Giustizia: arrivano i magistrati-ministri, così la politica si arrende di Angelo Panebianco Corriere della Sera, 22 marzo 2015 Matteo Renzi ha scelto di seguire gli umori popolari nella vicenda che ha portato alle dimissioni di Lupi da responsabile delle Infrastrutture. In realtà più urgente sarebbe il provvedimento che riguarda l'uso delle intercettazioni. Fra i nomi che circolano sui possibili sostituti di Maurizio Lupi al ministero delle Infrastrutture ci sono anche quelli di due magistrati, Raffaele Cantone, attuale presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, e di Nicola Gratteri (che Renzi avrebbe voluto alla Giustizia quando nacque il suo governo). Già una volta un magistrato occupo' quella poltrona (Antonio Di Pietro all'epoca del governo Prodi, 2006-2008). Non andrà forse così ma l'ipotesi è verosimile. Quando i politici vogliono mettersi al riparo da attacchi giudiziari e vogliono compiacere la piazza giustizialista affidano la poltrona che più scotta a un magistrato, riconoscendo così, anche ufficialmente, la propria debolezza, la subalternità della politica al potere giudiziario. Nella vicenda Lupi (come ha osservato Antonio Polito sul Corriere di ieri) Renzi ha scelto di sposare gli umori della piazza, esponendosi così all'accusa di opportunismo, di essere uno che usa due pesi e due misure, salvando (politicamente) o condannando a seconda delle sue convenienze. Per evitare ciò, che cosa avrebbe potuto fare? Avrebbe forse potuto contrapporsi alla piazza tirando fuori di tasca la bomba atomica: un decreto legge che ponesse immediatamente fine a un ventennio di diffusione arbitraria di intercettazioni giudiziarie. Altro che il solito "disegno di legge" sulle intercettazioni (ce n'è uno in pista anche ora, l'ennesimo), destinato presumibilmente a fare la fine di tutti quelli che, in questi vent'anni, l'hanno preceduto. Prendiamo le ventuno democrazie occidentali più consolidate (quelle che sono tali con continuità dalla fine della Seconda guerra mondiale). Quante volte, diciamo negli ultimi dieci anni, plausibilmente, ministri di queste ventuno democrazie hanno fatto telefonate simili a quelle che sono costate il posto a Lupi? Vogliamo essere prudenti? Vogliamo dire "solo" decine e decine di volte? E in quanti casi, simili telefonate, intercettate dall'autorità giudiziaria, sono diventate pubbliche ponendo fine alla carriera del ministro? Ma - dicono quelli che non ne hanno un'idea - il fatto che l'Italia faccia un siffatto uso, pubblico ed extraprocessuale, di intercettazioni giudiziarie è segno che il nostro è il Paese più democratico del mondo. Decidetevi: il nostro è il Paese più democratico o è il più corrotto del mondo? Non si possono sostenere insieme tutte e due le cose. Salvo credere che un alto tasso di corruzione sia un indicatore di elevata democraticità. In realtà, l'Italia non è né il Paese più democratico né quello più corrotto. Però, ha due particolarità. In primo luogo, possiede un sistema normativo criminogeno, un guazzabuglio di norme che, da un lato, è esso stesso creatore di reati e, dall'altro, non rappresenta un deterrente efficace contro i mariuoli. Cito da Luigi Ferrarella (Corriere di ieri): "Un codice degli appalti di 1.560 commi (più 1.392 del regolamento di attuazione) modificato in 560 punti in 8 anni". Bisognerebbe affrontare il problema in due mosse. Prima mossa: decidere l'abolizione di tutte, nessuna esclusa, le norme suddette. Seconda mossa: riempire il vuoto con pochissime norme che risultino chiarissime, comprensibilissime, anche da parte di persone prive di un'alta istruzione. Forse allora la corruzione (quella vera) potrebbe essere colpita in modo efficiente, forse si potrebbe disporre di un vero deterrente. Ma non si può fare. Perché? Perché in tal caso l'Italia cesserebbe presto, probabilmente, di figurare nella hit parade dei Paesi più corrotti del mondo, ossia smetterebbe di auto-percepirsi come tale, e ciò distruggerebbe carriere (avvocati senza più lavoro, giustizialisti di professione senza più argomenti), e manderebbe in paranoia quegli italiani che si crogiolano nell'idea che il loro Paese sia in cima alla suddetta classifica. La seconda peculiarità riguarda ovviamente, da vent'anni, l'uso politico (contro indagati e contro non indagati) delle intercettazioni giudiziarie. Pier Luigi Bersani ha ora lamentato tale andazzo e ha ragione. Però, quando era potente, non fece nulla in merito: forse perché allora il sistema serviva soprattutto per colpire Berlusconi e i suoi? Nonostante la prudenza con cui tratta la questione giustizia, il governo Renzi ha già sperimentato l'ostilità dei rappresentanti sindacali della magistratura. Le norme del governo sulla responsabilità civile dei magistrati - questo lo sappiamo tutti - avranno effetti scarsi o nulli. Al contrario, una buona legge sulle intercettazioni cambierebbe tanto nella politica italiana. È la ragione per cui è così difficile metterci le mani. Giustizia: patto tra Renzi e Pm, il nuovo "Nazareno" di Errico Novi Il Garantista, 22 marzo 2015 Il premier ha pagato pegno con lupi. La ricevuta: scagionato il padre, che era stato preso in ostaggio. Ora forse un ministero per Gratteri. Forse neppure si rende conto di essersi cacciato in un vicolo cieco. Certo è che il siluramento di Lupi rischia di mettere il premier in una complicata posizione sul tema giustizia. Adesso è stato creato un "mostro", Lupi appunto. Anche grazie al carico da novanta dell'appartenenza a Comunione e Liberazione. Ma soprattutto, con questo killeraggio Renzi e i suoi hanno esposto l'intero Ncd alla gogna mediatica. Adesso, si dà il caso che il partito di Angelino Alfano sia il contrappeso anti-forcaiolo del governo. Il Nuovo centrodestra è schierato in modo chiarissimo in tutti i provvedimenti che chiamano in causa le garanzie processuali. Ha avuto un ruolo chiave sulla responsabilità civile: è stato Giovanardi a proporre un emendamento sulla responsabilità contabile che ha reso effettivo l'obbligo di rivalsa sui magistrati che sbagliano. Ora gli alfaniani sono in trincea sulla prescrizione, di cui l'aula di Montecitorio discuterà martedì: chiedono di attenuare alcune norme per evitare che certi reati di corruzione "sopravvivano" per oltre un quarto di secolo. Cosa succederà se il Pd desse spazio alle istanze dell'alleato centrista? Se avvenisse, i renziani rischierebbero di auto assegnarsi la patente di complici del malaffare, vista la demonizzazione di Lupi e, per estensione, di tutto il suo partito. Il Pd rischia insomma di dover assumere un profilo ultra-giustizialista. Se non lo fa, cade nella trappola che esso stesso ha approntato. Di fatto, si è messo nelle mani delle Procure. Della magistratura che, come dicono gli alfaniani arrabbiati, decide chi deve restare in piedi e chi va abbattuto. E questa autoconsegna di Renzi ai giudici rischia di provocare addirittura l'assegnazione del ministero che fu di Lupi a qualche pm. L'altro ieri il premier ne ha incontrato uno con cui da tempo intrattiene un rapporto controverso, Nicola Gratteri. Procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Gratteri presiede una commissione nazionale istituita a Palazzo Chigi per proporre riforme nel campo dell'Antimafia. Si è allargato un po' e ha partorito un disegno in 130 articoli che abbraccia vari aspetti della materia penale, e che quasi rende superflua l'esistenza del ministro della Giustizia "ufficiale", Andrea Orlando. Renzi ha sondato la disponibilità di Gratteri ad assumere l'incarico di ministro delle Infrastrutture. Si tratterebbe di una carta di riserva, in realtà. La prima scelta del premier era Raffaele Cantone, che ha declinato. E comunque, al momento, prima di Gratteri c'è in pole position Graziano Del Rio. Un fedelissimo grazie al quale si potrebbe evitare lo spacchettamento del ministero, e cioè il trasferimento a Palazzo Chigi della Struttura di missione sulle Grandi opere (l'ex regno di Ettore Incalza). Certo, le Infrastrutture nelle mani di Del Rio esporrebbero lo stesso premier a rischi giganteschi. Ogni ombra sulla gestione degli appalti, degli incarichi, ogni scelta per le direzioni dei lavori sarebbero contestate direttamente al Capo del governo. È il tarlo che corrode Renzi in queste ore. Ed è uno degli aspetti più evidenti del ginepraio in cui si è cacciato. È vero che a poche ore dalle dimissioni di Lupi Renzi incassa subito un bel risultato: la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura di Genova nei confronti di suo padre Tiziano. Ma c'è poco da stare allegri. Se il tenore del tacito patto tra il presidente del Consiglio e la magistratura arriva fino al punto da riflettersi nella clemenza che quest'ultima riserva ai familiari di Renzi, le cose (per Renzi stesso) rischiano di mettersi malissimo. Addio garantismo, in ogni caso: il Pd può scordarselo. C'è un conto da saldare subito e riguarda la prescrizione. L'ultima fase delle votazioni sarà trasmessa in diretta tv dalle 14.30 di martedì. Renzi non potrà fare alcuna concessione alle richieste garantiste dell'Ncd. E anzi, il "no" quasi inevitabile dei deputati alfaniani sul provvedimento che allunga i tempi dei processi rischia di essere per la maggioranza la prima vera certificazione della crisi. Che i margini di manovra siano praticamente azzerati per i dem, lo chiarisce il presidente del Senato Pietro Grasso. Il quale durante la marcia di "Libera" a Bologna dice che con il ddl anticorruzione, di cui è primo firmatario, ha "piantato una bandierina". E aggiunge: "Cercheremo di andare avanti e di far sì che queste norme non vengano annacquate per renderle assolutamente non efficaci". Ecco: se l'Ncd riuscisse a piazzare emendamenti garantisti, l'ala forcaiola del Pd parlerebbe subito di annacquamento. E Renzi a quel punto capirebbe definitivamente di essere senza via d'uscita. Giustizia: il garantismo di Renzi come lo yogurt, ha la scadenza di Margherita Boniver Il Garantista, 22 marzo 2015 Si è consumato l'ultimo atto di una vicenda, quella delle dimissioni di Maurizio Lupi, dai profili inquietanti e dai contorni soffusi di robusta e dilagante ipocrisia. Colpisce la velocità delle mosse e delle indiscrezioni scaturite dalla mega inchiesta della Procura di Firenze che di fatto regala al premier Renzi le chiavi di un ministero assai appetibile, soprattutto alla vigilia di Expo. Le dimissioni erano sembrate subito l'unico sbocco per un personaggio come Lupi, che non è riuscito ad ottenere neppure una difesa d'ufficio da parte del suo partito scosso dal secondo episodio di dimissioni "spontanee" dopo quelle di Di Girolamo e che si interroga su chi sarà il prossimo caso. In uno stralunato passaggio del suo discorso di addio, Lupi dice di non volere alcuna attestazione di garantismo "visto che non sono indagato". Saggia decisione, perché come non perde occasione di rimarcare questo giornale, il garantismo è diventata merce rara, introvabile a tratti in una classe politica rassegnata alla ignoranza e alla violenza di nuove comparse che siedono in parlamento perennemente alla ricerca di teste da far rotolare. All'insegna di slogan demenziali che ancora riecheggiano come "intercettateci tutti" e sotto il facile titolo "tutti ladri tutti corrotti", si srotola la chiacchiera assai fastidiosa di un compunto moralismo che fa di ogni erba un fascio. Anzi no. Forse il profilo più inquietante di una vicenda tutto sommato modesta, sta nel nuovo prodotto promosso da Renzi: il garantismo di giornata, a scadenza come uno yogurt. Se un'ombra, una illazione, un leak, un avviso di garanzia, persino una condanna tocca un amico degli amici, si fa spallucce, si mette nel dimenticatoio, ci si mette una croce sopra. Altrimenti si abbandona la preda in pasto alle barbarie delle intercettazioni divulgate ad arte per compiere il famoso character assassination, ci si appella alla vaga definizione di "opportunità". Due pesi, due misure, tonnellate di ipocrisia. Tutto questo ormai é prassi consolidata e bastava vedere quanta incredula preoccupazione si leggeva sui volti dei deputati di centro destra ma anche su alcuni esponenti del PD durante l'ultimo passaggio di un capitolo molto brutto della vicenda politica. Giustizia: potremmo fare come in Cina, i corrotti… uccidiamoli di Astolfo Di Amato Il Garantista, 22 marzo 2015 Lupi si è dimesso. Niente carezze per i corrotti, che sono in carcere. L'Italia è più buona. Per merito di quella magistratura, che i governi vorrebbero maltrattare. Se si voleva la prova della infallibilità della ricetta "più manette per tutti", eccola! Eppure basterebbe poco per rendersi conto che questa lotta alla corruzione è un fallimento. Durante tangentopoli ci hanno detto che venivamo da decenni di corruzione e che per questo era necessario rivoltare l'Italia come un calzino (copyright dell'adora sostituto della procura della repubblica di Milano, Piercamillo Davigo). Il ceto politico di tutti i partiti, tranne uno, è stato distrutto in nome di una rivoluzione giudiziaria, che avrebbe finalmente determinato la palingenesi del nostro paese. Eppure, la corruzione non ha smesso neppure un attimo di essere una emergenza. Il nuovo ceto politico si è mostrato peggiore del precedente e la lotta alla corruzione è restata la questione politica centrale. Nel frattempo il paese andava in malora, la capacità di competere, la cd. competitività, crollava miseramente, con conseguenze che sono diventate man mano sempre più drammatiche. Ma siamo restati inchiodati al problema della corruzione. Con la magistratura italiana, che è una delle più potenti del mondo, a richiedere poteri sempre maggiori perché il nemico, nonostante tutti gli sforzi, è sempre più forte. Si è innestata, così, una folle corsa a chi è più giustizialista. E chi resta indietro è perduto. Ma questa folle corsa ha un limite. Non si può andare più in là della pena di morte. Prima di arrivarci, però, potrebbe essere utile dare uno sguardo a cosa succede nei paesi in cui è prevista la pena di morte per la corruzione. Esemplare, in questo senso, è la Cina. In questo paese la pena di morte per i corrotti ha un consenso pari, secondo i sondaggi più recenti, al 73,2%. Il Presidente Xi Jinping ha messo in campo una forza di ben 800.000 investigatori (avete letto bene: ottocentomila) esclusivamente per combattere la corruzione. Nel solo 2013 è stato calcolato, da una delle università di Pechino, che sono stati messi sotto inchiesta oltre 182.000 funzionari pubblici! Ha funzionato? Nell'anno in corso sono stati messi sotto inchiesta, mediamente, circa 32 alti funzionari alla settimana e varie migliaia di piccoli funzionari. Tutto sommato un fallimento, salvo che per l'attività del boia. L'esempio della Cina può, tuttavia, essere utile: per capire. Se un corpo specializzato e numeroso di investigatori, resi ancora più forti dalla minaccia della pena di morte, non ha successo, significa che non è questa la soluzione. Ed allora le conclusioni possibili sono due. O si deve ritenere che i cinesi, e così gli italiani, sono geneticamente corrotti. Ed allora tanto vale mettersi l'anima in pace. Oppure diventa inevitabile constatare che il fattore che alimenta la corruzione è, innanzitutto, la circostanza che non si è cittadini, ma sudditi. Non si hanno diritti, ma solo aspettative, che chi ha il potere può in mille modi frustrare. Procedure nelle quali si invecchia, vincoli ottusi che hanno il solo effetto di opprimere, leggi incomprensibili ed avvinghiate le une alle altre come in una giungla, sono il terreno ideale della corruzione. E, in realtà, è proprio questo il profilo di maggiore affinità tra la Cina e l'Italia. Ma non è solo questo su cui occorre cercare la soluzione. Ci vuole anche il coraggio morale di non lasciarsi schiacciare dal moralismo. Di rifiutarsi di considerare corruzione quella attività di lobbying, che è lecitamente svolta in tutto il mondo civile. Di discernere ciò che è illecito, ciò che immorale, ciò che non è esteticamente apprezzabile e ciò che è neutro. Altrimenti si finisce per proiettare nell'area dell'illecito anche ciò che non lo merita, con l'effetto di dare al problema una dimensione non reale, allontanando così i possibili rimedi. Tra qualche anno penseremo alle dimissioni di Lupi. E ci chiederemo il perché. Giustizia: il Papa; carceri in condizioni spesso indegne, lavorare per una società più giusta Adnkronos, 22 marzo 2015 Francesco tra i detenuti di Poggioreale incontra anche dieci trans, luogo di emarginazione può diventare luogo di inclusione. Papa Francesco, nel corso della visita pastorale a Napoli, incontra i detenuti reclusi nella Casa circondariale Giuseppe Salvia a Poggioreale e lancia un forte monito per migliorare le condizioni dei detenuti. "Cari fratelli, conosco le vostre situazioni dolorose: mi arrivano tante lettere - alcune davvero commoventi - dai penitenziari di tutto il mondo. I carcerati - denuncia Bergoglio - troppo spesso sono tenuti in condizioni indegne della persona umana, e dopo non riescono a reinserirsi nella società. Ma grazie a Dio ci sono anche dirigenti, cappellani, educatori, operatori pastorali che sanno stare vicino a voi nel modo giusto". Tra i detenuti, anche dei transessuali e malati di Aids. Il Papa invita a prendere esempio dalle buone esperienze. "Ci sono alcune esperienze buone e significative di inserimento. Bisogna lavorare su questo, sviluppare queste esperienze positive, che fanno crescere un atteggiamento diverso nella comunità civile e anche nella comunità della Chiesa. Alla base di questo impegno - ammonisce - c'è la convinzione che l'amore può sempre trasformare la persona umana. E allora un luogo di emarginazione, come può essere il carcere in senso negativo, può diventare un luogo di inclusione e di stimolo per tutta la società, perché sia più giusta, più attenta alle persone". "Sono contento di trovarmi in mezzo a voi in occasione della mia visita a Napoli. Ringrazio Claudio e Pasquale che hanno parlato a nome di tutti. Questo incontro - osserva il Papa - mi permette di esprimere la mia vicinanza a voi, e lo faccio portandovi la parola e l'amore di Gesù, che è venuto sulla terra per rendere piena la nostra speranza ed è morto in croce per salvare ciascuno di noi". Bergoglio conforta i detenuti: "A volte capita di sentirsi delusi, sfiduciati, abbandonati da tutti: ma Dio non si dimentica dei suoi figli, non li abbandona mai! Egli è sempre al nostro fianco, specialmente nell'ora della prova; è un Padre ricco di misericordia, che volge sempre su di noi il suo sguardo sereno e benevolo, ci attende sempre a braccia aperte". Il Papa ricorda ai detenuti che "l'amore di Gesù per ciascuno di noi è sorgente di consolazione e di speranza. È una certezza fondamentale per noi: niente potrà mai separarci dall'amore di Dio! Neanche le sbarre di un carcere. L'unica cosa che ci può separare da Lui è il nostro peccato; ma se lo riconosciamo e lo confessiamo con pentimento sincero, proprio quel peccato diventa luogo di incontro Lui, perché Lui è misericordia". Da qui l'invito "a vivere ogni giorno, ogni momento alla presenza di Dio, a cui appartiene il futuro del mondo e dell'uomo. Ecco la speranza cristiana: il futuro è nelle mani di Dio! La storia ha un senso perché è abitata dalla bontà di Dio. Pertanto, anche in mezzo a tanti problemi, anche gravi, non perdiamo la nostra speranza nella infinita misericordia di Dio e nella sua provvidenza". Giustizia: dal pranzo del Papa con i detenuti spunta un'ipotesi, la richiesta di amnistia di Giuseppe Grimaldi Il Mattino, 22 marzo 2015 La confidenza a un detenuto "Penso a un atto di clemenza". Clemenza e misericordia per i detenuti. Papa Francesco sussurra parole dolci ai detenuti di Poggioreale, lontano dai taccuini e dai riflettori delle telecamere. Nel suo incontro con i reclusi nel carcere-inferno di Poggioreale - dove si vive la più allucinante delle condizioni carcerarie d'Europa, fino a dieci persone in uno spazio di sei metri quadri con un unico bagno - il Pontefice ha una parola di speranza per tutti. All'incontro nella chiesa trasformata in refettorio comune per 130 commensali incrocia i passi di un connazionale: è un argentino che proprio a Napoli sta scontando la sua pena per un grave delitto commesso. Accanto a lui c'è un napoletano, ed è a loro che il Santo Padre affida il suo pensiero: a loro spiega come - in occasione dell'Anno Santo che celebrerà - rilancerà l'idea del perdono. Clemenza è termine che normalmente, in un lessico freddo, coincide con misericordia. Tutto dipende dall'accezione che si voglia dare ai due termini: clemenza è parola laica, mentre la misericordia è di Dio. Ed ecco improvvisamente sbocciare un'ipotesi: Francesco sarebbe pronto a muovere un passo, chiedendo allo Stato italiano un provvedimento di amnistia per quanti oggi vivono quell'inferno in terra che è il regime carcerario. Nella luce che illumina oggi questa Primavera napoletana, baciata da un sole tiepido e benigno, c'è aria di speranza. Dura quasi due ore - una in più rispetto al rigido protocollo stabilito dal programma - la visita all'interno del carcere di Poggioreale di Papa Bergoglio. Tante mani da stringere e troppe voci da ascoltare nel penitenziario che fa vergognare l'Italia per le condizioni di inumano sovraffollamento in cui anche chi ha sbagliato, e persino chi ha rubato e ammazzato, non avrebbe diritto a trovarsi. Alla mensa, allestita nella chiesa del carcere per poter ospitare i 130 ospiti, ci sono non solo 90 detenuti di Poggioreale (tra i quali due transessuali), ma anche quattro ragazzini dell'istituto minorile di Nisida, cinque ospiti dell'ospedale psichiatrico giudiziario e sette del penitenziario di Secondigliano. "Nella vita - dirà loro il Papa - non bisogna mai spaventarsi delle cadute, perché l'importante è sapersi sempre rialzare. Dio dimentica e cancella sempre i nostri peccati. Non dimenticate che il primo santo fu il ladrone che sulla Croce abbracciò la fede di Cristo". Parole che sembrano ipnotizzare i detenuti. Occhi lucidi e tanta speranza: ieri Poggioreale assomigliava decisamente più ad una pista di decollo verso nuove esistenze che non al sudario delle sofferenze in terra. Ad accogliere il Papa c'erano il direttore dell'istituto penitenziario, Antonio Fullone, con tutto il suo staff, il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria Tommaso Contestabile, gli oltre 800 agenti che garantiscono la sicurezza, i volontari della Comunità di Sant'Egidio e il cappellano don Franco Esposito. Menu frugale: Bergoglio ha assaggiato i maccheroncelli al forno e l'arrosto con broccoli e patate ("Niente vino - ha detto - meglio di no: sennò poi dico sciocchezze"). Accanto a lui c'era Claudio, un argentino finito in galera per reati gravi, con il quale il Papa ha conversato a lungo. Il clima di festa lo si coglieva già due ore prima del suo arrivo all'esterno delle mura del carcere, dove si erano assiepate quasi duemila persone. Tra loro molte mogli e figli dei detenuti, oltre alla colorata e gioiosa presenza dei bambini che don Luigi Merola - l'artefice della comunità "A voce delle creature", che quotidianamente sottrae dalla strada decine di minori a rischio - innalzavano striscioni di benvenuto. Ma torniamo all'interno del carcere. È qui che le parole del Papa sono risuonate forti e capaci di scuotere le coscienze di tutti. "Dio - ha detto Bergoglio - dimentica e cancella i nostri peccati". Un detenuto gli ha replicato: "Santo Padre, ma lei sa bene che anche quando uno di noi sarà uscito da qui si troverà in un mondo che lo rifiuta. La società è cattiva con noi. Noi che siamo marchiati a vita, emarginati, esclusi da tanti percorsi di inserimento, troveremo accoglienza fuori da queste mura?". Immediata la replica: "Ricordate quello che dice il Vangelo? Pubblicani e prostitute vi passeranno davanti. Per questo io vi dico che quando vi sentirete riconciliati con voi stessi e soprattutto con Dio, allora troverete la vostra pace. Conosco le vostre situazioni dolorose: mi arrivano tante lettere dai penitenziari di tutto il mondo. I carcerati troppo spesso sono tenuti in condizioni indegne della persona umana, e dopo non riescono a reinserirsi nella società. Ma grazie a Dio ci sono anche dirigenti, cappellani, educatori, operatori pastorali che sanno stare vicino a voi nel modo giusto. E ci sono alcune esperienze buone e significative di inserimento". Non sono solo parole. I detenuti (tra loro anche molti stranieri di fede musulmana) applaudono. Giustizia: il Papa incontra i detenuti di Poggioreale "il primo Santo è stato un ladro" Il Mattino, 22 marzo 2015 "Nella vita non bisogna mai spaventarsi delle cadute, l'importante è sapersi sempre rialzare. Dio dimentica e cancella sempre i nostri peccati": queste le parole del Papa rivolte ai detenuti nel carcere di Poggioreale. Tappa al carcere di Poggioreale per Papa Francesco. Ad accoglierlo il direttore dell'istituto penitenziario, Antonio Fullone e il cappellano don Franco Esposito. Bergoglio ha pranzato con circa 120 detenuti, tra cui 13 transessuali, all'interno della cappella dove è stata allestita una tavolata. Sono stati gli stessi detenuti a preparare il pranzo composto da tre portate: pasta al forno, arrosto e dolci tipici napoletani. Durante il pranzo nel carcere napoletano di Poggioreale, papa Francesco è si è seduto a un tavolo con 12 detenuti. Vicino a lui sedevano un recluso argentino e il provveditore delle carceri. Al pranzo partecipavano in tutto circa 120 detenuti, tra cui alcuni transessuali. Durante la visita il Papa ha salutato uno ad uno tutti i carcerati presenti. Lungo il corridoio che conduce alla cappella, ha salutato rappresentanti della Direzione, della Polizia Penitenziaria e dei dipendenti della Casa Circondariale. Sul piazzale antistante la chiesa, ha quindi salutato i detenuti. Infine il pranzo in chiesa con una rappresentanza di carcerati. Incontrando i detenuti nel carcere di Poggioreale, papa Francesco ha risposto alle domande di due di loro, Claudio Fabian, argentino, recluso proprio a Poggioreale, e Pasquale, in rappresentanza di quelli di Secondigliano. "Noi carcerati siamo dimenticati da tutti: governo, istituzioni, tranne che da Dio, da Gesù Cristo e dalla Chiesa", ha detto il primo. "Qui in carcere ho trovato Dio e il Signore Gesù attraverso la catechesi settimanale, la messa della domenica e la lettura del suo libro "Mente abierta, corazon creyente" che mi ha mandato mia madre dall'Argentina", ha aggiunto. "Noi che siamo marchiati a vita, emarginati, esclusi da tanti percorsi di inserimento, troveremo accoglienza fuori da queste mura?", gli ha chiesto invece il secondo. "L'amore di Gesù per ciascuno di noi è sorgente di consolazione e di speranza. È una certezza fondamentale per noi: niente potrà mai separarci dall'amore di Dio! Neanche le sbarre di un carcere". Lo ha affermato papa Francesco incontrando i detenuti nel carcere napoletano di Poggioreale. "L'unica cosa che ci può separare da Lui è il nostro peccato - ha aggiunto -; ma se lo riconosciamo e lo confessiamo con pentimento sincero, proprio quel peccato diventa luogo di incontro Lui, perché Lui è misericordia". Il discorso del Papa è stato consegnato ai detenuti, non letto. "Cari fratelli, conosco le vostre situazioni dolorose: mi arrivano tante lettere - alcune davvero commoventi - dai penitenziari di tutto il mondo", ha detto il Papa ai detenuti incontrati nel carcere di Poggioreale. "I carcerati troppo spesso sono tenuti in condizioni indegne della persona umana, e dopo non riescono a reinserirsi nella società. Ma grazie a Dio ci sono anche dirigenti, cappellani, educatori, operatori pastorali che sanno stare vicino a voi nel modo giusto. E ci sono alcune esperienze buone e significative di inserimento". In tema di condizioni dei detenuti, "bisogna lavorare" per "sviluppare le esperienze positive" di inserimento, "che fanno crescere un atteggiamento diverso nella comunità civile e anche nella comunità della Chiesa", ha detto papa Francesco durante la visita al carcere napoletano di Poggioreale, nel discorso consegnato ai detenuti. "Alla base di questo impegno - ha spiegato - c'è la convinzione che l'amore può sempre trasformare la persona umana. E allora un luogo di emarginazione, come può essere il carcere in senso negativo, può diventare un luogo di inclusione e di stimolo per tutta la società, perché sia più giusta, più attenta alle persone". Cori da stadio, "Francesco uno di noi", e il ritornello: "Oi vita oi vita mia". Una folla di fedeli ha atteso l'arrivo di Papa Francesco al carcere di Poggioreale. Il Santo Padre, sceso dalla papamobile, ha baciato alcuni dei bambini presenti. Molti anche piccolissimi. In tanti hanno sventolato le bandierine con la sua immagine. Ai balconi dei palazzi di fronte all'istituto penitenziario, sono stati sistemati palloncini bianchi e gialli e lenzuola bianche in segno di saluto. Antonio Mattone portavoce della Comunità di Sant'Egidio di Napoli ha raccontato qualche spaccato dell'incontro dei detenuti con il Papa. Il Santo Padre è stato accolto dai detenuti con applausi e canzoni, prima di pranzare tutti insieme, seduti attorno alla tavola. Il cuore del suo messaggio in un episodio: "Il Papa ha detto che ognuno di noi avrebbe motivo per essere carcerato - riferisce Mattone - ma il Signore ci perdona e quindi tutti devono perdonare, invece la società non è giusta perché non perdona". "Il Pontefice ha risposto a un detenuto che gli ha chiesto cosa fare dopo, una volta uscito - riferisce Mattone - e lui gli ha risposto con un'altra domanda, ricordandogli che il primo santo è stato un ladrone". Giustizia: il Papa a Poggioreale; nessuno può dire "io non merito di essere carcerato" Radio Vaticana, 22 marzo 2015 Momento toccante della visita del Papa a Napoli, l'incontro con i detenuti nel carcere di Poggioreale e le parole improvvisate al termine del pranzo che ha consumato con loro. Parole di speranza alle domande di due detenuti: come fare per continuare ad alimentare la fede in Dio che ho ritrovato in carcere, una volta libero? E ancora: troveremo accoglienza fuori da queste mura? Il servizio di Roberto Piermarini. Mantenere la fede una volta usciti dal carcere con le tentazioni che li aspettano e senza gli aiuti spirituali ricevuti "non è facile - ha detto il Papa - ma non impossibile". Ma bisogna andare avanti e non scoraggiarsi. Francesco ha poi ripreso una frase del cardinale Sepe secondo cui il nocciolo della morale cristiana non sta nel non cadere, ma nel rialzarsi subito. "Tutti nella vita abbiamo fatto sbagli - ha osservato il Papa - E perché a me è accaduto questo ed a te, che hai fatto più sbagli di me, no?": "Sono le cose della vita. Ma nessuno può dire io non merito, io non merito. Nessuno può dire "io non merito di essere carcerato". Nessuno. Tutti abbiamo sbagliato. Tutti, io per primo. Tutti. E perché voi e non altri? Sono cose inspiegabili della vita e la vita dobbiamo prenderla come viene. E alzarsi sempre e andare avanti". La mancata accoglienza dei detenuti - in risposta alla seconda domanda - Papa Francesco l'ha definita una delle crudeltà più grandi della società di oggi. Per l'accoglienza è necessario un lavoro di educazione della gente che ha sempre un giudizio morale sui detenuti. Francesco ha poi ricordato che il primo santo canonizzato nella Chiesa è stato un condannato a morte: il buon ladrone a cui Gesù ha detto sulla croce: "Oggi sarai con me in Paradiso". "Nel momento in cui sei condannato a morte, solo perché hai guardato Cristo, il Signore ti rinnova la vita. E questo è quello che la società deve imparare. Quando Lui perdona dimentica - ha proseguito il Papa - nessuno ha il diritto di non dimenticare una persona che ha pagato, che ha chiesto perdono alla società. Ma la società non lo impara. E per questo tanti si scandalizzano di Gesù che andava con i pubblicani, con i ladri e le prostitute: "Questi, i pubblicani e le prostitute, entreranno prima di voi nel Regno dei cieli". Ma questo, la società non l'ha imparato. E per questo la nostra società ancora non è cristiana. Si dice cristiana, vuole essere cristiana, ci sono tanti santi e tanti cristiani, sì. Ma la società come tale è più pagana che cristiana, perché non ha capito questo di Gesù". Antigone: Papa Francesco nel carcere che è stato il peggiore d'Europa Napoli, 21 marzo 2015. Francesco - il Papa che ha chiamato i cristiani e gli uomini di buona volontà a "lottare" per il miglioramento delle condizioni carcerarie - visita la Casa Circondariale di Napoli-Poggioreale: il carcere si era conquistato la fama di essere il peggiore d'Europa per le difficilissime condizioni detentive ed è stato sottoposto a visita ispettiva da parte della Commissione Libertà civili del Parlamento europeo. Poggioreale è l'istituto rispetto al quale sono ancora in corso le indagini della Magistratura per pregressi episodi di violenza che detenuti avrebbero subito da parte di agenti della Polizia Penitenziaria. Oggi, Poggioreale è un carcere in cui si respira un clima diverso tra detenuti e tra detenuti ed operatori, eppure le presenze rasentano le 2.000 unità, su di una capienza effettiva di 1.500 detenuti; solo una minoranza di detenuti accede al regime delle celle aperte per 8 ore al giorno; pochi reparti recano la doccia in cella ("Firenze", "Milano", "Avellino", "Napoli", quest'ultimo in parte) e la contiguità fisica tra igienici e spazi dedicati alla cucina interna alla cella continua ad essere la realtà della Casa Circondariale. "Il pranzo che il Santo Padre consumerà tra i ristretti restituirà - agli occhi della collettività - dignità ai detenuti: rimarrà a lungo nell'immaginario l'idea del Pontefice seduto tra gli ultimi. L'auspicio è che la visita di un Papa dalla straordinaria umanità contribuisca al processo di cambiamento in atto nell'istituto: nel penitenziario è in corso un miglioramento, ma gli standard di vivibilità sono ancora bassi", dichiara Mario Barone, Presidente di Antigone-Campania. Sappe: il Papa è un faro sui drammi umani del carcere "La visita di Papa Francesco nel carcere di Poggioreale è un fatto straordinario: è un faro di luce sui drammi umani compenetrati nell'ambiente carcerario con i quali quotidianamente hanno a che fare le donne e gli uomini del Corpo della Polizia Penitenziaria. La personalità straordinariamente sensibile del Sommo Pontefice ha regalato oggi a tutti coloro che erano a Poggioreale, detenuti e poliziotti penitenziari, una giornata unica di vera carità cristiana. Grazie, Papa Francesco". Lo dichiara Donato Capece, Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. "È stata la visita del Vicario di Cristo che ha portato a tutti l'appello e il conforto del Redentore dell'Uomo. E credo di poter sommessamente dire che ha riportato, in tutti, autentici sentimenti di fiducia e speranza, tanto più forti se contestualizzati nell'ambiente ‘chiusò del carcere. Per questo siamo tutti grati a Papa Francesco". Giustizia: detenuto al 41bis tenta il suicidio "meglio la morte che vivere come animali" Adnkronos, 22 marzo 2015 Detenuto nel carcere de L'Aquila in regime di 41bis, Francesco Schiavone, cugino dell'omonimo e più noto esponente della camorra conosciuto come "Sandokan", ha tentato per due volte di togliersi la vita: la prima tentando di impiccarsi con una corda al collo ed una busta di plastica in testa, la seconda tagliandosi le vene dei polsi. La vicenda è stata resa nota dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, con cui Schiavone da mesi intrattiene un carteggio sulle condizioni di vita all'interno del carcere abruzzese. Nei mesi scorsi Schiavone, tramite i suoi avvocati, aveva presentato ricorso alla magistratura di Sorveglianza per le condizioni inumane di detenzione e per l'esiguità dello spazio a sua disposizione. Il Tribunale di Sorveglianza ha accolto il ricorso ma contro la decisione del Magistrato di sorveglianza si è appellato il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria. "Mi hanno salvato - scrive Schiavone in una lettera indirizzata al Garante - ma era meglio se non lo facevano, nella disumanità che si vive in questa condizione la morte è una liberazione. (…) Qui un ergastolano vive come un animale legato da solo ad una catena e non può muoversi, comincia a mordersi da solo. Così mi sento io perché diritti mi sono stati tolti e mi sento come un cane da solo e comincio a mordermi per fare una galera più dignitosa. Umana. (…) Ho perso la fiducia di me stesso e penso che solo la morte mi può salvare da questa ingiustizia". Sulla vicenda il Garante ha inviato una lettera al Dap chiedendo chiarimenti, in particolare, sulle condizioni di detenzione dei reclusi in regime speciale all'interno del carcere aquilano. "Quest'uomo ha commesso dei reati gravi e la certezza della giustizia non è in discussione - ha detto Marroni - In discussione sono le condizioni di detenzione nelle carceri italiane, in passato finite più volte sotto la lente d'osservazione anche dell'Unione Europea". "Tutti i Paesi europei hanno misure di detenzione speciale per persone ritenute particolarmente pericolose - aggiunge. In Italia, credo che sia venuto il momento di ripensare il 41bis, una norma sulla quale anche Papa si è espresso, parlando di una forma di tortura (…). Con il motivo di offrire maggiore sicurezza alla società o un trattamento speciale per certe categorie di detenuti, la sua principale caratteristica non è altro che l' isolamento esterno". Giustizia: in tre mesi 10 detenuti suicidi, polemiche sul regime di "41bis" di Ilaria Sesana Avvenire, 22 marzo 2015 Sono già dieci i detenuti che, nel corso dei primi tre mesi del 2015, si sono tolti la vita all'interno delle carceri italiane su un totale di 21 decessi registrati dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere della rivista Ristretti orizzonti di Padova. Tra questi, anche un ragazzo romeno di 19 anni, arrestato per un reato contro il patrimonio, che si è impiccato con un lenzuolo dopo aver visto sfumare gli arresti domiciliari. Altri due uomini, internati rispettivamente nell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) e di Reggio Emilia, si sono tolti la vita a poche settimane dalla chiusura definitiva degli Opg. Vale la pena ricordare i dati diffusi questa settimana dall'Istat a proposito della popolazione carceraria, che hanno fatto segnare sì una diminuzione importante, ma ancora non sufficiente. Al 31 dicembre 2013 risultavano detenute nelle carceri italiane 62.536 persone, il 4,8% in meno rispetto al 2012 (-8% sul 2010). Si tratta di un numero di gran lunga superiore, però, alla capienza regolamentare, fissata a 47.709 posti. Solo il pronto intervento degli agenti di polizia penitenziario o dei compagni di cella ha impedito che il numero dei suicidi fosse più elevato. "Mi hanno salvato, ma era meglio se non lo facevano, nella disumanità che si vive in questa condizione la morte è una liberazione". Francesco Schiavone (cugino dell'omonimo esponente della camorra, noto come "Sandokan") avrebbe tentato per due volte di togliersi la vita: la prima impiccandosi con una corda al collo e una busta di plastica in testa, la seconda tagliandosi le vene dei polsi. L'uomo sta scontando una condanna in regime di 41bis (il cosiddetto "carcere duro", che prevede restrizioni e condizioni speciali). La vicenda è stata resa nota dal Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, con cui Schiavone intrattiene da mesi un carteggio sulle dure condizioni di vita del carcere dell'Aquila. Nei mesi scorsi, tramite i suoi avvocati, Schiavone aveva presentato ricorso alla magistratura di Sorveglianza per le condizioni di detenzione, definite dallo stesso Schiavone in una lettera al Garante, "inumane" anche "per l'esiguità dello spazio a sua disposizione". "Il Tribunale di Sorveglianza ha accolto il ricorso, ma contro la decisione del magistrato di sorveglianza si è appellato il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria" (Dap), si legge in una nota del Garante dei detenuti del Lazio. Sulla vicenda il Garante ha inviato una lettera al Dap chiedendo chiarimenti, in particolare, sulle condizioni di detenzione dei reclusi in regime speciale all'interno del carcere aquilano. "Quest'uomo ha commesso dei reati gravi e la certezza della giustizia non è in discussione - sottolinea Marroni. In discussione sono le condizioni di detenzione nelle carceri italiane, in passato finite più volte sotto la lente d'osservazione anche dell'Unione Europea. In Italia, credo che sia venuto il momento di ripensare il 41bis". Giustizia: Carlo Federico Grosso; i magistrati fanno uso politico del "carcere preventivo" intervista a cura di Pietro Vernizzi Il Sussidiario, 22 marzo 2015 "In Italia c'è stato e continua a esserci un uso distorto della custodia cautelare. Io penso che, nella mente di alcuni procuratori della Repubblica, una tentazione a utilizzare il carcere preventivo per spingere gli indagati a confessare vi sia stata e vi sia". Lo afferma Carlo Federico Grosso, avvocato e professore di Diritto penale all'Università di Torino, secondo cui "la legge andrebbe applicata con maggiore rigore in quanto la libertà è un valore talmente importante che può essere limitata solo in presenza di una sentenza definitiva". La custodia cautelare è uno degli strumenti utilizzati dalla procura di Firenze nell'inchiesta Grandi Opere. Il super-manager Ercole incalza è stato arrestato e incarcerato lunedì e sottoposto a un interrogatorio di due ore nel penitenziario di Regina Coeli, mentre Francesco Cavallo è attualmente agli arresti domiciliari. Professore, quali sono i casi in cui è prevista la carcerazione preventiva? "La custodia cautelare è prevista per reati particolarmente gravi, quando vi siano indizi gravi e concordanti di colpevolezza, e almeno una delle seguenti esigenze di cautela assolutamente necessarie: il pericolo di inquinamento delle prove, il pericolo di fuga e la ripetizione del reato. È evidente che non si può applicare la custodia cautelare a una persona soltanto perché è indiziata di un reato, per quanto quest'ultimo possa essere grave. Bisogna che almeno una delle tre esigenze di cautela cui ho fatto cenno poco fa siano riscontrabili". Di solito quale di queste esigenze è più ricorrente? "La più ricorrente, soprattutto subito dopo la scoperta di un reato, è l'inquinamento delle prove. La ragione che giustifica o che dovrebbe giustificare la custodia cautelare è che una persona inquisita ma lasciata a piede libero potrebbe contattare persone, cercare di nascondere documenti, distruggere file dal computer e così via". Lei ritiene che nella prassi italiana ci sia un uso distorto della carcerazione preventiva? "Questo è certo. In passato, e probabilmente ancora oggi, c'è stato e continua a esserci un uso distorto della carcerazione preventiva. Spesso non vi sono né pericoli di inquinamento delle prove, perché queste ultime sono già state raccolte, né un fondato pericolo di fuga per una serie di comprovati elementi che inducono evidentemente quel soggetto a non fuggire, e non c'è neppure la possibilità a ripetere il reato perché per esempio quel soggetto è stato deposto dalla carica che aveva precedentemente. In tutti questi casi è evidente che non è ammissibile che sia emesso un provvedimento di custodia cautelare". Nella prassi si rispettano questi criteri dettati dalla legge? "Nella prassi giudiziaria ogni tanto noi avvocati abbiamo l'impressione che si opti per la custodia cautelare nonostante manchino tutti questi requisiti. Questo non è evidentemente un fatto corretto. Ora si sta pensando a una modifica della legge per rendere più stringente la normativa della custodia cautelare, proprio per evitare possibili eccessi o abusi". Secondo lei c'è anche la tendenza a usare la carcerazione preventiva per spingere gli indagati a confessare? "Questa è una critica che ricorre da anni. Io penso che una tentazione in questo senso nella mente di alcuni procuratori della Repubblica vi sia stata e vi sia. Ma c'è anche un'altra spinta a utilizzare la carcerazione preventiva al di fuori dei limiti strettamente stabiliti dalla legge. Noi abbiamo un sistema penale molto inefficiente dal punto di vista dell'esecutività. È molto difficile che un "colletto bianco" condannato, nel momento in cui a distanza di anni approda alla sentenza di condanna definitiva, vada effettivamente in carcere". Per quali motivi? "Anche dove scatti il carcere è stata prevista tutta una serie di possibilità che consentono la liberazione anticipata o l'abbreviazione del tempo della pena". E quindi? "Da questa situazione può venire la spinta che porta un procuratore a dire: "Un certo soggetto è fortemente indiziato per un reato grave, perché non dovrebbe scontare un certo numero di mesi di custodia cautelare?". È chiaro che dal punto di vista dei principi un atteggiamento mentale di questo tipo è assolutamente sbagliato, perché non è previsto dalla legge e quindi non dovrebbe essere preso in considerazione. Anche se evidentemente qualcuno nelle Procure non la pensa così". Occorre maggiore rispetto della legge? "Sì, personalmente ritengo che la legge sulla custodia cautelare dovrebbe essere applicata con estremo rigore. Fino a quando vige la presunzione di non colpevolezza, la libertà personale deve essere ristretta soltanto quando esiste rigorosamente una delle tre esigenze di cautela che rendono necessarie misure che devono essere comunque solo provvisorie. La libertà è infatti un valore talmente importante che può essere limitata solo a conti fatti, cioè in presenza di una sentenza definitiva". Giustizia: "togliere la patria potestà ai mafiosi", il Pd lo propone per legge di Giuseppe Baldessarro La Repubblica, 22 marzo 2015 Carbone, membro della Segreteria Dem, sta per presentare l'emendamento nel dl contro il terrorismo. Il provvedimento già adottato in singoli casi dai pm. Un boss mafioso, un trafficante di armi o di droga, un terrorista o un mercante di uomini, non può essere un buon genitore. Gli va tolta la patria potestà e ove necessario i figli vanno allontanati dal contesto familiare. È questo, in buona sostanza, l'obiettivo dell'emendamento al decreto legge contro il terrorismo che Ernesto Carbone presenterà in aula la prossima settimana. Un tema che è un vecchio pallino del membro della segreteria Pd, il quale già lo scorso anno aveva presentato un disegno di legge specifico. L'emendamento inserisce nel Codice penale il 416-quater, nel quale si afferma che "La condanna per il delitto previsto dall'articolo 416-bis del codice penale (ossia l'associazione mafiosa) comporta la decadenza dalla potestà dei genitori". Attualmente una legge specifica non esiste, le condanne per mafia non sono d'impedimento allo svolgimento del ruolo genitoriale. Tuttavia, in alcuni casi specifici, i Tribunali per i Minori hanno tentato di intervenire, togliendo i figli minori alle famiglie radicalmente coinvolte nella criminalità organizzata in maniera parziale oppure per alcuni periodi di tempo. Una misura che colpisce un'organizzazione criminale che mette la famiglia al centro di tutto. In passato, alcuni giudici calabresi, su richiesta dei pm, hanno adottato provvedimenti limitativi della potestà genitoriale, nominando ad esempio in presenza di minorenni un curatore speciale, ritenendo indispensabile affidare il minore al servizio sociale per inserirlo subito in una comunità fuori dalla territorio della regione di origine, al fine di affidarlo ad operatori professionalmente qualificati che fossero in grado di fornirgli una seria alternativa sul piano culturale e sociale. Altri Tribunali ancora si stanno muovendo facendo leva sull'allontanamento "volontario". In altri termini si punta ad avere il consenso di almeno dei genitori (spesso detenuti) e dello stesso minore per la collocazione in comunità e lontano dai contesti sociali a rischio. Alcune sentenze dei giudici, che si occupano di minori che hanno già commesso i primi reati, si giustificano la decadenza della patria potestà, ritenendola l'unica soluzione per sottrarre il minore "a un destino ineluttabile e nel contempo consentirgli di sperimentare contesti culturali e di vita alternativi a quello deteriore di provenienza", nella speranza che il minore "possa affrancarsi dai modelli parentali sinora assimilati". Un argomento delicato, soprattutto in alcune aree del Paese. Non è un caso che durante le faide degli anni 80 in diversi paesi della Piana di Gioia Tauro i bambini venissero allontanati dalle famiglie e affidati alle comunità per evitare che rimanessero vittime di vendette e rappresaglie. E più di recente, negli anni della faida di San Luca, le famiglie coinvolte nella guerra di ‘ndrangheta evitavano persino di mandare i figli a scuola. La convinzione di diversi operatori del settore è che in alcuni contesti familiari non si crescono figli, ma veri e propri soldati dei clan, addestrati alla vendetta o addirittura già giovanissimi affiliati alle cosche perché così educati da genitori e figli maggiori. Le cronache più recenti raccontano come, ad esempio a Palmi (Reggio Calabria), dopo l'arresto dei boss Gallico, a riscuotere le tangenti fosse un sedicenne figlio del capoclan. Interventi mancati e interventi che invece stanno sortendo l'effetto sperato. Per salvare i figlia della pentita Giuseppina Pesce, la magistratura ha tolto al padre (attualmente detenuto) la possibilità di esercitare il proprio ruolo. Stessa cosa anche per i figli della collaboratrice Maria Concetta Cacciola (morta suicida) allontanati dalla famiglia d'origine e affidati ai servizi sociali. Giuseppe Lombardo, pm della Dda di Reggio Calabria, già sette anni fa aveva chiesto che fosse tolta la patria potestà a boss del calibro di Giuseppe De Stefano e Pasquale Condello. E ancora oggi si dice convinto che si tratti di "un passaggio fondamentale". Per il magistrato "lo Stato ha il dovere di intervenire a tutela dei minori a cui non viene data la possibilità di un futuro diverso da quello dei padri". Secondo Carbone "a prima vista l'intervento potrebbe apparire forte, ma in realtà, la proposta vuole recepire, e portare a compimento, profili sanzionatori in parte già attivati dalla magistratura". Mafia ma non solo. La proposta varrebbe, come pena accessoria anche per i reati di strage, omicidio, riduzione in schiavitù o traffico di esseri umani, nonché traffico di armi e traffico di sostanze stupefacenti e psicotrope. Giustizia: "negato il diritto alla difesa", a Bologna polemiche dopo il suicidio di una donna di Davide Milosa Il Fatto Quotidiano, 22 marzo 2015 Una farmacista si uccide e accusa il Pm. Manconi (Pd): "ispezione in Procura" Il piglio è quello del capo. In realtà in procura a Bologna Valter Giovannini, 60enne romano, è il numero due: procuratore aggiunto su diversi settori, non ultima la criminalità diffusa. Tradotto: i fatti di cronaca sono roba sua. L'esposizione mediatica non gli dispiace, anzi. Le notizie, però, vuole gestirle personalmente. Lui tiene i rapporti con la stampa che si traducono in un fugace appuntamento mattutino. Poche parole, poche notizie. Vietato bussare alle porte dei pm. Il capo della Procura Roberto Alfonso, un passato in Dna, lascia fare. Per lui conta solo la lotta alla mafia. Di tutto il resto si occupa Giovannini che al collo porta la medaglia per aver condotto il processo contro la banda della Uno Bianca. Era il 1994 quando i fratelli Savi furono arrestati. Giovannini stava a Bologna da un anno. Ne sono passati 22. Ora però l'ultimo valzer giudiziario rischia di farlo inciampare. Sul tavolo non ci sono omicidi, né sequestri, non è mafia e nemmeno terrorismo. Sul tavolo c'è un furto di gioielli, valore 800 mila euro. Un buon bottino, nessuna violenza e uno strano suicidio: quello di Vera Guidetti, farmacista di 62 anni con residenza in centro e negozio nel quartiere popolare del Pilastro. La Guidetti, che viveva assieme all'anziana madre, il 9 marzo viene chiamata in Questura e sentita come persona informata sui fatti. La interroga Giovannini. Due giorni dopo la farmacista si suicida con un'iniezione di insulina. Prima però tenta di uccidere la madre che morirà il 20 marzo. Prima di togliersi la vita, la farmacista lascia un biglietto dove accusa Giovannini di "non averle creduto" e di "averla trattata come una criminale". Spiega di "sentirsi minacciata" e di "aver paura di finire sui giornali". Qualcuno dagli uffici della Questura parla di un interrogatorio feroce, sproporzionato al reato, c'è chi avrebbe sentito urla che nessuno conferma. E il senatore pd Luigi Manconi chiede al governo di inviare gli ispettori in Procura per verificare l'operato dell'aggiunto. Per capire meglio, però, bisogna tornare al 3 marzo scorso quando in un appartamento di via Saragozza vengono portati via i gioielli. La vittima è la moglie di un noto medico della città. Borghesia bolognese alla quale Giovannini pare sensibile. Parte l'inchiesta. Indaga la Squadra mobile. Nel mirino finisce un giostraio di origini sinti. Si chiama Ivan Bonora, ha precedenti per ricettazione. Dai tabulati telefonici emergono i contatti tra Bonora e la Guidetti. Il 6 marzo, la Questura convoca il sinti che però oppone un impegno. Lo stesso giorno Bonora va dalla Guidetti per lasciarle un quadro e un sacchetto. Spiega che ha avuto lo sfratto. Il lunedì successivo sinti e farmacista sono negli uffici della polizia. Bonora è indagato, la donna no. Il sinti oppone un alibi, stava a San Marino da un notaio, che conferma; il giorno dopo il giudice non convalida il fermo. Vera Guidetti, invece, spiega i suoi contatti con Bonora. Dice di essere affezionata ai figli del sinti, racconta di aver tenuto alcuni quadri di Bonora. Fa di più, accompagna la polizia in casa. I quadri ci sono e fin da subito appaiono sospetti. E nonostante la presenza di merce rubata nel suo appartamento la farmacista non viene indagata e resta senza avvocato. L'assenza di un legale è la prima ombra che pesa su Giovannini. Di più: secondo prassi l'interrogatorio in Questura doveva essere condotto dal pm titolare del fascicolo. "Era in ferie", ha spiegato Giovannini. Ancora: l'11 marzo, quando la Guidetti si suicida, sul posto interviene lo stesso Giovannini che già sa del bigliettino con cui la donna lo accusa. Nella sua interrogazione Manconi riassume l'intera vicenda svelando che la Guidetti il 9 marzo viene tenuta in Questura dalle 8 del mattino alle 19:30, anche se il verbale risulterebbe aperto alle 12, subito dopo sospeso per la visita a casa, riaperto e chiuso prima delle 18. Scrive Manconi: "Il quadro probatorio veniva ritenuto sufficiente a integrare precise ipotesi di reato tanto che Bonora, assistito da un legale, veniva sottoposto a fermo di polizia mentre la signora Guidetti, con modalità anomala, veniva escussa a sommarie informazioni per un tempo prolungato dal procuratore aggiunto senza che venisse valutata l'opportunità di farla assistere da un legale di sua fiducia". L'interrogazione è del 18 marzo. Il 16 a Bologna compaiono scritte di ingiuria contro Giovannini ("Valter il vero criminale sei tu"). Immediata scatta la solidarietà della politica bolognese sindaco in testa che però dimentica l'apparente violazione del diritto alla difesa di una sua concittadina. Stessa cosa farà la Camera penale di Bologna, che solo poche settimane fa aveva attaccato il "protagonismo" della Dna a proposito dell'inchiesta "Emilia" sulla ‘ndrangheta. Stavolta gli avvocati stanno con il magistrato. Il caso, poi, da giudiziario diventa politico con il Pd bolognese che ha preso le distanze dallo stesso Manconi. Il deputato Dem Andrea De Maria ha spiegato che l'iniziativa del senatore è stata autonoma e "non condivisa", il senatore Sergio Lo Giudice ha difeso Manconi e quest'ultimo ha attaccato gli esponenti locali preoccupati di "intrattenere buone relazioni con la Procura". L'ex segretario bolognese del Pd Raffaele Donini, oggi assessore regionale, gli ha dato del "berlusconiano". Giovannini sta in silenzio e incassa la solidarietà. Sentito ieri dal Fatto ha opposto un serrato "no comment". E mentre è già iniziata la caccia alla "talpa in Questura" che avrebbe svelato a Manconi il tempo di permanenza della Guidetti negli uffici, gli insulti a Giovannini, compreso quello postato su Fb da un ex delle Formazioni Comuniste Combattenti già condannato per banda armata, sono stati inviati alla Procura di Ancona competente per i magistrati di Bologna. L'audizione condotta dal procuratore aggiunto viene segnalata senza il supporto di una anche breve istruttoria. Giustizia: il Pd accusa Manconi "berlusconiano". La replica "critiche grottesche" di Luigi Spezia La Repubblica, 22 marzo 2015 Il Senatore ha chiesto una ispezione nella Procura di Bologna a seguito del suicidio di una donna che era stata interrogata "senza garanzie" da un pm. Ma i vertici locali del partito lo attaccano. De Maria (nella segreteria di Renzi): iniziativa non concordata. "Un'iniziativa berlusconiana". Sono le parole durissime rivolte da Raffaele Donini, ex segretario del Pd bolognese e attuale assessore regionale dell'Emilia-Romagna, nei confronti di Luigi Manconi, suo stesso compagno di partito. Il senatore democratico, storicamente attivo nel campo dei diritti dei detenuti, è stato duramente attaccato in questi giorni per aver chiesto al governo un'ispezione all'interno della procura del capoluogo emiliano. In particolar modo, per verificare se la condotta di un magistrato è stata corretta. Ma l'iniziativa non è piaciuta affatto a parlamentari e amministratori cresciuti sotto l'ala del Pd bolognese, che di fatto hanno considerato come un'ingerenza l'iniziativa di Manconi e l'hanno bocciata con veemenza. "Inviare gli ispettori". Manconi chiede l'invio degli ispettori a causa di un episodio di cronaca avvenuto in città pochi giorni fa. Una farmacista si è suicidata dopo essere stata interrogata in procura. Prima di uccidersi ha però lasciato un bigliettino dove accusa il pm Valter Giovannini di averla trattata "come una criminale" durante il colloquio. Anche a causa di questa notizia, nei giorni successivi appaiono in città delle scritte contenenti insulti al magistrato. Il caso cresce e arriva a Manconi. Che chiede perciò ai ministri dell'Interno e della Giustizia di inviare gli ispettori, visto che quell'interrogatorio in procura sarebbe avvenuta "senza alcuna garanzia difensiva e con discutibili modalità per un tempo assai prolungato". Ma non è solo questo il punto. Manconi segnala anche il fatto che "della permanenza della signora Guidetti (la farmacista coinvolta nel caso, ndr) negli uffici della questura non sarebbe stato informato il pubblico ministero di turno". Il Pd bolognese sulle barricate. È a questo punto che si scatena la guerra. Contro Manconi si scagliano il parlamentare e membro della segreteria Pd Andrea De Maria, il segretario locale del partito Francesco Critelli e il suo predecessore, Raffaele Donini. Quest'ultimo, in particolare, dice: "Penso che Manconi abbia perso una straordinaria occasione per stare zitto". De Maria sottolinea che "l'iniziativa di Manconi non è concordata con i parlamentari del Pd e questo è singolare". Soltanto Sergio Lo Giudice, un altro parlamentare Pd, alza gli scudi contro il senatore cercando di spegnere le polemiche. Ma ormai è troppo tardi. Botta e risposta. Con un comunicato, Manconi risponde a muso duro, difende la sua richiesta di inviare gli ispettori ("Risulta fin troppo ovvio che il modo migliore di tutelare il pm Giovannini è esattamente quello di diradare qualsiasi ombra sul suo operato") e critica i vertici locali del Pd: "Trovo tragicamente grottesco che in presenza del suicidio di una persona, nel corso di un'indagine quantomeno controversa, l'unica preoccupazione di alcuni esponenti del Pd bolognese sia quella di criticare la mia richiesta di dissipare ogni dubbio e di fugare ogni perplessità". E ancora, "trovo singolare che qualche rappresentante della politica si adoperi solo ed esclusivamente per intrattenere buone relazioni con la procura". "Sostenere come fa Luigi Manconi che coloro che non si riconoscono nella sua iniziativa dal sapore culturalmente berlusconiano (la richiesta di ispezioni a carico dei magistrati) lo facciano per mantenere buone relazioni con la procura sarebbe ridicolo se non fosse grottesco" dice infine alla "Dire" Donini. Ma la storia di certo non è finita qua. Giustizia: ecco la pillola della bontà, a Berkeley si sperimenta il "tolcapone" su 35 persone di Paolo Di Stefano Corriere della Sera, 22 marzo 2015 Si nasce buoni o cattivi? Domanda affascinante su cui intelletti eccelsi si sono arrovellati per secoli con risposte mai decisive. Del resto, che cos'è la bontà? Basta dire che si tratti della capacità di compassione e di empatia, come sembra sostenere lo psicologo dell'età evolutiva Paul Bloom nel saggio Buoni si nasce (uscito l'anno scorso in Italia da Codice Edizioni), che sin dal titolo parrebbe aver trovato una risposta definitiva? Forse ha ragione, forse no. Nel dubbio, meglio andar cauti su certi temi. Chissà come la pensano i ricercatori della University of California di Berkeley e San Francisco, che hanno testato su un campione di 35 persone un farmaco "in grado di produrre artificialmente sentimenti di bontà". I risultati dello studio sono apparsi sulla rivista Current Biology e dimostrerebbero che il "tolcapone" contribuisce ad aumentare il tasso di equanimità per esempio nella distribuzione di denaro agli sconosciuti e a rendere più sensibili alle iniquità sociali. Dunque, tra poco verrà distribuita in tutte le farmacie del globo la "pillola della bontà"? Niente più stupratori e infanticidi? Niente più ladri e razzisti? Niente più concussori, corruttori e corrotti? L'Italia recupererà finalmente i leggendari 60 miliardi del malaffare risolvendo per via farmacologica tutti i problemi di Pil? Il doping dell'anima, della generosità, della magnanimità, della giustizia e delle virtù cardinali. Platone, Aristotele, San Tommaso e Sant'Agostino, Hobbes, Kant e Nietzsche, eserciti di pensatori e teologi annientati per sempre da una combinazione chimica, dal Viagra dello spirito capace di potenziare la nostra moralità? Il calo di bontà paragonabile alla disfunzione erettile. Lo si assumerà mezz'ora prima di strozzare un bambino, di violentare la vicina di casa, di rubare una mela al supermercato? Oppure basterà una lontana avvisaglia, un turbamento, per correre dal medico della mutua e poi nella farmacia più vicina? Lo slogan pubblicitario è già bell'e pronto. Ce lo presta Oscar Wilde: "Fino a ieri riuscivo a resistere a tutto tranne che alle tentazioni, ora anche a quelle: con "tolcapone" non c'è Al Capone che tenga...". Lettere: la Villa Ambrogiana e le trasformazioni dell'Opg di Mario Iannucci (Psichiatra psicoanalista) Ristretti Orizzonti, 22 marzo 2015 Antonella Tuoni e Ornella Favero hanno recentemente scritto su questo argomento. Antonella e Ornella, che conosco e apprezzo, dirigono, l'una amministrativamente l'Opg di Montelupo, ospitato nella Villa Medicea dell'Ambrogiana (la più bella villa medicea secondo Lord Acton, che se ne intendeva, essendo proprietario di Villa la Pietra), l'altra la bella testata di "Ristretti Orizzonti". Entrambe, con varie argomentazioni, hanno indicato la inopportunità di non destinare più a funzioni penitenziarie le strutture della Villa Ambrogiana. Vorrei aggiungere qualche commento alle considerazioni espresse dalle "Colleghe" (lavoriamo tutti in carcere da molti anni). E lo vorrei aggiungere a partire dalla mia esperienza "clinica". Come psichiatra psicoanalista ho lavorato in molti luoghi. Ho cominciato nell'Ospedale Psichiatrico di San Salvi, luogo bellissimo, con ampi spazi verdi, che ora, sottratto del tutto alle funzioni di cura dei disturbi mentali, ospita una miriade di uffici sanitari. Non ho lavorato a Castelpulci, bellissima Villa che ha preceduto San Salvi e che ora ospita la Scuola del Consiglio Superiore della Magistratura. Ho lavorato però nel bel Reparto Biffi-de Sanctis di Volterra (quello dei graffiti del Nannetti), situato nel culmine della collina di Volterra che sta di fronte al Mastio, bellissima Fortezza Medicea che ospita la locale Casa di Reclusione. Ho anche lavorato alle Ville Sbertoli, nell'Ospedale Psichiatrico dismesso situato in splendida collina che domina la bella città di Pistoia. Ho lavorato anche a "Le Murate", a "Santa Verdiana" e a "Santa Teresa", le vecchie e splendide carceri di Firenze, che ora ospitano gradevoli locali pubblici, uffici dell'Università e di altri enti. Ho lavorato nella meravigliosa Villa Ambrogiana di Montelupo per circa dieci anni. Anzi, no: ho lavorato nei magazzini e nelle scuderie della Villa, perché la Villa, oggi come allora, ospita soltanto gli uffici della direzione sanitaria/amministrativa dell'Opg, non le sezioni di internamento. Tutti luoghi magici, così come è magico il "Giardino degli Incontri" di Sollicciano, inserito in quel mirabile progetto architettonico che è Sollicciano stesso. O meglio: che sarebbe Sollicciano, se le sue strutture architettoniche fossero state adeguatamente curate nell'arco degli anni. In tutti quei luoghi dove ho lavorato, luoghi bellissimi, sono però accadute cose terribili. Le ho viste accadere mio malgrado, perché quei luoghi, anche se molto belli, erano spesso molto poco virtuosi. Al dei luoghi non corrispondeva che raramente delle persone che li abitavano (sto parlando degli operatori, non degli ospiti). Un tempo la società civile (quella res publica cui, nell'articolo 3 della Costituzione, Antonella Tuoni vorrebbe sostituire il suo nome) destinava alla reclusione, all'internamento e alla reclusione i luoghi più belli, perché la res publica teneva in grande considerazione il disagio concluso in quei luoghi, perché la res publica capiva che anche la bellezza dei luoghi assume una salvifica funzione di cura. Sapeva che la bellezza del luogo può favorire l'illuminazione, il pentimento e la riabilitazione. Ora le piccole res publicae comunali hanno lo sguardo molto più opaco, a Montelupo, nella vicina Lastra a Signa dove il sindaco non ha voluto una Rems (non detentiva) per paura di una sorta di "malefico contagio", nel lontano Abruzzo dove pende un ricorso al Tar per analogo rifiuto di una Rems (questa volta detentiva). Antonella Tuoni, più che opportunamente, propone di continuare ad usare la splendida Villa Ambrogiana di Montelupo, dopo l'estromissione dei folli-rei, come istituto per la pena ordinaria, meglio se una pena "attenuata", potenziando al contempo una osmosi vivificante con la res publica locale (facciamone un polo museale, una incantevole location per convegni). L'operazione sarebbe davvero cool, specie se si considera che il miglior ristorante di Cardiff è dentro una prigione. Anzi, senza muoversi dalla Toscana, alcune delle mie cene più gradevoli e gustose degli ultimi anni sono state quelle galeotte dentro il Mastio di Volterra. A Montelupo, allora, si potrebbero coniugare l'intento della cittadinanza, che è quello di utilizzare la Villa Ambrogiana come resort di lusso, con l'intento di Antonella Tuoni, di mantenere la Villa come luogo di detenzione: basterebbe restringere (come peraltro accade ora) l'ambito detentivo ai granai/scuderie e destinare a resort la Villa vera e propria. Magari, perché no, come accenna Antonella Tuoni si potrebbe destinare l'istituto di pena a quella parte consistente della popolazione detenuta che, come sappiamo, viene condannata per reati legati in qualche misura all'uso di droghe (si tratta di percentuali rilevanti della popolazione detenuta ordinaria). È stato detto e ripetuto che sarebbe stato sconveniente che le "nuove" Remsd** fossero collocate negli stessi luoghi dei "vecchi" e vituperati Opg, anche se, almeno a Castiglione delle Stiviere e a Reggio Emilia, i luoghi saranno gli stessi o viciniori. I pazienti psichiatrici non vanno bene per la bellissima Villa medicea, ma i tossicodipendenti sì. La bellezza del luogo "di cura e/o di custodia" segnala il valore che la res publica assegna alle operazioni di riabilitazione (termine che preferisco a quello di rieducazione dell'art. 27 della Costituzione). Un rilievo fondamentale, tuttavia, lo assume anche la qualità della "cura e della custodia" che in quel luogo vengono effettuate. A volte, per dirla con Hemingway, si sta benissimo in un luogo "pulito, illuminato bene". Personalmente, comunque, preferirei non essere curato da Josef Mengele né ad Auschwitz, né in un luogo pulito e illuminato bene e nemmeno nella splendida Villa Ambrogiana di Montelupo. Mi spiace che i titolari delle res publicae italiane, a vari livelli, non abbiano quasi mai la sensibilità, la fantasia e la competenza per immaginare soluzioni costruttive e innovative come quella del ristorante penitenziario di Cardiff. Mi spiace soprattutto per gli internati di Montelupo. La Regione Toscana, in quattordici anni, ne ha ospitati un centinaio a "Le Querce", un "luogo tranquillo, illuminato bene". Anche se questo luogo non è certo bello come la Villa Medicea di Montelupo, i pazienti, dalla Villa Ambrogiana, uscivano più che volentieri. Ho sempre detto che mi piace fare mio il motto, straordinariamente profondo, del Corpo di Polizia Penitenziaria: Despondere spem munus nostrum***. È un compito talora difficilissimo quello di sostenere la speranza dei disperati, specie quando si tratta di coniugare la cura e la pena. Nota della Redazione: Mario Iannucci è uno psichiatra che scrive cose interessanti e stimolanti, ed è un amico di Ristretti Orizzonti, quindi "ci permettiamo" di dirgli che ogni tanto è un po' complicato e siamo costretti ad affiancargli un traduttore. * Bello e Buono, indica l'ideale di perfezione umana secondo i Greci antichi **Remsd: Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza detentive ***Despondere Spem Munus Nostrum Garantire la speranza è il nostro compito. Lettere: da misure di sicurezza a sicurezza delle cure di Claudio Mencacci (Past President Società italiana di psichiatria) Corriere della Sera, 22 marzo 2015 Alea iacta est. Dopo 37 anni dalla chiusura degli ospedali psichiatrici ora toccherà, il 31 marzo, a quelli giudiziari (e alle Case di cura e custodia). Questo in realtà non è un provvedimento risolutorio della complessa situazione relativa agli autori di reati affetti da un vizio totale o parziale di mente e/o socialmente pericolosi per l'elevato rischio di recidiva di condotte antisociali. Gli attuali 700 internati in queste strutture verranno presi in carico dai servizi psichiatrici territoriali, seguendo programmi di reinserimento nelle comunità di provenienza. Per i soggetti socialmente pericolosi sono previste strutture residenziali appropriate (Rems) dislocate in alcune regioni. Siamo però in Italia e pur a fronte di un significativo finanziamento statale per questa pregevole trasformazione, a oggi siamo ancora nell'incertezza. Manca il potenziamento delle risorse umane dei Dipartimenti di salute mentale (depauperati di operatori a causa della crisi), le Rems (forse troppe quelle previste) non saranno pronte prima di qualche anno, tanto che sono state individuate "soluzioni residenziali transitorie", e nulla si è fatto per migliorare l'assistenza psichiatrica nelle carceri (dove persistono condizioni disumane) nelle quali ancora non vengono garantiti modelli operativi per cure adeguate. Infine, i nodi più delicati non sono stati affrontati: riforma del codice penale e delle misure di sicurezza, dell'imputabilità con la cancellazione della pericolosità sociale psichiatrica, delle perizie e dei periti. Senza queste modifiche, che consentono di garantire cure adeguate in strutture riabilitative a chi ha una severa malattia mentale e a evitare che entrino nei circuiti sanitari persone con pericolosità sociale non derivante da malattia (garantendo assistenza psichiatrica in carcere), la situazione tenderà a peggiorare. Il flusso degli ingressi in questi ultimi mesi ha infatti superato nettamente le uscite. Ci aspettiamo che le istituzioni, come la Commissione igiene e sanità del Senato, a cui va il nostro plauso, possano rivolgere ora attenzione al potenziamento dell'assistenza psichiatrica nelle carceri e a costruire un consenso trasversale per la modifica del codice penale. La chiusura degli Opg dovrà essere accompagnata da riforme delle misure di sicurezza: l'intervento e la restituzione al territorio e ai servizi psichiatrici deve avere un orientamento terapeutico, non "custodialistico": dalle misure di sicurezza, alla sicurezza della cura. Lettere: anche il detenuto in regime 41bis ha diritto alla riservatezza quando va in bagno di Fabiana Gubitoso (Avvocato) Ristretti Orizzonti, 22 marzo 2015 A proposito dell'articolo del Garantista sulle detenute ristrette in 41 bis a L'Aquila, vi segnalo che mi è stato accolto, dal Magistrato di Sorveglianza di Nuoro, il reclamo in favore del boss Leoluca Bagarella. Nella fattispecie il detenuto, in 41 bis area riservata, era sottoposto ad un regime di video sorveglianza continua anche nei momenti di intimità essendo il locale bagno "alla turca" annesso alla cella, posizionato al centro della stessa e non schermato da alcuna protezione. Il Magistrato, con estremo atto di coraggio, e applicando la "legge" ha ordinato la schermatura urgente della videocamera e il trasferimento del Bagarella, entro trenta giorni, in idonea struttura penitenziaria in stanza detentiva adeguata e fornita di servizi igienici non contrari al senso di umanità. Mi sembra giusto segnalarvi quanto sopra affinché tali notizie girino tra i detenuti. Distinti saluti. Pordenone: detenuti psichiatrici, in casa di cura 2 posti "non per serial killer" di Giulia Sacchi Messaggero Veneto, 22 marzo 2015 Dopo la ristrutturazione saliranno a quattro Cassin incontra i residenti: "Sicurezza sempre garantita". Sino al termine dei lavori di ristrutturazione della casa di cura e custodia di via Colle a Maniago, il cui edificio, oggi sede del Centro di salute mentale, sarà riqualificato in 3 o 4 anni, gli ospiti potranno essere al massimo 2. Concluse le opere, la struttura potrebbe accoglierne, in base al progetto regionale, 4. Si tratta di persone cui sono applicate le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, ma "nessun killer seriale". Le rassicurazioni arrivano dal direttore del Dipartimento di salute mentale dell'Azienda per l'assistenza sanitaria (Aas) 5 Angelo Cassin, che, affiancato dal direttore del servizio per l'ambito Nord Giuseppe Geppini e dalla dottoressa Monica Corsaro, ha incontrato una delegazione di residenti in via Colle, in un'assemblea organizzata dall'esecutivo Carli. "Ai 2 ospiti saranno applicate misure di interdizione all'uscita non soltanto dall'edificio, ma anche dalla piccola area loro destinata, dove saranno accompagnati da personale sanitario sulle 24 ore", spiega l'Aas 5. La sicurezza è il tema più caldo e quello che sta più a cuore ai maniaghesi, che hanno anche raccolto 250 firme per dire no alla struttura. "La sicurezza è prioritaria e alla massima attenzione di tutti. Ricordiamo che il personale di accompagnamento è quello sanitario - precisa l'Aas. Da questo si evince in modo chiaro che gli eventuali ospiti saranno persone gestibili da tali operatori: sarà la Direzione sanitaria a decidere chi può e non può gestire. È comunque escluso l'accoglimento di killer seriali". Nel periodo di realizzazione della nuova struttura, il Comune ha chiesto di assicurare ai cittadini, in accordo con la Prefettura, un adeguato livello di sicurezza su tre livelli: incremento di personale dedicato a eventuali nuovi ospiti, struttura organizzativa rinforzata, con porte adeguate, telecamere e presenza di operatori sulle 24 ore, e sicurezza perimetrale. Su questo ultimo aspetto la giunta Carli ha chiesto a Cassin "rassicurazioni, con una presenza costante di personale deputato, che, quando si andrà a regime, non potrà essere certamente soltanto sanitario. Con i cittadini, la questione è stata affrontata a partire dai primi passi, mossi nel 2013, cui nulla era seguito da parte della Regione, se non informazioni poco chiare, frutto di una regia più attenta a rispondere alla programmazione di Roma che ai bisogni del territorio - conclude il Municipio. Le ultime notizie pervenuteci riguardavano il numero di ospiti: i 10 posti inizialmente destinati a Maniago sono stati rimodulati a 4". Firenze: Opg di Montelupo, ancora nessuna certezza per gli internati "non dimissibili" www.nove.firenze.it, 22 marzo 2015 Volterra disponibile ad ospitare detenuti con disturbi psichici. Una delle Rems toscane (residenze per l'emissione delle misure di sicurezza), le strutture previste dalla legge 81/2014 per il superamento degli Opg, sarà nella clinica Villanova, di proprietà di Unipol. Questa struttura privata nella colline sopra Careggi, a Firenze, dovrebbe accogliere gli internati più difficili, i cosiddetti "non dimissibili", provenienti dall'Opg di Montelupo. Una scelta, quella della regione Toscana, seguita anche in altre regioni, che pone più di un dubbio e solleva qualche timore. L'affidamento al privato-sociale (o addirittura al privato) modifica non poco l'impianto culturale che sottende il superamento delle strutture giudiziarie per i malati di mente autori di reato. Cambia il luogo di reclusione, certo, le strutture saranno meno fatiscenti e più specializzate, ma allo stesso tempo con la gestione affidata al privato-sociale il rischio di andare incontro a fenomeni di allungamento della degenza per mantenere i finanziamenti, con una presa in carico vitalizia a opera dei servizi psichiatrici, è alta. "All'Opg di Montelupo continuano a ripetersi episodi drammatici, ma a pochi giorni dalla chiusura della struttura la Regione ancora non ha chiarito dove intende aprire le residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria". È quanto denuncia il capogruppo regionale di Fratelli d'Italia e candidato governatore Giovani Donzelli insieme ai consiglieri Marina Staccioli e Paolo Marcheschi, dopo l'ultimo caso di un detenuto che ha ingerito pile e dato fuoco alla cella. "L'assessore Luigi Marroni ha ammesso di recente le difficoltà della Regione nell'individuare strutture Rems perché sono accolte malvolentieri sul territorio - continuano i consiglieri - però non è tollerabile che a dieci giorni dalla chiusura dell'Opg di Montelupo ci si preoccupi più di non scontentare gli elettori della zona che di trovare una nuova sistemazione per gli internati. Aver individuato i centri intermedi a Volterra, Badia San Salvatore e Arezzo è un primo passo ma non basta: se allontanamenti, aggressioni e danneggiamenti avvengono a Montelupo, figuriamoci cosa accadrà in seguito". Volterra disponibile ad ospitare detenuti con disturbi psichici anche da altre regioni d'Italia. A dare questa disponibilità è il sindaco Marco Buselli in una lettera alla vicepresidente della Regione Toscana Stefania Saccardi, in virtù anche dell'idoneità, riconosciuta al territorio volterrano da Regione e Asl 5, ad ospitare il modulo residenziale sperimentale (12 posti) ad alta intensità assistenziale per pazienti con disturbi psichici autori di reato. "Dal momento che sembrano solo dieci le Regioni pronte a fare fronte alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari entro il termine del 31 marzo - scrive il primo cittadino - avendo individuato le strutture alternative operative dal primo aprile, sono ad offrire la disponibilità del Comune di Volterra a valutare eventuali esigenze si dovessero presentare in relazione agli adempimenti previsti dalla legge, in Toscana, ma, se la Regione lo dovesse ritenere possibile, anche attraverso accordi con altre Regioni, al momento inadempienti e a rischio commissariamento". "Volterra ha una vocazione all'accoglienza e all'assistenza del paziente psichiatrico - aggiunge nella lettera il sindaco Buselli, consolidata anche in seguito al superamento degli Ospedali Psichiatrici. L'urgenza, ricordataci anche dall'ex Presidente della Repubblica, che ha parlato degli Opg come "luoghi indegni per un Paese appena civile", è dettata anche dal fatto che la data per la chiusura degli OPG si avvicina e che - conclude il primo cittadino, per essere sicuri che venga rispettata, è diventato ormai necessario portare a compimento la riforma studiata dal Governo". Civitavecchia: "carcere sovraffollato", denuncia Fns-Cisl in base agli ultimi dati del Dap www.civonline.it, 22 marzo 2015 Il segretario regionale della Fns Cisl Lazio Massimo Costantino torna a lanciare l'allarme sovraffollamento per il supercarcere di Borgata Aurelia. E questo alla luce degli ultimi dati forniti dal Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria). I reclusi presenti nei 14 istituti della Regione Lazio risultano essere 5.733, con 463 detenuti in più rispetto ai 5.270 della capienza regolamentare prevista. "Da segnalare - ha spiegato Costantino - che le detenute recluse attualmente risultano essere 407 con un più 10 rispetto al dato del 28 febbraio scorso. Preoccupa il dato del Nuovo Complesso di Civitavecchia". La capienza regolamentare è di 344 detenuti; attualmente ne sono ospitati 436. "Nelle carceri il sovraffollamento assume carattere emergenziale - hanno aggiunto dalla Fns Cisl Lazio - il tema delle carceri deve essere affrontato a tutto tondo, sia considerando le problematiche certamente reali e delicate dei detenuti ma anche tutelando i poliziotti penitenziari che operano con abnegazione e sacrificio, in ambienti lavorativi insalubri e spesso a rischio della propria incolumità: su questo versante aspettiamo iniziative concrete da parte del Governo". Caserta: domani la Commissione Sanità del Senato sarà in visita all'Opg di Aversa www.ilfarmacistaonline.it, 22 marzo 2015 Proseguono le visite della XII Commissione di Palazzo Madama presso alcuni Opg italiani. Ad Aversa sarà presente una delegazione composta dai senatori Lucio Romano, Nerina Dirindin e Maurizio Romani, per verificare lo stato di assistenza dei degenti e lo stato di attuazione dell'iter per il superamento di questo tipo di strutture che smetteranno di esistere il prossimo 31 marzo. La Commissione Igiene e Sanità del Senato ha deciso di avviare una serie di visite presso alcuni Opg italiani per verificare i percorsi di superamento degli Opg previsti dalla normativa vigente e sostenere il lavoro dei vari soggetti interessati. Il prossimo 23 marzo una delegazione composta dai senatori Lucio Romano, Nerina Dirindin e Maurizio Romani, accompagnati da Silvio Biancolatte, Consigliere e Capo ufficio segreteria della Commissione e dai marescialli Massimo Tolomeo e Claudio Vuolo visiteranno l'Opg di Aversa per verificare lo stato di assistenza dei degenti dell'ospedale psichiatrico giudiziario e lo stato di attuazione dell'iter per il superamento di questo tipo di strutture che smetteranno di esistere il prossimo 31 marzo. Dopo la visita in ospedale si terranno le audizioni presso l'Opg (Sala Virgilio) con Tommaso Contestabile, Provveditore regionale amministrazione penitenziaria, Gaetano Danzi, Commissario Asl Caserta, Antonio Di Matteo, Magistrato di Sorveglianza, Tribunale di Sorveglianza di Napoli e Fedele Maurano, Direttore Dsm-Asl Napoli 1 centro. Cremona: 80enne con l'Alzheimer ruba una salsiccia, condannato a pagare 11.250 euro Leggo, 22 marzo 2015 Nel 2010 aveva rubato una salsiccia dal supermercato, oggi viene condannato a 45 giorni di carcere o a una pena pecuniaria di 11.250 euro. La vicenda assume contorni inquietanti perché il "ladruncolo" in questione è un 79enne malato di Alzheimer. È accaduto a Cremona. Cinque anni fa l'anziano si è infilato in tasca una salsiccia da 1,76 euro mentre si trovava in un supermercato. All'uscita l'uomo è stato fermato dalle guardie giurate ed è stato denunciato. Nel 2013 arriva la condanna in primo grado, 45 giorni per furto con l'aggravante della destrezza. La figlia del pensionato racconta di essersi recata in Tribunale per chiedere copia degli atti e preparare il ricorso, ma a suo dire non ve n'era traccia. La storia cade nel dimenticatoio fino a qualche giorno fa quando esce sul Corriere della Sera. Oggi la sentenza è passata in giudicato e l'anziano deve pagare 11.250 euro. Salerno: il volontariato contro le dipendenze, accordo tra Comune, Icatt di Eboli e Csi La Città di Salerno, 22 marzo 2015 A partire da oggi ad occuparsi della manutenzione delle palestre scolastiche di competenza del Comune di Salerno ci saranno degli operai un po' speciali: i detenuti dell'Icatt di Eboli. È stato firmato ieri mattina, , infatti, il protocollo d'intesa tra Palazzo di Città, Icatt e Csi per la realizzazione del progetto "Fare squadra". Lo scopo principale dell'intesa è di favorire il reinserimento dei detenuti nel tessuto sociale anche attraverso l'avviamento al lavoro. "La nostra casa circondariale - ha spiegato il direttore Rita Romano - ospita sessanta detenuti con un'età media sui trent'anni. È dal 2007 che sono impegnati in attività di questo tipo, principalmente a Eboli, come la pulizia delle spiagge, la manutenzione delle scuole e del verde pubblico. Adesso inizia anche questo nuovo progetto per il quale i detenuti presteranno lavoro volontario". Soddisfatta l'assessore alla Pubblica istruzione Eva Avossa. "È un'iniziativa molto importante - ha commentato - la cui duplice finalità è del tutto evidente: recuperare ragazzi a rischio e ristrutturare le nostre palestre scolastiche". Ma la firma del protocollo d'intesa è stata l'occasione anche per presentare un'altra iniziativa dell'assessorato, stavolta promossa in sinergia con il Coni provinciale (rappresentato ieri dal presidente provinciale Mimma Luca). In pratica, le scuole comunali che attuano la settimana corta metteranno a disposizione le loro palestre nella giornata del sabato per permettere ai ragazzi di svolgere una serie di attività sportive organizzate dal Coni: dal pugilato alla pallavolo fino al tiro con l'arco. Il progetto partirà in via sperimentale dopo Pasqua in due istituti comprensivi: San Tommaso D'Aquino e Giovanni Paolo II (ex Carlo Alberto Alemagna). La speranza è che, a partire dal prossimo anno scolastico, possa estendersi ad altre scuole così da offrire ai giovani un'ulteriore occasione di socializzazione. Padova: droga e telefonini in cella, rito abbreviato per i 5 agenti penitenziari sotto accusa di Carlo Bellotto Il Mattino di Padova, 22 marzo 2015 Tutti gli agenti di Polizia penitenziaria finiti nei guai nell'inchiesta dell'estate scorsa accusati di aver portato all'interno delle celle droga o telefonini chiudono il conto con la giustizia con dei riti alternativi. Nell'udienza preliminare dell'altro ieri i legali lo hanno preannunciato al giudice, ci sono dei patteggiamenti e dei riti abbreviati. Il 7 luglio 2014 venivano arrestati Pietro Rega, 48 anni, originario di Mariglianella (Napoli) e residente a Mirano; Luca Bellino, 38 anni, originario di San Paolo di Civitate, residente in via Croce Verde a Padova. Altri 4 agenti finirono agli arresti domiciliari: Roberto Di Profio, 45 anni, originario di Chieti e residente a Abano; Paolo Giordano, 40 anni, che si tose la vita un mese dopo; Giandonato Laterza, 31 anni, di Matera e domiciliato a Piazzola sul Brenta; e Angelo Raffaele Telesca, 36 anni, toscano, residente ad Albignasego. Il 15 maggio si discuteranno questi provvedimenti di ammissione di colpa. Per gli altri indagati 18 detenuti e sette persone tra parenti e amici ieri è stata un'udienza interlocutoria. All'udienza di ieri non si sono presentati due imputati, i fratelli tunisini Issam e Mohamed Tlili, entrambi evasi l'altra sera. Uno era in permesso premio dal carcere di Bolzano dove era detenuto per altra causa, il provvedimento di libertà scadeva l'altra sera quando doveva tornare in cella per presentarsi ieri in tribunale a Padova, ma ha pensato bene di rimanere uccel di bosco. Il fratello invece, pure lui detenuto per altri fatti è evaso dai domiciliari che stava scontando a Livorno. Entrambi quindi ieri non si sono visti. C'erano comunque decine e decine di agenti di penitenziaria che hanno scortato i detenuti (anche loro colleghi) agli arresti domiciliari. L'indagine era iniziata nell'estate 2013, mentre la polizia stava intercettando dei marocchini sospettati di un traffico di droga. Dalle telefonate era emerso del particolare traffico nella casa penale del Due Palazzi. L'inchiesta venne coordinata dal pubblico ministero Segio Dini e si è allargata a macchia d'olio. Scavando più a fondo la Mobile della Questura ha scoperto che c'era un vasto ed organizzato gruppo di agenti in servizio che erano dediti a fini di lucro ed in pianta stabile, in concorso con familiari ed ex detenuti, ad un sistema illecito finalizzato all'introduzione in carcere di droga (eroina, cocaina, hashish, metadone), materiale tecnologico (telefonini, schede sim, chiavette usb, palmari) ai detenuti accontentandoli per altre richieste. Chi era in cella e poteva pagare - tramite dei famigliari - poteva avere di tutto, in cella. Vicenza: quattro agenti finiscono a processo, devono rispondere dell'abuso di autorità Giornale di Vicenza, 22 marzo 2015 Quattro agenti della Polizia penitenziaria a processo per aver picchiato un detenuto. La procura ne è convinta, tanto che il pubblico ministero Alessandro Severi, prima di lasciare Vicenza per la corte d'Appello di Venezia, ha chiuso le indagini ed ha citato a giudizio gli appartenenti al Corpo, contestando loro l'abuso di autorità. Pertanto, Renzo Valvo, 38 anni, residente a Siracusa, Giovanni Salafia, 38, di Vicenza, Maurizio Balducci, 28, di Vicenza, e Salvatore Carrozzo, 52, di Torri di Quartesolo, dovranno presentarsi nei prossimi mesi in tribunale. Assistiti dagli avv. Paolo Mele junior, Sonia Negro e Sebastiano Caristia, contestano le accuse. L'inchiesta era partita da alcuni esposti e dalla segnalazione della deputata radicale Rita Bernardini, che si era recata in visita alla casa circondariale San Pio X di Vicenza e, quand'era uscita, aveva raccontato di essere venuta a conoscenza di numerosi episodi di violenza in danno dei reclusi. Quelle dichiarazioni suscitarono vive polemiche. Brescia: Vivicittà "Porte Aperte" a Verziano. con 300 studenti ed un centinaio di detenuti Ristretti Orizzonti, 22 marzo 2015 È andata in archivio con pieno successo anche la 20esiam edizione del Vivicittà "Porte - Aperte", manifestazione podistica… per tutti, svoltasi sabato 21 marzo con un apposito percorso podistico allestito nel campo sportivo e mura perimetrali all'interno della Casa Reclusione di Verziano. Alla corsa podistica internazionale del Vivicittà a Verziano (che approderà anche in altre 20 case Circondariali d'Italia), con partenza alle ore 10.30, hanno preso parte 300 studenti e studentesse di sette Istituti Scolastici Superiori cittadini, "Mantegna" (alla sua prima partecipazione), "Abba- Ballini", "Tartaglia-Olivieri", "Fortuny", "Copernico", "Calini", "De Andrè" e due della Provincia ( "Lorenzo Gigli" di Rovato e "Don Milani" di Montichiari), assieme a circa un centinaio tra detenuti e detenute : grandi numeri anche per l'edizione che ha festeggiano i 20 anni di attività. Gli alunni/e degli Istituti Scolastici Superiori, tutti premiati dall'Uisp di Brescia con un una targa commemorativa, come atto di ringraziamento per la costante partecipazione all'iniziativa, ormai in atto da numerosi anni e con sempre nuovi ingressi, hanno condiviso con entusiasmo e curiosità questa particolare esperienza non solo sportiva (che sarà doverosamente analizzata ed approfondita nel percorso scolastico…), lasciando la parte agonistica vera e propria alle Sezioni del carcere: maschile km 6 e femminile km 3, per le quali era prevista una specifica premiazione con l'assegnazione dei riconoscimenti per i primi 5 classificati detenuti e detenute e che hanno registrato nei primi posti i notevoli piazzamenti di atleti/e extracomunitari. Per le detenute primi posti per le ragazze latino americane con la vittoria di Brenda Margarita R.S. con 16'41" (terza lo scorso anno) davanti a Martha Cecilia C.C. con 16'44 ", terzo posto per Mercedes J. con 25'30", quarta Irina G. con 25'30" e quinta Naila R. con 28'13". Per i detenuti, vittoria finale per un atleta albanese Valtin P. con 26'42" che ha staccato l'indiano Amrinder S. con 27'14" ( secondo classificato come nel 2014), terzo Viorel B. con 27'34", quarto Modou T. con 27'37" e quinto Roberto L. M. con 29'46". Questa significativa manifestazione di "sport per tutti" del "Progetto-Carcere" dell'Uisp di Brescia è patrocinata dal Comune di Brescia (Assessorato allo Sport e Presidenza del Consiglio Comunale), sostenuta dalla Fondazione Asm Brescia, organizzata con l'Associazione "Carcere e Territorio" Onlus di Brescia, ed è parte integrante del Progetto Speciali-Carceri della Regione Lombardia "Oltre il muro, porte aperte alla speranza", ed ha registrato anche quest'anno una straordinaria partecipazione di atleti (sia interni che esterni) concludendosi con un meritato ristoro e le premiazioni alla presenza di una figura storica del mondo del volontariato carcerario, Angelo Canori del Vol-Ca, e della Direzione della Casa Reclusione di Verziano al gran completo: la Direttrice Francesca Paola Lucrezi, il Comandante Michele Rizzi, le educatrici Anna Garda e Silvia Frassine. La Direttrice ha così ricevuto un riconoscimento come atto di sincero ringraziamento per l'indispensabile e convinta collaborazione da parte della Direzione e di tutto il personale di Polizia Penitenziaria, donato dal Presidente Uisp Brescia, Rino Alessandrini, e dal responsabile del "Progetto - Carcere" Uisp, Alberto Saldi. In tutti gli interventi della mattinata, è stata ribadita la necessità di tenere vivo il legame tra la vita dei reclusi (reclusi… ma non esclusi) e la società civile, favorendo l'ingresso in carcere delle realtà scolastiche e sportive, come avviene ormai da 30 anni con le iniziative proposte dall'Uisp di Brescia nei due Istituti Penitenziari cittadini. Inoltre, prima delle premiazioni finali, c'è stato il doveroso ricordo del lavoro svolto a favore dei detenuti da parte del Garante Emilio Quaranta, scomparso martedì 17 marzo, ed è stato significativo che a ricordare la figura del Dr. Quaranta, nonché il ruolo, l'importanza del "Garante dei diritti delle persone private della libertà personale", sia stato proprio colui che a Brescia ha iniziativa questa esperienza, Mario Fappani. Il Vivicittà "Porte-Aperte" anche quest'anno ha rappresentato il prologo della corsa podistica internazionale Vivicittà (giunta alla 32° edizione) e per quanto riguarda la nostra città è stata confermata la tappa a Zavidovici (Bosnia Erzegovina) dove, dal 1 al 6 aprile, si recherà un pullman di studenti ed atleti dell'Uisp di Brescia e di Cremona per la 18° edizione del Vivicittà in programma il giorno di Pasqua, domenica 5 aprile e con diversificate iniziative sportive e di solidarietà, con visita guidata a Mostar 2 marzo , 5 aprile: 2 appuntamenti podistici del "Vivicittà" molto significativi con l'obiettivo di realizzare uno sport consapevole , solidaristico e … per tutti. Empoli: "Recluse, lo sguardo della differenza femminile sul carcere" presentato a Pozzale Ristretti Orizzonti, 22 marzo 2015 All'incontro intervengono il direttore Pujia, il garante regionale Corleone, l'assessore Mostardini, Mercedes Frias, Laila Abi Ahmed e Elena Baragli di Nosotras, rappresentanti della amministrazione penitenziaria Una presentazione in rosa. Un libro che parla di detenzione al femminile, di recluse, come restituzione alla detenute che hanno dato il loro contribuito in qualità di autrici indirette del libro. Martedì 24 marzo alle 16 alla Casa Circondariale Femminile di Empoli, si presenta "Recluse - lo sguardo della differenza femminile sul carcere" di Grazia Zuffa e Susanna Ronconi, pubblicato dalle edizioni Ediesse nel novembre 2014. Un evento che si colloca a metà fra l'ambito letterario e quello sociale e rientra nella 2a giornata nazionale del Teatro Carcere, in cui ogni realtà carceraria italiana, dove il teatro viene impiegato nella sua duplice veste di espressione artistica e pedagogica, avrà cura di programmare un'iniziativa volta alla sensibilizzazione culturale e teatrale all'interno dei penitenziari. All'iniziativa interverranno Graziano Pujia, direttore della struttura; Maria Grassi, comandante del personale di custodia, area sicurezza; Lucia Scaramuzzino, educatrice, area trattamentale; Lucia Mostardini, assessore alle politiche sociali del Comune di Empoli; Mercedes Frias, associazione Punto di Partenza; la presidente Laila Abi Ahmed e la vice presidente Elena Baragli di Donne Nosotras; alcuni rappresentanti dell'amministrazione penitenziaria, oltre al garante dei detenuti in Toscana, Franco Corleone, e altre figure quali insegnanti, volontari, studenti, cittadini, che a vario titolo, e sviluppando progetti differenti, contribuiscono alla realizzazione di attività formative all'interno del carcere di Empoli. La presentazione del libro sarà condotta da Maria Teresa Delogu, operatrice della compagnia teatrale Giallo Mare Minimal Teatro e Patrizia Tellini, giornalista pubblicista. Recluse diventa in parte restituzione alle detenute al loro contributo, in qualità di autrici indirette del libro, realizzato intervistando le donne detenute delle tre carceri toscane (Empoli, Sollicciano e Pisa) e per l'occasione alcune di loro leggeranno piccoli stralci e brani del libro. L'iniziativa che non è aperta al pubblico esterno ma su invito diretto della Casa Circondariale Femminile di Empoli, rappresenta anche un formidabile strumento che va ad unirsi al recente fermento di pubblicazioni che sta avendo luogo intorno alla detenzione femminile ed in particolar modo nella struttura empolese. Ricordiamo il libro uscito da poco Codice a sbarre e, a breve, la risposta al libro delle donne detenute di Empoli, redatto dagli studenti dell'ISIS Il Pontormo, intitolato Sbarre d'inchiostro che sarà presentato ufficialmente nel Cenacolo degli Agostiniani il 26 settembre prossimo. Strumenti di avvicinamento, analisi, riflessione, comprensione della realtà carceraria nella nostra regione e, per estensione, nel nostro paese. La pubblicazione è stata scritta attraverso interviste alle donne detenute, alle agenti di polizia penitenziaria, al personale educativo e ad altri operatori sociosanitari. Le autrici conducono un'analisi critica dell'istituzione carcere che guarda a possibili trasformazioni, con l'obiettivo di promuovere una cultura e una prassi che supportino - invece di limitare o osteggiare - le strategie di resistenza che la differenza femminile mette in campo. Emerge un orizzonte di riforma possibile: abbandonare l'idea di pena come "minorazione" della persona e mortificazione delle sue risorse, per riconoscere alle autrici e agli autori di reato soggettività e diritti, su cui misurare le proprie e le altrui responsabilità. Negli anni 2013-2014, la Società della Salute onlus in collaborazione con l'Asl 10 di Firenze, il provveditorato dell'amministrazione penitenziaria di Firenze e le direzioni dei tre istituti femminili coinvolti (Sollicciano, Empoli e Pisa), ha effettuato una ricerca sulla detenzione femminile in Toscana. Il progetto denominato "Donne in carcere, lo sguardo della differenza femminile verso la prevenzione dell'autolesionismo e del suicidio, per un contenimento della sofferenza" è stato realizzato attraverso la raccolta di dati statistici relativi ad età, nazionalità, tipologia di reati, condotte autolesive della popolazione detenuta femminile presente in regione. Poi sono state realizzate delle interviste alle detenute nonché dei focus group con il personale di polizia penitenziaria e con il personale dell'area educativa. Il rapporto di ricerca è stato redatto da Susanna Ronconi e Grazia Zuffa, le quali hanno rispettivamente curato le interviste alle detenute e con il personale, garantendo comunque l'anonimato e la tutela dei dati sensibili di tutti i partecipanti. Serena Franchi ha raccolto ed elaborato i dati statistici sulla popolazione detenuta femminile della Toscana e sugli eventi critici. I risultati della ricerca sono stati trasferiti nel libro di cui stiamo parlando, Recluse; mentre la ricerca è stata presentata agli operatori e operatrici coinvolti lo scorso anno nel mese di giugno alla casa circondariale femminile di Sollicciano alla presenza del provveditore regionale.