Che fine hanno fatto gli Stati Generali sulla pena e sul carcere? di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 19 marzo 2015 "Il carcere così com'è pensato non fa altro che affermare il criminale in carriera". (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com) Vi ricordate? Tempo fa il Ministro della Giustizia per tentare di risolvere alcuni problemi e per portare umanità e legalità nelle nostre patrie galere aveva lanciato l'idea di organizzare gli Stati Generali sui temi della pena e del carcere. In una riunione di "Ristretti Orizzonti" abbiamo allora pensato di chiedere al Ministro della Giustizia Orlando di fare gli Stati Generali nella Casa di reclusione di Padova per dar voce, attraverso la nostra redazione, a tutta la popolazione detenuta italiana. In seguito il ministro Orlando durante il maxi convegno organizzato dalle Camere penali a Palermo aveva dichiarato "Nel mese di aprile faremo una riflessione complessiva, a cui abbiamo dato il nome di Stati generali della pena, non solo con gli addetti ai lavori, ma anche con chi c'è dentro le carceri". Per non arrivare all'importante evento impreparati, molti di noi "giornalisti detenuti" volontari della redazione di Ristretti Orizzonti abbiamo iniziato a scrivere ad altri detenuti in tante carceri d'Italia per confrontarci, raccogliere testimonianze, pareri e consigli di come affrontare l'importante evento. Ecco alcune riflessioni di un prigioniero che mi sono arrivate: (…) Qui tutto è pulito, tutto ordinato, sbarre e cemento dappertutto, dove ognuno ha un posto preciso e nessun desiderio perché ormai i detenuti dopo tanti anni di carcere sono più interessati a cercare la libertà che a trovarla. Pensa, Carmelo, che ho la cella singola, il computer in stanza, qui il vitto è pure buono e abbondante. E ci sono pure le scuole, abbiamo anche la palestra, ma anche se sotto un certo punto di vista è una prigione dorata è pur sempre una prigione perché non vedo mai uscire nessuno. E vedere un detenuto che esce per un prigioniero è sempre un motivo di speranza per quelli che rimangono, ma qui in Alta Sicurezza non vedo quasi mai uscire nessuno perché siamo tutti ergastolani. Vedi, Carmelo, qui da noi i detenuti temono non tanto di essere giudicati per quelli che siamo ma soprattutto abbiamo paura di essere giudicati per quelli che non siamo più. Una volta forse ci trattavano peggio, mangiavamo male, dormivamo male, e qualche volta ci picchiavano pure, ma avevamo la speranza. Ora non l'abbiamo più perché siamo diventati schiavi della nostra pena. Penso che una volta i prigionieri erano più vivi di adesso, non erano rassegnati come adesso, non aspettavano solo la libertà ma lottavano per averla, con le buone o con le cattive. Quelli erano i tempi delle evasioni, delle rivolte, delle lotte per la riforma carceraria, per la legge Gozzini. Non c'era la scuola, niente corsi, nessuna attività lavorativa, nessun laboratorio culturale. Eravamo costretti a trascinarci dalla cella al passeggio e viceversa. Fra di noi compagni c'era però solidarietà, fiducia, lealtà, collettività e c'era il seme della ribellione culturale. Ora invece molti detenuti tentano di essere diplomatici e cercano di essere quello che gli operatori penitenziari si aspettano da loro e nascondono il loro stato d'animo e questo a mio parere è un male. Il potere carcerario si è strutturato in un esercito di criminologi, educatori, psichiatri, assistenti sociali, commissari, ispettori, insegnanti. La cosa strana è che quando il loro parere sui detenuti è negativo conta, quando invece è positivo non vale. E va a finire che conta di più il parere delle forze dell'ordine espresso 10, 20, 30 anni fa. La verità è che i detenuti di adesso vivono per quando usciranno, invece i detenuti di una volta vivevano tutti i giorni (…). Signor Ministro della Giustizia Orlando, ecco di che cosa vorremmo discutere durante gli Stati Generali sul carcere e sulla pena, se ha veramente intenzione di convocarli e di fare partecipare i detenuti della redazione di Ristretti Orizzonti. Ci faccia allora sentire che gli Stati Generali non sono chiacchiere, ma una autentica possibilità di un confronto serio con noi detenuti. Noi aspettiamo.. Un sorriso fra le sbarre. Giustizia: troppa folla, zero dignità… tutti in cella appassionatamente di Francesco Lo Dico Il Garantista, 19 marzo 2015 La situazione delle carceri italiane resta esplosiva, con un tasso di sovraffollamento al 108%, che rende l'idea "un letto per un detenuto", e cioè il requisito minimo che si chiede a un Paese civile che pretende di rieducare qualcuno, e di farlo nel rispetto della dignità umana, una mera utopia. È tutto nero su bianco sul rapporto Antigone, che anche quest'anno presenta una precisa fotografia dei penitenziari italiani. Il dossier di quest'anno, intitolato "Oltre i tre metri quadri", evidenzia che al 28 febbraio 2015 risultano presenti nelle patrie galere 53.982, di cui il 32% stranieri. Rispetto al 31 dicembre si tratta senz'altro di un decremento: allora c'erano in galera rispetto a oggi più di 8500 persone. "In tre anni - spiega la coordinatrice dell'associazione Antigone, Susanna Marietti - sono scesi di 12.915 unità. Nel 2014, gli ingressi in carcere dalla libertà sono stati 50.217. Nel 2008, in piena ondata securitaria e con Roberto Maroni al Ministero degli Interni, sono stati ben 92.800. In sei anni, 42.683 in meno. Una diminuzione dovuta alle modifiche alla legislazione sugli stranieri e alle nuove norme in materia di arresto e di custodia cautelare". Si tratta di dati che smontano pezzo per pezzo le tesi pappagallesche che molti sceriffi di Nottingham propinano nei talk show a ogni ora. Nonostante le uscite dal carcere di molti detenuti negli ultimi anni, i crimini all'esterno non sono in nessun modo aumentati, e anzi sono diminuiti, a dimostrazione che davvero in pochi, dopo l'esperienza carceraria tornano a delinquere. l delitti sono diminuiti del 14%, gli omicidi sono scesi dell'11,7%, le rapine del 13%, i furti dell'1,5%. Se per un verso le scarcerazioni non hanno prodotto alcun danno alla società, le persone che continuano a stare in carcere hanno avuto ben pochi giovamenti. Il calo degli ospiti nelle nostre prigioni "non è servito a risolvere completamente il problema del sovraffollamento: i posti regolamentari in tutte le carceri del Paese sono infatti 49.943 secondo il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap). Il tasso di affollamento si aggira quindi intorno al 108%, ovvero 108 detenuti ogni 100 posti letto", chiarisce Antigone. Ma le cose stanno peggio di come sembra. "Per stessa ammissione dell'amministrazione - precisa Antigone il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie". Ci si riferisce in questo caso a reparti chiusi per lavori di manutenzione, che comportano "scostamenti temporanei" quantificati intorno alle 4.200 unità. "Se si tiene conto delle detenzioni transitorie - si legge nel documento - il tasso di sovraffollamento potrebbe salire al 118%". A ciò va aggiunto che ad oggi ci sono 4200 posti che sono tuttora inservibili perché soggetti a manutenzione. Se si guarda nel dettaglio alla popolazione delle nostre carceri, va registrata la presenza di 14 detenuti accusati o condannati per terrorismo internazionale jihadista e 725 detenuti sottoposti al carcere duro del 41 bis (di cui 210 appartenenti a Cosa nostra, 294 alla Camorra, 135 alla ‘ndrangheta, 22 alla Sacra corona unita e 3 esponenti di associazioni di tipo terroristico). E ci sono poi 523 collaboratori di giustizia protetti nelle strutture penitenziarie. Se si guarda ai soldi che l'Italia spende per tenere in piedi il sistema carcerario, sembrerebbe che ci sono investimenti in abbondanza, con l'Italia che risulta essere uno degli Stati che spende di più secondo l'European Prison Observatory. Ma la verità, se si guarda più a fondo, è che sono soldo spesi malissimo. L'82,9% delle "uscite" serve infatti a pagare gli stipendi del personale, mentre per i detenuti, restano 11 euro e cinquanta al giorno che devono bastare per cibo, mantenimento, assistenza e rieducazione. Una miseria. Le condizioni di vita materiali in cui sono costretti a vivere i detenuti, non potrebbero meglio essere identificate dal numero dei carcerati che hanno deciso di farla finita. Sono stati 9 i suicidi dall'inizio dell'anno e 44 i detenuti che si sono tolti la vita nel corso del 2014. Indicativi, fino troppo eloquenti, i gesti che per fortuna non sono andati a buon fine. Sono stati 933 i tentativi di suicidio non andati a buon fine, e circa 7mila i casi di autolesionismo scongiurati, anche grazie al lavoro delle guardie penitenziarie. Che in proposito, con una nota del segretario generale del Sappe, Donato Capece, hanno espresso rammarico perché non presi in considerazione nel rapporto Antigone. D'altra parte non può essere taciuto che non tutti e non sempre, tra gli agenti penitenziari, si sono distinti per professionalità e spirito di servizio: non ultimi quanti hanno insultato su Facebook il detenuto rumeno suicida nel carcere di Opera. Il 19 gennaio di quest'anno due di loro sono stati inoltre condannati dal Tribunale di Asti a due anni e otto mesi per le violenze e le offese rivolte nel 2010 ad un detenuto di origini brasiliane convertito all'Islam: "sono stati allontanati dall'istituto ma non dal corpo di Polizia penitenziaria", spiega il rapporto. E proprio gli stranieri detenuti rappresentano un altro importante capitolo: sono il 32% della nostra popolazione carceraria e contrariamente alle quotidiane menzogne di Salvini e altri aizzatori di folle sprovveduti e in malafede, sono puniti per reati meno gravi rispetto a quelli commessi dagli italiani. Sconcertante, in particolare, la situazione delle detenute, che sono il 4,3 per cento del totale. Gli istituti a custodia attenuata (Icam) per le mamme detenute sono soltanto tre. Tre in tutta Italia. Non resta che sperare nel piano carceri, dunque. Ma anche in questo caso, è per ora una pia illusione. Il progetto di edilizia penitenziaria che fra il 2010 e il 2014 aveva portato allo stanziamento di circa 450 milioni di euro, 228 in meno di quanto previsto dal governo Berlusconi. "La domanda che oggi ci si pone - argomenta Antigone nel suo report - è quale sia l'utilizzazione di quei fondi, dopo che lo scorso giugno 2014 è stata resa pubblica un'inchiesta della magistratura sui bandi di gara per la costruzione di nuovi carceri o nuovi reparti". La civiltà di un popolo si misura dalle sue carceri, diceva Voltaire. Quella dell'Italia, che civile non è, si misura invece dalle chiacchiere. Giustizia: responsabilità civile magistrati in vigore, tre anni per chiedere il risarcimento di Patrizia Maciocchi Il Sole 24 Ore, 19 marzo 2015 Da oggi responsabilità civile più ampia per i magistrati. Sono infatti entrate in vigore le norme che modificano la legge Vassalli allargando la rosa di contestazioni che è possibile muovere alle toghe. Con la legge 18 del 2015, la rivalsa da parte dello Stato nei confronti del magistrato non sarà più facoltativa, ma diventa obbligatoria. In prima battuta, il cittadino che ritiene di essere vittima della "malagiustizia" dovrà comunque proporre la sua domanda di risarcimento allo Stato, avendo però a disposizione non più due anni ma tre, mentre la rivalsa sul magistrato deve avvenire entro due anni, e non più uno, sulla base di una sentenza di condanna. A crescere è anche l'entità della rivalsa, che passa da un terzo alla metà dello stipendio netto annuo, tetto che non può essere superato anche quando il danno riguarda più persone, ma che si può sforare se nel comportamento della toga viene rilevato il dolo. La riforma amplia lo spettro delle ipotesi di risarcimento dei danni patrimoniali e non, cancellando la norma di chiusura che legava il riconoscimento del danno non patrimoniale al solo caso della privazione della libertà personale. Con le integrazioni alle ipotesi di colpa grave, la responsabilità dei magistrati scatterà, oltre che per l'affermazione di un fatto inesistente o la negazione di uno esistente, anche per violazione manifesta della legge e del diritto comunitario o per travisamento del fatto o delle prove. Il travisamento che pesa sulla responsabilità deve essere però evidente, senza richiedere accertamenti. La legge precisa i presupposti di cui tenere conto per determinare i casi in cui si può parlare di violazione manifesta dell'ordimento interno e del diritto dell'Unione. A questo scopo, è necessario tenere conto "del grado di chiarezza e precisione delle norme violate; dell'inescusabilità e della gravità dell'inosservanza", mentre "indizi" di violazioni sul fronte Ue sono: il mancato rispetto dell'obbligo di rinvio pregiudiziale e il contrasto dell'atto o del provvedimento con l'interpretazione espressa della Corte di Lussemburgo. Punita come colpa grave anche l'emissione di un provvedimento cautelare senza il supporto della legge o privo di motivazione. Sotto la scure del legislatore cade il riferimento alla negligenza inescusabile: i comportamenti che rientrano nella colpa grave sono tali per legge. Colpo di spugna sul filtro di ammissibilità delle domande di risarcimento. Un imbuto, previsto dalla Vassalli, che consentiva i controlli preliminari sulla fondatezza della pretesa affidando il compito al Tribunale distrettuale. L'assenza di una scrematura a monte ha indotto l'Associazione nazionali magistrati e il Consiglio superiore della magistratura a denunciare il rischio che si crei una sorta di quarto grado di giudizio, con un aumento delle domande di risarcimento. Il Csm si è candidato a monitorare gli effetti della nuova normativa, con occhio particolarmente attento al verificarsi di un eccesso di ricorsi. Pur non condividendo le stesse perplessità anche il ministro della Giustizia Andrea Orlando si è impegnato a fare delle valutazioni nei primi sei mesi di "vita " della norma senza escludere, se necessari, degli interventi a posteriori. Nella nuova responsabilità sopravvive la clausola di salvaguardia, pur con un ambito di applicazione limitato: il magistrato non risponde per l'interpretazione della legge e la valutazione di fatti e prove, tranne in caso di dolo o colpa grave. Giustizia: il segnale di debolezza che offre il governo quando dice "aumentiamo le pene" di Beniamino Migliucci (Presidente dell'Unione Camere penali) Il Foglio, 19 marzo 2015 La presa di posizione del presidente dell'Anm, Dott. Sabelli, risponde chiaramente a una esigenza strategica e costituisce un esempio lampante di cosa si debba intendere per "populismo penale". Sottolineare, infatti, che la politica non prende "a schiaffi" i corrotti e non "accarezza" i magistrati significa sostenere che la politica è inerte, inconsapevole, se non collusa con i corrotti e delegittima, invece, chi è custode della legalità: il tutto ai fini della ricerca di un facile consenso nell'opinione pubblica. Ci risiamo: siamo al gioco "dei buoni e dei cattivi", all'affermazione di un'idea manichea della giustizia e dei poteri dello stato, secondo cui la magistratura rappresenta il bene e gli altri il male. Non si comprende, peraltro, per quale ragione la politica dovrebbe "accarezzare" la magistratura - che si ritiene al contrario "schiaffeggiata" - trascurando che l'equilibrio tra i poteri non si raggiunge attraverso vezzeggiamenti, ma nel rispetto delle prerogative costituzionali. Gli schiaffi, peraltro, sarebbero quelli affibbiati alla magistratura solo perché il Parlamento ha approvato la legge sulla responsabilità civile dei magistrati che è, invece, norma equilibrata che prevede ipotesi di responsabilità solo per dolo o per gravissimi e inescusabili errori di colui che amministra la legge, consentendo al cittadino di conseguire dallo stato un ristoro senza ostacoli che lo rendano impossibile o difficilissimo. L'irritazione della magistratura associata è determinata anche dal ritenere, a torto, che il dibattito sulle riforme che la riguardano non debba coinvolgere le altre istituzioni e i cittadini, il che è profondamente sbagliato. L'inopportunità delle polemiche sollevate dall'Anni si coglie ancor più se si considerano, tra gli altri, gli interventi del presidente della Corte costituzionale Dott. Aldo Criscuolo, il quale ha di recente rilevato come la normativa sulla responsabilità civile non debba determinare uno stato di preoccupazione tra i magistrati, e del dottor Carlo Nordio, procuratore aggiunto a Venezia, che ha sottolineato come sia improprio parlare di schiaffo della politica alla magistratura solo perché si è emanata tale norma. L'esagerata insofferenza a una riforma che, sia chiaro, non mina affatto l'indipendenza e l'autonomia della magistratura, bene prezioso per tutti, ha fatto scattare una reazione spropositata quanto strumentale che tende evidentemente a ottenere mediaticamente il consenso dei cittadini, giustamente sempre più avviliti per i fenomeni di corruzione presenti nel nostro paese. Questa semplice strategia si traduce, evidentemente, in uno specchietto per le allodole e tende alla delegittimazione della politica, spesso debole e subalterna che, per poter legiferare in materia di giustizia, non ha mai smesso di cercare l'approvazione della magistratura associata o dei procuratori antimafia. La risposta decisa del presidente del Consiglio Matteo Renzi non si è fatta attendere, ma si è tuttavia immediatamente declinata nel rassicurare la magistratura in merito ai disegni di legge in itinere, che sarebbero destinati a combattere la corruzione e a evitare il fenomeno della prescrizione: così si è prospettato l'aumento delle pene dei reati contro la Pubblica amministrazione e del falso in bilancio, l'allungamento sine die dei termini di prescrizione, l'applicazione delle norme contro la criminalità organizzata anche ai fenomeni corruttivi, tutte riforme sostenute dall'Anm e determinate dall'emergere mediatico di singoli casi giudiziari (Eternit, Mose, Mafia Capitale, Expo). Il messaggio è semplice: se non si aumentano le pene per i reati di corruzione significa non prenderne le distanze, se non si allungano i processi si desidera che i fatti non vengano accertati, se non si estendono le norme antimafia ai fenomeni corruttivi si dimostra che evidentemente non si vuole davvero debellare il malaffare! Eppure tutti sanno, o dovrebbero sapere, che l'aumento draconiano delle pene non è mai stato un efficace deterrente per la repressione dei reati e la legge Severino ne è la solare dimostrazione. Tutti sanno, o dovrebbero sapere, inoltre, che la nostra Costituzione all'art. 111 prevede la regola della ragionevole durata del processo, principio contenuto anche nell'art. 6 della Cedu, ma la politica continua ad avallare le richieste della magistratura di allungare i termini di prescrizione che, oltre a essere contrario alle regole e principi sopraindicati, si pone in contrasto con l'interesse degli indagati e delle persone offese che avrebbero diritto a ottenere una pronuncia in termini ragionevoli. Il motto è "aumentiamo le pene!", così si potrà dire che i fenomeni criminali vengono combattuti, atteggiamento questo in palese contrasto con altre riforme quale quella sulla particolare tenuità del fatto, i cui obiettivi e finalità potranno essere frustrate. In realtà gli aumenti di pena, l'estensione degli strumenti antimafia anche ad altri reati, l'allungamento dei tempi del processo corrispondono all'intendimento di parte della magistratura di potersi servire di sempre più invasivi mezzi di indagine (come le intercettazioni telefoniche e ambientali), di allungare i tempi del procedimento e di applicare regole meno garantite anche ad altri fenomeni delittuosi. Il tutto abbandonando l'idea di un processo che sia equo, efficace e uguale per tutti i reati, di una riforma organica della giustizia, di un processo che arrivi in termini ragionevolmente brevi alla definizione, per rendere la pena effettiva e vicina al fatto, così come l'assoluzione non inutile esito di un percorso troppo lungo di sofferenza. L'auspicio è che le parole di Renzi e le posizioni espresse in più occasioni dal ministro della Giustizia Orlando, che ha rivendicato l'autonomia del governo nelle scelte di politica giudiziaria, prendano anche sostanza. Giustizia: stop al populismo penale, a proposito di terzietà dei giudici e altri tabù di Alfredo Bazoli (Deputato del Pd) Il Foglio, 19 marzo 2015 Apprezzo l'attenzione che Il Foglio riserva al tema del funzionamento della giustizia nel nostro paese. Un tema decisivo, che attiene alla qualità complessiva della nostra democrazia, perché tocca il delicatissimo equilibrio tra pretesa punitiva dello stato, garanzie dei singoli, e tutela delle vittime, e costituisce altresì una delle leve sulle quali tentare di riavviare lo sviluppo economico del paese. A me pare non si possa non riconoscere che il nostro governo, a partire dal premier e dal ministro Orlando, abbiano ben compreso quanto una riforma adeguata di questo sistema inefficiente rappresenti un aspetto rilevante della modernizzazione del paese, e sono persuaso che, pur con tutte le evidenti difficoltà che un tema complesso come questo comporta, si sia mosso nella direzione giusta, a partire dalla priorità assegnata alla giustizia civile, vero buco nero nel funzionamento del nostro sistema. Per contribuire alla discussione su un tema tanto rilevante, vorrei portare all'attenzione sua e dei suoi lettori alcune ulteriori questioni di principio, che a me paiono rilevanti, e sulle quali sono convinto occorrerebbe uno sforzo ulteriore di ragionamento, un pizzico di coraggio in più, anche da parte del mio partito. Osservo anzitutto che non mi sembra ancora sconfitta, nella nostra cultura politica, quella visione panpenalistica che, sulla spinta di reazioni emotive dell'opinione pubblica alimentate dal sistema mediatico, assegna alla sanzione penale il compito di dare risposte a fatti e circostanze che meriterebbero un approccio diverso. Papa Francesco, in un discorso tenuto ai giuristi nel 2014, ha parlato di populismo penale usando parole chiare e, per me, definitive. Qui le riporto: "Negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione che attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina... Si è affievolita la concezione del diritto penale come ultima ratio, come ultimo ricorso alla sanzione, limitato ai fatti più gravi contro gli interessi individuali e collettivi più degni di protezione... In questo contesto, la missione dei giuristi non può essere altra che quella di limitare e contenere tali tendenze. È un compito difficile, in tempi nei quali molti giudici e operatori del sistema penale devono svolgere la loro mansione sotto la pressione dei mezzi di comunicazione di massa, di alcuni politici senza scrupoli, e delle pulsioni di vendetta che serpeggiano nella società". Concretamente, ciò comporta la produzione continua e inarrestabile di nuove fattispecie penali, spesso caratterizzate da pene draconiane e sproporzionate, che soddisfano la ricerca immediata del consenso politico, ma finiscono per ingolfare il sistema e assegnare alla risposta penale compiti che non le sono propri. Accanto a ciò io trovo incomprensibile la ragione per la quale si sia nuovamente inabissata nel dibattito pubblico la discussione intorno al principio dell'obbligatorietà dell'azione penale che, per usare le parole di un giurista di vaglia come Oreste Dominioni, alla prova dei fatti significa che "l'esercizio dell'azione penale è affidato alla discrezionalità libera, cioè in termini socio-giuridici all'arbitrio, degli organi del pubblico ministero". Possiamo accontentarci, tollerare che, in nome di un principio dal punto di vista teorico e ideologico comprensibile, sul piano concreto alla pubblica accusa nel nostro paese sia garantito questo livello di discrezionalità, la cui ampiezza assume inevitabilmente sfumature politiche? Meritoriamente il governo sta introducendo un primo principio di temperamento di questa discrezionalità, attraverso la individuazione di un criterio oggettivo e ragionevole, quello della tenuità del fatto, che può consentire la selezione trasparente e verificabile dei fatti da perseguire. Il che dimostra che si può ben affrontare il tema senza con questo modificare il principio sancito dalla Costituzione. E tuttavia a me pare che non possiamo accontentarci, e sia doveroso ragionare più complessivamente di un diverso equilibrio tra autonomia della pubblica accusa e pretesa punitiva dello stato, anche a tutela del corretto esercizio della funzione giudiziaria. Infine, credo non si possa ignorare la questione della effettiva terzietà del giudice nel rapporto tra le parti all'interno del processo penale. Non conosco uno tra gli avvocati penalisti, i professionisti cioè che di mestiere tutelano i diritti sia degli indagati sia delle parti offese del reato, che non denunci il malfunzionamento del sistema attuale, costruito sulla carta su un modello di processo accusatorio nel quale pubblica accusa e difesa dovrebbero essere sullo stesso piano, e nel quale invece questo equilibrio spesso non si rinviene, per la obiettiva contiguità tra i pubblici ministeri e i giudici. Era lo stesso Falcone, d'altronde, che si diceva convinto della necessità di una specifica formazione professionale del pm, diversa per "esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica" da quella del giudice "figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti". È una questione decisiva per il buon funzionamento del sistema, che troppo spesso viene banalizzata o svilita da chi ha tutto l'interesse a mantenere lo status quo. Credo sia giunto il tempo di discutere e immaginare meccanismi in grado di garantire meglio di quanto non accada oggi la effettiva terzietà ed equidistanza del giudice che deve decidere e valutare sulle richieste di pubblica accusa e difesa, pur nella piena salvaguardia dell'autonomia e indipendenza della magistratura, cui ogni sincero democratico è affezionato. Se davvero il Pd vuole aiutare il governo a perseguire, anche nel campo della giustizia, la stagione di riforme profonde e incisive che consentano al paese di voltare davvero pagina, non è più il tempo di timidezze e occorre affrontare con coraggio anche questi nodi da troppo tempo sul tappeto. Giustizia: la magistratura ha accumulato una grande dose di poteri, urge il riequilibrio di Alessandro Maran (Senatore del Pd) Il Foglio, 19 marzo 2015 Nei giorni scorsi il direttore de Il Foglio Claudio Cerasa è tornato, giustamente, sulla "battaglia culturale" che si combatte attorno alla giustizia. Una concezione della giustizia premoderna e una casta di magistrati "che si è autocertificata come elemento salvifico di un tessuto sociale in sé corrotto", da amministrare perciò in nome di superiori valori, è infatti uno degli elementi strutturali dell'odierno paesaggio italiano, del "liberale che non c'è", per dirla con Corrado Ocone. Senza contare che fra le ragioni della "penalizzazione" crescente della nostra società, c'è anche la richiesta di capri espiatori alimentata continuamente dai mezzi di comunicazione di massa. Ora, non è un mistero per nessuno che la nostra magistratura ha progressivamente accumulato una notevole dose di poteri. Le sue garanzie di indipendenza sono oggi fra le più elevate nell'ambito dei regimi democratici. Il fatto poi di esercitare anche le funzioni di accusa ne ha accresciuto ulteriormente la capacità di incidere sul sistema politico (specie se si considera che il principio di obbligatorietà rende di fatto irresponsabile il pubblico ministero). Ma nonostante questa posizione di forza, la magistratura presenta anche molti punti deboli. Il primo - quello che interessa più da vicino i cittadini - è la cattiva qualità del servizio che rende. Il che si riflette nel basso tasso di fiducia (e di gradimento) degli italiani nei confronti del nostro sistema giudiziario. Il paradosso è che, stando così le cose, la magistratura richiede di continuo sostegno e legittimazione proprio alla politica. La delibera con la quale il Csm criticava (2003) alcune dichiarazioni roventi del presidente del Consiglio, faceva appello a tutte le istituzioni perché "sia ripristinato il rispetto dei singoli magistrati e dell'intera magistratura". E ne ha bisogno perché svolge funzioni di forte impatto politico, senza disporre di un adeguato sostegno nella società. Infatti, come ha rilevato il prof. Carlo Guarnieri, "numerose analisi hanno messo in luce che una magistratura può essere realmente indipendente non solo quando dispone di adeguate garanzie ma soprattutto quando gode di un forte sostegno nella società, sia in generale sia presso specifici gruppi di interesse" (il riferimento è all'avvocatura e ai gruppi che, specie negli Stati Uniti, operano a difesa dei diritti civili). Ma "da questo punto di vista la nostra magistratura è ancora un corpo separato, che non ha relazioni istituzionali con la società - né con un corpo così importante come l'avvocatura - e le cui basi di consenso fanno sostanzialmente capo alla classe politica, oltre che ai mezzi di comunicazione di massa". Per questo è difficile "separare le carriere" tra magistrati e giornalisti. Per questo, secondo Guarnieri, anche in Italia, il punto fondamentale della riforma è il reclutamento dei giudici: "È necessario superare progressivamente il reclutamento burocratico e creare canali che siano in grado non solo di selezionare i migliori ma anche di attirare verso la magistratura professionisti di qualità, aprendo così un canale di collegamento con l'avvocatura e l'università". La magistratura inglese, ad esempio, può essere considerata un'emanazione dell'avvocatura e in particolare dei hamster. In questo modo, i valori predominanti nella magistratura sono sostanzialmente quelli dell'intera professione forense. Insomma, i limiti dell'assetto che abbiamo ereditato dal passato sono sotto gli occhi di tutti. Perché stupirsi, allora, dei tagli alle ferie, del tetto agli "stipendi d'oro", e ora, della riforma della responsabilità civile? La magistratura fa inevitabilmente parte del processo politico. E nel paese c'è un clima di diffidenza, quando non di aperta disapprovazione, nei confronti di chiunque occupi un ruolo pubblico. Renzi ha colto l'aria che tira (si pretendono regole e pene più severe per tutti) e vuole "cambiare verso" anche in questo campo. Ma per migliorare il funzionamento della nostra giustizia quel che davvero conta, insiste Guarnieri, è "curare meglio la professionalità - e l'etica - dei magistrati e, soprattutto, dare maggiori poteri e responsabilità ai capi degli uffici". Di esempi ne potrei fare una montagna. Ne faccio uno solo: è trascorso un anno e mezzo dalla sentenza pronunciata il 15 ottobre 2013 dal tribunale di Gorizia, dopo 3 anni e mezzo e 89 udienze, in ordine alla vicenda dell'ex Italcantieri (ora Fincantieri), che ha inflitto ai vertici aziendali una pena complessiva di oltre 55 anni di reclusione per la morte causata dall'esposizione all'amianto di 85 operai del cantiere di Monfalcone. Ad oggi il giudice non ha ancora depositato la motivazione della sentenza. Il che comporta anche l'allungamento dei termini della presentazione del ricorso in appello da parte degli imputati. E l'imminente prescrizione potrebbe ledere il diritto processuale delle parti, nonché il diritto a una giusta riparazione. Che cosa aspetta il ministro ad attivare i poteri di ispezione di cui dispone per accertare per quali ragioni, a oggi inspiegabili, le motivazioni della sentenza non siano state ancora depositate e, qualora ne ravvisi i presupposti e nei limiti di propria competenza, avviare la richiesta di indagini al procuratore generale? Giustizia: l'Anm ogni giorno avverte il governo che è sotto tiro, il clima è da golpe di Piero Sansonetti Il Garantista, 19 marzo 2015 L'Anm (Associazione Nazionale Magistrati) non perde un colpo: giorno dopo giorno avverte il governo che è sotto tiro. Martedì, Sabelli ha accusato il governo di essere dalla parte dei corrotti e contro i magistrati. Ieri il segretario dell'associazione, il Pm Maurizio Carbone, ha rincarato la dose: "Renzi - ha detto - con le sue riforme ci delegittima". Quando dicono "riforme", i magistrati alludono alla riduzione delle loro ferie (che erano di 45 giorni) e all'introduzione delle nuove norme (per la verità assai blande) sulla responsabilità civile. Si tratta di misure davvero molto poco significative, che costeranno ai Pm qualche giornata in più di lavoro durante l'estate, e un paio di cento euro all'anno per assicurarsi contro la responsabilità civile. Possibile che per così poco si arrivi a forme di lotta politica quasi "golpiste"? Probabilmente i magistrati (o almeno una pattuglia di essi, ma una pattuglia agguerrita e in grado di mandare all'aria tutto il mondo politico italiano, sulla base del potere del quale dispone) non stanno solamente avanzando richieste corporative (che sicuramente ci sono) ma si sentono "toccati" dal punto di vista simbolico. Il fatto che comunque, per la prima volta - più o meno da sempre - il Parlamento approvi riforme non a loro favorevoli, li fa sospettare che potrebbe essere messa in discussione, prima o poi, la loro "intangibilità" il loro essere una "casta" superiore e al di sopra di ogni norma e ogni legge. È una esagerazione parlare di "azione golpista"? Non lo è, se si esamina il combinato disposto di quello che è avvenuto. La magistratura di Firenze ha compiuto una serie di arresti, mettendo sotto accusa un certo numero di altissimi burocrati (non sappiamo ancora per quale fatto specifico ma prima o poi, si spera, lo sapremo), e divulgando (illegittimamente) intercettazioni che danneggiano un ministro (non indagato). Contemporaneamente il capo dell'Anm ha divulgato una dichiarazione temeraria, nella quale accusa il Presidente del Consiglio di essere complice della corruzione ("accarezza i corrotti") e lascia intendere una cosa semplicissima: o il governo cambia linea sulla magistratura o un pugno di magistrati coraggiosi potrebbe iniziare a colpire duro, un po' come si fece nel ‘92 -'93, e magari - come fu allora - radere al suolo la politica italiana. Diciamolo con parole semplici: non sarà un golpe, è un ricatto con minaccia di golpe. Confermato il giorno dopo dal "Fatto" (che è l'organo ufficiale dell'Anni) con un titolo volutamente comico: "Renzi attacca i giudici". Povero Renzi, si è preso le accuse infamanti e gratuite di Sabelli, ha reagito appena appena dichiarando dispiacere, anziché querelando per diffamazione e calunnia, come sarebbe stato giusto, e invocando l'intervento del Presidente della Repubblica (come sarebbe stato ancor più giusto), e l'organo dell'Anna gli dice pure che è stato lui ad attaccare. Come quando un bambino piccolo viene pestato da tre bulli e poi i bulli gli dicono che a forza di colpi di guancia gli ha fatto male alle mani. C'è poco da stare allegri. Non solo perché evidentemente la situazione è gravissima, e se Lupi sarà costretto alle dimissioni, sarà una vera e propria capitolazione per la democrazia politica; ma perché non si vede all'orizzonte nessuno che sia in grado di reagire, di porre un freno alla baldanza "cilena" dei Pm. La sinistra sembra un pugile suonato, inebetita, forse, da vent'anni di "tifo" antiberlusconiano, che le ha tolto la vecchia abitudine alla lotta politica e l'ha resa ancella di Palazzo di Giustizia; la destra, un po' salvinizzata un po' impaurita per le bastonate ricevute in questi anni dal suo capo, e oltretutto a disagio nel difendere il governo Renzi o il "traditore" Lupi. È probabile che i magistrati vincano la loro battaglia. Del resto, forse, l'hanno già vinta. La riforma della giustizia non si farà. Forse si farà invece la contro-riforma, quella di Gratteri, che instaura qualcosa di molto simile a uno Stato di polizia, dove il sospetto, e l'odio, e la smania di manette prendono il posto del rosso, del bianco e del verde della bandiera nazionale. Giustizia: in nessun altro Paese al mondo i magistrati vogliono fare loro le leggi di Vincenzo Vitale Il Garantista, 19 marzo 2015 Fa certamente piacere avere un Presidente del Consiglio - in questo caso Renzi - in grado di replicare in modo conveniente alle sconcertanti affermazioni del Presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati dott. Sabelli. Per chi se lo fosse perso, rammento che Sabelli ha pubblicamente affermato che "il governo accarezza i corrotti, ma schiaffeggia i magistrati": affermazione tanto dura quanto inesplicabile, soprattutto in quanto proveniente da chi ricopre la carica di Sabelli, il quale, così affermando, non pare sia stato capace di provare il proprio attaccamento alle istituzioni. Renzi ha replicato a muso duro stigmatizzando come incomprensibili ed inaccettabili tali affermazioni e precisando infine che esse tali rimarrebbero a prescindere da quale governo fosse in carica - di centrosinistra o di centrodestra - in quanto esse feriscono le istituzioni in quanto tali, lo Stato in sé e non questo o quel governo. Rispondendo in tal modo, Renzi ha torto e ragione allo stesso tempo. Ha ragione, perché in nessun altro luogo del mondo un alto magistrato - il Presidente della Associazione dei magistrati ( che peraltro nei paesi anglosassoni non esiste ) - potrebbe impunemente lasciarsi andare in pubblico a simili affermazioni, così come invece accade in Italia. Sabelli si è comportato come il capo di un partito politico, talmente convinto della propria forza da insultare pubblicamente tutte le istituzioni nella consapevolezza dell'impunità assoluta. In questo modo, sbaglia due volte. La prima perché - lo voglia o no, lo sappia o no -egli "fa politica", assumendo un ruolo di una virulenza tale che neppure le opposizioni pensano di poter assumere, anche per una sorta di cortesia istituzionale della quale perfino esse ancora per fortuna usano: egli invece accusa sostanzialmente l'esecutivo di collusione con i corrotti e di ostacolare l'iniziativa dei giudici. Vi pare poco? E allora, perché non li arrestano tutti questi governanti amici dei corrotti e nemici dei magistrati? La seconda volta Sabelli sbaglia perché non riesce ad intendere - e con lui anche molti altri - come il ruolo da lui ricoperto - vale a dire quello di chi è istituzionalmente chiamato ad applicare la legge -esclude, in uno Stato di diritto, che possa contribuire a scriverla. Già. Lo Stato di diritto funziona così: chi fa le leggi non le applica e chi le applica non può farle. Sabelli se ne faccia una ragione e la smetta una buona volta di dare suggerimenti e di imporre veti e, se ci riesce, lo spieghi a quei magistrati che hanno preso la stessa cattiva abitudine (mentre tanti altri lo sanno da sempre e perciò non hanno bisogno di nessuna spiegazione). Tuttavia, anche Renzi ha la sua buona parte di torto. È palese infatti che Renzi oggi non fa che pagare il prezzo imposto dai magistrati dal fatto oggettivo che il capo del governo ha ceduto troppo terreno alla magistratura ed è poi ovvio che questa si allarghi occupando spazi che non sono di sua competenza. Un esempio per tutti. Cantone è certo bravo e perfino simpatico, privo di supponenza e degno di ogni considerazione. Però vorremmo tutti capire chi è. Non certo in senso personale, ma istituzionale. Chi è Cantone? Un'autorità, certo. Ma che autorità? Quali sono i suoi precisi limiti di intervento? Quali i poteri legittimi ? Cosa fa, in sostanza, Cantone che altri non potesse fare ? Quali acrobazie giuridiche occorre seguire per rispondere a queste domande ? Esercita un controllo? Ma anche le normali procure lo esercitano! Rilascia pareri preventivi? Ma in base a quali principi? E che valore hanno? E se i suoi provvedimenti sono impugnabili, non si rientra forse nell'ambito ordinario della giurisdizione? Insomma, Renzi ha ceduto troppo, consentendo (per timore? Per lassismo? Per insipienza? Per incompetenza?) che magistrati invece di fare il mestiere loro - dire il diritto - ne facessero un altro - fare politica - ed ora non si può meravigliare se i magistrati si prendono, oltre alla mano, anche il braccio. È stato lui a consentirlo. È stato lui a volerlo. Giustizia: corruzione e prescrizione, si sta sbagliando tutto di Mirella Castello (Presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura) Il Garantista, 19 marzo 2015 Ad orologeria! Sull'onda emozionale dell'ennesimo scandalo, dell'arresto di un alto dirigente dello stato, Ercole Incalza, arriva anche nel ddl corruzione l'emendamento governativo sul falso in bilancio, che aumenta in modo smisurato le pene, tutto ciò a una settimana dall'allungamento dei tempi della prescrizione. Ecco la "lista della spesa" di questa ultime settimane: corruzione, falso in bilancio e prescrizione, continua, inesorabile, la logica degli interventi "sensazionalisti". Un altro tassello di un disegno basato sulla filosofia emergenziale, che porterà a una giustizia formalmente più rigorosa, ma sostanzialmente inadeguata a combattere i fenomeni di malaffare del nostro Paese. Come ha evidenziato la coordinatrice della Commissione Penale dell'Oua Paola Ponte, in merito, appunto, al testo unificato delle proposte di legge di modifiche al codice penale in materia di prescrizione dei reati, "la maggior parte dei procedimenti si prescrive in fase di indagini e pertanto ogni intervento posto successivamente alla fase del rinvio a giudizio non è che da ritenersi un palliativo, che solo apparentemente cura le necessità di una giustizia malata a causa di carenze strutturali e processuali. Allungare e dilatare a dismisura i tempi di un processo non può essere la risposta giusta per arginare la commissione e la punizione dei reati. Gli imputati e le persone offese rischieranno di dover attendere anni per poter definire la propria posizione processuale con conseguenti danni morali ed economici irreparabili. Una condanna riportata ad anni di distanza dal fatto-reato potrebbe vanificare del tutto la funzione rieducativa del nostro sistema: il reo potrebbe trovarsi a scontare una condanna in situazioni oggettivamente e soggettivamente totalmente differenti rispetto a quelle di commissione del reato (vita diversa, una famiglia, un lavoro, ecc.). E cosa dire a chi potrebbe dover aspettare vent'anni per vedersi riconoscere innocente con una vita nel frattempo rovinata?". Quindi, questo provvedimento non solo è inadeguato, ma è da ritenersi in totale contrasto con tutti i principi ed i valori posti a fondamento del diritto ad un giusto processo, tra le cui caratteristiche spicca la necessaria celerità più volte invocata (per non dire "sanzionata" a nostro danno) dalla Comunità europea. Ma non basta, ora l'intenzione è anche quella di rendere più contorti e, quindi, meno efficaci, i procedimenti riguardo le imprese. Tutto ciò a tacere della compressione del diritto di difesa. Un assurdo in un'Italia già poco competitiva e che così rischia di andare incontro alla paralisi. Molto più positivo e concreto l'approccio del Governo, grazie all'impegno del ministro Orlando, sulla non punibilità per tenuità del fatto. In quel caso non si è ceduto a pericolose semplificazioni che avrebbero lasciato spazio ad aree di impunità su reati odiosi, allo stesso tempo sono stati corretti alcuni aspetti controversi, consentendo, per esempio, la possibilità tanto per la parte offesa quanto per l'indagato di fare opposizione all'archiviazione per tenuità del fatto o comunque di rinunciarvi a favore di una pronuncia nel merito. Tutta l'avvocatura è in profondo disagio e i penalisti hanno già dichiarato lo stato di agitazione. Scelta che sarà oggetto anche di una valutazione dell'Oua, l'organismo di rappresentanza unitaria dell'avvocatura, nell'assemblea dei delegati che si terrà a Firenze il prossimo 27 marzo. Al premier Renzi, ribadiamo: su prescrizione e corruzione, la direzione è sbagliata. Serve invece una grande alleanza contro la corruzione e per la semplificazione che coinvolga il mondo del lavoro, della pubblica amministrazione, delle professioni e dell'impresa: nell'eccessiva burocrazia, nella scarsa cultura della competitività, nella endemica presenza di fenomeni criminali, sono da ricercare le chiavi del dilagare del malaffare. I ddl all'esame del Parlamento hanno bisogno di serie modifiche in aula, altrimenti l'avvocatura unitariamente manifesterà il proprio dissenso. Giustizia: anticorruzione, governo in fuorigioco, il ddl slitta alla prossima settimana di Domenico Cirillo Il Manifesto, 19 marzo 2015 Slitta alla metà della prossima settimana l'arrivo in aula del disegno di legge anticorruzione. Lo si aspetta dall'inizio della legislatura (il testo originario fu presentato dal presidente del senato Grasso), è stato rilanciato con una serie di annunci dal governo l'autunno scorso ed è infine rimasto bloccato cinque settimane extra in commissione in attesa che il governo depositasse il suo emendamento sul reato di falso in bilancio. Alla fine tre delle quattro modifiche proposte dall'esecutivo - che aumentano le pene e recuperano la procedibilità d'ufficio per il falso in bilancio delle società quotate, abolita ai tempi di Berlusconi e Tremonti - sono state votate ieri sera. L'ultima invece dovrà tornare stamattina in commissione, perdendo l'ultimo treno per entrare in aula prima di mercoledì prossimo. "Colpa dell'ostruzionismo di Forza Italia", dice il Pd. "Insipienza del governo", replicano, con buone ragioni, i berlusconiani. È successo che malgrado la lunghissima gestazione del provvedimento, il quarto emendamento che si riferisce alla "tenuità del fatto" e riguarda le società non quotate è arrivato in commissione prima della legge che andrebbe a emendare. Che è un decreto legislativo, anche questo messo a punto dal governo con grave ritardo (lunedì scorso) rispetto all'approvazione delle legge delega (aprile 2014). Fino a ieri sera i senatori che lo hanno preso in esame non potevano conoscere la legge che andavano a cambiare, se non nella versione informale in pdf che il viceministro Costa ha provato a distribuire in commissione. "È sul sito della gazzetta ufficiale", garantivano nella maggioranza. Ma su quel sito il decreto è comparso solo in serata. Con ben leggibile l'avviso che la legge entrerà in vigore il 2 aprile prossimo. Prima di allora, il senato proverà a cambiarla. Ma dovrà farlo in aula dalla prossima settimana. La conferenza dei capigruppo aveva riservato al disegno di legge anticorruzione, ripetutamente twittato come cosa fatta dal presidente del Consiglio (e siamo ancora alla prima lettura), la mattina di oggi. Invece oggi alle 11 scade il termine per i sub-emendamenti alla proposta di "non punibilità" avanzata dal governo, che prevede per il giudice il dovere di valutare "in modo prevalente, l'entità dell'eventuale danno provocato alla società ai soci o ai creditori". Successivamente la commissione dovrà passare ai voti. Ma dalle 15 le camere sono convocate in seduta congiunta per l'elezione di due giudici costituzionali. E, respinta la proposta dei 5 stelle di lavorare anche durante il weekend, si andrà alla prossima settimana. Quando però i senatori dovranno affrettarsi a convertire il decreto sulle banche popolari. L'anticorruzione arriverà dopo. Il passaggio in commissione ieri ha confermato l'impostazione governativa, che distingue tra società quotate in borsa e non quotate. Per le prime è prevista una pena da 3 a 8 anni di carcere. Per le seconde da 1 a 5 anni. In questo caso il senatore Lumia del Pd aveva presentato un emendamento per alzare a 6 anni il massimo, così da rendere possibile l'utilizzo delle intercettazioni anche nelle indagini sulle società non quotate. Ma l'ha ritirato, annunciando che lo ripresenterà in aula (Ncd è contrario). Resta la procedibilità solo su querela per il falso in bilancio delle piccole società, che hanno un giro di affari non superiore ai 300mila euro l'anno. Giustizia: il falso in bilancio si impantana nella tenuità del fatto, Senato verso il primo sì di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 19 marzo 2015 E il voto della commissione Giustizia del Senato che ieri doveva finalmente sdoganare per l'Aula la tormentata legge anticorruzione slitta a questa mattina. Tuttavia, in serata il nuovo falso in bilancio viene approvato in tutti i contenuti, e sono quelli più qualificanti, che non riguardano la nuova causa di non punibilità. È questo l'esito di un pomeriggio complicato che vede maggioranza e opposizione dividersi mentre la cronaca giudiziaria bussa in maniera sempre più insistente alla porta della commissione. A passare, con il resto del disegno di legge già approvato nei giorni scorsi, sono così tre delle quattro proposte di correzione presentate lunedì dal ministero della Giustizia. In particolare vengono approvati gli aumenti delle sanzioni sia per le società quotate sia per quelle non quotate. Per le prime la pena sale nel massimo sino a otto anni con un minimo di tre. Mentre per le seconde l'aumento delle sanzioni introduce una forchetta compresa tra uno e cinque anni. Snodo quest'ultimo non del tutto scontato visto che pesava sulla discussione un precedente progetto di legge targato Pd che collocava il massimo della pena a sei anni. Un anno in più destinato, però, a fare la differenza sotto un duplice profilo. Da una parte prevedere una pena massima a sei anni avrebbe reso possibile le intercettazioni anche per le non quotate, mentre avrebbe impedito proprio l'applicazione dell'archiviazione per tenuità del fatto che il decreto legislativo, pubblicato ieri in "Gazzetta", ammette per i reati puniti però solo fino a cinque anni. Rebus risolto poi dallo stesso Pd che ha ritirato il disegno di legge. Identica è la fisionomia della condotta tra le due fattispecie con la misura penale che scatta a carico di chi (amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili, sindaci e liquidatori) espone od omette fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero oppure la cui comunicazione è imposta dalla legge. La condotta deve poi essere concretamente idonea a indurre in errore e posta in essere con l'obiettivo di ottenere un profitto per sè o altri. A essere approvato è anche l'emendamento con il quale il ministero della Giustizia inasprisce le sanzioni pecuniarie a carico delle società, elevando gli importi previsti nell'ambito del decreto 231 del 2001: sino a 600 quote per le società di Borsa e sino a 400 quote per le altre (secondo il meccanismo introdotto dal decreto sulla responsabilità degli enti una quota può andare da un minimo di 258 a un massimo di 1.549 euro, lasciando quindi all'autorità giudiziaria un ampio margine di flessibilità nell'applicazione della sanzione). A rimanere fuori per essere votata solo questa mattina è la parte dedicata, nell'ambito delle società non quotate, ad attenuare le conseguenze del reato. La cui responsabilità verrà comunque sempre riconosciuta, prevedendo sanzioni più leggere se i fatti sono lievi, con particolare riferimento alla dimensione della società e alle modalità del comportamento, oppure la non punibilità, ma con riferimento nel casellario, se è possibile l'archiviazione per tenuità con riferimento questa volta alla limitata portata offensiva del danno prevedibile. Proprio sull'archiviazione, sull'incertezza venutasi a creare sulla pubblicazione in "Gazzetta" già ieri del decreto legislativo, si sono bloccati i lavori nel pomeriggio, per alcune ore. Un "intoppo", nella lettura del presidente della commissione Francesco Nitto Palma (FI) in tutto ascrivibile al Governo. Giustizia: Violante (Pd): corruzione, sono contrario alla criminalizzazione indiscriminata di Pietro Vernizzi Italia Oggi, 19 marzo 2015 "Provo soprattutto l'amarezza di un padre nel vedere il proprio figlio sbattuto in prima pagina come un mostro senza alcuna colpa". Lo ha detto il ministro per le Infrastrutture, Maurizio Lupi, dopo che Sel e M5S ne hanno chiesto le dimissioni perché accusato di avere aiutato il figlio Luca a trovare un lavoro. Lo stesso Matteo Salvini ha colto la palla al balzo per polemizzare con Alfano: "Mi aspetto che il ministro dell'Interno o il presidente del Consiglio vengano in Parlamento a spiegare agli italiani se è tutto falso o se c'è qualcosa di vero. E se c'è qualcosa di vero, non possiamo avere un ministro dell'Interno e un ministro delle Infrastrutture che lavorano con delle ombre del genere". Ne abbiamo parlato con Luciano Violante, ex presidente della Commissione Antimafia e già presidente della Camera dei deputati. Domanda. Che cosa ne pensa della bufera che ha colpito il ministro Lupi? Risposta. I cittadini hanno bisogno di onestà. Questo spiega e giustifica le reazioni impietose dell'opinione pubblica. Ma bisogna essere prudenti e critici nei confronti delle ondate criminalizzatrici. I fatti sembrano molto gravi; ma bisogna lasciare alla magistratura il tempo per procedere con serietà e profondità. Sono contrario alla criminalizzazione indiscriminata, che assolve i colpevoli e condanna gli innocenti. Credo che il ministro Lupi riuscirà a spiegare quello che deve spiegare. Sarebbe però un fatto di civiltà astenersi dall'utilizzare queste vicende per ragioni di strumentalità politica. D. Secondo lei, Lupi dovrebbe dimettersi? R. Sono contrario all'uso immorale della questione morale, quando si usano questioni morali, vere o presunte, a fi ni di lotta politica. Il ministro deciderà nella sua autonomia politica e personale. D. Che cosa ne pensa dello scambio polemico tra il presidente dell'Anm Rodolfo Sabelli e il premier Renzi? R. Le magistrature sono particolarmente preoccupate per alcuni aspetti della legge sulla responsabilità civile, anche per l'atteggiamento politico che l'ha accompagnata. I problemi particolari possono porsi per la magistratura amministrativa e per quella contabile. Questo non vuol dire che il magistrato non debba rispondere civilmente se ha commesso con dolo o colpa inescusabile errori gravissimi, però c'è spesso un pregiudizio della politica nei confronti della magistratura. D. Il governo però ha optato per la responsabilità civile indiretta. Di fatto un magistrato paga solo una parte dei dannni. R. Come nella grande maggioranza dei paesi civili. Il problema più grave non è questo. È il rischio che attraverso la semplice richiesta di risarcimento una parte privata forte si possa liberare del suo giudice. D. Ci sono altri elementi che hanno pesato sullo scontro Renzi - magistrati? R. Non hanno contribuito a placare gli animi alcune polemiche non necessarie, come quella sulle ferie, e alcuni toni sopra le righe di esponenti dell'associazione nazionale magistrati. D. Come vede il rapporto tra politica e magistratura? R. È un rapporto a corrente alternata. Eppure non dovremmo dimenticarci del fatto che dal presidente del Senato, al presidente della commissione Affari costituzionali del Senato e ai presidenti della commissione Giustizia di Camera e Senato, al presidente dell'autorità anticorruzione sono tutti magistrati. La magistratura per un verso è spesso attaccata a torto, ma per altro verso costituisce un bacino di reclutamento quando serve una responsabilità particolarmente rilevante per il Paese. D. Per Renzi nella sfida alla corruzione c'è bisogno innanzitutto di un "passaggio culturale ed educativo". È veramente così? R. Sì. Renzi ha perfettamente ragione. Pensare che la questione della corruzione si risolva con l'aumento delle pene è una stupidaggine, perché nessun corrotto pensa di finire in carcere. Sarebbe utile ridurre le pene nei confronti di chi parla. D. Per quale motivo? R. La corruzione crea un vincolo solidale tra chi corrompe e chi è corrotto; nessuno ha interesse a parlare perché sono puniti entrambi allo stesso modo. È un vincolo che va spezzato. Vanno inoltre alleggeriti i "check-point" dei procedimenti amministrativi, perché ogni passaggio burocratico è un potenziale fattore di corruzione. Le procedure semplici sono facili da controllare; quelle più complesse favoriscono la corruzione. D. C'è un nodo appalti che andrebbe riformato? R. Il nodo appalti c'è. Le autorità europee e l'Ocse hanno più volte insistito sugli appalti in quanto meccanismo tipico della corruzione. Dalla nomina della commissione che designa il vincitore delle gare, a tutti i meccanismi specifici delle procedure d'appalto, ci sarebbe molto da rivedere e molto da controllare. D. Renzi ha detto che andrà avanti con il ddl Grasso sul falso in bilancio. È la strada giusta? R. Il disegno di legge sul falso in bilancio va bene. Se i bilanci di una società sono inattendibili, non ci sono investitori che scommettono su quell'azienda. Quando il falso in bilancio non è considerato un reato grave, diventa facile frodare sui bilanci. Tutto ciò scoraggia gli stranieri dall'investire nelle società italiane perché non si fidano. Giustizia: Sottosegretario Ferri "su custodia cautelare in corso riflessione il Parlamento" Adnkronos, 19 marzo 2015 "Quello della custodia cautelare in carcere è un tema che ci sta a cuore e sul quale è in corso una riflessione in Parlamento" Lo ha detto il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, intervistato a Voci del Mattino, Radio1, commentando l'ultimo rapporto Antigone, in cui si indica che oltre un terzo della popolazione carceraria è composto da detenuti in attesa di giudizio, dato molto superiore alla media europea. "In alcuni casi la carcerazione preventiva si rende necessaria per impedire la reiterazione del reato o il pericolo di fuga, però dobbiamo valutare con molta attenzione questo aspetto. Ad esempio lavorando sullo snellimento del processo penale, che consenta un più rapido approdo alla verità processuale, sia in caso di innocenza, sia di colpevolezza. Però, dobbiamo saper leggere bene i dati, perché non tutto il 35% dei detenuti italiani in regime di custodia cautelare è in attesa di giudizio". "Sul sovraffollamento delle carceri questo governo ha ottenuto risultati importanti, come anche l'Europa ci ha riconosciuto. Siamo passati da 62 mila detenuti a poco più di 50 mila - ha detto Ferri - ora sono rispettati gli spazi minimi, 3 metri, previsti per ciascun detenuto. E adesso ci stiamo concentrando sul tema del recupero dei detenuti, evitando che ozino all'interno delle carceri e tenendoli impegnati in attività di istruzione, di cultura ma anche attività lavorative, che sostanzialmente consentirebbero al detenuto di pagarsi la detenzione con il proprio lavoro. È giusto che alla ingente spesa che sostiene lo Stato per il sistema carcerario contribuisca anche il detenuto". C'è poi il tema dei detenuti extracomunitari, ha aggiunto Ferri, "per i quali stiamo lavorando affinché possano scontare la pena nei Paesi di provenienza, con un ulteriore alleggerimento del carico per i nostri istituti di pena. Inoltre, stiamo pensando una riforma per quanto riguarda i detenuti per reati legati alla tossicodipendenza. Puntiamo a inserirli in progetti realizzati all'interno delle comunità terapeutiche". Detenuto lavori per pagare spese "Sul sovraffollamento delle carceri questo governo ha ottenuto risultati importanti, come anche l'Europa ci ha riconosciuto. Siamo passati da 62 mila detenuti a poco più di 50 mila, ora sono rispettati gli spazi minimi, 3 metri, previsti per ciascun detenuto". Così il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, intervistato a Voci del Mattino, su Radio1. "E adesso - ha aggiunto Ferri - ci stiamo concentrando sul tema del recupero dei detenuti, evitando che ozino all'interno delle carceri e tenendoli impegnati in attività di istruzione, di cultura ma anche attività lavorative, che sostanzialmente consentirebbero al detenuto di pagarsi la detenzione con il proprio lavoro. È giusto, infatti, che alla ingente spesa che sostiene lo Stato per il sistema carcerario contribuisca anche il detenuto. C'è poi il tema dei detenuti extracomunitari. per i quali stiamo lavorando affinché possano scontare la pena nei Paesi di provenienza, con un ulteriore alleggerimento del carico per i nostri istituti di pena. Inoltre, stiamo pensando una riforma per quanto riguarda i detenuti per reati legati alla tossicodipendenza. Giustizia: reclutatori islamici nelle carceri, una "cellula" fu attiva anche a Macomer? di Pier Luigi Piredda La Nuova Sardegna, 19 marzo 2015 Nel carcere del Marghine, ora chiuso, potrebbe essere nata l'idea dell'attacco al museo del Bardo. Nella Guantanamo italiana reclusi big del terrorismo islamico e reclutatori della guerra santa. Un attentato studiato in una cella del carcere di Macomer. Uno dei tanti che i detenuti stranieri avrebbero ipotizzato durante la loro permanenza in quel penitenziario che, fino al momento della chiusura, era stato definito: la "Guantánamo italiana" per l'altissima presenza di terroristi islamici vicini ad Al Qaeda. Questa la preoccupante ipotesi emersa subito dopo l'attentato di Tunisi. "Sicuramente uno dei terroristi, ma forse anche altri due, parlava italiano" è stata una delle indiscrezioni trapelate nella concitazione di quei momenti drammatici. A collegare l'attentato di Tunisi con la Sardegna è stato il giornalista Toni Capuozzo che, nel suo profilo Facebook, ha fatto trapelare l'ipotesi di un preoccupante collegamento con l'Italia: "Nella rete terroristica internazionale che ha colpito a Tunisi ci sarebbe anche un tunisino che è stato detenuto nel carcere di Macomer e altri tre connazionali transitati in Italia". "C'erano alcuni personaggi di grande carisma - ha ricordato uno degli operatori del carcere -. Si vedeva da come si muovevano, da come venivano trattati dagli altri che avevano un grande ascendente, che non erano semplici detenuti". Alcuni di questi erano stati arrestati per collegamenti con le cellule terroristiche internazionali. A Macomer sono passati terroristi di alto spessore che chissà dove sono finiti. Nelle celle del piccolo carcere modello, che però poco piaceva ai reclusi stranieri che più volte si erano lamentati per le condizioni di vita e inscenato anche eclatanti manifestazioni di protesta, sono stati detenuti due terroristi di enorme pericolosità vicini ad Al Qaeda: l'egiziano Mohamed Rabei, coinvolto nell'attentato alle stazioni di Madrid nel 2004 con quasi 200 morti, e il tunisino Alì Bu Ya Yia, vicino ai componenti del comando che nel 2005 sferrarono l'assalto a colpi di bombe alla metro di Londra causando oltre 50 vittime. Giustizia: manicomi giudiziari verso la chiusura, ma le Regioni sono pronte a metà di Silvia Mastrantonio La Nazione, 19 marzo 2015 Solo dieci attrezzate ad accogliere in nuove strutture i 450 internati. "Le Regioni che non si adeguano saranno commissariate". I ministri della Salute, Beatrice Lorenzin, e della Giustizia, Andrea Orlando, avevano parlato all'unisono. E adesso il Veneto rischia, parola del sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo. La regione di Zaia non ha individuato neanche le soluzioni logistiche per l'attuazione della riforma. Ancora peggio del Piemonte che, pur avendo individuato soluzioni, non ha fornito al Ministero le relative delibere e che potrebbe finire anch'essa nel mirino. Il 31 marzo si avvicina a grandi falcate e il governo spazza via le residue illusioni: non ci saranno altre proroghe. Gli Opg, delicato acronimo della spietata realtà degli Ospedali psichiatrici giudiziari, chiuderanno per sempre. Sorgeranno piccole strutture di tipo sanitario (Rems, Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza detentive), destinate a ospitare un massimo di venti persone. Niente celle e nessuno strumento di contenzione ma assistenza psichiatrica. Cambia la radice stessa del problema. "Finalmente ha detto ieri il ministro della Giustizia chiudiamo una pagina davvero triste". A fine mese il passaggio concreto potrà dirsi tale in 10 regioni e una provincia autonoma (Val d'Aosta, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Basilicata, Sicilia, Sardegna oltre a Bolzano). Abruzzo e Molise attendono il pronunciamento del Tar per un ricorso pendente. Altre 6 regioni (e Trento) hanno individuato soluzioni ma con tempi di realizzazione più dilatati (Marche, Piemonte, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Puglia, Calabria). "Va comunque precisato che il passaggio da Opg a Rems, anche in presenza di strutture attive, non sarà un esodo di massa, ma un trasferimento graduale modulato persona su persona", spiega il sottosegretario De Filippo che anticipa: i soggetti non dimissibili da trasferire saranno 400/450, contro i 700 ospiti attuali. "Si tratta di persone che non hanno ancora scontato tutta la pena", precisa. Gli altri, a pena finita, potranno usufruire dei servizi territoriali per i pazienti psichiatrici, se necessario. Uno dei problemi più delicati di questa rivoluzione è la sicurezza. Ogni internato dovrà rientrare nelle regione di appartenenza: per questo tutte le Regioni dovranno essere attrezzate. Le Rems cambiano l'ottica: assistenza sanitaria e non penitenziaria. Ma chi vigilerà? L'esempio più citato è quello di Kabobo, il giovane ghanese che uccise i passanti a picconate a Milano nel 2013. Anche se lui, attualmente, è in carcere chi ci difenderà da Kabobo? Emilia Grazia De Biasi, presidente della commissione Sanità del Senato, enumera diversi livelli di sicurezza. "C'è quella dei pazienti lungo il loro percorso di riabilitazione". "POI continua la sicurezza degli operatori e qui il discorso è strettamente connesso alla formazione, come avviene in tutti i reparti psichiatrici". "Terzo livello, ma non ultimo, la tutela dei cittadini. Dire: Escono tutti i criminali, è una bugia. Si tratta di persone che affrontano un percorso di reinserimento particolarmente difficile". E i Kabobo? "Casi come il suo ce ne sono pochi e si tratta comunque di soggetti che difficilmente potranno uscire. Si possono ipotizzare Rems particolari. Le regioni devono studiare tutte le possibilità". "La questione è importante aggiunge il sottosegretario De Filippo è in corso un grande lavoro con il ministero degli Interni e le prefetture. Saranno varati protocolli specifici mentre il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria affiancherà il processo di cambiamento". SI PARLA, per esempio, di telecamere interne e sorveglianza esterna. Non c'è una questione di fondi: 172 milioni di euro già finanziati dallo Stato. "In eccesso aggiunge il sottosegretario perché tarati su mille ospiti. Ma il denaro avanzato sarà impiegato per la sicurezza e i servizi sul territorio". Giustizia: Don Simonazzi "carceri per malati mentali, che errore, è stata occasione persa" di Davide Nitrosi La Nazione, 19 marzo 2015 Don Daniele Simonazzi, da 24 anni cappellano nell'Opg di Reggio Emilia "L'Opg? Da sacerdote dico che è la terra promessa, la Chiesa di Papa Francesco. Nei fatti dico che l'Opg è un'occasione persa". Don Daniele Simonazzi da 24 anni è il cappellano dell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, oggi 130 ricoverati, pochi anni fa oltre trecento. Il suo studio è tappezzato di piccole foto. Persone che non ci sono più. "Quelli che non sorridono erano dell'Opg". Opg, occasione persa? "Opg contraddizione. Un carcere per malati. Ma se sono malati, perché stanno in carcere? E se sono carcerati, perché dire malati? È il peccato originale". Che la politica non ha risolto? "Ci sono due approcci pericolosi. Quello di destra: sono mostri, chiudiamoli. E l'approccio di sinistra, non meno ideologico: integrazione, chiusura degli Opg...". L'errore? "In entrambi i casi si pensa più alle ideologie che alle persone. E non si tiene conto delle loro condizioni. Chiedetevi perché gran parte dei dipendenti Ausl assegnato all'Opg chiede il trasferimento". Quindi? "Non sia una questione ideologica. Bisogna cercare il bene delle persone. E il bene è che escano da qui. Di sicuro vanno a stare meglio". Come si spiega all'opinione pubblica la chiusura? "Con quattro domande. Se fossi nell'Opg, vorrei essere trattato così? Se ci fosse un mio parente, sarei sereno? Se fossi un operatore potrei tranquillizzare il familiare di un ricoverato? Poi, se fossi all'Opg, userei il gabinetto?". A questo punto? "Sono indecenti. In molti non funziona lo sciacquone, il water è scollato e lascia uscire i liquami, alcuni sono senza luce, coi rubinetti otturati. Mancano persino i detersivi". Lo Stato ha tagliato? "Non ci sono soldi e il rapporto fra Asl e amministrazione penitenziaria non funziona. Qui hanno appena ristrutturato il tetto e piove dentro, con celle inagibili". Disinteresse? "Nessun dirigente dell'Asl è venuto dentro l'Opg, né ha mai parlato con i ricoverati". Dal 31 marzo si chiude tutto. "In verità resta aperto. Le persone inferme di mente con pericolosità sociale escono, mentre i ricoverati che hanno maturato problemi di malattia mentale dopo la detenzione in carcere, restano". I punti deboli? "Primo: all'Opg i ricoverati sono protetti anche dalle famiglie di provenienza. Secondo: sono state dimenticate le vittime". Non è da poco. "Le vittime sono rimaste terrorizzate. Nessuno chiede a loro come stanno, come si sentono". La soluzione? "Non è far finta di niente. Occorre avere anche la consapevolezza di ciò che hanno provato le vittime o le loro famiglie. Qui si parla di reati, di violenza. L.M. anni fa entrò in una casa per rubare e trovò una bimba che si mise a piangere. L'uccise e la gettò in un canale. Chi si prende cura della mamma di quella bimba?". Come si fa? "Riconciliazione. Renato uccise un sagrestano a Rovereto. Mi ha chiesto tante volte che fare per chiedere perdono. Siamo andati sui luoghi della Prima Guerra Mondiale, nella parrocchia del sagrestano, abbiamo parlato col parroco. L'Opg non è l'isola dei famosi, è dentro il mondo che viviamo". Il ricovero ha funzionato come recupero per qualcuno? "Certo. Tanti. Roberto, dopo otto anni in Opg, è uscito. Prima di commettere i reati gestiva 400 persone a Torino. Oggi dedica la vita a chi è rimasto dentro e gestisce il nostro fondo di solidarietà". Giustizia: nell'Opg di Castiglione, la struttura che ospita i volti noti della cronaca nera di Bruna Bianchi La Nazione, 19 marzo 2015 La luce che entra dalle vetrate della sala comune sembra appoggiarsi sul capo di una donna seduta a un tavolo. Ci sono giorni che le sembra un'ingiustizia essere finita tra altre donne, chi stizzosa, chi petulante, chi antipatica, chi camminatrice indefessa, chi la scruta sempre e chi non la sente mai. Ce ne sono altri lunghissimi, pieni di vuoto e di richiamo alla vita per forza: mangiare, dormire, fare terapia e colloqui. Il reparto Arcobaleno è al piano terra e si apre su un giardino con la piscina. Non è permesso uscire senza essere accompagnati. Nella cameretta a due letti due donne condividono lo stesso macigno sul cuore: hanno ucciso il loro bambino. Nell'ospedale psichiatrico giudiziario, lontano tre chilometri dalla cittadina di Castiglione delle Stiviere, nella Bassa Mantovana, l'aver fatto del male a qualcuno fa meno male solo finché non si capisce che uccidere "il diavolo" non è servito a niente. Gli agenti di polizia penitenziaria qui non ci hanno mai messo piede. Si vedono solo camici bianchi di medici e infermieri indaffarati, come all'ospedale Poma di Mantova da cui l'Opg dipende. Un luogo di cura (sorto nel 1939) dove si soffre nell'anima e non nel corpo. Non sapevano di avere una malattia mentale: lo sanno appena si rispecchiano in altri detenuti cui la psichiatria ha dato patologie diverse. Era impossibile condannarli per qualcosa che non sapevano di fare. Però pericolosi lo sono, per sé e per gli altri. Tre i reparti maschili: Morelli, Aquarius e Virgilio. Qui c'è stato Ferdinando Carretta, entrato dopo aver confessato con voce monocorde e sguardo fisso di aver ucciso genitori e fratello. Ci è rimasto dal 1999 al 2006, poi è stato mandato a Forlì, in una comunità terapeutica dove lavora. C'è ancora Oleg Fedchenko, 32 anni, ucraino: era un pugile alto e grosso quando ha fatto fuori a pugni una filippina incontrata per strada a Milano. "Ho visto il diavolo, un enorme mostro nero che voleva entrare dentro di me". Nel reparto femminile c'è stata anche Sonya Caleffi, in attesa di finire a San Vittore ed essere ritenuta sana di mente quando ha ucciso 7 pazienti nell'ospedale dove lavorava come infermiera. L'Opg non chiude per tutti. Le camerate diventeranno più piccole fino a chiamarsi mini-opg (otto). Qui restano i socialmente pericolosi: gli altri (263) sono già usciti. Emilia Romagna: la Garante "trasferimento internati da Opg Reggio entro il 31 marzo" www.sassuolo2000.it, 19 marzo 2015 "L'Emilia-Romagna trasferirà tutti gli internati della propria regione nel tempo previsto, e cioè entro il prossimo 31 marzo, contribuendo in maniera significativa all'effettivo superamento dell'Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Reggio Emilia, con il risultato, auspicato da tempo, che ai soggetti con patologie psichiatriche saranno garantiti maggiori diritti". La Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, ha visitato l'Opg di Reggio Emilia, struttura nella quale sono state internate per anni le persone prosciolte in sede penale ma dichiarate incapaci di intendere e di volere (e quelle condannate a pena diminuita per parziale incapacità con applicazione di misura di sicurezza detentiva). Accompagnata dal direttore della Casa circondariale e dell'Ospedale psichiatrico giudiziario, Paolo Madonna, dal responsabile del Dipartimento di Salute mentale e dipendenze patologiche dell'Ausl di Reggio Emilia, Gaddo Maria Grassi, e dalla responsabile Ausl per il carcere, Valeria Calevro, la Garante ha verificato le condizioni ambientali interne all'Opg. In particolare, Bruno ha riscontrato, come nella precedente visita, carenze igienico-sanitarie negli spazi riservati alle docce, con presenza di umidità sulle pareti. Ha poi rimarcato la necessità di lavori di adeguamento nei singoli spazi in cui soggiornano detenuti e internati, attualmente di 9 metri quadrati ("grazie" al progressivo svuotamento determinato dai provvedimenti della magistratura di sorveglianza) e privi dei servizi igienici, chiedendo inoltre il potenziamento delle attività ricreative, collegate a tipologie differenti di mansioni lavorative. "Attraverso il lavoro degli Istituti di garanzia, in questo caso della Garante dei detenuti- afferma la presidente dell'Assemblea legislativa, Simonetta Saliera - l'Assemblea intende vigilare sul rispetto dei diritti di persone spesso poco considerate. Lo stesso avverrà anche nella fase che si sta aprendo, che segue la giusta chiusura degli Opg, e il passaggio da una situazione di sostanziale detenzione a una di assistenza e cura". Dentro l'Opg, le stanze di internati e detenuti sono disposte una di seguito all'altra ai lati di un lungo corridoio. Le porte, metalliche, sono di colore blu scuro. La disposizione delle "celle" è quella classica delle strutture penitenziarie. L'Opg reggiano è operativo dal 1991 e fino ad oggi è stato strutturato su quattro reparti cosiddetti "aperti" (ovvero interamente sanitarizzati, dove non è presente la polizia penitenziaria e le persone sono coinvolte in progetti di risocializzazione) e su una quinta sezione, la "Centauro", soggetta a misure di vigilanza che richiedono la presenza della polizia penitenziaria vista la particolare problematicità delle persone che vi si trovano. Il numero dei presenti è, complessivamente, di 135. Non tutti sono internati: a Reggio Emilia, unica struttura in Emilia-Romagna, ci sono anche 42 persone tra detenuti con infermità psichica sopravvenuta durante l'esecuzione della pena (art. 148 del Codice penale) e detenuti minorati psichici (art. 212), di cui 8 emiliano-romagnoli, che rimarranno per il momento nella struttura dell'Opg, mentre la popolazione residua di effettivi internati è destinata ad essere presa in carico dai territori di provenienza. I 24 internati emiliano-romagnoli sono infatti le persone presenti nella struttura che dal 1^ aprile, con la chiusura dell'Opg, verranno prese in carico dal sistema sanitario regionale. I residenti di altre regioni verranno trasferiti in istituti nei territori di appartenenza non appena le loro regioni daranno la disponibilità ad accoglierli. Si tratta di questione irrisolta, dal momento che ancora nulla si sa a proposito dei 35 internati del Veneto. Dei 24 internati emiliano-romagnoli, 10 saranno trasferiti nella Rems (Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza) di Casale di Mezzani (in provincia di Parma), mentre i restanti 14 (comprese le 3 donne attualmente ricoverate nell'Opg reggiano) nella Rems "Casa degli svizzeri" di Bologna. Per tutti, si è in attesa dell'attivazione, prevista per il 2017, delle due Rems definitive a Reggio Emilia: destinate a 30 persone, le due strutture saranno organizzate secondo un modello ad alta intensità medica e riabilitativa (con spazi ricreativi e sportivi interni). La gestione interna delle nuove strutture compete esclusivamente al personale sanitario. Solo la parte perimetrale verrà presidiata da personale adibito alla sicurezza, sulla base di specifici accordi con le Prefetture. Desi Bruno ha rilevato anomalie nel quadro normativo di riferimento: "Il codice penale prevede ancora misure di natura detentiva destinate a persone incapaci di intendere e di volere, anche parzialmente. E questa è senza dubbio una questione che va risolta per armonizzarla con la previsione del superamento degli Opg". Da parte sua, Gaddo Maria Grassi ha invece posto l'accento sull'incongruenza di curare all'interno dell'Opg soggetti incompatibili con il regime carcerario: "Si tratta di persone per le quali sono previste misure di sicurezza, e anche detentive, ma che devono essere affidate ai dipartimenti di salute mentale". E resta aperto il problema del coordinamento interregionale, per risolvere la questione degli internati non residenti in Emilia-Romagna: "Aspettiamo di sapere dalle altre regioni di provenienza delle persone attualmente in Opg quale sarà il loro destino". Per la gestione di chi rimarrà nell'Opg anche dopo il 31 marzo, il direttore, Paolo Madonna, ha chiarito di attendere disposizione dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria. Abruzzo: chiusura Opg entro il 31 marzo, ma la Regione rischia il commissariamento www.primadanoi.it, 19 marzo 2015 Giovedì sit-in di protesta davanti alla sede dell'assessorato alla Sanità. A due settimane dall'attesa scadenza del 31 marzo per la chiusura degli ultimi 6 ospedali psichiatrici giudiziari si tirano le somme della riforma ma sono solo 10 le regioni davvero pronte, quelle che hanno organizzato le strutture alternative dove saranno ricoverate le persone che per decenni sono finiti nelle "strutture della vergogna". Con un probabile rischio commissariamento per quelle regioni che non si sono organizzate, Abruzzo compreso. Ma un importante passo in avanti è stato fatto tanto da far dire al ministro della Giustizia Andrea Orlando: "finalmente chiudiamo una pagina davvero triste, ma affinché ciò avvenga nel migliore dei modi sarà importante innescare un circolo virtuoso tra enti locali, territorio e professionalità del servizio sociale". Ad oggi sono 704 gli internati negli attuali sei ospedali psichiatrici giudiziari attivi, di queste circa 250 sono considerati dimissibili al primo aprile ma potranno di fatto essere dimessi solo se vi sarà una presa in carico da parte delle strutture territoriali. Gli altri 450 internati dovranno invece essere trasferiti gradualmente nelle Rems (Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria), gestite dal servizio sanitario nazionale, in base alla provenienza, tornando dunque nelle regioni d'origine. I trasferimenti avverranno sulla base di provvedimenti della magistratura e di precisi programmi terapeutici. "Il problema era e rimane la presa in carico delle persone con sofferenza mentale", commentano le associazioni e le sigle sindacali Stop Opg Abruzzo: Cgil, Spi Cgil, Auser, Associazione 180amici L'Aquila-onlus, Altri Orizzonti onlus, Arci, Cittadinanza Attiva-Tribunale del Malato, Coordinamento regionale Centri Diurni Psichiatrici, C.O.S.M.A., Forum Salute Mentale, Psichiatria Democratica, che per giovedì prossimo hanno organizzato un presidio davanti l'assessorato regionale alla Sanità. "I corregionali internati negli ospedali di Aversa e di Castiglione delle Stiviere devono tornare in Abruzzo ed hanno diritto a ricevere degna ospitalità e cure appropriate, dopo anni di "reclusione". I 16 Centri di Salute Mentale abruzzesi soffrono per carenze di risorse professionali e svolgono attività prevalentemente ambulatoriali con apertura di 12 ore (in 8 di questi), e di solo sei ore al giorno per 5 giorni la settimana negli altri 8 centri. "Per i progetti terapeutici-riabilitativi inoltre riscontriamo un alto ricorso alla residenzialità privata", denunciano associazioni e sindacati, "con un tasso superiore alla media nazionale, mentre sono praticamente assenti le residenzialità in gruppi-appartamento e appartamenti supportati". Da decenni le associazioni regionali di familiari, cittadini, organizzazioni sociali e di tutela della salute denunciano questa situazione in Abruzzo, proponendo alla politica regionale la giusta attenzione prevista dal Progetto Obiettivo Nazionale per la salute mentale. Comunque sia, il 31 marzo 2015 è la scadenza fissata dalla legge per la chiusura degli Opg: "noi vogliamo essere sicuri che questa data sia rispettata, e soprattutto che al posto degli attuali Opg non si aprano nuove strutture manicomiali". La legge ha destinato per l'Abruzzo e il Molise 4 milioni e 800.000 euro allo scopo di finanziare o la costruzione di Residenze per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza o per dare risposte alternative all'internamento. La Regione Abruzzo tuttavia sembra proseguire nella convinzione di utilizzare le risorse per costruire una mega-struttura (la Rems a Ripa Teatina), piuttosto che rimodulare il programma e di destinare i fondi alla riqualificazione dei servizi di Salute Mentale e delle Strutture Pubbliche esistenti. Nell'attesa che la Rems di Ripa Teatina sia pronta (non prima del 2018) la proposta della Regione è quella di attivare una Rems provvisoria presso l'ex Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura di Guardiagrele, per la quale ha ottenuto l'approvazione del Ministero, ma per la quale non procede "motivando" il fermo del programma a fronte di un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale che non contiene nessun provvedimento di sospensiva. "Dunque la Regione Abruzzo rischia il Commissariamento", sostengono associazioni e sindacati. "Siamo contrari alle Residenze per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza ma riteniamo inaccettabile che la nostra Regione si presenti alla scadenza prevista dalla Legge senza un programma che possa permettere il ritorno in Abruzzo dei pazienti che dovranno uscire dagli Opg obbligatoriamente il 31 marzo". La proposta dell'associazione Altri Orizzonti Onlus e di tutto il movimento Stop Opg è molto semplice: "la politica ha il dovere di ascoltarci. Non sono più accettabili tavoli istituzionali dove in pratica si perde solo tempo, dove le uniche soluzioni adottate sono quelle dell'assoluta autoreferenzialità e del sistematico oscurantismo delle proposte dei familiari", spiega il presidente Giovina Nasuti. Campania: Antigone; chiusura degli Opg, le "pre-Rems" non garantiscono i ricoverati Ristretti Orizzonti, 19 marzo 2015 Alla fine di questo mese, l'orrenda esperienza degli ospedali psichiatrici giudiziari dovrebbe avere la sua fine: in prospettiva della chiusura, Antigone lunedì scorso (16 marzo) ha visitato il più antico manicomio criminale d'Italia: Aversa. Dal 31 marzo 2015 l'Opg di Aversa non accoglierà ulteriori persone in entrata, ma avrà come unico compito quello di dismettere gli internati rimasti: nonostante la predisposizione dei progetti personalizzati previsti dalla legge, ben 79 persone non sono in uscita, per mancanza di idonee strutture di accoglienza o di famiglie disposte ad accoglierli. Gli internati in uscita sono 29: di questi solo 15 sono campani, mentre 12 provengono dal Lazio e 2 dall'Abruzzo. Quanto alle future entrate, gli Opg verranno sostituiti dalle Rems (strutture esclusivamente sanitarie): tuttavia in Campania, le due Rems (a S. Nicola Baronia e a Calvi Risorta), alla data del 31 marzo 2015, certamente non saranno pronte. "L'ipotesi più accreditata - a questo punto - sembra essere quella dell'utilizzo transitorio di strutture pubbliche in sostituzione temporanea delle Rems (c.d. "pre-Rems"): due ex-Sir - almeno per il casertano - sarebbero state individuate come luoghi di accoglienza per le nuove persone in entrata". È quanto dichiara Mario Barone, presidente di Antigone-Campania e componente dell'Osservatorio sulle condizioni di detenzione. "Nel Paese dove i lavori pubblici durano all'infinito e dove la precarietà lavorativa è la dimensione esistenziale divenuta prevalente, immaginare soluzioni provvisorie - dopo un processo di chiusura iniziato nel 2012 - lascia basiti. C'è da chiedersi se alle cosiddette pre-Rems si applicherà il regolamento - a garanzia dei ricoverati - che Ministeri e Regioni stanno approntando per le Rems", conclude Barone. Toscana: il Garante "il carcere di Massa Marittima non può servire da sfolla-detenuti" Adnkronos, 19 marzo 2015 "Il carcere di Massa Marittima non può servire da sfollamento degli altri istituti penitenziari della Toscana, deve ritrovare la sua dimensione". Questo il commento del garante regionale dei diritti dei detenuti, Franco Corleone, al termine del sopralluogo di questa mattina. "Nasce come carcere mandamentale, una struttura pensata per la custodia attenuata - ha detto il garante - ma che nel tempo ha perso la sua caratteristica. Una realtà così piccola che ospita 43 detenuti ed ha una capienza fino a 48 ha senso se ha una sua dimensione e non per accogliere carcerati provenienti da istituti toscani sovraffollati, ognuno con problematiche e regole diverse". Corleone ha avanzato possibili alternative per Massa Marittima come quella di "sperimentare un carcere comunità" oppure "accogliere detenuti con pene molto lunghe e prepararli all'ingresso negli istituti penitenziari sulle isole Gorgona, Pianosa o Porto Azzurro". Il garante ha parlato della necessità di utilizzare la caserma e farla diventare un "centro di formazione del personale sia di polizia penitenziaria che educatori, anche con corsi pratici su genitorialità e affettività". Tra gli aspetti positivi evidenziati da Corleone, la pulizia della struttura, la presenza di bagni con docce ed acqua calda in tutte le celle e l'assenza di sovraffollamento. Inoltre, aggiunge Corleone "molte sono le attività scolastiche e ricreative e il rapporto con il Comune è buono". Tra le criticità, invece, il garante ha ricordato "l'assenza di attività nel pomeriggio, le infiltrazioni di pioggia nella palestra e la mancanza di un nucleo di traduzione che impone quindi per gli spostamenti dei detenuti di utilizzare un parco macchine precario". Infine, Corleone ha evidenziato pesanti problematiche nel rapporto con il Sert "pare - ha detto - che siano tre mesi che il responsabile di Follonica non si vede ed è, inoltre, insufficiente l'assistenza sanitaria". Nel pomeriggio Corleone visita il carcere di Grosseto. Cuneo: detenuto in regime di 41 bis sta male, lo ignorano… e si impicca in cella di Francesco Lo Dico Il Garantista, 19 marzo 2015 Neanche il tempo di dare conto dei 9 suicidi in carcere da gennaio a oggi, che vanno ad aggiungersi ai 44 dell'anno appena trascorso, che il rapporto Antigone, alla voce morti di galera, dev'essere subito aggiornato: ieri si è impiccato nel carcere Cerialdo di Cuneo un detenuto di 53 anni. L'uomo, l'ennesimo che si è tolto la vita in cella, si chiamava Palmerino Gargiulo, nato a Torre del Greco. E forse, come già accaduto in altri casi, poteva essere salvato. "Il suo avvocato - afferma il garante regionale dei detenuti, Bruno Mellano - da tempo segnalava una situazione psico-fisica incompatibile con questa tipologia di detenzione. A causa di un'interpretazione restrittiva delle regole del 41bis, mi è impedito di avere colloqui riservati, a Cuneo come a Novara, con i detenuti". Parole chiare e forti: l'uomo non era più in grado di reggere il peso del 41 bis. Era crollato. Ma l'eccessiva rigidità che regola il protocollo, ha impedito di appurarne la fragilità, e la probabile volontà di tirarsi fuori da quella condizione carceraria così dura soltanto con la morte. Non sarà facile fare luce sul caso. Le parole del garante dei detenuti non potrebbero essere più chiare e indignate. Tutto finirà nella solita bolla di sapone. "Ho da poco ricevuto 10 telegrammi dai ristretti cuneesi e a breve tornerò in visita al carcere Cerialdo - spiega il garante - pur sapendo che, nonostante la disponibilità del direttore Claudio Mazzeo, non potrò parlare in modo riservato con i detenuti". Gargiulo era sottoposto al regime detentivo del 41bis e doveva scontare una condanna all'ergastolo, in quanto affiliato al clan dei Francois, legato al clan Birra-Iacomino di Ercolano. E così, provato da un isolamento insopportabile, ha deciso di fabbricarsi un cordone fatto rozzamente con lacci e lenzuola. Gli agenti della polizia penitenziaria lo hanno ritrovato impiccato nella sua cella quando ormai era troppo tardi. "Purtroppo il pur tempestivo intervento dei poliziotti penitenziari non ha potuto impedire che l'uomo, che era in cella da solo, mettesse in atto il tragico gesto", ha fatto sapere il segretario generale del Sappe, Donato Capece. "In un anno la popolazione detenuta in Italia è calata di poche migliaia di unità: il 28 febbraio scorso erano presenti nelle celle 53.982 detenuti, che erano l'anno prima 60.828. La situazione nelle carceri italiane resta ad alta tensione: ogni giorno, i poliziotti penitenziari nella prima linea delle sezioni detentive hanno a che fare, in media, con almeno 18 atti di autolesionismo da parte dei detenuti, 3 tentati suicidi sventati dalla Polizia Penitenziaria, 10 colluttazioni e 3 ferimenti", annota il leader del Sappe. La morte di Gargiulo non fa che confermare l'esplosiva situazione in cui si trovano le carceri italiane, fotografata appena ieri dal rapporto Antigone. E sembra riproporre il solito refrain che l'Italia dedica ai morti di galera: chissenefrega se è crepato, era un delinquente. Foggia: rettifica all'articolo pubblicato in data 08.03.2015, a firma di Damiano Aliprandi di Maria C. Affatato (Direttrice Casa Circondariale di Foggia) Ristretti Orizzonti, 19 marzo 2015 Con riferimento all'articolo pubblicato dal quotidiano Il Garantista in data 8 u.s. dal titolo "tossici, migranti, giovani: rinchiusi in una cella da uno" a firma di Aliprandi Damiano, divulgato anche dal sito web a cui la presente è diretta per conoscenza, si evidenzia che i fatti, le notizie e le problematiche in esso riportato non corrispondono alla verità, descrivendo un quadro infondato, falso ed oltremodo allarmante. Si allega la nota di chiarimenti pervenuta dal Dott. Aldo Di Giacomo, componente della delegazione dell'Idv con la quale la scrivente in data 04.03.2015 ha avuto un incontro negli Uffici di questa Direzione. Alla luce di quanto sopra evidenziato è opportuno da parte della S.V, provvedere alla rettifica di quanto pubblicato, per ovviare al grave danno di immagine arrecato da tale articolo a tutti gli operatori quivi in servizio ed all'Amministrazione tutta, specie in questo momento storico in cui tutto il sistema penitenziario é impegnato costantemente ad adeguarsi ai parametri di civiltà e di vivibilità delle strutture imposti dalla Comunità Europea. Impegno questo assolto con grande senso di responsabilità da questa Direzione. Chiarimenti in ordine all'articolo pubblicato sul quotidiano "Il Garantista" di Aldo Di Giacomo (Responsabile Laboratorio Sicurezza IDV) Come da conversazione telefonica, si chiarisce, in relazione all'articolo apparso in data 08.03.2015, sul giornale online "Il Garantista", a firma di Damiano Aliprandi, pubblicato anche sul sito web "Ristretti Orizzonti", che la delegazione composta dall'On. Ignazio Messina, segretario nazionale Idv, dal Dott Aldo Di Giacomo, responsabile nazionale del laboratorio sicurezza, e dalla Dott.ssa Daniela Caprino, responsabile nazionale rapporti esterni Idv, non ha direttamente visitato l'area detentiva dell'istituto penitenziario dì Foggia: vi è stato certamente un ricevimento, presso gli uffici della struttura carceraria, finalizzato però esclusivamente ad un semplice incontro di cordialità con il direttore ed il comandante della polizia penitenziaria; di conseguenza, si smentisce in modo categorico di aver visto i detenuti, giammai tumefatti ed in stato di alterazione psicologica, contrariamente a quanto lasciato intendere dal giornale in oggetto. L'argomento di discussione con la direzione si è basato, invero, unicamente sulla carenza organica del personale della polizia penitenziaria e sulla mancanza di un vice-direttore presso il suddetto istituto. Immutata resta, pertanto, la fiducia sull'operato della polizia penitenziaria di Foggia e del suo direttore. Restando a disposizione per qualunque eventuale chiarimento, si porgono cordiali saluti. Imperia: il direttore del carcere Frontirrè "nessuno ha vietato l'ingresso al Sappe" di Maurizio Vezzaro La Stampa, 19 marzo 2015 "La visita andava considerata su due piani diversi: c'era una componente sindacale a cui competevano questioni legate al personale di polizia, e poi c'era il consigliere regionale Marco Scajola che doveva verificare le condizioni dei detenuti. Nel primo caso l'autorizzazione del Provveditorato regionale è arrivata in leggero ritardo, al che il consigliere regionale Scajola non aveva più tempo e se n'è andato. Ma nessuno ha vietato l'accesso al Sappe". Il direttore del carcere di Imperia Giuseppe Frontirrè replica alle accuse del sindacato della polizia penitenziaria Sappe, che lo ha accusato di aver impedito l'ingresso ai propri rappresentanti che dovevano compiere una visita congiunta col consigliere Marco Scajola. Per il Sappe si è trattato di "una intimidazione inaccettabile, rispetto alla quale chiediamo che il Ministro della Giustizia Andrea Orlando disponga un'ispezione". Ribatte Frontirrè: "Che non ci fosse nessuna preclusione lo dimostra il fatto che c'era un ispettore che doveva seguire i visitatori nel loro sopralluogo in carcere". Augusta (Sr): concluso Corso per pizzaioli "Detenuti di gusto", finanziato dal Rotary club www.ondaiblea.it, 19 marzo 2015 Si è concluso ieri con gli esami di qualifica il corso di aiuto pizzaioli tenuto presso la casa reclusione Augusta e finanziato dal Rotary club di Augusta. In presenza del maestro pizzaiolo Paolini, dei suoi collaboratori, del presidente del Rotary Signor Corbino e del vice presidente, i corsisti hanno prima risposto alle domande teoriche, su zuccheri, amidi, temperature conservazione degli alimenti e poi hanno dato dimostrazione pratica preparando ognuno una pizza. Hanno presenziato all'esame ed hanno poi fatto una degustazione il direttore della casa di reclusione Dottor Antonio Gelardi, le educatrici dottoressa Castellano e dottoressa Spuches che hanno seguito il corso giudicato il più " buono " mai tenuto presso l'istituto. La giornata si è conclusa con una applaudissima esibizione di pizza acrobatica. La consegna ufficiale degli attestati avverrà il 22 aprile presso la sala teatro, ed alla manifestazione a cui sarà presente pubblico esterno seguirà la consumazione di una " pizza galeotta " ed una raccolta di fondi da destinare al finanziamento di attività rieducative da svolgere presso l'istituto carcerario. Un'altra pizza sarà offerta poi in un'altra serata ai familiari dei detenuti corsisti, che mostreranno così ai loro cari il risultato della preparazione acquisita. Il titolo, aiuto pizzaiolo sarà poi spendibile all'esterno trattandosi di persone che nei prossimi mesi torneranno in libertà. Napoli: i detenuti di Poggioreale "il Papa si farà nostro portavoce" Radio Vaticana, 19 marzo 2015 Tra i momenti cruciali della vista del Papa sabato a Napoli, il pranzo con i detenuti di Poggioreale. Ad attendere Francesco ci saranno anche i reclusi dell'altro istituto partenopeo, Secondigliano. In entrambe le strutture si contano circa 3mila detenuti. Fondamentale l'aiuto dei volontari: tra questi c'è Anna Maria Esposito, presidente dell'associazione "Carcere Vivo". Federico Piana l'ha intervistata. "Da quello che abbiamo saputo sarà un pasto molto frugale, semplice, perché il tempo è breve e perché l'intenzione del Santo Padre è quello di salutare singolarmente ogni detenuto: non so bene in questo momento se prima o dopo il pasto, prima di andare via". Cosa si aspettano i detenuti e i volontari del carcere di Poggioreale e di Secondigliano da questa visita del Santo Padre? "Che la loro voce - di persone comunque "costrette" a vivere senza la propria libertà e "costrette" anche a vivere in situazioni molto difficili - possa essere portata fuori dal Papa". Che situazione vivono le carceri di Poggioreale e di Secondigliano? Sappiamo che le carceri italiane sono sovraffollate: ma quali sono i problemi che ci sono e che affrontate voi operatori di volontariato che siete lì ogni giorno e cercate di fare tanto per queste persone ristrette? "Sono 28 anni che io faccio volontariato nel carcere di Poggioreale e una ventina d'anni che sono anche a Secondigliano. Dal mio punto di vista, oltre al sovraffollamento, anche se da 7-8 mesi è diminuito perché parecchi sono stati spostati in altre carceri della Campania o dell'Italia, uno dei problemi è l'inattività che questi ragazzi devono subire durante la loro carcerazione. Le attività che si possono svolgere "dentro" sono poche; il lavoro è pochissimo. Stanno veramente 24 ore chiusi in cella. L'inattività, noi lo sappiamo, è il padre dei vizi … E loro vorrebbero essere impegnati! Per quanto le direzioni di entrambi i carceri cercano di organizzare corsi su corsi, sia a livello volontario sia anche a pagamento, cioè la scuola, ma sono sempre pochi rispetto al numero enorme di persone che si trovano ristrette nelle carceri". Quali frutti vi aspettate che porti questa visita del Papa? "Una speranza maggiore. Giovanni Paolo II venne a Poggioreale. Anni dopo, io incontrai nel carcere di Secondigliano una persona e parlando della visita di Papa Giovanni Paolo II lui mi disse: "Il Papa passò davanti alla mia cella e mi strinse la mano. Io in quel momento sentii una scarica dentro di me, uno svuotarmi di me stesso e trovai una serenità dentro di me… non le dico che cosa ho provato!". E mi diceva: "Io sono sicuro che quando uscirò da qui non rientrerò più", perché evidentemente quella stretta di mano aveva infuso in lui tanta e tanta di quella forza, di quella speranza per cui lui con sicurezza diceva: "Io non rientrerò più in carcere!". Ferrara: domani alla Casa del Volontariato si parla dell'istituto della "Messa alla prova" www.estense.com, 19 marzo 2015 "La Messa alla prova". È questo il titolo dell'incontro informativo e di sensibilizzazione su un rinnovato istituto di giustizia riparativa utile che si terrà venerdì 20 marzo, dalle ore 17 alle 19.30, presso la Casa del Volontariato in via Ravenna 52 (entrata da via Ferrariola) a Ferrara. L'iniziativa intende presentare la "Messa alla prova" per adulti incensurati che hanno commesso reati minori. Lo strumento di giustizia riparativa, introdotto dalla legge n. 67/2014, prevede la sospensione dell'obbligo di detenzione e la cancellazione del reato a fronte del coinvolgimento della persona in attività di utilità sociale e di volontariato. Si tratta di un'esperienza analoga a quella derivante dal lavoro di pubblica utilità introdotta a seguito dell'ultima modifica del Codice della Strada e che, in molte realtà, è stata soddisfacente e ha consentito alle Associazioni di valorizzare la propria attività sociale. Come a Torino, dove da quattro anni i condannati ne usufruiscono, con 2736 condannati che hanno estinto la pena impegnandosi in lavori di pubblica utilità, una percentuale irrilevante di insuccessi e soddisfazione da parte delle associazioni coinvolte. Saranno presenti: Marcello Marighelli, Garante dei detenuti del Comune di Ferrara; Luca Marini, presidente della Sezione Penale del Tribunale di Ferrara; Alessandra Palma, presidente della Camera penale Ferrarese "Avv. Franco Romani"; Antonio Amato, responsabile Ufficio Esecuzione penale esterna - Uepe Bologna e Ferrara, Chiara Sapigni, assessore alla Salute e Servizi alla Persona. Introdurrà Laura Roncagli, presidente di Agire Sociale. In particolare l'incontro, che si inserisce nel progetto "Cittadini Sempre", sarà un momento di approfondimento e confronto tra le associazioni di terzo settore che vogliano mettere a disposizione della collettività la propria accoglienza. Siena: detenuti della Casa circondariale donano quadri per piccoli pazienti della Pediatria www.sienafree.it, 19 marzo 2015 I quadri sono stati realizzati grazie a un corso di pittura organizzato dalla Croce Rossa Italiana, sezione di Siena. Iniziativa di solidarietà da parte dei detenuti della Casa Circondariale di Siena per i piccoli pazienti della Pediatria dell'ospedale Santa Maria alle Scotte. Sono stati donati al reparto dei quadri realizzati dai detenuti durante un corso di pittura effettuato dalla Croce Rossa Italiana. La sezione senese della Croce Rossa organizza i corsi di pittura all'interno del carcere da circa venti anni, un'iniziativa ludico-ricreativa e pedagogica molto apprezzata e che è stata accolta dalle Scotte con molto entusiasmo. I quadri, allestiti al piano 4s del IV lotto, rappresentano personaggi molto cari ai bambini: Topolino, Titti e Gatto Silvestro, Peppa Pig, Trilly e molti altri ancora. Alla cerimonia di consegna ha partecipato la Direzione Aziendale dell'Aou Senese insieme a Sergio La Montagna, direttore della Casa Circondariale di Siena, Monica Minucci, insegnante di pittura, Lucia Donnini, responsabile sezione femminile della Croce Rossa di Siena e Sabina Falcone, responsabile area pedagogica del carcere. Ha partecipato anche uno degli autori dei quadri, visibilmente emozionato. "Ringraziamo i detenuti - ha detto Salvatore Grosso, responsabile della Pediatria - per la sensibilità e l'altruismo dimostrati per il nostro reparto. Con i loro occhi, il cuore e le mani hanno disegnato per i nostri bambini e li ringraziamo davvero di cuore per aver pensato a noi. Il contributo di ognuno è infatti fondamentale per migliorare la qualità di vita e la permanenza dei piccoli pazienti in ospedale". Firenze: in Consiglio regionale mostra fotografica dedicata alla Compagnia della Fortezza www.toscanamedianews.it, 19 marzo 2015 Fino al 24 marzo il Consiglio regionale ospiterà la mostra fotografica dedicata alla Compagnia la Fortezza che dal 1988 trasforma i detenuti in attori. Per due anni i fotografi Luigi Danzi e Francesco Livi hanno seguito i detenuti del carcere di Volterra durante le prove per realizzare due spettacoli teatrali e hanno raccontato quel che accade in scena attraverso una trentina di scatti. La mostra, presentata dal vicepresidente del Consiglio regionale Giuliano Fedeli e dal provveditore toscano alle carceri, Carmelo Cantone, rimarrà nei corridoi di palazzo Panciatichi a Firenze fino al 24 marzo. Le istantanee raccontano della trasformazione di alcuni detenuti che hanno fatto del teatro la loro professione. Ergastolani che si sono misurati per gioco con il ruolo di attori e che hanno scoperto di avere doti naturali importanti, coltivate da Armando Punzo, che ha fondato la Compagnia della Fortezza nel 1988. Esperienze da coltivare, secondo il provveditore Cantone. "In Toscana sono una dozzina i laboratori teatrali - ha detto il provveditore - Nessuno riesce a sopravvivere sul mercato. Lo Stato dovrebbe farsene carico come fa con altri istituti culturali". Il vicepresidente Fedeli ha plaudito alla scelta di raccontare il mondo del teatro in carcere. "In questo modo si mettono in luce - ha detto Fedeli - i tentativi di reinserimento nella società di uomini che hanno avuto guai con la giustizia". Cinema: "Meno male è lunedì"... con Filippo Vendemmiati i detenuti diventano operai www.rassegna.it, 19 marzo 2015 Un gruppo di operai in pensione, in veste di tutor, che insegna il mestiere a 13 detenuti all'interno delle carceri Dozza di Bologna. È il tema di "Meno male è lunedì", il film di Filippo Vendemmiati. La proiezione il 18 marzo in Cgil. Un gruppo di operai in pensione, in veste di tutor, che insegna il mestiere a 13 detenuti all'interno delle carceri Dozza di Bologna. È questo il tema al centro di Meno male è lunedì, il film di Filippo Vendemmiati che è stato proiettato oggi (mercoledì 18 marzo) alle 17.30 presso la Cgil Nazionale. Dopo "È stato morto un ragazzo", il film sul caso di Federico Aldrovandi, il regista torna ad occuparsi di una tematica ad alto impatto sociale: in questo caso insieme ai detenuti i protagonisti del film sono i tutor, i lavoratori in pensione che vanno in carcere a insegnare e verificare che il lavoro sia fatto bene, trasferendo insieme le loro conoscenze e il loro orgoglio professionale. Da parte loro, nel percorso di inserimento lavorativo i detenuti - come dice il titolo - si trovano paradossalmente ad apprezzare l'inizio della settimana lavorativa: meno male che è lunedì, appunto. "Il carcere è un non-luogo senza tempo - scrive Vendemmiati nelle note di regia -. La peggiore condanna cui è sottoposto un detenuto è la sottrazione del trascorrere dei giorni. I detenuti che lavorano in questa insolita officina all'interno del carcere della Dozza in qualche modo hanno ritrovato un luogo di libertà e un tempo di vita. I giorni della settimana hanno un senso e una cadenza dettata dai turni di lavoro. I gesti e le parole evadono per costruire un mestiere e relazioni umane. Né detenuti, né uomini liberi, solo operai uniti nel lavoro". Il cineasta quindi prosegue: "Ho immaginato Meno male è lunedì come una "commedia brillante" dietro le sbarre. Otto giorni, da lunedì a lunedì, per costruire un grande manufatto, una Spider dalla calotta arancione, ingranaggio fondamentale di un sistema avanzato di confezionamento della merce. I dialoghi e le confessioni dei protagonisti accompagnano la costruzione del manufatto, anzi sono "la storia del manufatto" e delle mani che l'hanno creato". India: vicenda dei marò "raccomandata all'attenzione" del segretario Onu Ban ki-moon Askanews, 19 marzo 2015 Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha di nuovo "raccomandato all'attenzione" del segretario generale delle Naizoni Unite Ban ki-moon, incontrato oggi alla Farnesina, "la questione dei due fucilieri di marina" Massimiliano Latorre e Salvatore Girone "che da oltre tre anni sono in India": lo ha detto lo steso titolare della Farnesina, durante la conferenza stampa congiunta con il leader dell'Onu, ricordando che "per ragioni di salute Latorre è in queste settimane in Italia". "Ho raccomandato di nuovo a Ban di prendere in considerazione la possibilità di intervenire sulla questione che per il nostro Paese è così rilevante", ha sottolineato il ministro. Pakistan: già 54 le impiccagioni dalla revoca della moratoria sulla pena di morte Ansa, 19 marzo 2015 Altri quattro condannati a morte sono saliti oggi sul patibolo in due prigioni del Pakistan, mentre una quinta impiccagione è stata sospesa all'ultimo momento per ordine del presidente della repubblica, Mamnoon Hussain. Altri quattro condannati a morte sono saliti oggi sul patibolo in due prigioni del Pakistan mentre una quinta impiccagione, riguardante una persona che forse al momento di un omicidio da lui commesso aveva meno di 14 anni, è stata sospesa all'ultimo momento per ordine del presidente della repubblica, Mamnoon Hussain. Lo riferisce DawnNews Tv. Da quando nel dicembre scorso il governo del premier Nawaz Sharif ha deciso di revocare la moratoria sulle esecuzioni delle condanne a morta introdotta nel 2008, già 54 detenuti sono stati impiccati. Le esecuzioni odierne sono avvenute nelle carceri di Rawalpindi e Mianwali. Una quinta impiccagione prevista per oggi di Shafqat Hussain, condannato a morte per avere ucciso nel 2004 un bambino di sette anni, è stata sospesa dal presidente Hussain al fine di procedere ad un supplemento di indagine sull'età che aveva quando fu commesso il delitto, e sulla possibilità che la polizia gli abbia estorto la confessione con torture. Stati Uniti: pena di morte; in Missouri esecuzione di 74enne con grave lesione al cervello Adnkronos, 19 marzo 2015 È avvenuta la notte scorsa in Missouri l'esecuzione di un uomo di 74 anni che aveva una grave lesione cerebrale. Cecil Clayton, condannato a morte quasi 20 anni fa per l'omicidio di un vice sceriffo, era il detenuto più anziano del braccio della morte di Bonne Terre ed stato dichiarato morto alle 9.21 di sera ora locale, otto minuti dopo che gli era stata somministrata l'iniezione letale. L'esecuzione era inizialmente fissata per le sei del pomeriggio, ma è stata ritardata di oltre tre ore dopo che gli avvocati di Clayton hanno presentato un appello in extremis alla Corte Suprema degli Stati Uniti, che non è stato accolto. Come non è stata accolta la richiesta di grazia presentata al governatore Jay Nixon, un democratico. "Il mondo non sarà più sicuro dopo l'esecuzione del signor Clayton", ha dichiarato Elizabeth Unger Carlyle, uno degli avvocati che si sono battuti fino all'ultimo sostenendo che il condannato, che aveva riportato un danno permanente al cervello a seguito di un incidente in una segheria avvenuto nel 1972, non era in grado di comprendere né il crimine né la punizione inflitta. Per Carlyle l'esecuzione di Clayton è quindi una violazione delle leggi federali e statali "è della dignità umana di base". Negli appelli presentati nel tentativo di fermare l'esecuzione, i legali di Clayton hanno presentato la perizia di tre diversi esperti che definivano il condannato "legalmente incapace" con un quoziente intellettivo che lo classificava come intellettualmente disabile. Ma la Corte Suprema dello Stato ha contestato questa classificazione e non ha concesso un'udienza per valutare la capacità mentale del condannato. "Non era in grado di capire quello che veramente succedeva, rispondere o persino comprenderlo in modo razionale, non era la persona che doveva essere messa a morte", ha concluso l'avvocato Carlyle, spiegando, anche con l'uso di radiografie, che "aveva un buco sul lobo frontale, quello che controlla gli impulsi e il ragionamento". Indonesia: pena di morte; frenata su esecuzione detenuto stranieri "mesi per i ricorsi" Agi, 19 marzo 2015 È improbabile che l'Indonesia dia seguito a breve alle condanne a morte di 10 cittadini stranieri, almeno non nelle prossime settimane o addirittura nei prossimi mesi: lo ha precisato il vicepresidente, Jusuf Kalla. "Le decisioni dei tribunali sui ricorsi potrebbero arrivare tra settimane o mesi", ha spiegato dopo che il ministro degli Esteri australiano, Julie Bishop, aveva minacciato un boicottaggio turistico e il richiamo dell'ambasciatore nel caso venissero giustiziati due trafficanti di droga australiani attualmente nel braccio della morte. Qualche giorno fa un portavoce della procura generale aveva affermato che le esecuzioni sarebbero state eseguite contestualmente "quando ogni cosa verrà chiarita, tra marzo e aprile". Tra i cittadini stranieri rinchiusi nel carcere di Nusakambangan a Giacarta, ci sono due australiani, un francese e cittadini ghanesi, nigeriani e filippini.