse in indagini condotte con spirito persecutorio. Quindi nessuna vendetta. Ma la Boccassini dice qualcosa di più: che i giudici non sempre valutano le cose con spirito disincantato, senza cedere alle meschinità degli esseri umani, applicando esclusivamente la legge. Dice anzi che i giudici sono "cattivi" e che finalmente hanno in mano uno strumento per far pagare qualche collega rivale, qualche collega antipatico, qualche collega che appartiene a un mondo diverso dal suo. L'avesse detto qualcun altro si sarebbe gridato alla "delegittimazione" dei giudici. Senza cattiveria, almeno stavolta. Giustizia: Sabelli (Anm); indignazione dei magistrati davanti a riforme carenti o sbagliate Ansa, 23 marzo 2015 "L'indignazione che tutti i magistrati provano davanti alle riforme carenti o sbagliate e a decenni di delegittimazione condotta ora con l'insulto che vorrebbe offendere, ora con l'insinuazione che vorrebbe umiliare" deve "trovare espressione efficace a difesa della nostra dignità e della qualità della giurisdizione" senza "ridursi a forme di protesta impotente". Così il presidente dell'Anm, Rodolfo Sabelli, al Cdc che decide la data dell'Assemblea contro la responsabilità civile dei magistrati. Giustizia: diritto penale; quando la mini-offesa non fa (più) scattare le manette di Antonio Ciccia Italia Oggi, 23 marzo 2015 Niente punizione del colpevole e vittima condannata a far valere le proprie ragioni nel processo civile per danni. Questo vale per le persone fisiche e per professionisti e imprese. Tutti potranno giovarsi della mano leggera del legislatore penale e ottenere il perdono giudiziale, quando si sgarra in maniera non abituale senza provocare grossi danni. Bisogna, però, considerare che la vittima del reato (persona fisica, professionista, impresa) avrà la strada in salita per ottenere soddisfazione. E, soprattutto se si subiscono plurime offese di tenue valore (come può essere per un'impresa), non poter contare sul disincentivo della condanna penale implicherà un pregiudizio anche economico non indifferente. Sta di fatto che il decreto legislativo 28/2015, in materia di non punibilità per particolare tenuità del reato, attua la legge delega n. 67/2014 e cambia i connotati della giustizia penale. Mettendo fuori dal circuito penale l'autore non abituale di un fatto non grave. La non punibilità. Il provvedimento introduce la non punibilità dei reati che provocano un'offesa di particolare tenuità, quando, contemporaneamente, il comportamento del reo risulta non abituale. Siamo di fronte a una "depenalizzazione", che riguarda tantissimi reati. La norma riguarda tutti i reati puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni o con la pena pecuniaria, sola o congiunta alla pena detentiva. Le relazioni di accompagnamento al decreto e, in particolare, l'analisi dell'impatto della regolamentazione evidenzia l'ambito di applicazione. La novità riguarderà tutte le contravvenzioni e molti delitti. Non basta, però, solo il requisito della soglia di sanzione, in quanto il magistrato dovrà valutare due elementi: la tenuità dell'offesa e la non abitualità della condotta. Tuttavia è chiaro che sono tante le aspettative di espulsione dal circuito penale di molti procedimenti. Il fatto tenue. Nel suo iter il provvedimento ha subito alcuni ritocchi. Anche sul concetto di fatto tenue non abituale. Il reato non può essere di particolare tenuità quando il colpevole ha agito per motivi abietti o futili o con crudeltà o con sevizie. Inoltre i benefici di legge sono esclusi quando il reo ha approfittato della debolezza della vittima o ha causato la morte o lesioni gravissime. Nella versione definitiva del decreto legislativo si interviene anche sulla nozione di abitualità. Il reato è abituale (e, quindi, non si ha diritto al beneficio) se l'autore è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o delinquente per tendenza. Stessa esclusione scatta per chi ha commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità e anche nel caso in cui si tratta di reati che hanno ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Il procedimento. Il procedimento penale dovrà preferibilmente essere chiuso già con una richiesta di archiviazione del pubblico ministero. Qui l'obiettivo è anche, se non soprattutto, di far risparmiare energie e soldi alla macchina della giustizia. Solo che l'elenco dei piccoli reati si estende a dismisura. La vittima tra l'altro non può sbarrare la strada alla dichiarazione di non punibilità, anche se ha diritto di essere informata. Nel procedimento la persona offesa potrà dire la sua, ma non il suo parere non sarà vincolante. Appresa, dunque, una notizia di reato, il pubblico ministero fa le indagini e potrà ritenere che l'offesa è di particolare tenuità e che il comportamento del responsabile non è abituale. In ogni caso, il pubblico ministero, valutata la scarsa portata offensiva del fatto, chiederà l'archiviazione al giudice delle indagini preliminari. Si sottolinea, e lo fanno anche i lavori preparatori, che siamo di fronte a reati consumati anche se di fascia ritenuta trascurabile. Il reato c'è, ma lo stato pensa che sia meglio non procedere, anche se la persona offesa perde l'occasione di fare valere le sue ragioni nel procedimento penale. La persona offesa. Certo la persona offesa dovrà essere informata della richiesta di archiviazione e avrà la possibilità di presentare opposizione. Ma deve farlo entro il termine perentorio di dieci giorni. Peraltro, come spiega la relazione di accompagnamento allo schema di decreto legislativo, la persona offesa non ha "potere di veto". In effetti la legge delega non lo ha previsto e, quindi, il gip può archiviare il procedimento, anche se la persona offesa non è d'accordo. La non punibilità potrà essere dichiarata in ogni stato e grado del processo e se viene pronunciata prima dell'inizio del dibattimento dovrà essere sentita la persona offesa. Il responsabile potrà essere dichiarato non punibile anche dopo la chiusura delle indagini preliminari, con sentenza. Peraltro la legge delega ha stabilito il criterio che l'esclusione della punibilità per fatto tenue con condotta non abituale non deve pregiudicare l'azione civile per il risarcimento del danno. La vittima dovrà, a questo punto, farsi i conti in tasca e valutare la convenienza di accollarsi il costo delle liti di importo piccolo. Ma che rapporto c'è tra il procedimento penale, che si chiude con il proscioglimento per tenuità del fatto, e il processo civile promosso dalla persona offesa? La risposta sta nel nuovo articolo 651 bis del codice di procedura penale sulla efficacia della sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto nel giudizio civile o amministrativo di danno. Il citato articolo 651 bis prevede che la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso. L'articolo prosegue dicendo che la sentenza vale come giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno contro condannato e del responsabile civile. La stessa efficacia di giudicato ha la sentenza irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto a seguito di giudizio abbreviato, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato. La norma vuole dare uno strumento alla persona offesa perché possa chiedere i danni partendo da un fatto già assodato e senza doverlo provare nel separato giudizio civile. Se il fatto è stato vagliato dalla magistratura penale in un processo in cui l'imputato, ha avuto tutte le possibilità e le garanzie di difesa, è inutile replicare il processo nel separato giudizio civile. La norma in esame parla, però, di efficacia della sentenza penale di proscioglimento per tenuità del fatto nel giudizio civile contro il "condannato", e questo stupisce perché se il responsabile viene prosciolto (per tenuità del fatto), in realtà non c'è un condannato. Giustizia: depenalizzazione di fatto dei reati minori, così i magistrati se ne lavano le mani di Marino Longoni Italia Oggi, 23 marzo 2015 I grandi giornali e i talk show televisivi non se ne sono quasi accorti, ma dal 2 aprile entrerà in vigore il decreto legislativo sulla depenalizzazione dei reati minori che rischia di allargare in modo drammatico la frattura tra lo Stato e la gente comune. Molto spesso chi subirà un furto, uno scippo, una minaccia, una truffa, una frode informatica, non avrà più nessuno a cui rivolgersi per ottenere giustizia. D'altro canto, il ladro, il truffatore, il bullo, lo scippatore, si rallegreranno del fatto che, anche se scoperti, non dovranno più rispondere dei loro atti. Nella giustizia penale entra il diritto di essere perdonati. L'Italia, insomma, si candida a diventare il paese dei bengodi, ma per solo per i disonesti. In altri termini, la giustizia penale rinuncia, anche formalmente, a dare risposte concrete alle istanze di sicurezza, di giustizia, di prevenzione, che arrivano dalle fasce più esposte della popolazione, dalle periferie delle grandi città, dalle piccole imprese. Non che adesso chi subisce un furto o un'aggressione fisica da parte di un vicino di casa manesco vada a fare la denuncia con la speranza che qualcuno si dia da fare per ottenergli giustizia, ma sapere che la denuncia si trasformerà automaticamente in una sentenza di proscioglimento del reo nel caso questo venisse identificato è certamente deprimente. Resteranno insomma impuniti reati come truffa, violazione di domicilio, danneggiamento, raggiro, invasione di edifici, furto, frode assicurativa, intercettazione di telefonate falso in bilancio, corruzione, aggiotaggio, e la maggior parte degli eco-reati. Ci si potrebbe chiedere che senso ha versare la metà dei propri redditi allo Stato sotto forma di imposte quando questo si dichiara impotente a perseguire quei comportamenti che, anche se non finiscono nei telegiornali, turbano non poco la vita quotidiana delle persone oneste. Il messaggio che lo Stato sta lanciando ai cittadini italiani è desolante: arrangiatevi. L'obiettivo che certamente sarà raggiunto dalla depenalizzazione sarà certamente lo svuotamento (temporaneo) delle carceri. E delle scrivanie dei magistrati, che così potranno dedicarsi a perseguire con maggior cura i reati più gravi (o politicamente più intriganti). Giustizia: i politici, gli imprenditori, i tecnici e il monsignore… 15 anni di appalti e favori di Fiorenza Sarzanini Corriere della Sera, 23 marzo 2015 Il fascicolo è già stato trasmesso "per conoscenza" alla Procura di Roma. Riguarda l'appalto per il prolungamento della Metro C, si concentra sull'affidamento della direzione dei lavori a Stefano Perotti, manager finito in carcere insieme al suo amico e socio in affari Ercole Incalza, alto funzionario delle Infrastrutture. I magistrati di Firenze ritengono di dover condividere questa parte dell'indagine sulla gestione delle Grandi opere, con i colleghi capitolini che hanno da tempo avviato verifiche sulla regolarità delle procedure e sulla lievitazione dei costi che al 2011 erano fissati in tre miliardi e 400 milioni di euro e secondo alcune stime potrebbero arrivare alla cifra record di 6 miliardi. Il "lotto" conteso Agli atti c'è la trascrizione di una telefonata del febbraio 2014 tra l'ex presidente di Italferr Giulio Burchi e il manager Giovanni Gaspari che gli inquirenti ritengono "significativa" proprio per dimostrare gli accordi illeciti per spartirsi nomine e appalti. Nel colloquio Burchi si lamenta infatti del numero di incarichi affidati a Perotti e tra l'altro afferma: "Gli ha fatto avere un lotto che non volevano dargli a tutti i costi quando c'era ancora Bortoli di Roma Metropolitane". È il "sistema" che secondo i pubblici ministeri "ha consentito ad un gruppo di soggetti di istituire una sorta di filtro criminale all'ordinario accesso ai grandi appalti pubblici da parte delle imprese private". È quella che il giudice ha ritenuto una "organizzazione criminale di spessore eccezionale, che ha condizionato per almeno un ventennio la gestione dei flussi finanziari statali destinati alla realizzazione delle grandi opere infrastrutturali". E da oggi cominciano gli interrogatori di tutti. La spartizione dei manager La lettura delle carte processuali conferma come uno dei personaggi chiave di questo "sistema" messo in piedi, secondo l'accusa, da Incalza e Perotti, sia Francesco Cavallo. Nelle conversazioni lo indicano come "uomo di Lupi". Molto legato ai vertici della cooperativa "La Cascina" - coinvolta in numerose inchieste, compresa Mafia Capitale - "ha un rapporto contrattuale per l'erogazione di servizi professionali in favore della società "Ingegneria Spm" riferibile a Perotti Stefano" e ciò vuol dire che "intrattiene nel suo interesse una serie di rapporti con soggetti istituzionali". Cavallo alterna incontri con monsignor Francesco Gioia per far avere un lavoro al nipote del prelato e chiedere in cambio voti per Maurizio Lupi, ai contatti con numerosi titolari di azienda, fa da tramite tra questi ultimi e i politici. È amico dell'imprenditore friulano Claudio De Eccher e di quello pugliese Roberto De Santis, il compagno di vela di Massimo D'Alema, non indagato ma perquisito una settimana fa proprio perché il suo nome compariva agli atti dell'inchiesta per un affare che avrebbe dovuto concludere proprio grazie a Cavallo. Le segnalazioni Il giudice ritiene che il "sistema" si regga su quel patto tra "i professionisti nominati direttori dei lavori e gli stessi funzionari dello Stato, parte di un'unica compagine criminale che condivide strategie, azioni, proventi illeciti". Hanno gestito in quindici anni decine di appalti per un totale di 25 miliardi di euro, ma si sono occupati anche di orientare nomine che consentono di percepire compensi da centinaia di migliaia di euro. E allora si comprende perché Burchi abbia interesse a tenere ottimi rapporti con amici politici del calibro del socialista Riccardo Nencini sottosegretario alle Infrastrutture, con il quale "bisogna discutere ci sono delle nomine da fare in giro, ci interessa sistemare due o tre persone", e con il parlamentare ed ex tesoriere dei Ds Ugo Sposetti, che gli chiede aiuto per far avere incarichi a manager di sua fiducia. Molto attivo appare anche Stefano Saglia che ottiene una consulenza da Perotti e dopo avergli procurato "un appuntamento in Eni". Commenta Cavallo: "Si è messo di buzzo buono a lavorare, Stefano gli ha già dato una consulenza, ma è così che si lega questa gente, cioè mica gli puoi dire "quando chiuderò, può darsi". Le carte "truccate" Ci sono i capitolati "su misura" e quelli modificati in corsa, ma i carabinieri del Ros hanno trovato anche una perizia contraffatta, svolta nell'arbitrato tra Perotti e la Fiat sui lavori della Tav Firenze-Bologna che hanno portato nelle tasche del manager - nominato general contractor - ben 68 milioni di euro. Sull'assegnazione dei lavori ferroviari e autostradali il ruolo dei politici si fa dominante con Vito Bonsignore del centrodestra che entra nella Civitavecchia- Orte-Mestre e Antonio Bargone del centrosinistra interessato alla Tirrenica. Entrambi disponibili a trattare e per questo finiti tra gli indagati. Giustizia: piano anticorruzione, in Società di Stato dirigenti a rotazione e stop a condannati di Liana Milella La Repubblica, 23 marzo 2015 Una sfida alla corruzione in dodici pagine. Società pubbliche a prova di trasparenza, rotazione degli incarichi, rigide incompatibilità e ampia tutela per chi svela il malaffare. Repubblica anticipa la direttiva a doppia firma, il Ministero dell'Economia del ministro Padoan e l'Authority Anti-corruzione di Cantone, che lancia il decalogo delle nuove regole per garantire massima pubblicità alla vita e alle scelte operative delle società pubbliche con l'obiettivo di prevenire la corruzione. Si applicherà subito alle aziende non quotate sotto il diretto controllo del Mef e, tra qualche settimana dopo un confronto con la Consob, anche alle quotate. Parliamo di imprese strategiche nell'economia italiana, basti citare Rai, Anas, Fondo italiano di investimento, Expo, Sogei, e ancora Eni, Enel, Finmeccanica, Poste e Ferrovie, che dovranno fare i conti con le indicazioni stringenti della famosa legge Severino, con il decreto Madia e con le nuove norme sulla trasparenza. Sono le norme che Mef e Anac hanno riletto per scrivere la nuova direttiva. Un testo destinato a diventare, non appena sarà pubblicato dall'Anac, una Bibbia anche per tutte le società partecipate a livello regionale e comunale. Ancora regole calate dall'alto, ancora piani e programmi sulla carta, che lasceranno l'Italia in vetta alle classifiche sulla corruzione? Roberto Garofoli, il capo di gabinetto del Mef che ha lavorato con Cantone e che già nel 2012 era al vertice della commissione che mise le fondamenta della legge Severino, è convinto del contrario e spiega perché: "No, non vogliano certo imporre dall'alto lacci e lacciuoli, un surplus di regole burocratiche che ingessino l'organizzazione e l'attività delle società pubbliche, ma vogliamo indurle a dotarsi di meccanismi organizzativi di assoluta trasparenza per prevenire rischi di opacità comportamentale e conseguente corruzione". Saranno Garofoli e Cantone domani al Mef, con Padoan e Madia, a presentare ufficialmente la direttiva che, dal giorno dopo, sarà online per una rapida consultazione, al termine della quale diventerà operativa. Tuffiamoci dentro la direttiva allora, e scopriamo come in un vicinissimo futuro pure le società pubbliche dovranno rispettare le regole che ora riguardano solo le pubbliche amministrazioni. Il fondamento giuridico è semplice e sta dentro la stessa legge Severino. Come è scritto nella direttiva "la ratio sottesa alle legge 190 del 2012 è quella di estendere le misure di prevenzione della corruzione a soggetti che, indipendentemente dalla natura giuridica, sono controllati dalle amministrazioni pubbliche, gestiscono denaro pubblico, svolgono funzioni pubbliche o attività d'interesse pubblico e, pertanto, sono esposte ai medesimi rischi cui sono sottoposte le amministrazioni alle quali sono in diverso modo collegate per ragioni di controllo, di partecipazione, di vigilanza". A chi potrebbe obiettare che le società pubbliche già applicano il decreto legislativo 231 del 2001 conviene rispondere con le parole di Garofoli: "Quel decreto mira ad evitare che siano commessi reati nell'interesse o a vantaggio della società, mentre la legge 190 vuole prevenire delitti come il peculato, la corruzione attiva e passiva, commessi anche a danno della società, ancorché dai suoi stessi dipendenti". Sgombrato il campo dai fondamenti giuridici su cui si poggia la direttiva, eccoci al decalogo. A partire dai due principali pilastri, il piano anti-corruzione e il responsabile della prevenzione. Il piano, recita il testo, dovrà prevedere "misure idonee a prevenire fenomeni di illegalità". Dovrà avere "adeguata pubblicità, all'interno della società e all'esterno", e dovrà essere pubblicato sul sito web della società. Ovviamente sarà strategica la scelta del responsabile del piano, una figura che la direttiva definisce come "un dirigente che abbia dimostrato nel tempo un comportamento integerrimo". Nell'individuare l'uomo giusto la società "dovrà tenere conto di situazioni di conflitto di interesse ed evitare, per quanto possibile, di designare dirigenti in settori individuati a maggior rischio corruttivo". Un obiettivo strategico sarà proprio quello di fare "una mappa delle aree a rischio", cioè i settori della società che più di altri possono diventare protagonisti di casi di corruzione, "appalti, autorizzazioni e concessioni, sovvenzioni e finanziamenti, procedure di assunzione del personale". La mappa dovrà prevedere dove potranno essere commessi i reati e individuare la prevenzione necessaria. Le mosse successive saranno i "codici di comportamento" e la massima trasparenza sul web di tutti i dati che potranno essere resi pubblici, senza danneggiare la società sul piano della concorrenza. La direttiva pone vincoli rigidi: sarà creato un ufficio ad hoc per dare pareri "sull'attuazione del codice in caso di incertezze"; sarà previsto "un apparato sanzionatorio"; nascerà "un sistema per raccogliere le segnalazioni sul codice violato". In questa strategia anti-corruzione conta la collaborazione dei dipendenti. Il decalogo prevede che sia "incoraggiato colui che denuncia gli illeciti di cui viene a conoscenza nell'ambito del suo rapporto di lavoro". Chiamiamolo pentito o gola profonda. I suoi occhi e la sua testimonianza saranno fondamentali per scoprire l'odore della mazzetta. Ma la società dovrà garantirgli non solo "la riservatezza dell'identità" ma anche "ogni contatto successivo alla segnalazione". In un piano così è inevitabile che sia strategica la politica del personale. Per questo sono previste regole molto rigide negli incarichi. A partire dalla rotazione, che dovrà diventare una pratica obbligatoria. Ordina la direttiva: "La società programma la rotazione", ma lascia uno spiraglio qualora "emerga l'esigenza di salvaguardare un elevato contenuto tecnico". Segue una raffica di divieti: nessun incarico a chi ha condanne per reati contro la pubblica amministrazione, o è componente di un organo politico nazionale. Rigido e dettagliato il capitolo delle incompatibilità per gli amministratori e i dirigenti delle società. Divieto di assunzione per i dipendenti pubblici che "negli ultimi tre anni abbiano esercitato poteri autoritativi o negoziali per pubbliche amministrazioni". Un monitoraggio obbligatorio sul rispetto delle regole anti-corruzione dovrebbe permettere alla società di non cacciarsi nei guai. Giustizia: Sottosegretario Ferri; pirati della strada, introdurre reato di omicidio stradale Ansa, 23 marzo 2015 "Il Governo vuole introdurre il reato di omicidio stradale. Nella Commissione Giustizia del Senato si sta lavorando in questo senso ed il Governo sta seguendo con attenzione l'iter parlamentare, dove presto verrà approvato un testo base, che costituirà la sintesi delle diverse iniziative legislative". Lo ribadisce in una nota il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri dopo il grave incidente stradale di Monza causato da un pirata della strada nel quale ha perso la vita un ragazzo di 15 anni mentre la mamma versa in gravi condizioni. "Introdurre l'omicidio colposo stradale e le lesioni colpose stradali come reati autonomi è importante per prevedere nuove più pesanti pene maggiormente adeguate alla gravità di simili fatti - sottolinea Ferri- e per dare un efficace messaggio educativo e culturale sulla pericolosità della guida dei veicoli e sull'importanza del rispetto delle norme del codice della strada per tutelare beni supremi quali la vita e l'incolumità fisica. È fondamentale, inoltre, porre in essere un programma di prevenzione, informazione e sensibilizzazione per sensibilizzare tutti all'importanza della guida sicura e per garantire la sicurezza stradale". "Così come vanno innalzate le pene per l'omicidio stradale "semplice", un ulteriore maggiore aumento andrà previsto non solo nel caso di omicidio commesso da chi guida in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di droghe ma anche nel caso di altre condotte di guida estremamente negligenti precisa il sottosegretario - che devono essere considerate parimenti gravi e che quindi meritano un analogo inasprimento di pene. Penso proprio alla grave disattenzione, a chi investe pedoni mentre attraversano le strisce pedonali, o bambini in prossimità delle scuole, l'alta velocità ,l'attraversamento di incroci con semaforo rosso e così via. In questi casi, come in quelli di omicidio commesso da chi guida in stato di ebbrezza, ritengo che le pene debbano essere considerevolmente innalzate sia per ragioni di Giustizia sia per avere quell'effetto preventivo ed educativo-culturale di cui parlavo prima. L'inasprimento delle pene, inoltre, non potrà non comprendere anche l'introduzione del cosiddetto "ergastolo della patente", ossia la revoca a vita della licenza di guida, e tale sanzione dovrà accompagnare la sanzione penale in caso di condanna per omicidio stradale". Giustizia: mediazione civile… avanti molto piano, solo il 10% si conclude con un accordo di Antonello Cherchi Il Sole 24 Ore, 23 marzo 2015 Mediazione in cerca di identità. Secondo i dati del ministero della Giustizia riferiti ai primi nove mesi del 2014 nei tribunali arrivano meno cause civili per le quali è obbligatorio tentare in via preventiva di far pace davanti ai mediatori. C'è da pensare che il filtro stia dunque iniziando a funzionare. Il numero degli accordi è però - come si legge nelle relazioni di apertura dell'anno giudiziario nelle Corti di appello - basso: appena il 10 per cento. Nel 60% dei casi le parti neanche si presentano davanti al mediatore. La strada, dunque, è ancora lunga. La mediazione prova a diventare adulta. L'età della maturità dello strumento introdotto per deflazionare le cause civili è ancora di là da venire, ma alcuni segnali sembrano incoraggianti. A partire dal fatto che il contenzioso oggetto della mediazione arrivato in tribunale ha subìto - secondo i dati più aggiornati elaborati dal ministero della Giustizia e riferiti ai primi nove mesi del 2014 - una flessione rispetto all'anno prima di circa il 21 per cento. "Dobbiamo tener conto - spiega Fabio Bartolomeo, direttore dell'Ufficio di statistica di via Arenula - che tutte le cause civili hanno avuto nel periodo del 2014 preso in considerazione un calo, che è però calcolabile in poco più del 2% ed è ascrivibile alla crisi economica. Andare in giudizio, infatti, costa e i soldi a disposizione dei potenziali ricorrenti sono diminuiti. Allo stesso tempo si deve rilevare come la flessione dei fascicoli in materie che ricadono sotto la mediazione sia più significativa. Contrazione che può essere ascritta anche al nuovo strumento stragiudiziale". La cautela è, però, d'obbligo. Prima di gridare all'auspicabile successo della mediazione occorre aspettare dati più strutturati. Anche perché il bilancio tracciato dai presidenti delle Corti di appello nelle relazioni di apertura dell'anno giudiziario è tutt'altro che confortante, per quanto riferito a un periodo - dal 1° luglio 2013 al 30 giugno 2014 - diverso da quello preso in esame negli ultimi dati della Giustizia. La fotografia delle Corti di appello ha, però, diversi elementi peculiari. Intanto, i freddi numeri sono accompagnati da una lettura da parte degli addetti ai lavori che stanno direttamente sul territorio. In secondo luogo, rappresentano il bilancio del primo anno di vita del filtro stragiudiziale. Infatti, sebbene la mediazione - nata nel 2010 con il decreto legislativo 28/2010 - sia diventata operativa a marzo del 2012, ha però dovuto subire uno stop dopo la sentenza della Corte costituzionale (la n. 272 di quello stesso anno) che ne ha dichiarato l'incostituzionalità. Soltanto con il decreto legge del Fare (Dl 69/2013) il sistema è ripartito a settembre di due anni fa. Dunque, se si considera la pausa estiva, il periodo preso in esame dai presidenti di Corte di appello corrisponde al primo compleanno della mediazione. Ebbene, i giudizi non sono lusinghieri. Partendo da Milano e scendendo lungo la Penisola per arrivare fino alla Sicilia e alla Sardegna, i giudici valutano modesti i risultati dello strumento deflattivo. L'effetto del filtro che deve servire per arginare le cause in tribunale non è stato apprezzabile. Infatti, le liti che si sono composte senza dover arrivare fino al giudice rappresentano una percentuale minima (mediamente il 10%) di quelle discusse dai mediatori. Nel 30% dei casi, invece, l'accordo non è stato trovato. Ma ciò che più dà da riflettere è che la gran parte delle cause (circa il 60%) si sia chiusa senza un confronto, perché una o entrambe le parti non si sono presentate. A quel punto - visto che la condizione per poter portare il contenzioso in tribunale è che il tentativo di mediazione venga comunque esperito - buona parte di quei fascicoli (sia quelli in cui le parti sono rimaste latitanti, sia gli altri dove non c'è stato accordo) hanno iniziato il lungo e tortuoso iter di una normale causa civile, andando ad aggiungersi ai milioni di ricorsi che appesantiscono la giustizia. È pur vero che su queste rilevazioni pesa la novità del sistema e la mancanza di una cultura della mediazione da parte dei litiganti. C'è poi da considerare, come sottolinea Leonardo D'Urso, precursore con Adr center della mediazione in Italia, che le materie oggetto di composizione stragiudiziale obbligatoria rappresentano solo il 7% dell'intero contenzioso civile: circa 200mila cause contro 2,7 milioni. "Inoltre - aggiunge D'Urso ricordando i dati riferiti ai primi nove mesi del 2014 - i primi segni che il filtro stia iniziando a funzionare ci sono tutti". Forse, per capire veramente se il meccanismo può alleviare il lavoro dei tribunali e in quale misura, servirebbe allargare il ventaglio delle cause oggetto di pace "preventiva". Una "prova del nove" che - come si legge nelle relazioni di apertura dell'anno giudiziario - sono gli stessi giudici a chiedere. Giustizia: ogni detenuto costa 150 € al giorno, l'83% è speso per gli stipendi del personale di Marzia Paolucci Italia Oggi, 23 marzo 2015 Ogni detenuto è costato allo Stato italiano, nel 2014, 150 euro al giorno, mentre la Polonia ne spende solo 20. Sono i costi non proporzionati alla qualità del sistema il vero problema del sistema carceri: quasi tutto il bilancio dell'amministrazione penitenziaria del paese, circa l'83%, è speso in stipendi del personale motivo per cui restano fermi tutti gli altri interventi di edilizia e manutenzione delle strutture, formazione e lavoro. Stabile il calo del numero dei detenuti nelle nostre carceri registrato in questi ultimi anni, la flessione che era iniziata nel 2010 con il riconoscimento dello stato di emergenza degli istituti per sovraffollamento carcerario. Dati che preoccupano l'Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione dell'Associazione Antigone che il 17 marzo scorso ha presentato il suo XI Rapporto sulle carceri del paese che l'Osservatorio visita annualmente, autorizzato dal Ministero della giustizia. Ombre ma anche luci di quella che resta ancora "una risposta costosa e inefficace alla delinquenza" nelle parole di Alessio Scandurra, coordinatore dell'Osservatorio indipendente intervenuto a presentare il Rapporto "Oltre tre metri quadri" del 17 marzo scorso. Titolo questo che ci dice che comunque lo spazio per detenuto si allarga un po' visto che al 28 febbraio 2015 i detenuti restano 53.982 rispetto ai 66.897 della fine del 2011, anno nel quale sono stati presi i primi provvedimenti a scopo deflattivo. Un numero che in tre anni è sceso di 12.915 unità. Tra le luci che filtrano dalle sbarre delle nostre carceri, c'è quella che Scandurra definisce "la normalizzazione delle patologie di cui ha sempre sofferto il nostro sistema carcerario: troppi detenuti stranieri, troppe persone in custodia cautelare in attesa di pena detentiva, troppi detenuti per violazione della legge sulle droghe e troppi in carcere per fatti di lieve entità con condanne inferiori all'anno". Oggi ognuna delle tre categorie ha visto diminuire il suo totale visto che il taglio complessivo ha insistito prioritariamente su queste tre categorie. Schermature alle finestre mai rimosse e bagni a vista in oltre 100 istituti, nel solo Lazio water visibili dal corridoio in almeno quattro istituti. È ancora questa la condizione della vita carceraria nonostante il documento di indirizzo formulato nel 2013 dalla commissione ministeriale ad hoc istituita dall'allora ministro Severino dopo la sentenza di condanna europea Torreggiani che avrebbe dovuto rivoluzionare la vita carceraria buttando all'aria prassi stravecchie e sclerotizzate. E se ormai le celle restano aperte per almeno otto ore durante il giorno, solo 14 istituti delle undici regioni monitorate da Antigone hanno spazi comuni per le attività insieme e in ogni caso si tratta di spazi sempre insufficienti. Su oltre 200, solo quattro istituiti tra Padova, Trieste, Volterra e Piazza Armerina usano Skype per le comunicazioni telefoniche, per tutti gli altri vale ancora una legge del ‘75 che prevede solo penna, carta e francobollo come unici mezzi per comunicare con il mondo esterno. Ancora pochissime le cartelle cliniche digitali visto che per ricostruire la storia clinica di ogni paziente in carcere si combatte ancora con faldoni e faldoni di indecifrabili pagine ingiallite dal tempo. L'unica legge sulla libertà religiosa in carcere risale al 1929, sotto il Fascismo. "La diminuzione del numero dei detenuti avvenuto in Italia nell'ultimo anno e mezzo non è dovuto a un aumento delle misure alternative, in particolare l'affidamento in prova ai servizi sociali che oggi interessa poche migliaia di persone in tutta Italia". È quanto dichiara Gianni Torrente, coordinatore dell'Osservatorio sulle carceri di Antigone. "Aumentano invece le misure con un intento meramente deflativo come nel caso degli arresti domiciliari: circa 5 mila in più", segno per Torrente di una retrocessione culturale del paese che tralascia l'intento responsabilizzante e risocializzante della misura a favore di quello meramente deflativo. Giustizia: chiusura Opg; 10 Regioni pronte, per altre il Governo valuta commissariamento Ansa, 23 marzo 2015 Sono 10 le Regione pronte a fare fronte alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari entro il termine del 31 marzo, avendo individuato, apprende l'Ansa, le strutture alternative, operative dal primo aprile. Altre regioni saranno pronte in autunno. Il Veneto che non ha ancora individuato neppure una soluzione. Il Governo valuterà i commissariamenti. Rispetto invece alla concreta attuazione del passaggio da Opg a Rems, 10 Regioni e una Provincia Autonoma potranno contare già dal 1 aprile su residenze funzionanti: si tratta di Valle d'Aosta, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Basilicata, Sicilia e Sardegna, oltre alla Provincia Autonoma di Bolzano. A queste potrebbero aggiungersi, appunto, anche Abruzzo e Molise, frenate solo dal giudizio amministrativo pendente, ma che potrebbe risolversi già prima dell'inizio di aprile. Ad oggi sono circa 700 gli internati negli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) la cui chiusura è prevista al 31 marzo. Il loro trasferimento dagli Opg alle strutture alternative individuate (Rems) non sarà tuttavia un'operazione di massa, ma un percorso che richiede l'adozione di provvedimenti sia giudiziari sia sanitari per ciascuno dei ricoverati nelle strutture. Tale percorso presumibilmente impegnerà, secondo quanto si apprende, un arco di tempo di alcune settimane. Le Regioni hanno presentato al ministero della Salute i propri piani alternativi in attuazione della riforma per la chiusura degli Opg lo scorso 15 marzo. Si tratta di un risultato strutturale valutato come "globalmente positivo" e che si è raggiunto grazie ad un intenso lavoro portato avanti negli ultimi mesi dai ministeri della Salute, della Giustizia e dalle Regioni con 12 riunioni bisettimanali dell'organismo di coordinamento, presieduto dal sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo. Per portare a pieno compimento la riforma, ora il governo valuterà eventuali misure da adottare, incluse quelle di commissariamento per le Regioni inadempienti. Veneto e Piemonte a maggior rischio commissariamento. "Al momento il Veneto, ma anche il Piemonte, presentano le situazioni più critiche in relazione ad un'ipotesi di eventuale commissariamento". Lo ha affermato il sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo, in relazione alla scadenza del 31 marzo che prevede la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) e la contestuale attivazione in tutte le Regioni italiane delle residenze alternative per gli internati. Ad oggi, ha detto all'Ansa il sottosegretario, "il Veneto non ha neppure comunicato il proprio piano in relazione all'attuazione di questa riforma. Ad ogni modo - ha precisato - la decisione degli eventuali commissariamenti sarà del Governo, ma resta una delle procedure valutate possibili". La legge, ha rilevato De Filippo, "è infatti chiara e dice che le Regioni che non hanno concluso entro la scadenza prevista del 31 marzo il processo per l'attivazione delle residenze alternative rems, possono essere commissariate". A questo punto, ha avvertito De Filippo, "è oggettivo che non sarebbe tollerabile un allungamento dei tempi indeterminato per l'apertura delle Rems, mentre un discorso diverso è lo slittamento di alcune settimane o dei termini di apertura entro settembre. Ad ogni modo - ha detto - l'adempimento delle scadenze da parte di tutte le Regioni sarà monitorato". De Filippo ha quindi sottolineato l'importanza del lavoro svolto in questi mesi: "Sul tema della chiusura degli Opg - ha affermato - si è proceduto finora di proroga in proroga, ma questo Governo ha finalmente detto basta alle proroghe. Questo è un risultato molto positivo". Lettere: al telefono con un ergastolano di Francesco Zanotti (Presidente Federazione Stampa Cattolica) Corriere Cesenate, 23 marzo 2015 È la telefonata che uno non si aspetta. Sabato scorso ero all'aeroporto di Cagliari. In netto anticipo sul volo che mi riporta in continente, mi tuffo nelle appassionate pagine di un libro che sto per terminare. Non c'è quasi nessuno agli imbarchi. Solo più tardi cominceranno ad arrivare formazioni di pallavolo e calcetto in trasferta nell'isola. Metto in disparte i cellulari per non farmi distrarre troppo. A un certo punto vedo illuminarsi un display. Compare un nome a me molto noto: Nadia Bizzotto. È la mia amica della Papa Giovanni XXIII, l'associazione fondata da Don Oreste Benzi. Da anni segue un ergastolano ostativo, uno di quelli che ha stampato sul fine pena i numeri 99.99.99, cifre inquietanti che significano "mai". Ci siamo incontrati in più di un'occasione e ci siamo confrontati spesso sui temi del carcere. "Hai un attimo per me?, mi viene chiesto dall'altro capo del telefono. Ti devo passare una persona che ti vuole parlare". Sono colto di sorpresa. Non so che immaginare. Provo a orientarmi, poi ascolto una voce già sentita un'altra volta all'interno del penitenziario di Padova. "Volevo farti un saluto da uomo libero". È Carmelo Musumeci, l'ergastolano di cui ho già scritto in questo spazio. "So che ti batti tanto per me. Mi sembra un sogno. Mi hanno dato un permesso dalle 9 di questa mattina fino alle 18". Guardo l'orologio. Sono le 17,30. Sono confuso e un unico pensiero mi assale. Carmelo ha ancora mezz'ora di tempo per stare tranquillo con la sua famiglia e prende il telefono e compone il mio numero. Non ci posso credere. Mi sento un privilegiato. Sono in linea con un ergastolano: un fatto del tutto eccezionale. Sono un uomo fortunato. Preso dalla commozione, dallo stupore e anche dallo sbalordimento riesco a formulare poche parole. Carmelo prosegue: "Là dentro, tra poco, rivivrò gli intensi momenti di oggi. Mi ricordo quando sei venuto a trovarmi, all'interno dell'assassino dei sogni (lui chiama così il carcere, ndr). Te la dovevo questa telefonata, da uomo libero a uomo libero. Qualcosa sta cambiando. Speriamo". Sono incredulo. A bocca aperta gli rispondo appena. Sono angosciato dal tempo che dedica a me e sottrae ai suoi cari. Mi vengono in mente le parole scritte al suo rientro dopo l'unico permesso ottenuto in 24 anni di detenzione. Dopo quelle 11 ore per laurearsi, Musumeci fece ritorno dietro le sbarre con il cuore lacerato dallo sbattere dei cancelli che si serravano dietro a lui. Felice e incredulo, mi sento un prescelto. Chiudo la comunicazione contento come mai. Rimango imbambolato. Poi scopro la grande novità: Musumeci non è più ostativo. È un "ergastolano resuscitato", come lui stesso scrive il giorno seguente, con la "speranza di poter morire un giorno da uomo libero". Lettere: ora fanno, l'ho saputo, un Nazareno allargato sulla giustizia… ecco il testo di Giuliano Ferrara Il Foglio, 23 marzo 2015 Il Nazareno in un anno è servito a fare un bel pezzo del monocameralismo necessario. E una legge elettorale che consente di sapere chi governa e per quanto tempo. Ha fatto cadere tabù più che ventennali. Ha portato un neanche quarantenne alla guida del governo, con la sua rivoluzione anagrafica e la sua velocità forsennata, al posto del fronte della sussidiarietà che si era stretto intorno ai sui cofondatori Enrico Letta e Maurizio Lupi. Ha abolito l'articolo 18, ferrovecchio classista che ormai lavorava contro gli interessi dei lavoratori. Non male. Ora fanno, l'ho saputo e non vi dico come, un Nazareno allargato sulla giustizia. La volta buona. Questo il testo firmato da Bersani, Fassina, Renzi, Vendola, Berlusconi, Alfano. Il presidente Mattarella è d'accordo, e come potrebbe non esserlo? Manca la firma di Casaleggio, ma non è un guaio. "Si dimettono ministri non iscritti nel registro degli indagati, per intercettazioni pubblicate dai giornali. Vanno in galera funzionari dello stato che hanno fatto ponti, strade, treni veloci, dighe per 25 miliardi di euro in venti, trent'anni. Con loro imprenditori, appaltatori e lobbisti. Non si conoscono fattispecie degne della narrazione giudiziaria secondo le linee di un giusto processo. Fossimo negli Stati Uniti la pubblica accusa sarebbe già in manicomio, e gli avvocati della difesa si starebbero rivalendo sull'azzardo giudiziario incostituzionale. Per adesso i carcerati sono accusati di aver fatto il proprio mestiere. Espandere la loro capacità realizzativa, il loro potere sulla pubblica amministrazione, dentro la pubblica amministrazione. Fare gruppo, fare massa, coordinare secondo norme e leggi dello stato gli sforzi per ottenere finanziamenti per grandi e medie opere e portarli a compimento con le opere stesse. Non si vedono per adesso denari illecitamente percepiti, tesaurizzati in forzieri illegali, insomma tangenti a carico dell'erario. Si vedono scelte preferenziali, di favore, legami di cuginanza sullo sfondo, qualche raccomandazione, e un impressionante numero di ministri che, se fanno qualcosa, lo devono alle idee, alla sapienza tecnica, all'operosità amministrativa e costruttiva di appaltatori e grandi baroni delle infrastrutture e dei trasporti. I giornali e le tv fanno titoli surreali: trovata una lettera del ministro al sottosegretario Lotti, su carta intestata del ministero, in un dossier dell'ing. Perotti, accidenti, si chiede di sbloccare fondi per opere, ma va? Cose così. Tutti noi firmatari, dall'onorevole Vendola all'onorevole Berlusconi, siamo stati vittima prima o poi di simili procedimenti, che appaiono ispirati alla volontà di sottomettere la politica alla casta giudiziaria, non di fare giustizia in modo puntuale e certo, con prove d'accusa ed elementi testimoniali e documentali che non siano una gogna di pettegolezzi mediatici. Ci siamo difesi malamente, perché ogni volta abbiamo pensato di tesaurizzare a destra le accuse temerarie alla sinistra e a sinistra le accuse temerarie alla destra. Guerre di leadership, dossieraggio personale, ricatti estorsivi a scopo politico giudiziariamente suffragati: questo il risultato del repulisti fatto con quelle modalità antigiuridiche. Se su un piatto della bilancia c'è un pacco di 25 miliardi e sull'altro un Rolex regalo di laurea, vuol dire che abbiamo passato la soglia della credibilità e siamo entrati nel regno del ridicolo: e il ridicolo o grottesco può essere più dannoso della stessa corruzione, che c'è sicuramente ma va provata e trovata dove è, possibilmente non nel lavoro che produce treni di spade eccetera. Bisogna reagire uniti a tutela della serietà della Repubblica e dell'autonomia reciproca di magistratura e politica, divisione dei poteri. Per questi motivi proponiamo un decreto legge nazarenico di tre articoli: 1. Le intercettazioni telefoniche e ambientali raccolte nelle indagini non possono essere rese note se non, a porte chiuse, nell'eventuale dibattimento. 2. Le carriere di chi accusa e di chi giudica sono separate. Le iniziative del pm sono assoggettate all'articolo 68 della Costituzione originale del 1948, testo poi corretto sotto ricatto. I procuratori generali sono direttamente responsabili della correttezza dei capi di procura, e i capi sono direttamente responsabili dei sostituti dei procuratori che esercitano il pubblico ministero. 3. Le funzioni disciplinari passano dal Csm a un'autorità civile nominata dal presidente della Repubblica, dalla quale sono esclusi i magistrati in servizio e quelli in pensione". Firmato a largo del Nazareno da Bersani, Fassina, Vendola, Renzi, Berlusconi, Alfano. Veneto: la Regione non accoglie 43 internati pericolosi dimessi dai manicomi giudiziari di Filippo Tosatto La Nuova Venezia, 23 marzo 2015 Il 31 marzo gli istituti chiuderanno, il direttore della sanità regionale: "Esigono cure e controlli in istituti attrezzati, pagheremo noi le rette" Il 31 marzo gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari chiuderanno definitivamente i battenti e gli ospiti-detenuti psicolabili, perlopiù autori di gravi gesti criminali, saranno dimessi. Tra loro figurano 43 veneti: quaranta pazienti maschi fin qui ospitati nell'istituto di Reggio Emilia, tre donne in quello di Castiglione delle Stiviere. Alla metà di loro, gli psichiatri forensi attribuisce un'"elevata pericolosità sociale". Chi sono costoro? Tra essi, ad esempio, figura il malato di mente di 36 anni che agli Istituti Polesani ha ucciso, soffocandoli con un cuscino, due degenti sconosciuti; una condotta, la sua, che ha spinto gli investigatori a riaprire i fascicoli riguardanti una serie di "inspiegabili" decessi avvenuti in precedenza nei padiglioni di Ficarolo. C'è poi un quarantenne che ha atteso il sonno dei genitori per appiccare il fuoco al loro letto, provocando la morte del padre; e una donna affetta da autolesionismo compulsivo che le spinge a lacerarsi il corpo. Per loro, il legislatore ha previsto l'accoglienza "sorvegliata" in nuovi servizi denominati Rems, cioè residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza: una prospettiva che non convince, alcuni magistrati, lesti a segnalare rischi per la sicurezza collettiva. Il Veneto ha deciso di allestirla nell'ospedale dismesso di Negrar, nel Veronese, ma siamo ancora alla fase progettuale. Circostanza stigmatizzata dal sottosegretario alla Salute Vito De Filippo che ha "minacciato" la nomina di un commissario governativo ad hoc. La domanda: dove saranno destinati i malati mentali? "Resteranno, per un anno almeno, negli istituti dove sono ricoverati attualmente: i reparti di Reggio e Castiglione non saranno smantellati, semplicemente verranno riconvertiti in Rems, con regole e protocollo diverso rispetto al passato e noi verseremo le rette per l'assistenza ai pazienti veneti", fa sapere il direttore generale della sanità regionale Domenico Mantoan "d'altronde non è pensabile trasferire persone oggettivamente pericolose in normali strutture ospedaliere". Perché parla di un anno? "Il sito che abbiamo individuato, quello di Negrar, richiede interventi di ristrutturazione e lo Stato ci ha versato i fondi pattuiti, circa sei milioni, solo qualche settimana fa. L'edificio è di nostra proprietà e possiamo avviare i lavori celermente, ma occorrerà almeno un anno pe completarli". Però il partito democratico veneto contesta i ritardi e il Governo tira le orecchie alla Regione, dichiarandola inadempienti e prospettando la nomina di un commissario. "Faccia pure, l'autorità commissariale non potrà fare altro che impegnarsi ad accelerare il cantiere già previsto. Abbiamo lo stesso obiettivo". Veneto: l'Assessore Coletto "sulla chiusura degli Opg noi contrari a soluzioni provvisorie" Ansa, 23 marzo 2015 "Il Veneto è serio, non inadempiente. Noi i malati di mente giudicati pericolosi non li metteremo in lager improvvisati e insicuri, per rispetto della loro dignità e per la tranquillità sociale dei territori". L'assessore regionale alla sanità Luca Coletto commenta così il fatto che il Veneto risulterebbe essere l'unica Regione italiana a non aver ancora individuato una soluzione provvisoria alla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg) prevista per fine mese. "Non si dimentichi - aggiunge - che stiamo parlando di Rems, Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria, provvisorie. Se il Governo vuole soluzioni tipo quelle di alcuni residui manicomiali tristemente assurti agli onori della cronaca anche recentemente, faccia pure. Se ne assumerà tutte le responsabilità". "Il Veneto - aggiunge Coletto - ha già individuato la sede e il progetto per la realizzazione di una nuova struttura definitiva con tutte le caratteristiche necessarie di sicurezza e di umanità, e questo il Governo lo deve sapere bene. È anche bene si sappia che la specifica legge è del 2012, che il Governo ha lasciato dormire la questione per tre anni, e che solo qualche giorno fa i fondi necessari sono stati effettivamente resi disponibili. Ciò significa che, anche partendo oggi con le procedure, occorreranno tra due e quattro anni per vedere l'opera realizzata". "Nel frattempo - conclude - soluzioni raffazzonate costituirebbero solo un'offesa a malati e ai territori. Strutture anche solo lontanamente rispondenti a caratteristiche pur minimali di sicurezza, accoglienza e umanità da usare provvisoriamente in Veneto non ce ne sono. Il Veneto non è inadempiente, è semplicemente contrario alle cose improvvisate e quindi ad alto rischio di essere fatte male". Dap, si potranno dimettere 5-10% dei 700 internati. Sono circa 700 le persone internate negli Opg che a partire da aprile saranno spostate: per una parte di loro sarà possibile la dimissione, mentre gli altri saranno ospitati nelle Rems. "A stabilire se un soggetto può essere dimesso - spiega Roberto Piscitello, responsabile della Direzione generale detenuti e trattamento del Dap, il Dipartimento amministrazione penitenziaria - è la magistratura di sorveglianza sulla base di una valutazione della pericolosità sociale e dei trattamenti seguiti: entro il primo aprile si stima che questa quota sarà tra il 5 e il 10% del totale". Oggi gli Opg sono 6 in tutta Italia, saranno sostituiti dalle Rems, residenze non carcerarie e più propriamente socio-sanitarie, senza sbarre, senza presenza di polizia penitenziaria, che puntano alla riabilitazione. "Nelle regioni più piccole - aggiunge Piscitello - ci sarà una sola Rems, in quelle più grandi ce ne saranno da 3 a 4. Ogni struttura ospiterà fino a 20 persone". Toscana: arrivo di internati psichiatrici da altre regioni? I Radicali: proposta inaccettabile di Massimo Lensi e Maurizio Buzzegoli* www.gonews.it, 23 marzo 2015 "La proposta del sindaco di Volterra, Marco Buselli, a Stefania Saccardi, vicepresidente della Regione Toscana, è senza dubbio sintomatica della scarsa comprensione delle potenzialità contenute dalla legge 81/2014 sul superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Buselli, infatti, candida la città etrusca a ospitare nell'ex padiglione Morel in Borgo San Lazzero, gli internati psichiatrici anche da quelle Regioni che entro il 31 marzo non avranno pronte le strutture alternative per il superamento degli Opg. Regioni che sono, ai sensi della legge 81, a rischio di commissariamento ad acta. Se da un lato non possiamo altro che constatare la buona fede del sindaco di Volterra, città che, a differenza di tante altre, non ha posto ostacoli alla creazione sul suo territorio di una Rems provvisoria (residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza), dall'altra la sua richiesta si scontra con uno dei principi base del superamento degli Opg, quello cioè della regionalizzazione. Comprendiamo lo spirito solidaristico che spinge il sindaco Buselli, ma bisogna capire che la distribuzione degli internati negli attuali sei Opg sulla base dell'appartenenza regionale, è da considerarsi come una vera e propria procedura terapeutica riabilitativa. Consentirà, infatti, una migliore comprensione del disagio psichiatrico del paziente attraverso la sua ricollocazione nel territorio di appartenenza, vicino alla famiglia e agli affetti. La salute mentale è laddove un soggetto può esistere anche attraverso il linguaggio e le relazioni sociali e familiari, laddove può comunicare. Se questo principio venisse meno, assisteremo solo alla regionalizzazione degli Opg e non al loro superamento". * Componenti del Comitato Nazionale e della Direzione Nazionale di Radicali Sicilia: 30 testimoni di giustizia assunti nella pubblica amministrazione, primi in Italia Il Tempo, 23 marzo 2015 Saranno circa trenta i testimoni di giustizia che a fine mese dovrebbero essere assunti dalla regione Sicilia in relazione alla legge che prevede il loro inserimento nella pubblica amministrazione. Lo Stato, ogni anno spende 80 milioni di euro per un esercito di 6.000 persone, tra collaboratori di giustizia, o pentiti (7/800 persone) e testimoni di giustizia (circa 180) a cui si aggiungono familiari e congiunti. Hanno avuto il coraggio di denunciare la mafia, e per questo "ci troviamo a vivere lontani da tutti. Siamo morti che camminano", spiega Ignazio Cutrò, presidente dell'associazione testimoni di giustizia. "Significa essere in guerra da soli contro la mafia. Io lo sono dal 1999 - prosegue - da quando ho fatto la prima denuncia. Ero un imprenditore che lavorava senza problemi e mi sono trovato a dover chiudere l'azienda. Ora vivo di aiuti da parte di parenti e amici. L'azienda ho dovuto chiuderla per le tasse non pagate, ben 38mila euro. Ho chiesto aiuto allo Stato, ma non è arrivato. Voglio ringraziare i carabinieri, sono i soli che ci hanno aiutato, anche nel fare la spesa. Comunque - rimarca - rifarei mille volte quello che ho fatto". Ora, l'associazione ha chiesto un incontro al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, "perché tutti i testimoni di giustizia vengano trattati nella stessa maniera, sia quelli che hanno scelto di vivere in una città diversa da quella di residenza sia quelli che invece sono voluti rimane nella propria città. Chiediamo - aggiunge Cutrò - stessa protezione, stessi diritti. Chi vuole rimanere nella propria terra deve essere tutelato". Attualmente, invece, spiega Cutrò "chi sceglie di trasferirsi si vede riconosciuta mensilità e capitalizzazione, cioè una indennità del danno subito". "Il programma di protezione dei testimoni di giustizia ha prodotto persone disperate", secondo Luigi Coppola, del gruppo testimoni di giustizia campani, che annuncia, per oggi, un sit in permanente sotto al Quirinale "pacifico a oltranza, per chiedere al presidente della Repubblica di sollecitare gli organi preposti ad attuare la legge sull'assunzione dei testimoni di giustizia". Coppola vive a Pompei, aveva un autosalone che dopo la denuncia di estorsione ha dovuto chiudere. Adesso "viviamo di aiuti da parte di parenti e amici in attesa che la legge del 6 febbraio ci permetta l'assunzione nella pubblica amministrazione", afferma. Napoli: Papa Bergoglio tra i detenuti "il primo santo? era un carcerato" di Antonio Mattone Il Mattino, 23 marzo 2015 "Cosa posso fare per voi?", ha chiesto Papa Francesco a Claudio, il detenuto argentino seduto a tavola accanto a lui, confidandogli la possibilità di chiedere misure di clemenza per i carcerati nel Giubileo. La visita di Francesco nella Casa circondariale "Giuseppe Salvia" è stata segnata da questa intenzione espressa durante una chiacchierata confidenziale tra argentini. C'era una grande attesa per la venuta di Bergoglio a Poggioreale. Quando ha fatto il suo ingresso nella chiesa adibita a refettorio è stato accolto da un lungo applauso e dai cori da stadio che a Napoli si cantavano ai tempi di Maradona. Poi ha preso la sua borsa nera, ha tirato fuori una medicina e si è andato a sedere al suo posto. Claudio viene da Mendoza, 40 anni compiuti e una lunga pena da scontare. Sua madre, fervente cattolica, alcuni mesi fa gli ha spedito dall'Argentina un libro scritto da Bergoglio prima di diventare Papa, dal titolo "Mente abierta, Corazon creyente" che lo sta aiutando a riflettere e a ricomprendere i suoi errori. "Mio figlio di 12 anni appena ha saputo che il Santo Padre veniva qui a Poggioreale mi ha scritto: dici al Papa che ti faccia uscire". Parlano in modo familiare i due. Francesco vuole sapere della sua vita, del motivo per cui è finito in carcere. E poi si informa su quello che fanno i volontari con i carcerati. Claudio gli dice che era già stato qui al pranzo di Natale della Comunità di Sant'Egidio, e si riteneva fortunato perché aveva mangiato accanto a un comico di Made in Sud, ma mai avrebbe immaginato di sedere fianco a fianco con papa Francesco. Alfredo che gli sta di fronte gli dice che ha lo stesso nome di suo padre. È stata davvero una grande festa il pranzo con il Papa nella gale-ra più grande dell'Europa occidentale. A tavola, tra i 112 detenuti, all'ultimo momento sono stati inseriti anche quelli che fanno parte della squadra di lavoranti, per sostituire chi è stato scarcerato o trasferito. È la giusta ricompensa per chi in questi giorni ha lavorato senza sosta. Siedono mischiati agli altri anche i detenuti protetti, un fatto impensabile fino a qualche mese fa. Inizia il pranzo servito dai volontari della pastorale diocesana della diocesi. Il Papa mangia con gusto e apprezza. Quando viene intonata "Napul'è" scrosciano gli applausi, mentre il cardinale Sepe si alza e va a dirigere il coro dei volontari. Ma il momento più intenso è stato lo scambio di battute con i detenuti. Alessandro, originario di Policoro in Basilicata, in carcere da 7 anni ma prossimo a tornare a casa dai suoi 2 bambini, gli chiede: "Santo Padre, noi che siamo marchiati a vita, emarginati, esclusi da tanti percorsi di inserimento troveremo accoglienza fuori da queste mura?". E il Papa gli risponde: "Hai messo il dito nella piaga: l'inaccoglienza è una delle più grandi crudeltà della società odierna, come l'ergastolo, e bisogna fare un grande lavoro di educazione conia gente". È un esplicito richiamo alla misericordia quello di Bergoglio: "Tutti noi nella vita abbiamo commesso un almeno un peccato. Nessuno può dire di non aver motivi per essere carcerato, io per primo. Perché voi si e io no?" si chiede il Papa. E poi continua con una metafora sportiva: "La vita è come il calcio e il portiere deve prendere il pallone da dove viene, così ciascuno di voi". Quello di papa Francesco è un grande incoraggiamento ai detenuti. Chiede a tutti di scommettere sul futuro e di andare avanti. Il detenuto argentino gli domanda come fare per poter continuare a superare le tentazioni che lo aspettano quando sarà libero, senza gli aiuti di chi lo sostiene in carcere. Francesco ricorda un canto alpino che dice "l'arte di salire non è non cadere, ma non restare a terra". "È facile cadere - continua - ma bisogna rialzarsi subito. Se tu cadrai, rialzati nel tuo giardino di Mendoza". Ad un certo punto è Bergoglio stesso a fare una domanda al ragazzo: "Tu sai chi è stato il primo santo canonizzato nella chiesa? Un carcerato". E cita il Buon ladrone, condannato a morte ma assolto da Gesù sulla Croce. Poi si fa ora di andare via. Francesco sale sulla papamobile, percorre i viali interni del carcere per un ultimo saluto ai detenuti che sono rimasti nelle loro celle. Pordenone: nuovo carcere a San Vito al Tagliamento, impossibile tornare indietro www.ilpopolopordenone.it, 23 marzo 2015 La costruzione del nuovo carcere a San Vito al Tagliamento dovrebbe prendere il via nel prossimo autunno e concludersi in 625 giorni; la scorsa settimana è infatti scaduto il termine di presentazione delle offerte per la progettazione esecutiva e la effettiva costruzione della struttura carceraria. Il Commissario straordinario del governo per le infrastrutture carcerarie, Prefetto Angelo Sinesio, giunto a San Vito nei giorni scorsi, ha riferito che sono state 10 le offerte presentate a seguito del bando. Si è trattato di una gara d'appalto europea per un valore dei lavori stimato in 25 milioni e 568 mila euro, iva esclusa, per il quale si sono presentate unicamente aziende italiane. "I lavori dovrebbero avere inizio il prossimo ottobre, salvo ricorsi, che saranno invece molto probabili - ha affermato Sinesio. Nessun intoppo invece a livello politico, la decisione è stata presa, non si torna indietro, la procedura è oramai soltanto amministrativa ed è stata avviata. Sono già state spese risorse per progettazione preliminare e vari adempimenti, tornare indietro è impensabile". In questi giorni una commissione sta valutando le offerte pervenute e l'aggiudicazione dell'appalto avverrà in 90 giorni, questo per consentire di esaminare la notevole mole di documenti presentati. Ci vorranno successivamente altri 15 giorni per completare la documentazione da parte della ditta vincitrice della gara, cui seguirà un altro mese per la firma del contratto ed altri 30 giorni per completare il progetto e per la sua approvazione definitiva. "Si tratta del primo carcere realizzato attraverso il recupero di una struttura dismessa dello Stato - continua Sinesio - un carcere modello, che potrà ospitare 300 persone, concepito come un luogo non solo di detenzione, ma realizzato secondo la concezione moderna di penitenziario, rivolto al recupero dei detenuti". Messina: Opg di Barcellona e Rems, le criticità al vaglio della Radicale Rita Bernardini www.messinaora.it, 23 marzo 2015 Lungo weekend siciliano per la segretaria di Radicali Italiani Rita Bernardini, che sabato mattina con una delegazione di attivisti di Messina, Catania e Palermo ha fatto visita agli internati dell'Opg di Barcellona Pozzo di Gotto, in vista della chiusura della struttura che al momento ospita 133 detenuti. Dall'1 aprile, infatti, saranno i Rems (residenze per le esecuzioni delle misure di sicurezza, gestite dalla sanità territoriale in collaborazione col Ministero della Giustizia) a sostituire gli ospedali psichiatrici, anche se il numero delle strutture appare già insufficiente per garantire un passaggio "indolore" per gli utenti e per il personale sanitario e gli agenti penitenziari. Basti pensare che ogni Rems può ospitare fino a 20 persone. E in Sicilia, che addirittura è considerata tra le più esemplari per il rispetto dei tempi previsti (che da marzo 2013 sono stati prorogati al 1 di aprile 2015 ) sono solo due e addirittura definite "temporanee", una a Caltagirone (Ct) e una a Naso (Me). "A questa direzione non è pervenuto nulla di ufficiale"- ha sottolineato il direttore dell'Opg Nunziante Rosania, che accompagnando la delegazione radicale ha espresso forte preoccupazione per il futuro degli internati e non solo. "Per il personale sanitario si attende il transito della Medicina Penitenziaria al servizio sanitario regionale (Dpcm del 1 aprile 2008) e non ci sono certezze per medici e infermieri fin adesso contrattualizzati su base libero-professionale. Per il personale di custodia e amministrativo si attende invece l'implementazione della progettata conversione dell'Opg in "Casa di reclusione" - conclude Rosania. I numeri, del resto, mostrano i limiti della prospettiva offerta dalle Rems: dal 1 gennaio, nonostante la prevista dismissione, all'Opg di Barcellona ci sono stati 21 ingressi, 10 dei quali da altri istituti; 72 sono gli internati siciliani ( 23 per i quali non è previsto alcun progetto), 21 provenienti dalla Puglia, 32 dalla Calabria, 3 dalla Basilicata, 1 dalla Campania e 1 addirittura dal Piemonte, 3 infine, senza fissa dimora. Ma questo dato era già stato preso in considerazione dallo stesso ministro Lorenzin quando, nella relazione presentata al Parlamento nell'ottobre del 2014, aveva sottolineato che "il numero complessivo dei posti letto nelle strutture in esame che si prevede di realizzare sono 990, con una articolazione di strutture residenziali a differente livello di intensità assistenziale. Tale numero è inferiore al numero dei soggetti destinatari delle misure di sicurezza al 31/12/2011. La riduzione, come già detto, è dovuta alla progressiva attivazione dei programmi di dimissione, che hanno consentito l'uscita dagli OPG dei soggetti "dimissibili"." I dati raccolti in questo weekend andranno a comporre un report che i Radicali presenteranno in una conferenza stampa alla Camera, seguita alle visite che sono state effettuate in tutti i sette Opg italiani: Castiglione delle Stiviere (Mantova), Aversa (Caserta), Montelupo Fiorentino (Firenze), Napoli, Salerno, Reggio Emilia e, ovviamente Barcellona Pozzo di Gotto (Messina). "Non possiamo che evidenziare la grande umanità che contraddistingue il lavoro del direttore Rosania in questa struttura, anche grazie al prezioso contributo di Don Pippo Insana - ha dichiarato Rita Bernardini, nel corso della conferenza stampa seguita alla visita - Nonostante i limiti del sistema imposto dalla carcerazione, abbiamo riscontrato che hanno un rapporto individuale con ciascun detenuto. Senza negare la mancanza di attività trattamentali, denunciate dallo stesso direttore, la cui esperienza, in campo amministrativo ma soprattutto sanitario, riteniamo preziosa per coordinare il passaggio ai Rems anche a livello nazionale. E in questo senso ci spenderemo presso il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, affinché non si disperda il know how acquisito negli anni". Restano sul tappeto le perplessità sul Rems di Naso, condivise sia dall'esponente radicale che dal direttore dell'Opg. Partendo anche dalla logistica: poiché sia per i familiari che per il personale il posto è difficilmente raggiungibile, e persino la strada di accesso è dissestata, come testimoniano alcuni operatori dell'Opg barcellonese. E la visita si chiude con un interrogativo tutto "politico": ovvero come mai è stato scelto il comune di Naso. Un solo piano del vecchio ospedale, per 20 posti letto. Una struttura isolata, a cui sono stati assegnati 3.166.772 euro dei 18,11 destinati dal ministero all'adeguamento dei presidi ospedalieri dismessi, che da programma dovevano essere 3 per complessivi 80 posti letto, distribuiti in 4 strutture situate oltre che a Messina, a Catania e Caltanissetta. Naso sarà la prima Rems ad aprire i battenti, come annunciato nei giorni scorsi dal primo cittadino Daniele Letizia, che, però attraverso la Gazzetta del Sud ha informato che "l'appalto dovrebbe essere bandito tra pochi mesi dall'Urega di Messina, e che si attende solo la disponibilità finanziaria della somma assegnata". Certamente non è da sottovalutare l'apporto di due esponenti della politica locale, in primis Giuseppe Laccoto (Pd) Componente Commissione VI - Servizi Sociali e Sanitari e da poco nominato con Bernadette Grasso (FI) nella sottocommissione Ars per verificare i requisiti di accreditamento delle case di cura private. Nuoro: il Magistrato di Sorveglianza "disumane le condizioni di detenzione di Bagarella" di Pier Luigi Piredda La Nuova Sardegna, 23 marzo 2015 Il Giudice di Sorveglianza accoglie le richieste dei difensori del boss mafioso. "Schermatura dalle telecamere interne per il bagno alla turca in cella". La detenzione nel carcere di Badu e Carros di Leoluca Bagarella, mafioso di Corleone, cognato del boss dei boss Totò Riina, è troppo dura e soprattutto ai limiti della sopportazione umana. E deve cambiare, soprattutto per quanto riguarda i controlli 24 ore su 24 dei suoi movimenti nella cella con le telecamere e una protezione per la "turca", il water sistemato al centro della gabbia proprio accanto al letto. Ma se nel carcere nuorese non c'è una cella idonea che possa ospitarlo e permettere che la sua detenzione sia umanamente sopportabile e rientri nei canoni previsti dall'ordinamento carcerario, allora il detenuto deve essere trasferito altrove. Il magistrato del tribunale di sorveglianza di Nuoro, Adriana Carta, ha accolto le istanze dei difensori, le avvocatesse Antonella Cuccureddu del Foro di Sassari e Fabiana Gubitoso del foro dell'Aquila, e, dopo aver anche incassato il parere favorevole del pubblico ministero (nell'aula era presente il procuratore della Repubblica, Andrea Garau) ha predisposto un'ordinanza con due punti ben precisi che dovranno essere rispettati dalla direzione della casa circondariale di Nuoro e dal Dap (dipartimento di amministrazione penitenziaria). Il magistrato ha ordinato alla direzione di Badu e Carros di provvedere alla schermatura visibile e urgente delle videocamere di sorveglianza inserite all'interno della stanza detentiva di Leoluca Bagarella con termine per l'adempimento di 15 giorni e l'obbligo di comunicare l'avvenuta ottemperanza del provvedimento. Ma Adriana Carta ha anche ordinato al Dap di provvedere entro 30 giorni di assegnare il detenuto a una idonea struttura penitenziaria dove possa essere ristretto in una cella adeguata e fornita di servizi igienici corrispondenti ai minimi stabiliti dall'ordinamento penitenziario. Una battaglia cominciata nel mese di settembre, quando le avvocatesse Cuccureddu e Gubitoso avevano presentato un'istanza al tribunale di sorveglianza per lamentare "le inumane condizioni di detenzione del loro assistito" sottolineando alcune situazioni che andavano a collidere con la Convenzione europea. Prima dell'udienza, Leoluca Bagarella ha inviato, tramite i suoi legali, altre lamentele ben circostanziate che hanno rafforzato il quadro e convinto il magistrato di sorveglianza a predisporre l'ordinanza che potrebbe anche mettere in discussione tutto l'impianto del 41 bis, un regime carcerario durissimo che però presenta in alcuni casi dei problemi per i detenuti. Leoluca Bagarella è ristretto nella stessa area in cui per lunghissimo tempo era stato detenuto il camorrista Antonio Jovine, che dopo il suo pentimento è stato immediatamente trasferito in un'altra struttura segretissima a disposizione dei magistrati ai quali sta raccontando le storia terribile del clan dei Casalesi. Reggio Calabria: una delegazione del Pd ha visitato la Casa circondariale di San Pietro Ansa, 23 marzo 2015 Una delegazione del Pd guidata dall'on. Micaela Campana insieme al capogruppo alla Regione Seby Romeo, al capogruppo al Comune Antonino Castorina e al vice presidente della Commissione Statuto e Regolamento del Comune di Reggio Calabria Rocco Albanese, ha visitato la casa circondariale di San Pietro di Reggio Calabria. La delegazione è stata accolta dalla direttrice del carcere Maria Carmela Longo che ha seguito il gruppo durante la visita dell'intero istituto. "L'istituto, ben organizzato - è scritto in una nota - si è presentato in condizioni ordinate con un alta professionalità del personale operante. Non sono emersi fenomeni di sovraffollamento come nella maggior parte degli istituti italiani e la vita interna alla struttura si svolgeva in modo sereno". "Il Partito Democratico - conclude la nota - si farà carico di interfacciarsi con la regione Calabria per supportare un sistema integrato per una maggiore salute in carcere e di promuovere progetti pilota per un coinvolgimento attivo dei detenuti in attività di formazione in ottemperanza ai principi costituzionali". Cagliari: Maria Antonietta Mongiu (Fai): carcere Buoncammino restituito alla comunità La Nuova Sardegna, 23 marzo 2015 Le visite del Fondo italiano per l'ambiente nella due giorni di primavera quest'anno giunta alla ventitreesima edizione.. Buoncammino apre le porte al pubblico. A soli 4 mesi dalla chiusura col trasferimento dei detenuti a Uta, il Fai, Fondo ambiente italiano, ha organizzato per ieri e oggi visite guidate nell'ex casa circondariale, presa d'assalto già dalla tarda mattinata da centinaia di visitatori. "Un evento storico e straordinario per la città - ha commentato la presidente del Fai regionale, Maria Antonietta Mongiu - Buoncammino non è solo un luogo che è stato di sofferenza, ma una delle strutture di maggior pregio dal punto di vista architettonico e sorge in uno dei luoghi più panoramici di Cagliari". Quella di Buoncammino è la tappa cagliaritana delle Giornate Fai di Primavera, la campagna in difesa dei beni culturali giunta all'edizione numero 23. "Oggi dalle 10 alle 20 i visitatori potranno ripercorrere a gruppi, accompagnati dai volontari e ciceroni di ogni età, il percorso dei detenuti, dal loro ingresso all'immatricolazione alla visita medica, in un itinerario fino alle celle oggi deserte che hanno ospitato, tra gli altri, Emilio Lussu", ha spiegato ancora Mongiu. Al taglio del nastro ieri erano presenti il governatore Francesco Pigliaru, il sindaco Massimo Zedda, il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria Gianfranco De Gesu, il neo rettore dell'università Maria Del Zompo, alla prima uscita pubblica dopo l'elezione, e Gianfranco Pala, ultimo direttore di Buoncammino e attuale direttore di Uta. "Tutti d'accordo sul fatto che si debba scongiurare il pericolo del degrado e la struttura debba essere aperta e resa fruibile dalla collettività", ha aggiunto Mongiu". "Questo luogo è rimasto chiuso per oltre cento anni, l'apertura di oggi è straordinaria per tante ragioni - ha commentato Pigliaru - È soprattutto la grande occasione per pensare un progetto che conservi la memoria di quello che è stato ma lo restituisca alla comunità: ed è difficile pensare al futuro senza un ruolo cruciale dell'ateneo, che ha enorme bisogno di spazi per crescere e diventare ancora più importante". E sulla futura destinazione il governatore non ha dubbi. Il confronto, ha spiegato, "non può avvenire tra pochi, dentro stanze chiuse: per questo la Regione vuole favorire un dibattito che dia vita a una progettazione partecipata. Così entro breve inseriremo online una piattaforma web che metta al lavoro l'intelligenza collettiva". Altrettanto chiaro l'ex governatore Cappellacci: "Il bene deve passare nelle mani della Regione e reso fruibile da tutti, non a pochi eletti che già stanno pregustando l'idea di un ufficio con vista panoramica sul capoluogo". "Buoncammino - ha sottolineato l'esponente di Fi - deve portare benefici a una città che deve riscoprire il proprio ruolo da protagonista sullo scenario nazionale ed internazionale". Foggia: Sappe; tre detenuti con problemi psichiatrici distruggono le celle ospedaliere Gazzetta del Mezzogiorno, 23 marzo 2015 Danneggiate alcune celle degli ospedali riuniti dove vengono portati e rinchiusi i detenuti malati o hanno bisogno di visite specialistiche. La denuncia è di Federico Pelagatti, segretario nazionale del "Sappe", sindacato autonomo di polizia penitenziaria che parla di 3 episodi registrati negli ultimi 15 giorni. "Sarebbero accaduti in questo lasso di tempo" usa il condizionale il sindacalista "almeno tre episodi in cui detenuti affetti da problemi psichiatrici avrebbero devastato le stanze di degenza", che si trovano al quinto piano degli ospedali riuniti, nel "blocco" del pronto soccorso: sono state riaperte da qualche tempo. "Nel primo caso un detenuto" si legge nella nota del "Sappe" "avrebbe completamente distrutto il muro in cartongesso che divide la prima stanza dal bagno: nel secondo un altro detenuto avrebbe demolito un muro, sempre in cartongesso, della stanza numero 3, facendo emergere lo scheletro del muro costituito da lamine taglienti, molto pericolose sia per l'incolumità dei poliziotti addetti alla vigilanza sia dello stesso detenuto". Quanto all'ultimo episodio "un detenuto avrebbe utilizzato la rete del letto a mò di ariete contro il muro e il cancello che fortunatamente ha retto l'urto, altrimenti le conseguenze potevano essere anche drammatiche. In questo caso i poliziotti penitenziari addetti alla vigilanza hanno dovuto chiedere l'arrivo di rinforzi". Alla luce di questi episodi, il segretario nazionale del Sappe chiede al direttore del carcere foggiano, al provveditore regionale del Dipartimento amministrazione penitenziaria ed alla dirigenza degli ospedali riuniti di "porre in essere, ognuno per la propria parte di competenza, tutte le misure necessarie per migliorare la sicurezza del reparto". Quali misure? "Ripristinare i divisori con muri in cemento o mattoni; ancorare i letti al pavimento per evitare che siano usati come arieti per sfondare i muri; sistemare i servizi igienici per evitare che non siano divelti con facilità; sistemare le telecamere dì vigilanza per evitare che i detenuti possano raggiungerle; impiegare un adeguato numero di poliziotti penitenziari per la vigilanza di chi viene scortato nelle celle ospedaliere, soprattutto quando si parla di detenuti con gravi problemi psichiatrici o appartenenti alla criminalità organizzata, questo al fine" conclude la nota del sindacato "di evitare eventi clamorosi e drammatici quali evasioni o aggressioni che metterebbero a repentaglio la vita dei poliziotti penitenziari in servizio, nonché di personale e degenti dell'ospedale". Genova: "Vivicittà Porte Aperte", l'azzurra Emma Quaglia corre con i detenuti di Marassi www.genova24.it, 23 marzo 2015 Parte ufficialmente oggi la 32° edizione di Vivicittà, la manifestazione podistica internazionale organizzata dall'Uisp in 40 città italiane e 20 nel mondo, con la quarta edizione di "Vivicittà Porte Aperte". Si correrà (il via alle ore 15) lungo un percorso da anello, dal cortile interno al perimetro esterno del Carcere di Genova Marassi. Ai nastri di partenza oltre 20 detenuti della casa circondariale ed altrettanti podisti in rappresentanza del tessuto associativo della Lega atletica dell'Uisp genovese. A correre insieme ai detenuti ci sarà un'atleta d'eccezione, alla sua seconda esperienza con Vivicittà Porte Aperte: Emma Quaglia, sesta ai Mondiali di Maratona di Mosca 2013, argento a squadre agli Europei di Zurigo 2014. Si correrà lungo un tracciato di circa 3 chilometri, percorrendo un circuito che attraverserà le mura dell'Istituto: dall'interno del carcere si uscirà infatti per correre anche lungo piazzale Marassi e via Clavarezza, sotto la Gradinata Nord dello stadio Luigi Ferraris. Oltre il podismo anche il calcio, infatti nella stessa giornata, si giocherà un torneo di calcio a 7 sul campo interno all'istituto, arbitrato da alcuni detenuti che hanno seguito e superato il corso arbitri organizzato dalla Lega calcio Uisp. La manifestazione è organizzata dal Comitato Uisp di Genova e dalla Direzione della Casa Circondariale di Genova Marassi, con la collaborazione del Corpo di Polizia Penitenziaria, con l'intento di gettare un "ponte" tra l'esterno e l'interno delle mura dove l'Uisp è presente tramite le azioni dell'omonimo progetto, inserito all'interno delle azioni dell'ATS regionale Giustizia. Dopo Genova, "Vivicittà Porte Aperte" si correrà anche in altre 18 istituti penitenziari e minorili: Aosta, Biella, Brescia, Busto Arsizio (Va), Cagliari, Cassino (Fr), Catanzaro, Civitavecchia, Cremona, Ferrara, Firenze, Milano, Palermo, Parma, Reggio Emilia, Roma, Torino, Voghera (Pv). La 32° edizione di Vivicittà a Genova si svolgerà poi domenica 12 aprile 2015, nella Fascia di Prà e nel Porto commerciale di Voltri Prà: gara di 12 km, non competitiva Radio 19 Run di 4 km e, quest'anno, anche la passeggiata di 2 chilometri Run for Parkinson's. Dettagli e iscrizioni on line sul sito www.vivicittagenova.it. Verona: colombe dal forno del carcere, grazie ad un contributo della Fondazione Cariverona di Alessandra Gaietto L'Arena, 23 marzo 2015 Grazie a un progetto quattro detenuti producono un'ampia gamma di prodotti. Tutti acquistabili. Per le prenotazioni basta chiamare la Cooperativa Vita. Intanto scontano la pena. "Una grande soddisfazione professionale" Per loro il pensiero di andare al lavoro non è la gravosa incombenza del risveglio, ma l'idea capace di dare forza e sostegno anche ai momenti più bui della giornata. Luca, Valerio, Maurizio e Kevin aspettano con trepidazione l'ora di lasciare le loro celle e spostarsi nel forno che è stato allestito qualche anno fa nella sezione maschile del carcere di Montorio, grazie ad un contributo della Fondazione Cariverona. Hanno seguito un corso di formazione di cinque anni, per un totale di 600 ore tra aula e laboratorio, e oggi sono in grado di produrre pane, pizza, focacce ma anche dolci da fare invidia alle più rinomate pasticcerie. Provare per credere. Come? Acquistando per esempio una delle colombe che i detenuti stanno realizzando in carcere in questo periodo. Si tratta del progetto "Oltre il forno", nato da un corso di formazione partito nel 2011 e allora organizzato dalle associazioni Microcosmo e La Libellula, e oggi portato avanti dalla cooperativa sociale Vita. Il progetto coinvolge quattro detenuti, due con un contratto a tempo indeterminato (stanno scontando pene molto lunghe) e due a tempo determinato. Ogni giorno producono un'ampia gamma di prodotti da forno, dolci e salati, per cercare di costruirsi un futuro una volta scontata la pena. In questo periodo le loro colombe possono essere acquistate, oltre che direttamente in carcere, nella sede della cooperativa Vita, in vicolo Torcoletto 18 (una traversa di stradone San Fermo). Si tratta di colombe artigianali, che hanno il profumo del lievito madre e la morbidezza di una lievitazione naturale di 30 ore, fatte con materie prime selezionate. Sono il frutto di un lavoro artigianale di qualità e raccontano la vita di chi, in carcere, attraverso l'impegno, vuole ripartire nella vita. Ma chi apprezzerà queste colombe deve sapere che è anche possibile ordinare e acquistare il pane, le pizze, le focacce o biscotti artigianali. I detenuti hanno più volte preparato anche buffet per privati o aziende, e il risultato è stato eccellente. "C'è una grande soddisfazione professionale nel vedere con quanta specializzazione i detenuti lavorano nel forno", spiega il presidente della cooperativa Vita Giorgio Roveggia. "Il prodotto che realizzano è di altissima qualità e ha ottenuto già molti riconoscimenti: senza conservanti, fatto seguendo le ricette del passato, con tutto il tempo e la cura necessaria. Noi restiamo sempre sorpresi e siamo felici nel vedere quanto gli stessi detenuti che lavorano siano poi gelosi della loro ricetta: non vedono l'ora di uscire dalla cella e lavorare, anche perché questo resta il loro principale contatto con la vita. Ci sono anche tante contraddizioni e intoppi burocratici con cui ci troviamo a scontarci, ma ne vale la pena. Per esempio, essendo il loro un contratto di lavoro regolare, devono avere anche le ferie, che nel loro caso significano dover restare in cella e non poter lavorare. Ma insomma il progetto è una grande risorsa: se è vero che il carcere deve essere riabilitazione, il lavoro ne è lo strumento primo e indispensabile". Per informazioni e prenotazioni di colombe o altro è possibile chiamare la Cooperativa Vita al numero 045.8034931 (dalle 8,30 alle 13 e dalle 14 alle 17) o scrivere a oltreilforno@gmail.com. Droghe: giovedì primo summit di ottanta deputati e senatori per legalizzare la cannabis di Carlo Bertini La Stampa, 23 marzo 2015 Sarà una "prima" a tutti gli effetti: decine di parlamentari di vari partiti si vedranno questa settimana per provare a stendere un testo trasversale su un tema sensibile come la legalizzazione della cannabis. Giovedì pomeriggio si terrà alla Camera un "Intergruppo" di ottanta deputati e senatori, un'iniziativa promossa da Benedetto Della Vedova, sottosegretario agli Esteri, con una storia personale di militanza con i Radicali. E sarà fatta una prima ricognizione dei progetti di legge depositati e delle varie posizioni. Finora hanno aderito deputati del Pd, dai renziani Giachetti e Realacci, a Civati e Fassina della sinistra, di M5S, Sel, Psi, Scelta Civica; e anche Antonio Martino, liberale di Forza Italia. L'idea nasce dopo che la Direzione Nazionale Antimafia, nella relazione del 25 febbraio scorso, ha ammesso che le politiche proibizioniste sono fallite, suggerendo in sostanza una depenalizzazione dei reati connessi all'uso e consumo della cannabis. A quel punto Della Vedova ha inviato una lettera ai parlamentari. "C'è stato un numero di adesioni al di là delle previsioni e spero in una maggiore partecipazione dei partiti della destra. Contiamo di arrivare ad una proposta di legge trasversale". Se si arriverà ad un testo comune, sarà presentato alle commissioni Giustizia e Affari sociali. Tra i progetti di legge già depositati, alcuni propongono la depenalizzazione dell'autoproduzione e della cessione gratuita, altri l'autorizzazione della produzione e della vendita.