Giustizia: "Oltre quei tre metri quadrati", ecco l'XI Rapporto dell'Associazione Antigone di Carmine Saviano La Repubblica, 17 marzo 2015 Numeri e documenti. Casi di suicidi e torture, di successi rieducativi. Viene presentato a Roma l'undicesimo rapporto che l'associazione Antigone dedica al sistema carcerario italiano. Un appuntamento annuale imprescindibile per gli addetti ai lavori e per chi vuole gettare il primo sguardo nelle celle degli istituti penitenziari. Una mappa della marginalità che disegna tutto lo spazio, materiale e immateriale, in cui vive - e più spesso in cui sopravvive - un detenuto. Tutto quello che si muove dentro e intorno a quei pochi metri quadrati. Dentro e intorno a quello spazio occupato dai 53.982 detenuti che al 21 febbraio 2015 sono censiti nelle carceri italiane. Numeri e documenti. Casi di suicidi e torture, di successi rieducativi. Viene presentato domani a Roma "Oltre i tre metri quadri", l'undicesimo rapporto che l'associazione Antigone dedica al sistema carcerario italiano. Un appuntamento annuale oramai imprescindibile per gli addetti ai lavori e per chi vuole gettare il primo sguardo nelle celle degli istituti penitenziari. Una mappa della marginalità - accompagnata dal web documentario Inside Carceri - che disegna tutto lo spazio, materiale e immateriale, in cui vive - e più spesso in cui sopravvive - un detenuto. Più detenuti che posti regolamentari. Quasi 54mila persone al 21 febbraio. Qualche centinaio in più rispetto al 31 dicembre 2014 (erano 53.623) ma circa 8mila in meno rispetto al 2013. I numeri nudi e crudi sono questi. Da inserire all'interno di un contesto che ne segnala. Però, la gravità. Perché i posti regolamentari sono solo 49.943. Ovvero: nelle carceri italiane è presente un sovraffollamento del 108%. Ci sono 108 detenuti per ogni cento posti letto. E si tratta di un dato che non tiene conto delle strutture attualmente chiuse per lavori. In questo caso l'indice di sovraffollamento raggiunge il 122%. Numeri che portano l'Italia ben lontano dalla media europea. Il nodo della custodia cautelare. I dati confermano, inoltre, che oggi non esiste nessun legame tra tasso di detenzione e tasso di delittuosità. Percentuali che non sono inversamente proporzionate. Il "carceri piene, strade sicure", insomma è solo uno slogan privo di efficacia. I due numeri calano entrambi. Mentre resta molto alta la percentuale dei detenuti in base a misure di custodia cautelare. In Italia sono il 34,8%. E, ancora, la media europea è molto più bassa: nei paesi dell'Unione ci si attesta intorno al 21%. Un gap che, secondo Antigone, "va recuperato riducendo l'impatto della custodia cautelare che va del tutto residuata". Quali reati? E cambia anche la qualità dei reati. Quelli contro il patrimonio ascritti alla popolazione detenuta sono stati, nel 2014, 30.287, ovvero il 24,1% del totale. Poi i reati contro la persona pari a 22.167 ovvero il 17,7%. Quelli in violazione della legge sulle droghe sono pari a 18.946 ossia il 15,1% del totale. Questi ultimi erano 26.160 nel 2012 e 28.199 nel 2010. In quattro anni, insomma, c'è stato un calo di ben 9.253 imputazioni per motivi di droga. "Ciò è esito della abrogazione della legge Fini-Giovanardi da parte della Corte Costituzionale", il commento dell'associazione. Gli stranieri. Tra la popolazione carceraria, la percentuale di stranieri è del 32%. In Europa ci si ferma al 14%. Secondo Antigone, quindi, "non sono giustificati gli eccessivi allarmismi e le conseguenti spinte xenofobe che pure sono presenti in molti paesi Ue". E le nazionalità più rappresentate sono il Marocco, la Romania, l'Albania, la Tunisia, la Nigeria, l'Egitto, l'Algeria, il Senegal, la Cina, l'Ecuador. Poi le donne, che rappresentano il 4,3% della popolazione detenuta. Tra i nati in Italia, invece, la maggior parte proviene dalla Campania (19,01%), dalla Sicilia (13,08%), dalla Calabria e dalla Puglia (entrambe 6,96%). Le regioni meno rappresentate sono la Valle d'Aosta (0,02%), il Molise (0,17%) e il Trentino Alto Adige (0,18%). I minorenni. Altro capitolo, quello che riguarda i minori. I detenuti presenti negli Istituti Penali per Minorenni al 28 febbraio 2015 sono 407, di cui 168 (il 41,3%) stranieri. Tra i detenuti presenti, 175 non avevano una sentenza definitiva, vale a dire circa il 43% del totale. Solo 24 le donne. Roma (58 presenze), Catania (50), Milano (48) e Nisida (45) gli istituti per minori più popolosi. Potenza e Quartucciu (Cagliari), entrambi con 7 detenuti, i meno popolosi. Unico istituto interamente femminile è Pontremoli, con 11 ragazze presenti al 28 febbraio. Carcere duro. Il numero dei detenuti sottoposti al 41 bis è pari a 725. Le donne sono otto. Solo uno è straniero. Sono ristretti in 12 Istituti, e il carcere di L'Aquila è completamente dedicato a questo regime. 648 sono stati condannati per associazione di tipo mafioso mentre 414 sono in attesa di giudizio. Gli affiliati a cosa nostra sono 210, quelli della camorra 294, 135 quelli della ‘ndrangheta. Ventidue quelli della sacra corona unita. I detenuti ritenuti esponenti di associazioni di tipo terroristico sono tre. La chiusura degli O.P.G. Tra le scadenze, quella del 31 marzo prossimo. In quel giorno, infatti, scade il termine per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (O.P.G.). Ovvero di quelle strutture che il presidente Napolitano, valutando il lavoro della Commissione d'Inchiesta per l'Efficacia e l'efficienza del Servizio Sanitario nazionale definì "estremo orrore, inconcepibile in qualsiasi paese appena civile". E non è ancora chiaro se la chiusura sarà graduale o meno. I suicidi. E se nel rapporto di Antigone grande spazio è dedicato alle misure alternative al carcere, non mancano, purtroppo, i numeri dell'orrore. Perché quella dei suicidi in carcere "rimane una delle principali patologie del sistema penitenziario italiano". Dall'incapacità di intercettare la disperazione fino alla scarsa attivazione di programmi di prevenzione del rischio. Dall'inizio del 2015, i suicidi sono stati nove. E nel 2014 sono stati 44 i detenuti che si sono tolti la vita nelle carceri italiane. Dunque la media di suicidi ogni 10 mila detenuti è pari al 7,7%. Una percentuale superiore alla media europea che è invece del 5,4%. Ma ben inferiore al 14,4% della Francia, alle percentuali superiori al 10% di Svezia e Norvegia, all'8,2% della Germania. Giustizia: presentato oggi il nuovo Rapporto di Antigone… che porta buone notizie di Susanna Marietti Il Fatto Quotidiano, 17 marzo 2015 Abbiamo appena presentato il nuovo Rapporto annuale sulle carceri dell'associazione Antigone. Il Rapporto è il frutto del lavoro del nostro Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione in Italia, una struttura nata nell'ormai lontano 1998 con caratteristiche decisamente pionieristiche. Quell'anno, infatti, l'allora capo delle carceri italiane - Alessandro Margara, un magistrato di sorveglianza con un'idea della pena aperta e rispettosa dei diritti di tutti - rispose affermativamente a una nostra richiesta che probabilmente in molti avrebbero rifiutato (e in molti hanno rifiutato in giro per l'Europa a organizzazioni analoghe alla nostra): potevamo entrare a vedere le carceri con i nostri occhi? Potevamo monitorare di persona la vita interna e raccontare all'eterno cosa succede oltre quel muro? Margara autorizzò alcune decine di osservatori di Antigone a visitare le carceri del Paese con prerogative analoghe a quelle che la legge conferisce ai parlamentari. Le prigioni devono essere luoghi aperti e trasparenti, l'amministrazione penitenziaria non deve avere nulla da nascondere: questa la filosofia dietro quelle autorizzazioni. Dal 1998 giriamo per le carceri italiane. Ogni anno pubblichiamo un Rapporto nel quale raccontiamo e tentiamo di interpretare quel che abbiamo visto. Da due anni entriamo in galera anche con le telecamere, così da raccontare meglio la nostra osservazione. Oggi pubblichiamo l'undicesimo Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia. E cosa ci dice questo Rapporto? Che in carcere si sta meglio di quanto non si stesse due Rapporti fa. Che le riforme fatte per rispondere alla condanna dell'Europa sono servite a qualcosa. Che non bisogna fermarsi, perché c'è ancora tanto da fare per garantire a chiunque quei diritti che non si possono togliere a nessuno, libero o detenuto che sia: il diritto alla salute, all'istruzione, alle relazioni affettive. E ci dice inoltre che la diminuzione del numero dei detenuti non ha portato a un aumento dei reati commessi. Tutta quella gente che abbiamo messo fuori tra le grida di chi urlava allo svuota-carceri e alle città far west non è corsa a perpetrare delitti. Al 28 febbraio 2015 i detenuti erano 53.982. Alla fine del 2011, anno nel quale sono stati presi i primi provvedimenti a scopo deflattivo, erano 66.897. In tre anni sono scesi di 12.915 unità. Nel 2014, gli ingressi in carcere dalla libertà sono stati 50.217. Nel 2008, in piena ondata securitaria e con Roberto Maroni al Ministero degli Interni, sono stati ben 92.800. In sei anni, 42.683 in meno. Una diminuzione dovuta alle modifiche alla legislazione sugli stranieri e alle nuove norme in materia di arresto e di custodia cautelare. Ma il calo della popolazione detenuta non ha prodotto un aumento della criminalità esterna, smentendo tutti coloro che vogliono imporre il nesso ‘più criminali in carcere, meno reati fuorì. I delitti, nella fase storica del decongestionamento carcerario, sono diminuiti. Nel 2014 l'indice di delittuosità è diminuito nell'insieme del 14%. Gli omicidi sono scesi dell'11,7%, le rapine del 13%, i furti dell'1,5%. I detenuti scarcerati non hanno commesso crimini che hanno messo a rischio la sicurezza esterna. Cosa pensare? Forse che in galera, tra quelle persone poi liberate, non c'erano solo efferati criminali pronti alla recidiva, bensì in grande parte persone - principalmente, come i dati mostrano, immigrati e consumatori di droghe arrestati con un po' troppa leggerezza - certo con problemi di carattere sociale ma privi di una spiccata natura criminale. E allora la domanda resta questa: vogliamo cercare di usare un po' meglio la galera e il sistema delle pene? Giustizia: Mattarella nega la grazia. Il Ministero: verificate che il detenuto sia ancora vivo di Stefano Capasso www.blogosfere.it, 17 marzo 2015 Grazia negata da un detenuto malato. Il Ministero della Giustizia: "Verificate che sia ancora in vita prima di notificargli la responso". Il Presidente della Repubblica ha respinto una domanda di Grazia presentata da un detenuto, che aveva chiesto di concludere anticipatamente la propria detenzione per motivi di salute. Il Ministero della Giustizia, come da prassi in questi casi, ha notificato la decisione presa al magistrato di sorveglianza, al procuratore generale della Corte d'Appello ed anche al Penitenziario di Bologna presso il quale il domandante stava scontando la sua pena. E fin qui niente di strano. La singolarità sta in una richiesta fatta dal Ministero della Giustizia ai tre destinatari della sua missiva. Prima di notificare la domanda rifiutata, infatti, si suggeriva di verificare che il detenuto fosse ancora in vita: "Si comunica che il Presidente della Repubblica non ha concesso la grazia. Si prega di dare notizia del disposto rigetto assicurando con sollecitudine questo ministero. Al riguardo al fine di corrispondere a conforme richiesta della stessa presidenza della repubblica, si prega di voler istruire il personale procedente affinché quest'ultimo provveda ad assicurarsi, anche nelle vie brevi, circa l'esistenza in vita del condannato". La motivazione è semplicissima: evitare situazioni di imbarazzo, magari notificando alla famiglia la grazia negata dopo la morte del loro caro: "previamente alla formale notifica del rigetto, onde prevenire il verificarsi di evidenti situazioni di imbarazzo". Sembra quasi uno scherzo, ma la vicenda è verissima. A rendere pubblico questo documento scottante è stata l'agenzia di stampa Dire che ovviamente non ha rivelato la sua fonte. L'agenzia ha anche potuto appurare che il detenuto in questione sia ancora in vita e stia ancora scontando la sua pena nel carcere de "La Dozza". Viene da domandarsi perché il Presidente della Repubblica abbia respinto una Domanda di Grazia arrivata da un detenuto del quale il Ministero stesso non poteva escludere che il decesso fosse già avvenuto, evidentemente a ragion veduta perché in questi casi vengono recapitate anche le cartelle cliniche. Una riflessione in un caso come questo è d'obbligo partendo dall'etimologia della parola giustizia, che deriva dal latino iustus (giusto). Per cui noi a questo punto chiediamo: è giusto che un detenuto, evidentemente arrivato alla fine della propria vita a causa di una malattia terminale, muoia in una cella di un carcere oltretutto sovraffollato? E ancora: indipendentemente dagli errori che ciascuno ha commesso nella propria vita, non sarebbe più umano consentire a tutti di morire con dignità nel proprio letto di casa? Questa più che giustizia sembra vendetta. Ci auguriamo dunque che adesso sia il magistrato di sorveglianza a porre rimedio a questa situazione dimostrando umanità. Giustizia: sui "rimedi risarcitori" serve udienza camerale, non provvedimento de plano Ristretti Orizzonti, 17 marzo 2015 Cassazione penale, Sez. I, Sentenza, n. 10339, pronuncia 11/03/2015, deposito 20/02/2015. Pronunciandosi su una vicenda in cui un detenuto aveva presentato inutilmente reclamo al magistrato di sorveglianza sostenendo di essere stato ristretto in una cella avente uno spazio complessivo inferiore agli 8 mq, con una sola finestra, con servizio igienico annesso privo di finestra e per essere stato associato con altri detenuti, la Cassazione, con la sentenza n. 10339/2015, ha affermato che il magistrato di sorveglianza non deve dichiarare, con provvedimento emesso de plano, l'inammissibilità del ricorso con cui si denunziano comportamenti lesivi di diritti del detenuto tutelabili giurisdizionalmente e si richieda il ristoro dei danni asseritamente subiti a causa del sovraffollamento carcerario, ma ha l'obbligo di decidere all'esito di fissazione dell'udienza in camera di consiglio. Giustizia: verso la chiusura degli Opg, gli ultimi giorni dei manicomi giudiziari di Carmelo Caruso Panorama, 17 marzo 2015 Viaggio nell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario più grande d'Italia, Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, a pochi giorni dalla soppressione. Impazziscono in prigione e rinsaviscono in manicomio. Non è un lager e non si applica la tortura, nel carcere psichiatrico di Barcellona Pozzo di Gotto, a pochi chilometri da Messina, "il più grande d'Italia, e sicuramente, in passato, il più affollato d'Europa", suggerisce Nunziante Rosania, direttore dall'1989, un fisico da gigante buono campano che ci ha vissuto all'interno per anni come facevano i vecchi alienisti. Arroventata, ma discreta c'è qui la casa modello di cui può vantarsi il nostro sistema penitenziario, l'eccezione alla crudeltà delle galere. "Non è stato un carcere, ma un luogo spazzatura, una discarica molto visitata. Politici ne sono venuti, ne vengono sempre, come se questo fosse un giardino zoologico…" rimprovera il direttore. E a volte anche lui dice di sentirsi in proroga come questi ospedali (sono sei in Italia) sempre chiusi per legge ma riaperti per decreto, oggi vicinissimi alla futura estinzione, già prevista per il 1° aprile di quest'anno, in passato sempre posticipata per l' impreparazione di Stato e Regioni. Oggi gli internati in tutta Italia sono 793, di questi 476 possono essere dimessi. E come sempre avviene nella transizione che anticipa la scomparsa, i manicomi giudiziari sperimentano la felice armonia di fine epoca, il valzer di liberazione. A Barcellona la malattia sembra finalmente evasa dall'architettura tanto che il ciclope che lo dirige deve quasi ricordare che questo ospedale rimane un carcere, con i suoi padiglioni (adesso solo quattro aperti degli otto costruiti nel 1925) protetti da mura di cinta e da pesanti cancelli smaltati di blu fresco, il blu dell'astrazione del pittore surrealista Salvador Dalì, il blu della canzone: "È venuto anche Domenico Modugno a farci visita quando era già segnato dalla malattia. Veniva anche quella splendida voce siciliana, Rosa Balestrieri, a cantare e visitare il cognato che aveva strangolato la sorella della cantautrice". Lungo i cortili si annusa il sonno impastato con pene e medicine, ma è autentica la serenità emanata dagli alberi di limoni e mandarini che fanno adesso ombra a un detenuto a colloquio. I familiari possono entrare tre volte a settimana, spiega il sovraintendente di polizia, Vito Fazio, ancora provato dal verdetto severo che espresse la commissione parlamentare guidata nel 2011 dall'allora senatore Ignazio Marino: "Disse che c'era un olezzo nauseabondo. Lo sente l'olezzo?". I padiglioni sprigionano odore di sapone merito di Salvatore Casalnuovo, detenuto, 26 anni, di Termini Imerese: "Resistenza a pubblico ufficiale, tentato omicidio. Oggi mi occupo di pulizie in carcere. Sogno la comunità". E Salvatore esibisce un foglio che invece lo obbliga a restare, una bocciatura che qui chiamano "stecca", si appella per far rivedere il giudizio, testimonia la sanità: "Sono pronto, è arrivato il momento. Mi mandi via, mi mandi, la prego". Il direttore dice che il momento del congedo si comprende facilmente: "Solo nell'ultimo anno sono andati via in 240". Oggi a Barcellona gli internati sono 168 e di questi solo 18 hanno commesso omicidi, altri sono intanto impazziti in carcere e spediti qui a guarire, altri ancora sono detenuti per reati bagatellari, come Paolo che nel 1993 simulò una rapina con il dito in tasca, una rapina di settemila lire. È rimasto qui vent'anni, da dimesso bussa e chiede di rientrare. Ci sono stati i simulatori? "Eccome. Erano i mafiosi che si facevano internare per ottenere gli sconti di pena. Qui sono stati rinchiusi Tommaso Buscetta, Gaetano Badalamenti, Frank Coppola, il boss Stefano Bontade, il figlio di Nitto Santapaola, ma c'è stato anche il primo "vero" pentito di mafia, Leonardo Vitale", dice Rosania che parla di "grande armistizio", il momento più triste di questa istituzione perché "fu un'utilizzazione spuria e l'ospedale mostrò tutta la sua inadeguatezza". Ma adesso, nel padiglione numero 8, che ospita 80 detenuti, si riconosce solo la pancia gonfia del criminale solitario e non dell'affiliato. I visi sono tutti unti e affaticati sotto i soffitti bassi e caldi, anche se rinfrescati dal vento, da queste parti chiamato "cavaliere", che si insinua e che penetra nelle stanze e per i letti, sei letti per stanza, sformati dai corpi. Vestiti con pantaloni corti e canottiere larghe, i detenuti sembrano i turisti della vicina Milazzo, sono spaesati come i crocieristi, i confusi per eccellenza, i senza luogo e senza ruolo. E tutti hanno occhi di vetro stravolti e saettanti come quelli di Salvatore Nunnari, sicuro dell'uscita: "Ho picchiato mia moglie, mia sorella. Ma ho capito. Ormai c'è la cura". La "cura" che ha soffocato i deliri, erede del Largactil, primo psicofarmaco, è deposta nei bicchierini che custodisce Maria Grazia Saporiti, una donna saracena dai capelli neri che staziona nell'ambulatorio. "Gli psicofarmaci ci hanno dato una grossa mano, ma non hanno risolto il disagio mentale. C'è della mitologia intorno a loro. In realtà alcuni detenuti non vengono sottoposti a cure farmacologiche di quel genere" precisa Rosania che invece duella con i guasti del vero carcere: "Cirrosi, problemi respiratori e cardiovascolari". E indica Mejri Sani, romeno ricoverato già tre volte in un ospedale civile da quando è arrivato in Sicilia, un uomo dal corpo butterato: "Mi chiamano "Rambo". Tentato omicidio. Questi me li sono fatti con una lametta in carcere a Lecce". Tutti gli internati portano rosari al collo che distribuiscono con prodigalità le suore, e sui capezzali ci sono gli ex voto, immagini di santi e madonne. A Barcellona è stato abolito il gergo della psichiatria che piaceva a Cesare Lombroso. Nel Padiglione n° 3, che un tempo sarebbe stato definito degli "aggressivi", si rinchiude la violenza cosmopolita, la confusione delle civiltà, gli avventori delle stazioni centrali, quelli che chiedono sempre una sigaretta. E tutti si disperdono dalle celle al passaggio del direttore, sciamano come api, vengono in processione, pretendono la carezza salvatrice, come questo giovinetto con gli stessi baffetti degli ambulanti del Bangladesh che picchettano gli incroci. "Si chiama Saiful Mehdi: è lui che ha ucciso il senatore Ludovico Corrao. Teme la chiusura dell'ospedale e l'ingresso in comunità, qui si è creato una nicchia" rivela Rosania. Saiful era il fedele bastone che amava Corrao, il domestico che una mattina d'agosto ha sgozzato con un coltello da cucina l'ultimo dei bizzarri siciliani, l'uomo che rifece a suo modo Gibellina, il conte dalle mille vite e dalle mille arti. "Il senatore era buono. Ma basta con il senatore" farfuglia prima di scappare. E assomiglia a un gatto che si nasconde tra gli spigoli della stanza per non farsi infastidire e molestare. "L'anno prossimo finirà in comunità" prevede il direttore incuriosito dal futuro che attende queste istituzioni: "Parliamo di ospedali che andavano chiusi negli anni ‘90. Le accuse che ci ha rivolto la commissione Marino sono servite a ricordarne l'esistenza. Questi ospedali sono sensori di civiltà. Dobbiamo giungere a piccole strutture con del personale più specializzato e trattare finalmente i detenuti come pazienti. A volte temo che si voglia sostituire il luogo e non il metodo". Ed è lo stesso timore che a chilometri di distanza esprime il professore Giandomenico Dodaro, che insegna diritto penale alla Bicocca di Milano: "Per la magistratura sono state soluzioni sbrigative, per i dipartimenti di salute mentale un carico troppe volte declinato solo per paura. C'è stata una mancanza di solidarietà tra giustizia e medicina". Eppure è forse merito di questo egoismo istituzionale e di questo interregno se, a Barcellona, si è potuto costituire all'interno dell'Opg, la cooperativa Astu che ha dato un lavoro ai detenuti, gestita dall'architetto Carmelo Puliafito, con officine di falegnameria, una piccola squadra di lavoratori edili e degli ottimi fabbri. Ed è ancora la provvidenziale impreparazione che ha reso possibile l'esperimento ambizioso, un reparto di custodia attenuata (in pratica senza agenti ma solo con personale sanitario) in una villa che il comune ha messo a disposizione con dodici posti letto, organizzata da Tommaso Bucca, un medico dai baffoni allegri, da 17 anni in servizio nel carcere giudiziario: "Da quest'ospedale ho visto passare i poveri cristi, i residui". Bucca fa vedere la prima vera struttura che dovrebbe sostituire il carcere giudiziario, la Rems, (Residenza per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria) che il ministro di Giustizia forse non sa di possedere, non il carcere coercitivo ma la casa umanitaria che porta il nome di Carmen Salpietro, ex vicedirettrice dell'opg scomparsa prematuramente. Qui i detenuti si muovono senza secondini, osservati solo da due infermiere, e la casa è interamente gestita dai reclusi stessi, a partire dalla cucina fino all'orto che cura Agostino Interlici di Vittoria: "Solo reati contro il patrimonio". Nella villa riposano i delitti contro la famiglia, l'assassino che fece strazio della madre: Giancarlo Aglieri di Piana degli Albanesi, figlio unico, trentanove coltellate nel 2009. Oggi lavora la ceramica nella comunità di padre Pippo Insana, sogna la Cecoslovacchia dopo la fine della pena: "Mi è rimasto solo uno zio. Forse un giorno ci andrò". Ed è aiuto cuoco, per tre giorni a settimana, Salvatore Di Dio, 54 anni, ex carabiniere, che uccise la madre nel 2006 a colpi d'ascia. Scrive sempre in stampatello, ora pensa a un romanzo, e pure Bucca, che annusa la malattia, si stupisce quando riascolta l'omicidio di quest'uomo e s'imbatte nella mitezza di oggi. Salvatore racconta che ha utilizzato parte del suo denaro per pagare i volontari e continuare così le uscite in paese: "Dal ministero per un periodo non arrivarono più soldi. Insieme a un altro detenuto abbiamo versato mille euro ciascuno. Ci siamo tassati per "evadere"". Giancarlo e Salvatore sono privilegiati? "Sono solo seguiti come è giusto che vengano seguiti dei pazienti. Hanno trovato la serenità che mancava negli opg: più è stretto l'ambiente più è facile la riabilitazione, l'uscita e la rinascita". Di sicuro nessuno riconoscerebbe la follia sanata, l'innocuo che fu omicida. Nel vecchio manicomio, tra le rovine dell'ospedale che sparisce, si celano i segni della detenzione gentile, l'utopia dell'evasione penitenziaria che è stata realizzata. Si avvia così a chiudere e spegnersi, per paradosso, l'unico carcere che funziona, il fortunato esperimento nato malgrado la dimenticanza e la tiepidezza del mondo di fuori. Giustizia: ddl prescrizione in Aula alla Camera. Renzi annuncia "termini raddoppiati" di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 17 marzo 2015 "Prescrizione raddoppiata per la corruzione" scrive su Twitter il premier Matteo Renzi, evidentemente sicuro di convincere l'alleato di governo Ncd a non opporsi all'aumento dei termini previsto dal ddl sulla prescrizione approdato ieri nell'Aula della Camera. Aumento limitato solo atre reati contro la pubblica amministrazione, corruzione propria, impropria, in atti giudiziari (restano fuori, tra l'altro, concussione, induzione, peculato), e pari alla metà dei termini attuali. Al "raddoppio" dì cui parla Renzi si arriverebbe con l'aumento della pena per questi tre reati, votato dalla commissione Giustizia del Senato nel ddl anticorruzione. Pertanto, se la modifica diventerà legge, la pena della corruzione propria aumenterà da 8 a 10 anni e il termine di prescrizione passerebbe da 10 a 20. Il condizionale è d'obbligo. Sia perché le due riforme (anticorruzione e prescrizione) sono legate a doppio filo sia perché l'aumento "della metà" ora previsto per quei tre reati è ancora appeso a un accordo di maggioranza che non c'è. Ned si oppone, come Forza Italia e si parla di un compromesso per ridurre l'aumento dalla metà a un terzo. Dunque, non più 20 anni, ma circa 18. Il tweet di Renzi, però, fa pensare alla soluzione più ampia. Il "raddoppio" della prescrizione per i reati di corruzione è stato auspicato nei giorni scorsi da Raffaele Cantone, presidente dell'Autorità anticorruzione, tanto più che la legge ex Cirielli del 2005 aveva, "dimezzato" i termini. Quindi non sarebbe un allungamento vero e proprio ma un "ritorno al regime ante 2005" aveva spiegato, ribadendo che la riforma della prescrizione "è una priorità a cominciare dai reati corruttivi". Cantone ha anche sollecitato un "tagliando" della legge Severino sia "sullo spacchettamento" della concussione, "che non sta funzionando)", sia sulla sospensione dalla carica di amministratore locale dopo una condanna di primo grado per abuso d'ufficio. Un intervento da introdurre nell'ambito di una "modifica complessiva sulla normativa, assolutamente necessaria". Il Pd però frena: "La modifica non è discussione di queste ore" taglia corto il capogruppo alla Camera Roberto Speranza. Il governo sembra orientato ad attendere il verdetto della Consulta, previsto per aprile, prima dì rimettere le mani su questo capitolo. Quanto allo spacchettamento della concussione, non è nell'agenda né dell'Esecutivo né del Senato. I 6 articoli sulla nuova prescrizione (si comincerà a votare solo dalla prossima settimana) sono frutto di un delicato compromesso nella maggioranza. Il ddl del governo si limitava a sospendere i termini per due anni, dopo la sentenza di condanna in primo grado, e per un anno, dopo la condanna in appello (la sospensione non vale in caso di assoluzione). Ma è arrivato alla Camera quando in commissione era già stato presentato un testo con l'aumento dì un quarto per tutti i reati, senza distinzioni. Il governo ne ha chiesto la soppressione e da lì si è arrivati alla mediazione dei relatori di aumentare la prescrizione della metà per almeno tre reati contro la Pa su cui il governo ha dato parere favorevole. Ma al momento di votare il mandato ai relatori per l'Aula, l'Ncd si è smarcato, rivendicando gli accordi presi in precedenza. Forza Italia è nettamente contraria a ogni aumento dei termini, contro cui gli avvocati penalisti sono "in stato di agitazione". "Penso che il percorso più trasparente - dice la presidente della commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti - sia confermare l'aumento della metà; poi il Senato potrà ricalibrarlo una volta approvati gli aumenti di pena dei reati contro la Pa". Giustizia: ddl sul reato di Falso in bilancio, carcere fino a 8 anni per le società quotate di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 17 marzo 2015 Alla fine il Governo scopre le carte sulla riforma del falso in bilancio e deposita al Senato, in commissione Giustizia, l'emendamento al disegno di legge anticorruzione. "Alleluia", esulta il presidente del Senato, Pietro Grasso, che a inizio legislatura presentò il testo ora in discussione sul quale si innesta la proposta del ministero della Giustizia. E il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, riferendosi al complesso delle misure in discussione twitta: "Contro corruzione proposte governo: pene aumentate e prescrizione raddoppiata. E l'Autorità oggi è legge con presidente Cantone". Mentre, sul punto del falso in bilancio, il ministro Andrea Orlando, uscendo ieri sera dalla commissione sottolinea che "si è passati" da un reato di danno a un reato di pericolo con aumento delle pene. Ora, è la lettura del ministro, "siamo di fronte a un reato in grado di mordere il fenomeno": per Orlando il testo è equilibrato e incisivo per contrastare il fenomeno, "un testo che ha superato qualunque ipotesi di soglie di punibilità e che, pur accogliendo le osservazioni che arrivavano dal mondo delle imprese, non ha rinunciato all'impostazione di contrasto serio del fenomeno". Il testo sostituisce integralmente gli articoli 2621 e 2622 del Codice civile che disciplinano il reato e ne aggiunge due inediti. Diverse sanzioni, ma identica condotta penalmente rilevante nel caso il delitto sia commesso nell'ambito di una società quotata o non quotata. Quanto alle sanzioni, la maggiore articolazione riguarda le società non quotate, dove la reclusione sarà compresa tra un minimo di 1 e un massimo di 5 anni. Con la possibilità però di un abbassamento (6 mesi-3 anni) quando i fatti sono di modesta entità "tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta". Le medesime sanzioni ridotte si applicano poi, ed è una delle novità dell'ultimissima ora, quando il falso riguarda società non quotate che non superano i limiti dimensionali previsti dalla legge fallimentare (in sostanza si tratta di società dalle dimensioni assai contenute) e, in questo caso, la procedibilità è a querela della società stessa, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale. Ma, sempre per le società non quotate, l'emendamento prevede espressamente la possibilità di applicare la recentissima causa di non punibilità per tenuità del fatto, approvata la scorsa settimana dal Consiglio dei ministri e in attesa solo della pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale". Applicazione che è resa possibile proprio dal limite di pena a 5 anni che esclude però la possibilità di svolgere intercettazioni. L'archiviazione scatta quando per le modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo l'offesa è lieve e il comportamento non è abituale. Il ministero della Giustizia ha però voluto scrivere anche che il giudice dovrà valutare in maniera prevalente l'entità del danno provocato alla società, ai soci e ai creditori. Sul fronte delle società quotate, invece, è prevista la reclusione da un minimo di 3 a un massimo di 8 anni, senza la possibilità di applicare misure ridotte o forme di non punibilità. A questa conclusone porta la completa cancellazione delle soglie oggi previste dal Codice civile anche per le società quotate quando non c'è stato grave danno ai risparmiatori. Inoltre, alle quotate, quanto a trattamento sanzionatorio, sono parificate anche le società controllanti, quelle che fanno appello o gestiscono il risparmio pubblico, quelle che hanno fatto richiesta di ammissione a un mercato regolamentato italiano o Ue, quelle ammesse alla negoziazione in un sistema multilaterale italiano. Venendo agli altri elementi della fattispecie penale, entrambi i casi di false comunicazioni sociali (quotate e non quotate) vengono allineati con riferimento alla descrizione della condotta incriminata: entrambe le norme colpiscono, infatti, le falsità che hanno per oggetto l'indicazione di fatti materiali o l'omissione di fatti materiali rilevati. Un concetto, quello dei fatti materiali, che si sostituisce a quello delle informazioni, con l'intenzione di ridurre l'impatto del penalmente rilevante sul versante delle semplici valutazioni e che, sottolinea la relazione di accompagnamento all'emendamento, è mutuato dalla norma del Codice civile che punisce l'ostacolo all'esercizio delle funzioni dell'autorità di vigilanza. Sanzionando, poi, ogni condotta a titolo di delitto è cancellata del tutto l'ipotesi della contravvenzione che riduceva l'area dell'efficacia penale e, nello stesso tempo, è quasi del tutto ridotta la procedibilità a querela di parte che ora, insieme con la necessità del danno, limitava le chance di intervento della magistratura. Giustizia: ddl sul Falso in bilancio, ora c'è il testo del Governo. Grasso "Alleluja, alleluja" Il Corriere della Sera, 17 marzo 2015 "Alleluja, alleluja" ora c'è il testo sul falso in bilancio, commenta il presidente del Senato Pietro Grasso che all'alba della legislatura (primavera 2013) da semplice parlamentare presentò il ddl 19 anticorruzione. Le pene inasprite (da 3 a 8 anni per le società quotate, da 1 a 5 per le non quotate, con procedibilità a querela solo per le piccole imprese) e il ripristino per tutti del "reato di pericolo" sono il cuore del testo del relatore di maggioranza Nico D'Ascola (Ncd) - spolpato in corso d'opera delle parti riguardanti auto-riciclaggio e voto di scambio politico mafioso, già approvati in modo autonomo - che adesso arriva al giro di boa della commissione Giustizia del Senato, anche se l'approdo in Aula previsto per oggi slitterebbe alla prossima settimana. A meno che il presidente della commissione, l'azzurro Francesco Nitto Palma ("Non diciamo Alleluja, ma FI ha interrotto l'ostruzionismo), non si convinca a dare il via libera al ddl entro domani sera. La svolta, dopo mesi di attesa, è andata scena al piano ammezzato del Senato dove il governo, rappresentato dal Guardasigilli Andrea Orlando (Pd) e dal sottosegretario Enrico Costa (Ncd) ha presentato l'emendamento annunciato sul falso in bilancio. Che rimane, dunque, l'unico piatto forte della legge anticorruzione. "Contro corruzione proposte governo. Pene aumentate e prescrizione raddoppiata", ha scritto su Twitter il presidente del Consiglio Matteo Renzi, richiamando - nel giorno in cui da Firenze parte l'ennesima inchiesta sugli appalti per le grandi opere - anche la legge sui tempi del processo che proprio ieri ha fatto il suo debutto in Aula alla Camera dopo una lunga fase di attesa. Il ministro della Giustizia ha messo in campo tutte le su carte: "Habemus Papam", ha detto davanti alla porta della commissione quando gli hanno comunicato gli "Alleluja" lanciati dal presidente Grasso. Poi, nel merito dell'emendamento, il Guardasigilli ha aggiunto: "Siamo passati da un reato di danno a un reato di pericolo con aumento delle pene per cui direi che siamo difronte a un reato capace di mordere il fenomeno". Orlando ha poi voluto rivendicare l'equilibrio del testo: che ha superato qualunque ipotesi di soglia di non punibilità ma che, allo stesso tempo, ha lasciato la querela di parte e la valutazione del giudice sulla particolare tenuità del fatto per valutare gli illeciti riguardanti le piccole imprese. In questo modo il governo ha raccolto le osservazioni del mondo imprenditoriale senza rinunciare, ha osservato il ministro, "a un contrasto serio del fenomeno". Resta da vedere quale sarà ora l'atteggiamento di Forza Italia. Ieri pomeriggio il senatore azzurro Giacomo Caliendo - causa il ritardo degli aerei utilizzati dai colleghi del Pd Lumia e Filippin, che poi sono arrivati all'ammezzato trafelati e con i bagagli al seguito - avrebbe avuto la possibilità di bloccare i lavori della commissione chiedendo che si verificasse il numero legale. Così non è stato. E la seduta (sospesa per pochi minuti) è potuta continuare quando i banchi si sono riempiti . Se l'ostruzionismo di FI è rientrato, ci penseranno i grillini a mettersi di traverso. Il M5S ha proiettato una grande foto di un ministro Maurizio Lupi con la faccia interdetta nella sala Nassiriya del Senato e ha attaccato Renzi: "Dove è finito il "Daspo per i corrotti" che Renzi sbandierava e che poi ha fatto bocciare quando è diventato un nostro emendamento?", ha chiesto il capogruppo Andrea Cioffi. Sulla eventuale modifica della legge Severino, quella che ha determinato la sopensione dalla carica di sindaco dei condannati in primo grado De Magistris e De Luca, il governo con il sottosegretario Graziano Delrio ha detto che non se ne fa niente: tutto congelato fino alla sentenza della Consulta. Giustizia: inchiesta svela tangenti e favori sulle grandi opere, quattro arresti e 51 indagati di Marco Gasperetti Corriere della Sera, 17 marzo 2015 Per la Procura di Firenze, è la "cupola" dei grandi appalti pubblici: 51 indagati e 4 arresti, tra cui il super manager Ercole Incalza e l'imprenditore Stefano Perotti. Ma il caso è anche politico, per i presunti favori al figlio del ministro Lupi. Ci sono quasi tutte le grandi opere nel carnet della rete del presunto malaffare: dai cantieri dell'Expo all'autostrada Salerno-Reggio Calabria, dalla Fiera di Roma all'Alta velocità Milano-Verona. E poi il terminal di Olbia, l'hub portuale di Trieste, il completamento dell'autostrada Livorno-Civitavecchia, il Metro 5 di Milano, City Life e altri cantieri appetitosi. Miliardi di euro, più di 25, da gestire con tangente (il 3%) e prezzi lievitati anche del 40%. Almeno così la pensano i magistrati di Firenze, dove tutto è nato e si è espanso da un'inchiesta sulla Tav che è diventata un macigno gettato in un mare di illegalità con cerchi concentrici che hanno raggiunto tutta Italia. Dopo indagini condotte dai carabinieri del Ros e dai pm Luca Turco, Giuseppina Mione e Giulio Monferini, sono state arrestate quattro persone. Nomi eccellenti. Primo tra tutti quello di Ercole Incalza, 70 anni, da più di trent'anni "principe" del ministero dei Lavori pubblici, quell'"Ercolino" - come lo descrive in un'intercettazione un alto dirigente delle Ferrovie dello Stato - che "decide i nomi tra tutti i suoi, fa il bello e il cattivo tempo" e "ormai là dentro è il dominus totale e senza di lui non si muove foglia". Gli altri tre arrestati sono imprenditori: il milanese Francesco Cavallo, 55 anni, il frusinate Sandro Pacella, 55 anni, collaboratore di Incalza e il romano, ma da tempo residente a Firenze, Stefano Perotti, 57 anni. Gli indagati sono in tutto 51 e tra questi spiccano nomi eccellenti di politici, sia del centrodestra che del centrosinistra. Ci sono l'ex europarlamentare Vito Bonsignore, Stefano Saglia, già sottosegretario alle Infrastrutture, Antonio Bargone, ex sottosegretario ai Lavori pubblici, presidente della Società autostrada Tirrenica e commissario governativo dimissionario e Rocco Girlanda, sottosegretario alle Infrastrutture. Altri nomi illustri escono dalle intercettazioni: quelli del ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi, del ministro dell'Interno Angelino Alfano e del viceministro Riccardo Nencini che però non sono indagati. "Dopo che hai dato la sponsorizzazione per Nencini, l'abbiamo fatto viceministro", dice Lupi al telefono con Incalza. Per Lupi si apre invece il caso del figlio Luca che, secondo il gip, avrebbe ottenuto degli incarichi lavorativi dall'imprenditore arrestato Perotti. Le accusano mosse dalla Procura di Firenze vanno dalla corruzione all'induzione indebita, dalla turbativa d'asta ed altri delitti contro la Pubblica amministrazione e non sono per tutti uguali. La Procura aveva chiesto anche l'associazione per delinquere. "Ma il gip l'ha rigettata perché non ha ritenuto che sussistessero gli elementi di gravità per contestare questo reato", ha detto in conferenza stampa il procuratore di Firenze, Giuseppe Creazzo. L'inchiesta continua. Soltanto ieri sono state effettuate in tutta Italia più di cento perquisizioni e si stanno vagliando molte testimonianze giudicate "di grande interesse" dagli investigatori. Giustizia: patto tra il ministro Lupi e il manager Incalza "per te faccio cadere il governo" di Carlo Bonini La Repubblica, 17 marzo 2015 Le 268 pagine dell'ordinanza del gip Angelo Antonio Pezzuti lo documentano ministro nelle mani dell'associazione per delinquere che, negli ultimi 15 anni, ha gestito appalti delle Grandi opere pubbliche per 25 miliardi di euro. Non è iscritto nel registro degli indagati Maurizio Lupi. Ma le buone notizie, per lui, finiscono qui. Le 268 pagine dell'ordinanza del gip Angelo Antonio Pezzuti lo documentano ministro nelle mani dell'associazione per delinquere che, negli ultimi 15 anni, ha gestito appalti delle Grandi opere pubbliche per 25 miliardi di euro. Poco più che un ventriloquo di chi di quell'associazione è il motore: l'immarcescibile Ercole, "Ercolino", Incalza, "il venditore di fumo e cipolle", "l'uomo che vuol far credere che la luna è fatta di formaggio", come dicono di lui nelle intercettazioni. Il Kaiser Soze delle Infrastrutture (14 procedimenti penali a carico e una sequela di assoluzioni o archiviazioni per "intervenuta prescrizione"). Così potente da "scrivere il programma del Ncd", da chiedere e ottenere la protezione di Alfano quando l'aria si fa greve e da mandargli un suo uomo, Francesco Cavallo, per cancellare un'interdittiva antimafia. Padrone a tal punto del Grande Gioco da imporre a Lupi la scelta dei suoi due sottosegretari, gli ex socialisti Riccardo Nencini e Umberto Del Basso De Caro. "Dopo che hai dato la sponsorizzazione per Nencini lo abbiamo fatto viceministro - si compiace Lupi con Incalza al telefono - Ora parlagli e digli che non rompa i coglioni. E comunque complimenti, sei sempre più coperto". "Se rompono faccio la crisi" Già, Lupi è a tal punto prigioniero di Incalza che, non solo - come annota l'ordinanza - va a difenderlo in Parlamento rispondendo a una lunga interrogazione dei 5 Stelle con un testo preparato dall'avvocato del grand commis (Titta Madia). Fa di più. Il 16 dicembre scorso è pronto a far cadere il governo Renzi, o comunque a giocare la carta del ricatto politico, se Palazzo Chigi dovesse insistere nel pretendere la soppressione o comunque il diretto controllo della Struttura tecnica di missione (di cui Incalza è presidente e che del sistema di corruzione è il perno). "Vado io - dice il ministro a "Ercolino" - Te lo dico già… Cioè io vorrei che tu dicessi a chi lavora con te che se no vanno a cagare! Cazzo! Non possono dire altre robe! Su questa roba ci sarò io lì e ti garantisco che se viene abolita la Struttura tecnica di missione viene giù il governo! L'hai capito? Non l'hanno capito?". Del resto, quello che succede negli uffici di Porta Pia sembra il segreto di Pulcinella e trova una nitida descrizione nelle parole di Giovanni Paolo Gaspari (nipote dell'ex ministro dc Remo), già alto dirigente delle Ferrovie dello Stato e consigliere del ministero. Il 25 novembre del 2013, al telefono con Giulio Burchi, già presidente di Italferr spa, dice: "Ercolino… è lui che decide i nomi. Fa il bello e il cattivo tempo lì dentro. Il dominus totale. Al 100 per cento. Non si muove foglia. Sempre tutto lui fa. Tutto, tutto, tutto! Ti posso garantire. Maurizio (Lupi ndr) crede di fare qualcosa. Ma fa quello che gli dice quest'altro". Al punto da costruirgli annualmente il "bando su misura" che lo deve riconfermare nell'incarico di capo della Struttura tecnica. "Hanno naturalmente fatto un bando che si adatta solo ad Ercolino. Cioè deve aver fatto il capo della Struttura tecnica di missione per 10 anni, se no non può concorrere… Hai capito?". Gli amici Perotti e Cavallo Per Lupi, essere nelle mani di Incalza significa rispondere anche ai due uomini che ne sono i suoi facilitatori: Stefano Perotti (che di Incalza è anche socio nella "Green Field system", la società in cui ritorna il denaro prezzo della corruzione), l'ingegnere asso piglia tutto delle direzioni dei lavori imposte da Incalza ai general contractor delle Grandi opere, e Francesco Cavallo, un tipo senza arte né parte che, come si legge nel suo curriculum ("Negli ultimi 10 anni - scrive di sé - ho maturato esperienze significative nella gestione delle relazioni istituzionali, promuovendo e coadiuvando con successo i rapporti con opinion leaders, policy maker, istituzioni e stakeholders e gli affari istituzionali delle organizzazioni con le quali ho collaborato"), ha pochi ma decisivi meriti: è uomo di Cl (di cui Lupi è espressione nel governo e da cui è retribuito in pianta stabile attraverso "La Cascina" per "prestazioni inesistenti"), è stato amministratore delegato dell'Editrice del settimanale di area " Tempi" e consigliere della Metropolitana milanese negli anni di Letizia Moratti sindaco. Ma, soprattutto, conosce Lupi dal 2004, come documentato da un'inchiesta di Bari sulla coop bianca "La Fiorita". Nel rapporto tra Lupi e Perotti - che fino a prova contraria lavora con appalti del ministero - c'è un tratto amicale che non ha evidentemente in alcuna considerazione anche solo l'imbarazzo per un oggettivo conflitto di interesse. Lupi e signora sono regolarmente ospiti delle cene organizzate da Perotti nella sua casa di Firenze. Partecipano, la scorsa estate, al matrimonio della figlia in una cornice di ballerine vestite da farfalle. E, siccome - come scriveva Flaiano - gli italiani innanzitutto "tengono famiglia", Perotti si prende cura del giovane Luca, figlio del ministro, una laurea in ingegneria al Politecnico di Milano e una prima esperienza di lavoro a San Francisco. Per Luca regali e incarichi A gennaio del 2014, Perotti fa infatti assumere Luca Lupi - ragazzo a cui tiene dai giorni della laurea per la quale ha pensato bene di regalare un Rolex da 10.350 euro - dal cognato, Giorgio Mor, mettendolo a lavorare nel cantiere per il palazzo di San Donato dell'Eni, di cui ha la direzione dei lavori. "Il ragazzo deve prendere 2.000 euro più Iva mensili", istruisce la segretaria e si raccomanda con il cognato di "farlo diventare il suo uomo su Milano". Ma che in quell'assunzione ci sia qualcosa che non va e che la cosa dunque non vada fatta sapere in giro è così chiaro a tutti che, al telefono, il nome di Luca Lupi non viene pronunciato. Per tutti è "il cugino della moglie di Perotti". E lo stesso Mor chiede di essere rassicurato se "la triangolazione" (e cioè l'assunzione per via indiretta, ma con costi a carico di Perotti) "non sia rischiosa". È un fatto che, nel febbraio del 2014, dopo l'interrogazione dei 5 Stelle su Incalza e un articolo del " Fatto" che lo collega a Perotti, il figlio dell'ingegnere, Philippe, suggerisca al padre che da quel momento "niente più mail o telefono". E che, un mese fa, Perotti decida di aiutare il figlio del ministro a cambiare aria con un lavoro a New York, chiedendo che lo prenda in carico l'amico Tommaso Boralevi. C'è anche chi pensa a saldare i vestiti sartoriali del ragazzo. È Cavallo. Che del resto è generoso anche con Nicola Beneduce, uomo nella segreteria di Lupi. Anche per lui, insieme al sarto che serve Lupi jr., un bell'orologio. "Tra i 7 gli 8 mila euro". Giustizia: punire e semplificare, ma soprattutto fare subito chiarezza di Giorgio Santilli Il Sole 24 Ore, 17 marzo 2015 La nuova inchiesta della magistratura fiorentina sulle grandi opere ripropone la questione della corruzione diffusa in Italia, in particolare nel settore degli appalti. Prima di ogni altra considerazione va ripetuto che qualunque atto di corruzione deve essere punito severamente: ladri e corrotti devono stare in galera e il malaffare va estirpato dal tessuto economico italiano. Al tempo stesso, la politica deve essere al di sopra di ogni sospetto e per questo è necessario che il ministro Lupi chiarisca fino in fondo la propria posizione, Il malaffare frena la crescita, penalizza gli imprenditori onesti, falsa la concorrenza, accolla alla cittadinanza tempi e costi di realizzazione esorbitanti. L'inasprimento delle pene per i corrotti, contenuto nella legge anticorruzione all'esame del Senato, serve a questo scopo e andrebbe varato al più presto, anche se la corruzione va battuta anche con altri strumenti, non meno importanti: una drastica semplificazione delle regole degli appalti (e più in generale dell'attività economica) e una vigilanza/regolazione adeguata, affidata a personalità capaci e al di sopra di ogni sospetto. In questo senso, il "modello Cantone", che stiamo sperimentando ormai da oltre sei mesi, ha ottenuto risultati certamente positivi, proteggendo l'attività economica dalla patologia corruttiva senza però bloccarla. Quel modello andrebbe rafforzato ulteriormente: all'Autorità anticorruzione andrebbe affidata anche un'ampia attività di regolazione del settore dei lavori pubblici, liberata di una normativa ridondante. Poche regole, stabili e certe, recepite dalla normativa europea, e - a fronte del disboscamento normativo - un ampio potere regolatorio affidato all'Anac che possa consentire a imprese e pubblica amministrazione di svolgere l'attività legata ai contratti pubblici nella massima trasparenza e nel rispetto di una competizione onesta. Nel merito dell'inchiesta, sarà la magistratura a fare le indagini e le valutazione che le sono proprie. L'importante è non confondere i singoli casi di malaffare con la necessità, che l'Italia ha, di realizzare infrastrutture, piccole, medie e grandi. Ercole Incalza è personaggio discusso e non da oggi: ha già subito inchieste e processi, è già stato arrestato (ai domiciliari) nella prima inchiesta Tav, peraltro uscendone sempre-senza condanne. La sua competenza e autorevolezza, però, non possono essere messe in discussione: padre del Piano generale dei trasporti già negli anni 80, è stato anche il padre e il centro indiscusso della politica delle grandi opere in Italia. Senza di lui, non sarebbero state realizzate grandi opere necessarie (a partire dall'Alta velocità che oggi vediamo quanto sia fondamentale) e questo va a suo merito. Al tempo stesso, il fallimento della legge obiettivo, certificato dai più recenti documenti sullo stato di realizzazione delle opere (solo l'8% completato), è anche il suo personale fallimento, in un bilancio fatto di luci e ombre. L'eccesso di accentramento di poteri nelle mani di Incalza, per un periodo troppo lungo, non ha giovato alla lunga alla politica delle grandi opere. La sua uscita di scena, alla fine dello scorso anno, è già un segnale di cambiamento notevole. Quanto allo specifico che viene contestato nell'inchiesta, le modalità di affidamento della direzione lavori nelle grandi opere, questo giornale ha sempre sostenuto che l'affidamento della direzione lavori ai general contractor fosse un errore perché la direzione lavori deve, "separare" e "difendere" gli interessi dell'amministrazione pubblica (e del progetto) da quelli dell'appaltatore. Questione più volte discussa nel dibattito pubblico ma mai risolta, come pure la riforma della legge obiettivo. Ancora una volta bisogna ripetere che non è il caso di buttare via il bambino con l'acqua sporca. Una politica delle grandi opere è necessaria in questo Paese, anche se va corretta (e già si sta correggendo) rispetto al passato, con una pianificazione certa e chiara, analisi costi-benefici, progetti all'altezza, procedure trasparenti, vigilanza dalla corruzione e dalle infiltrazioni mafiose. Bisogna realizzare tutte le opere che servono, solo le opere che servono, con gare concorrenziali e modalità di esecuzioni contrattuali semplici e trasparenti. Il rapporto con il territorio deve essere trasparente e "democratico" in fase di progetto, con l'introduzione finalmente del débat public, per poi passare alla realizzazione senza tentennamenti una volta che si sia deciso in base a quale progetto fare l'opera. Giustizia: Pietro Grasso (Presidente Senato) "gli scandali sono solo la punta dell'iceberg" di Liana Milella La Repubblica, 17 marzo 2015 L'Italia corrotta? "La maggioranza dei cittadini è onesta, e i corrotti vanno combattuti". La politica? "Deve correre". Il Parlamento è in ritardo? "Speriamo di recuperare". L'emendamento sul falso in bilancio? "Alleluja...". Pietro Grasso mette i panni del fustigatore e sprona ancora governo e Parlamento a fare presto. Ancora un'inchiesta sulla corruzione scuote il Paese, ancora arresti e decine di indagati. Ancora la politica coinvolta. Che impressione le ha fatto la notizia? "Ho pensato a un vecchio libro, Niente di nuovo sul fronte occidentale. La corruzione che viene scoperta, purtroppo, è soltanto la punta dell'iceberg". Lei ne ipotizza una molto più profonda e diffusa? "Le stime portano a pensare proprio questo". I corrotti continuano a fare i loro affari, il Parlamento tarda a contrastarli. Non è un'insopportabile contraddizione? "Il punto vero della corruzione è riuscire a farla emergere. Quand'ero procuratore nazionale antimafia, negli Usa mi spiegarono la loro strategia per arrestare i corrotti. Quando ne individuavano uno non lo arrestavano subito, ma lo convincevano a collaborare per scardinare il sistema corruttivo. Per questo, nella mia proposta di legge, ho inserito un sconto di pena per chi collabora". Sabato lei ha usato parole dure, "il tempo dell'attesa è finito" ha detto, si è augurato che Godot potesse giungere questa settimana, ma non sembra che sia così. "Non erano parole dure: la cronaca mi ha dato ragione con le indagini su Expo, Mose, Roma capitale, fino agli arresti di Firenze". Una premonizione? "Non ho ancora questi poteri... né sapevo nulla dell'inchiesta. Ma non serve la palla di vetro per intuire l'esistenza di una corruzione dilagante". La sua legge aspetta da due anni. Non le sembra troppo, soprattutto se il testo dovrà affrontare un cammino parlamentare ancora molto lungo? "Spero che la presentazione del tanto atteso emendamento sul falso in bilancio in commissione giustizia, che si era ipotizzato di presentare in aula, abbia sbloccato finalmente lo stallo. La moral suasion che mi aveva chiesto il presidente Palma ha funzionato. Adesso si può andare avanti rapidamente e portare il testo in aula già giovedì, e pure con il suo relatore". Il procuratore antimafia Roberti dice che la sua legge andava approvata nella versione originale, cosa ormai impossibile. Le dispiace? "Quando si presenta una proposta di legge si dà per scontato che il testo potrà essere modificato, non resta che attendere per un giudizio complessivo la definitiva approvazione. Sono contento di averla presentata. Quando ho scritto il testo non avrei mai immaginato di diventare presidente del Senato. Se avessi tardato anche un giorno non avrei più potuto farlo". Dicono i senatori che nel frattempo hanno fatto altre leggi. Come spiega che la sua non sia passata subito? "Per me rappresentava la priorità assoluta, non solo per combattere fenomeni criminali diffusi, ma anche per cercare di contribuire a risanare le finanze del Paese. Dentro la legge c'era l'evasione fiscale, il falso in bilancio, l'auto-riciclaggio, il voto di scambio e ovviamente le misure per contrastare più efficacemente la corruzione". Perché la politica non ha fatto per questa legge quello che ha fatto per le riforme costituzionali e la legge elettorale? "Qualcosa è stato fatto, la nomina di Cantone all'Anti-corruzione dandogli più poteri di quelli precedenti, la norma sul voto di scambio e sull'auto-riciclaggio, già approvate dal Parlamento e in vigore". Ne ha parlato con Renzi e Orlando? Con il ministro sì. Incontrandolo in occasioni pubbliche ho potuto constatare che perseguivamo gli stessi obiettivi. Lei è stato magistrato. Molti senatori dicono che le leggi contro la corruzione già ci sono e bastano, tant'è che inchieste e processi si fanno. Dicono che la legge Severino è stata approvata da poco e non ne serve una nuova. È un buon argomento per giustificare il ritardo? "Tutto si può migliorare. E la relazione introduttiva del mio ddl spiega perché sia necessario e urgente fare delle modifiche. Faccio solo tre esempi. Il falso in bilancio, cambiato radicalmente nel 2001 quasi al punto da essere depenalizzato. Una prescrizione più lunga dopo l'intervento della ex-Cirielli nel 2005. Lo sconto per chi collabora". Il braccio di ferro su prescrizione e falso in bilancio continua. Sulla prima non c'è ancora intesa. Arriva il testo del governo sul falso in bilancio ed è ammorbidito. Pesa Squinzi (Confindustria) che dice: "Vogliamo dare ai magistrati la licenza di uccidere le imprese?". L'effetto si vede. Resta una norma efficace o inutile? "L'emendamento è stato appena presentato e devo ancora studiarlo. Ma ritengo che gli imprenditori, piccoli e grandi, che abbiano commesso degli errori scusabili e di lieve entità, possano stare tranquilli. Chi invece falsifica dolosamente per creare fondi neri o per evadere il fisco è giusto che vada punito più gravemente". Le intercettazioni sono o non sono necessarie? "È evidente che le falsificazioni economicamente più clamorose, in danno di soci e azionisti, possono giustificare l'utilizzo di questo mezzo d'indagine". La prescrizione. Basta sospenderla in primo grado o si va incontro a un nuovo fallimento? "Certamente si tratta di un passo avanti che rappresenta un compromesso rispetto all'ipotizzata sospensione dopo il rinvio a giudizio. Ma servono altre riforme per accelerare i processi". Giovedì si vota per i giudici della Consulta. Ben 261 giorni per eleggere quello di Fi. Si preannunciano sedute a vuoto. Tempo sottratto a legge indispensabili... "Ha detto bene il presidente della Corte Criscuolo, una decisione presa da 13 giudici potrebbe essere diversa se fossero 15. Significa che il Parlamento non deve perdere tempo". Vitalizi per i parlamentari condannati per gravi reati. A che punto siete? "Andiamo avanti". Giustizia: dopo la morte di David Raggi "linciatelo, ha ucciso"… ma Abele non vuole di Lanfranco Caminiti Il Garantista, 17 marzo 2015 I politici gracchiano, i corvi volano, Salvini strepita. Tocca al padre e al fratello di David-Abele farli tacere, e chiedere; "in nome di David, razzismo mai". Gracchiano i corvi neri, i cerchi del loro volo si fanno più stretti, il loro orribile verso più stridulo. Si fanno più arditi. Sentono l'odore della morte. Non fanno paura, quello no. Se gli vai contro, svolazzano via. Inquietano, quello sì, come se scavassero nella tua anima, come se annunciassero ancora orribili sciagure. Portano sventura. È per quello che sono qui, per dire che domani ci sarà ancora morte, e ancora domani, e ancora morte. Loro, ci campano con la morte. Tornano e tornano. Gli è andata male con Graziano Stacchio, il benzinaio di Ponte di Nano, nel Vicentino, che per soccorrere una commessa di una gioielleria assediata da rapinatori era entrato in casa aveva preso il fucile e dopo avere sparato in aria aveva mirato alle gambe di uno degli assalitori, e quello, il giostralo nomade, era morto, abbandonato dai suoi. "È un eroe", avevano subito dichiarato i corvi neri. E vai con gli hashtag #iostoconstacchio, e le magliette e le felpe. Come se tutti dovessimo entrare in casa e prendere il fucile e scendere in strada a sparare alle gambe del primo che passa, così, giusto per tenerci all'erta. Stacchio, lui, aveva subito allontanato i corvi. Non si sentiva fiero di quello che aveva fatto. Era successo. Punto. Ora ci riprovano, i corvi. Con David Raggi, ucciso l'altrieri a Terni, di notte, da un ubriaco con un colpo di bottiglia al collo. È marocchino, l'assassino, si chiama Amine Aassoul. Entrato e uscito dall'Italia, espulso per una serie di reati nel 2007, rimpatriato, rientrato attraverso Lampedusa l'altr'anno. Dicono, i corvi, che se la caverà, perché gli daranno l'attenuante dell'alcol in corpo, è già successo, l'altra volta un albanese, ubriaco, guidava contromano e ha falciato degli innocenti, e non ha preso l'ergastolo, o quattro ergastoli uno per ogni vita recisa. E cosa dovrebbe un giudice, invece, dargli l'aggravante a Amine Aassoul d'essere marocchino? D'essere clandestino? D'essere un balordo? Di non essere morto affogato nel Canale di Sicilia, la prima o la seconda volta che lo passava? Ecco, sì, se li ammazzassimo noi, se li lasciassimo affogare, se gli sparassimo dalle motovedette, ecco, prevenire ecco, non succederebbe un fatto come quello di Terni, così dicono i corvi. Dovremmo ammazzarne cento, mille per educarne uno, ecco sì. Credete sia il cinismo di queste parole che mi spaventa, che mi fa orrore? No, è la stupidità. Avremmo meno assassini se affondassimo i barconi degli immigrati? Avremmo meno ubriachi se sparassimo a tutti i marocchini? Ai corvi, non importa nulla di David Raggi, non importa nulla della sua famiglia, del dolore che sta provando, del vuoto che si porteranno appresso sempre, no, a loro interessa Amine Aassoul. Ai corvi interessano gli assassini, i tagliagole, i Caino, non Abele. Abele non interessa mai nessuno. In nome di Abele parla il padre di David Raggi. In nome di Abele parla il fratello di David Raggi. Non del proprio figlio, del proprio fratello. Parlano di giustizia, non di vendetta. Parlano dell'odio razzista che non entrerà mai nella loro casa. Parlano degli estremismi che non sono mai piaciuti in quella loro casa. Parlano del fatto che non vogliono che la vicenda di David venga strumentalizzata. David - dice Diego, il fratello - non lo avrebbe mai voluto. Abele non vuole che Caino venga linciato. È gente che si è rotta la schiena, la famiglia di David, che se la rompe ancora. Sembra ci sia ancora una comunità a Terni, un senso di comunità, di appartenenza. Ci si stringe attorno: i preti fanno le loro omelie; gli amici di David fanno la loro veglia. Forse è la fabbrica, quel che ne resta. Forse è che ci si conosce tutti. Forse è che la chiesa sta ancora vicino agli uomini. E l'Italia di sempre. Quella che emerge solo quando la terra si spacca, quando il cielo precipita. Non l'avresti mai conosciuto uno come David. Non ballava il tip tap, non aveva l'ugola d'oro, non faceva le imitazioni da sganasciarsi dalle risate. Non sgomitava. Volontario del 118, lui stesso ha chiamato i soccorsi. Anche la madre partecipa di associazionismo, e il padre. E gente così. Che scambia due chiacchiere con gli ambulanti all'angolo quando esce per il giornale e la spesa, che va in chiesa e prega. È gente solida, la spina dorsale forte. L'altrieri gliela hanno spezzata, certo. Urleranno contro Dio? No, certo, non è caduta una tegola dannatamente dritta su una testa, non è il destino bastardo, il caso assassino. Non è la congiuntura di trovarsi in un posto al momento sbagliato. Non fatemi pensare sciocchezze. C'è un colpevole, di un reato tanto più assurdo perché incosciente. Dovranno pensarci gli uomini a trovare giustizia: è questo che fa di noi una società, le leggi, i diritti. Avremmo più sicurezza se fossimo tutti armati? Avremmo più sicurezza se tagliassimo la testa a ogni Caino? Il segretario della Lega, Matteo Salvini, dice che Diego Raggi è una vittima di Mare Nostrum. Che è come dire che Adrian Miholca, operaio rumeno, morto qualche giorno fa mentre demoliva una campata di un viadotto della Salerno-Reggio Calabria - ottanta metri di volo - è una vittima del comunismo dei paesi dell'Est. Che paese è mai diventato questo dove bisogna tappare la bocca ai politici, a quelli che si mettono in vista, a quelli che urlano forte? Che paese è mai diventato questo dove il primo pensiero di chi vive una tragedia dev'esser quello di calmare gli animi, di tenere lontane le grida dei politici? Dovrebbero guidarci, i politici, verso alti ideali, dovrebbero parlare ai nostri cuori, alle nostre teste, alle nostre mani, non alle viscere e al buco del culo. Dovrebbero tenerci insieme, i politici, per fare di noi un popolo, una società, una nazione, che giorno dopo giorno va verso qualcosa, che sogna e fatica, che fatica perché sogna. Abele è ancora lì, in terra. Caino è stato preso. Loro, i politici, litigano l'un l'altro, si accusano l'un l'altro, si scolpano l'un l'altro. Non gli importa di Abele. Non gli importa neppure di Caino. A loro importa solo gracchiare il loro cra cra di morte, di sventura. Tacete, almeno oggi. Ci sono i funerali. Abruzzo: "poco cibo… e il sopravvitto è troppo caro", la rivolta dei detenuti di Damiano Aliprandi Il Garantista, 17 marzo 2015 Monta la protesta dei detenuti nelle carceri abruzzesi. Dall'inizio del mese circa 150 detenuti del carcere di Lanciano battono in continuazione le sbarre, rifiutano il vitto ed evitano le spese insostenibili per il sopravvitto. La motivazione è che il magistrato di sorveglianza non applicherebbe nessun beneficio, dichiarando inammissibili le loro richieste. "Per non dire poi - scrivono i detenuti in una lettera - che le istanze vengono corrisposte a distanza di mesi e anche di anni. Nelle more di una decisione che il magistrato, se tempestivamente rispondesse, potrebbe dimagrire i termini del fine pena consentendo la scarcerazione, qui a Lanciano i detenuti scontano la pena fino all'ultimo giorno di detenzione". Poi proseguono spiegando che "quando, dopo lunghe attese, è ottenuta la decisione per il beneficio ovviamente negativa e sfavorevole, per ricorrere non si ha più tempo". E concludono: "Questa situazione ci umilia, così risultano inutili anni e anni di percorso trattamentale e viene inficiato l'operato dell'amministrazione della Casa circondariale, le valutazioni e i pareri dell'area educativa e della direzione". E ai detenuti di Lanciano arriva la solidarietà di Maurizio Acerbo, l'ex parlamentare di Rifondazione Comunista: "Si tratta - dice - di una protesta nonviolenta volta a segnalare una disparità di trattamento che li priva della possibilità di usufruire di benefici previsti dall'ordinamento. Bisogna far chiarezza se davvero il Magistrato di Sorveglianza di Pescara ha un atteggiamento così diverso da quello di altri uffici del territorio nazionale e se in tal modo non vengano rispettati gli ultimi decreti leggi promulgati in materia di liberazione anticipata speciale". E prosegue: "È probabile che la pronunzia d'inammissibilità sia un modo per consentire agli uffici di sorveglianza di risolvere la difficoltà a far fronte a un carico di lavoro insostenibile. Certo è che si tratta di una situazione che va affrontata. A noi di Rifondazione Comunista, al momento non presenti in Parlamento e in Consiglio Regionale, non più possibile né entrare nel carcere per ascoltare i detenuti né presentare interrogazioni". Sempre in Abruzzo sta montando la protesta dei detenuti al carcere di Teramo. La motivazione in questo caso sarebbe stata la stretta operata dall'amministrazione circondariale sull'ingresso dei cibi portati dai famigliari. Le prime proteste sono partite subito e si sono manifestate 15 giorni fa con il rifiuto del vitto. Ora i detenuti saranno costretti ad acquistare la merce dal punto vendita interno: con costi notevolmente lievitati, fanno trapelare i carcerati. Il direttore storce il naso, ma oggi o forse domani avrà un incontro con i manifestanti: "Io sono un direttore che ha sempre concesso tanto" si difende, e aggiunge facendo ironia: "Abitando vicino al carcere, sono stato sei giorni al buio e al freddo, i miei detenuti solo uno". Nel frattempo il radicale Vincenzo Di Nanna di Amnistia, giustizia, libertà e Maurizio Acerbo di Rifondazione Comunista hanno emanato un comunicato congiunto dove chiedono un intervento urgente della politica. "La decisione del direttore del carcere di Castrogno - spiegano nella nota - di vietare la consegna dei cibi inviati ai detenuti della sezione di alta sicurezza da parte dei familiari ha suscitato una comprensibile azione di contestazione nonviolenta. Circa 80 detenuti stanno portando avanti da giorni un severo sciopero della fame in una struttura che ha già soffre di gravi carenze strutturali e del cronico problema del sovraffollamento. Se le esigenze poste a base della contestata decisione sono di natura meramente igienica e organizzativa andrebbe verificata la possibilità di risolvere ogni questione in tempi brevi". E concludono: "Invitiamo i rappresentanti istituzionali, dalla Regione al parlamento, a occuparsi di questa vicenda come più in generale dei gravi problemi determinati dall'inadeguatezza delle strutture carcerarie e a recarsi quindi presso la Casa Circondariale di Castrogno per incontrare i detenuti impegnati nella lotta non violenta, personale e ovviamente direttore". Il problema del sopravvitto è un tema che abbiamo già sollevato su questa stessa pagina. Da anni i detenuti segnalano che i prezzi sono troppo cari, e da anni i volontari che provano a fare una verifica nei supermercati della zona hanno verificato che i prezzi interni al carcere sono uguali a quelli dei negozi. Apparentemente quindi sembrerebbe che il costo del "sopravvitto" rispetti l'ordinamento penitenziario, il quale recita: "I prezzi non possono essere superiori a quelli comunemente praticati nel luogo in cui è sito l'Istituto". Ma non è esattamente così. La regola dell'ordinamento è vecchia e andrebbe aggiornata. Era l'epoca in cui non esistevano i discount, e i prezzi erano accessibili. Oggi, soprattutto con la crisi economica, molte persone non possono permettersi di fare spesa nei negozietti e quindi ricorrono ai discount, oppure fanno acquisti nei mercati a Km zero dove hanno tagliato i costi del trasporto e distribuzione. Ma per i detenuti non è così. Per loro vale la dittatura del prezzo unico e ciò ha scatenato numerose "rivolte" nelle carceri. Toscana: il Garante dei detenuti Corleone prosegue sopralluoghi alle carceri della Regione di Cecilia Meli www.parlamento.toscana.it, 17 marzo 2015 Domani, martedì 17 marzo, il Garante regionale visiterà la Casa circondariale di Siena. Mercoledì 18 sarà prima a Massa Marittima e poi a Grosseto, giovedì 19 a Pistoia. Ancora una settimana di sopralluoghi nelle strutture penitenziarie della Toscana per il Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, Franco Corleone. Il Garante si recherà domani, martedì 17 marzo, alla Casa circondariale di Siena; ad accompagnare Corleone nella visita ci sarà il direttore della struttura, Sergio La Montagna. Si prosegue mercoledì 18 marzo, quando sono in calendario le visite di Corleone prima alla Casa circondariale di Massa Marittima, con la presenza del direttore Carlo Alberto Mazzerbo e successivamente a quella di Grosseto. Giovedì 19 marzo, infine, il Garante dei detenuti si recherà a visitare il carcere di Pistoia. Sarà presente il direttore della struttura Tazio Bianchi. Le visite di Corleone hanno l'obiettivo di verificare lo stato dei lavori di ristrutturazione e il superamento di alcune criticità come le condizioni igienico-sanitarie precarie. Trentino: a Pergine Valsugana gli internati dimessi dagli Ospedali psichiatrici giudiziari Ansa, 17 marzo 2015 Il Trentino si adegua alla normativa nazionale, che per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari fissa al 1 aprile 2015 il termine ultimo per completare il processo di chiusura di queste strutture. Lo fa la Giunta, con una delibera dall'assessora Donata Borgonovo Re, che affida all'Azienda per i servizi sanitari l'intervento di riabilitazione delle persone dimesse dagli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) e il compito di riorganizzare e adattare, entro l'inizio dell'estate, la struttura di cura e di custodia destinata ad accogliere queste persone. "Si tratta di una dimostrazione di civiltà - ha sottolineato l'assessora - e in Trentino ci saranno quattro posti riservati per la cura e la detenzione, che verranno predisposti nella struttura di Pergine - ha spiegato - di cui per ora uno verrà subito destinato a un trentino che rientra da uno degli Opg nazionali. Il numero di quattro è stato determinato in base all'oscillazione storica del numero di casi". Borgonovo Re ha chiarito poi che tali strutture sono state previste per una delle tre categorie di persone con problemi psichiatrici che hanno a che fare con il sistema giudiziario, "cioè per chi è stato definito non perseguibile in quanto incapace d'intendere e di volere, ovvero i cosiddetti internati. Rimarranno invece nelle strutture protette individuate dai magistrati le persone per cui la fragilità psichiatrica è insorta durante la detenzione e lo steso varrà per i cosiddetti ergastoli bianchi, cioè per chi, terminati i tempi della reclusione, verrà ancora ritenuto pericoloso socialmente". "Ci sono - ha spiegato l'assessora - tre casi di trentini della seconda tipologia, che resteranno quindi nelle strutture preposte". Santa Maria Capua Vetere (Ce): Antigone; detenuti senz'acqua e internamento fuorilegge www.fanpage.it, 17 marzo 2015 Anche l'acqua è un privilegio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, l'istituto attende da anni l'allaccio alla rete idrica. Non solo: nella sezione psichiatrica ci sono due internati da oltre un anno, una durata che va oltre i limiti di legge. Le due allarmanti situazioni sono emerse durante una visita ispettiva effettuata dalla consigliera regionale Lucia Esposito con Antigone Campania. Nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, i detenuti hanno accesso a un'acqua di serie b. Il risultato? Anche fare la doccia è un problema, nel senso che per lavarsi devono fare a turno. Non solo questo: nel carcere esiste una sezione psichiatrica, l'unica attiva - per ora - in Campania, nella quale ci sono 20 detenuti; due di essi sono internati da circa un anno. "È una durata di internamento al di fuori della legge" spiega Mario Barone, presidente di Antigone Campania, che ha effettuato una visita ispettiva con la consigliera Regionale Lucia Esposito. L'istituto, infatti, "presenta due forti criticità - continua il presidente dell'associazione in Campania - Uno è l'approvvigionamento idrico e l'altro è la presenza di una articolazione sanitaria per la tutela della salute mentale in carcere, almeno così la chiama l'amministrazione: noi, invece, preferiamo chiamarla sezione psichiatrica". Di fatto, l'internamento in sezioni psichiatriche nelle carceri rischia di diventare, con un clamoroso balzo indietro, una misura ordinaria per gestire la progressiva dismissione degli ospedali psichiatrici giudiziari, anche perché in Campania le due Rems (le residenze che dovrebbero prendere il posto degli Opg dal 31 marzo prossimo) non sono pronte. Nell'istituto di Santa Maria Capua Vetere, però, esiste anche l'altro problema dell'approvvigionamento idrico, che è strutturale: la fornitura avviene attraverso un pozzo semi-artesiano; l'acqua viene poi resa potabile all'interno delle mura del carcere, che non ha l'allaccio alla rete idrica. Una questione che ha evidenti ricadute sulla salute dei ristretti e sulla loro dignità, visto che anche lavarsi diventa un privilegio. Quando va bene, bisogna fare a turno. Quando va male, molto semplicemente non ci si lava. Senza contare l'effetto-panico generato dall'inquinamento di diversi pozzi nel casertano, anche se dall'istituto rassicurano con controlli trimestrali dell'Arpac e della ditta specializzata. Esiste un protocollo d'intesa siglato nel lontano 2004 tra l'amministrazione penitenziaria e la Regione Campania, rimasto, però, lettera morta: il Comune non ha soldi per finanziare i lavori. "È un elemento che suscita inquietudine - commenta la consigliera Lucia Esposito - L'impianto che rende potabile l'acqua a volte è soggetto a guasti, spesso si deve ricorrere all'acquisto di bottiglie d'acqua per i detenuti". Il sapore è orribile, racconta chi vive nell'istituto, che è piuttosto allarmato. E chi può permetterselo, compra l'acqua minerale anche solo per cucinare qualcosa. "Presenterò una interrogazione al presidente della Giunta regionale - continua - Per chiedere di dare esecutività al protocollo d'intesa che fu siglato con l'amministrazione penitenziaria per finanziare i lavori, opere che toccherebbero al Comune che da anni non riesce a farle, nonostante l'impegno anche del Ministero della Giustizia, perché l'esborso, oltre un milione di euro, non è sostenibile dalle casse comunali. Bene l'impegno della Regione, sollecitata anche dalla garante regionale dei detenuti Adriana Tocco, ma ora di tratta di passare dalle parole ai fatti, questa è una missione di umanità e diritto non più rinviabile". Roma: i detenuti di Rebibbia digitalizzano l'archivio del Csm, ma scoppia la polemica Corriere della Sera, 17 marzo 2015 Ne saranno impiegati sette che si sono già occupati della digitalizzazione dei documenti del tribunale di sorveglianza di Roma. L'Associazione archivi: "Delicato il tema riservatezza e la competenza per scegliere cosa salvare". I detenuti di Rebibbia al lavoro per informatizzare l'archivio del Csm. È il progetto che Palazzo dei Marescialli sta mettendo in cantiere per ridurre l'immensa mole dei propri documenti, preservando quelli che servono dai rischi legati alla conservazione cartacea, ma anche per dare un'opportunità di reinserimento ai reclusi del carcere romano. Poco più di 42 mila euro è il costo del piano, che prevede la digitalizzazione iniziale in sei mesi di 900 mila pagine, e che dopo il sì del Comitato di presidenza, è in attesa solo del via libera definitivo del plenum di Palazzo dei Marescialli. La scelta dei detenuti di Rebibbia - in tutto ne saranno impiegati sette - non è casuale. Si sono già occupati della digitalizzazione dei documenti del tribunale di sorveglianza di Roma. E dopo un'adeguata formazione e l'acquisto di cinque nuovi scanner potranno mettersi al lavoro. Il tutto avviene nella cornice di una collaborazione istituzionale con il capo del Dap Santi Consolo e sarà certificato da un accordo con il direttore di Rebibbia. L'esigenza di una digitalizzazione dell'archivio del Csm è legata anche a un problema pratico. Da decenni la documentazione cartacea è depositata in un'immobile a Roma dell'Agenzia delle Entrate che l'anno scorso ne ha chiesto la restituzione. In quei locali che si trovano in viale Trastevere ci sono circa 5.000 fascicoli personali di magistrati, tutti gli incartamenti della Sezione disciplinare dal 1982 ad oggi, e - tra l'altro - circa 300 fascicoli su fatti di criminalità organizzata. Di una parte di questo materiale è già stata decisa la distruzione. "Seria preoccupazione" per il progetto del Csm di affidare la digitalizzazione del suo archivio cartaceo ai detenuti di Rebibbia viene espressa dall' Associazione nazionale archivistica italiana in una lettera alla presidenza di Palazzo dei Marescialli. "L'impiego dei reclusi in attività lavorative di pubblica utilità è certamente un fine apprezzabile", premette l'Anai. Ma "la digitalizzazione di un archivio cartaceo è un'operazione molto complessa", che richiede "un approfondito studio preventivo" e "consiste in operazioni tecniche nelle quali l'apporto di personale del tutto generico e non specializzato (come inevitabilmente sono i reclusi in questione) può avere solo un ruolo subordinato e ausiliario". Di qui l'allarme per "la sola notizia che verranno impiegati i reclusi nell'operazione, in mancanza di qualsiasi precisazione sulla programmazione e gestione di questi aspetti del progetto, che naturalmente richiedono lo studio, la progettazione, la direzione e l'esecuzione delle complesse operazioni tecniche sopra descritte da parte di archivisti professionisti specializzati". L'archivio del Csm "è per legge un bene culturale tutelato dal Codice dei beni culturali", ricorda il presidente dell'associazione Mario Carrassi, e gli interventi sui beni culturali archivistici sono affidati alla responsabilità o alla diretta attuazione di "archivisti in possesso di adeguata formazione e professionalità". "Vogliamo immaginare che nell'urgenza di annunciare un aspetto di rilevanza politica e mediatica come l'impiego dei reclusi il Consiglio Superiore non abbia ritenuto di dilungarsi su questi altri aspetti, come quello delicatissimo della tutela della riservatezza, quello della selezione degli originali meritevoli di conservazione, che devono essere versati all'Archivio Centrale dello Stato ai sensi della normativa vigente" conclude l'associazione, chiedendo chiarimenti. Cremona: Sappe; poliziotti penitenziari feriti, detenuti senza provvedimenti disciplinari La Provincia di Cremona, 17 marzo 2015 Continua l'escalation di violenza nel carcere di Cremona. Nella giornata di lunedì 16 marzo un caposcorta è stato aggredito da un detenuto in attesa di giudizio e nel pomeriggio è esplosa una rissa tra carcerati a colpi di sgabello. "Ogni giorno è un bollettino di guerra - commenta il segretario generale del Sappe (Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria) Donato Capece - nella mattinata di lunedì 16 marzo un detenuto della Guinea di 27 anni, in attesa di primo giudizio e proveniente dal carcere di Lodi, doveva essere accompagnato in tribunale per una udienza, ma ha pensato bene di colpire a calci e pugni il caposcorta della Polizia Penitenziaria. Questo ha determinato la sospensione dell'udienza, ed è un fatto gravissimo, che va stigmatizzato con forza. I nostro auguri vanno ovviamente al collega ferito ma il ministero della Giustizia e l'amministrazione penitenziaria non possono tollerare che a Cremona i poliziotti siano colpiti, aggrediti, feriti da chi crede di poter fare in carcere tutto quel che vuole senza essere punito". Capece, che chiede "l'immediato avvicendamento di direttore e comandante dal carcere di Cremona", denunciando anche una rissa tra detenuti stranieri avvenuta, in carcere, nel primo pomeriggio. "Forse il pretesto del furioso pestaggio tra detenuti stranieri avvenuto poche ore fa in una cella del carcere di Cremona è tra i più futili, ossia l'incapacità di convivere, seppur tra le sbarre, con persone diverse. O forse le ragioni sono da ricercare in screzi di vita penitenziaria o in sgarbi avvenuti fuori dal carcere. Fatto sta che tre detenuti marocchini hanno aggredito altrettanti ristretti albanesi armati di sgabelli con i quali li hanno ripetutamente colpiti ed hanno provocato loro ferite dalle quali è uscito copiosamente sangue. Se non fosse stato per il tempestivo interno dei poliziotti penitenziari le conseguenze della rissa potevano essere peggiori". Padova: dopo il traffico di droga e cellulari, anche le false malattie al carcere Due Palazzi di Lino Lava Il Gazzettino, 17 marzo 2015 Dopo il traffico di droga e cellulari si apre un nuovo filone d'inchiesta nella Casa di reclusione. Indagati una decina di agenti e quattro medici con perquisizioni negli studi. Falsi certificati medici per stare a casa in malattia. Tra gli agenti penitenziari c'è chi ha fatto anche cento giorni di assenza in un anno. Sono una decina i poliziotti indagati, quattro sono i medici di base finiti sotto inchiesta. Il pubblico ministero Sergio Dini ha aperto un altro capitolo sulla casa di reclusione Due Palazzi di Padova. Le ipotesi d'accusa sono di falso e truffa. Le perquisizioni sono avvenute venerdì. Gli investigatori della Squadra mobile, diretti dal Vicequestore Marco Calì, si sono presentati con l'ordine del sostituto Dini in quattro ambulatori medici cittadini. E hanno messo tutto sottosopra. Cercavano i riscontri, nei computer e sulla carta, dei certificati di malattia di una decina di agenti penitenziari. E hanno trovato tutto. I presunti certificati medici falsi sono stati scoperti grazie alle indagini di questi ultimi mesi. Gli investigatori della Squadra mobile stanno portando alla luce al Due Palazzi una "catena di Sant'Antonio" di reati che vanno dallo spaccio di droga alla truffa. Una vergognosa "catena" che coinvolge decine e decine di agenti di polizia penitenziaria. E agli uomini della Mobile non sono sfuggiti i certificati medici in occasione delle festività, dei "ponti", dei periodi in cui uno manderebbe volentieri il lavoro a quel paese. E poi il presunto falso e la presunta truffa non erano poi nascosti in modo accurato. Nel senso che alcuni agenti rimanevano assenti per malattia e il certificato medico lo portavano in un secondo momento. Oppure, nel certificato non c'era la firma del proprio medico di base, ma di un medico qualsiasi. Il "blitz" della Mobile dello scorso 8 luglio ha gettato un'ombra di vergogna sul carcere. Al Due Palazzi c'era un commercio di droga, di telefoni cellulari e di computer. Agenti e personaggi del crimine camorristico gestivano di comune accordo il traffico. Ma la droga girava anche tra gli agenti. Il luogo per drogarsi era l'alloggio di servizio di uno dei poliziotti indagati. Ebbene, l'agente Paolo Giordano non ce l'ha fatta a vedere la fine dell'inchiesta e si è tolto la vita. La falsa rivolta del 22 gennaio scorso ha posto un altro punto di domanda sulla conduzione della casa di reclusione. No, non erano "soldati" dell'Isis i rivoltosi, ma romeni ubriachi. E la violenza è esplosa per un macerato di frutta prodotto di nascosto in una cella dove si distillava la grappa. Il "blitz" del 2014 non ha evidentemente stroncato i traffici all'interno della casa di reclusione. Il 4 marzo scorso gli uomini della Mobile hanno arrestato altri due agenti, mentre altrettanti colleghi sono finti nel registro degli indagati con le accuse di corruzione e spaccio di stupefacenti. Secondo il pm Dini, i quattro rifornivano i detenuti di sim card, telefoni cellulari e droga. Anche dopo gli arresti di luglio la droga, le sim card e i telefoni cellulari hanno continuato ad entrare liberamente al Due Palazzi. Certo, fanno molto comodo ai detenuti della criminalità organizzata. Chieti: "Sport in carcere", riprendono le attività del Coni per i detenuti www.chietitoday.it, 17 marzo 2015 Il progetto "Sport in carcere". che ci sta dando grandi soddisfazioni - spiega il Delegato Coni Point Chieti Gianfranco Milozzi - prevede una serie di interventi nelle carceri di tutta la provincia. A Chieti abbiamo trovato la massima disponibilità del direttore che ha da subito creduto nell'iniziativa per la quale ho profuso il massimo impegno perché fermamente convinto dell'importanza dell'attività sportiva che ha una grande rilevanza sotto molteplici aspetti come la salute e il rigore nello stile di vita; oltre alle discipline sportive, corpo libero e calcio a 5, sono previste una serie di preziose attività collaterali come i corsi di primo soccorso e di corretta alimentazione. Lo sport insegna il rispetto delle regole e in un ambiente come quello carcerario è un aspetto fondamentale. Inoltre una buona condizione fisica migliora i rapporti tra le persone ed è molto importante sotto l'aspetto sanitario. Il nostro obiettivo è allargare l'iniziativa al maggior numero di carceri". Musica: Franco Mussida e il "Progetto CO2 (controllare l'odio)" tra i detenuti di Ariel Pensa Corriere della Sera, 17 marzo 2015 La collana "The Jazz Years - I più grandi album del Jazz" diventa parte integrante, già al suo nascere, del "Progetto CO2 (controllare l'odio)", iniziativa sociale finanziata dalla Siae con il patrocinio del ministero di Grazia e Giustizia, sotto l'alto patronato del Presidente della Repubblica. Ideato e coordinato da Franco Mussida, il progetto è stato avviato una decina di mesi fa e ha lo scopo di portare la musica strumentale nelle carceri attraverso speciali audioteche in cui i brani prescelti vengono catalogati non per generi musicali, ma per grandi stati d'animo prevalenti. "L'idea - spiega Mussida - è molto semplice: si tratta di portare la Musica (quella con la "M" maiuscola) ai detenuti per educare all'ascolto e dare sollievo. Se poi si considera che per creare benefici nell'intimo di ciascuno la Musica ha bisogno di tempo, per essere ascoltata ed elaborata, è inutile aggiungere che il tempo è forse l'unica ricchezza di cui i detenuti dispongono". Il progetto è triennale e per ora ha visto l'attivazione in quattro case di detenzione: Milano-Opera, il carcere di Monza, Rebibbia femminile a Roma e Napoli-Secondigliano; le audioteche sono dotate di computer, impianti audio e dieci iPad ciascuna con mille brani a disposizione che si vogliono portare a ventimila. Il suo obiettivo è dotare in futuro tutte le carceri di uno strumento artistico per consentire un naturale dialogo con la propria intimità. "Il nome CO2 - aggiunge Mussida - nasce da una metafora: l'uomo emette di giorno, come le piante di notte, un suo invisibile veleno, un'anidride carbonica (CO2) fatta dei peggiori umori e sentimenti spesso repressi. Il senso del progetto è dunque quello di lavorare con le forze della Musica al fine di limitare le emissioni di quell'invisibile veleno emozionale che è l'odio, il risentimento cieco". La scelta di limitare la scelta a brani strumentali è stata fatta perché non vi fossero parole a influenzare i sentimenti creati dalla musica. Nel progetto non ci sono confini tra i generi musicali, si va dalla classica al pop passando dal folk a ogni altra forma espressiva, ma non c'è dubbio che il jazz ha un ruolo determinante ed è parso quindi logico ai coordinatori del progetto "sfruttare" una collana come quella del Corriere che partiva dalle premesse di scegliere gli album fondamentali di un percorso quasi centenario. Una trentina di musicisti italiani, il primo dei quali ad aderire è stato Paolo Fresu, si faranno "sponsor" dei singoli brani scelti nella raccolta per classificarli a seconda degli stati d'animo e guidarne l'ascolto. Libri: le "Cattive Ragazze" vanno in carcere…. e lasciano il segno di Della Passarelli (Direttore Editoriale Sinnos Editrice) www.huffingtonpost.it, 17 marzo 2015 Tre giorni di lavoro intenso, sulle differenze di genere, nel carcere di Salluzzo con gli studenti detenuti delle classi I e III del Liceo Artistico Soleri Bertone e una classe di I Liceo linguistico esterna (quindi di giovanissimi) dello stesso Istituto, sul tema delle differenze di genere a partire dalla Graphic Novel "Cattive Ragazze". Un progetto nato grazie all'impegno della Direzione della Casa di Reclusione e della Dirigenza scolastica del Liceo. E del Salone del Libro di Torino che ha esteso l'iniziativa "Adotta uno scrittore" anche alle classi dell'Istituto di Pena. Conosco il carcere abbastanza bene. Ho frequentato Rebibbia penale per diversi anni per lavoro e lì è nata la casa editrice che dirigo, nel 1990. Sono fermamente convinta della giustezza dell'articolo 27 della nostra Costituzione, e mi riferisco in particolare a quel paragrafo che dichiara: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". A Salluzzo ho assistito e partecipato ad una delle possibili declinazioni della "rieducazione del condannato", ma anche ad una possibile pratica di costruzione di cittadinanza responsabile. Il progetto "Cattive Ragazze" si sta realizzando in tutta Italia, dal Piemonte alla Sicilia, grazie all' Associazione Kind Of, e ai partner coinvolti, tra cui alcuni docenti del Dipartimento di Psicologia dell'università di Torino e i registi Cesar Brie e Nelson Valente, che stanno lavorando allo spettacolo tratto dai testi delle Cattive Ragazze, che sarà messo in scena in anteprima proprio nel carcere di Salluzzo e a Racconigi a metà giugno, per poi arrivare a Roma per la prima a Villa Torlonia in autunno. Nel carcere di Salluzzo sono partiti i primi laboratori (che si ripeteranno con la stessa struttura in tutte le scuole coinvolte), dopo la somministrazione di un primo questionario sulle differenze di genere. Per tre giorni detenuti adulti e ragazzi hanno lavorato insieme sulle 15 biografie contenute nel testo, ne hanno discusso e sviluppato le problematiche, hanno espresso le loro idee sul ruolo della donna. Prima in plenaria, lanciando e rilanciando commenti e considerazioni. Poi in piccoli gruppi per scrivere le parti che ritenevano mancassero nel fumetto che riguardava donne che avevano scelto. E allora l'incontro immaginario tra Antonia Masaniello e la figlia che aveva abbandonato per partire a combattere con Garibaldi, le spiegazioni del marito di Franca Viola a sua figlia che a scuola viene a sapere che sua madre aveva mandato in carcere Filippo Melodia ("un po' come è successo a Cappuccetto Rosso: ha mandato il lupo cattivo in carcere"). Impossibile raccontare tutto in un post, qualcosa ho scritto sulla mia pagina Facebook. Quello che mi preme dire qui è quanto sia stata importante per i detenuti e i ragazzi questa opportunità di incontrarsi e lavorare assieme. I detenuti sono stati adulti responsabili nei confronti dei ragazzi. Il confronto e il dialogo sono stati profondi e attenti. Lucidi e mai "pietosi". Si è parlato di tutto, sforzandosi di smantellare pregiudizi, di comprendere. I ragazzi si sono trovati di fronte persone consapevoli dei reati commessi e tutti con la stessa domanda: come fare a riscattarsi, a recuperare una vita perduta. Quegli uomini hanno fuori mogli, madri, figlie. Hanno spezzato vite, compresa la loro. "Dopo vent'anni dentro si cambia" ha detto uno di loro. Domenico, detenuto, conosce l'Inferno a memoria e ci ha recitato i primi due canti. Compassione, quella che Dante ci insegna, l'ho provata e trovo che sia un sentimento tra i più alti, nell'essere umano. Ma non carità calata dall'alto, "buonismo" inutile, questo no. Sono convinta che se migliorano le condizioni nelle carceri, se lo scambio interno-esterno è efficace, ci guadagnano tutti. Credo che i ragazzi del liceo di Salluzzo saranno adulti che avranno bene a mente quegli sguardi e quelle voci. Che difficilmente dimenticheranno che cosa sia il carcere, e le persone che lo abitano. E forse qualcuno di loro, da grande, si impegnerà perché le condizioni di vita in carcere siano migliori per tutti e perché effettivamente ed efficacemente si operi per la "rieducazione del condannato". L'ultimo giorno, quello della "restituzione" dei lavori, alla lavagna dell'aula del carcere tutti hanno scritto nomi di donne da aggiungere alle 15 presenti nella Graphic. È stato particolarmente emozionante vederli alzarsi uno a uno. Molti i nomi "noti", ma anche quelli di alcune nonne, zie. E della professoressa di Italiano e Latino che segue le classi "interne", Rossella Scotta. E di tutte le ragazze della 1 liceo presente: "per il coraggio di essere entrate a lavorare qui, con noi." Sarebbe bello se fosse pratica comune quella di far entrare in carcere gli studenti per condividere un progetto e un lavoro. Non per carità. Ma per costruire. Costruire coscienza e consapevolezza, dialogo e comprensione. I libri, le storie, sono strumenti indispensabili per far questo. Cattive Ragazze dunque in questi giorni viene letto da tantissime ragazze e ragazzi. Con la storia di Claude Cahun: la prima citata all'inizio dei laboratori a Salluzzo. Storia che in una media romana ha sollecitato un docente a proporre che venisse strappata dal libro. Nella stessa scuola (pubblica, che non cito per ora per rispetto dei ragazzi) alcuni genitori hanno trovato il libro quasi nella sua totalità "immorale". Immorale parlare di libertà delle donne. Di parità. Ecco che i libri di nuovo sono pericolosi: portatori di pensiero libero. A maggior ragione direi che dobbiamo batterci tutti perché nelle nostre scuole ci siano tanti libri, ci siano biblioteche e tempo di leggere. Per questo vi rinnovo l'invito a firmare la petizione promossa da Torino rete libri. Ed ecco alcune proposte di lettura, oltre naturalmente a Cattive Ragazze, di Assia Petricelli e Sergio Riccardi: L'universo di Margherita, Margherita Hack e Simona Cerrato, Editoriale Scienza Edizioni EL, la collana Belle, astute e coraggiose e se ancora lo trovate, magari in biblioteca, la raccolta di fiabe di Véronique Beerli con lo stesso titolo e poi le proposte di lettura di Piccole donne leggono e Leggere senza stereotipi. Segnalo anche la mostra Ci sono anch'io a cura dello Stampatello. Sul carcere, la bibliografia che trovate su Ristretti. Buona lettura. Che sia libera! Televisione: con "Mala Vita" il carcere (raccontato da detenuti) diventa fiction Italpress, 17 marzo 2015 La "Mala Vita" che dà il titolo al cortometraggio (della durata di 25 minuti e prodotto da Rai Fiction con Riviera Film) che Raitre trasmette giovedì 26 marzo alle 22.45 (dopo un primo passaggio sulla piattaforma Ray) è quella dei detenuti. Sono loro, infatti, i protagonisti della storia tratta dal racconto "Pure in galera ha da passa ‘a nuttata" di Giuseppe Rampello, vincitore del ‘Premio Goliarda Sapienzà 2013, riservato appunto a racconti di detenuti editi ogni anno da Rai Eri. Interpretato da Luca Argentero e Francesco Montanari, "Mala Vita" racconta l'esperienza di Antonio, finito per l'ennesima volta dietro le sbarre e nella sua solita cella dove, però, stavolta trova Rocco, boss della camorra arrogante e violento che farà di tutto per rendergli la vita difficile. Il direttore di Rai Fiction Tinni Andreatta spiega: "Stavolta i carcerati e la vita in carcere non sono oggetto di racconto, abbiamo cambiato punto di vista. Come in ‘Braccialetti rossì non raccontiamo i ragazzi ma diamo loro voce, così qui diamo voce ai detenuti. Non ci sono nè distacco nè giudizio. Per noi si tratta non solo del primo vero progetto Rai multipiattaforma ma anche del capofila di una serie di progetti in collaborazione con il premio Goliarda Sapienza". Un progetto che ha già pronto il soggetto del prossimo anno, come anticipa il responsabile del progetto Pino Corrias: "Si tratta di un lavoro tutto al femminile, che sarà scritto da Monica Rametta e diretto da Anna Negri. Racconterà una giornata di libertà di una detenuta di un carcere femminile. Diciamo che ‘Mala Vità è un corto di un lungo progetto con cui vogliamo raccontare un mondo che non si vede e farlo nel modo più possibile antiretorico". Il progetto, che ha il patrocinio del Ministero della Giustizia, del Ministero dei Beni e della Attività Culturali e del Turismo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, incontra il plauso del sottosegretario alla giustizia Cosimo Maria Ferri ("Il servizio pubblico accende le luci su un mondo molto complesso come quello delle carceri") e del capo del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria Santi Consolo che parla di "un'iniziativa molto importante e di un'operazione culturale". Comprensibilmente soddisfatti i due protagonisti: per Luca Argentero "queste fiction offrono la possibilità ad un attore di interpretare ruoli che, altrimenti, non avrebbe. Spero che la piattaforma Ray offra nuove prospettive a registi e sceneggiatori, che sia una testa d'ariete per far emergere nuove storie". Montanari, al momento impegnato sul set di un'altra fiction Rai, "Questo è il mio paese", sottolinea che "abbiamo girato in un vero carcere che oggi è un museo. Quando entri in quegli ambienti che trasudano l'umanità di chi c'è stato, non puoi non emozionarti". Il direttore di Raitre Andrea Vianello conclude affermando che "Mala Vita" "è pienamente nella missione di Raitre nella quale anche l'intrattenimento cerca di avere sempre una valenza sociale". Stati Uniti: l'Onu denuncia "80 mila detenuti in isolamento estremo e prolungato" di Andrea Scutellà La Repubblica, 17 marzo 2015 La denuncia è del "Relatore speciale sulle torture e altre punizioni crudeli, inumane e degradanti" Juan Ernesto Mendez durante conferenza stampa della 28ª sessione del Consiglio delle Nazioni Uniti per i diritti umani. I numeri sono in continua evoluzione, ma la cosa peggiore è la lunghezza dei termini: non è inusuale, per un prigioniero, passare 25-30 anni o anche di più senza alcun contatto umano. Le prigioni federali sono "indisponibili" ai controlli esterni. "Come nel Bahrein", afferma Mendez. Nelle prigioni statunitensi i diritti umani non sono i benvenuti. O forse lo sono soltanto a determinate condizioni. È questa la denuncia del "Relatore speciale sulle torture e altre crudeli, inumane e degradanti punizioni" Juan Ernesto Mendez, che ha vissuto la barbarie dei metodi di interrogatorio "non convenzionali" sulla propria pelle: nell'Argentina degli anni ‘70, quella dei colonnelli, dei voli della morte e dei desaparecidos. "Negli Stati Uniti si stima che ci siano 80mila persone in isolamento estremo e prolungato - ha dichiarato Mendez durante la conferenza stampa della 28ª sessione del Consiglio delle Nazioni Uniti per i diritti umani - nelle prigioni federali e in quelle statali. I numeri sono in continua evoluzione, ma la cosa peggiore è la lunghezza dei termini: non è inusuale, per un prigioniero, passare 25-30 anni o anche di più in isolamento". Ma la vera stoccata verso l'amministrazione a stelle strisce viene lanciata poco dopo. "In una delle ultime conversazioni che abbiamo avuto - denuncia Mendez - mi è stato risposto che le prigioni federali sono "indisponibili". E io vorrei sapere cosa significa "indisponibili". Perché io non posso accettare un invito a visitare le prigioni statali della California se le carceri federali sono fuori dalla mia portata". Gli Stati Uniti come il Bahrain. La Georgia, a differenza degli Stati Uniti, ha permesso all'ispettore Onu il pieno accesso alle sue carceri dal 12 al 19 marzo. All'interno del report di Mendez le carceri americane risultano tra le "richieste pendenti": "Il relatore speciale continua a richiedere un invito dal governo degli Stati Uniti d'America per visitare il centro detentivo della Baia di Guantánamo, a Cuba, a condizioni che possa accettare (era stato proposto a Mendez di visitare il carcere di massima sicurezza, ma senza poter parlare da solo con i detenuti, ndc). La sua richiesta di visitare le prigioni federali, inoltre, è ancora in sospeso". A questo punto tornano alla mente due immagini. La prima è quella di un neoeletto Barack Obama che firma in diretta mondiale la chiusura del carcere di Guantánamo. L'altra è un collage delle note di biasimo o minacce di invasione, in ultimo quella siriana, ingiunte dai vari presidenti Usa ai cosiddetti rogue state che non intendevano far entrare gli ispettori Onu nei loro confini. Oggi, nella speciale lista degli "gnorri" dei diritti umani, gli Stati Uniti sono in compagnia del Bahrain. La monarchia mediorientale ha rimandato una visita di Mendez alle sue prigioni visita prevista già due anni fa. "Sono addolorato per il popolo del Barhain" ha dichiarato l'ispettore Onu. Kenny Zulu Whitmore, 35 anni in isolamento. A volte dagli States giungono repliche dalle autorità, sostiene Mendez, ma non da quelle che amministrano le strutture che vorrebbe visitare. Così restano in bilico i suoi viaggi nelle carceri degli stati della California, di New York, della Louisiana e della Pennsylvania. Tra i 7 casi pendenti che riguardano l'amministrazione statunitense contenuti nel rapporto del Relatore speciale, 3 avvisi hanno ricevuto risposte ritenute insufficienti e 4 comunicazioni sono cadute nel vuoto. Colpisce, in particolare, la storia di Kenny Zulu Whitmore, su cui il governo statunitense tace dal 10 gennaio 2014: è stato detenuto in isolamento per 35 anni, di cui 27 consecutivi, nella Louisiana State Prison, meglio conosciuta come Angola. "Il Relatore Speciale - si legge nel rapporto - ha definito l'isolamento prolungato e estremo come un qualsiasi periodo di isolamento superiore a 15 giorni. La definizione è basata sulla grande maggioranza degli studi scientifici che indicano che dopo 15 giorni di isolamento spesso si manifestano effetti psicologici dannosi e possono anche diventare irreversibili". Nel prosieguo del rapporto il relatore ricorda che, secondo le convenzioni internazionali, l'isolamento prolungato ed estremo è una forma di tortura. La condizione dei minorenni in carcere. Oltre alle condizioni di detenzione negli Stati Uniti, ad emergere è la realtà sconvolgente della privazione della libertà infantile, a cui sono dedicate la maggior parte delle pagine del rapporto. A rigor di convenzioni internazionali, per i minorenni, la prigionia dovrebbe essere una "ultima ratio" come sottolineato da Mendez nelle conclusioni. Purtroppo, invece, si tratta di una realtà endemica: "La maggioranza dei bambini privati della loro libertà sono in detenzione preventiva, spesso per periodi prolungati e per reati minori, in locali non idonei e sovraffollati". Non solo, Mendez durante le sue visite "osserva regolarmente la pratica delle punizioni corporali come misure disciplinari per i bambini detenuti, incluse dure bastonate, fustigazioni, colpi ripetuti con bastoncini o corde elettriche, percosse sui glutei con tavole di legno e la costrizione a inginocchiarsi per lunghi periodi con le mani in aria". I casi citati sono quelli delle prigioni del Ghana e del Marocco. Il trattamento dei richiedenti asilo in Australia. Il primo ministro australiano Tony Abbott, durante la presentazione del rapporto di Mendez, si è detto "stanco di ricevere lezioni della Nazioni Unite" sul trattamento dei richiedenti asilo. E ha aggiunto che l'Onu potrebbe "guadagnare un po' di credibilità se concedesse il giusto riconoscimento al governo australiano" per quello che ha fatto nella sua area di competenza contro l'afflusso dei barconi, principale causa del disagio dei migranti, a suo modo di vedere. Il rapporto di Mendez denuncia situazioni di "detenzione indefinita dei richiedenti asilo, cattive condizioni di detenzione, presunta detenzione di bambini e un'escalation di violenza al "Regional Processing Center" (culminata nella morte del 23enne richiedente asilo iraniano Reza Berati, ndc) " la prigione per migranti allestita dal governo australiano sull'isola di Manus, in Nuova Guinea. "Penso che le persone prigioniere in alto mare e soggette a detenzione prolungata sulla base del loro status - ha replicato Mendez ad Abbott - non debbano essere rispedite in un paese dove potrebbero subire torture". Pakistan: pena di morte, eseguite 12 impiccagioni in 7 diverse prigioni Ansa, 17 marzo 2015 Dodici condannati a morte sono stati impiccati oggi in poche ore in sette diverse prigioni del Pakistan, portando a 39 le persone messe a morte da quando il governo ha revocato la moratoria sulle esecuzioni delle pene introdotta nel 2008. Lo ha reso noto Geo Tv. Le impiccagioni, ha precisato l'mittente, dovevano essere 14 ma all'ultimo momento due condannati hanno ricevuto il perdono delle famiglie delle vittime e hanno così potuto salvare la propria vita. In dicembre la moratoria era stata revocata, a seguito del massacro di studenti in una scuola di Peshawar, solo per i condannati a morte per terrorismo. Successivamente però il governo del premier Nawaz Sharif ha esteso la revoca a tutti coloro che si trovano nel ‘braccio della mortè delle carceri pachistane. Le impiccagioni odierne sono avvenute nelle carceri di Karachi, Multan, Jhang, Gujranwala, Mianwali, Faisalad e Rawalpindi, mentre esse sono state sospese per due condannati a Multan e Dera Ghazi Khan. Nel complesso, da quando le esecuzioni sono riprese, 39 detenuti sono saliti sul patibolo. Secondo le organizzazioni umanitarie, degli 8.000 detenuti pachistani condannati a morte, circa 1.500 hanno esaurito ogni possibilità di ricorso o di ottenimento della grazia presidenziale e potrebbero quindi essere impiccati. Portogallo: sciopero generale Polizia penitenziaria per rispetto statuto professionale www.voceditalia.it, 17 marzo 2015 Il 24 e 25 marzo gli agenti di Polizia penitenziaria portoghesi effettueranno uno sciopero totale, e annunciano altre agitazioni per il mese di aprile, qualora il Ministero della Giustizia continui a posticipare l'applicazione dello statuto professionale. Lo ha annunciato ieri il presidente del Sindacato nazionale del Corpo delle guardie penitenziarie, Jorge Alves, nel corso di una manifestazione svoltasi davanti al Ministero, che si è conclusa con la consegna di un memorandum alla ministra Paula Teixeira da Cruz.