Giustizia: noi, illusi dello Stato di diritto, diciamo grazie al Governo Pd di Tiziana Maiolo Il Garantista, 1 marzo 2015 Hanno preso carta e penna, hanno aperto il portafoglio e hanno comprato mezza pagina del Corriere della sera. Non gliela volevano pubblicare, perché diceva così: "Il Parlamento ha finalmente approvato la legge sulla responsabilità civile dei magistrati. Oggi finisce l'impunità di una casta che si è macchiata più volte per imperizia, colpa grave e dolo di errori che hanno causato la morte di innocenti colpiti da provvedimenti ingiusti. Ringraziamo il governo Renzi che ha proposto questo disegno di legge. Da oggi l'Italia è più libera e le vittime di una casta incapace di punire - attraverso la sedicente sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura - gli artefici dei più gravi soprusi, sono più sollevate nel loro dolore". La pagina, uscita con difficoltà, e solo dopo che gli autori del testo avevano sollevato il Corriere da ogni responsabilità, è firmata da Piero e Paolo Broglia, due fratelli gemelli, imprenditori del vino di Gavi, famiglia liberale un tempo impegnata nel settore tessile. Due teste dure piemontesi, abituati alla cultura del pensare e del fare, più che a quella dell'apparire, tanto che hanno rifiutato, in seguito alla pubblicazione, commenti e interviste, loro chieste un po' da tutti gli organi di informazione. "Quel che avevamo da dire, l'abbiamo scritto", lapidari. Piero Broglia è stato mio collega in Parlamento. E, come me e tanti altri, "uno del novantaquattro", ha fatto parte del primo "gruppo giustizia" di Forza Italia. Ci credevamo davvero e avevamo le idee molto chiare su quel che si doveva fare, nella prima legislatura della Seconda Repubblica. Uscivamo dal biennio in cui erano saltate le regole dello Stato di diritto e un'intera classe politica di governo con cinque interi partiti si era lasciata "suicidare" dall'intervento di una magistratura la quale, spesso violando leggi e procedure, si era assunta il ruolo di personificare il Bene in lotta con il Male. Salvando solo l'unico partito "puro", quel Pci-Pds che pure si era finanziato illegalmente come gli altri. Noi avevamo individuato subito quali fossero i punti da colpire: l'obbligatorietà dell'azione penale, la separazione delle carriere, l'uso della custodia cautelare, il Csm, l'uso mediatico delle inchieste e la sovraesposizione dei pm. Per non parlare del doppio binario, con la giustizia di serie B nei processi di mafia: nessuno di noi era favorevole all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, una vera forma di tortura all'occidentale. Piero Broglia aveva una fissa: la responsabilità civile dei magistrati. Mi dava il tormento perché io, che ero presidente della Commissione giustizia della Camera, avevo messo all'ordine del giorno prima la responsabilità disciplinare. Avevamo ragione tutti e due, naturalmente. Ma, dopo la caduta del primo governo Berlusconi, non si riuscì più a portare a termine quasi niente. Inoltre i nostri alleati, con la nobile eccezione di un gruppo di avvocati di An, come Enzo Fragalà e Alberto Simeoni, non erano proprio campioni di garantismo. Del primo "gruppo giustizia" di Forza Italia facevano parte il liberale Alfredo Biondi, ministro guardasigilli e il suo sottosegretario Memmo Contestabile, brillante avvocato milanese, di provenienza socialista. Poi c'era Tiziana Parenti, Presidente della Commissione Bicamerale Antimafia, unico magistrato del gruppo, la quale non solo aveva invano tentato, da Pm del pool milanese, di inquisire il Pci-Pds (ed era stata cacciata), ma, benché avesse indossato la toga, la pensava esattamente come noi sulle carriere dei magistrati e i principi dello Stato di diritto. C'era poi Vittorio Sgarbi che, benché Presidente della Commissione cultura, era sempre pronto alle battaglie sulle giustizia. Ovviamente c'erano tutti i radicali, da Emma Bonino a Marco Taradash. Perché ritengo importante ricordare chi erano "quelli del novantaquattro"? Non per fare un inutile amarcord né per dire che eravamo più bravi (ma insomma, è anche un po' così) dei parlamentari che si sono poi succeduti negli anni, ma anche per sfatare il mito degli intellettuali, dei professori e di tutti quelli, compresi tanti esponenti politici della prima repubblica, democristiani e socialisti, che sono arrivati dopo, quando Berlusconi ormai aveva vinto ed era molto più facile andare in soccorso del trionfatore. Non è vero che nel 1994 Berlusconi - come in tanti dicono oggi - avesse selezionato meglio la classe dirigente perché aveva candidato Colletti, Pera, Melograni, Mathieu, Marzano o Vertone. Loro sono arrivati dopo due anni, con la "Convenzione liberale" creata da Marco Taradash (ne ricordo la nascita, al ristorante "Da Alfredo"). Berlusconi aveva selezionato meglio perché aveva trovato persone che avevano scommesso su di lui quando tutti lo irridevano, persone che ci credevano, che avevano entusiasmo e non avevano sostenuto Di Pietro negli anni precedenti. Gente che riteneva quello della giustizia il primo problema del nostro Paese. Gente come Piero Broglia, che non ha mai cambiato idea e che oggi è "costretto" a ringraziare un governo di sinistra per esser riuscito, sia pure con una certa timidezza, a fare una nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati. Giustizia: punire qualche magistrato… per educarli tutti quanti di Furio Colombo Il Fatto Quotidiano, 1 marzo 2015 Chi dispone di denaro e buoni avvocati potrà minacciare il magistrato, che rischierà a sua volta di essere giudicato per buone o cattive ragioni. Propongo al ministro della Giustizia Orlando, a cui riconosco una indiscutibile onestà e una profonda incompetenza, di inviare il testo della infausta legge appena approvata dalla Camera (con cui chi ne ha i mezzi può tenere a bada i magistrati e respingere la sentenza) ad un giurista americano, chiunque, ma con un limite di credibilità e di valore. Per esempio, il capo di una Scuola di Legge delle prime dieci più prestigiose università degli Stati Uniti. Infatti, in quel Paese, la School of Law non è una facoltà tra altre. È un ciclo completo di studi giuridici dei Paesi democratici. Non pretendo di sapere da Orlando che risposte riceverà, anche perché è facile immaginarlo. Il fondamento della giustizia, come sa bene la mafia, è che non si possa intimidire il giudice. Mi rendo conto della situazione impossibile. Il ministro Orlando, privo di esperienza e di cultura giuridica, ha seguito, secondo la volontà del suo partito, il percorso giuridicamente rozzo disegnato da un senatore, anche lui diplomato (nel caso, perito industriale). Siamo di fronte a un cumulo di incompetenze, e non si tratta di prendersela con le persone. Non è stato Orlando ad autoproclamarsi senza ragione ministro della Giustizia (come un bravo cittadino che fosse buttato all'improvviso, con mascherina e guanti, dentro una sala operatoria). Non ha deciso da solo che toccasse a un altro diplomato di scrivere la legge più delicata e complessa tra quelle che regolano l'intero sistema giudiziario (indipendenza, libertà e non intimidazione dei magistrati). Tuttavia mi piacerebbe che, da persona per bene, si rendesse conto della legge-disastro che ha presentato, sia pure sotto un altro nome, e che resterà "la legge Orlando", destinata a entrare nei libri di storia come l'unica legge occidentale con cui ogni condannato, se ricco abbastanza, può rovinare il magistrato, facendogli sapere, fin dall'inizio del processo, che il giudice sarà comunque a sua volta giudicato, per buone o cattive ragioni, per ogni atto che sta compiendo, se l'imputato ha i mezzi e gli avvocati adeguati. Ad esempio, se il presunto assassino della ragazzina Yara fosse ricco e se la nuova legge fosse già in vigore, c'è da domandarsi se i giudici continuerebbero a tenerlo in carcere prima del processo nonostante l'evidente rischio di fuga, visto che ogni nuova conferma della detenzione preventiva può diventare, nel ricorso previsto, e secondo il dettato della legge Orlando, un capo di accusa o comunque una ragione di processo. Tutti ricordano il principio, valido in ogni Paese, secondo cui non sono possibili referendum sull'ammontare, per quanto ingiusto, di una tassazione. Quel lavoro resta nelle mani delle persone che hai eletto, nella speranza che siano in grado di realizzare una mediazione accettabile fra Stato e cittadini. Ma poiché nessuno è incline a ritenere giusto il livello delle tasse che paga, i cittadini vengono esclusi dall'interloquire direttamente, e per questo esiste, se funziona, il Parlamento. Adesso invece il cittadino, se abbiente, può perseguitare il giudice, proprio la persona del giudice, che in ogni momento del suo lavoro sa che l'imputato abbiente ha tre anni di tempo per trovare una buona ragione di accusa (indipendente dai tre gradi di giudizio) che durerà a lungo, che lo espone a una sanzione umiliante e severa (perdita della metà dello stipendio) e che lo tiene comunque sotto minaccia. Ho detto "imputato abbiente" perché questa è una legge ovviamente dedicata ai ricchi e dunque soprattutto ai grandi e illustri imputati (metti, per fare nomi a caso, Berlusconi o Dell'Utri). Ma niente vieta, nello slancio anti-giudici che sembra animare i berlusconiani di sinistra, e non solo quelli di destra, in Parlamento, che si formi un corpo di avvocati volontari che si offrono al condannato meno abbiente una loro "spontanea" assistenza anti-giudice pur di tenere finalmente a bada il potere giudiziario. È infatti il solo che non sia crollato, come la politica e il giornalismo, al passaggio dell'imprenditore ricco in grado di acquistare la Rai, le ragazze, la maggiore casa editrice del Paese e un pacchetto di senatori. Citerò Violante per smentire l'affermazione corrente che fa da traino alla nuova legge, e che giornali e TV ripetono. Domanda: "Questa legge andava varata in fretta perché ci è stata richiesta dall'Europa?". Risposta: "No, è soltanto una bugia. L'Europa non c'entra nulla. La politica deve assumersi la responsabilità delle proprie scelte". (Corriere della Sera, 25/2). Ed ecco ciò che il berlusconismo di sinistra ritiene sia la legge sulla Responsabilità civile (personale, non dello Stato, e, come tale, inammissibile in qualunque ordinamento democratico) dei magistrati. Primo, non c'è filtro di ammissibilità. Basterà il comprensibile cattivo umore di chi ha persona una causa. È importante per creare affollamento e dire: vedete? finalmente il cittadino può difendersi. Secondo: "È colpa grave la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell'Ue". Poiché, come è noto, non esiste un corpo di norme civili, penali o costituzionali che possano essere chiamate "diritto dell'Unione Europea" l'affermazione è priva di senso pratico e giuridico. Terzo: "(occorre punire) il travisamento del fatto o delle prove". Di nuovo la frase non è interpretabile né verosimile, date le garanzie del dibattito in tre gradi di giudizio - e dispiega tutto il suo berlusconismo puro. Al punto che gli avvocati di B. essendo anche parlamentari, non azzardavano affermazioni del genere in aula giudiziaria, ma lo facevano solo in Parlamento. Una cosa si può predire. Questa legge sull'intimidazione dei magistrati lascia un segno profondo, deformante e imbarazzante, che diventerà una svolta storica, sull'immagine di questo governo. È un impegno distruttivo (prima le garanzie del lavoro poi le garanzie della giustizia) non si sa se politico o caratteriale, se spontaneo o dovuto a un disegno che tuttora non si conosce. Giustizia: i falsi rischi dei magistrati e il fallo di reazione di Cataldo Intrieri Il Garantista, 1 marzo 2015 Due iniziative di legge del governo Renzi uniscono nella protesta avvocatura e magistratura. L'approvazione della nuova legge sulla responsabilità civile ha suscitato nella magistratura quello che in gergo calcistico si chiama fallo di "frustrazione", una reazione dettata da emotività e dal contraccolpo psicologico, piuttosto che da un reale pericolo. Come noto la normativa abolisce il filtro della preventiva ammissibilità dell'azione risarcitoria consentendo di adire direttamente lo Stato (attenzione, non il magistrato) in sede giudiziaria. E cambia il contenuto della "colpa grave", la quale scatterà anche nelle ipotesi di violazione manifesta della legge italiana e del diritto comunitario e di travisamento delle prove e dei fatti (il quale, però, secondo quanto emerso dai lavori parlamentari, dovrà essere evidente e macroscopico per far scattare la responsabilità civile del magistrato). Sarà considerata colpa grave anche emettere un provvedimento cautelare al di fuori dei casi considerati dalla legge e senza motivazione (il che, a dire il vero, è talmente ovvio che non avrebbe richiesto una norma specifica). Poche righe che hanno suscitato un'esplosione di apocalittiche previsioni: l'Anm le ha bollate come espressione di una mera volontà punitiva, un'autorevole giornalista come Donatella Stasio, attenta conoscitrice del mondo della magistratura associata, ha preconizzato che "i magistrati, come reazione difensiva alle potenzialità intimidatorie della riforma, si trasformeranno in burocrati". Mi pare si possa dire che in questi giorni l'emozione e la rabbia abbiano fatto da padrone, impedendo la dovuta obiettività. A ben vedere le novità, esaminate con spirito critico e senza sentimento di lesa maestà, non si presterebbero a scenari rivoluzionari. Essere sottoposti al giudizio dei propri simili, della cui terzietà e indipendenza, l'Anm e stata il più convinto testimonial, non dovrebbe preoccupare più di tanto, e del resto magistrati erano anche coloro che si pronunciavano nel vecchio regime sulla preventiva ammissibilità della domanda, che ha portato alla invero asfittica statistica di 8 condanne in 33 anni su 400 domande. Dati veramente magri. Si sostiene che la nuova legge colpirebbe la funzione vitale della magistratura: l'interpretazione delle norme nel diritto interno e comunitario. A prima vista questo timore sembra eccessivo, la giurisprudenza della Cedu negli ultimi tempi sembra indulgere a letture più tolleranti anche di principi sacri come quello del contraddittorio ex articolo 6. Con la sentenza Al Thawiry del 2011 ad esempio la Corte ha sancito la legittimità di un processo in cui, pur non procedendo all'esame diretto della vittima, nel frattempo morta, si erano utilizzate le sue dichiarazioni. Analogamente la corte Cedu e la commissione hanno provveduto ad una poderosa elaborazione di un diritto vittimologico a scapito anche del diritto al contraddittorio che viene lentamente eroso dai sempre più frequenti over-ruling. E dunque perché angosciarsi? Se Sparta piange anche Atene non si sente bene. Alti lai e maledizioni vengono scagliati contro la re introduzione del cosiddetto "socio di capitale", un uomo nero senza volto armato del fascino corruttore del soldo, che notoriamente stride con lo spirito francescano tipico della professione forense. Nessuno sa chi sia il "socio", quale volto abbia, perché mai dovrebbe investire soldi con gli avvocati. Si paventano conflitti d'interesse di cui si fa stranie quotidianamente. Tutto questo a dire il vero, il pianto antico per il filtro e per il socio, sembra il frutto di una mentalità pedagogica che alcune élites ostentano. Una superiore eticità che autorizza a proibire ma ben attenta a conservare privilegi e quote di mercato. Qualcuno di recente mi ha detto che la libertà ha bisogno di regole. Io continuo a pensare che le regole in una società democratica non possono proibire ciò che non è vietato ed imporre la propria etica. Il socio ed il filtro, due facce della stessa medaglia. Giustizia: Migliucci (Ucpi); giusto che principio responsabilità valga anche per magistrati di Chiara Rizzo Tempi, 1 marzo 2015 Intervista a Beniamino Migliucci, il presidente dei penalisti italiani: "Finalmente il giudice pagherà se non valuterà i fatti o le prove in un processo". "Una legge equilibrata e molto attesa": la nuova norma sulla responsabilità civile dei magistrati supera l'esame dei penalisti italiani, come racconta a tempi.it il presidente dell'Unione camere penali italiane, Beniamino Migliucci. Secondo voi questa norma sarà così efficace da cambiare davvero qualcosa nel mondo della giustizia italiana? "Qualcosa cambia di sicuro. La dimostrazione è data dal fatto che con la precedente legge sulla responsabilità dei giudici, dal 1989 al 2012, solo 34 casi avevano superato il filtro iniziale, e di questi solo 5 ricorsi sono arrivati ad una condanna dei magistrati. Una prima novità incisiva di questa legge è che finalmente è stato abolito il "filtro" dei giudici del tribunale distrettuale, che avrebbero dovuto valutare se il ricorso contro un loro collega era fondato o no. Inoltre si è data finalmente risposta alla procedura di infrazione aperta nei confronti dell'Italia dall'Europa, che aveva richiesto di inserire una forma di responsabilità quando ci fosse una manifesta colpa del giudice e di valutare se la colpa dipendesse da una interpretazione del diritto o una mancata valutazione delle prove, per dolo o colpa grave. La nuova legge è molto equilibrata perché non si può parlare di responsabilità del giudice appena per la sua interpretazione delle norme e del diritto: a meno che non ci sia un dolo e - è l'altra grande novità - in caso di violazione manifesta della legge italiana e del diritto europeo, ma anche davanti al travisamento del fatto o delle prove. La norma precisa quando questo travisamento avviene: se il magistrato si basa su un fatto che non esiste proprio, o quando dagli atti del processo emerge che c'è stata una sua macroscopica disattenzione. Ai magistrati che si lamentano in queste ore direi che non ci sarà alcuna tragedia incombente: la responsabilità si inserisce solo con un travisamento che si sostanzia davanti un fatto clamoroso". Non di rado casi giudiziari italiani si sono chiusi con sentenze, anche definitive, che dopo qualche anno venivano poi ribaltate e richiedevano una revisione del processo. In quei casi, ora i condannati per errore potranno ragionevolmente ottenere che i giudici che hanno sbagliato paghino? "Sì, ma solo qualora emerga che un giudice nella sua sentenza ha ignorato dei fatti che erano chiarimenti emersi nel processo, o che ha trascurato di prendere in considerazione dei fatti, o che li ha stravolti. Tutto ciò, sebbene appaia molto ovvio, prima non era possibile". Però l'Anm protesta. Teme che i tribunali saranno inondati di ricorsi contro i giudici, e che ora non si potrà più parlare di indipendenza della magistratura. Che ne dice? "Che nemmeno adesso con la nuova legge sarà comunque semplice arrivare ad affermare la responsabilità di un magistrato. Che in ogni caso l'azione di rivalsa sarà presentata dal cittadino verso lo Stato e che lo Stato, con la nuova legge, ha l'obbligo di rivalsa nei confronti del magistrato solo nei casi di dolo, cioè quando il magistrato in questione ha volontariamente sbagliato, o nei casi di inescusabile gravità. Inoltre l'azione di responsabilità può essere avviata solo a giudizio definitivo: quindi i giudici non vengono affatto bloccati nell'emettere le loro sentenze nei tre gradi di giudizio. Io non credo che i giudici cambieranno il loro modo di emettere le sentenze col pensiero di una futura eventuale rivalsa nel caso di dolo e colpa grave. Per tutti i cittadini, la responsabilità scatta in caso di negligenza. Per i magistrati resta solo nei casi di inescusabile gravità: il magistrato che opera bene, non si preoccupi. Cos'altro vogliono? Una sentenza della Corte costituzionale, già nel 1968, a differenza di quanto lamentano oggi le toghe, dice che la magistratura deve sì essere indipendente, ci mancherebbe, ma è soggetta alle leggi e alla Costituzione che sancisce ad un tempo il principio di indipendenza, ma anche di responsabilità. Il principio di responsabilità deve valere per tutti, anche per la magistratura che non è al di sopra degli altri cittadini". Non è che ora i giudici meno facilmente ammetteranno in sentenza gli eventuali errori commessi dai colleghi inquirenti, per evitare che un imputato assolto possa rivalersi poi sulle toghe? "Non voglio pensare questo, perché considero ancora la nostra magistratura composta per grandissima parte da persone oneste e corrette. Non credo che ci sarà il rischio che giudici condannino o assolvano in modo sbagliato, perché il concetto di responsabilità è corretto e in una società democratica nessuno può esserne immune. Penso che i magistrati, come tutti i cittadini, dovranno agire in modo diligente, onesto e perito: non devono avere paura di condannare o emettere misure cautelari, e nemmeno di assolvere. Se saranno corretti e professionali non avranno da temere". Giustizia: urge la chiusura immediata per l'osceno supermercato delle correnti togate di Maurizio Tortorella Tempi, 1 marzo 2015 I "partiti" delle toghe sono centrali nel disastro della giustizia. Anche perché governano il Csm, a cui spetta il compito di amministrare le carriere dei circa 9 mila magistrati. Il ministro della Giustizia si chiama Andrea Orlando, ma purtroppo non ha il crisma del paladino. Sulle correnti giudiziarie, per esempio, nel suo primo anno da guardasigilli si è lasciato scappare appena poche parole. Mesi fa lo si è sentito ventilare "una riforma del sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura che diluisca il peso delle correnti". Poi, di recente, ha cambiato idea: "Eliminare le correnti è un errore". Eppure le correnti sono centrali, nel disastro della giustizia italiana. Non soltanto perché, com'è del tutto evidente, è assurdo che un magistrato inquirente o un giudice, cui è proibito per legge iscriversi a un partito, possano avere una connotazione politica di parte. Ma anche perché le correnti governano il Csm, che è l'organo costituzionale cui spetta il doppio, delicatissimo compito di amministrare le carriere dei circa 9 mila magistrati. È il Csm che decide trasferimenti e promozioni negli uffici più importanti (i vertici delle procure), ma anche le sanzioni. Ed è esattamente lì, tra il bastone e la carota del Csm, che inizia il disastro. Vediamo di scomporre il meccanismo. Le correnti sono grosso modo quattro. Due sono di sinistra: Magistratura democratica, nata nel 1964 all'ombra del Pci, oggi genericamente di centrosinistra; e Movimento per la giustizia, che nasce come cartello elettorale tra due gruppi di sinistra, i Verdi e Articolo 3. Le altre due sono genericamente centriste e maggioritarie: Unità per la Costituzione e Magistratura indipendente. Un magistrato che decida di stare fuori da uno di questi "partiti" è in partenza svantaggiato. Certo, farà carriera, visto che grazie a due leggi del 1966 e del 1973 è automatica: chiunque passi l'esame di Stato sa in partenza che gli basterà sopravvivere qualche decennio per ottenere lo stipendio di un presidente di Corte di cassazione. Ma non ne avrà certamente il ruolo. Perché il suo nome non entrerà mai nel mercato delle vacche che le correnti celebrano nel Csm: io voto il tuo candidato a quel certo ufficio, se però tu voti il mio per quell'altro; io aiuto il tuo magistrato a non essere colpito dalla punizione (che magari merita), ma ovviamente tu aiuti il mio. Le trattative sono quotidiane, serrate, frequentissime: immaginatevi che quest'anno il Csm dovrà fare 483 nomine ai vertici degli uffici giudiziari, 284 per incarichi direttivi e 199 per incarichi semi-direttivi. Sarà un supermercato. Interdetti? Stupiti? Perplessi? Sbagliate. Perché è anche peggio di quel che sembra. Un onesto giudice lombardo, un "senza corrente" che tiene al suo anonimato come alla vita, spiega che questo scambismo correntizio ha effetti osceni sulla stessa amministrazione della giustizia. E la storia che racconta è terrorizzante. Prendiamo un certo pubblico ministero, un uomo di fama impegnato a sostenere l'accusa in un importante procedimento davanti a un certo giudice o a una certa corte. Mettiamo che il pm sia della corrente A, e il giudice appartenga alla corrente B. Per mesi la cronaca giudiziaria ha celebrato l'attività del magistrato inquirente, ed ecco che si avvicina la sentenza. Il pm tiene al risultato, com'è giusto. Ed è allora che parte un gioco sommerso di pressioni, segnalazioni, intercessioni. Accade perfino che delegazioni di corrente si spingano a contattare il giudice. Gli viene spiegato che la corrente A è fondamentale per ottenere una certa promozione che la corrente B ha chiesto per un suo magistrato. E gli si fa capire che, se la sentenza sarà negativa per il pm, è probabile che al Csm i suoi amici di A non saranno molto disponibili ad allinearsi. Ovviamente il giudice è libero di agire come crede. Ma siete convinti sia sempre facile dire no alla corrente cui hai affidato il tuo destino professionale? Meditate, gente, meditate. E mediti soprattutto il ministro Orlando. Giustizia: Commissione Carcere Camera penale Roma "la voce di chi non ha più libertà" di Maria Brucale Il Garantista, 1 marzo 2015 Nasce la Commissione Carcere della Camera penale di Roma. Un gruppo di avvocati che si oppone alla tortura e che chiede il rispetto dei diritti dei detenuti, tra le iniziative le visite negli Istituti di pena e nei Cie. Il mondo del carcere sta aprendo le sue porte. Il muro ideale che lo ha sempre separato dall'esterno sta cadendo. Forse è questa una visione ottimistica, forse un anelito fiducioso. Però di carcere finalmente si parla. Le sferzate punitive inferte o promesse dalla Corte Europea allo Stato italiano una volta constatata una qualità del vivere in prigione assai prossima alla tortura, hanno riacceso i riflettori su un pianeta troppo spesso dimenticato, volutamente accantonato, colpevolmente ignorato. L'attenzione non deve, però, smorzarsi. Il decreto Renzi - inopinatamente denominato, assieme a quello che lo aveva preceduto, "svuota carceri" - finalizzato a risarcire con urgenza i detenuti delle sofferenze patite per una carcerazione inumana e degradante - ha rappresentato uno strumento normativo ambiguo, che nessuna chiarezza offriva su tempi e modalità applicative. Il risultato è stata la paralisi dei Tribunali di Sorveglianza di tutta Italia - già afflitti da una mole di lavoro abnorme -e il prolungarsi all'infinito delle attese dei detenuti che formulavano speranzose istanze per un permesso premio, la riduzione della pena per buona condotta, l'accesso alle misure alternative al carcere, la restituzione alla vita. Il carcere merita la nostra attenzione, l'attenzione di tutti. È un luogo che ci appartiene e ci rappresenta, tutti. Proprio in un'ottica di interesse ed attenzione crescenti si inserisce il nostro progetto. L'essenza statutaria delle Camere Penali è la promozione della conoscenza, della diffusione, e della tutela dei valori fondamentali del diritto penale e dell'equo processo penale in una società democratica. Ormai da anni, anche attraverso il prezioso lavoro dell'Osservatorio Carcere, l'Unione delle Camere Penali si è mossa nella direzione della tutela dei diritti fondamentali. Le battaglie per il giusto processo e per la riforma dell'art. 111 della Costituzione hanno rappresentato un momento formativo importante ed hanno espresso con forza il ruolo dell'avvocato penalista nella società, una funzione di tutore del Diritto nella sua forma più alta, la garanzia dei diritti individuali, la restituzione all'uomo - con le sue legittime pretese di giustizia - della centralità nell'ambito dell'ordinamento. Il progetto della Commissione Carcere si inalvea in un cammino già intrapreso, un cammino incessante e dinamico calato nella realtà sociale della quale il mondo delle persone detenute costituisce un segmento fondamentale. Attraverso la conoscenza di esso, l'avvocato penalista si propone come sentinella del Diritto, come creatore di spazi giurisdizionali nuovi, come portavoce autorevole di istanze troppo a lungo rimaste mute. La commissione è composta da avvocati, iscritti alla Camera Penale di Roma, da sempre particolarmente impegnati nello studio della realtà carceraria e dei diritti delle persone detenute. Vogliamo essere una voce ferma e importante, quella delle persone private della libertà e del loro anelito di giustizia. Per questo saremo raggiungibili attraverso il fax: 06.3207040, l'email: camerapenalediroma@gmail.com e attraverso la creazione di una pagina Facebook, all'interno della quale fare pervenire segnalazioni e testimonianze. Nell'ambito della Commissione, saranno oggetto di studio e di approfondimento le tematiche inerenti al Tribunale di Sorveglianza; ai diritti umani delle persone private della libertà; al regime detentivo di rigore del 41 bis, ai reati ostativi - che precludono di fatto ogni accesso alla rieducazione ed alla progressione del reinserimento nel tessuto sociale - al drammatico tema dell'ergastolo ostativo, la pena di morte nascosta, lento, inesorabile stillicidio verso il crepuscolo della vita attraverso la mutilazione del bene supremo, la speranza. Lavoreremo perché anche nei regimi di massimo rigore, le restrizioni siano autentica espressione di esigenze di prevenzione o di sicurezza e non appaiano sostenute da una bieca logica punitiva o vindice. Spesso, infatti, sfugge ogni correlazione tra esigenze di tutela e restrizioni trattamentali. Quale l'utilità, a fini di prevenzione, del ridimensionare l'aria, il vitto, l'abbigliamento, la possibilità di cucinare, di essere curati, il tempo da trascorrere con i propri congiunti, la possibilità di acquistare libri e riviste, di leggere o di studiare? Tema di interesse sarà anche la territorialità della pena, la possibilità per il detenuto di patire la carcerazione in luoghi vicini alla famiglia. La reclusione sospende, infatti, la presenza nella società del detenuto. Diviene perno e direzione della vita non solo del ristretto ma anche della sua famiglia e suddivide i giorni in pacchi di vestiario e di alimenti, viaggi per destinazioni lontane dalla propria casa, visite di colloquio, vaglia postali, ricezione di telefonate, spese legali. Una condizione che è in sé mutilazione di vita, frattura di rapporti, interruzione di ogni attività lavorativa, esclusione. Saranno programmate visite nelle carceri e nei Cie cui seguiranno documenti di relazione di quanto verificato e di denuncia delle criticità emerse. Il nostro obiettivo è quello di conoscere ed approfondire la vita del carcere e le implicazioni di essa nelle sue molteplici sfaccettature. Le segnalazioni, che speriamo pervengano numerose, relative al diritto alla salute (valutazioni di incompatibilità con il carcere; effettività dell'accesso alla cura e alle visite specialistiche), all'accesso alle opportunità ri educative (rapporto con il personale deputato alle verifiche semestrali del trattamento intra murario), alla fruizione di misure alternative, al sovraffollamento carcerario ed alla conformità delle strutture penitenziarie ai parametri europei e ad ogni ulteriore aspirazione o rivendicazione di diritto, verranno tradotte in documenti di denuncia delle situazioni patologiche verificate. Vogliamo conoscere capillarmente le pieghe dolorose della detenzione, farne oggetto di riflessione e di studio, raccogliere e catalogare dati statistici dai quali muovere, in modo costruttivo, per un'interlocuzione consapevole e concreta con la magistratura e, in generale, con gli organi politici nella direzione fattiva della salvaguardia dei diritti fondamentali dell'uomo e dei canoni del giusto processo. Bisogna far comprendere all'esterno, che la privazione del bene supremo della libertà è, in sé, una violenta, assoluta afflizione che non può, non deve essere aggravata da una condizione del vivere inumana e degradante, che non consente di impiegare il tempo in modo costruttivo, che non offre spazi di crescita e di formazione alla mente ed al corpo, che ripiega le giornate in un vortice ciclico che si ripete all'infinito e abbrutisce, annichilisce. Il carcere è oggi afflizione, mortificazione quotidiana, negazione dei più elementari diritti, frustrazione costante della personalità, menomazione della sfera affettiva, annichilimento della natura stessa di uomini. Il carcere piega, umilia, spoglia della volontà costringendo ad accantonarla, aliena, annienta gli istinti forzando il recluso a domarli, reprimerli, sconfessarli, trasformarli, custodirli, schiacciarli. Vogliamo che il carcere non sia un "non luogo" che confonde volti, anime e storie e, privandoli di una individualità, li mescola, informi, in un calderone di sofferenza che resta avulso dal mondo esterno. Vogliamo che volti, anime e storie appartengano a uomini che hanno forse incontrato l'errore e lo caduta ma che possono, devono, tornare alla loro vita; restituire il carcere alla sua funzione costituzionale di "rieducazione", reinserimento nella società. Garantire che sia offerta la possibilità ad ogni persona detenuta -qualunque pena stia espiando, qualunque reato abbia commesso - di aspirare alla libertà e ad un percorso - patita la carcerazione -scevro dal pregiudizio, ad una emenda socialmente riconosciuta dal proprio errore. Leviamo i nostri scudi contro ogni regime di tortura e di vessazione, contro ogni compressione della dignità umana, padroni del nostro ruolo di difensori e garanti, dentro al processo e fuori. Commissione Carcere - Camera Penale di Roma Giustizia: quando le tasse oltrepassano le sbarre della galera di Tano Gullo La Repubblica, 1 marzo 2015 Non si può proprio dire che l'imprenditore fosse contento di stare in galera - e chi potrebbe mai esserlo - ma almeno in un aspetto ne aveva apprezzato l'utilità. La sua è stata però solo un'illusione, perché poi le cose non sono andate come sperava. Anzi. Andiamo al fatto, l'uomo si è convinto che nella sua condizione di detenuto non era tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi e quindi avrebbe potuto farla franca per tutti gli anni in gattabuia, presenti e futuri. D'altra parte non lo dice la stesa legge che "per cause di forza maggiore", si può sorvolare sugli obblighi tributari. Seppure in gabbia, forte di questa convinzione, si sente libero come un fringuello, al riparo dalle grinfie rapaci dell'erario. Quando ormai il furbo "evasore per necessità", pensa di poter dormire sonni tranquilli, almeno per quanto riguarda il dare e l'avere economico della sua vita, gli arriva la mazzata. Il fisco non ha pietà e non perdona, così gli vengono recapitate in cella le cartelle tributarie con tanto di aggravio per la mancata presentazione della dichiarazione di Irpef, di Iva, dei registri e dei documenti previsti dalle norme fiscali. E per sovraccarico viene sanzionata anche la comunicazione tardiva di cessazione delle attività ai fini del saldo dell'Iva. Lui si era illuso di eludere quei rituali tormentosi e astrusi a mai finire, che scandiscono, ahimè, ogni anno che cade sulla terra, ma deve arrendersi alla famelicità di uno Stato capace di tassare, come è accaduto in Sardegna in questi giorni, perfino l'ombra che "cade" sul marciapiede per occupazione di suolo pubblico; mentre in Emilia c'è chi paga un balzello per l'esposizione di merce in vetrina. Viene in mente la tassa su finestre e balconi ai tempi del duce. L'imprenditore, residente nel nisseno, prima si stupisce, poi chiede consiglio, si documenta e parte all'attacco, con il ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Caltanissetta. Crede di trovare la sua salvezza nell'articolo 6, comma 5, del Decreto legislativo 472/1997. Una sequela di numeri che sanciscono la non punibilità quando un "reato" viene commesso per cause di forza maggiore. Si sente in una botte di ferro e aspetta fiducioso l'esito della sua istanza. Tanto tempo ne ha. La risposta che arriva, però, trafigge ancora le sue speranze: senza giri di parole nella lettera c'è scritto che l'istanza è stata respinta. Punto e basta. Per i giudici tributari, infatti, si può parlare di forza maggiore, e della conseguente impunibilità, "solamente in presenza di un evento causato dalla natura o dall'uomo, evento che non può essere impedito, anche se fosse possibile prevederlo". Lo stato di detenzione, infatti, impedisce di esercitare l'attività imprenditoriale ma non di adempiere agli obblighi fiscali. Altrimenti chissà quanti si presenterebbero alla soglia dei vari "Ucciardoni" per chiedere asilo momentaneo, giusto il tempo di irridere all'erario. Fine della storia, l'uomo deve rassegnarsi a pagare oppure a prolungare la sua condizione di ospite a spese dello Stato. Morale: non c'è speranza, il fisco ci scova ovunque per presentarci imperturbabile i suoi esosi conti. Nessun posto è sicuro, nemmeno dietro quelle sbarre che tagliano a fette il cielo. E d'ora in poi, attenti all'ombra. Giustizia: omicidi e silenzi, pentimento e bugie… la morte (in cella) del boia delle carceri di Andrea Galli Corriere della Sera, 1 marzo 2015 Pasquale Barra, da braccio destro di Cutolo all'assassinio di Turatello. Fino alle accuse a Tortora. Il "boia delle carceri" (uno dei suoi tre soprannomi) è morto in prigione e altrimenti non poteva essere. Non soltanto perché il camorrista Pasquale Barra da Ottaviano, 25 mila abitanti in provincia di Napoli, nella cintura vesuviana, era un ergastolano per gli omicidi, così numerosi che nemmeno esiste un numero preciso: tra i 65 e i 70. Barra, in galera, si è affiliato, ha scalato le gerarchie criminali, ha ammazzato e "cantato". Ha collaborato con la giustizia e raccontato anche verità che tali non erano, basti pensare alle accuse contro il giornalista Enzo Tortora. E allora, magari, le immagini dal penitenziario di Ferrara dove venerdì, a 72 anni, Barra si è spento per un malore (le immagini d'un affezionato lettore del quotidiano cattolico "Avvenire", potrebbero essere state una recita. L'ultima. Nella vana speranza di raccomandarsi l'anima nera. Un vecchio ispettore della Squadra mobile di Napoli dice che non lo piangeranno. Lontani i familiari, scomparsi i soci di malavita. In carcere non andava a trovarlo nessuno. In cella, se gli facevano il caffè, non era certo per deferenza nei confronti d'un boss quanto per pietà verso un signore malandato, inseguito dai problemi cardiaci. Eppure al Ros, il Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, un ufficiale che ha lavorato in Campania ricorda che "‘o animale" (il suo secondo soprannome) è stato insieme un sicario infallibile e un uomo di "spessore" criminale. Dopodiché, non si sa se più usato oppure poco abile nei propri calcoli, il "boia delle carceri" rimarrà un killer. Un killer famoso, protagonista di agguati "unici" che hanno richiamato sia scrittori che registi; un killer che sconfinava oltre la bestialità di un omicidio per calarsi nella dimensione del cannibalismo. Ad esempio con Francis Turatello, "re" della malavita milanese, contrapposto a Renato Vallanzasca, ucciso - eccoci di nuovo - in un carcere, quello sardo di Badu e Carros. Il 1980, il cortile del penitenziario e Pasquale Barra che trucidò Turatello con una quarantina di coltellate prima di sventrarlo. La storia scivolosa e traditrice dei collaboratori di giustizia, che spesso parlano per un salvacondotto e raramente per reale pentimento, non ha "ufficializzato" la totale responsabilità dell'"animale". Secondo altri che in seguito hanno dialogato con la giustizia, potrebbe non esser stato Barra, o almeno potrebbe non aver avuto un ruolo decisivo, o ancora potrebbe non esser stato aiutato "solo" da Vincenzo Andraous, un assassino che oggi fa il poeta e gira per Comunità. Il penitenziario di Ferrara è piccolo, ha una capienza di 300 detenuti. Scarsa la presenza di figure note: scomparso Barra, non resta che una delle "bestie di Satana". Nel carcere ci sono attività sportive (calcio, pallavolo, corsa) e creative (scrittura, teatro). "L'animale" non partecipava a niente. Se ne stava fermo in branda. Alternava la televisione allo sfoglio di "Avvenire". Non dava noie, non inoltrava richieste, non litigava, non aizzava gli altri detenuti. Se lo lasciavano in pace, era meglio; se lo importunavano, taceva. Alto, negli ultimi tempi per colpa della scarsa mobilità aveva messo su pancia. In precedenti circostanze avrebbe fatto di tutto per dimagrire. La cosa ormai non gli dava pensiero: lo affaticavano i quattro passi dentro la cella. Barra aveva cominciato come tanti. Rapine, aggressioni. E come tanti l'avevano catturato e spedito nel carcere di Poggioreale. Lì si era inchinato alla Nco, la nuova camorra organizzata, struttura fondata da Raffaele Cutolo per "ristabilire" in Campania il dominio campano contro la mafia siciliana e i clan dei "marsigliesi". Non ha avuto una lunga vita, la Nco. Un contributo fondamentale l'ha dato Barra, che con le dichiarazioni ha mandato in galera quasi novecento persone. Pensare che di Cutolo, "l'animale" diventò braccio destro e braccio armato, punto di riferimento, interlocutore privilegiato. E pensare che, laddove Barra raccontò che fu proprio Cutolo a ordinargli di eliminare Turatello, il fondatore della Nuova camorra organizzata negò ogni responsabilità. Naturalmente scaricando Barra. E anzi progettando di disfarsene. Turatello nacque in Veneto da padre ignoto che secondo fonti era Franck Coppola, mafioso, trafficante di droga, figura ingombrante per gli intensi rapporti con le alte sfere istituzionali e politiche. La morte di Turatello fu un "errore strategico". Cutolo provò a giocarsi la carta del colpo di testa di un incontrollabile, impazzito Pasquale Barra in cerca di chissà quali vendette personali. Fu l'inizio della fine. Il "boia delle carceri" riuscì sì a evitare la vendetta votandosi alla collaborazione, ma nella discesa si tirò dietro chiunque. Fu in prossimità del ventesimo interrogatorio che Barra fece improvvisamente il nome di Tortora, "reo" di appartenere alla Nco e di muovere quantità di stupefacenti. Non passò molto che Barra ritrattò la versione, con quell'italiano che intanto migliorava. Entrato in galera analfabeta, "‘o animale", il "boia delle carceri", aveva faticosamente iniziato a leggere. E si era guadagnato il terzo soprannome: lo "studente". Oristano: sopralluogo Uil-Pa a Massama; troppi detenuti, organico punto debole istituto Ansa, 1 marzo 2015 Nel nuovo carcere di Oristano, inaugurato due anni fa nella frazione di Massama, ci sono 307 detenuti, 102 in più rispetto ai 205 previsti dalla capienza regolamentare. In compenso ci sono molti meno agenti di quanti ce ne dovrebbero essere. Quelli attualmente in servizio sono infatti solo 180 a fronte dei 250 previsti. La conferma che i conti non tornano è arrivata dalla visita di una delegazione del sindacato della Polizia penitenziaria della Uil composta dal segretario regionale Michele Cireddu, dal coordinatore provinciale di Cagliari Raffaele Murtas e dalla segretaria provinciale di Cagliari Stefania Massidda. "Quello dell'organico è il vero punto debole dell'istituto di Oristano - ha commentato Cireddu - i vuoti più importanti riguardano in particolare le figure apicali, ispettori e sovrintendenti, che in un carcere dedicato al trattamento dei detenuti in regime di Alta sicurezza come quello di Oristano sono di fondamentale importanza". La questione non è di poco conto. In gioco ci sono, infatti, la sicurezza dell'Istituto, degli agenti di Polizia penitenziaria e degli stessi detenuti. Sicurezza che in questo momento appare tutt'altro che garantita, come confermano altri tre dati emersi nel corso della visita. Nel 2014 dentro le mura del carcere di Massama si sono registrati un tentativo di suicidio (sventato dalla Polizia penitenziaria) due aggressioni nei confronti del personale di Polizia penitenziaria e ben 110 episodi di autolesionismo da parte dei detenuti. La visita della delegazione della Uil-Pa Penitenziari ha confermato anche che non sono state risolte le carenze strutturali segnalate all'indomani della inaugurazione, umidità, infiltrazioni d'acqua nelle giornate piovose e crepe nei muri sono ancora un problema tutto da risolvere, ma i soldi necessari non sono mai arrivati. Firenze: chiusura dell'Opg di Montelupo, il Sappe perplesso sul futuro della struttura www.gonews.it, 1 marzo 2015 Il 20 febbraio del 2014, il Provveditore regionale dell'Amministrazione penitenziaria della Toscana, Carmelo Cantone, ha incontrato le OO.SS. della polizia penitenziaria annunciando ufficialmente che entro il 31 marzo 2015 gli effetti della legge n. 9/2012 avranno luogo. Gli internati attualmente presenti nell'Opg di Montelupo Fiorentino dovranno cosi lasciare la struttura penitenziaria per essere consegnati al servizio sanitario nazionale o in altre cd. strutture intermedie o nei casi di non dimissibilità trasferiti nella Rems (residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza sanitarie) individuato nella città di Pistoia, presso un ex convento da ristrutturare. Le parole dell'Amministrazione Penitenziaria sembrano smentite da una relazione del Governo, di recente riportata in Parlamento, dove parrebbe invece che la Rems per la Toscana e l'Umbria sia stata individuata in luogo dell'attuale Casa Circondariale di Massa Marittima. Il Sappe plaude all'evidente passo in avanti compiuto dalle istituzioni con la definitiva "cessione" dei malati di mente al Servizio Sanitario Nazionale, ma non comprende le ragione per cui il prezzo da pagare sia la chiusura definitiva dell'attuale sito penitenziario. Sono svariati milioni di euro "dai 5/6 milioni" quelli spesi dal Dap per adeguare la sede dell'Opg di Montelupo Fiorentino agli standard di detenzione moderna, all'indomani dei lavori della Commissione parlamentare, presieduta dall'Onorevole Marino. Pertanto tutto faceva presagire il mantenimento della struttura per altre finalità penitenziarie. Ad oggi l'Amministrazione Penitenziaria continua a sborsare migliaia di euro al mese per delle impalcature ancora installate presso la struttura di Montelupo e € 180.000,00 sono le spese inutilmente elargite per un modernissimo impianto di aereazione mai andato in funzione. Non esiste, secondo quanto riferito in sede d'incontro, un concreto piano di riconversione-utilizzo della struttura, eventualmente con detenuti a basso indice di pericolosità. Se da un lato le notizie sul destino degli internati si rincorrono a vicenda dall'altro lato nessuno a speso ancora una sola parola per giustificare lo spreco di un così imponente investimento di denaro pubblico per una struttura penitenziaria che andrà perduta per sempre. I Baschi Azzurri di Montelupo Fiorentino e di Massa Marittima non sanno a quale destino affidarsi ed è per questo che il Sappe, congiuntamente alle altre OO.SS. regionali, ha richiesto un urgente incontro con i vertici dell'Amministrazione Penitenziaria centrale. Sanremo (Im): la Uil-Pa visita il carcere "Cristo si è fermato a Valle Armea, non a Eboli" www.riviera24.it, 1 marzo 2015 "Chi parla di pubblici dipendenti fannulloni venga a fare il lavoro della polizia penitenziaria - così chiude Pagani - riportando una frase del massimo esponente Uil Carmelo Barbagallo". Venerdì 27 Febbraio, alle ore 14.00, così come annunciato, la delegazione della Uil capitanata dal Segretario Regionale Fabio Pagani, ha visitato la Casa Circondariale di Sanremo. "Abbiamo verificato l'indecenza e lo stato dei luoghi di lavoro della Polizia Penitenziaria e non solo - commenta il sindacalista della Uil - penoso è anche lo stato delle camere detentive e soprattutto della Caserma Agenti - irritato Pagani aggiunge - la nostra iniziativa denominata "Lo scatto dentro, perché la verità venga fuori" - anche a Sanremo conferma, le infamanti e difficili condizioni di lavoro dove sono costretti a lavorare gli Agenti Penitenziari e le incivili condizioni di detenzione - si spera che i nostri servizi fotografici - spiega Fabio Pagani - siano un momento di riflessioni e per l'Amministrazione Penitenziaria e per le Istituzioni - le immagini dicono molto più delle parole sperando possano contribuire ad una presa di coscienza collettiva di come sia ancora distante la soluzione al dramma sociale delle condizioni di lavoro e di detenzione nelle nostre carceri - chiosa il Segretario della Uil-Pa Penitenziari - l'Istituto sanremese ha bisogno di un rinnovamento generale, dai luoghi di lavoro della Polizia Penitenziaria fino ai luoghi occupati dalla popolazione detenuta, veramente si può dire che Cristo si è fermato a Valle Armea non ad Eboli - chi parla di pubblici dipendenti fannulloni venga a fare il lavoro della polizia penitenziaria - così chiude Pagani - riportando una frase del massimo esponente Uil Carmelo Barbagallo". Como: detenuto ha dato in escandescenze al Bassone, tre agenti finiscono in ospedale di Paola Pioppi Il Giorno, 1 marzo 2015 Botte e tensione al Bassone. Il soggetto non riesce a convivere bene con gli altri detenuti. Era stato spostato in infermeria, una situazione più monitorata ma ha dato in escandescenze. Ha aggredito tre agenti di polizia penitenziaria, in un momento di furia quasi impossibile da contenere. L'uomo, un nigeriano trentenne con problemi comportamentali, è detenuto nel carcere Bassone di Como dopo aver girato altre strutture lombarde, tra cui San Vittore. Si trovava in cella nella sezione infermeria venerdì sera, assieme ad altri due detenuti che necessitavano di assistenza medica. Ma all'improvviso ha dato in escandescenze: per calmarlo, sono intervenuti tre agenti, che sono diventati i destinatari dell'aggressività dell'uomo. Li ha picchiati, buttati a terra, colpiti ripetutamente: pochi minuti di rabbia impossibili da contenere. Tutti e tre, sono finiti al pronto soccorso dell'ospedale Sant'Anna, dove i medici hanno diagnosticato contusioni traumi, dimettendoli con una prima prognosi di sei giorni. Giunto a Como dopo essere stato trasferito da altre case circondariali, il detenuto protagonista dell'aggressione di fatto risulta essere un soggetto di difficile gestione e convivenza anche con gli altri carcerati, al punto che, dopo aver girato alcune sezioni ordinarie, è stato spostato in infermeria, un contesto più raccolto e monitorato con maggiore attenzione dagli agenti. Ma anche qui, è riuscito a creare problemi. "Nella sezione infermeria - protesta Davide Brienza, segretario regionale del sindacato di polizia Penitenziaria Cnpp - dovrebbero esserci solo detenuti bisognosi di cure, ma qui a Como ci sono persone con patologie psichiche, o che non trovano spazio in altre sezioni, rendendo così difficile il lavoro dell'area sanitaria". Un problema già evidenziato in altre occasioni, ma in questo caso si aggiunge un altro aspetto: "Più volte - continuano i rappresentanti sindacali - è stato chiesto alla direzione di allontanare questo detenuto, perché pericoloso: a conferma, esistono diversi documenti, relazioni di servizio e denunce, ma non è stato fatto nulla. Ogni giorno ci sono risse tra detenuti al Bassone, e non dimentichiamo i tre casi di suicidi avvenuti di recente". Tra ottobre e novembre, nell'arco di poco più di un mese, si erano infatti tolti la vita tre detenuti, all'interno delle celle. Tre casi molto differenti uno dall'altro: uno straniero con reati non particolarmente rilevanti, un italiano rientrato in carcere per un sequestro di persona e collocato in isolamento per divieto di comunicazione con i co-indagati, e un ultrasessantenne accusato dell'omicidio dell'anziana madre, con problematiche familiari molto forti. Tre storie senza legami, se non la disperazione di non trovare prospettive alla condizione a cui erano approdati. Il secondo suicidio, era inoltre avvenuto mentre al Bassone era in corso un'ispezione del Provveditorato per verificare le condizioni in cui era avvenuto il primo, precedente di una settimana. Bologna; Uil-Pa; all'Ipm Pratello agente polizia aggredito, misure esemplari per i violenti Comunicato Uil-Pa, 1 marzo 2015 "Nel pomeriggio di ieri un poliziotto penitenziario in servizio all'Ipm di Bologna è dovuto ricorrere alle cure dei sanitari per ferite riportate a seguito di un'aggressione da parte di minori ristretti, con una prognosi di 5 giorni". "L'Agente è stato preso di mira da un gruppo di giovani detenuti con l'intento di sottrargli le chiavi della sezione per correre in soccorso di un altro minore a cui, altro personale di Polizia Penitenziaria aveva rinvenuto, nella propria camera detentiva, un telefono cellulare". Così Domenico Maldarizzi, del Coordinamento Provinciale di Bologna della Uil-Pa Penitenziari, si esprime in relazione all'ultimo episodio di cronaca che vede l'aggressione in danno di un poliziotto penitenziario presso l'Ipm di Bologna. "Il grave episodio è la conseguenza di una situazione allarmante che vivono i poliziotti penitenziari del Pratello, abbandonati a loro stessi e, sempre più frequentemente, oggetto di minacce e insulti da parte dei detenuti minorenni." "Esprimiamo tutta la nostra solidarietà e vicinanza - afferma Maldarizzi - nei confronti di tutto il Personale di Polizia Penitenziaria presente al Pratello dove la situazione sta sfuggendo di mano ai vertici della struttura. Per questo chiediamo ancora una volta a gran voce - chiosa Maldarizzi - che nei confronti dei detenuti che si siano macchiati di tali violenze si adottino misure esemplari, nel pieno rispetto della legge e di ogni garanzia, anche per fungere da deterrente per tali spiacevoli episodi. Il Dipartimento della Giustizia minorile - conclude il Coordinatore Provinciale di Bologna della Uil Penitenziari - deve assumere urgenti provvedimenti per il Personale di Polizia Penitenziaria che lavora al minorile di Bologna a cui, oltre ad essere oggetto di continue violenze da parte dei ristretti, non gli vengono concesse ferie per carenza d'organico ed, allo stesso tempo, vengono retribuiti straordinari e missioni con notevoli ritardi. Velletri: Sippe; agenti fanno incidente davanti al carcere, parenti dei detenuti applaudono Comunicato Sippe, 1 marzo 2015 Due poliziotti penitenziari del carcere di Velletri, al rientro in sede con l'auto di servizio, sono rimasti coinvolti qualche giorno fa in un incidente stradale nella strada principale del carcere. "I due agenti della Polizia Penitenziaria - dice Carmine Olanda, segretario locale del Si.P.Pe., Sindacato Polizia Penitenziaria - sono stati trasportati alla clinica "Città di Aprilia" e, per fortuna, non hanno subito gravi conseguenze, se non alcune contusioni e ferite alla testa e al volto, per il violento urto dovuto al tamponamento subito da un furgone. La cosa deplorevole accaduta da condannare con fermezza - continua Olanda - è che alcuni parenti dei detenuti che avrebbero dovuto fare il colloquio con gli stessi, hanno applaudito all'evento e si sono compiaciuti del grave incidente". "Se da un lato il Ministro della Giustizia sospende dei poliziotti penitenziari per dei commenti deplorevoli fatti su Facebook, vorremmo capire - conclude il Segretario Generale del Si.P.Pe. Alessandro De Pasquale - quali interventi intende adottare il Ministro in questi casi, dove dei servitori dello Stato hanno rischiato di morire e qualcuno, a quanto pare, ha sperato che ciò avvenisse, applaudendo e festeggiando". Il Si.P.Pe. a seguito di tale evento, il 28 febbraio ha immediatamente chiesto alla Direzione del Carcere e al Provveditore, di richiedere immediatamente all'ente gestore della strada, di provvedere a mettere un'adeguata segnaletica stradale che indichi l'uscita di mezzi di Polizia. Teramo: donati 600 libri e 10 computer ai detenuti del carcere di Castrogno www.notiziedabruzzo.it, 1 marzo 2015 Una delegazione dei Giovani Democratici della provincia di Teramo si è recata presso il carcere di Castrogno per la consegna dei libri raccolti in questi mesi grazie al progetto "Letture d'evasione", realizzato con il fine di ampliare la biblioteca del penitenziario teramano. Sono stati raccolti 784 volumi tra libri (in italiano e in lingua), dizionari, grammatiche e libri di testo. A questa importante campagna di solidarietà hanno deciso di aderire anche due associazioni universitarie, Udu Teramo e Lista Aperta Teramo, che hanno contribuito a promuovere "Letture d'evasione" all'interno dell'ateneo teramano. La delegazione ha consegnato al carcere di Castrogno 589 volumi, mentre i restanti 195, che non rispondevano ai requisiti richiesti dal regolamento carcerario (copertina rigida o testi con segni), saranno donati a "Casa Maia", l'istituto finanziato dalla provincia di Teramo che dà ospitalità alle donne vittime di violenza domestica. Nei prossimi giorni, infine, saranno consegnati i 10 computer donati dalla Pro Loco di Montone nel comune di Mosciano Sant'Angelo (Teramo), che permetteranno alla struttura penitenziaria di promuovere corsi di alfabetizzazione informatica per i detenuti. Verona: detenuti in permesso ospiti nelle parrocchie, allestito un gazebo per raccolta aiuti L'Arena, 1 marzo 2015 Una giornata insieme, pane fresco e una partita a calcio per raccontare una storia bella: quella della comunità parrocchiale di Povegliano che per un giorno, domani accoglierà alcuni detenuti della casa circondariale di Montorio, in permesso, accompagnati dai volontari della Fraternità di Verona, con Fra Beppe Prioli, e dell'associazione Tonino Bello che da decenni operano nel mondo delle carceri e che organizzano incontri con i familiari dei detenuti a Verona, a San Bernardino e a San Rocchetto. "Ora vogliamo fare testimonianza nelle parrocchie", spiega Fra Beppe. "E Povegliano ha accolto il nostro appello". La giornata di solidarietà inizierà alle 8.30 quando i detenuti saranno accolti in parrocchia e incontreranno i loro familiari. Alle 11 sarà celebrata la messa da padre Angelo, attuale cappellano delle carceri di Montorio, insieme a frà Beppe e al diacono Fabio Mazzi, e col parroco di Povegliano don Daniele Soardo. In piazza sarà allestita la tenda della solidarietà: saranno raccolti sapone, shampoo e dentifricio per i detenuti. "L'amministrazione penitenziaria", spiega frà Beppe, "ha tagliato le spese per l'igiene. I detenuti che hanno famiglia sono riforniti dai parenti, ma per chi non ce l'ha provvediamo noi attraverso queste raccolte". Fuori dalla chiesa, inoltre, si potrà acquistare il pane fresco infornato dalla cooperativa Vita che in carcere ha allestito un panificio dove sono impiegati i detenuti. Nel pomeriggio, i giovani della parrocchia sfideranno a calcio i loro ospiti. Momento clou sarà la mattina. I volontari delle associazioni incontreranno le famiglie dei detenuti, ma soprattutto i carcerati potranno vedere i loro parenti o, per chi li ha lontano, telefonare: "Offriamo loro un momento per incontrarsi. Vedere i familiari fuori dal carcere o riuscire a chiamarli per telefono non è facile e dà forti emozioni: a volte non si sentono per molto tempo". E poi ci sono stranieri o detenuti che hanno i parenti altrove o hanno tagliato i ponti col passato e quindi domani potranno relazionarsi con la comunità di Povegliano e conoscere altre persone. Questo in vista di un loro rientro in società". Prato: laboratorio teatrale di Luigi Lo Cascio coi detenuti-attori della Dogaia Il Tirreno, 1 marzo 2015 Prato, l'ultima produzione realizzata coi detenuti dal collettivo artistico teatro Metropopolare è stata una rilettura della tragedia di William Shakespeare dal titolo "H2Otello". In occasione del suo Otello al Metastasio questa settimana, lunedì 2 marzo l'attore e regista Luigi Lo Cascio terrà un laboratorio con i detenuti-attori del Collettivo artistico Teatro Metropopolare che da anni realizza un corso teatrale all'interno del carcere di Prato. Ultima produzione realizzata dal collettivo alla Dogaia coi detenuti è stata proprio una rilettura della tragedia di William Shakespeare dal titolo "H2Otello". Già nello scorso anno sono state ospitate le lezioni di Arianna Scommegna (Premio Ubu migliore attrice 2014), Roberto Latini (Premio Ubu migliore attore 2014) e Fausto Russo Alesi. Quello di Lo Cascio è il primo di una serie il primo di una serie di workshop di alta formazione che il collettivo ha previsto anche per il 2015. Prosegue, inoltre, questa settimana "Invito a Teatro", il progetto realizzato da Metropopolare che prevede una serie di uscite speciali per alcuni dei detenuti più meritevoli del gruppo che segue il laboratorio, per assistere a spettacoli teatrali. Dopo la prima uscita a dicembre presso il Teatro della Pergola in occasione dello spettacolo "Il mercante di Venezia" per la regia di Valerio Binasco e con Silvio Orlando, i prossimi appuntamenti di "Invito a teatro" saranno "Otello" di Luigi Lo Cascio al Teatro Metastasio e "I giganti della montagna" di Roberto Latini, in programma al Teatro Cantiere Florida nella stagione "Materia Prima" organizzata da Murmuris Teatro. L'obiettivo del progetto è quello di voler realizzare un continuum formativo che permetta loro di approfondire lo studio assistendo ad eventi teatrali scelti e sperimentarsi in luoghi preposti al lavoro attoriale. "Invito a Teatro" è un progetto realizzato in collaborazione con la C.C. La Dogaia e grazie al supporto di Teatro della Pergola, Teatro Metastasio e Teatro Cantiere Florida - Murmuris. L'associazione Teatro Metropopolare lavora stabilmente a La Dogaia dal 2007 in un percorso di formazione e produzione teatrale che negli anni si è fatto sempre più professionalizzante e di alto livello. Inoltre il collettivo è impegnato, assieme alla direzione dell'istituto, a trasformare il proprio laboratorio teatrale in un cantiere culturale stabile aperto anche all'ospitalità di artisti di carattere nazionale: si ricordano i concerti di Paolo Benvengù nello scorso Luglio e quello di Peppe Voltarelli a dicembre, in collaborazione con l'Assessorato alla Cultura del Comune di Prato. Chieti: calcio a 5; il Ct della nazione Roberto Menichelli in visita ai detenuti di Lanciano www.divisionecalcioa5.it, 1 marzo 2015 Il Ct della nazionale in visita ai detenuti. Presente in questi giorni a Pescara per la Final Eight di Coppa Italia 2015, Roberto Menichelli è stato l'ospite d'onore sabato mattina nella Casa Circondariale di Lanciano, dove era in programma il "derby" tra gli ospiti del carcere e gli agenti di Polizia Penitenziaria. Si sono infatti affrontate le Fiamme Azzurre e la Libertas Stanazzo, squadra composta dai detenuti e che quest'anno sta partecipando al campionato federale abruzzese di Serie D nell'ambito del progetto "Mettiamoci in gioco" promosso da Lega Nazionale Dilettanti e Comitato Regionale Abruzzo, Divisione Calcio a cinque e Ministero della Giustizia. Una presenza, quella del Ct della nazionale maschile e femminile, che ha voluto esaltare il valore dello sport in generale e del futsal in questo caso specifico come strumento di integrazione, all'insegna dei valori della correttezza e del fair play. Oltre al Ct, alla visita hanno preso parte il vice presidente vicario della Divisione Calcio a cinque, Alfredo Zaccardi, il consigliere del Comitato Regionale Abruzzo, Ezio Memmo, il responsabile regionale del calcio a cinque Alessandro Di Berardino. I giocatori della Libertas Stanazzo che hanno posato immortalati dai fotografi con il Ct Menichelli erano invece Germano Capasso, Salvatore Fiorillo, Carlo Finizio, Umberto Costagliola, Walter Pozone, Romualdo Gallo, Luciano Esposito, Nicola Castellano, Salvatore Panepinto, Gaetano Moschetti, Salvatore Trocchia, Vincenzo Russo, accompagnati dall'allenatore Nicola Paolucci. Libri: "La storia di Nabuc", delirio per sorridere e pensare, di Massimiliano De Somma Ristretti Orizzonti, 1 marzo 2015 "La storia di Nabuc - storie di straordinaria follia delirate ed allucinate dai ricoverati dell'Opg di Aversa", edito da Arduino Sacco e pubblicato nel gennaio 2015 con un'introduzione del famoso criminologo Prof. Francesco Bruno, è un originale libro che raccoglie storie, favole, racconti, poesie e fantasie create dagli ospiti coatti, malati di mente autori di reato, dell'ormai storico ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. Ultimo contenitore (insieme a pochi altri) di quella follia terrificante, seno cattivo gonfio del male della società e suo capro espiatorio, questo luogo raccoglie molto meno della pericolosità che si vuole attribuire ai suoi ricoverati, appellati tali da una presunzione di guarigione spesso difficile o addirittura impossibile. Fra loro molti, utilizzando la scrittura e non solo, sono stati capaci di comunicare emozioni forti e coinvolgenti, amalgamate in deliri mai vuoti, ne senza senso. Insalate di parole, ambivalenze cognitive, allucinazioni razionali, furto del pensiero e della parola, a volte del sogno, confusioni mentali, sgrammaticature e lapsus divertono e lasciano riflettere il lettore che si lascia andare in allegre risate, commozioni o meravigliate esclamazioni. Quanto c'è di identificativo o di proiettivo in tutto questo, si domanda l'autore, psicologo psicoterapeuta, Dott. Massimiliano De Somma? La risata, a volte, continua l'autore, è la risposta agita ad una tensione accumulata. Sarà forse che ciò che abbiamo letto nelle parole, nelle favole o nelle poesie di un folle, abbia provocato in noi una tensione che ora sentiamo la necessità di scaricare? Oppure abbiamo paura di riflettere troppo su quel delirio, per scoprire che in fondo anche noi siamo così, ma poi noi rimuoviamo per difendercene? Questo ed altro può provocare la lettura di questi "brani folli" che facilitano nel lettore la sperimentazione di emozioni, vibrazioni e tensioni da scaricare ridendo o trattenere pensando, per lasciare alfine affiorare in superficie le parti rimosse di noi, quelle scisse, deliranti, non accettate ne mai integrate. Quelle di "Nabuc" sembrano allora storielle Zen. Prive spesso di finale, o di quello che il lettore potrebbe considerare tale, lasciano in uno stato di sospensione ed ebrezza simile a quello onirico. Sgrammaticate, prive di punteggiatura, con parole spesso incomprensibili, sono state lasciate tali, senza censura ne correzione, affinché non venga alterata la loro funzione emotiva e, perché no, catartica. In fondo potrebbe funzionare: un folle, terapeuta per "sani"! Fateci sapere. Immigrazione: l'apartheid in Calabria "fuori dai negozi dei bianchi" di Antonio Alizzi Il Garantista, 1 marzo 2015 A leggerla quasi non ci si crede. E invece, è tutto vero. A Cirò Marina, centro della costa jonica della provincia di Crotone, il sindaco Roberto Siciliani - un imprenditore eletto nel 2011 grazie al sostegno di una lista civica vicina al centrosinistra - ha ordinato al comando della polizia municipale di allontanare gli extracomunitari dagli esercizi commerciali della sua cittadina. Amnesty International ha diramato una dura nota, criticando la scelta del primo cittadino che crea una spaccatura netta nel tessuto sociale cirotano. Tutto questo è successo perché sono stati accertati due casi di scabbia all'interno di un istituto scolastico che avrebbero destato tanta preoccupazione tra la popolazione. È opportuno evitare che la malattia si diffonda nel territorio, ma è necessario chiedere ai vigili di bloccare le persone sistemate nel centro di accoglienza qualora fossero intenzionate ad avvicinarsi ai negozi o ad altre attività di Cirò Marina? L'ordinanza del sindaco Siciliani - candidatosi in passato alla Provincia di Crotone con il "defunto" Udeur - è di lunedì scorso: "Nei giorni scorsi, presso un Istituto scolastico della città - si legge nel documento a firma del sindaco di Cirò Marina - sono stati riscontrati due isolati episodi di scabbia che hanno comunque determinato una sorta di allarmismo tra la popolazione. Considerato che a Cirò Marina è stato attivato un centro di accoglienza per minori extracomunitari non accompagnati e verosimilmente non assistiti da medico di famiglia, si ritiene indispensabile che tutti i presenti vengano periodicamente sottoposti ad adeguati controlli medici da parte dell'Asp competente". Le polemiche però nascono nel passaggio successivo: "Poiché anche nel territorio limitrofo sono stati accertati casi di tal genere, in particolare tra gli extracomunitari giunti in seguito ai continui sbarchi", il primo cittadino invita "il Comando Polizia Municipale, nel pieno rispetto della persona umana, a scopo precauzionale, a voler porre in essere tutti gli accorgimenti necessari al fine di evitare che extracomunitari possano avvicinarsi in prossimità di esercizi commerciali o girovagare liberamente per le strade per chiedere questue o altro". L'ordinanza termina con un'indicazione precisa per l'Asp di Crotone (Distretto di Cirò Marina, ndr) che secondo Siciliani dovrà "disporre accurati controlli presso la struttura Sant'Antonio di Cirò Marina, al fine di prevenire eventuali casi di scabbia non segnalati". Le associazioni di volontariato e le cooperative, che lavorano per aiutare gli immigrati, hanno già replicato al sindaco, citando l'articolo 3 della Costituzione: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Oggi la pari dignità sociale viene inficiata da tale documento, che l'avvocato Eugenio Naccarato, responsabile della circoscrizione Calabria di Amnesty International, ha giudicato "discriminatorio". "Le autorità - dichiara il legale cosentino - hanno il dovere di proteggere la salute di tutti coloro che si trovano sul loro territorio e di prendere misure a tale scopo, ma queste non devono avere contenuti discriminatori né indicare un intero gruppo di persone fuggite dalla guerra e dalla persecuzione come portatore di una minaccia alla salute pubblica, confinandolo socialmente o, ancora peggio, auspicando una compressione della libertà personale e di movimento". Naccarato in conclusione chiede al sindaco Siciliani di ritirare immediatamente il provvedimento adottato. L'imprenditore prestato alla politica farà un passo indietro o pretenderà che i vigili di Cirò Marina diano la "caccia" ai presunti immigrati malati? Turchia: appello Ocalan detenuto a Imrali al Pkk, per trattative sulla rinuncia alle armi Ansa, 1 marzo 2015 Il leader storico del Pkk Abdullah Ocalan, detenuto nell'isola carcere di Imrali, ha chiesto che i ribelli curdi avviino trattative con il governo turco sulla rinuncia alle armi e sul consolidamento della fragile tregua in vigore da due anni: lo ha annunciato oggi a Istanbul il dirigente del partito legale curdo Hdp Siiri Sureyya Onder. In dichiarazioni a Istanbul dopo una riunione con rappresentanti del governo turco, riferisce Hurriyet online, Onder ha definito "storica" l'iniziativa di Ocalan, per "sostituire la lotta armata con politiche democratiche". Il leader storico dei ribelli curdi ha chiesto che il Pkk convochi un congresso in primavera per discutere la questione. Le trattative fra Ocalan e il governo turco per una soluzione politica della crisi del Kurdistan, condotte per Ankara dal capo dei servizi segreti del Mit Hakan Fidan, iniziate tre anni fa hanno attraversato fasi alterne. Il Pkk ha accusato l'anno scorso il governo del presidente Recep Tayyip Erdogan di non rispettare gli impegni presi e annunciato uno stop al ritiro dei propri combattenti dal territorio turco. Una recente ripresa del dialogo è stata frenata dalla presentazione da parte del governo islamico di una nuova legge sulla sicurezza che conferisce ampi poteri a polizia e governatori: secondo l'Hdp e gli altri partiti dell'opposizione farà della Turchia uno Stato di polizia. Il governo chiede che il Pkk annunci di rinunciare alle armi prima dell'avvio di trattative dirette con la direzione militare del gruppo, in esilio nel Nord Iraq, mentre il Pkk, secondo la stampa turca, esige che le trattative formali inizino prima. Nell'incontro con la delegazione Hdp, riferisce Hurriyet online, il vicepremier Yalcin Akdogan ha affermato che fare tacere le armi contribuirebbe allo sviluppo delle trattative. Egitto: varato decreto repressivo senza precedenti ogni oppositore diventa un "terrorista" di Giuseppe Acconcia Il Manifesto, 1 marzo 2015 Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha emesso un decreto anti-terrorismo senza precedenti. La legge, approvata in assenza di un parlamento (le Camere sono state sciolte nel 2012), definisce i parametri per stabilire chi appartiene o no a un'organizzazione terroristica. Non solo, la norma delinea i procedimenti giuridici necessari per definire un gruppo o un individuo come affiliato al terrorismo. Possono essere gruppi terroristici "associazioni, organizzazioni o collettivi" che cercano di danneggiare i cittadini in Egitto e all'estero, insieme a chiunque si opponga alle leggi e alle istituzioni dello Stato. È terrorista poi chiunque cerchi di attaccare le libertà personali dei cittadini o i diritti previsti dalla Costituzione (voluta dai militari). La legge quindi prevede una definizione estesa di movimenti terroristici ed implica che i magistrati egiziani stilino d'ora in avanti una lista di gruppi terroristici e soggetti dediti al terrorismo, in seguito alle sentenze delle Corti penali. Quando i giudici inseriranno un'organizzazione in questa lista, automaticamente il gruppo verrà bandito dalla scena pubblica e tutti i suoi beni confiscati. E ieri, lo stesso tribunale del Cairo che a marzo del 2014 aveva proibito temporaneamente le attività del movimento palestinese Hamas in Egitto e decretato la confisca dei beni, lo ha subito confermato nella lista dei "terroristi". La norma di fatto conferisce un potere assoluto alla magistratura di definire terrorista chiunque faccia opposizione politica. In particolare la legge prende di mira le organizzazioni controllate dalla Fratellanza, già pesantemente censurate dalle autorità dopo il golpe del 2013. Eppure al-Sisi non sta mostrando solo il bastone agli islamisti ma anche la carota, come in perfetto stile Partito nazionale democratico di Hosni Mubarak. Al-Sisi ha infatti incontrato alcuni esponenti della Fratellanza nel palazzo presidenziale, tra cui Kamal al-Helbawy, Tharwat al-Kharbawy e Mokhtar Nouh. Secondo la stampa locale, sarebbe in corso la definizione di un piano per perdonare quei politici della Fratellanza (dichiarato movimento terroristico insieme al partito Libertà e giustizia) che vorranno rinnegare in tutto e per tutto il movimento ed entrare nel nuovo parlamento tra i candidati indipendenti nelle liste elettorali che stanno per essere chiuse in vista del voto del prossimo marzo. Neppure l'amministrazione Obama sa bene che pesci prendere con al-Sisi. Il segretario di Stato John Kerry ha risposto alle critiche mosse dalla Commissione sugli aiuti militari per i ritardi nel ripristinare le forniture al Cairo, congelate dopo il golpe del 2013. Il presidente della Commissione, Kay Granger ha accusato Kerry di non fare abbastanza per sostenere al-Sisi nella sua "lotta contro lo Stato islamico". Kerry ha ripetuto le preoccupazioni nel rispetto dei diritti umani in Egitto, sottolineando il numero di prigionieri politici, le minacce subite da alcuni diplomatici e di essere in attesa che si svolgano le elezioni parlamentari perché venga presa la decisione di scongelare gli ultimi aiuti fermi per il Cairo. Non si placano poi le accuse di tortura mosse contro la polizia egiziana. In questo caso, la vittima è il giovane islamista Emad al-Attar, trovato morto nella prigione di Matareyya. La famiglia del ragazzo ha denunciato di aver ritrovato il suo corpo all'obitorio con evidenti segni di tortura. Infine, dieci ultras della squadra cairota dell'al-Zamalek sono stati condannati a dieci anni di prigione, per gli scontri con la polizia di agosto. I tafferugli dello scorso febbraio sono costati la vita di almeno 19 tifosi White Knights.