Uno squarcio nelle tenebre di Carmelo Musumeci www.carmelomusumeci.com, 18 marzo 2015 "Credo che tutti, o quasi, hanno paura della morte. Colui che però non ne ha, o ne ha meno, è l'uomo ombra, perché la pena dell'ergastolo ostativo non solo ti fa male, ma ti annienta. E lo fa lentamente. Un po' tutti i giorni. E un po' tutte le notti. Fino alla fine dei tuoi giorni e delle tue notti, perché l'ergastolano passa il tempo in attesa di crepare". (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com). La pena dell'ergastolo avvelena lentamente e inesorabilmente la tua esistenza, facendo attenzione però a non ucciderti. Ma se tenti di resistere è peggio per te, perché poi rischi di diventare matto. Questa terribile condanna ti porta via i sogni ma incredibilmente ti lascia la vita. Probabilmente per farti soffrire di più, perché aspettare un giorno che non arriverà mai conduce alla follia. Gli ergastolani vivono in una realtà tutta diversa dagli altri detenuti perché un uomo ombra deve scegliere tra la rassegnazione e la speranza. Io ho continuamente cercato di resistere fra l'una e l'altra, ma il mio cuore ha sempre preferito l'assurdità della speranza. Ed io in tutti questi anni gli ho sempre ricordato che gli ergastolani ostativi ai benefici hanno molte meno possibilità di finire la loro esistenza vicino ai loro cari di quante ne avevano gli internati nei campi di concentramento. Almeno loro avevano la speranza che con la sconfitta della Germania i vincitori li liberassero. Noi invece non abbiamo nessuna speranza, perché nessuno verrà mai a liberare noi. E la cosa più disumana è che non ci ammazzano, ma ci tengono in vita nonostante per un ergastolano ostativo ad ogni beneficio penitenziario non rimanga altro che prepararsi a morire in carcere. Da pochi giorni invece ho ricevuto la più bella notizia che un ergastolano ostativo possa aspettarsi. Dopo ventiquattro anni di carcere, il Tribunale di Sorveglianza mi ha concesso la cosidetta collaborazione impossibile o irrilevante, perché anche se collaborassi con la giustizia i reati sarebbero prescritti, mentre sono già tutti accertati quelli più gravi. E questo significa che mentre prima non avevo diritto a nessuno beneficio penitenziario adesso invece ne potrei avere, senza mettere nella mia cella un altro al posto mio. È un po' la fine della guerra, ancora non c'è la pace, ma mi sento un soldato stanco di essere belligerante e con la speranza un giorno di poter morire da uomo libero. Ho passato la prima notte da ergastolano non ostativo senza chiudere occhio. E ho iniziato a ragionare con me stesso su come cercare di realizzare gli ultimi sogni che mi sono rimasti. Ho pensato che adesso mi aspetta la battaglia più difficile della mia vita, perché devo di nuovo imparare a sperare, a vivere e a sognare. Sto cercando di affrontare i primi giorni da ergastolano resuscitato non pensando più che la mia unica via di fuga e di salvezza dall'Assassino dei Sogni (il carcere, come lo chiamo io) sia solo la morte. Dopo ventiquattro anni di carcere mi è arrivato il primo permesso premio: "(…) concede a Musumeci Carmelo, sopra generalizzato, il permesso di recarsi a Padova presso la Casa di Accoglienza "Piccoli Passi" sita in via Po n. 261, accompagnato da un operatore volontario della struttura. Il detenuto uscirà dalla Casa di Reclusione di Padova alle ore 9.00 del 14 marzo 2015 e vi farà rientro alle ore 18.00 dello stesso giorno". Con il trascorrere degli anni la mia speranza si era assottigliata, avevo imparato a fare il morto perché non mi aspettavo proprio più nulla dagli esseri umani, ora devo anche rimparare a credere, ad avere fiducia: non sarà facile, ma non sono mai stato così felice di avere paura. A Terni c'è un pezzo d'Italia che non odia Il Garantista, 18 marzo 2015 "Adesso dite, quanto odio razziale c'è nei vostri cuori?". Nel silenzio composto di Terni, listata a lutto per dire addio a David, le parole di Diego Raggi sono come pietre. Pietre contro l'intolleranza, contro l'odio prevedibile e meticoloso che ogni volta le orde dei Salvini scatenano sulla pelle dei morti, dei drammi, dell'incomprensibile umano mutato in volgare sete di sangue, vendetta, urla scomposte. Il duomo della cittadina è gremito, le serrande sono basse. E invece del rancore, dei borbottii, dei volti ringhiosi, ci sono le loro facce. Le facce degli abitanti di Terni, intristite dalla morte, ma non consumate dall'odio. E ci sono i fiori. I fiori che papà Raggi e suo figlio donano agli altri immigrati di Terni, anche loro con le lacrime agli occhi. Avevano sfidato le logiche prevedibili dell'odio, della catena di silenzi opprimenti e piccole vendette che scatena la morte. E così gli altri immigrati di Terni, erano subito accorsi dalla famiglia di David nei giorni scorsi, per dare un po' di conforto, per dire loro che sono umani e soffrono anche loro, anche se la loro pelle ha un altro colore. Forse è per questo che c'erano tantissime persone ad affollare il duomo e il suo sagrato all'esterno, a salutare il feretro del ragazzo con un lunghissimo applauso. Forse la famiglia Raggi ha saputo sciogliere il timore della rissa, la tentazione del rancore, in un doloroso abbraccio. David, ucciso giovedì scorso da Aassoul Amine, un 29enne marocchino ubriaco che lo ha colpito con un pezzo di vetro, poteva diventare in altre mani, nelle solite mani, un santino di chi vuole prendere a calci nel grugno lo straniero. E invece il lutto cittadino proclamato dal sindaco Leopoldo Di Girolamo è stato un lutto vero e sentito. Molti negozi sono rimasti chiusi e hanno appeso alle loro serrande messaggi di solidarietà alla famiglia Raggi. Anche le Rsu di Ast hanno chiesto di far suonare tutte le sirene dei carroponte alle 15 in segno di solidarietà. "David era un giovane generoso, amante della vita, che con la sua testimonianza, insieme a tanti giovani, contribuiva a purificare l'aria della nostra città dai virus che favoriscono violenza, insicurezza, intolleranza, razzismo", dice il vescovo di Terni, padre Giuseppe Piemontese, nel corso dell'omelia. "Grazie alla famiglia Raggi per la testimonianza di compostezza civile e l' esempio di fede e di cristiana accettazione della volontà di Dio", ha aggiunto, sottolineando come "fin dal momento della morte di David tutti noi abbiamo manifestato con gesti e con parole non solo il dolore, l'affetto e la vicinanza alla famiglia Raggi, ma anche indignazione, rabbia, commenti, proteste, accuse, auspici, nei confronti di chi, direttamente o indirettamente, c' entra con questa sciagura". A poche ore dai funerali il presidente della Camera Laura Boldrini ha telefonato al padre Valter "per fargli sentire la vicinanza mia e delle istituzioni in questo momento di indicibile dolore". Boldrini lo ha scritto sul suo profilo Facebook precisando che "ho voluto ringraziarlo per la lezione di civiltà che ha dato a tutti noi nel commentare le tante reazioni a sfondo razzista divulgate sul web". Ma è nelle parole di Valter Raggi, papà di David, che sta il cuore di tenebra della vicenda. "So che la rabbia sta montando su Facebook, girano parole di fuoco - ha detto Valter Raggi. Io dico invece che adesso non dobbiamo chiuderci nell' odio, ma piuttosto tornare fuori e imparare a stare bene insieme agli altri. Noi non vogliamo vendetta, ma giustizia". Parole importanti, esemplari in un'Italia sempre più attraversata da odio razziale e qualunquismo in salsa fascio- leghista. La morte per una volta unisce tutti. E fa pensare che un'Italia accogliente, fraterna, umana, forse esiste ancora. Giustizia: "Oltre i tre metri quadri", Antigone presenta i numeri del disastro di Luca Fazio Il Manifesto, 18 marzo 2015 Carcere. L'associazione Antigone ha presentato l'undicesimo rapporto nazionale sulle condizioni della detenzione in Italia. Si tratta di un documento ricco di dati e spunti redatto dalla fonte di informazione indipendente più completa sul sistema penitenziario italiano. Uno sguardo attento su chi è dentro restituisce sempre l'immagine più nitida su ciò che sta succedendo qui fuori. Ecco perché l'undicesimo rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione di Antigone è uno strumento di analisi molto utile anche per i non addetti ai lavori. I detenuti nelle carceri italiane sono 53.982. Nel dicembre del 2013 erano 62.536, dunque la popolazione carceraria è diminuita di 8.554 unità in un anno e tre mesi. Un calo analogo si è verificato nelle carceri europee (complessivamente ci sono 1 milione 737 mila detenuti, 100 mila meno rispetto all'anno precedente). Il dato italiano, se confrontato con il 2011, dice che in tre anni i detenuti sono diminuiti di 12.915 unità. Ma non basta: secondo il Dap i posti letto sono 49.943, dunque il tasso di sovraffollamento è pari al 108% (108 persone ogni 100 posti letto). Oggi si entra meno in carcere: nel 2008, ministro degli Interni Maroni, ci sono stati 92.800 ingressi, l'anno scorso 50.217 (in sei anni una diminuzione di 42.683 unità). Il calo è dovuto alla modifica della legislazione sugli stranieri (non c'è più la norma che prevedeva il carcere per il mancato rispetto dell'obbligo di espulsione) e alle nuove norme in materia di arresto che tendono ad evitare detenzioni brevi e custodia cautelare. Ma la "notizia", da tenere a mente quando il discorso fa leva sulla paura, è un'altra: calano i detenuti ma calano anche i reati, quindi non c'è legame tra i tassi di detenzione e quelli di delittuosità. In carcere ci sono persone non criminali che una volta libere non commettono altri reati. Nel 2014, con meno carcerati, l'indice di delittuosità calcolato sul numero di abitanti è calato del 14% (gli omicidi sono diminuiti dell'11,7%, le rapine del 13% e i furti dell'1,5%). L'Italia ancora una volta si conferma come uno dei paesi più sicuri al mondo con 0,9 omicidi ogni 100 abitanti, al di sotto della media europea, con un indice più basso anche di paesi come Norvegia e Finlandia (a livello mondiale è al 157esimo posto, gli Usa con 4,7 omicidi sono al 94esimo). Altri numeri inducono a una riflessione sulla legalizzazione delle droghe leggere (cannabis), come ha suggerito al parlamento anche la Direzione nazionale antimafia evidenziando "l'oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo". I reati in violazione della legge sulle droghe nel 2014 sono stati 18.946 ovvero il 15% del totale (erano 10 mila in più nel 2010 ai tempi della legge Fini-Giovanardi). A fronte di questo calo c'è stato invece un aumento di detenuti accusati di criminalità organizzata (6.903 a fronte dei 5.227 del 2008). Inoltre, con la legalizzazione della cannabis in Italia, come è avvenuto negli stati del Colorado e di Washington, lo stato risparmierebbe 100 milioni di euro (tra introiti delle tasse e riduzione dei costi per la repressione). Ci sarebbero almeno 10 mila detenuti in meno, e un calo di reati legati al consumo. Il capitolo più interessante sulla composizione sociale della popolazione detenuta parla degli stranieri, dunque anche degli italiani. La percentuale di stranieri nelle nostre carceri è del 32% sul totale (17.462 persone), quasi uno su tre: 11 punti in più rispetto alla media europea. Ma a livello europeo, su 370 mila stranieri detenuti, uno su tre è di origine comunitaria: dunque gli extracomunitari sono 250 mila, il 14% del totale. Sono numeri che spiegano l'infondatezza della propaganda razzista che sta dilagando in tutta Europa. Tornando a noi, "l'etnicizzazione del diritto penale" comincia nel 1998 con l'entrata in vigore di Schengen e la lunga teoria di "pacchetti sicurezza" che da quel momento hanno contraddistinto le politiche migratorie di tutti i governi. Rispetto al 2008 la percentuale di stranieri detenuti è calata del 5%, ma è probabile che nuove campagne xenofobe possano invertire la tendenza. Un'altra "patologia" del sistema penitenziario è il suicidio: 9 persone si sono tolte la vita dall'inizio del 2015, 44 nel 2014. Una media di 7,7 decessi ogni 10 mila detenuti quando in Europa è del 5,45, anche se molto inferiore alle percentuali di suicidi in Francia (14,4), Svezia e Norvegia (10) o Germania (8,2). Sempre nel 2014, 933 persone hanno tentato di uccidersi e 6.919 si sono ferite con atti di autolesionismo. Ricco di informazioni anche il capitolo sulla salute. Un dato su tutti: un detenuto su due ha una malattia infettiva, uno su tre è affetto da un disturbo di natura psichiatrica. Infine, far di conto aiuta per capire quanto i soldi siano spesi male. Il sistema penitenziario italiano è piuttosto "caro". Il costo medio giornaliero per detenuto è di circa 150 euro e la spesa per il personale è pari all'82,9% del totale. Due record europei. Su altre voci, scrive Antigone, si tira la cinghia, "e questo forse aiuta a capire la ragione dell'attuale disastro". Giustizia: meno detenuti rispetto a un anno fa, ma le celle sono ancora strapiene di Maurizio Gallo Il Tempo, 18 marzo 2015 Calano gli stranieri, però il rapporto è di cento persone ogni 118 posti. Gli agenti penitenziari: 933 tentati suicidi nel 2014. I jihadisti sono 14. I detenuti diminuiscono, specialmente quelli stranieri. Ma le carceri italiane restano sovraffollate. "Occorre dunque insistere sul terreno delle riforme per arrivare a una situazione normale, ovvero di un detenuto per un posto letto", fa notare l'ultimo rapporto dell'Associazione "Antigone", presentato ieri e intitolato "Oltre i tre metri quadri". Al 28 febbraio 2015 in cella c'erano 53.982 persone, rispetto alle 62.536 del 31 dicembre 2013. Oggi, dunque, sono 8.554 in meno rispetto alla fine di due anni fa. Ma, secondo il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, i posti regolamentari in tutti i penitenziari della Penisola sono 49.943. Di conseguenza, il tasso di affollamento si aggira intorno al 100,8%, ovvero 108 detenuti ogni cento posti-letto. Non solo. "Per stessa ammissione del Dap - si legge nel report - il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie (reparti chiusi per lavori di manutenzione), che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato. Gli scostamenti temporanei da noi accertati sono quantificabili intorno alle 4.200 unità. Se così fosse, il tasso di affollamento salirebbe al 118%. Occorre dunque insistere - spiegano ad Antigone - sul terreno delle riforme per arrivare a una situazione normale, ovvero di un detenuto per un posto letto". Il calo, si legge sul documento, "è dovuto al cambio della legislazione sugli stranieri (in particolare alla decisione della Corte di Giustizia Ue di imporre la disapplicazione della norma che prevedeva il delitto di inottemperanza all'obbligo di espulsione del questore) e alle nuove norme in materia di arresto (tendenti a evitare il peso delle detenzioni brevi in fase pre-cautelare) e custodia cautelare (limiti all'uso nei casi di reati di minore allarme sociale)". Ma i "galeotti" non italiani restano tanti. Attualmente, la percentuale di stranieri è del 32%, cioè 11 punti in più del dato europeo. Per l'Associazione, comunque, "non sono giustificati gli eccessivi allarmismi e le conseguenti spinte xenofobe presenti in molti Paesi Ue". Antigone censura, poi, un luogo comune, precisando che "il calo della popolazione carceraria non ha inciso sulla criminalità esterna smentendo così il dato che vuole un nesso tra "più criminali in carcere e meno delitti fuori"". Per il sindacato Sappe, tuttavia, il rapporto "omette le condizioni lavorative dei poliziotti penitenziari". Ogni giorno - spiega il segretario Donato Capece - nelle carceri, i poliziotti penitenziari delle sezioni detentive hanno a che fare con almeno 18 atti di autolesionismo da parte dei detenuti, 3 tentati suicidi sventati dagli agenti, 10 colluttazioni e 3 ferimenti". Nel 2014, fanno sapere sempre al Sappe, 6.919 detenuti sono stati coinvolti in atti di autolesionismo, 933 hanno tentato il suicidio e sono stati salvati dai poliziotti penitenziari, 966 sono rimasti feriti e ci sono state 3.575 colluttazioni. "Tutti episodi in aumento da quando c'è la vigilanza dinamica", ricorda Capece. Infine, una curiosità: i carcerati sottoposti al duro regime del 41 bis sono 725 e, secondo l'amministrazione penitenziaria, 14 sono accusati o condannati per terrorismo internazionale jihadista. Giustizia: occorre depenalizzare cannabis e immigrazione di Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone) Il Manifesto, 18 marzo 2015 In carcere c'è più spazio grazie alle riforme seguite alla sentenza di condanna della Corte Europea risalente a due anni fa nel caso Torreggiani. C'è stato un calo significativo della popolazione detenuta e sono state date direttive per rendere più normali e dunque meno vessatorie e umilianti le condizioni di vita interna. Non è facile capire cosa accadrà nell'immediato futuro. Tutte le strade sono ancora percorribili. Quella che noi auspicheremmo è quella della depenalizzazione, della decarcerizzazione e dell'umanizzazione. Due esempi per tutti. È necessario che in materia di droghe si segua il nuovo modello statunitense e si opti decisamente per la legalizzazione della cannabis e la decriminalizzazione della vita dei consumatori. Il quadro internazionale non è ostile. Gli investigatori nostrani lo auspicano. Sarebbe una scelta di efficienza e libertà. Invece noi siamo ancora a tartagliare in chiave resistenziale di fronte alle fronde punitive capeggiate da Gasparri e Giovanardi. Un secondo esempio è dato dalle norme in materia di immigrazione. Anche qui avremmo bisogno di un radicale cambio di paradigma nelle scelte legislative al fine di rendere agevole l'acquisizione e la conservazione del titolo di soggiorno nel nostro Paese sulla sola base del riconoscimento del percorso di vita del singolo individuo. L'ingresso o la permanenza irregolari non costituiscono oggi più reato ma centinaia di migliaia di persone vivono in circuiti forzosamente illegali dove è facile che si opti per la via breve del reato. Le due questioni - droghe e immigrazione - sono fra loro connesse in modo profondo. Se agissimo contemporaneamente in chiave anti-proibizionista su entrambi i fronti ne beneficerebbe il nostro sistema della giustizia finalmente libero nel potersi concentrare sui reali bisogni di sicurezza del Paese. Ovviamente all'orizzonte è sempre forte il rischio che invece si torni a perseguire la strada del securitarismo e dell'emergenzialismo penale, strada che inevitabilmente porterebbe a riempire nuovamente le patrie galere. Anche in questo propongo due esempi. In primo luogo quando si annunciano norme più severe e pene più alte per i furti in appartamento solo perché statisticamente in crescita, pur riconoscendo che tutti gli altri delitti decrescono, si commette un grave errore concettuale. Il diritto penale deve essere sempre quello, non deve cambiare a ogni rilevazione Istat. Altrimenti se diminuiscono gli stupri dovremmo poi ridurre le pene relative. In secondo luogo non è convincente la discussione intorno all'aumento dei tempi di prescrizione a partire dalle note vicende di corruzione, anche in questo caso sull'onda dell'emergenza (qui è ridicolo parlare di emergenza visto quanto accaduto negli ultimi quarant'anni). La prevenzione della corruzione non avviene allungando i tempi di prescrizione anche per tutti gli altri reati, oltre che per quelli di concussione e corruzione. Così si arriva a sostenere che sia normale essere condannati a vent'anni dal fatto commesso, anche se si tratta di un reato in violazione della legge sulle droghe o di un furto. È indecente passare un quarto della propria vita in attesa di una sentenza di condanna. C'è chi invece in Italia non rischia mai alcuna condanna. Si tratta della figura criminale del torturatore. In Italia manca il delitto di tortura nel codice penale nonostante gli obblighi internazionali assunti. Nei prossimi giorni riparte il dibattito in Aula alla Camera. Speriamo che non si perda o prenda ancora tempo. Giustizia: ministro Orlando; superata l'emergenza ora ripensiamo l'esecuzione della pena Adnkronos, 18 marzo 2015 "Il sistema penitenziario è stato negli ultimi due anni al centro dell'azione del legislatore. Il governo e il Parlamento sono riusciti a superare la fase dell'emergenza causata dalla condanna della Cedu. È giunto il tempo, superata l'emergenza, di ripensare l'intero sistema dell'esecuzione penale". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, nel suo intervento alla Giornata mondiale del servizio sociale, che si è svolta al Senato, a palazzo Giustiniani a Roma. "Bisogna togliere al carcere la centralità che ha assunto in tutti i sistemi punitivi. Non solo per spirito umanitario, ma perché la sanzione penale si giustifica se produce deterrenza e se la sua esecuzione non produce recrudescenza - ha sottolineato Orlando. Perché incidere su un sommo bene, quale è la libertà, deve rappresentare, proprio per la natura del bene, una misura d'eccezione, giustificabile laddove non vi siano altre sanzioni in grado di produrre deterrenza. Dopo anni in cui il tema della sicurezza è stato al centro della azione di propaganda di molte forze politiche, a volte anche di governi, bisogna fare un bilancio. Il nostro sistema dell'esecuzione della pena è tra i più costosi d'Europa - ha ricordato il ministro - quasi tre miliardi, e tra i più inefficienti, con un tasso di recidiva tra i più alti. Si è propagandata sicurezza e si è alimentato il crimine". Orlando ha infine evidenziato il ruolo fondamentale degli assistenti sociali "centrale nel sistema giustizia", soprattutto "per l'esecuzione della pena, sia per i minori che per gli adulti" Giustizia: chiusura Opg; rischio di commissariamento per le Regioni Veneto e Piemonte di Eleonora Martini Il Manifesto, 18 marzo 2015 Il sottosegretario alla salute De Filippo annuncia provvedimenti per Zaia e Chiamparino. Scaduto il termine per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, quasi tutte le altre regioni stanno attuando il programma. Inaspettatamente c'è qualcosa che accomuna il Veneto del leghista Luca Zaia e il Piemonte del democratico Sergio Chiamparino: sono le uniche due regioni che rispetto alla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari non hanno mostrato grande interesse e impegno. I compiti a casa - presentati domenica scorsa, 15 marzo, termine ultimo per le regioni per presentare i piani di attuazione della riforma per il superamento degli Opg e per trasmettere l'elenco delle Rems (Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza sanitaria) - sono stati completamente insufficienti. E per questo "rischiano il commissariamento", spiega il sottosegretario alla Salute Vito De Filippo (Pd) che presiede l'Organismo di coordinamento che "con 12 riunioni bisettimanali" ha messo a punto il percorso e che continuerà a seguire tutto l'iter di dismissione dei vecchi manicomi criminali. L'Italia è pronta a chiudere definitivamente quella che il Guardasigilli Orlando ha definito "una pagina triste"? "Secondo la mappa che abbiamo dovuto trasmettere al Ministero di Giustizia, gran parte delle Regioni saranno pronte dal 1° aprile: Valle d'Aosta, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Basilicata, Sicilia e Sardegna, e la Provincia Autonoma di Bolzano. Poi c'è il caso di Abruzzo e Molise dove la struttura congiuntamente individuata sarebbe pronta ma il comune ospitante ha impugnato la delibera e si è in attesa del pronunciamento del Tar che potrebbe arrivare entro la fine del mese. I casi molto a rischio sono due: il Veneto e in parte il Piemonte. Le altre regioni e la Provincia di Trento hanno individuato soluzioni transitorie che hanno bisogno però di tempi di attivazione più lunghi e dunque saranno pronte entro l'autunno. Solo in due o tre casi, poi, si è dovuto far ricorso al privato accreditato, ma solo in forma transitoria. Insomma, mediamente mi sembra che il Paese abbia colto in maniera puntale non solo quanto prescritto dalla legge 81/2014 ma anche l'ampio dibattito che c'è stato riguardo al superamento di questi luoghi che si presentano come luoghi arresi". Perché "arresi"? "Li definisco così perché sono stati luoghi finalizzati solo all'espiazione delle pene. Oggi la legge stabilisce che nelle Rems i malati siano sottoposti a importanti attività riabilitative e terapeutiche e che debbano scontare la misura di sicurezza per un tempo che non può superare la pena edittale, come qualsiasi altro cittadino. Basta con gli "ergastoli bianchi", non ci può essere un sistema carcerario diverso per le persone con malattie psichiche". La legge prevede il commissariamento delle Regioni che non hanno rispetto i tempi. Procederete in questo senso, almeno con le due regioni che non hanno approntato alcun piano? "Avendo deciso che non ci sarà alcuna proroga, possiamo tollerare qualche settimana di ritardo ma il governo indubbiamente utilizzerà lo strumento del commissariamento nel caso si protraesse il fermo totale". Come avverrà il trasferimento dei circa 450 internati che dovrebbero rimanere negli Opg alla fine di marzo? "Con molto tatto, non sarà certo un trasferimento di massa. Stiamo parlando di persone mosse da angosce, paure e inquietudini, dunque da manovrare con molta delicatezza. Dal 1° aprile comincerà questo processo con un cronoprogramma costruito con la magistratura, i Dipartimenti di salute mentale e i servizi sociali. Sanzioneremo le regioni che non cominceranno". Il superamento degli Opg passa però soprattutto per un nuovo protagonismo dei Dsm ma anche delle comunità territoriali. C'è stata una riorganizzazione, un potenziamento dei Dsm? E come sta reagendo il territorio che dovrà reincludere i malati dimissibili? "Devo dire che le regioni hanno già risposto con sollecitudine alla prima scadenza che era quella di valutare quanti internati fossero dimissibili, e predisporre per loro un piano terapeutico e riabilitativo. Mi sembra, per quello che stiamo monitorando, che il ritorno di queste persone nelle regioni e nei territori sarà un ritorno consapevole e ben organizzato. Ma nel provvedimento sugli Opg abbiamo messo ulteriori risorse finanziarie per consentire a questi servizi di essere adeguati ai bisogni nuovi. Ora si tratta di andare avanti e chiudere finalmente, entro il 2015, una pagina imbarazzante per l'Italia". Coletto (Veneto): non inadempiente su Opg, ma contrari a lager insicuri "Il Veneto è serio, non inadempiente. Noi i malati di mente giudicati pericolosi non li metteremo in dei lager improvvisati e insicuri, per rispetto della loro dignità e per la tranquillità sociale dei territori. Non si dimentichi che stiamo parlando di Rems, Residenze per l'Esecuzione della Misura di Sicurezza Sanitaria, provvisorie. Se il Governo vuole soluzioni tipo quelle di alcuni residui manicomiali tristemente assurti agli onori della cronaca anche recentemente, faccia pure. Se ne assumerà tutte le responsabilità". L'Assessore regionale alla Sanità del Veneto Luca Coletto commenta la notizia secondo la quale il Veneto sarebbe l'unica Regione italiana a non aver ancora individuato una soluzione provvisoria alla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg) prevista per fine mese. "Il Veneto aggiunge Coletto "ha già individuato la sede e il progetto per la realizzazione di una nuova struttura definitiva con tutte le caratteristiche necessarie di sicurezza e di umanità, e questo il Governo lo deve sapere bene. È anche bene si sappia "aggiunge l'Assessore" che la specifica legge è del 2012, che il Governo ha lasciato dormire la questione per tre anni, e che solo qualche giorno fa i fondi necessari sono stati effettivamente resi disponibili. Ciò significa che, anche partendo oggi con le procedure, occorreranno tra due e quattro anni per vedere l'opera realizzata". "Nel frattempo" dice l'Assessore "soluzioni raffazzonate costituirebbero solo un'offesa a malati e ai territori. Strutture anche solo lontanamente rispondenti a caratteristiche pur minimali di sicurezza, accoglienza e umanità da usare provvisoriamente in Veneto non ce ne sono. Il Veneto" conclude Coletto " non è inadempiente, è semplicemente contrario alle cose improvvisate e quindi ad alto rischio di essere fatte male". Saitta (Piemonte): gravi ritardi su tempi chiusura Opg "Il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari è un dovere per le istituzioni, oltre ad essere un obbligo di legge rappresenta una questione di civiltà che non va più rinviata". Lo sostengono in un'interrogazione urgente all'assessore alla Sanità della Regione Piemonte, Antonio Saitta, i Consiglieri regionali del Pd Enrica Baricco, Valentina Caputo e Domenico Rossi. La risposta dell'assessore Saitta conferma il grave ritardo del Piemonte, e dell'Italia tutta, sulla chiusura delle strutture psichiatriche giudiziarie a pochi giorni della scadenza scandita dalla legge del 2014. "Il ritardo delle istituzioni rende meno civile e umano il nostro Paese - dichiarano i presentatori dell'interrogazione, bisogna dare attuazione a una legge che individuava entro fine marzo il termine per il superamento degli Opg. Non si può - sottolineano - interrompere quel lungo processo democratico sulla psichiatria partito dalla Riforma Basaglia. Apprezziamo la risposta dell'assessore - proseguono - in quanto ha illustrato la volontà della Regione Piemonte di procedere con soluzioni concrete attraverso l'individuazione di strutture alternative in i tempi certi, ipotizzati per le necessarie ristrutturazioni in 3 mesi". "Chiediamo all'Assessore - concludono i consiglieri del Pd - di convocare presto la Commissione tecnica affinché si ci possa confrontare sulle soluzioni. Il Piemonte non può più attendere, nelle prossime settimane torneremo sul tema per verificare che i tempi annunciati vengano rispettati". Giustizia: Sabelli (Presidente Anm) "dallo Stato schiaffi ai pm e carezze ai corrotti" Corriere della Sera, 18 marzo 2015 Il presidente dell'Associazione, all'indomani dell'inchiesta di Firenze sulle tangenti sulle grandi opere: "È il contrario di ciò che deve accadere". Renzi: "Frasi false e tristi". "Uno Stato che funzioni dovrebbe prendere a schiaffi i corrotti e accarezzare chi esercita il controllo di legalità". Ma in Italia è accaduto il contrario: "i magistrati sono stati virtualmente schiaffeggiati e i corrotti accarezzati". Così il presidente dell'Anm, Rodolfo Sabelli, ha commentato martedì in tv, a Uno Mattina, l'inchiesta di Firenze sulle tangenti sulle grandi opere. "Frasi false e tristi", ha commentato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, intervenendo all'inaugurazione dell'anno accademico della Scuola Superiore di Polizia. "Sostenere che lo Stato dà gli schiaffi ai magistrati e le carezze ai corrotti è una frase falsa che fa male. Quando si parla delle istituzioni lo Stato non dà gli schiaffi ai magistrati, sostenere questo avendo responsabilità istituzionali è triste". "Questo governo intende combattere perché ci sia uno Stato di pulizia, non uno Stato di polizia", ha poi scherzato, citando il ruolo dell'autorità Anticorruzione per eliminare "la sporcizia e intervenire a far pulito". L'autorità anticorruzione "l'abbiamo messa in campo perché casa per casa, appalto per appalto, si possa far pulito". E ha aggiunto: "Arrivare a prescrivere la corruzione è inaccettabile, e per questo stiamo intervenendo". E "le pene sulla corruzione devono essere aumentate". Il numero uno dell'Anm è critico, in particolare, sulla serie di interventi legislativi che avrebbero favorito i corrotti, a cominciare da Tangentopoli, poi nel 2002 con "la depenalizzazione del falso in bilancio" e ancora nel dicembre 2005 con la "riduzione della prescrizione". Quindi Sabelli ha spiegato che contro la corruzione possono funzionare solo lo sviluppo di una cultura della legalità, la prevenzione e la repressione. "Non si può rinunciare a nessuno di questi tre momenti", ha sottolineato, riferendosi indirettamente all'inchiesta di Firenze sulle tangenti sulle grandi opere. "In vent'anni abbiamo assistito ad una serie di interventi legislativi che non sono andati nella direzione che ci si sarebbe attesi", dice Sabelli. In questo quadro lo Stato "deve darsi da fare". Occorre che "le istituzioni arrivino prima" e che "lavorino insieme alla magistratura per raggiungere lo stesso obiettivo". Secondo Sabelli "ci sono segnali di miglioramento ma bisogna fare ancora un po' di strada. Poi ha chiesto a "chi ha responsabilità della cosa pubblica" di dare "il buon esempio" perché nel Paese possa "diffondersi la cultura della legalità". Ma quello della corruzione è un problema che non si risolve in breve tempo, ha tenuto a sottolineare il presidente dell'Autorità Anticorruzione, Raffaele Cantone, che a Radio Anch'io ha commentato: "L'Anac deve ancora compiere il suo primo anno di vita e se in un anno avessimo risolto il problema corruzione, saremmo stati Nembo Kid". Il numero uno dell'associazione delle toghe - pur osservando che osserva che le "critiche contro i magistrati hanno superato i livelli fisiologici", ha comunque un "giudizio moderatamente positivo e moderatamente critico" nei confronti dell'attuale panorama giustizia. Giudica, così, "positiva l'inversione di tendenza" sul falso in bilancio, anche se, secondo Sabelli, "prevedere una pena fino 5 anni per le società non quotate vuol dire non consentire le intercettazioni" alle stesse società che commettono questo tipo di reato. Quanto alla prescrizione è "positivo prevedere l'allungamento dei termini di prescrizione per il reato di corruzione", dice il presidente Anm ma "anche su questo punto si fa troppo poco. Bisognerebbe intervenire in termini più generali, ovvero rivedere completamente il sistema della prescrizione". "Oggi - ha detto - le istituzioni politiche stanno intervenendo, perché si sono rese conto che chi semina vento raccoglie solo tempesta". In materia di corruzione "un passo in avanti" è "l'introduzione di meccanismi premiali per coloro che collaborano" ma, dice, serve "fare di più in materia di indagini, cioè estendere alla corruzione quello che è già previsto in materia di mafia e criminalità organizzata". Giustizia: "Carezze ai corrotti", è lite Anm-premier di Dino Martirano Corriere della Sera, 18 marzo 2015 Il presidente delle toghe Sabelli contro il governo: noi presi a schiaffi, chi semina vento raccoglie tempesta. La replica di Renzi: parole false, triste che vengano da chi ha responsabilità istituzionali. Faremo pulizia. "Uno Stato che funzioni dovrebbe prendere a schiaffi i corrotti e accarezzare chi esercita il controllo di legalità". Ma in Italia è accaduto il contrario: perché "i magistrati sono stati virtualmente schiaffeggiati e i corrotti accarezzati. Chi semina vento raccoglie tempesta. Chi ha responsabilità della cosa pubblica deve dare il buon esempio per difendere la cultura della legalità". Un'autentica rasoiata lanciata dal presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli, sul volto del governo, impegnato in queste ore a diradare le nubi scatenate dall'ennesima inchiesta su malaffare nei ministeri, alla quale il presidente del Consiglio replica altrettanto duramente: "Dire che lo Stato dà carezze ai corrotti e schiaffi ai magistrati è un falso, una frase falsa. Sostenere questo avendo responsabilità istituzionali è triste". Il presidente del "sindacato" delle toghe, di solito prudentissimo e per questo attaccato dai colleghi più radicali, parla in tv a Uno Mattina. Dopo un paio di ore Renzi è all'inaugurazione dell'anno accademico della Scuola superiore di polizia dove il direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza, Alessandro Pansa, annuncia la creazione di nuclei anticorruzione nelle questure. Per il premier le priorità sono chiare: "Appalto per appalto si può fare pulizia. È inaccettabile che i reati arrivino alla prescrizione... Questo governo intende combattere perché non si formi uno Stato di polizia ma uno di pulizia. .per eliminare la sporcizia in questo Paese...". Ma la giornata - mentre in Parlamento fioccano le mozioni si sfiducia contro il ministro Lupi - è dominata dallo scontro tra Anm e governo. Molte telefonate (dal Csm del vice presidente Giovanni Legnini, dal gabinetto del ministro Andrea Orlando, dagli uffici del Quirinale) raggiungono i vertici dell'Anm. Ma a Sabelli arriva anche l'incoraggiamento della "base" che tante volte lo ha giudicato troppo tiepido. Quando parla di schiaffi, Sabelli si riferisce agli interventi legislativi che hanno spuntato le armi dei magistrati in materia di falso in bilancio e di prescrizione quando al governo c'era Silvio Berlusconi. Ma la ruggine con Renzi è recente: sono ferite fresche quella delle nuove regole sulle ferie dei magistrati e soprattutto quella della responsabilità civile. Il dialogo tra magistrati e governo è ai minimi termini con il paradosso che la corrente di Magistratura indipendente (guidata dal sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri) spinge l'Anm nell'angolo dello sciopero. Lo scontro si infiamma nei giorni in cui la maggioranza sta per chiudere due provvedimenti importanti: il ripristino del reato di pericolo per il falso in bilancio (oggi licenziato dalla commissione e domani ci sarà la discussione generale in aula al Senato) e l'allungamento dei termini di prescrizione all'esame della Camera. "Ecco, dice il senatore Andrea Marcucci (Pd), non ci sono carezze e pugni ma provvedimenti che servono al Paese". Per il sottosegretario Graziano Delrio, "le affermazioni dell'Anm sono inaccettabili, i fatti parlano". Ma una mano ai magistrati sembra tenderla il cardinal Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani: "Il popolo degli onesti deve assolutamente reagire senza deprimersi... anche protestando nei modi corretti contro questo "mal esempio" che sembra essere un regime". Giustizia: scontro tra i magistrati e Renzi… solita gara a chi è più puro di Astolfo Di Amato Il Garantista, 18 marzo 2015 Bruttissima la gara aperta dal presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati. La dichiarazione secondo cui "uno Stato che funzioni dovrebbe prendere a schiaffi i corrotti e accarezzare chi esercita il controllo di legalità", mentre in Italia è accaduto il contrario "i magistrati sono stati virtualmente schiaffeggiati e i corrotti accarezzati", ha aperto una gara a chi è più puro. Renzi ha replicato che il suo esecutivo combatte per "uno Stato di pulizia e non di polizia". a, poi, ha affrontato il merito dicendo che "un reato che arrivi a prescrizione" nega la dignità dello Stato "ed è inaccettabile prescrivere la corruzione: per questo stiamo intervenendo". Il terreno del confronto, quindi, non riguarda più l'efficienza del sistema e le cause del malaffare da combattere ed estirpare, ma si è spostato sull'esistenza in capo al governo di un adeguato tasso di giustizialismo, tale da resistere alla critiche del presidente dell'Associazione nazionale magistrati. L'impressione che ne viene è, innanzitutto, quella di una pochezza impressionate nella quale sono precipitati il dibattito pubblico e la cultura politica nel nostro paese. Gli oltre venti anni che ci separano dall'inizio di Tangentopoli hanno condotto ad una tale semplificazione nelle analisi e nella ricerca delle soluzioni che ormai gli unici concetti utilizzati sono quelli della sufficienza o no della risposta repressiva, la cui teorica adeguatezza è spinta sempre più avanti. In questo quadro, chiunque si dia carico anche solo di tentare di ragionare viene immediatamente accusato di carezzare i corrotti. La conseguenza è che il riformismo, che è necessario al nostro paese per poter ripartire, viene ad essere in ogni momento soffocato da un'ansia di manette, subdolamente capace di vellicare il populismo più becero. In questo quadro le frasi del Presidente dell'Associazione nazionale magistrati diventano una sorta di diffida al governo in ordine a quel timido programma di riforma che si sta cercando di portare avanti nel settore della giustizia. Ed è formulato in modo tale da poter costituire una parola d'ordine, su cui aggregare quel blocco sociale e politico che cerca disperatamente una via di uscita in questo momento di crisi. Ma le espressioni di Sabelli hanno un ulteriore significato implicito, che certifica la rivoluzione istituzionale orami verificatasi nei fatti. L'Associazione nazionale magistrati si propone, nel dibattito pubblico e politico, come soggetto istituzionale legittimato a contrapporsi agli altri soggetti istituzionali, quali la presidenza del Consiglio, con una propria legittimazione politica che finisce con l'avere un diretto raccordo con una visione populista delle dinamiche delle nostra società. Renzi, quale capo del Governo, è stato costretto a rispondere proprio per il peso politico delle dichiarazioni di Sabelli. Accade, così, che la sede delle riforme, e in genere del processo legislativo, non è più quello previsto dalla Costituzione, ma diventa la piazza nella quale alcuni magistrati sono scesi in capo, ormai da tempo, svolgendovi un ruolo guida. Spesso costituisco addirittura i carri armati, dietro cui si nascondono le truppe appiedate di alcuni gruppi politici. Ma la nostra Costituzione, la più bella del mondo, davvero vuole che sia questo il tessuto istituzionale su cui è organizzata la nostra società? Giustizia: più numerose sono le leggi, più lo Stato si corrompe di Carlo Nordio Il Messaggero, 18 marzo 2015 Le parole del presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, secondo il quale il governo ha schiaffeggiato i giudici e accarezzato i corrotti, sono ingiuste e dannose. Dannose, perché inaspriscono l'eterna polemica tra toghe e politica. E ingiuste, perché il governo non ha somministrato né schiaffi né carezze. Ha soltanto alzato la voce, e la voce si perderà nel vento. Lo schiaffo sarebbe rappresentato dalla nuova legge sulla responsabilità civile: un provvedimento che colpirà solo il nostro portafoglio, già ampiamente protetto da costose assicurazioni. Se l'Anm avesse voluto criticare seriamente il governo avrebbe potuto e dovuto farlo quando con un bizzarro decreto legge ha pensionato i 500 magistrati più importanti d'Italia, con la conseguenza di paralizzare gran parte dei processi e l'attività del Consiglio Superiore della Magistratura. Quello sì, più che uno schiaffo, è stato un calcio al fondoschiena. Le carezze (ai corrotti) non si vede invece in cosa consistano. Al contrario, il governo ha fatto quanto l'indignazione collettiva chiedeva: ha creato nuovi reati, inasprito le già pesanti sanzioni, incrementato gli strumenti investigativi, aumentato i tempi della prescrizione. Nessuno può sinceramente dubitare che sia animato dalle migliori intenzioni. Si tratta solo di vedere se queste misure siano risolutive, o almeno utili. E secondo noi non lo sono. Non lo sono perché ancora una volta confondono i "motivi" della corruzione con gli "strumenti" con i quali essa viene consumata, e si concentrano sui primi trascurando i secondi. I motivi sono tanti, ma prendiamone due ad esempio: l'avidità umana e i costi della politica. Per la prima si è pensato alla repressione penale: sei un amministratore infedele rapace? Ti aumento i reati e gli anni di galera. Per i secondi si è detto a suo tempo: finanziamo i partiti legalmente. Poi si è visto che le pene non son servite, e i partiti, una volta legalmente e copiosamente finanziati, hanno rubato ancora di più. E sarà sempre così finché si vorrà combattere la corruzione intervenendo sulle sue cause, perché esse sono molteplici, e soprattutto ineliminabili: è dai tempi di Lisia che leggiamo di processi contro i corrotti, in tutti i regimi e in tutte le latitudini, con pene esemplari che non hanno mai intimidito nessuno. Perché il criminale a tutto pensa, tranne alla possibilità di essere scoperto, preso e quindi punito. Soprattutto in un sistema sfasciato come il nostro, dove si entra in prigione prima del processo da presunti innocenti per uscirne subito dopo la condanna, da colpevoli conclamati. Se l'intimidazione dunque non può agire sui motivi della corruzione, occorre intervenire sugli "strumenti" che la rendono possibile. E questi strumenti sono le leggi esistenti: numerose, ingarbugliate, contraddittorie, incomprensibili. È maneggiando queste norme che il ministro, il sindaco o qualsiasi organismo pubblico può vessare il cittadino chiedendogli un compenso illecito. E senza nemmeno esporsi troppo. Rallentando l'iter amministrativo, sarà lo stesso imprenditore a capire che, prima o dopo, dovrà ungere le ruote, e da vittima diventerà istigatore, anche se sarà stato il sistema a costringerlo ad attivarsi in modo illegale. Con il fatale corollario che quando la corruzione assume proporzioni estese e infiltrazioni capillari, contagiando tutti i settori della vita civile, e germinando progressivamente dai settori più modesti dell'impiegato comunale a quelli più elevati dell'alta amministrazione, subisce una trasformazione genetica. Non perde il suo connotato criminoso, ma lo altera e lo decompone. Diventa, in definitiva, un fenomeno culturale. E quindi va affrontato con strategie di ampio respiro, essenzialmente educative, sempre ricordando il monito di Tacito: "Corruptissima republica, plurimae leges". Più lo Stato è corrotto, più le leggi sono numerose; e più aumentano, più lo Stato si corrompe. Bisogna dunque ridurre, e soprattutto semplificare, quelle esistenti: perché il corrotto, prima ancora che essere punito o intimidito, va disarmato. Giustizia: colpevoli da condannare, grandi opere da assolvere di Riccardo Chiari Il Manifesto, 18 marzo 2015 Affari e mazzette. Le 268 pagine dell'ordinanza del gip Angelo Antonio Pezzuti confermano ancora una volta il diffuso malaffare negli appalti pubblici. Ma per il Pd si deve andare avanti, dal sotto attraversamento Tav alla Cispadana. Oggi interrogatorio di garanzia per Incalza, il suo difensore chiederà di togliere l'inchiesta dalla procura di Firenze. Gli arrestati e gli indagati si difendono. I politici chiacchierati e/o intercettati smentiscono. I sindaci e i presidenti regionali - da Enrico Rossi a Stefano Bonaccini - condannano. Ma chiedono che le grandi opere, dal sotto-attraversamento fiorentino della Tav all'autostrada Cispadana, vadano avanti. Nonostante che le 268 pagine dell'ordinanza del gip Angelo Antonio Pezzuti documentino una situazione talmente patologica da lasciare interdetti anche i pasdaran delle cosiddette "grandi opere". Per tutte, possono bastare i lavori dell'alta velocità tra Bologna e Firenze. Quelli che disseccarono fiumi e torrenti del Mugello, provocarono frane e devastazioni, inaridirono interi territori. Anche allora la direzione dei lavori era stata affidata dal Consorzio Cavet (con Fiat in pole position) alla Ingegneria Spm di Stefano Perotti. Il quale, secondo un suo collaboratore intercettato dal Ros dei carabinieri, aveva incassato 70 milioni di euro: "Per non fare un cazzo…, un ufficietto in Fiat… e hanno aumentato del 40% il valore dell'opera. Il 40% sono tutte opere accessorie, impressionante". Del resto il figlio Philippe Perotti, parlando con un amico, spiegava: "Devi riuscire a prendere una impresa seria che sappia fare bene i lavori, e il 30% te lo porti a casa". Mentre il procuratore capo Giuseppe Creazzo e i suoi sostituti Mione, Turco e Monferini ascoltano alcuni blindatissimi testimoni, il quadro della situazione è tratteggiato in tre parole dal predecessore di Creazzo. "Non sono sorpreso", commenta Giuseppe Quattrocchi, che adesso è in pensione ma è stato impeccabile protagonista delle inchieste avviate dalla sua procura sulla "cricca" e sulla corruzione nei grandi appalti pubblici, dalla Tav al G8. Quelle inchieste sono state progressivamente "atomizzate". Smembrate fra diverse procure e tribunali, con il rallentamento dei processi e delle sentenza. E con la prescrizione dietro l'angolo, specialmente per i reati giudicati colposi, in primis quelli ambientali. Succederà così anche stavolta? Per certo il difensore di Ercole Incalza, Titta Madia, ha già spiegato di voler sollevare la questione della competenza territoriale: secondo lui non dovrebbero essere quegli impiccioni di fiorentini a indagare su queste cose. Guarda caso, successe così anche ai tempi della cricca. Nel preparare la difesa per il suo storico cliente, uscito indenne (fra assoluzioni e prescrizioni) da 14 inchieste e atteso oggi a Regina Coeli dall'interrogatorio di garanzia, l'avvocato Madia ha anche anticipato: "È un processo di corruzione in cui manca la materia prima, cioè i soldi". Ma di soldi, tantissimi soldi, scrive il gip Pezzuti, riepilogando il cammino di Incalza, Perotti e compagnia negli ultimi 15 anni. A colpi di appalti delle "grandi opere" per almeno 25 miliardi di euro. Pubblici. Con varianti e adeguamenti che facevano salire i costi fino al 40, 50%. E con favori, lavori e cadeau distribuiti a pioggia, nei cerchi concentrici del potere. Si scaldano i grandi avvocati: Stefano Perotti ha nominato Franco Coppi. Mentre Franco Cavallo, l'uomo delle mediazioni, collaboratore di Lupi e presidente di Centostazioni spa, sceglie Mario Brusa. Il quarto arrestato, Sandro Pacella, uomo di Incalza, ha nominato il suo stesso difensore, Titta Madia. Nel mentre Gaetano Quagliariello smentisce le parole - intercettate - di Incalza che si vanta di aver scritto il programma di governo del Ncd. Mentre il viceministro Nencini ringrazia Maurizio Lupi che, nonostante i guai personali, prova a derubricare a chiacchiere scherzose l'endorsement di Incalza, antico esponente della "sinistra socialista ferroviaria" di Claudio Signorile, in favore dei compagni del garofano craxiano Nencini e Umberto Del Basso De Caro. Entrambi nominati viceministri nel governo di Matteo Renzi il rottamatore. Rottamatore di che? Giustizia: patteggiamento limitato per il reato di corruzione, al Senato passa la stretta di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 18 marzo 2015 Patteggiamento condizionato alla restituzione del prezzo o del profitto del reato; controlli allargati da parte dell'Autorità Anticorruzione. Con queste novità si è chiusa ieri la votazione della commissione Giustizia del Senato sul disegno di legge anticorruzione. Oggi è previsto il voto sull'ultimo punto, cruciale, ancora da esaminare, il falso in bilancio. Domani mattina, secondo quanto deciso dalla conferenza dei capigruppo, il testo sbarcherà in Aula dove si svolgerà però solo la discussione generale. Urge, invece, l'approvazione del decreto legge sulle banche ormai a rischio di mancata conversione. "Abbiamo terminato tutto, restano da votare gli emendamenti sul falso in bilancio e i sub-emendamenti che verranno presentati alla proposta del governo". A puntualizzarlo è lo stesso presidente della Commissione, Francesco Nitto Palma, alla chiusura della seduta pomeridiana. Palma spiega che "sono stati approvati alcuni emendamenti in tema dì prevenzione, mentre altri, come quello sulla dirigenza Asl, sono stati respinti". E il capogruppo Pd, Giuseppe Lumia, aggiunge: "Siamo finalmente al dunque, in commissione abbiamo approvato norme severe contro la corruzione. Domani (oggi, ndr) con il falso in bilancio entreremo nel vivo alla luce della proposta positiva fatta dal Governo che ci consente di fare un passo in avanti in questo settore, anche valutando la proposta del Pd depositata che prevede il carcere da 1 a 6 anni per le società non quotate". Il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Ferri, stempera le critiche al Governo per essersi mosso con forte lentezza nel presentare l'emendamento sul falso in bilancio, allungando così i lavori della Commissione, e ricorda che "sul falso in bilancio i tempi si sono allungati per cercare la soluzione migliore che permetta di raggiungere un punto dì equilibrio tra le opposte esigenze, da un lato, di reprimere la criminalità economica e, dall'altro, di non penalizzare la libertà d'impresa". In ogni caso avverte Ferri "le nuove inchieste sulla corruzione, da un lato, segnalano che il problema e quanto mai attuale e grave ma, dall'altro, evidenziano anche che le norme vigenti danno ai magistrati degli strumenti che, sebbene debbano essere urgentemente migliorati, comunque già consentono un forte intervento repressivo dello Stato". Nel merito, ieri pomeriggio è stata approvata la stretta sul patteggiamento per ì reati chiave contro la pubblica amministrazione (corruzione propria, peculato, concussione, corruzione in ati giudiziari, induzione indebita, anche quando esercitati su funzionari pubblici stranieri): sarà possibile l'applicazione della pena concordata con l'assenso del Pm solo in caso di restituzione del prezzo o profitto del reato. Quanto ai controlli dell'Autorità anticorruzione questi su proposta del Movimento 5 Stelle, si estenderanno ai contratti secretati esclusi dal Codice degli appalti. Nel confronto internazionale, la disciplina italiana, che sta faticosamente prendendo forma, si avvicina almeno per quanto riguarda i limiti di pena previsti ai massimi in vigore dalle più severe legislazioni. In primo luogo quella del Regno Unito con il Bribery Act, in vigore dal luglio 2011. Una legge anti corruzione che si applica ad enti e società ("commercial organizations") inglesi operanti sia all'interno sia fuori dal Regno Unito e agli enti e società non inglesi che svolgono attività, o parte delle attività, nel Regno Unito. La reclusione e fissata a 10 anni, tanti quanti sono previsti, con la proposta del Governo votata dalla commissione Giustizia, per la corruzione propria. A fare la differenza potrebbero però essere le misure pecuniarie che, come peraltro previsto anche negli Stati Uniti, sono potenzialmente elevatissime sia nei confronti delle persone fisiche sia nei confronti delle società. Nel Regno Unito, in realtà, dopo il Bribery Act, non è fissato un limite di alcun genere. E una pena fino a 10 anni di carcere è prevista anche in Francia, accompagnata anche da misure pecuniarie con funzione deterrente. Giustizia: reati ambientali, la Camera approvi il ddl senza cambiare nulla di Ermete Realacci (Presidente Commissione Ambiente Camera dei Deputati) Il Manifesto, 18 marzo 2015 Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha dato nei giorni scorsi una spinta importante al ddl sui reati ambientali. Il voto del Senato, in seconda lettura, era atteso da tempo; la proposta di legge fu votata dalla Camera oltre un anno fa e adesso torna per il terzo passaggio e mi auguro che sia quello definitivo. La scorsa settimana ho scritto una lettera alla Presidente della Camera, Laura Boldrini, invitandola a fare il possibile, per quanto di sua competenza, per garantire un iter dei lavori che possa portare alla sua rapida approvazione. Non voglio nascondere, tuttavia, una certa preoccupazione. La legge è stata votata da una larga maggioranza che comprende anche Sel e Movimento 5 stelle, segno di una convergenza ampia su un tema di forte impatto per i cittadini. Il testo nasce dalla convergenza di tre proposte, la mia e quella dei colleghi Micillo (M5S) e Pellegrino (Sel) e, soprattutto, muove dalla spinta di decine di associazioni che, guidate da Legambiente e Libera, da tempo chiedono che si dia una svolta nel nostro paese sul tema dei reati ambientali. A ridosso della discussione in Commissione giustizia stanno affiorando critiche e perplessità, a mio avviso infondate, che rischiano di fermare ancora una volta un provvedimento che si sta aspettando da oltre venti anni. È una legge che introduce nuovi strumenti per rendere più efficace il contrasto alle illegalità e alle ecomafie. Prevede tra l'altro un innalzamento delle pene con il raddoppio dei tempi di prescrizione che sarà legata alla durata degli effetti dell'inquinamento, l'introduzione nel nostro codice penale dei reati di inquinamento ambientale, disastro ambientale e traffico di materiale radioattivo e l'obbligo al ripristino dei luoghi in caso di condanna o patteggiamento. Con questo provvedimento non ci saranno più casi come Eternit o Bussi. A chi ritiene che esso penalizzi il mondo delle imprese dico che è esattamente il contrario, è una normativa assolutamente equilibrata e che aiuterà le aziende corrette e oneste a non subire la concorrenza sleale di chi si sbarazza dei rifiuti in modi illeciti, mentre il ravvedimento operoso prevede, nei casi colposi che sono la grande maggioranza dei casi, sconti sostanziosi di pena per chi ripristina e bonifica i luoghi. Certo nessuna legge è perfetta e tutto è migliorabile, ma ritengo che l'urgenza sia quella di approvare il testo senza cambiare "neanche una virgola"; se c'è qualche correzione da fare, e lo si vedrà in corso d'opera, al Parlamento non mancano gli strumenti legislativi per correttivi e aggiustamenti. Non si può rischiare di far impantanare di nuovo questa proposta nelle sabbie del bicameralismo perfetto. Vi è un altro aspetto che mi preme sottolineare. Questa legge servirà a contrastare con maggiore forza la criminalità organizzata e l'illegalità diffusa contro l'ambiente, questa azione di contrasto avrà sicuramente anche una ricaduta benefica sulla necessità di rilanciare le produzioni di qualità e persino le eccellenze che si trovano in territori che spesso vengono accostati impropriamente a siti contaminati, nonostante ci siano decine di chilometri di distanza. Penso ai pomodori o alle mozzarelle di bufale dop della Campania, oggetto di una campagna denigratoria a fronte di accurate analisi che ne certificano l'assoluta idoneità, penso a prodotti e a luoghi del nord Italia, (come di tante altre zone del Paese), affiancati genericamente, e a volte strumentalmente, a zone a rischio. La bonifica dei suoli e il contrasto dell'illegalità ambientale sono strumenti preziosi per ridare slancio e futuro ad uno dei più grandi patrimoni che ha il nostro Paese: le qualità italiane, i suoi prodotti, la sua bellezza e la sua creatività. Perché per uscire dalla crisi serve un'idea di futuro e di speranza che riparta proprio dal territorio, perché per tornare a crescere l'Italia deve fare l'Italia. Giustizia: Enrico, Manolo e tutti gli altri… ecco chi sono gli italiani detenuti all'estero di Fabio Polese Corriere della Sera, 18 marzo 2015 Sono 3.422 gli italiani detenuti all'estero. Da Enrico "Chico" Forti, detenuto negli Stati Uniti a Manolo Pieroni, in carcere in Colombia, ecco le storie di alcuni di loro. La storia che ha colpito i due nostri connazionali, Sandro De Simone e Massimo Liberati, arrestati in Gambia, con l'accusa di presunte violazioni per una rete da pesca le cui maglie, sarebbero di 68 millimetri invece dei 72 previsti, non è - purtroppo - un caso isolato. Nel mondo, infatti, secondo l'Annuario statistico pubblicato dalla Farnesina - con dati aggiornati al giugno 2014 - sono 3.422 gli italiani detenuti lontano dalle patrie galere: 2.625 sono detenuti in Paesi dell'Unione europea, 161 nei Paesi extra Ue, 490 nelle Americhe, 59 nella regione mediterranea e in Medio Oriente, 12 nell'Africa subsahariana e 75 in Asia e Oceania. In Europa il Paese con più detenuti italiani è la Germania. Le carceri tedesche "ospitano" 1.218 connazionali. A seguire troviamo la Spagna con 574 italiani imprigionati. Nel resto del mondo, il maggior numero di detenuti italiani, si trova nelle terribili carceri brasiliane con 87 persone recluse. Enrico "Chico" Forti, in carcere negli Stati Uniti Enrico "Chico" Forti, originario di Trento, classe 1959, sta scontando l'ergastolo negli Stati Uniti con l'accusa di omicidio. La sua storia è iniziata il 16 febbraio del 1998 quando, in una spiaggia della Florida, viene ritrovato il corpo senza vita di Dale Pike. Di questo omicidio è stato accusato Forti, un produttore televisivo, che all'epoca era in trattativa con il padre di Dale per l'acquisto di un albergo. Dall'11 ottobre del 1999 Enrico Forti, che si è sempre dichiarato innocente, è rinchiuso in una cella del carcere di Miami. Il processo lo ha condannato nonostante le prove a suo carico siano quantomeno inconsistenti. La giuria americana, infatti, nel leggere il verdetto ha dichiarato: "La Corte non ha le prove che Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ha la sensazione, al di là di ogni dubbio, che sia stato l'istigatore del delitto". La speranza dei familiari di Forti e degli amici - molto attivi in internet grazie ai social network - è quella di far riaprire il processo il prima possibile. Manolo Pieroni, detenuto in Colombia La storia di Manolo Pieroni è iniziata l'8 luglio del 2011 all'aeroporto di Cali, in Colombia. Nella sua valigia sono stati trovati sette chilogrammi di cocaina. Poi il processo e la condanna a 21 anni e 4 mesi di reclusione per "traffico internazionale e fabbricazione di stupefacenti". Attualmente Manolo Pieroni si trova nel carcere di Palmira, il "Villa Las Palmas". Si è sempre dichiarato innocente e, secondo le sue dichiarazioni, sarebbe una vittima dei trafficanti di droga, tramite la pratica che viene chiamata "mula involontaria", cioè quella che permetterebbe di inserire grosse quantità di stupefacenti nelle valige di persone ignare per farle arrivare fino in Europa. Roberto Berardi, imprigionato in Guinea Equatoriale Roberto Berardi, un imprenditore italiano di 50 anni, è rinchiuso nella galera di Bata, in Guinea Equatoriale, dal gennaio del 2013. La sua storia ha dell'incredibile: è accusato di truffa e appropriazione indebita dopo che aveva cercato di capire come mai dalla società edile - che aveva costituito assieme al vicepresidente e figlio del presidente del Paese - era sparito del denaro. Secondo Ponciano Mbomio Nvò, l'avvocato di Berardi, "il processo è stato iniquo, si è celebrato un procedimento penale per una diatriba tra soci che dovrebbe riguardare al massimo il diritto civile". Di pochi giorni fa è la notizia che Roberto Berardi è uscito dal regime di isolamento in cui era stato recluso per ben 15 mesi e dove ha subito violenze ed intimidazioni. Della sua storia si è occupato anche l'ultimo rapporto annuale di Amnesty International. Nel testo si legge delle torture che Berardi ha subito, dell'isolamento e delle violenze di cui è stato vittima. Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni liberi dopo 5 anni È finito l'incubo per Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni. I due giovani italiani erano detenuti da quasi cinque anni nella prigione indiana di Varanasi, accusati e condannati in primo e secondo grado all'ergastolo dalla giustizia indiana per aver ucciso Francesco Montis. La loro storia è iniziata la mattina del 4 febbraio del 2010, quando, nell'albergo Buddha di Chentgani alla periferia di Varanasi, i due giovani trovano Francesco Montis in agonia sul letto. Pochi giorni dopo, il 7 febbraio, Tomaso ed Elisabetta vengono arrestati con l'accusa di aver strangolato Francesco, secondo una teoria che la polizia locale ha definito di "triangolo amoroso" e di "delitto passionale". La Boncompagni che era la ragazza di Montis durante il viaggio in India nel 2010, si sarebbe innamorata di Bruno ed insieme avrebbero così pensato di ucciderlo. Il processo di primo grado si è basato solo su delle ipotesi. Nella sentenza, infatti, si legge: "Il movente che ha spinto i due accusati a uccidere Montis non si può dimostrare per insufficienza di prove, tuttavia si può comunque ipotizzare che i due avessero una relazione intima illecita". Il primo febbraio 2015 i due italiani sono atterrati all'aeroporto milanese di Malpensa, dopo che la Suprema Corte di Nuova Delhi li ha dichiarati innocenti il 20 gennaio 2015. Mariano Pasqualin, morto in una prigione della Repubblica Domenicana Nelle drammatiche storie degli italiani detenuti all'estero c'è chi ha perso la vita, la storia di Mariano Pasqualin, purtroppo, è una di queste. Originario di Vicenza, è stato arrestato per traffico di droga nella Repubblica Domenicana - meglio conosciuta con il nome della sua capitale Santo Domingo - nel giugno del 2011. Poco tempo dopo il suo arresto, il 2 agosto, è stato ritrovato morto in circostanze molto sospette. La sua famiglia aveva richiesto il corpo per procedere ad una autopsia che avrebbe fatto capire le reali cause della morte, ma in Italia sono arrivate solo le ceneri. E la possibilità di fare luce sul caso è svanita definitivamente. Giustizia: caso Garlasco; quella condanna che non trova il movente di Carlo Federico Grosso La Stampa, 18 marzo 2015 Dopo due sentenze di assoluzione, e un annullamento da parte della Cassazione nel caso dell'omicidio di Chiara Poggi, la Corte di Assise di Appello, sulla base di una rilettura degli atti, ma, soprattutto, dei risultati della rinnovazione istruttoria compiuta, ha giudicato raggiunta la prova certa della colpevolezza dell'imputato. Di per sé il ribaltamento di due sentenze conformi di assoluzione non stupisce più di tanto. Certo, nella cornice di una giustizia ben funzionante sarebbe auspicabile che i giudici riuscissero a pronunciare sentenze in grado di reggere gli ulteriori gradi di giudizio. L'annullamento di una decisione è, sovente, dimostrazione di un errore, ma il sistema delle impugnazioni è stato predisposto proprio per rimediare agli eventuali errori commessi. Esso costituisce di per sé una garanzia, alla quale sarebbe grave rinunciare. Nel caso di specie il punto è verificare se il nuovo giudice abbia fatto buon uso dei poteri che gli sono stati concessi. In questa sede non è evidentemente possibile ripercorrere tutti i passaggi che hanno convinto della colpevolezza di Alberto Stasi: i risultati dei nuovi accertamenti tecnici compiuti; l'individuazione della "finestra temporale" dalle 9.12 alle 9.35 durante la quale l'ex studente ha potuto uscire da casa, raggiungere l'abitazione della fidanzata, ucciderla e rincasare per continuare a scrivere la tesi al computer; la dinamica dell'aggressione; l'impossibilità che lo "Stasi scopritore" delle 13.50 abbia potuto percorrere il luogo del delitto senza macchiare di sangue le sue scarpe e, poi, i tappetini dell'auto con la quale si è recato dai carabinieri; il dna della vittima sui pedali sostituiti della bici; le bugie dell'imputato e le incongruenze delle sue dichiarazioni; il suo comportamento "sviante" che è riuscito, secondo quanto chiarisce la sentenza, "a rallentare gli accertamenti, anche grazie agli utili errori commessi" dagli investigatori. Il quadro degli indizi appare, in ogni caso, ampio e concordante. Un profila merita, forse, un'attenzione particolare. La Corte ha scritto che "Alberto Stasi ha ucciso la fidanzata, che evidentemente era diventata, per un motivo rimasto sconosciuto, una presenza pericolosa e scomoda"; ed ha soggiunto che, se pure "il movente è rimasto sconosciuto", si può comunque ipotizzare che la passione di Alberto per la pornografia, scoperta da Chiara, abbia potuto "provocare discussioni, anche con una fidanzata di larghe vedute", innescando difficoltà nel rapporto di coppia alla base di quella "motivazione forte" che ha "provocato il raptus omicida". Manca dunque, nella sentenza Stasi, l'individuazione di un movente preciso dell'omicidio, e, soprattutto, il giudice si è limitato ad "ipotizzare" un contesto relazionale di coppia che "avrebbe potuto" innescare l'insorgere della volontà omicida. Una cosa è in ogni caso incontestabile: che se esiste un compendio indiziario oggettivamente in grado di dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio che un soggetto ha ucciso, la mancata individuazione del movente del reato non è, di per sé, in grado di vanificare la prova certa, altrimenti acquisita, della responsabilità penale. L'individuazione del movente, illuminando sulle ragioni del delitto commesso, può diventare decisiva soltanto in presenza di indizi oggettivi di per sé non del tutto univoci. Non mi sembra, quindi, che la mancata individuazione del movente possa, nel caso Stasi, dove gli elementi oggettivi indiziari raccolti sono numerosi e concordanti, inficiare la decisione assunta. Sentenza giusta, o sconfitta per tutti, come ha commentato ieri uno dei difensori dell'imputato? Sarà, ancora una volta, la Cassazione a stabilirlo, dato che la difesa presenterà, come ha annunciato, un ulteriore ricorso. Se la Cassazione dovesse ancora una volta annullare, la sconfitta sarebbe, a quel punto, probabilmente certa. Lettere: se non linci qualcuno, che italiano sei? di Piero Sansonetti Il Garantista, 18 marzo 2015 Hanno sbranato il ministro Lupi. Non ha ricevuto neppure un avviso di garanzia, ma lo hanno avvisato i giornalisti e questo basta. Di che è accusato? Truffa, falso in bilancio, tangenti, prostituzione minorile? No, è accusato di avere aiutato il figlio a trovare lavoro. Non si sa se è vero, probabilmente no, ma non è importante. È un ministro: è colpevole. Il figlio fa l'ingegnere ed ha avuto un posto di lavoro precario per il quale era pagato oltre 1200 euro netti al mese. Non è bello. In questi casi si dice: non ci sarà rilevanza penale, ma si deve dimettere perché c'è responsabilità politica. I figli dei ministri, vuole la nuova morale (imposta dal duo Travaglio-Salvini) anche se hanno una laurea devono andare a chiedere l'elemosina. Altrimenti: zac! Mi pare che nessuno abbia difeso Lupi. Questa è la vera vergogna. Un ceto politico pusillanime, intimidito, tremante, vigliacco. Scusate il gioco di parole: pecore, si lo hanno sbranato le pecore. E intanto i pastori tedeschi dell'Anm hanno aggredito Renzi. Gli hanno detto: "Tu carezzi i corrotti e punisci i giudici". È un avviso: non di garanzia, di guerra. Un messaggio che dice: o ritiri ogni disegno di riforma della giustizia, e rientri nel tuo recinto del Jobs Act, o ti spezziamo le reni. C'è un clima cileno, dico del Cile del 73. Lettere: riecco il tribunale del Popolo guidato da Antonio Di Pietro di Tiziana Maiolo Il Garantista, 18 marzo 2015 Maurizio Lupi non è un indagato. È un condannato dal Tribunale del Popolo composto di giornalisti invidiosi, magistrati esibizionisti e una folla di tricoteuses opportunamente istigata dai Paladini della Virtù che passeggiano per i talkshow spargendo il proprio verbo, la propria "moralità". Ieri mattina si è svegliato presto Antonio Di Pietro, si è collegato subito con Radio24, poi è corso in Rai per farsi intervistare ad Agorà sgusciando poi via velocemente per planare su La7. Una fatica per chi ha tante lezioni di moralità da elargire al ministro Maurizio Lupi. Che non è indagato, ma condannato perché "forse" si è lasciato regalare un vestito da un imprenditore suo amico di famiglia, il quale avrebbe anche donato un orologio costoso a suo figlio in occasione di una laurea particolarmente brillante al Politecnico di Milano. Tra le imputazioni di stampo moralistico c'è anche un posto di lavoro temporaneo al neo-ingegnere in un cantiere. Giusto quindi che intervenga subito il Pm più famoso d'Italia. Un plauso a tutti i conduttori che hanno pensato di invitare proprio Di Pietro a commentare i comportamenti di Lupi. E uno che se ne intende. Intanto è stato Ministro ai lavori pubblici, proprio nel palazzo dove oggi lavora Lupi, e ha avuto occasione di conoscere Ercole Incalza e lo ha cacciato subito perché il dirigente era "uno della prima repubblica", addirittura un socialista. Roba da peccato originale. Che soddisfazione, vederlo oggi in manette! Poi magari però Di Pietro non spiega bene perché lasciò frettolosamente quel posto al Ministero in seguito ad avvisi di garanzia (sarà poi prosciolto ), alcuni dei quali saranno ripresi nella famosa "sentenza Maddalo", da cui emergeranno anche i motivi che lo avevano indotto a gettare frettolosamente la toga nel dicembre del 1994. L'elenco dei comportamenti di quello che fu l'eroe della moralità e che nessun imitatore è riuscito ancora a raggiungere per popolarità, fa impallidire qualunque imprudenza il ministro Lupi possa aver commesso. Anche perché stiamo parlando di un magistrato il quale - così dice la sentenza dei giudici di Brescia - fu costretto a lasciare la carriera prima che intervenisse a cacciarlo il Consiglio superiore della magistratura proprio per quei fatti. L'elenco, riportato puntigliosamente anche nel libro dedicato all'ex Pm dal giornalista Filippo Facci, andrebbe distribuito in tutti gli uffici pubblici per spiegare ai funzionari che cosa non si deve fare se non si vuole incorrere in sanzioni, non tanto da quel Tribunale del Popolo così attivo con Maurizio Lupi, ma almeno da quel minimo di regole etiche che sembrano oggi stare tanto a cuore a Di Pietro. Può un pubblico funzionario farsi prestare cifre ingenti senza interessi e poi restituirle ( ma solo dopo che la "generosità" degli amici viene resa pubblica ) in contanti avvolti in pagine di giornale oppure in una scatola di scarpe? Può farsi dare un'auto di grossa cilindrata e rivenderla per cifra molto maggiore prima ancora di averla pagata, e poi averne un'altra in regalo per sé e la moglie? Può avere in uso gratuito appartamenti a Milano e Roma oppure ricevere, dai soliti amici, i soldi per acquistarne uno al proprio paese? Può ricevere decine di consulenze legali per la propria moglie avvocato e anche per il suo difensore di fiducia? E due posti di lavoro per il figlio? E agende, ombrelli, uno stock di calzettoni al ginocchio e abiti in quantità da un famoso negozio milanese? Nessuno che rivesta incarichi pubblici potrebbe fare ciò. A maggior ragione se si tratta di un magistrato e se gli amici sono un pochino, appena un pochettino, da lui inquisiti. Pure non ci fu reato, e Di Pietro, dopo aver lasciato la magistratura, divenne addirittura ministro dei lavori pubblici nel governo Prodi del 1996. Questi sono i precedenti di chi può oggi "dar buoni consigli non potendo più dare il cattivo esempio". Di questo tipo di stoffa sono fatti i membri del Tribunale del popolo. Hanno il diritto di chiedere le dimissioni di un ministro per un vestito? Calabria: Scalzo (Presidente Regione); riaprire la Casa circondariale di Lamezia Terme Ansa, 18 marzo 2015 "Chiediamo al governo nazionale che disponga la riapertura della casa circondariale di Lamezia Terme Nicastro. Si tratta di una struttura nella quale riteniamo possano essere rispettati, con alcune attenzioni, i parametri europei sull'accoglienza negli istituti penitenziari e che dunque non può restare chiusa, anche in considerazione del grave problema del sovraffollamento carcerario che contraddistingue l'amministrazione penitenziaria nel nostro Paese". Lo afferma il presidente del Consiglio regionale della Calabria, Tonino Scalzo. "Riteniamo - aggiunge - che la casa circondariale di Lamezia sia idonea a perseguire, con modalità rispettose della dignità dell'individuo, la finalità rieducativa della sanzione penale sancita dalla nostra Costituzione. Peraltro, in un territorio come quello calabrese, in cui la presenza della criminalità organizzata è così radicata, anche il carcere è un presidio istituzionale di legalità che non può essere cancellato con un tratto di penna. Siamo convinti che il ministero della Giustizia, nel rispetto delle normative in materia e tenuto conto del rilievo specifico della casa circondariale lametina, saprà rivedere un provvedimento che a nostro avviso è controproducente per il sistema penitenziario e, in senso più ampio, per tutto il mondo della giustizia". Toscana: il Garante regionale Corleone; a Siena c'è un istituto penitenziario in miniatura Adnkronos, 18 marzo 2015 "Si tratta di un carcere in miniatura, di un piccolo istituto con 69 presenze". Così il garante regionale dei diritti dei detenuti, Franco Corleone, ha definito la casa circondariale di Siena, al termine del sopralluogo di questa mattina. "Ho notato dei miglioramenti rispetto alla visita dell'anno scorso - ha detto Corleone - è stata realizzata una palestra interna, sono state tolte le gelosie a tutte le celle, è stata attivata la biblioteca, in collegamento con quella comunale e poi nell'intercinta, tra il muro esterno e l'edificio, in collaborazione con l'istituto agrario, sono state messe piante ornamentali". Molti i detenuti che lavorano, in cucina o come addetti alle pulizie e poi c'è un detenuto lavorante esterno. Diverse anche le attività del carcere, come la realizzazione di un audiolibro e del giornalino dell'istituto. Tra le criticità Corleone ha parlato di una "struttura nel suo complesso vecchia con spazi ridotti", il carcere è, infatti, stato realizzato in un ex convento del 1300. "Molte celle singole - ha aggiunto il garante - sono piccolissime con micro bagno e ci sono solo tre docce per piano. Inoltre, in due celle manca la luce, sono infatti, ancora presenti le bocche di lupo". Corleone ha poi parlato di un progetto, ancora senza finanziamento, di apertura di una "pizzeria gestita da detenuti per un pubblico esterno". "Mi preme sottolineare una questione che presto verificherò - ha concluso Corleone - pare che manchino i braccialetti per consentire a tre carcerati la detenzione domiciliare". Infine, il garante ha parlato della mancanza di luoghi fuori dal carcere in grado di ospitare i detenuti in permesso, "il Comune - ha detto - dovrebbe farsi carico di cercare spazi appositi". Cuneo: detenuto campano di 53 anni condannato all'ergastolo si uccide in carcere Il Mattino, 18 marzo 2015 Un ergastolano, sottoposto al 41bis, detenuto nel carcere "Cerialdo" di Cuneo, ieri pomeriggio si è impiccato nella sua cella. Si tratta di Palmerino Gargiulo, campano di 53 anni. "Il suo avvocato - afferma il Garante regionale dei detenuti, Bruno Mellano - da tempo segnalava una situazione psico-fisica incompatibile con questa tipologia di detenzione. A causa di un'interpretazione restrittiva delle regole del 41bis, mi è impedito di avere colloqui riservati, a Cuneo come a Novara, con i detenuti". "Ho da poco ricevuto 10 telegrammi dai ristretti cuneesi e a breve tornerò in visita al carcere Cerialdo - aggiunge il garante - pur sapendo che, nonostante la disponibilità del direttore Claudio Mazzeo, non potrò parlare in modo riservato con i detenuti". "Il pur tempestivo intervento dei poliziotti - si legge in un comunicato del Sappe, sindacato autonomo della polizia penitenziaria - non ha potuto impedire che l'uomo, che era in cella da solo, mettesse in atto il tragico gesto. La situazione delle carceri italiane resta ad alta tensione: ogni giorno si verificano, in media, 18 atti di autolesionismo". Comunicato Sappe Ieri pomeriggio, a Cuneo, si è impiccato nella sua cella un detenuto campano di 53 anni, che era sottoposto al regime detentivo del 41bis e condannato all'ergastolo. A darne notizia è il Sindacato autonomo Polizia penitenziaria Sappe, in una nota. "Purtroppo, il pur tempestivo intervento dei poliziotti penitenziari non ha potuto impedire che l'uomo, che era in cella da solo, mettesse in atto il tragico gesto", commenta Donato Capece, segretario generale del sindacato. "In un anno, la popolazione detenuta in Italia è calata di poche migliaia di unità: il 28 febbraio scorso erano presenti nelle celle 53.982 detenuti, che erano l'anno prima 60.828", aggiunge. "La situazione nelle carceri italiane resta ad alta tensione: ogni giorno, i poliziotti penitenziari nella prima linea delle sezioni detentive hanno a che fare, in media, con almeno 18 atti di autolesionismo da parte dei detenuti, 3 tentati suicidi sventati dalla Polizia Penitenziaria, 10 colluttazioni e 3 ferimenti", conclude Capece. Brescia: è morto Emilio Quaranta, ex procuratore dei minori e Garante dei detenuti di Monica Curino www.giornaledibrescia.it, 18 marzo 2015 Emilio Quaranta, ex procuratore dei minori di Brescia e Garante dei detenuti, si è spento nelle scorse ore. Malato da tempo, ha vissuto gli ultimi mesi in grande riservatezza, tra gli affetti più cari della sua famiglia. Aveva 73 anni. Foggiano di nascita, Emilio Quaranta è diventato magistrato nel 1967. Già nel 1970 arriva nella nostra provincia, dove ricopre il ruolo di Pretore a Salò. Di Pretura in Pretura, da Salò a Brescia, negli uffici di via Vittorio Emanuele il dottor Quaranta ha ricoperto prima l'incarico di giudice penale e poi di dirigente della sezione penale. Con la scomparsa delle preture, ci fu il suo passaggio a coordinatore dell'ufficio del Gip del Tribunale. La sua nomina a Procuratore del Tribunale minori risale al 2001. Solo un anno più tardi in queste vesti si trovò a coordinare le indagini su una delle vicende di cronaca più drammatiche che si ricordino nel Bresciano, l'omicidio della piccola Desirée Piovanelli di Leno, barbaramente uccisa nel settembre 2002, da tre minori vicini di casa a Leno e dall'allora 35enne Giovanni Erra. Il suo addio alla magistratura, che lo ha visto spesso interprete del suo ruolo in una chiave estensiva, con attenzione verso le tensioni della società che spesso il suo incarico gli poneva in evidenza, risale al 2011. Dello stesso anno la sua elezione a Garante dei detenuti per il Comune di Brescia. Incarico che lo vide, tra le altre cose, sostenere anche il ricorso di 348 detenuti di Canton Mombello davanti alla Corte europea di giustizia per le inadeguate condizioni di detenzione in cui versavano. Biella: un detenuto ha tentato di togliersi la vita, un altro si è tagliato con una lametta www.laprovinciadibiella.it, 18 marzo 2015 Quella di ieri è stata una giornata particolarmente difficile nel carcere di Biella. Sono stati ben due infatti gli episodi di violenza che avrebbero potuto avere conseguenze ben più drammatiche senza il tempestivo intervento degli agenti della polizia penitenziaria. Erano da poco passate le 14 quando un detenuto di 32 anni di origine marocchina è stato salvato in extremis nella sua cella al primo piano della sezione B dopo che aveva tentato di togliersi la vita con la cinghia dell'accappatoio, legata alle sbarre della finestra. Gli agenti sono subito accorsi e lo hanno salvato appunto praticandogli un massaggio cardiaco. Subito dopo protagonista è stato un altro detenuto marocchino, di 21 anni, della medesima sezione, che al termine della doccia ha preso a schiaffi un agente per futili motivi. Lo stesso detenuto, visibilmente alterato, una volta tornato in cella ha preso una lametta e si è procurato una serie di ferite sul corpo, tanto che si è reso necessario il trasporto in ospedale, dove gli sono state praticate le cure del caso e dove è tutt'ora ricoverato. Spoleto (Pg): progetto sperimentale per l'impiego dei detenuti in lavori di pubblica utilità www.spoletonline.com, 18 marzo 2015 Quattro quelli impegnati nei prossimi sei mesi in attività di manutenzione. Ha avuto avvio nella mattinata di ieri il progetto sperimentale per l'impiego di detenuti in lavori di pubblica utilità presso l'Ase di Spoleto, in attuazione del protocollo d'intesa siglato lo scorso mese di novembre tra Amministrazione comunale - Assessorato alle Politiche sociali, Casa di Reclusione di Spoleto e Ufficio Esecuzione Penale Esterna del Ministero della Giustizia di Spoleto. Il progetto ha avuto inizio con l'individuazione dei primi 4 detenuti che, per i prossimi 6 mesi e coordinati dai tecnici dell'Ase, saranno impegnati in attività di manutenzione di aree verdi e manutenzione urbana e stradale. I primi interventi riguarderanno l'area della zona di Monterone, con particolare riferimento alla manutenzione e ripulitura delle strade e del complesso monumentale delle mura urbiche. I detenuti hanno preso parte ad una attività preliminare di formazione sul tema della sicurezza negli ambienti di lavoro, soprattutto per quanto riguarda l'utilizzo dei diversi dispositivi e il rispetto delle norme di sicurezza. "Siamo molto soddisfatti per essere riusciti a dare gambe ad un progetto di grande valore sociale a cui, come amministrazione, abbiamo lavorato fin da subito affinché potesse concretizzarsi rapidamente - sono state le parole del vicesindaco Maria Elena Bececco. Il protocollo d'intesa firmato lo scorso novembre e il convegno organizzato a dicembre con il patrocinio del Ministero della Giustizia e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sono stati due passaggi fondamentali per poter affrontare compiutamente le questioni relative al reinserimento dei detenuti". Il progetto infatti intende promuovere il reinserimento sociale dei condannati anche attraverso l'occupazione in attività di pubblica utilità, da effettuarsi durante il periodo di espiazione della pena, garantendo al contempo ai detenuti l'acquisizione di competenze e conoscenze professionali spendibili nella fase post detentiva. Le attività sono svolte dai detenuti a titolo completamente gratuito, assumendo così una valenza simbolica "risarcitoria" nei confronti della collettività cittadina che si avvarrà proficuamente di tali interventi manutentivi, altrimenti non realizzabili a causa della scarsità di risorse pubbliche disponibili. Il progetto, sulla scorta di questa prima esperienza, proseguirà con l'individuazione di ulteriori detenuti per le fasi successive che si protrarranno fino alla fine del 2016, con la possibilità di essere poi prorogato ed anche ampliato. Siracusa: a Cavadonna la differenziata funziona, detenuti virtuosi nella raccolta dei rifiuti www.siracusanews.it, 18 marzo 2015 Nell'ambito delle iniziative delle "Buone pratiche del Comune" l'assessore alle Politiche ambientali, Pietro Coppa, e l'esperto del sindaco, Emma Schembari, incontreranno giovedì alle 9 nella Casa circondariale di Siracusa il direttore della struttura, Angela Lantieri. Dal mese di giugno del 2010 la Casa circondariale di Siracusa, grazie ad un finanziamento della Cassa delle Ammende, ha avviato un progetto specifico di raccolta di istituto che ha portato ad una riduzione quasi totale dei rifiuti indifferenziati ed al riconoscimento dello sgravio fiscale da parte del Comune. "Un esempio di buone pratiche- ha dichiarato l'assessore Coppa- che intendiamo continuare e cercare di valorizzare ulteriormente. L'incontro di giovedì servirà infatti ad individuare altre ed eventuali azioni condivise tra il Comune e la Casa circondariale". La Casa Circondariale di Cavadonna rappresenta un esempio virtuoso di raccolta differenziata, non abbastanza comunicato e spesso addirittura sconosciuto. Sviluppare un progetto ambientale è uno strumento importante per migliorare formazione e sensibilizzazione dei detenuti alla tematica ambientale, le prestazione ambientali, risparmiando energie e altre risorse e potenziando le finalità rieducative che le sono proprie. Coinvolgendo in questo obiettivo tutta la comunità (personale, detenuti e i familiari di entrambi) il risultato diventa un successo di squadra. L'invito di Giovedì rappresenta un punto di condivisione dei successi con l'Amministrazione comunale che ha fatto della sostenibilità e dello sviluppo sostenibile del territorio un un obiettivo strategico ma anche un invito a sviluppare nuove azioni dato che si conclude nel 2014 il finanziamento richiesto alla Cassa Ammende . Il progetto sulla corretta gestione dei rifiuti nella Casa Circondariale di Cavadonna ha realizzato una autosufficienza della raccolta differenziata, della selezione degli imballaggi recuperabili e per la frazione organica l'avviamento del compostaggio di comunità. L'iniziativa è stato attivata nel novembre del 2010, realizzato e difeso dalla Direzione della struttura carceraria, prima con Angela Giani, proseguito con Angela Lantieri. Fonte di finanziamento la Cassa delle Ammende, un fondo specifico del Ministero della Giustizia che finanzia programmi di reinserimento in favore di detenuti e internati, programmi di assistenza ai medesimi e alle loro famiglie e progetti di edilizia penitenziaria finalizzati al miglioramento delle condizioni carcerarie. Gli obiettivi sono la formazione e sensibilizzazione dei detenuti alla tematica ambientale, la minimizzazione dell'impatto della struttura con la riduzione della produzione di rifiuti da portare in discarica e la diminuzione dei costi attivando le riduzioni della tassa. Dopo una prima formazione iniziale per tutti i detenuti coinvolti nel progetto, sono stati distribuiti all'interno di ogni cella tre tipi di sacchetti di diversi colori, che vengono ritirati ogni mattina dai detenuti lavoranti che operano in ogni sezione di appartenenza. I sacchetti sono trasferiti nei cassonetti adibiti alla raccolta della plastica, carta e rifiuto organico, posti all'ingresso del padiglione detentivo. Questo tipo di raccolta differenziata, denominata "Raccolta Mono-Materiale" (carta e plastica) assicura una purezza merceologica al rifiuto e quindi, minori scarti da avviare allo smaltimento ottenendo in tal modo frazioni differenziate con una elevata purezza possono essere conferite al recupero e riciclo senza ulteriori processi d lavorazione. Dopo quasi 3 anni sono stati raccolti in modo differenziato circa 14 mila Kg di plastica e circa 28 mila Kg di carta e cartone. Novara: intesa con la Provincia, scuole e strade più sicure grazie al lavoro dei detenuti www.corrieredinovara.it, 18 marzo 2015 Provincia di Novara e Casa Circondariale hanno sottoscritto un protocollo d'intesa (a cui aderiscono anche Magistratura di sorveglianza e Ufficio esecuzioni esterne di Novara) che impegnerà una squadra di detenuti ritenuti idonei (fine pena, reati minori, buona condotta, ecc.) in attività di interesse sociale come manutenzione delle scuole, pulizia delle strade e interventi al verde pubblico. "Il protocollo ricalca il modello già adottato dal Comune di Novara, la novità è rappresentata dal fatto che le attività riguarderanno tutto il territorio provinciale, con particolare attenzione alla manutenzione stradale e all'edilizia scolastica - spiega il presidente Matte Besozzi - Probabilmente il primissimo intervento sarà l'imbiancatura del distaccamento del liceo artistico Casorati (il corso musicale come è noto ha traslocato nelle vacanze natalizie nei locali dell'ex Convitto Carlo Alberto, ndr) durante le vacanze pasquali; poi pensiamo alla manutenzione delle piste ciclabili sulle alzaie dei canali, in alcuni punti molto ammalorate, alla pulizia dei cigli stradali, indispensabile prevenzione alle alluvioni che ci è stata sollecitata soprattutto nella zona tra Pettenasco e Orta. Dopo una prima fase con gli interventi più urgenti - prosegue Besozzi - raccoglieremo le criticità segnalate dai Comuni calendarizzando nel tempo tutta una serie di interventi successivi". Al progetto stanno lavorando congiuntamente gli assessorati alle Politiche sociali e al Lavoro: "Per iniziative come queste la programmazione è l'elemento più importante - commentano i consiglieri Tino Zampogna e Biagio Diana - Gli uffici delle Politiche sociali si occuperanno del coordinamento, raccogliendo i progetti e interfacciandosi con la Casa circondariale e gli altri soggetti coinvolti. Il progetto, oltre a dare una prima risposta su interventi necessari ma difficili da realizzare per i vincoli economici imposti dal bilancio dell'Ente, ha un elevato valore sociale, offrendo ai detenuti la possibilità di rendesi utili alla società e di effettuare un'esperienza lavorativa che sarà preziosa quando avranno concluso la pena". L'iniziativa è praticamente a costo zero per l'amministrazione provinciale, che coprirà unicamente le spese per i materiali necessari agli interventi e di assicurazione. La sorveglianza da parte degli agenti rientra nella normale attività di Polizia penitenziaria e non ha alcun costo aggiuntivo per la collettività. Rimini: "Padri al di là delle sbarre", la Festa del papà quest'anno è anche per i detenuti www.altarimini.it, 18 marzo 2015 Al via il 19 marzo il progetto "Padri al di là delle sbarre" ad opera del Centro per le Famiglie del Comune di Rimini, in collaborazione con l'associazione di volontariato Madonna della Carità, con il contributo della Direzione della Casa Circondariale e di tutta l'Area Educativa d'Istituto. Il progetto è un appuntamento fisso di sostegno alla genitorialità e ha come obiettivo la realizzazione di momenti di incontro-confronto con i papà detenuti. Quest'anno, in virtù delle esperienze fatte, si strutturerà un percorso più intenso scandito da momenti e attività diverse con i padri detenuti, impegnati in lavori di gruppo e laboratori ricreativi sino a dicembre 2015. Il tutto culmina in due appuntamenti clou in occasione della Festa del Papà il 19 marzo e il Natale. Quando, in un clima giocoso, padri e figli potranno regalarsi del tempo per una condivisione serena. Novità di quest'anno saranno i momenti di festa svolti all'interno dello spazio adibito a Ludoteca (nella Casa Circondariale), luogo colorato a misura di bambino realizzato grazie ad un contributo proveniente dal progetto "Generazioni Solidali" promosso da una rete di associazioni di Volontariato con il sostegno di Volontarimini. Una preziosa collaborazione è poi arrivata da alcuni detenuti che si sono dedicati alla realizzazione di vivaci murales, dai volontari dell'associazione "Madonna della Carità", dall'Area Educativa d'Istituto e da una donazione di arredi da parte di Ikea. "Ludoteca per la Casa Circondariale" è un'azione del progetto "Generazioni Solidali" piena di significato e frutto di un lavoro che ha coinvolto le associazioni di volontariato: Avulss Rimini, Alzheimer Rimini, Auser Rimini, Donarsi, Madonna della Carità, Pedalando e Camminando, La Roverella, Uildm, sezione di Rimini, Laboratorio Solidale. Vicenza: i carcerati vanno in cattedra e fanno lezione contro bullismo e devianza di Pio Brotto Il Gazzettino, 18 marzo 2015 "Accanto all'educazione al sapere, si collocherebbe l'educazione alla legalità poiché oggi più che mai le regole e le norme sociali fanno parte del nostro bisogno di apprendimento". È una delle tante considerazioni per cui è stata voluta la presenza del criminologo Alessia Milani in 25 classi, nelle quarte e quinte elementari e seconde e terze medie dell'Istituto comprensivo. Si tratta di uno dei primi esempi nel Veneto, in un momento in cui la scuola è molto interessata a fenomeni comportamentali negativi quali il bullismo o altre forme di devianza. Il tutto è partito da un incontro tra Lino Bordignon, presidente dell'associazione "Le Giare", il dirigente scolastico Chiara Riello e la criminologa Alessia Milani. "Per affrontare le spese, abbiamo presentato il progetto "Legal-mente" al Centro servizi per il volontariato - spiega Lino Bordignon - da cui abbiamo ottenuto un contributo, noi abbiamo messo la nostra parte e così siamo passati alla fase operativa". "La nostra scuola - aggiunge la preside Chiara Riello - non è diversa dalle altre scuole del Bassanese, ci sono situazioni buone, altre da correggere. Questo progetto di lotta al bullismo e alle devianze è ben strutturato, ci è piaciuto fin da subito, ma la scuola è alle prese con le ristrettezze economiche. Abbiamo però ottenuto la collaborazione anche dell'amministrazione comunale". "Il mio progetto - spiega la Milani - si impegna a portare i detenuti nelle scuole, con il duplice scopo di far conoscere agli alunni certe realtà e certe tematiche e nello stesso tempo mettere in relazione i detenuti con il normale mondo esterno: vi assicuro che i risultati, in altre esperienze già collaudate, sono stati positivi per i due soggetti interessati". Una ventina le classi interessate, con oltre 450 alunni, una quarantina di insegnanti impegnati in attività trasversali e il progetto si concluderà nei primi mesi del prossimo anno scolastico. "Con questa attività - conclude la dirigente Riello - vogliamo che i nostri ragazzi arrivino a formare un proprio pensiero critico promotore di azioni meditate e di una condotta pro-sociale. In questo nostro impegno è richiesta la collaborazione oltre dei ragazzi con i loro insegnanti, pure delle famiglie. I ragazzi sono entusiasti delle attività, sia perché partecipano attivamente, sia perché sperimentano pratiche di simulazione e di riflessione". Imperia: impedito al Consigliere regionale Scajola (Fi) e al Sappe di visitare il carcere www.sanremonews.it, 18 marzo 2015 "E questo nonostante l'autorizzazione preventiva al Ministero della Giustizia (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) fosse pervenuta alla Direzione del carcere per tempo, fermo restando che i Consiglieri Regionali possono, per legge, visitare le carceri senza alcun tipo di autorizzazione". Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe denuncia una grave violazione delle prerogative sindacali subìta ieri a Imperia: "Nel carcere di Imperia è stato impedito ad una nostra delegazione, accompagnata dal Consigliere Regionale di Forza Italia Marco Scajola, la visita della struttura detentiva. E questo nonostante l'autorizzazione preventiva al Ministero della Giustizia (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) fosse pervenuta alla Direzione del carcere per tempo, fermo restando che i Consiglieri Regionali possono, per legge, visitare le carceri senza alcun tipo di autorizzazione". "Un fatto gravissimo - prosegue il Sappe - di cos'ha paura il direttore del carcere, che per altro gestisce anche il carcere di Sanremo da quasi trent'anni? Ebbene, il giorno della programmata visita del Sappe in carcere non c'era né Direttore, né vice direttore, né Comandante di Reparto. Abbiamo subìto una intimidazione inaccettabile, rispetto alla quale chiediamo che il Ministro della Giustizia Andrea Orlando disponga una urgente visita ispettiva e, se accertate le responsabilità del direttore, anche l'avvicendamento alla guida sia del carcere Imperia che di quello di Sanremo". Il Segretario Generale del Sappe, Donato Capece, prosegue: "Non a caso, sia Imperia che Sanremo sono penitenziari che risentono di una impostazione e di una organizzazione datata, che si limita a gestire l'ordinario, senza alcuna concreta innovazione in termini sia di sicurezza che di trattamento rieducativo, a tutto discapito delle condizioni di detenzione e lavorative dei baschi azzurri. Se il carcere va avanti, è solamente grazie ai poliziotti penitenziari che lavorano con professionalità, umanità e competenza davvero encomiabili". Immigrazione: per il Viminale i Cie si possono sostituire… ma con uno strumento simile Public Policy, 18 marzo 2015 Il superamento dei Cie, i Centri di identificazione ed espulsione? "Si può meditare su una sostituzione con uno strumento che abbia lo stesso tipo di obiettivo e possa raggiungere lo stesso tipo di risultato". Lo ha detto il sottosegretario all'Interno, Domenico Manzione, rispondendo a un'interrogazione del Pd (risalente alla primavera scorsa) in aula alla Camera. "Attualmente - ha spiegato - non ci sono nei centri più di 400 persone e sul territorio nazionale, a parte i due siciliani, ne sono rimasti solo tre in funzione". Proprio "lo scarso afflusso di persone all'interno di questi centri e la loro dislocazione territoriale - ha aggiunto il rappresentante del Viminale - danno l'idea che si possa riflettere" su un superamento dei centri, "a condizione però che si capisca che il Cie rimane uno strumento che tende a evitare la confusione - che tanto stress provoca ai territori - tra chi ha diritto di asilo e chi no". Più in generale, il governo - e il Parlamento - si sono mossi "nella direzione di rendere il più possibile accoglienti, nel rispetto dei diritti umani, i centri in questione". Tra le problematiche maggiori, ha ricordato Manzione, il protrarsi della permanenza nei centri, "vissuto dagli immigrati con un senso di frustrazione" che può talvolta sfociare "in violenza o episodi di autolesionismo". Il sottosegretario ha ricordato come vadano nella giusta direzione, per migliorare il sistema, la legge 161 del 2004, il recente decreto Svuota carceri e il regolamento unico per il funzionamento dei centri. Droghe: il buon senso dell'antimafia di Sergio Segio Il Manifesto, 18 marzo 2015 C'è antimafia e antimafia, come ricorda spesso don Ciotti. Ce n'è una che fa della legalità un feticcio intangibile e un'altra che persegue il cambiamento, anche delle leggi ingiuste. C'è quella che si affida alla tortura del 41 bis e dell'ergastolo ostativo e quella che vorrebbe si investisse su cultura, educazione, politiche sociali, responsabilità della politica. C'è l'antimafia delle passerelle e quella del buon senso. Quest'ultima, con la recente Relazione della Dna di Franco Roberti, ha battuto un colpo. Tanto più significativo data la fonte, certo non sospetta di "permissivismo" o di "cultura dello sballo", per usare gli epiteti con cui i tifosi della "war on drugs" usano stigmatizzare chi non fa della tolleranza zero verso i consumatori di sostanze una crociata. La Relazione annuale (datata gennaio 2015 e relativa al periodo 1° luglio 2013-30 giugno 2014), nel capitolo relativo alla criminalità transnazionale e al contrasto del narcotraffico, giustamente prende le mosse dalla dimensione statistica. Va detto che i numeri di riferimento, di fonte Unodc, non sono freschissimi (2010-11, marginalmente 2012) e anche ciò è indicativo di come all'enfasi allarmistica di organismi Onu non corrisponda poi uno sforzo adeguato e tempestivo di monitoraggio, né una sufficiente esaustività: per quanto concerne le droghe sintetiche, definite "fenomeno in grande espansione che rappresenta la nuova frontiera del narcotraffico", la Relazione Dna afferma che "né l'Unodc né altri organismi internazionali dispongono di dati sicuri". Ma, al là delle cifre e sia pure a partire da esse, la Relazione è netta nella valutazione: ritenere che il traffico di droghe "riguardi un popolo di tossicodipendenti, da un lato, e una serie di bande criminali, dall'altro, è forse il più grave errore commesso dal mondo politico che, non a caso, ha modellato tutti gli strumenti investigativi e repressivi sulla base di questo stolto presupposto". Si tratta, invece, di fenomeno che riguarda e attraversa l'intera società, la sua economia, la totalità delle categorie professionali. Dunque, ne consegue, irrisolvibile con lo strumento penale. Per quanto riguarda l'Italia, e in specie le droghe leggere, i ricercatori della Dna scrivono di un "mercato di dimensioni gigantesche", stimato in 1,5-3 milioni di chili all'anno di cannabis venduta. Una quantità, viene sottolineato, che consentirebbe un consumo di circa 25-50 grammi pro capite, bambini compresi. Coerente la conclusione: "senza alcun pregiudizio ideologico, proibizionista o anti-proibizionista che sia, si ha il dovere di evidenziare a chi di dovere, che, oggettivamente si deve registrare il totale fallimento dell'azione repressiva". Nel caso si volesse continuare a fare al riguardo come le tre proverbiali scimmiette, la Relazione non si sottrae dall'indicare esplicitamente, pur nel rispetto dei ruoli, la strada: "spetterà al legislatore valutare se, in un contesto di più ampio respiro (ipotizziamo, almeno, europeo ) sia opportuna una depenalizzazione della materia". Inutile dire che la Relazione è rimasta sinora priva di risposte da "chi di dovere". La decennale pervicacia dell'ideologia repressiva, e del connesso grumo di interessi, che condiziona i governi di diverso colore e che ha prodotto, o tollerato, l'obbrobrio della legge incostituzionale Fini-Giovanardi, è dura da estirpare. Ma il buon senso e i fatti hanno la testa dura: il muro criminogeno del proibizionismo si sta sgretolando in più di un paese, come ha riepilogato qui Grazia Zuffa ("il manifesto" dell'11 marzo 2015). Verrà il momento anche dell'Italia, dove ancora, come diceva il compianto Giancarlo Arnao, è proibito capire. Gambia: liberato Sandro De Simone, il marittimo italiano detenuto a Banjul dal 2 marzo Ansa, 18 marzo 2015 È stato liberato Sandro De Simone, il capitano del peschereccio Idra Q arrestato lo scorso 2 marzo in Gambia (dopo dieci giorni di fermo) per presunte irregolarità riscontrate nelle reti da pesca. La notizia della liberazione è stata resa nota dalla società armatrice Italfish. In precedenza, lo scorso 9 marzo, era stato rilasciato il direttore di macchina Massimo Liberati. Secondo alcune fonti, la liberazione sarebbe stata possibile dietro pagamento di una cauzione da parte della stessa società armatrice. Brasile: sommosse nelle carceri del Rio Grande do Norte, dichiarato lo stato di calamità Ansa, 18 marzo 2015 Il governo dello Stato brasiliano del Rio Grande do Norte (nord-est) ha dichiarato oggi lo stato di calamità a causa dell'ondata di ribellioni di detenuti in corso da una settimana in vari carceri della regione. Lo rende noto Agencia Brasil. Nel firmare il decreto, il governatore Robinson Faria ha determinato anche la creazione di una task-force "per la pianificazione ed esecuzione di misure urgenti", come la riforma degli edifici parzialmente distrutti nelle sommosse. "Abbatteremo le sbarre di tutte le prigioni del Rio Grande do Norte", hanno minacciato i reclusi, con il volto coperto, in un video trasmesso sul web. Secondo le autorità, sono state demolite un migliaio di celle nei presidi di Alcacuz, Parnamirim e della capitale Natal. Arabia Saudita: pena di morte, eseguite altre tre condanne capitali Aki, 18 marzo 2015 Tre detenuti che si trovavano nel braccio della morte in Arabia Saudita sono stati decapitati questa mattina in tre diverse carceri del regno, dove quest'anno si registra un preoccupante aumento del numero di esecuzioni di condanne a morte. Il ministero dell'Interno, come riporta l'agenzia di stampa ufficiale saudita Spa, ha reso noto che a Medina è stata eseguita la condanna comminata al pakistano Mumtaz Hussein Deen Ahmed, condannato per spaccio di eroina. A Taif e nell'est del regno, invece, sono state eseguite le condanne comminate ai sauditi Najr bin Faraj al-Azmi al-Otaibi e Moeid bin Ali bin Moeid al-Saad al-Qahtani, entrambi condannati per omicidio. Lo scorso anno in Arabia Saudita sono state eseguite almeno 78 condanne a morte. Omicidio, stupro, apostasia, rapina a mano armata, oltre al traffico di droga, sono i reati che nel Paese vengono puniti con la pena di morte. Svizzera: strutture carcerarie, implementate le nuove misure di organizzazione interna www.gdp.ch, 18 marzo 2015 Prosegue la riforma interna delle carceri: semplificata la gerarchica, maggiori responsabilità per il personale di custodia e approvata la riorganizzazione della Centrale operativa. Il Dipartimento delle istituzioni e la Direzione delle Strutture carcerarie proseguono nella realizzazione delle raccomandazioni suggerite dalla ditta di consulenza esterna che nel 2013 ha presentato l'audit sul settore dell'esecuzione delle pene e delle misure. Le misure ad oggi implementate grazie anche all'impegno e alla professionalità di tutto il personale, hanno toccato aspetti legati all'operatività delle Strutture carcerarie, dall'organizzazione ai processi lavorativi fino alla conduzione e alla gestione delle risorse umane. Su quest'ultimo punto, è da salutare positivamente il buon clima di lavoro e l'incrementata soddisfazione del personale, instauratisi nell'ultimo anno: indicatori importanti del livello di motivazione. Di recente, la Direzione delle Strutture carcerarie, con il sostegno del Dipartimento, ha avviato una revisione della struttura organizzativa interna dell'apparato carcerario ticinese. La riforma interna prevede in particolare di semplificare la via gerarchica avvicinando la dirigenza ai collaboratori oltre che di ridefinire i compiti e le responsabilità del personale con funzioni di conduzione. In particolare, coerentemente con l'intendimento di responsabilizzare il personale di custodia, la gestione delle singole strutture è stata demandata direttamente al corpo uniformato. Il personale amministrativo è stato spostato da posizioni direttive a mansioni proprie di uno stato maggiore, con il compito di gettare le migliori premesse per chi opera al "fronte". Durante lo scorso mese di febbraio il Governo ha inoltre approvato la riorganizzazione della Centrale operativa. Centrale che ricopre un ruolo fondamentale all'interno delle Strutture carcerarie per il controllo, la sicurezza e l'accesso al carcere. In questo senso è prevista l'assunzione di cinque nuovi operatori, che saranno assunti facendo capo anche a profili di persone senza occupazione segnalati dagli Uffici regionali di collocamento. Alcuni degli agenti di custodia che attualmente collaborano nella Centrale operativa potranno così riprendere a svolgere compiti di sorveglianza. La riorganizzazione delle Strutture carcerarie segue quindi il suo corso, secondo le priorità d'implementazione delle raccomandazioni definite in base ai tempi, ai costi e alla loro complessità. I risultati positivi ottenuti in quest'ultimo anno, hanno permesso un miglioramento importante dell'operatività delle nostre carceri, a beneficio della sicurezza. Myanmar: cittadino neozelandese condannato a 2 anni e mezzo per "oltraggio a Buddha" Askanews, 18 marzo 2015 Due anni e mezzo di carcere per un'immagine pubblicata su Facebook. Un cittadino neozelandese e due suoi colleghi birmani sono stati condannati a due anni e mezzo di prigione, con lavori forzati, in Myanmar per avere insultato la religione buddista, utilizzando un'immagine del Buddha per fare pubblicità al loro bar. Il giudice ha stimato che il neozelandese, Philip Blackwood, ha intenzionalmente "voluto insultare le credenze religiose" in Myanmar con questa immagine pubblicata su Facebook che rappresenta il Buddha con delle cuffie. Questa pubblicazione ha suscitato forti reazioni sui social network in un Paese che vive un momento di grande crescita del nazionalismo buddista. I tre condannati, detenuto dal mese di dicembre in una prigione di Rangoon, sono stati condannato a due anni di carcere per "oltraggio alla religione" e ad altri sei mesi di prigione disturbo dell'ordine pubblico.