Sulle carceri, Germania batte Italia in civiltà e umanità Il Mattino di Padova, 16 marzo 2015 La scorsa settimana nella nostra redazione in carcere ci è arrivata una lettera di un italiano detenuto in Germania: la proponiamo ai lettori mettendola a confronto con la testimonianza di un detenuto, che qui in Italia fa i salti mortali per suddividere i dieci minuti di telefonata a settimana consentiti fra le quattro figlie, i nipoti e la sua anziana madre. In carcere in Germania: sentire tutti i giorni la famiglia al telefono ti toglie tanta ansia Cari amici di Ristretti Orizzonti, mi chiamo Giuseppe P., e sono detenuto qui in Germania nella città di Lubeck. Grazie a una sociologa del mio carcere, ogni tanto ricevo il vostro giornale e mi fa molto piacere. E mi ha fatto particolare piacere leggere la battaglia che state facendo con lo Stato italiano per avere qualche ora in più con figli e famiglia, anche se sarà difficile che approvino la proposta di legge che voi sostenete. Tutto quello che ho letto nel vostro giornale, nelle vostre proposte, come le telefonate libere, qui in Germania già esiste da molto tempo. Io qui per esempio ho quattro colloqui di un'ora al mese e due lunghe visite al mese con tutta la famiglia, dalle ore 10 alle ore 18, in una bella casa arredata di tutto. Per chi riceve la famiglia con bambini c'è una camera piena di giocattoli. Puoi cucinare di persona oppure paghi due euro al carcere e ti danno loro il buffet per tutto il giorno. Credetemi è bellissimo tutto questo: è come passare un giorno a casa in famiglia. Qui il 99% dei detenuti vive in cella da solo e qui il carcere autorizza a comprare la televisione, il frigorifero piccolo, l'impianto stereo, il lettore dvd, la play station 2. Sapete cosa significa tutto questo? Che eviti molta ansia e nervosismo e non succede come in Italia, dove ti buttano in cella con tre o più persone. In più qui esiste la regola che quando sei definitivo ti danno la scheda telefonica con numero e pin che puoi utilizzare tutti i giorni e chiamare dove vuoi: si intende, le schede sono ricaricabili a tuo carico, è un sistema che qui esiste da molto tempo e credetemi significa molto, significa sentire tutti i giorni la famiglia al telefono. Anche questo toglie stress e non come in Italia con dieci minuti alla settimana, aspettando la fila e se riesci anche a chiamare, prima di ottenere l'autorizzazione a telefonare devi presentare la fattura di casa o del cellulare, chi è l'intestatario, e deve essere solo un famigliare. Io da qui posso chiamare tutti dove e quando voglio. Qui quasi l'80% dei detenuti ogni giorno va al lavoro, compreso me, e anche questo è fantastico perché la giornata passa in fretta fuori dalla cella. Non devi preoccuparti di mantenerti in carcere e questo sarebbe molto importante, soprattutto in questo momento che in Italia si vive una crisi enorme. Qui funziona così: una parte dello stipendio la spendo e l'altra parte la metto a deposito risparmio per quando esco e anche questo è molto intelligente. Poi qui non porti abiti privati, ma tutto quello che il carcere passa dalla a alla z per quanto riguarda il vestiario. Inoltre qui tutto il vestiario è marcato con una etichetta, compresi calzini e intimo. Ogni settimana si portano i vestiti a lavare e torna tutto pulito e anche questo è bellissimo perché la famiglia fuori risparmia lavoro e soldi. Qui i colloqui si svolgono in una stanza molto grande e ci sono anche macchine automatiche di caffè, cioccolato, acqua, coca cola. Poi anche nella sezione c'è una stanza dove è montata una cucina completa, e ogni giorno i detenuti cucinano compreso io, in più c'è la stanza dello sport che è molto grande e ci vanno tutti. Io concludo questa lettera con la speranza che quello che esiste in altre carceri d'Europa arriverà presto in Italia, anche se per me è un sogno lontano. Io vi saluto e vi abbraccio con molta stima e vi auguro un buon successo per i progetti nelle carceri italiane. Giuseppe P. In carcere in Italia: crescere i figli in dieci minuti di telefonata a settimana Voglio raccontare come mantengo il rapporto con le mie quattro figlie, tre delle quali sono sposate, con dieci minuti di telefonata alla settimana. Ogni sabato telefono a una di loro, ognuna abita per conto suo, ed in regioni diverse, significa che posso telefonare una volta al mese a ogni figlia. Nessuno può capire quanto è difficile mantenere il rapporto familiare con dieci minuti di telefonata a settimana. Se a questo si aggiunge il fatto che la mia anziana madre è gravemente ammalata, e che abita in Belgio, per avere sue notizie sono obbligato a togliere un po' d'amore a una delle mie figlie, perché anche le mamme hanno diritto di sentire i propri figli. Sicuramente mia figlia più piccola mi farà un rimprovero, la sua giovane età non la porta a capire che devo avere notizie anche di sua nonna. Le mie figlie tante volte mi rimproverano che le penso poco, e mi dicono: "Per noi non trovi mai tempo!". Qualche volta loro dimenticano che ho dieci minuti di telefonata a settimana. Purtroppo hanno la loro ragione, hanno bisogno di sentire la voce del papà, non chiedono tanto, chiederebbero un po' di mia presenza in più, hanno vissuto e vivono il fatto che non ci sono mai stato, prima per il tanto lavoro e poi per la mia detenzione, e sanno pure che non mi potranno avere mai. La mia condanna è all'ergastolo. L'unico amore che posso trasmettere sono quei miseri 10 minuti di telefonata a settimana. Tante volte mi sento rimproverato da tutti, anche mia moglie l'ha fatto. Pure i miei fratelli mi dicono: "Noi, non trovi mai tempo per chiamarci". Purtroppo hanno ragione, io sono il colpevole dei miei reati, per questo sto pagando, e devo sottostare a certe regole dettate da chi, nelle Istituzioni, forse non ha calcolato gli effetti disastrosi che subiscono le famiglie. Mia figlia Rita mi dice: "Papà non sei solo tu il colpevole, lo siamo anche noi per la giustizia, noi paghiamo più di voi che avete commesso il reato, noi siamo più umiliati di voi, basta sentirsi dire dalle persone con disprezzo che sei la figlia di un carcerato!". Sempre Rita in una lettera mi scriveva: "Papà, tu sei una persona viva, ma è come se non lo fossi, è brutto da dire ma se avessi avuto un papà morto potevo recarmi davanti alla tua tomba quando volevo, ma sapere che sei vivo e non poter venire quando vogliamo è un dolore grande!". Questa è la più grande tortura, la condanna all'ergastolo non la sento più, ma queste parole delle mie figlie mi uccidono tutti i giorni. Ogni anno la più piccola viene ad un unico colloquio, che è di sei ore, le stesse che uno normalmente potrebbe fare distribuite nel mese, ma non è semplice arrivare dal Belgio a Padova. E poi a causa del sovraffollamento delle famiglie che vengono al colloquio, non è facile che si trovi il posto per fare tutte le sei ore e allora va a finire che ne fai tre o quattro, a seconda delle richieste che vengono presentate all'ingresso del carcere, dove stanno sempre tante persone ad aspettare all'aperto, senza grandi ripari e con le intemperie che ci possono essere. Attendi un anno per vedere uno dei tuoi figli e per poche, miserissime ore. Se le utilizzasse tutte insieme, un detenuto può vedere i propri familiari per un totale di tre giorni all'anno. Che cosa riesci a dirti, soprattutto considerando il fatto che devi condividere la saletta colloqui con altre 20, 30 persone? Bambini che giocano, che gridano, sono stanchi del viaggio. Tante volte mia figlia più piccola mi racconta come va a scuola, io vorrei capire come sta crescendo, ma ecco che ti senti chiamare dall'agente che ti dice: "Il colloquio è finito!". Devi aspettare il prossimo colloquio per sapere qualcosina in più della loro vita, è veramente dura mantenere il rapporto con la famiglia. Anche per questa situazione tanti detenuti, e molti anche prima che finisca la loro pena, si ritrovano soli. Io aspetto sempre il sabato per telefonare, e attendo con la paura di ricevere notizie negative. Questo mi riporta ad una esperienza che mi è successa. Un giorno chiamo mia mamma e sento subito un tono di voce angosciato, mi dice: "Tua figlia ha avuto un incidente, è in ospedale!". Cerco di saperne di più, ma i dieci minuti di telefonata finiscono subito, cade la linea; sapevo che dovevo aspettare il prossimo sabato per avere ulteriori notizie, ma ero disperato, ho chiamato gli agenti, ho spiegato la situazione e ho chiesto se potevo anticipare la telefonata del sabato successivo. La risposta è stata che non era possibile! Ero come impazzito, non riuscivo più a dormire, volevo notizie di come stava mia figlia, ma ho dovuto aspettare una settimana per avere altre informazioni. Forse mia figlia ha ragione nel dire che le famiglie sono più condannate dei loro parenti condannati! Biagio Campailla Il Papa "Meno giudizi più misericordia" di Piero Sansonetti Il Garantista, 16 marzo 2015 Mentre tutt'Italia - i giornali, i politici, gli intellettuali, le Tv - proclamano come valori universali quello della legalità, della pena certa, del rigore nei giudizi, e dicono che questi valori vanno recuperati, riaffermati, sacralizzati, Papa Francesco ne combina un'altra delle sue. Senza dir niente a nessuno - dopo aver annunciato che il suo papato durerà poco - indice addirittura un Giubileo straordinario dedicato alla Misericordia. Rovesciando a centottanta gradi lo schema della legalità e del legalismo. E come annuncia questo Giubileo straordinario? Lo fa, quasi provocatoriamente, leggendo e commentando un passo molto famoso (e scandaloso) del Vangelo di Luca. È quel brano del Vangelo che racconta la storia di una peccatrice (verosimilmente una prostituta, una di quelle che, per esempio, Travaglio ogni giorno sul suo giornale chiama mignotte…) la quale chiede perdono a Gesù, gettandosi ai suoi pedi e inondandoli con le sue lacrime, dinnanzi ai farisei che guardano indignati e immaginano che Gesù la scacci, la punisca, e invece Gesù accoglie la sua preghiera, la perdona, e scandalizza i farisei che conoscono la legge ma non conoscono - dice Francesco - lo spirito, lo spirito che sta anche dentro la legge. E commentando questo brano di Luca, il Papa insiste su un particolare, piccolo, ma molto significativo (specialmente perché mostruosamente in contrasto con lo spirito pubblico di oggi), e cioè la frase con la quale Gesù spiega il perdono. Dice Gesù: "Donna, sei perdonata perché hai tanto amato". E poi aggiunge: "La tua fede ti ha salvato". Naturalmente servono dei teologi per interpretare in profondità queste frasi, e anche il collegamento che esse realizzano tra fede e amore, e tanto più servono dei teologi per capire bene cosa intenda Gesù, in questa occasione, per amore, e se mescoli amore sacro e amor profano, religione e amore terreno. In ogni caso si intuisce una modernità sconvolgente nella morale che emerge da questo brano. Una modernità e una assenza di "perbenismo" che è avanti anni luce rispetto alla morale corrente di oggi, quella - per capirci - che si intravede negli editoriali di qualunque giornale, o nei discorsi dei politici, o in Tv, o nel ragionare dell'intellighenzia di sinistra e di destra. E della stessa Chiesa. Quello che invece si può capire bene, senza ricorrere alla teologia, è il lancio della bomba atomica chiamata "misericordia" in un dibattito pubblico che di misericordia non vuol sentir parlare. Non occorre essere filosofi per capre che il valore della Legalità e della Punizione - i due valori vincenti, oggi, nell'opinione pubblica non solo italiana - sono due valori che hanno le loro ragioni di esistere, in politica, ma che sono in contrasto inconciliabile con il valore della misericordia. Sono valori assolutamente alternativi, che non si possono mescolare. A meno che non si intenda misericordia come una "misura" secondaria rispetto alla Legge e alla Punizione. Una istanza di "attenuazione" che si accoda e non sostituisce il rigore. E questa è l'accezione che viene offerta comunemente alla parola misericordia. L'idea è che esistano tre cose e tre sole cose: la legge, la violazione della legge, e la punizione. E che la punizione debba essere così severa da sconsigliare la violazione della legge (funzione deterrente) ed eventualmente da rappresentare un risarcimento alla società (o alla vittima individuale) se la legge è già stata violata. Solo a questo punto può intervenire il valore del perdono o della misericordia, che però sono "sentimenti" e non "valori" e riguardano la religione e non la società, né tantomeno lo Stato, e che in nessun modo interferiscono con la legge o con la punizione. Il papa rovescia questo ragionamento. Pone la misericordia al centro di tutto e la diaspora di tutto. Pone la legge al di sotto della misericordia. Afferma la misericordia come valore primario, e non più subalterno ad altri valori, dice che la misericordia è necessaria per costruire una comunità più umana, più giusta, più vicina a Dio. Rilancia idee che aveva già espresso nei mesi scorsi. Quando, per esempio, disse: "Il messaggio di Gesù è la misericordia. Per me, lo dico umilmente, è il messaggio più forte del Signore". O quando scrisse: "La misericordia non è solo un atteggiamento pastorale, ma è la stessa sostanza del Vangelo". Addirittura, perché le sue parole non siano sottovalutate, indice un Giubileo Straordinario, cioè promuove un evento clamoroso e che coinvolgerà milioni di persone in tutto il mondo. E stabilisce per questo Giubileo una data quasi immediata: prima che finisca il 2015, in questo sentimodo conferendo un carattere di urgenza alla necessità di riportare all'attenzione pubblica il valore della misericordia. E perdipiù sceglie una data simbolicamente importante per l'inizio dell'anno santo: l'8 dicembre del 2015, e cioè proprio il giorno nel quale cade il cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, e cioè di quel grande evento religioso e teologico che portò la Chiesa di Giovanni XXIII e quella di Paolo VI su posizioni avanzatissime non solo sui temi sociali (che sono carissimi a Francesco) ma anche sui problemi della carità, della misericordia e del perdono. Non è un mistero che gli ultimi due papati, quello di Wojtyla e quello di Ratzinger, avevano guidato la Chiesa su posizioni abbastanza lontane dalle posizioni conciliari e dai testi della "Gaudium et Spes". Giovanni Paolo e Benedetto avevano cercato di riportare la Chiesa ad un unico valore, superiore a tutti gli altri: la fede. Francesco, già scegliendo il proprio nome (il nome del santo che andò a trattare col feroce saladino, il capo degli infedeli) ha deciso di modificare questo schema e di tornare al Concilio: al primo posto la carità. Francesco vede nella fede un risultato della carità, mentre Benedetto in una enciclica ("Caritas in veritate"), aveva teorizzato esattamente il percorso opposto: la carità -diceva - esiste solo come precipitato della fede, e l'amore per gli uomini è solo il riflesso dell'amore per Dio. Francesco ha ribaltato questa interpretazione "verticale" della religione e sta lavorando per rimettere la religione coi piedi per terra, e per farla funzionare come un elemento orizzontale, che si rivolge agli uomini e trova Dio attraverso gli uomini e attraverso l'amore, non viceversa. Il papa ha anche detto che immagina che il suo pontificato sarà breve. Chissà perché lo ha detto. Se era solo una professione di umiltà. Speriamo. In ogni caso è difficile che questo Giubileo resti senza conseguenze. Sarà molto difficile, l'anno prossimo, cercare coperture della Chiesa al giustizialismo. La scelta del papa è secca, drastica, anche oggettivamente in contrasto aperto con le ultime posizioni dei vescovi italiani sull'affare Berlusconi. È difficile trovare un'unità spirituale tra il capo dei vescovi che ha detto (a proposito del Cav) che "lo Stato lo ha assolto ma Dio no", e il Papa che dice esattamente l'opposto: "prima viene il perdono e poi il giudizio", e spiega che tra la peccatrice e il fariseo Simone ( uomo immacolato e incensurato) sceglie la peccatrice. No? Giustizia: la via crucis di Stefano, iniziata quando aveva 6 anni… finisce in un Opg di Francesca de Carolis Il Garantista, 16 marzo 2015 Ricoveri, "terapie" farmacologiche, neurolettiche e sedative. Legato mani e piedi anche per otto-dieci giorni. Finalmente nel 2012 viene dimesso dal reparto di psichiatria dell’ospedale di Vicenza e affidato al Villaggio Sos, ma è diventato maggiorenne. Peppe dell’acqua, "storico" direttore del Dipartimento di salute mentale di Trieste: "mi disse che per lui il letto di contenzione, non è altro che continuare a subire un tormento che conosce dalla prima adolescenza". Quando ho aperto la cartella con la sua storia, non sono riuscita ad andare fino in fondo. Per lo strazio, Ma la via crucis di... chiamiamolo Stefano, 19 anni e 5 mesi, è tutta lì. In cartelle cliniche, relazioni, anamnesi... Oggi, la sua vita negata è tutta in una sentenza che lo ributta in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario, dopo che un anno fa, in seguito a una reazione convulsa nata dalla paura, un’ordinanza di misura di sicurezza provvisoria del Tribunale di Vicenza in meno di un mese l’aveva già spedito a Castiglione delle Stiviere. Me ne parlò allora, per la prima volta, Peppe dell’Acqua, "storico" direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste, che in quell’Opg stava andando a cercare Stefano, temendo di trovarlo legato a un letto di contenzione. "Cosa che per lui, mi disse, non è altro che continuare a subire un tormento che conosce dalla prima adolescenza". Oggi, dunque, è stata emessa la sentenza: proscioglimento perché incapace di intendere e di volere e pericoloso socialmente. Quattro anni di misura di sicurezza in Opg. Storia di Stefano. Oggi che ci siamo già dimenticati del chiasso e delle grida allo scandalo dopo l’inchiesta della Commissione Marino sugli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, luoghi di cui tutti sappiamo da tempo tutto e tutti abbiamo fatto finta di non sapere. La notizia, che fa da sfondo a questa vicenda, ha dell’assurdo: gli Opg per legge entro la fine di questo mese dovranno essere smantellati, eppure continuano ad esservi rinchiuse persone. E la vicenda di Stefano, poco più che un ragazzino, è particolarmente atroce. Apre interrogativi, su una perversa connivenza di giustizia e psichiatria e le mostruosità che ancora partorisce. La storia di Stefano è racconto di una sofferenza inaudita, di violenze e dolori subiti fin dall’età di 5-6 anni. Basta scorrere la perizia di parte scritta da Dell’Acqua, o quanto di lui racconta Matteo Maria Bonari!, lo psicoterapeuta e psicologo della comunità familiare di Vicenza, Villaggio Sos, dove Stefano è stato seguito negli ultimi anni. Un racconto accorato, quello di Bonani, che pure è stato "vittima" dell’aggressione che ha scatenato sul ragazzo il nuovo inferno. A cominciare dagli interventi "riabilitativi/educativi" del tutto inadeguati sia dei familiari che degli specialisti, per arrivare, a soli sei anni, ai primi ricoveri e le prime "terapie" farmacologiche neurolettiche e sedative. Pensate, in età evolutiva... Racconta Bonani: "A marzo del 2008, presso la comunità Lilium di Chieti, a soli 12 anni, subisce ancora ripetute contenzioni fisiche, addirittura ben 18 volte in meno di un mese". Ne aveva già subite ricoverato nel servizio diagnosi e cura di Vicenza. Un adolescente ricoverato in un reparto per adulti. Viene "trattato" farmacologicamente, cosa che non porta a nulla. Mentre violenze e ricoveri continuano, alimentando in lui paura e frustrazione. Mi fermo qui, ma questo, e altro, è tutto ben documentato. Chieti è solo una delle tante "stazioni" che Stefano ha attraversato: sedicenti comunità terapeutiche, istituti per minori, reparti di neuropsichiatria infantile, dove sempre è stato sempre trattato con neurolettici e sottoposto per periodi anche molto lunghi a contenzione, della cui liceità, per chi non lo sapesse, molto si discute. Una storia difficile anche solo da pensare. Riusciamo a vederlo quel ragazzo, che si aggrappa al suo psicoterapeuta. Già, proprio il suo Matteo Bonani... non controlla il terrore che gli cresce dentro, vorrebbe chiedergli aiuto e lo strattona, si afferrano, cadono insieme in terra... e poi qualcuno chiama la polizia, il terrore cresce, e tutti diventano nemici... si chiude in cucina, afferra un coltello.,, viene trascinato via a forza, sedato, contenuto, come si dice. Quel che segue sa di nuovo incubo. Si riaprono le porte di un Servizio Psichiatrico di diagnosi e cura, che Stefano conosce bene e che, spiega Peppe Dell’Acqua, "avvia un percorso che tra parole e azioni non potrà che portare a tragiche conclusioni. Il lessico tecnico e la freddezza prendono il campo". È vero. Basta leggere la cartella clinica del Spdc di Vicenza, dove "sanno già" che il ragazzo "è un infermo di mente, affetto da un deficit intellettivo che è evoluto in un grandissimo disturbo della personalità di tipo esplosivo e antisociale". Linguaggio che ha già il sapore di condanna definitiva. E poi Stefano ora per la legge è maggiorenne. Ha commesso un "reato" che può marchiarlo come persona definitivamente pericolosa. La nostra "sicurezza" (dall’ipotetico aggressore) al prezzo della sua contenzione, che è scambio al quale sembriamo tutti assuefatti. Prima di essere trasferito a Castiglione delle Stiviere, Stefano era stato ricoverato in una comunità, Vento di Pace, o qualcosa del genere, e non sempre in nomina omina... Qui ha avuto altri momenti di paura e agitazione incontenibili, E stato bastonato. Cosa è successo poi in quest’ultimo anno di "misura cautelare"? La risposta nelle 40 pagine della consulenza tecnica di Dell’Acqua, nominato per il processo consulente di parte, che ripercorre nei suoi terribili dettagli la vita di Stefano, dalle ingombranti diagnosi della più tenera età, passando per l’analisi dei danni dei trattamenti farmacologici massicci. Una lezione di storia della psichiatria, anche, la sua consulenza. Ricorda, ad esempio Dell’Acqua, come già dalla seconda metà dell’800 era noto che la contenzione, ma soprattutto il suo uso ordinario e protratto, produce regressione totale, riproduce e alimenta nel paziente sentimenti di bassissima autostima e/o al contrario desiderio di rivalsa. E Stefano è stato di nuovo frequentemente "contenuto". Immaginate un po’... legato mani e piedi anche per otto-dieci giorni di seguito. Stiamo sempre parlando di un ragazzo. Dell’Acqua: "In tutto quanto è accaduto nel corso di quest’ultimo anno (...) non è rintracciabile nulla che abbia a che vedere con la dovuta attenzione terapeutica, con la prospettiva riabilitativa, con un qualsivoglia intento emancipativo. È sconcertante l’assoluta disattenzione ai diritti di Stefano. Alla fine di questo percorso, che non può che definirsi insensato, il livello di sofferenza del ragazzo, e della sua famiglia, è diventato acutissimo". Risparmio i dettagli. Il percorso è tutto riassunto in una frase: "una insensata e violenta spirale istituzionale". Nelle sue conclusioni, Dell’Acqua, che durante l’ultimo anno ha incontrato e seguito Stefano nei suoi vari trasferimenti, lo descrive come persona "dotata di sufficienti capacità cognitive e intellettive per rendersi conto del bene o del male che sta mettendo in atto, e le conseguenze". Insomma, per tornare all’episodio che ha scatenato tutto questo, quando entra in "colluttazione" con il suo terapeuta, sa perfettamente che vuole allontanarlo da sé, che vuole con tutte le sue forze evitare la frustrazione e la tensione che gli provoca il pensiero di essere allontanato dalla comunità, E poi; "... i maltrattamenti subiti, i pesanti condizionamenti, il ricorso persistente a pratiche punitive. Non si può non considerare che la storia istituzionale di Stefano costituisce un elemento che ha potenziato reazioni impulsive, di difesa, dì resistenza". La proposta: un percorso rieducativo lontano da ambienti medico psichiatrici, che permetta il ritorno con i genitori, da Stefano in tutto questo sempre invocato. Cosa recepisce di tutto questo il giudice? La risposta è nella sentenza che rispedisce Stefano nell’incubo di un Opg, fondata esclusivamente sul giudizio del perito d’ufficio. Il commento di Dell’Acqua: "Ci auguravamo una sorta di lieto fine... che venisse riconosciuto colpevole e condannato per il reato, se reato c’è stato. Avrebbe subito una condanna a pochi mesi, avrebbe dovuto essere rimesso immediatamente in libertà, e da uomo libero essere curato. La malattia come sempre in queste vicende domina la scena. Non esiste più Stefano e la sua storia, ma solo la malattia e la (presunta) pericolosità; quattro anni di misura di sicurezza in Opg! Senza tener conto della legge 81, che ne prevede la chiusura e dei dispositivi che avrebbe dovuto considerare sia nel giudizio di proscioglimento che nel definire la misura di sicurezza. E men che meno degli "esiti dello decisione" che, come ha detto il Presidente Mattarella, dovrebbero essere massimamente considerati dai giudici. Nel nostro caso, poi, stiamo parlando di un giudice monocratico che, a differenza della pubblica accusa, deve anche tutelare il cittadino imputato". Stefano dovrà affrontare ancora strade in salita. Un progetto terapeutico riabilitativo è già pronto per lui, ma sotto la spada di Damocle della misura di sicurezza. Insomma se sbagli torni dentro. Rimane intanto molto da riflettere su "insensatezze, liceità, imperizie, colpe" che tessono la trama di tutta questa storia, e sul perverso gioco di rimandi fra giustizia e psichiatria che continua a negare, con indicibile violenza e a chi più ne avrebbe bisogno, le tutele e il rispetto di diritti di cui ogni cittadino è titolare. Scusate il tono da "predica", ma se aveste letto anche voi la cartella con la storia di Stefano. Giustizia: i devoti della dea tangente… così la legalità può attendere di Gian Antonio Stella Corriere della Sera, 16 marzo 2015 Cadono le braccia a vedere i travagli del governo, della maggioranza, delle Camere, nel portare finalmente in porto la legge anti-corruzione. Mille volte promessa, mille volte rinviata. Mese dopo mese. Settimana dopo settimana. Un tormentone. Che vede improvvisi scoppi di frenesia ("subito in Aula!") a ogni ondata di arresti per l'Expo, il Mose, la mafia alla vaccinara... E nuove pennichelle parlamentari appena ogni scandalo va in ammollo. Ammollo che ha finito per scandalizzare anche il presidente del Senato Pietro Grasso, nonostante ben conosca tempi, riti e liturgie. Eppure la guerra ai "devoti della dea tangente" che "portano a casa pane sporco", per dirla con papa Francesco, non è (solo) un problema etico. Lo ha recentemente ripetuto l'ambasciatore a Roma John Phillips: "A causa della lentezza della giustizia civile e della corruzione", il valore degli investimenti diretti degli Stati Uniti da noi "è meno della metà di quelli in Francia e un quarto di quelli in Germania". L'Italia è dietro Belgio, Spagna, Svezia e Norvegia. Nonostante sia la seconda economia manifatturiera europea. Una bacchettata non nuova. Nella scia della strigliata, anni fa, dell'allora ambasciatore Ronald P. Spogli, che cercò invano di spiegare l'importanza delle regole. Per non dire della denuncia del Censis sul crollo del 58% degli investimenti esteri. E dell'ultimo atto d'accusa del governatore Ignazio Visco sul "deficit di reputazione" che ci sarebbe costato in pochi anni oltre 16 miliardi. Quattro volte l'Imu sulla prima casa. La Banca Mondiale, come ha ricordato il Sole 24 Ore, lo ha detto più volte: una vera guerra alla corruzione "efficacemente aggredita porterebbe a un aumento del reddito superiore al 2,4% con effetti benefici anche sulle imprese che crescerebbero del 3% annuo in più". E Dio sa quanto ci servirebbe. Tesi ribadita dall'economista Alfredo Del Monte su lavoce.info: "La corruzione influisce sulle principali variabili che determinano il livello del debito". Esempio? "Tende a far crescere i livelli di spesa pubblica a causa del maggior costo dei servizi e beni acquistati". Sarà un caso se le spese correnti dello Stato, come spiegava ieri una tabella della Cgia di Mestre, sono cresciute negli ultimi quattro anni (a dispetto di tutti gli sforzi e i sacrifici fatti dagli italiani) di 27,4 miliardi? Ma le ascoltano, lassù, le relazioni dei procuratori regionali della Corte dei conti? "Assistiamo oggi a un incontrollato aumento della corruzione a tutti i livelli e verifichiamo un'evasione fiscale che, nonostante gli sforzi per combatterla, costituisce un dato di fatto incontestabile e dalle dimensioni allarmanti", ha detto giorni fa il presidente dei giudici contabili piemontesi Giovanni Coppola. E un po' tutti, dal Veneto alla Calabria, hanno ripetuto la stessa identica cosa. Il tutto a conferma dei dati di Transparency: restiamo sessantanovesimi (vergogna...) nella classifica dei Paesi più virtuosi ma il miglioramento di chi ci stava dietro come la Bulgaria e la Grecia fa sì che in Europa diventiamo ultimi. Una deriva angosciante. Avvenuta soprattutto, piaccia o no a certe comari del garantismo peloso, negli anni successivi a Tangentopoli. Quando si passò dal delirio spiritato per Tonino Di Pietro alla quotidiana demolizione dell'impianto repressivo. I numeri dicono che tra il ‘96 e il 2006, secondo l'Alto Commissariato per la lotta alla Corruzione (poi sciolto nel 2008), le condanne per corruzione precipitarono da 1.159 a 186, quelle per concussione da 555 a 56, quelle per abuso d'atti d'ufficio da 1.305 a 45 e così via... Un alleggerimento sul fronte di corrotti e corruttori che ha portato ai dati che già i lettori del Corriere conoscono: abbiamo un decimo dei "colletti bianchi" mediamente detenuti nelle altre carceri europee e un trentacinquesimo di quelli imprigionati in Germania. Possiamo, in questo contesto, accettare nuovi rinvii di norme tanto attese? E non ci provino, a tirar fuori una legge-pannicello spacciandola per qualcosa di serio. La guerra contro un cancro qual è la corruzione richiede proprio quella durezza che pare imbarazzare una parte del mondo politico. Sarebbe difficile spiegare ai cittadini, ad esempio, perché l'agente sotto copertura, mandato a smascherare i delinquenti, possa essere usato per spacciatori, terroristi, trafficanti d'armi, criminali organizzati e pedofili ma non per i corrotti. Come se far sparire alcune decine di miliardi l'anno fosse un reato minore. Giustizia: tensione al Senato sulla corruzione. Cantone: un "tagliando" alla legge Severino di Virginia Piccolillo Corriere della Sera, 16 marzo 2015 L'apertura a modifiche anche sull'incompatibilità per abuso d'ufficio, il reato che riguarda De Luca. Tensione al Senato sulla corruzione. Nitto Palma (FI): Grasso eserciti la moral suasion sul governo. "C'è spazio per fare un tagliando alla legge Severino". Lo ha detto ieri il presidente dell'Autorità Anticorruzione, Raffaele Cantone. In una videointervista trasmessa a "Human factor", iniziativa politica di Sel, Cantone ha spiegato che "sull'abuso di ufficio si può fare una riflessione con una sentenza di primo grado". Secondo il capo dell'Anticorruzione si può fare "una valutazione su alcuni reati, che forse con la sentenza di primo grado non è opportuno intervenire con la sospensione". La norma "ormai in vigore da quasi due anni, ha evidenziato su alcuni aspetti alcune carenze che devono essere modificate. Forse nell'ambito di questa modifica ci può essere uno spazio per fare una valutazione che riguardi alcuni reati. Inserita in una modifica complessiva della normativa che è assolutamente necessaria". Le parole di Cantone fanno rumore in piena bufera per il caso di Vincenzo De Luca. Il sindaco di Salerno ha stravinto le primarie del Pd per candidarsi a presidente della Regione Campania. Condannato a un anno per abuso d'ufficio - e non più formalmente sindaco per l'incompatibilità sancita dalla Corte d'Appello di Napoli con la carica di viceministro nel governo Letta, se eletto governatore decadrebbe per affetto della legge Severino. Anche se attende la pronuncia della Consulta sulla costituzionalità della norma, che riguarderebbe, per motivi analoghi, il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris. E proprio mentre, sul fronte opposto, arrivano le bordate di Forza Italia alla norma che ha fatto decadere Silvio Berlusconi da senatore, dopo la condanna per evasione fiscale. Cantone evidenzia: "La legge Severino credo sia stata e sia utilissima come contrasto e contro la corruzione perché tende a favorire la probità e l'onestà nella pubblica amministrazione Soggetti condannati anche in primo grado per gravi reati non possono rivestire cariche pubbliche di un certo tipo". "È sbagliato - dice - preoccuparsi di quella parte della legge solo con riferimento a vicende che hanno una loro notorietà". Interpellato dal Corriere aggiunge: "Si fa una gran confusione perché la legge Severino è fatta da 4 norme. Le cause di ineleggibilità per me non vanno toccate. Lo spacchettamento di corruzione e concussione non sta funzionando. Sul resto l'impianto va bene. Ho chiesto io che il governo si costituisse parte civile nel giudizio sulla costituzionalità della legge Severino. Ma una valutazione sulla sospensione in primo grado il Parlamento la può fare". Da oggi, sul fronte della giustizia, il Parlamento vivrà giornate infuocate. Il ddl anti-corruzione, dopo 2 anni di rinvii, approderà domani al Senato. Al massimo mercoledì se la discussione sul divorzio breve si protrarrà. Ma ancora non è arrivato in commissione Giustizia l'emendamento sul falso in bilancio, bloccato a Palazzo Chigi dalle perplessità del ministero dello Sviluppo. Si appella al presidente del Senato, Pietro Grasso, il presidente della commissione Nitto Palma perché "eserciti la moral suasion sul governo". Anche se Grasso ha già invocato: "Basta rinvii" sul ddl. Per il ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina "bisogna chiudere i bulloni e andare in Aula". Giustizia: lo sfuggente falso in bilancio Italia Oggi, 16 marzo 2015 C'era una volta il falso in bilancio. Nato all'ombra della norma sull'auto-riciclaggio, nella fresca primavera dell'anno scorso, con l'avvicinarsi della calura estiva ha cercato e trovato riparo in Commissione giustizia al Senato. E, proprio lì, nel testo sul ddl anticorruzione ha atteso che i senatori si ricordassero di lui. Sono passati, però, ancora un paio di mesi prima che da palazzo Madama arrivasse qualche cenno. Finalmente, solo con l'avvicinarsi del Natale il falso in bilancio è riuscito a ottenere la considerazione tanto attesa. Così attesa che non poteva passare inosservata agli occhi del ministero della giustizia. Ecco, quindi, che il dicastero di via Arenula, improvvisamente, concretizza l'annuncio di un testo sui reati economici. Testo, assegnato sempre alle commissioni giustizia e affari costituzionali del senato, all'interno del quale compare un altro falso in bilancio. Due testi, due norme diverse, due commissioni più il governo coinvolti. Il sistema si impalla e i lavori si fermano. Ma l'occasione è troppo ghiotta. E mentre la commissione giustizia del senato riprende i lavori al ddl anticorruzione approvando un emenda- mento a seduta, il governo annuncia di voler porre fine alla questione. Il testo sul falso in bilancio sarà uno e uno solo: quello dell'esecutivo. E sarà formalizzato in Aula. Anzi no. In Commissione. Ma, forse, sarebbe meglio l'Aula. Però la commissione ha lavorato di più. Ma se sarà presentato in Aula ci sarà più tempo per studiare i dettagli. Però la commissione senza l'emendamento non andrà avanti con i lavori al testo. Facciamo così. Diamo tutto in mano al ministro Boschi. E che se la veda lei. Tanto, assicura Orlando, il testo definitivo arriverà in settimana. Ha assicurato il ministro quattro settimane fa. Giustizia: hanno denunciato sprechi e malaffare… quegli eroi presi a calci nel sedere di Emiliano Liuzzi e Ferruccio Sansa Il Fatto Quotidiano, 16 marzo 2015 Non pretendevano un premio. Hanno fatto il loro dovere, qualcosa di più. Certo, non immaginavano di essere puniti. Di arrivare a vedere i sorci verdi. Fino quasi a essere spinti ad abbandonare il lavoro, la passione cui avevano dedicato la vita: sono poliziotti, finanzieri, dirigenti pubblici, sportivi. Eppure non mollano. Filippo, il poliziotto che crede nella legge Chiedetelo al vice-questore Filippo Bertolami. Il 18 febbraio ha ricevuto una lettera del capo della Polizia, Alessandro Pansa. Una sorpresa per Bertolami. Soprattutto il contenuto: "Sospensione cautelare dal servizio per gravi motivi disciplinari". No, non l'avrebbe mai detto, Filippo. Lui che è poliziotto fino all'ultima fibra. Non di quegli sbirri con la pistola sempre in mano. La sua arma è la legge, il rispetto delle regole. Uguali per tutti. Che tu sia un criminale o un agente di divisa. Non fa sconti a nessuno. Gira con una ventiquattrore piena di carte, di codici. Ecco il punto: Bertolami è quello che certi colleghi chiamano un "rompicoglioni". In quindici anni di impegno ha portato alla luce scandali di ogni tipo. Prendete la storia delle telecamere e degli scanner contro gli attentati a Termini, Palazzo Chigi e in Vaticano. Da anni c'è chi lo sussurra: la maggior parte non funziona. Se arrivassero i terroristi potrebbero passare indisturbati. E Bertolami, cerca, indaga, scopre, finché non denuncia la storia davanti alle telecamere di Piazza Pulita. Dunque, che cosa è peggio: che i sistemi di sicurezza abbiano delle falle o che un poliziotto lo denunci sperando che qualcosa cambi? Decidetelo voi. È solo l'ultimo colpo di Bertolami. Prima - lui che ha due lauree, master e dottorato di ricerca non ha mai avuto una macchia in carriera - dall'Unità nazionale Cepol della Scuola di Perfezionamento delle Forze di Polizia si era scagliato contro l'uso dei fondi nazionali ed europei: "Abbiamo una struttura provvista di tutto e esternalizziamo il servizio interpreti, il catering e le navette per gli ospiti. Perché?". Altre rogne. E che dire delle polemiche - sempre sollevate da Bertolami - sugli investigatori anti-mafia che dopo aver compiuto operazioni clamorose a Latina e Ostia si ritrovarono scaricati dai loro vertici? E via, salendo fino a toccare i piani più alti della polizia. Fu Bertolami a tirare fuori la storia della case blu per i vertici della polizia. Uno fra tutti, Andrea De Gennaro - generale della Guardia di Finanza a capo della Direzione centrale per i servizi antidroga - che in pratica ricevette le chiavi di casa dal fratello Gianni quando lasciò la poltrona di capo della Polizia. Ancora: fu Bertolami, come sindacalista (rappresentante del sindacato di Polizia, Italia Sicura), a denunciare promozioni o sorprendenti avanzamenti in graduatoria di poliziotti indagati o condannati. Magari per i fatti del G8. Un gran rompicoglioni Bertolami. Come quando svelò la storia di quel vice-questore di punta rinviato a giudizio per il pestaggio del tifoso Stefano Gugliotta, ma lo stesso volato dal 299° al 47° della graduatoria per accedere alla scuola questori. Oppure quando ricostruì, carte alla mano, che il vicecapo della Polizia, Alessandro Marangoni, sostenne per la promozione a dirigente il commissario V., già condannato nel 2010 a un anno e 10 mesi per avere rilasciato il porto d'armi ad Andrea Calderini, il trentunenne che nel maggio 2003 uccise nel suo palazzo di Milano la moglie e una vicina di casa e poi sparò dal balcone ferendo gravemente tre persone prima di togliersi la vita. "La condanna - denunciò all'epoca Bertolami - comporta l'applicazione nei confronti del funzionario, ove già non ricorrano i presupposti per l'applicazione di un'altra sanzione disciplinare, della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione all'entità del risarcimento. E, non avendo ottemperato a questo obbligo, lo stesso Marangoni anziché essere promosso prefetto, avrebbe dovuto essere sospeso dal servizio con privazione della retribuzione". Insomma sulle ali di quella segnalazione di Marangoni il commissario V. volò dal 728° al 42° posto e divenne dirigente. Chissà. Una cosa è certa: facendo il proprio dovere Bertolami si è fatto un mare di nemici. E adesso ti mette sotto gli occhi una sfilza di lettere. Ricevute tutte le stesso giorno: primo, la richiesta di destituzione. Come dire, addio divisa. Il motivo? Le dichiarazioni rilasciate a Piazza Pulita sulla scarsa sicurezza di luoghi dove passano migliaia di persone. Inutile eccepire che la stessa emergenza era nota da anni. Poi ecco il decreto di sospensione dal servizio. Quindi: restituire pistola e manette, percepire solo il 50 per cento dello stipendio - la metà di circa 2.500 euro. Motivo? Aver puntato il dito contro la presunta mala gestione dei fondi, contro gli sprechi. Per firmare la richiesta si è scomodato direttamente il capo della Polizia, Pansa. "Farò ricorso perché non è compito suo, spetta al ministro", avverte Bertolami. Basta? Neanche per idea. C'è anche una richiesta di trasferimento. E infine una richiesta di pena pecuniaria (pure questa firmata da Pansa). Quattro spade di Damocle: "Ci sarebbe da mollare tutto, la divisa", dice. Ma non abbassa lo sguardo. E subito aggiunge: "No, ne voglio uscire. E a testa alta. Non andrò indietro di un millimetro" e Franco Picardi del sindacato Pnfd incalza: "Il Capo della Polizia ha compiuto un grave abuso, useremo tutti gli strumenti a disposizione dell'ordinamento per far reintegrare il collega, altrimenti destituiteci tutti!" La dirigente sarda contro gli sprechi Se oggi si parla degli sprechi delle Regioni, delle ruberie dei consiglieri regionali, delle spese in hotel, biancheria, televisori, giocattoli erotici, dalla Lombardia alla Sicilia, lo si deve anche al coraggio di Ornella Piredda. Nel 2008 era una semplice dipendente della Regione, poteva mettersi in coda a magistrati a denunciare i ladri. Piredda è un'ex dipendente del Gruppo misto e ha svelato il metodo paghetta: non rimborsi su fatture e scontrini di spese destinate ad attività istituzionali, ma un tot fisso assegnato a ciascun onorevole. Circa 2.500 euro. Ma non solo. Ha svelato un sistema che non conosceva limiti né ritegno. In Sardegna i consiglieri regionali si erano fatti addirittura una legge su misura per far sparire i soldi: non sarebbe stato obbligatorio presentare una giustificazione. Andavano, prendevano i quattrini pubblici e spendevano a loro piacimento. Poi è intervenuta la Corte costituzionale. E le denunce di Piredda che hanno aperto una luce su una realtà che non era solo quella della Sardegna, ma di tutta Italia. Più volte ha ribadito e denunciato di esser stata demansionata sul posto di lavoro per la sua insistenza a chiedere la rendicontazione delle spese. Nessuna solidarietà dai colleghi, figuriamoci. La battaglia l'ha condotta in totale solitudine. E alla fine l'ha anche vinta, sul piano pubblico, non su quello personale, perché in quegli anni ha subito di tutto e di più. Ha fatto solo quello che chiedeva la legge, ma si è scoperta sola. Ma la sua resta una bella storia di giustizia. Rapetto, finanziere contro i signori delle slot Umberto Rapetto e i suoi uomini del Nucleo Speciale Frodi Telematiche della Finanza. Questa squadra di geniacci - pagati poco più di mille euro al mese - nel 2006 si trovò tra le mani l'inchiesta della Corte dei Conti contro le concessionarie delle slot. Rapetto e i suoi lavorano fianco a fianco con il pm Marco Smiroldo, un coraggioso giudice ragazzino, ma con le spalle tanto larghe. Devono contrastare interessi fortissimi. Dopo lunghe indagini arrivano a quantificare il danno subìto dallo Stato per il mancato rispetto della concessione da parte dei signori delle slot. La cifra richiesta non ha uguali nella storia d'Italia: 98 miliardi. Sarà una battaglia dura, che andrà avanti per anni. Alla fine nelle casse pubbliche entreranno 400 milioni. Meno dello 0,5% della somma richiesta. Comunque un simbolo dell'impegno di questi uomini. Del fatto che non esistono intoccabili. Ma sulle pressioni ricevute dai finanzieri impegnati nell'inchiesta sulle slot. Oggi Rapetto ha lasciato la Finanza dove era entrato a sedici anni. Altro che premi. Danilo Palmucci, l'atleta pulito e mazziato Nell'ambiente tutti sapevano che c'era chi assumeva medicinali per aiutarsi nelle gare sportive. Lo si faceva all'estero, e lo si faceva anche in Italia. Ma era il 1997 e i controlli sugli atleti, che fosse ciclismo o culturismo, erano meno severi. Danilo Palmucci, I ro n m a n romano con alle spalle decine di medaglie vinte nel triathlon, fu il primo, nella sua disciplina, a chiedere che gli esami pre campionato fossero più stringenti. Ma quella richiesta, che contribuì a fare luce sul complesso sistema del doping nello sport agonistico, l'ha pagata a caro prezzo. "A luglio del 1997", ricorda Palmucci, "chiesi che gli atleti che dovevano gareggiare ai campionati mondiali di triathlon si sottoponessero ai controlli del sangue, quelli che per intenderci oggi si fanno ai ciclisti. Il triennio tra il 95 e il 97, del resto, lo ricordo come un periodo buio, dove non c'erano limiti sull'uso di determinati farmaci, e quando partecipavo alle gare vedevo atleti che non stavano bene, che dovevano essere ricoverati. Quindi pensai di proporre quella soluzione, sia per difendere la nostra immagine di campioni italiani, sia per tutelare la salute stessa di chi gareggiava". Palmucci raccontò che pure nel triathlon il ricorso a sostanze dopanti era diffuso, fece nomi e cognomi, ma per la sua denuncia fu querelato. "In tribunale ho vinto, ma la mia immagine ne è uscita rovinata, in primis a causa della stampa sportiva". Nicoletta: no al cemento e finisce all'ufficio animali Il 21 ottobre 2014 boccia il progetto per un centro commerciale delle Coop con annesso grattacielo da costruire a due passi dal Bisagno che un anno sì e l'altro pure provoca disastri. Il 6 novembre la Giunta di centrosinistra della Regione Liguria la trasferisce all'ufficio che si occupa di cani e gatti. Nicoletta Faraldi, 62 anni, è dirigente della Regione Liguria. I suoi colleghi la definiscono: "Il rigore fatto persona". Faraldi racconta: "Sono in Regione dal 1981, mai avuto problemi. Amavo il mio lavoro, finché si basava sulle leggi, sulla tecnica". Fino a quel parere: "Si dichiara inammissibile la variante relativa al centro funzionale in esame". Addio centro commerciale, addio grattacielo. Sono in una zona a rischio. Ma Nicoletta finisce all'ufficio animali. Ceci, il bancario contro i "giganti" Altre carenze, ma in ambito diverso, sono quelle denunciate da Enrico Ceci, ex dipendente della filiale di Parma del Banco di Desio, che nel 2008 scoprì, a soli 21 anni, una falla nel sistema informatico dell'istituto di credito, che consentiva di accumulare somme di denaro non tracciato. Ceci, quindi, dopo essersi rivolto ai suoi superiori decise di denunciare, tramite alcuni esposti, le irregolarità riscontrate, tra cui il riciclaggio, ottenendo che sia la magistratura, sia la Banca d'Italia indagassero. Nel 2013, Bankitalia ha sanzionato tutti i membri del consiglio di amministrazione di Banco Desio per aver sottovalutato "le condotte poste in essere dagli ex esponenti di vertice e dai dipendenti delle controllate Desio Lazio e Cpc di Lugano." Mentre nel 2014 il Tribunale di Roma ha accolto i primi patteggiamenti di due banche del Gruppo, nonché dell'ex amministratore delegato di Banco Desio Lazio Renato Caprile, 2 anni e 10 mesi di reclusione e 1.400 euro di multa a fronte di un'imputazione per riciclaggio, reati tributari e appropriazione indebita. Quanto a Ceci, però, il lavoro l'ha perso. Secondo il tribunale di Parma avrebbe "leso il vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore". Giustizia: Polizia penitenziaria, Facebook a piccole dosi di Gabriele Ventura Italia Oggi, 16 marzo 2015 La circolare di via Arenula che detta le regole al personale. Il ministero della giustizia detta le regole sull'uso dei social network al personale dell'amministrazione penitenziaria. Con una circolare del 20 febbraio scorso, via Arenula ha infatti fornito "precisazioni sull'uso dei social network da parte del personale dell'amministrazione penitenziaria", per evitare il rischio di rivelare informazioni sensibili che possono mettere a repentaglio la sicurezza della stessa amministrazione. Social come i giornali. Il ministero, anzitutto, assimila i mezzi di diffusione del pensiero dei social network, come Facebook, Twitter, WhatsApp, blog, chat e forum di discussione, alle dichiarazioni rese dal lavoratore a mezzo degli strumenti tradizionali di comunicazione pubblica del pensiero (giornali, radio, televisione). Quindi, ricorda al personale che il diritto di manifestazione del pensiero e di critica in costanza del rapporto di lavoro soggiace a determinati limiti, esplicitazioni dei doveri di fedeltà, di riservatezza ed adesione ai valori ed alla missione istituzionale dell'Amministrazione, che incombono al lavoratore in quanto deducibili nella prestazione lavorativa medesima, attinenti a: continenza verbale, continenza sostanziale (verità dei fatti), rilevanza sociale delle dichiarazioni, rispetto allo status del dichiarante e alla sua platea di riferimento. La deontologia. Secondo la circolare, inoltre, dato che il "profilo privacy" scelto e adottato dal lavoratore consente la visualizzazione dei suoi "post", commenti, video e foto, anche a una cerchia di utenti aperta e indeterminabile, il dipendente, qualora violi la riservatezza e procuri danno all'immagine, alla continuità e alla regolarità dell'azione dell'amministrazione, soggiace a valutazioni di ordine deontologico e ad azioni di responsabilità disciplinare. A questo proposito, il ministero richiama i doveri cui sono tenuti i dipendenti pubblici, contenuti nei codici deontologici di ciascuna categoria professionale. Ovvero: il Dpr n. 62/2013, recante il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, numero 165. Tra cui, l'art. 2, comma 3. "Il dipendente non usa a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni di ufficio, evita situazioni e comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o nuocere agli interessi o all'immagine della pubblica amministrazione". Altra disciplina di riferimento è il decreto del presidente della repubblica n. 82/1999, recante invece il regolamento di servizio del Corpo di polizia penitenziaria, all'art. 10: "Il personale del Corpo di polizia penitenziaria ha in servizio un comportamento improntato a professionalità, imparzialità e cortesia e mantiene una condotta irreprensibile, operando con senso di responsabilità ed astenendosi altresì da comportamenti o atteggiamenti che possono recare pregiudizio al corretto adempimento dei compiti istituzionali". Infine, la circolare richiama la raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del gennaio 2006 sulle regole penitenziarie europee. Giustizia: si uccide il giudice che si vantava col boss "dovevo fare il mafioso" di Giuseppe Baldessarro La Repubblica, 16 marzo 2015 Giusti, ex gip di Palmi, viveva da solo e con l'obbligo di dimora. Arrestato due volte, aveva avuto una prima condanna a quattro anni. Si è tolto la vita impiccandosi. Lo hanno trovato appeso ad un finestrone, morto da diverse ore. Giancarlo Giusti, 48 anni, ex giudice reggino, aveva già tentato di uccidersi. Nel carcere di Opera lo avevano salvato i secondini. Nella sua villetta di Montepaone, dove aveva l'obbligo di dimora, nessuno invece ha avuto la possibilità di soccorrerlo. Viveva da solo, con il peso di una condanna definitiva a quattro anni di reclusione che gli era stata inflitta dalla magistratura milanese e l'angoscia di una nuova inchiesta catanzarese. Un magistrato che, secondo i magistrati lombardi e calabresi era al soldo dei clan della ‘ndrangheta. Uno che, dicono le accuse, si faceva pagare a suon di decine di migliaia di euro oppure con escort e cene in hotel di lusso. Giusti si è impiccato da semi libero, beneficio che gli era stato concesso proprio per le sue condizioni psicologiche, legate a un primo tentativo di suicidio del settembre del 2012. È stato trovato morto ieri mattina da un parente, allarmato per il fatto che non lo sentiva da alcuni giorni. Sarà l'autopsia a stabilire esattamente data e ora del decesso. A Montepaone vive anche una sorella di Giusti, dalla quale era stato accolto per il periodo in cui era agli arresti domiciliari e dopo che si era separato dalla moglie. Chiamati a intervenire nella prima mattinata, i carabinieri del Reparto operativo di Catanzaro e della Compagnia di Soverato non hanno potuto che constatare il decesso. Giusti non ha lasciato alcun biglietto per spiegare i motivi del suicidio e, tuttavia, era noto come le inchieste sul suo conto lo avessero letteralmente sconvolto. Era stato arrestato una prima volta nel 2012 nell'ambito di un'inchiesta condotta dalla Dda di Milano sul clan dei Lampada. L'antimafia aveva scoperto che veniva utilizzato per avere informazioni su eventuali inchieste in corso. Dopo l'arresto venne immediatamente sospeso dalle sue funzioni per decisione del Csm. Da quella prima indagine emersero, in particolare, i presunti rapporti tra Giusti e il boss Giulio Lampada che organizzava per lui festini a base di sesso. Fu proprio durante un colloquio telefonico, intercettato dagli inquirenti che Giusti pronunciò una delle frasi che lo inchiodarono poi al processo: "Tu non hai capito - disse - chi sono io... sono una tomba, peggio di... ma io dovevo fare il mafioso, non il giudice". Dopo l'arresto e la condanna a quattro anni di reclusione in primo grado, divenuta definitiva la scorsa settimana, Giusti tentò di suicidarsi nel carcere di Opera dove venne salvato miracolosamente. Non si è mai detto colpevole. Durante un'intervista a Klaus Davi ammise solo di "essere stato leggero". Spiegò così il suo rapporto con il boss: "Mi pento di aver infangato la toga, ma non sono un corrotto. Con Lampada c'era un rapporto affettivo, amicale. Gli volevo bene, lo consideravo una persona da abbracciare, un confidente. Ho sbagliato ad accettare donne e cene, ma non gli ho mai concesso nulla in cambio". E ancora: "La mia è stata una debolezza dovuta al momento terribile che stavo attraversando per la mia separazione. Sono stato stupido. Anche se presi informazioni per mezzo delle forze dell'ordine e di persone vicine ai servizi citate nel processo con nome e cognome, nessuno mi disse mai nulla. È stato un errore molto grave il mio, ma sono stato condannato ingiustamente". Nel febbraio del 2014 a carico di Giusti fu emessa una nuova ordinanza di custodia cautelare, questa volta su richiesta della Dda di Catanzaro. In questo caso l'accusa a carico di Giusti era quella di avere ricevuto 120mila euro per favorire, nella qualità di giudice del Tribunale del riesame di Reggio Calabria, la scarcerazione di tre elementi di spicco della cosca Bellocco della ‘ndrangheta. Fatto che gli era costata l'accusa di corruzione in atti giudiziari, aggravata dal fatto di avere agevolato una cosca di ‘ndrangheta. Per l'inchiesta che aveva portato al secondo arresto di Giusti si attendeva adesso la sentenza da parte del Tribunale di Catanzaro. Sentenza che non sarà più emessa. Giustizia: caso Yara; si avvicina la richiesta del processo per Giuseppe Bossetti di Francesca Brunati Ansa, 16 marzo 2015 Spunta l'ipotesi di una eventuale richiesta di rito abbreviato condizionato nella strategia difensiva di Giuseppe Bossetti, il muratore bergamasco accusato dell'omicidio di Yara Gambirasio, la ragazzina di 13 anni scomparsa il 26 novembre 2011 a Brembate Sopra e ritrovata morta tre mesi dopo, tra le sterpaglie in un campo di Chignolo d'Isola. A ventilare la possibilità di un cambio di rotta nella linea difensiva finora orientata a un processo davanti alla Corte d'Assise, è lo stesso legale del carpentiere, l'avvocato Claudio Salvagni, in vista dell'attesa richiesta di rinvio a giudizio da parte del pm bergamasco Letizia Ruggeri. "Quello che mi sento di escludere è una richiesta di giudizio abbreviato secco - ha sottolineato. Anche se è prematuro dirlo con certezza, l'abbreviato condizionato è una possibilità che potremmo prendere in considerazione dopo aver studiato le tantissime carte depositate dalla Procura". Procura che, già la prossima settimana, è pronta a chiedere al gup il processo per Bossetti. E questo perché, come prevede la legge, il 18 marzo scadono i 20 giorni dalla notifica dell'avviso della chiusura dell'inchiesta, termine entro il quale l'indagato può chiedere un interrogatorio, una integrazione di indagine, depositare memorie, produrre documenti o quant'altro. Qualora non venga presentata alcuna istanza o documentazione, a partire dal 21esimo giorno, in teoria, il pubblico ministero può inoltrare la richiesta di rinvio a giudizio o, ma non è questo il caso, di archiviazione. "Stiamo valutando cosa fare - ha spiegato ancora Salvagni. Abbiamo tempo ancora due giorni. Dobbiamo prima finire di leggere gli atti e poi decideremo". Qualunque sia la data della richiesta di giudizio, l'udienza preliminare, a meno che la difesa non scelga il rito alternativo, dovrebbe quasi certamente concludersi entro metà giugno. Intanto Bossetti, che nei giorni scorsi si è visto respingere per l'ennesima volta la richiesta di scarcerazione e per il quale da domani si aprirà un periodo cruciale, in una lettera inviata al Qn si sfoga: "Il carcere, che tu sia innocente o colpevole, è sempre e comunque un inferno", ha messo nero su bianco, raccontando di trascorrere le giornate dormendo, giocando a carte e davanti alla tv, dove "vedo la mia faccia (...) ogni ora di ogni giorno, vedo mia moglie e i miei figli assediati dai giornalisti, vedo mia madre insultata per strada (...). Cosa mi conforta? Nulla! Nemmeno l'amore della mia famiglia..." "Credetemi - ha aggiunto - non ho alcuna fede al momento, non ne ho nella giustizia che si è dimostrata ottusa, non ne ho negli uomini, che si sono dimostrati senza cuore, e non ne ho nella preghiera, che per ora si è dimostrata inutile". E poi la chiusura: "Ho solo fede in me stesso e nella mia assoluta verità". Il muratore, in più passaggi, ha ribadito la sua innocenza e, rivolgendosi a mamma e papà Gambirasio, ben sapendo che la "loro sofferenza è grande", ha domandato : "E cosa posso dire ora ai genitori di Yara?. Nulla! Perché solo se io fossi il colpevole potrei dirgli qualcosa ma io non li conosco, non so chi fosse Yara". Lettere: prosegue il digiuno per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari di Stefano Cecconi (Comitato Stop Opg) Ristretti Orizzonti, 16 marzo 2015 Dopo quello dell'1 marzo, eccomi al secondo giorno di digiuno per chiudere gli Opg, come abbiamo detto: senza proroghe e senza trucchi. Quanto alle proroghe è possibile farcela: "nessuna deroga alla data del 31 marzo fissata per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e anzi commissariamenti per le regioni inadempienti", queste le ultime dichiarazioni del Ministro Lorenzin e del sottosegretario De Filippo, che dunque lasciano ben sperare. Anche se ancora troppi sono gli internati a 15 giorni dalla scadenza. È evidente che serve un rush finale, con un impegno e una collaborazione ben più forti tra Regioni/Asl e Magistrature. Perché sappiamo che l'aumento degli ingressi in Opg (inquietante sia avvenuto proprio in queste settimane in barba alla legge 81 che privilegia misure alternative) e le mancate dimissioni, dipendono dalle scelte della Magistratura, e dalla scarsa o assente collaborazione con i servizi delle Asl. Ma ad evitare la proroga (a far scattare i commissariamenti) ce la possiamo fare. Invece preoccupano i possibili trucchi dopo il 31 marzo: ad esempio sostituire i vecchi Opg con le nuove Rems. Per questo abbiamo detto che la "fase transitoria", accettabile pur di chiudere gli Opg, deve essere funzionale alla drastica riduzione delle stesse Rems, non come soluzione in attesa di costruire quelle nuove. Perché il numero di persone cosiddette "non dimissibili" - secondo i dati delle Relazioni governative - è di gran lunga inferiore al numero dei posti Rems. E poi con le Rems si apre un altro problema: agli operatori dei servizi non possono essere richieste funzioni di "custodia" (come era al tempo dei manicomi) ma solo di cura. Ma il "trucco dei trucchi" è lasciare aperto Castiglione delle Stiviere: un manicomio in piena regola, dove si pratica di norma la contenzione, come afferma placidamente in diretta Rai il direttore Pinotti. Se resta aperto Castiglione non si chiude la stagione degli Opg, anzi questo rischia di diventare un insidioso modello per altre regioni. Basta guardare alla pessima scelta di Piemonte e Liguria di internare nelle Rems dentro Castiglione i loro "pazienti", invece che curarli nel territorio di appartenenza. In tempi di crisi, oltretutto, è uno spreco di risorse pubbliche finanziare una costosissima struttura manicomiale invece che i servizi di salute mentale nel territorio. E allora la mobilitazione di Stop Opg continua. Intanto per arrivare al traguardo del 31 marzo con una vittoria: nessuna proroga alla chiusura degli Opg. Già questa sarebbe una data storica. E poi per smascherare e scongiurare i trucchi: spostando il baricentro dalla logica manicomiale dell'internamento, alla cura delle persone nel territorio e nella comunità, come hanno insegnato le buone pratiche della legge 180. Infine, abbiamo ben presente che bisogna cambiare i codici per chiudere il rubinetto che alimenta l'internamento in Opg (e in Rems); per mettere fine al trattamento speciale che mantiene il "folle reo" separato dagli altri cittadini, nel recinto del manicomio. Dobbiamo dirlo con chiarezza: una persona che commette un reato andrà in giudizio, anche se folle, e se colpevole sconterà una pena, e se malato avrà diritto alla cura, come impone la Costituzione. Le misure alternative alla detenzione - previste dalla legge - servono proprio a garantire quelle cure che in carcere non sono possibili. Semmai è l'esecuzione della pena - oggi tutt'altro che con funzioni riabilitative ! - e le vergognose condizioni in cui sono spesso costrette a vivere le persone detenute a dover essere cambiate, come impongono le condanne della stessa Corte Europea dei diritti umani. Empoli: lavori "di pubblica utilità", le pene lievi saranno scontate lavorando in Comune di Andrea Ciappi La Nazione, 16 marzo 2015 Gli enti locali dell'Unione Empolese Valdelsa si stanno attrezzando. Lavori "di pubblica utilità" in Comune per scontare lievi pene. In principio sarà Montespertoli, ma poi lo ‘strumento' sarà progressivamente utilizzato anche da tutti gli altri dieci comuni dell'Unione. Stiamo parlando della possibilità di far svolgere, in cambio dell'estinzione del reato, lavori di pubblica utilità a chi si trovi alle prese con lievi reati (che prevedono comunque pene inferiori ai quattro anni). Questo strumento come viene appunto definito, possibile in virtù di una recente legge, ha avuto luce verde dalla giunta dell'Unione, ed è stato confermato in seguito a contatti con le varie amministrazioni. Diciamo che al momento le sole ad aver fatto il passo decisivo (in quanto poi le singole azioni sono delegate ai comuni) sono state quelle Mangani, a Montespertoli, che ha firmato l'apposita convenzione col Tribunale (come dettagliatamente spiegato su queste colonne dall'assessore al sociale Giulia Pippucci), e Cucini a Certaldo. Entro l'estate, firmeranno la convenzione anche gli altri Comuni. Ma se Montespertoli ha già le idee chiare almeno sul numero di ‘addettì, tre in contemporanea, per il resto le giunte stanno vagliando quante persone far arrivare e in quali mansioni. Il ventaglio è ampio: dal settore amministrativo a quello delle manutenzioni, sino a strade e giardini. Il lavoro di pubblica utilità (non retribuito, con assicurazione a carico della persona che deve scontare il reato), insomma, non manca. Detto di Montespertoli, a Castelfiorentino registriamo il preciso impegno del Comune ad avvalersi dello strumento, con però ancora tempi, numero di persone e mansioni da definire. A Montelupo (dove questo è un tasto assai sensibile anche per via della presenza dell'Opg, nonostante non vi siano correlazioni dirette), il sindaco Paolo Masetti ha precisato che è un'opportunità "interessante", e ne ha parlato nella riunione di giunta di giovedì. A Capraia e Limite, il sindaco Alessandro Giunti ritiene che la convenzione col Tribunale sarà firmata, ma al momento, su questo fronte, l'orizzonte è ancora nebbioso: "No saprei quanti potranno arrivare né in quali ruoli. Bisogna riparlarne in giunta". Orizzonte invece più nitido a Montaione, dove il sindaco Paolo Pomponi afferma: "Utilizzeremo questa misura, per 3 o 4 addetti. Ci interesserebbero anche nel settore amministrativo. D'altronde, si è sempre più a corto di personale". Gli fa eco il primo cittadino di Gambassi Terme, Paolo Campinoti: "La convenzione ci interessa. Potremmo così contare su varie professionalità, anche se ancora dobbiamo vedere per quante persone e in quali mansioni". Da quanto è stato possibile apprendere, dopo la riunione degli assessori al sociale dell'Unione, anche dalla patria di Leonardo, Vinci, e da quella di Isabella dè Medici, Cerreto Guidi, sarebbe arrivato l'assenso di massima all'uso dei lavori di pubblica utilità". Adesione anche da Certaldo, così come da Fucecchio. Anche da Empoli c'è un sì. "La convenzione con l'Ufficio esecuzione penale esterna per la messa alla prova penale è stata discussa nella giunta dell'Unione e approvata da tutti i sindaci. Ogni Comune adesso approverà e sottoscriverà la convenzione con l'Uepe". Genova: Sappe; detenuta inala gas nel carcere di Pontedecimo, salvata dagli agenti www.genova24.it, 16 marzo 2015 È accaduto nel pomeriggio di ieri, la donna è stata defibrillata e poi trasportata in ospedale. Ha probabilmente tentato di togliersi la vita con una bombola di gas, ma è stata salvata dagli agenti di polizia penitenziaria. È accaduto ieri pomeriggio nel carcere femminile di Pontedecimo. Poco prima delle 17, durante il giro della distribuzione delle terapie, una detenuta tossicodipendente è stata trovata esanime, in arresto cardiaco. Soccorsa da una poliziotta e da un'infermiera, è stata sottoposta a defibrillazione e poi trasportata in ospedale, dove non sarebbe in pericolo di vita. "Nelle carceri liguri - ha spiegato Michele Lorenzo segretario ligure del Sappe - sono troppi gli eventi critici che fanno innalzare il livello di attenzione al quale è sottoposta la polizia penitenziaria. Siamo più volte intervenuti contestando la presenza delle bombolette di gas tipo campeggio che utilizzano i detenuti per poter cucinare. Queste bombolette rappresentano un pericolo sia perché possono essere utilizzate come mezzo infiammante e sia, come in questo caso, per simulare l'effetto allucinogeno. Non è il primo caso di soggetti che sono deceduti per eccesso di inalazione da gas e questa volta solo grazie al tempismo delle poliziotte si è evitato il triste epilogo". Viterbo: Ugl; aggressione a Mammagialla, detenuto rompe naso a un agente penitenziario www.tusciaweb.eu, 16 marzo 2015 Un poliziotto penitenziario è stato aggredito da un detenuto nella notte tra sabato e domenica nel carcere di Mammagialla a Viterbo. Il carcerato, un italiano sulla quarantina rinchiuso nei reparti giudiziari, era stato accompagnato in infermeria per essere curato dopo un malore. Una volta arrivato, si sarebbe scagliato contro il poliziotto, rompendogli il naso con una testata. Tre giorni fa, inoltre, durante i controlli di routine, erano stati trovati all'interno del penitenziario, tre telefonini. Pare che uno appartenesse proprio al detenuto che ha aggredito l'agente. L'episodio è stato duramente condannato da Danilo Primi della segreteria regionale dell'Ugl polizia penitenziaria. "A fronte di una diminuzione dei detenuti - dice Primi, con la sentenza della Corte europea, sono aumentati gli episodi di violenza verso i poliziotti. Questo perché i carcerati, durante il giorno, hanno più ore di libertà e quindi la possibilità di ritrovarsi e stare a contatto. Litigano tra loro e discutono animatamente con sempre più frequenza. Manca la disciplina e l'incolumità degli agenti è a rischio continuo. Servono soluzioni, lo chiediamo da anni, ma non viene fatto mai nulla. Esprimo solidarietà al mio collega, perché certi episodi non dovrebbero mai accadere". Milano: biblioteca "Zanza un libro", una raccolta di beneficienza per i detenuti di Marta Ghezzi Corriere della Sera, 16 marzo 2015 Uno slogan normale non avrebbe funzionato. Serviva qualcosa di forte. In grado di colpire. A maggior ragione se la posta in gioco è alta. San Vittore ha sette biblioteche interne e un patrimonio librario di 25 mila libri. Potrebbero sembrare tanti ma non è così. Anche perché, nelle ultime settimane, i detenuti e i volontari hanno scoperto quello che numerosi operatori già sapevano: molti libri sono inutili. Illeggibili, inadatti, testi tecnici o superati, romanzi ottocenteschi. Libri che non mettono le ali, che non aprono gli occhi sul mondo, che non insegnano. Per tradizione i milanesi hanno sempre regalato volumi al carcere. Da qui l'idea di ricreare un circolo virtuoso per far arrivare in piazza Filangeri nuovi volumi. Attuali e più vicini alle esigenze dei lettori. Libri presi dai cittadini, su suggerimento dei detenuti. L'Associazione Mario Cuminetti - pioniera dell'attività culturale nelle carceri - ha preparato un questionario che ha fatto circolare per conoscere le preferenze dei detenuti. È nato un elenco mirato, poi consegnato ad alcune librerie dove è possibile andare a prendere libri (elenco su bibliorete.org ). Ma mancava lo slogan. Che doveva essere d'impatto. "È arrivato dopo una riunione con i bibliotecari. Simpatico e truffaldino: zanza un libro" spiega Paola Rauzi del gruppo Cuminetti. L'hashtag #zanzaunlibro è stato lanciato alla fiera Bookcity. Piccolo successo: 60 libri in un solo mese. Fra dicembre e gennaio la Casa della Carità l'ha ripreso, e altri 400 testi si sono aggiunti alla pila iniziale. L'iniziativa terminerà a giugno, i detenuti sperano che la generosità dei milanesi non sia già al capolinea. "Una biblioteca ben fornita attira e diventa un importante luogo di confronto" dice Dario, habitué di quella del V raggio, lettore vorace alle prese con I quaderni del carcere di Gramsci. "Avvicinarsi alla lettura da adulti non è semplice - aggiunge Gianni - ci vuole l'autore giusto, che cattura. I contemporanei sono facili e immediati, si parte così". Nel terzo raggio c'è la biblioteca centrale. "Quattordicimila volumi solo qui" spiega il bibliotecario Claudio (nome di fantasia). Ma c'è un problema. Non legato al genere o all'attualità. A San Vittore il 70 per cento della popolazione è straniera. Persone capaci di esprimersi in Italiano ma in difficoltà con lo scritto. L'appello di Claudio è accorato: "Comprate anche per loro. C'è fame di libri in rumeno, arabo, russo. E poi dizionari bilingue e frasari". Il problema è avvertito anche all'ex penale, dove stanno i giovani, età compresa fra i 18 e i 25, con percentuali di stranieri che sfiorano il 90 per cento. Il bibliotecario John mostra la sezione in lingua, un unico ripiano, una decina di libri. Poi svela: "Qui comunque si legge: escono sette libri a settimana". Al di là dell'iniziativa, le biblioteche di San Vittore, riorganizzate nell'ultimo anno, stanno diventano poli attrattivi. Gruppi di lettura, cineforum, corsi, incontri con scrittori. L'obiettivo finale è il collegamento a quelle comunali. Per fare arrivare i libri da fuori. Come già succede a Bollate e Opera. "Così il patrimonio librario diventa immenso - racconta il volontario Riccardo Mel. E il carcere diventa un luogo di cultura legato al territorio". Verona: "Ri-genero. La forza di ricominciare", laboratorio fotografico in carcere L'Arena, 16 marzo 2015 In occasione della ricorrenza della Festa della donna, Microcosmo ha pensato di dare vita ad un incontro di presentazione del progetto "Ri-genero. La forza di ricominciare", con una iniziativa che si è svolta venerdì sera, sostenuta dalle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uli, dalla Consulta delle Associazioni Femminili e dall'assessorato alle Pari Opportunità del Comune, approvata dalla direzione del carcere. "Ri-genero" è il laboratorio fotografico condotto da Giovanna Magri, fotografa e docente dell'accademia di Brescia, all'interno del carcere. Alla serata è intervenuta anche l'assessore ai Servizi Sociali Anna Leso che ha ringraziato non solo le operatrici ma anche, e soprattutto, le detenute: "Ci avete regalato la vostra fiducia, raccontandovi, e ci avete fatto sentire forte l'emozione, con la verità contenuta nelle vostre storie. Voglio ricordarvi che anche l'Amministrazione vi è vicina". Un grazie da parte delle detenute è andato alla direttrice del carcere Maria Grazia Bregoli: "Grazie per averci permesso di vivere questa esperienza, per noi così ricca. Speriamo che non sia l'ultima". "Quello che funziona bene, si deve ripetere", ha assicurato la direttrice. Napoli: visita del Papa, anche i ragazzi dell'Ipm di Nisida incontreranno Francesco Adnkronos, 16 marzo 2015 Non uno ma due incontri, a poche ore di distanza e in contesti assolutamente diversi tra loro. Il 21 marzo, giornata della visita pastorale di Papa Francesco a Napoli, sarà una giornata speciale per un gruppo di ragazzi del carcere minorile di Nisida. Avranno infatti la possibilità di incontrare il Pontefice prima nel carcere di Poggioreale, dove parteciperanno al pranzo che il Papa ha voluto organizzare con i detenuti (saranno presenti anche delegazioni di carcerati provenienti da Secondigliano e dal penitenziario femminile di Pozzuoli), poi nell'appuntamento finale della giornata, quello sul lungomare partenopeo, dove Bergoglio incontrerà i giovani della città di Napoli, in quello che probabilmente rimarrà l'evento più rappresentativo della visita. Prevedibile l'emozione dei ragazzi per la possibilità di incontrare un Papa che, ricorda il cappellano del carcere don Fabio De Luca, "usa un linguaggio diretto alle persone che soffrono e ai giovani". Non è un caso quindi che il Pontefice abbia dedicato almeno due delle diverse tappe della sua visita a quella marginalità che vuole toccare con mano, prima con l'arrivo a Scampia e poi con il pranzo del grande carcere di Poggioreale, che sarà sede dell'incontro con carcerati dei penitenziari della città, compresi quello minorile di Nisida e quello femminile di Pozzuoli. Un gesto che, dice all'Adnkronos don Fabio De Luca, "rappresenta la volontà del Papa di dire che c'è una possibilità di riscatto e di cambiamento". "A Napoli - spiega il cappellano carcerario - c'è questa filosofia a volte fatalista, la mentalità del così deve andare, che spesso diventa una forma di deresponsabilizzazione. Spero che il Papa possa scardinare questo tipo di mentalità soprattutto nei giovani: fa soffrire che un ragazzo di 15 anni possa già pensarla così, pur avendo ancora la possibilità di decidere della propria vita e del suo futuro". I ragazzi, svela don Fabio, ribadiranno al Papa l'invito a visitarli a Nisida, invito già lanciato sabato scorso quando due giovani carcerati hanno avuto l'occasione di incontrarlo a Roma; a Francesco hanno donato una stola realizzata nel laboratorio di sartoria del carcere, decorata da uno di loro già esperto tatuatore e ispirata alla cura del creato. Un regalo, spiega il cappellano, "molto gradito dal Papa". L'invito sarà quindi lanciato "anche se - scherza don Fabio - va bene pure che sia lui a invitare noi". Roma: domani presentazione XI Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione Ristretti Orizzonti, 16 marzo 2015 Vi ricordiamo che domani, a partire dalle 11.00 presso il Cesv (via Liberiana 17, Roma) si terrà la presentazione di "Oltre i tre metri quadri" XI Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione, numeri, dati, storie e informazioni su tutti gli aspetti della vita detentiva in Italia Durante la conferenza sarà mostrato in esclusiva il video con la testimonianza dell'Avvocato Guido Cardello e del suo assistito Carlos Mohammed Gola, ex-detenuto nel carcere di Asti, che raccontano le violenze brutali di stampo islamofobico subite da quest'ultimo nel periodo di reclusione. Sarà altresì presente la figlia del signor Iqbal Muhammad che chiede la grazia per il padre, condannato a 19 anni dalla commissione di un reato legato a traffico internazionale di stupefacenti. Verrà inoltre presentato l'aggiornamento di InsideCarceri, il webdoc inchiesta sulle prigioni italiane iniziato nel 2012 dall'agenzia giornalistica indipendente Next New Media e Antigone. La nuova versione contiene nuovi dati sulle condizioni carcerarie e nuove infografiche che consentono anche il confronto storico con i dati di due anni fa. Inoltre sono state inserite nuove foto nel reportage e sono state aggiornate tutte le schede relative agli istituti per capire come sono cambiate le condizioni di vita nei principali carceri italiani. Complessivamente il reportage conta circa 40 video e 200 foto che Next New Media e Antigone hanno deciso di lasciare liberamente utilizzabili dai mezzi di informazione (senza possibilità di alterarne i contenuti). Bologna: mercoledì lezione alla Dozza nell'ambito del Corso "Diritti doveri solidarietà" Ristretti Orizzonti, 16 marzo 2015 Mercoledì 18 marzo 2015 c/o la Casa Circondariale Dozza di Bologna, Alessandro Alberani, Segretario generale Cisl Area Metropolitana bolognese, e la Prof. Cinzia Benatti terranno la lezione: "La libertà di iniziativa economica. La rappresentanza sindacale. Ricostruzione delle categorie, anche in chiave storiografica." Si tratta della diciassettesima di un ciclo di ventiquattro lezioni dedicate ai detenuti della Casa Circondariale Dozza di Bologna iscritti ai corsi dell'anno scolastico 2014-2015, nell'ambito del Progetto "Diritti, doveri, solidarietà. La Costituzione italiana in dialogo con il patrimonio culturale arabo-islamico", realizzato a seguito dell'Accordo quadro tra la Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale della Regione Emilia-Romagna e il Centro per l'istruzione degli adulti Cpia Metropolitano di Bologna. Immigrazione: abbiamo difeso i migranti di Rosarno…. condannateci tutti di Celeste Costantino Resto al Sud, 16 marzo 2015 Piena solidarietà al vicesindaco Luigi Nieri e agli altri nove imputati per cui è stata richiesta una condanna a due anni di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale in occasione di una manifestazione di solidarietà ai migranti sfruttati nelle campagne di Rosarno. Nel 2010 ?ho chiesto anche io a Luigi Nieri, all'epoca assessore al Bilancio della Regione Lazio, di partecipare al sit-in che si svolse a Roma e fare da mediatore in un momento delicato e complicato. È incredibile che la giustizia presenti il conto a persone che manifestavano per difendere i migranti delle campagne calabresi e contestavano un Governo che operava delle scelte folli e xenofobe, agitando lo spauracchio del reato di clandestinità, contro i più deboli provenienti da altri Paesi del mondo. I migranti di Rosarno, sfruttati da caporali e 'ndrangheta, sono stati trasferiti, ghettizzati, espulsi. I loro diritti sono stati calpestati più volte. Nessuno ha mai pagato. L'attuale vicesindaco di Roma, Luigi Nieri, ha semplicemente il merito di aver favorito il dialogo tra manifestanti e forze dell'ordine, rifiutando ogni forma di violenza e frapponendosi nelle situazioni di tensione tra i due gruppi. Eravamo in tanti, associazioni e movimenti, quel giorno con mani e arance insanguinate per denunciare le condizioni in cui vivevano i migranti. Per questo motivo le richieste di condanna sono ingiustificate. A meno che non vogliate condannarci tutti. Droghe: "cannabis libera", pronta legge bipartisan di Daniele Regno Il Mattino, 16 marzo 2015 Della Vedova promuove un intergruppo: aderiscono 60 parlamentari dal Pd a Forza Italia. Venti anni fa - era il 27 agosto del 1995 - simulò con Marco Pannella e Rita Bernardini la cessione gratuita di marijuana. E fu arrestato. Adesso Benedetto Della Vedova - ex radicale, ex seguace di Gianfranco Fini e ora senatore e sottosegretario agli Esteri - ci riprova. Ma invece di replicare la strada della provocazione percorre quella più istituzionale del disegno di legge: per liberalizzare la Cannabis ha proposto un intergruppo che, prima ancora di iniziare i lavori, ha riunito sessanta parlamentari di quasi tutti gli schieramenti. Con l'obiettivo di predisporre e fare approvare una legge per rendere la cannabis legale. L'iniziativa di Della Vedova si fa forte dell'opinione di Umberto Veronesi e Roberto Saviano e può contare su un organismo parlamentare trasversale al quale hanno aderito deputati del Pd di fede renziana (Roberto Giachetti) e non (Pippo Civati), grillini e fuoriusciti da M5S, esponenti di Sel e del gruppo misto e persino un nome di spicco di Forza Italia come l'ex ministro della Difesa Antonio Martino. L'intergruppo avvia la sua attività sullo slancio dell'esplicito suggerimento contenuto nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia: "Davanti all'oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo, spetterà al legislatore valutare se sia opportuna una depenalizzazione della materia". La Dna ha invitato il Parlamento a "bilanciare i contrapposti interessi". Se, da un lato, "bisogna riconoscere il diritto alla salute dei cittadini", dall'altro occorre tenere conto delle "ricadute che la depenalizzazione avrebbe in termini di deflazione del carico giudiziario, di liberazione di risorse delle forze dell'ordine e magistratura per il contrasto di altri fenomeni criminali e, infine, di prosciugamento di un mercato che, almeno in parte, è di appannaggio di associazioni criminali agguerrite". D'altronde, c'è un dato, fornito dalla stessa Dna, che fa riflettere: il mercato illegale oggi vende fra 1,5 e 3 milioni di chilogrammi l'anno di cannabis, "quantità che soddisfa una domanda di mercato di dimensioni gigantesche". Un volume che consentirebbe a ciascun cittadino italiano (compresi vecchi e bambini) un consumo di circa 25-50 grammi a testa, pari a circa 100-200 dosi. "Il problema - dice Della Vedova - non è più dichiararsi favorevole o contrario alla legalizzazione, piuttosto è regolare un mercato che è già libero. Occorre disciplinare, limitare e penalizzare l'uso delle droghe leggere, sul modello di quanto si fa per alcol e tabacco. Perché la repressione, finora, ha avuto costi altissimi. E non è servita a contenere i consumi di hashish e marijuana". Il sottosegretario agli Esteri aveva scritto una lettera a tutti i parlamentari lo scorso 8 marzo e le adesioni sono arrivate nel giro di una settimana. "Ho voluto - spiegali senatore Della Vedova - creare uno strumento non partitico, che raccolga i tantissimi che la pensano come me, per arrivare a formulare una proposta di legge trasversale, che sia un'operazione di legalità. Lo faccio a titolo individuale, come semplice parlamentare e non come membro del governo, per creare un momento di catalizzazione e riflessione sulla materia. L'Intergruppo è lo strumento ideale per togliere tutti gli elementi "partisan" alla proposta". Secondo il sottosegretario la Dna nella sua relazione annuale "scolpisce nel marmo considerazioni lucidissime sul fallimento della strada della repressione". Droghe: Serpelloni (Dpa); chi vuole cambiare le norme stia attento alle conseguenze di Daniela De Crescenzo Il Mattino, 16 marzo 2015 Cannabis sì, cannabis no. Sono bastati un po' di numeri e qualche osservazione all'interno della relazione presentata dalla Dna al Parlamento per riaccendere la storica polemica tra gli opposti schieramenti dei proibizionisti e degli antiproibizionisti, anche se il procuratore nazionale Franco Roberti avverte: "Noi non chiediamo la depenalizzazione, ma poniamo un problema: di fronte agli sforzi impiegati da magistratura e forze dell'ordine constatiamo un crescente aumento del consumo e quindi ci domandiamo quale sia la via più efficace per fronteggiare la situazione", E infatti la direzione nazionale antimafia parte dal dato sui sequestri: "Nel periodo in esame, luglio 2013 giugno 2014, si registra un significativo, ma non eccezionale, aumento dei sequestri di tutte le sostanze stupefacenti sopra indicate - è scritto nel rapporto - fatto salvo il dato sulla cannabis, che evidenziava un rilevantissimo picco di incremento di oltre il 120 per cento". E poi l'osservazione che ha riaperto i giochi: "Davanti a questo quadro, che evidenzia l'oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo, spetterà al legislatore valutare se, in un contesto di più ampio respiro sia opportuna una depenalizzazione della materia". In sostanza ci si chiede se sia utile una mobilitazione delle forze dell'ordine e della magistratura per combattere una battaglia che ha pochissime possibilità di essere vinta. Anche perché, risulta dai dati forniti al Parlamento questa volta dal dipartimento delle politiche antidroga, in Italia il consumo della cannabis continua a crescere nonostante sequestri ed arresti. Ma se la relazione della Dna porta acqua al mulino degli antiproibizionisti, sono altri numeri a far accendere il dibattito tra i sostenitori della legalizzazione. La relazione del dipartimento delle politiche anti droghe sui primi sei mesi del 2014 dimostrano, infatti, che lo spinello è merce diffusa soprattutto tra i più giovani. "Il consumo di sostanze stupefacenti tra gli studenti, rilevato annualmente dal 2003 - è scritto - evidenzia una progressiva contrazione della prevalenza di consumatori di cannabis fino al 2011, sebbene caratterizzata da una certa variabilità; nel triennio successivo 2011-2013 si osserva ima ripresa dei consumatori con prevalenze che raggiungono nel 2014i valori del 2008". E proprio da questo dato parte Giovanni Serpelloni, fino allo scorso anno a capo del dipartimento, osservando: "Quando si fanno scelte e politiche e sociali così importanti non bisogna dimenticare i danni sanitari che si fanno ai giovani: più liberalizzi più aumenti i consumatori non solo di cannabis, ma anche di altre droghe". Secondo l'esperto l'incremento dei consumi non sarebbe così drammatico come sostenuto dalla Dna: "Parte della cannabis è solo in transito - sostiene - e, come dimostra la relazione del dipartimento anti droghe, solo il dal 23,5% degli studenti la ha consumata negli ultimi dodici mesi facendo registrare un aumento di 1,9 punti percentuali rispetto al 2013". D'altra parte quando dici cannabis dici tutto e niente. Secondo Serpelloni il principio attivo può essere aumentato fino al 70 per cento dai commercianti di droga. Un'osservazione immediatamente rispedita al mittente dai sostenitori della depenalizzazione o anche della liberalizzazione: solo facendo emergere il fenomeno, sostengono, è possibile controllarlo. Come in una vecchia pubblicità se legalizzi sai quel che fumi. Anche perché oggi non sempre quel che sembra hashish o marijuana lo è davvero: foglie potenziate o trattate con altre sostanze sono diffusissime, come la famosa "amnesia" che non è solo una dimenticanza né una discoteca di Ibiza, né un film, ma una droga che puzza molto e che ha effetti molto più intensi dello spinello che si ottiene con la sostanza "semplice". Sostiene la psicologa e psicoterapeuta Grazia Zuffa da anni impegnata nel campo delle dipendenze: "L'aumento della potenza della cannabis è legata al mercato illegale. La qualità è determinate e per questo i consumatori cercano un canale sicuro. Ma per affrontare seriamente il dibattito dobbiamo rivolgere il nostro sguardo al mondo dove cominciano a esserci esempi di legalizzazione sempre più diffusi. Accade pure negli Usa che hanno introdotto il regime di proibizione e lo hanno imposto al mondo intero. In America sono i quattro gli Stati che hanno legalizzato la marijuana a uso ricreativo: Alaska, Oregon, Colorado e Washington. In altri 19 stati la cannabis è legalizzata ad uso medico. Nel 2016, ci sarà un referendum sulla legalizzazione della cannabis ad uso ricreativo anche in California". E se si guarda al mondo si scoprono cose strane: in Olanda, ad esempio, lo spinello si può fumare nei famosi coffee shop, ma è proibito produrre cannabis. Non è chiaro, dunque, come gli imprenditori dello sballo possano procurarsela legalmente. In Spagna, invece, è stato depenalizzato il consumo e la coltivazione, ma solo per uso personale. L'esperimento più originale e che ha fatto più discutere arriva dall'Uruguay dove nel 2013 è stata approvata una legge molto articolata. E stato creato un Istituto di regolamentazione della cannabis (Inc), che concede licenze ai privati per la coltivazione delle piante da parte di singoli (massimo sei piante a testa), associazioni di consumatori (massimo 45 soci e 99 piante) e ai produttori più importanti, che vendono attraverso una rete di farmacie autorizzate, per un massimo di 40 grammi mensili a persona. Prezzo massimo un dollaro a grammo. Ma attenzione: la vendita è proibita agli stranieri.