Giustizia: svolta "forcaiola" del governo, avvocati penalisti pronti a scioperare di Errico Novi Il Garantista, 14 marzo 2015 È un bombardamento. Anzi, un'offensiva a tenaglia. Senato e Camera. Da una parte l'anticorruzione, che si arricchisce di una bella spruzzata di 416bis. Dall'altra la super-prescrizione, ormai pronta al decollo: via libera della commissione Giustizia, con tanto di mandato ai relatori (ma con il no dell'Ncd). Da lunedì si va in aula. Può bastare a risarcire i magistrati per la responsabilità civile? Forse sì. O forse sarà eccessivo mettere in relazione lo strappo giustizialista di Pd e governo con il dispiacere dato alle toghe. Fatto sta che da quando Montecitorio ha definitivamente approvato la riforma della Vassalli, sulla giustizia c'è stata una clamorosa virata in senso restrittivo. Se i deputati accelerano, i senatori fremono. Martedì sono state aumentate le pene per peculato, mercoledì sera quelle per corruzione in atti giudiziari e per induzione indebita. Ieri è saltato fuori un altro emendamento, sempre del governo, che ha introdotto nello stesso disegno di legge anti-corruzione anche innalzamenti di pena per il 416 bis. Va bene il principio "nessuna pietà per i mafiosi", per citare l'esultanza del capogruppo dem Beppe Lumia. Ma perché mischiare misure per reati contro la pubblica amministrazione con quelle contro le cosche? I senatori macinano ma appunto fremono, perché costretti ad aggiornarsi alla prossima seduta, fissata per lunedì, senza ancora aver ricevuto l'emendamento di Orlando sul falso in bilancio. Ma è questione di ore. Altro che giudici, ora scioperano i penalisti. Prendete tutto questo e frullatelo con la prescrizione-monstre, varata ieri dall'altra commissione Giustizia, quella della Camera. Ne esce un processo che non finisce più. Oltre 20 anni perché arrivi la prescrizione in caso di corruzione propria. Ben oltre 25 anni per i casi aggravati di corruzione in atti giudiziari. Chi è che avrebbe dovuto fare sciopero? Adesso lo sciopero rischiano di farlo i penalisti. Sono a un passo. L'Unione delle Camere penali delibera lo stato di agitazione e si riserva "ulteriori iniziative". Il presidente Beniamino Migliucci non esclude lo sciopero. Prevale, secondo gli avvocati, una "sorta di demagogia dell'urgenza che induce Parlamento e governo a prendere decisioni improvvide" nella "delicatissima materia" della prescrizione. Eppure, viene fatto notare nella delibera, "alcun dato statistico segnala la esistenza di una qualche reale emergenza". In effetti i dati dicono che solo il 3,5 dei reati contro la pubblica amministrazione finisce prescritto. Ma il governo ormai pare non fermarsi più. Il governo in realtà è diviso. Esattamente come la maggioranza. Alla Camera i deputati di Area popolare (Ncd e Udc) votano contro il via libera alla prescrizione, e si vedono sostituiti dai colleghi di Sel che arrivano a dar man forte al Pd. Al ministero della Giustizia è in corso uno scontro molto teso tra il ministro Andrea Orlando e il suo vice Enrico Costa, che è appunto del Nuovo centrodestra. I due non si sono parlati per giorni, da quando cioè la commissione Giustizia di Montecitorio ha approvato la modifica decisiva sulla prescrizione, il famoso raddoppio. In pratica, i tempi massimi relativi alle interruzioni del processo erano prima calcolati in un quarto del massimo edittale, adesso nella metà della stessa pena massima. È la goccia che ha fatto traboccare il vaso,. E incrinato i rapporti tra il guardasigilli e viceministro. Il quale si limita ad auspicare "correttivi tali da consentire il voto compatto in aula". Come a dire: se il testo resta quello appena licenziato dalla commissione, noi dell'Ncd confermeremo il nostro no. Chi è contento è ovviamente Donatella Ferranti, presidente Pd della commissione Giustizia, e magistrato: "Una riforma equilibrata ma sostanziale, che potrà finalmente impedire lo scandalo di processi bloccati dalla tagliola del tempo". E poi "finalmente dopo 10 anni mandiamo in archivio la ex Cirielli, una legge perniciosa". L'altro punto forte ricordato da Ferranti è la sospensione della decorrenza dei termini di prescrizione per due anni dopo la condanna in primo grado e per un anno dopo quella in appello. Si è almeno avuta la premura di prevedere che tali sospensioni si annullino in caso di successiva assoluzione. E anche di sancire l'inapplicabilità delle nuove regole ai processi in corso. C'è ancora una norma di civiltà che tutela i minori vittime di abusi: per i loro aguzzini la prescrizione comincia a decorrere solo quando la vittima compie 14 anni. Il resto però rischia di intaccare pesantemente il principio costituzionale della ragionevole durata del processo. Chissà se nell'ala dura delle toghe tutto questo attenuerà l'irritazione per la responsabilità civile. Un magistrato molto autorevole, il presidente della Corte costituzionale Alessandro Criscuolo, dice che "l'eliminazione del filtro di ammissibilità dei ricorsi non dovrebbe determinare uno stato di totale preoccupazione o intimidazione per l'ordine giudiziario". E anzi, "se un problema si pone, è nel senso di prevedere una maggiore attenzione, per evitare di incorrere in questa responsabilità". Poi aggiunge: "Una maggiore attenzione può essere un fatto fisiologico, normale e direi positivo". Criscuolo è stato anche presidente dell'Anm. E ricorda ancora un dettaglio: "Il risarcimento danni per responsabilità può essere coperto da assicurazione". Ecco. E allora, per tranquillizzare le toghe, c'era davvero bisogno di regalare loro il processo infinito? Giustizia: pene più dure per furti e rapine; dal Pd pieno appoggio, per la Lega non basta di Roberta Labruna Giornale di Vicenza, 14 marzo 2015 Dal Pd pieno appoggio: "È frutto del nostro lavoro". I leghisti Busin e Stefani: "Una cosa giusta, se vera". Ma Zaia attacca: "Senza carceri è solo una sparata". "È un primo risultato importante, per il quale ci siamo spesi con convinzione e il latto che il via libera sia arrivato direttamente dal governo consentirà di andare avanti spediti", assicurano i parlamentari di maggioranza. "Se si va realmente nella direzione annunciata allora si tratta per una volta di una svolta positiva, ma questo emendamento aspettiamo di vederlo perché ad oggi è stato solo annunciato", dicono quelli della minoranza. È il commento a caldo di deputati e senatori vicentini alla decisione del Consiglio dei ministri di dare il via libera al raddoppio delle pene per furti e rapine, che come conseguenza ha anche il blocco (o la riduzione) dei benefici condizionali. Un traguardo, questo, proposto dal Giornale di Vicenza. Il passo mosso dal governo, però, non convince il governatore Luca Zaia. Che attacca: "L'ennesima sparata buona per riempire un tweet - scrive in una nota. Il toro va preso per le corna, non per la coda. Pene più dure senza la certezza che vengano scontate e senza le carceri sufficienti per mettere in galera i delinquenti sono l'incarnazione del Dna di questo Governo: annunci con effetto zero sui problemi. Ci sentiamo presi in giro - aggiunge - se avessero voluto afre sul serio, prima avrebbero dovuto varare un vero Piano nazionale per la costruzione di nuove carceri, e poi indurire le pene. Finirà che avremo delinquenti condannati a sei anni invece che a tre, ma liberi come prima". Stante l'emendamento del governo, la palla andrà ora ai parlamentari. "Raccogliendo la preoccupazione dei cittadini e facendo tesoro della campagna promossa dal giornale - dice il deputato del Pd Federico Ginato - ci siamo adoperati per porre la questione all'attenzione del governo". Una questione che, dice all'unisono con la senatrice Rosanna Filippin, "può essere affrontata in due modi: strumentalizzandola o ascoltando i cittadini e intervenendo per cambiare le cose nelle aule parlamentari. Noi abbiamo scelto il secondo modo e l'emendamento che inasprisce le pene è un primo passo importante pe r contrastare u n allarme autentico, ma l'impegno prosegue per una riforma generale del sistema-giustizia". Anche per la dem Daniela Sbrollini "è un primo passo incisivo dopo le nostre sollecitazioni. Che sia il governo a prendere in mano la questione è importante: se la proposta l'avessimo presentata noi parlamentari l'iter sarebbe stato più lungo". In questo modo invece, aggiunge il renziano Filippo Crimi, "i tempi saranno rapidi. Il gioco di squadra ha funzionato e siamo riusciti a centrare l'obiettivo: dare una risposta concreta a un problema che genera allarme nelle persone". Positivo il giudizio del senatore Pd Giorgio Santini: "Il governo ha colto un allarme reale, che anche il Giornale di Vicenza ha lanciato. Così c'è un effetto di deterrenza e una valorizzazione dal lavoro delle forze dell'ordine". Dall'opposizione il senatore del Movimento 5 Stelle Enrico Cappelletti fa sapere che "se davvero ci sarà una stretta su questi reati, il nostro voto sarà positivo. Come lo è stato sull'innalzamento delle pene per l'associazione mafiosa. Ma prima di dire di più, attendo di vedere il provvedimento nero su bianco". Stessa linea per il deputato leghista Filippo Busin: "Di scritto non ho ancora visto nulla. Se si concretizzasse un aumento delle pene allora vorrebbe dire che, dopo "svuota-carceri" e lassismo costante, il governo avrebbe preso una decisone giusta". Dura la senatrice della Lega Erika Stefani: "Fa piacere che ancora una volta il governo annunci delle cose alla stampa, prima che alle commissioni. Se l'emendamento esiste davvero, ma attendo di vederlo, allora può significare due cose: che il governo si è reso conto di aver fatto degli errori gravissimi in materia di sicurezza o che è il classico rattoppo all'italiana". Giustizia: Molteni (Lega); pene doppie per i furti? per far dimenticare le depenalizzazioni di Giulia Pozzi www.diariodelweb.it, 14 marzo 2015 Poco dopo l'approvata depenalizzazione di 157 reati minori, Alfano annuncia l'emendamento che raddoppia le pene per i furti nelle case. Per Nicola Molteni, però, si tratta solo di un tentativo di distrazione rispetto alla "disastrosa condotta" del Governo in tema giustizia. Condotta che, per altri, è una prima risposta all'emergenza carceri per cui siamo stati sanzionati dall'Europa. "Le pene per i furti in appartamento raddoppiano. Deciso in Cdm. Ora la legge su città sicure": questo, l'annuncio twittato dal ministro dell'Interno Angelino Alfano. Nel corso della riunione di ieri, infatti, si è dato il via libera a un emendamento del governo che si innesterà sul testo di riforma del processo all'esame della Camera. Il testo inasprisce le sanzioni per furto in abitazione, furto con strappo, rapina: tutti reati spesso terreno di battaglia della Lega. Ed è proprio un leghista, Nicola Molteni, membro della Commissione Giustizia, a rispondere all'esultante cinguettio del tanto "odiato" Alfano. Un cinguettio che peraltro, secondo il deputato, è soltanto uno specchietto per le allodole. "Questo è il governo dei clandestini e che ha favorito i criminali. E non basta aumentare di un anno la pena per un reato, se poi non esiste certezza della pena", spiega Molteni. "La sinistra, con Alfano, ha completamente smantellato il principio della certezza della pena, perché il governo ha approvato cinque svuota-carceri, la liberazione anticipata speciale, le pene alternative al carcere, le messe alla prova e gli 8 euro al giorno di risarcimento al detenuto", dichiara Molteni. Che ricorda, in riferimento al tweet di Alfano, che "ieri in Consiglio dei Ministri il governo ha approvato una delle più grandi porcate che esistono sulla faccia della terra, cioè la depenalizzazione di 157 reati cosiddetti minori". A fronte di ciò, spiega Molteni, l'esecutivo ricercherebbe un "effetto lenitivo", "annunciando a parole l'aumento della pena per i furti di un anno, cosa che non cambierà assolutamente nulla". L'intenzione sarebbe quella di "spostare l'attenzione dell'opinione pubblica da un decreto approvato in Cdm che porta avanti la depenalizzazione di 157 reati". E, tra tali reati - sottolinea Molteni, "c'è il furto, la violazione di domicilio, la truffa": ciò significa che "chi commetterà tali reati potrebbe non essere più punito e il processo potrebbe anche non iniziare per nulla", spiega. Molteni, insomma, accusa Alfano e Renzi di voler "spostare l'attenzione" dal decreto diventato legge proprio ieri, con un tweet "che promette l'aumento della pena di un anno per il furto": ecco perché quel cinguettio, secondo la Lega, sarebbe nient'altro che uno specchietto per le allodole, un tentativo di far dimenticare le tante depenalizzazioni approvate e, più in generale, la condotta del governo in materia di sicurezza. Una condotta fino ad ora pessima, secondo Molteni: "Renzi e Alfano non hanno fatto nulla di buono, anzi, hanno smantellato i principi di sicurezza che esistevano, hanno tolto risorse alle forze dell'ordine, hanno approvato provvedimenti che vanno a svuotare le carceri e a garantire l'impunità. Anzi, questo" aggiunge, "rimane il Governo amico di ladri, che mette sotto tutela non le categorie che meritano - come esodati e cassaintegrati, ma gli immigrati e i criminali". Il messaggio, insomma, è chiaro: "non è l'aumento di un anno della pena prevista per il reato di furto che può cambiare tutto quello che hanno smantellato in questi anni. il combinato disposto di tagli alla sicurezza, alle forze dell'ordine, della chiusura di 250 presidi di sicurezza, dell'incentivo all'immigrazione con Mare Nostrum, delle politiche di depenalizzazione e degli indulti mascherati ha portato - dati del Censis - ad avere 700 furti al giorno, 30 furti all'ora, 2 furti ogni minuto, +127% di furti negli ultimi anni, +195% di rapine negli ultimi anni". Questi, insomma, per Molteni "sono i dati drammatici che ci consegnano Renzi e Alfano", e davanti ai quali l'aumento di un anno della pena per furto "va bene, ma non potrà mai bilanciare il disastro perpetrato dalla sinistra, che si dimostra più sensibile agli immigrati e ai criminali che non ad altre categorie che andrebbero tutelate", conclude Molteni. Eppure, dall'altro lato c'è chi sostiene che il governo abbia dovuto affrontare, in tema carceri e giustizia, una situazione al limite dell'emergenza. Dopo le sanzioni internazionali che hanno obbligato l'Italia ad agire a favore della salvaguardia della dignità dei detenuti, i nuovi provvedimenti di depenalizzazione e misure alternative hanno garantito una netta diminuzione del numero di carcerati e un primo passo verso la risoluzione dell'annosa questione del sovraffollamento delle carceri. La fisionomia del carcere italiano, infatti, stava scivolando verso un profilo per certi versi controproducente e pericoloso: la prevalente presenza di soggetti socialmente deboli ed emarginati, spesso imprigionati per piccoli reati, rendeva plasticamente l'immagine di un luogo diventato in molti casi strumento, inutile e dannoso, per affrontare contraddizioni che sarebbero potute essere preventivamente risolte con un maggiore intervento sociale. I sostenitori di tale interpretazione ritengono che, con il continuo ampliamento del ricorso alla detenzione, per troppo tempo si siano leniti i timori di una collettività ansiosa per il venir meno delle proprie reti protettive sociali. Per tali ragioni e dopo la condanna del Consiglio d'Europa sul sovraffollamento delle carceri, il provvedimento del Governo, secondo un'interpretazione esattamente antipodica rispetto a quella sostenuta dalla Lega, rientrerebbe nel complesso percorso di riforma del sistema carcerario italiano urgente da troppo tempo, dove il carcere dovrebbe divenire un luogo non tanto e non soltanto di punizione, quanto di riabilitazione del condannato, e in cui le pene alternative non devono essere considerate "sconti", ma diverse modalità per rieducare alla legalità e alla socialità. Lo sforzo, dunque, sarebbe quello di costruire un Paese che mai più riceva l'accusa di trattare in modo "disumano e degradante" i suoi cittadini che sbagliano. Un approccio che però, secondo la Lega, comporterebbe solo il maggiore dilagare della criminalità. Giustizia: nel nostro sistema giudiziario c'è una malattia… il processo indiziario di Cesare Goretti Il Garantista, 14 marzo 2015 È vero, la magistratura continua nella sua supplenza: perché ha un potere sconosciuto in altri Paesi. I supremi giudici hanno confermato che in Italia non è reato essere "utilizzatore" dei servizi di prostituzione: c'era bisogno che lo ricordasse la Cassazione, visto che lo asserisce la legge? E subito gli antagonisti politici di un leader politico, e i sostenitori di quel leader politico, si sono affrontati impugnando ognuno a suo modo la spada della Giustizia: da cambiare secondo alcuni, da difendere secondo altri. Mi sembra però che poco si sia riflettuto sul percorso che sono obbligati a compiere imputati e ricorrenti, magistrati e avvocati, a causa della concezione e dell'impalcatura del diritto vigenti in Italia. Nel nostro Paese la Giustizia diviene protagonista prima di tutto per il ritardo con cui la Politica regola i problemi, lasciando così spazio alla cosiddetta "supplenza" della Magistratura. Cos'altro infatti hanno significato Mani pulite, il processo Andreotti, e quello Berlusconi, se non la fotografia dell'impasse della Politica? Nel primo caso la classe degli amministratori pubblici soffocava l'imprenditoria, mentre il blocco dell'alternanza tra maggioranza e op- posizione ingessava la Democrazia. Nel secondo caso l'incapacità del governo post democristiano impediva di procedere a sanare il Paese. Nel terzo caso la miopia (o l'incapacità) dei diversi leader politici e dell'estabilishment ha impedito di scegliere i modi e i contenuti necessari a rinnovare l'Italia. In tutti questi casi la magistratura è stata chiamata a intervenire, e malissimo ha fatto a rispondere, invece di mettere davanti alle loro responsabilità classe dirigente e elettori, E, ovviamente, la sua azione è risultata o inefficace o dannosa, E stato Francesco Saverio Borrelli ad aver dichiarato che "dopo 10 anni da Tangentopoli la corruzione non è diminuita ma cresciuta". Molti dicono che, assoluzione di Berlusconi o meno, il problema del centrodestra oggi è la sua dirigenza. Ma quello che occorre chiedersi è grazie a quali strumenti, e in che modo, il sistema giudiziario arriva a fare quello che ha fatto in Italia, Solo partendo da qui si può capire cosa bisogna cambiare per permettere alla Giustizia dì essere giusta. Occorre avere meno leggi e più chiare? Certamente, basti pensare che la Corte costituzionale con due sentenze del 1981 e del 1982 ha stabilito che in Italia l'ignoranza della legge civile e penale è una scusante, per l'immensità e la contraddittorietà della legislazione. Occorre avere più cancellieri per sveltire i processi? Certamente, tanto quanto snellire le procedure dibattimentali, pur senza toccare l'Appello, visto l'enorme mole delle riforme delle sentenze in secondo grado e in Cassazione. Ma tutte queste ovvietà, e le molte altre che si possono aggiungere, sono inutili senza capire che ci sono due cancri che divorano ogni riforma possibile dell'Ordinamento giudiziario e della procedura e dei codici penale e civile: la formazione della prova, e il principio del libero convincimento del Giudice. Lasciamo perdere Berlusconi, e parliamo di Franzoni, di Scattane e Ferrara, dell'omicidio di Garlasco... È sotto gli occhi di tutti: processi fatti senza arma del delitto, senza movente, basati su testimoni ricattabili: processi cosiddetti indiziari. Ma cos'è l'indizio per la giurisdizione italiana? Non sarà l'alibi che sì usa perché non si è trovata la prova? Io mi domando chi può immaginare che esista una nonna capace di lasciare per anni (anni in attesa dell'Appello e della Cassazione) il nipote nelle mani di una donna giudicata pazza e assassina, e che esista un marito capace di fare con questa pazza criminale un altro figlio, dopo che è stata condannata per aver ucciso il secondogenito. Il cui fratellino maggiore non ha alcuna paura di stare con la mamma-mostro. Una famiglia di matti? Oppure questo doveva essere un indizio di innocenza da valutare (che non è stato minimamente valutato), pari a quell'unico di colpevolezza (presenza sul luogo del delitto). che è stato ritenuto decisivo? Domande forse oziose rispetto al vero problema: parliamo di indizi, perché quasi mai gli investigatori sono capaci di portare prove certe in giudizio. A ciò si aggiunga che praticamente non ci sono limiti a ciò che il Procuratore e il Giudice possono ritenere prova, per rispetto appunto del principio del libero convincimento del Giudice. Un'accoppiata micidiale, che si presta a ampie strumentalizzazioni anche perché nessuno ha mai spiegato cosa c'entra il libero convincimento del Giudice con le interessate convinzioni del Procuratore. Il quale, e qui veniamo al terzo punto, ha a disposizione le stesse discrezionalità del Giudice nel trasformare un indizio in prova. Non accade in Francia, né in Germania, né in Spagna. Ed è impossibile che accada nei paesi in cui il diritto è basato sui precedenti giurisdizionali (Usa e Inghilterra). Dove procuratori e giudici sono sottoposti al vaglio degli elettori e sottomessi alle giurie. E nessun Marmo o Bocassini, che qui invece fanno carriera, verrebbe mai riconfermato alle elezioni successive. Quali sono allora le vere riforme urgenti di cui ha bisogno la Giustizia in Italia? Addestrare una polizia capace di raccogliere prove; riformare tutta la normativa sulla prova anche nel civile, cancellando il principio del libero convincimento del giudice per il Procuratore; separare le carriere. Senza queste riforme, ogni altra temo sarà ininfluente. Giustizia: anche il Prefetto Mario Papa lo ammette "si diventa terroristi in galera" di Damiano Aliprandi Il Garantista, 14 marzo 2015 "Più del jihadismo da tastiera il pericolo di radicalizzazione arriva dalle carceri. È quello il "vero luogo" dove l'Italia rischia di veder nascere i futuri foreign fighters o, peggio, i lupi solitari pronti ad attivarsi appena fuori dalla prigione". Così lancia l'allarme il direttore dell'Antiterrorismo italiano, il prefetto Mario Papa. Noi de Il Garantista siamo stati i primi ad affrontare l'argomento della radicalizzazione nelle carceri all'indomani dell'attentato in Francia. Abbiamo spiegato -numeri in mano - che il motivo della radicalizzazione è da additarsi alla condizione carceraria. Pochi giorni fa l'ha confermato lo stesso ministro della giustizia Andrea Orlando che, parlando di questo aspetto, ha sottolineato come si debba "fare in modo che non vi siano violazioni dei diritti che possano far aumentare il consenso della popolazione islamica che non è legata a questa visione e può diventarlo di fronte a forme di discriminazione". Per completare il nostro ciclo di informazione sulla nascita del terrorismo islamico a causa della mancanza dei diritti elementari in prigione, parleremo della nascita dello Stato Islamico perché - ancora una volta - ciò ò legato al sistema penitenziario. L'Isis è nato nella prigione Usa di Cam Bucca, in Iraq. Quest'ultimo penitenziario era tale e quale a quello di Abu Graib, ma non ha avuto la stessa attenzione mass mediatica. Martin Chulov, giornalista del Guardian, era riuscito ad avere una serie di colloqui con un miliziano che occupa una posizione importante all'interno dell'Isis. Il miliziano - che si fa chiamare Abu Ahmed - ha raccontato a Chulov molte cose nuove sulla nascita dell'Is e sull'ascesa del suo capo, Abu Bakr al-Baghdadi. E una storia interessante, perché si lega ai fallimenti della strategia americana in Iraq, alle guerre interne ad al Qaida e anche alla prigionia. Nel 2003, dopo l'invasione americana dell'Iraq che portò alla destituzione di Saddam Hussein, gli Stati Uniti aprirono in territorio iracheno delle prigioni per interrogare, tra gli altri, sospetti terroristi e jihadisti (la più nota era la prigione di Abu Ghraib, le cui foto e sevizie fecero il giro del mondo]. Camp Bucca era una di queste carceri: si trovava nel sud dell'Iraq e aveva una pessima reputazione tra gli iracheni. Nell'estate del 2004 Abu Ahmed, che allora era un ragazzino, entrò a Camp Bucca come sospetto jihadista. Era terrorizzato dagli americani e dalle storie che si raccontavano sulla vita del carcere. Una volta dentro, capì che le condizioni della sua prigionia sarebbero state meno dure di quanto si aspettasse perché ebbe l'aiuto di decine di jihadisti: "Non avremmo potuto stare tutti insieme a Baghdad, o in qualsiasi altro posto. Sarebbe stato incredibilmente pericoloso. Lì non solo eravamo al sicuro, ma ci trovavamo anche a poche centinaia di metri dall'intera leadership di al Qaida". E dal futuro capo dello Stato Islamico, Abu Bakr al-Baghdadi. Baghdadi, nato nel 1971 nella città irachena di Samarra, fu catturato nel febbraio 2004 dalle forze americane a Falluja, e poi trasferito a Camp Bucca. A quel tempo Baghdadi era a capo di un piccolo gruppo di insurgency irachena sunnita che combatteva contro le forze occupanti statunitensi. Abu Ahmed lo conobbe nel carcere: "Ebbi una sensazione particolare su di lui: come se stesse nascondendo qualcosa dentro, qualcosa di oscuro che non voleva mostrare alle altre persone. Era l'opposto degli altri leader con cui era molto più facile avere a che fare. Era lontano, per così dire, lontano da tutti noi. [...] Era una persona calma. Aveva carisma. Si percepiva che era uno importante. Ma ce n'erano anche altri importanti. Onestamente non pensavo che potesse arrivare così lontano. [...] Lui era molto rispettato dall'esercito americano. Se voleva visitare i detenuti di altri campi poteva farlo, noi no. E per tutto il tempo ebbe in mente quella nuova strategia, che portò avanti sotto gli occhi dei soldati stranieri: la costruzione dello Stato Islamico. Se non ci fossero state le prigioni americane in Iraq ora non ci sarebbe stato l'Isis. Bucca fu uno dei centri dove si costruì l'Isis. Arrivò da lì la nostra ideologia". Gli americani non vedevano Baghdadi come una grossa minaccia - al tempo le attenzioni erano concentrate su Abu Musab al-Zarqawi, il leader nazionale iracheno dcll'insurgency contro le forze occupanti - e anzi cominciarono a considerarlo come un "fìxer", uno che era in grado di sistemare i problemi e le divisioni tra detenuti. Uscito nel 2005 o nel 2009, come riferito da altre tonti, Baghdadi ha reclutato gran parte dell'establishment "locale" dal campo Usa arrivato a ospitare, fino alla chiusura di cinque anni fa, 24 mila reclusi. La morale di questa storia porta inevitabilmente a dire che senza la prigione americana di Cam Bucca, l'Isis non esisterebbe. Giustizia: droga, ordine pubblico, furti e rapine… un reato su tre è commesso da stranieri di Valeria Di Corrado Il Tempo, 14 marzo 2015 Un detenuto su tre in Italia è straniero. L'esercito di criminali non autoctoni tende a crescere, proporzionalmente all'ingresso in Italia (regolare o irregolare che sia) di persone nate all'estero. I dati forniti dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, aggiornati al 28 febbraio 2015, censiscono in 17.463 gli stranieri presenti nelle carceri italiane su un totale di 53.982. La stragrande maggioranza è costituita da uomini, le donne straniere recluse sono soltanto 870. Di questi 17.463 detenuti nati fuori dai confini italiani, 3.849 sono in attesa di un primo giudizio, 3.466 hanno una condanna non definitiva (perché impugnata in Appello o in Cassazione), 9.980 stanno scontando una condanna in via definitiva e 136 sono stati internati. La concentrazione massima di stranieri dietro le sbarre si riscontra negli istituti penitenziari della Lombardia, con 3.487 presenze; al secondo posto c'è il Lazio dove si contano 2.487 reclusi nati fuori dall'Italia. Le carceri di Roma fanno il pieno. Basti pensare che al Regina Coeli, su 910 detenuti, più della metà (ossia 539) sono stranieri. A Rebibbia nuovo complesso su 1.525 reclusi, i non italiani sono un terzo. Stessa proporzione anche per la casa circondariale femminile: 173 donne su 335 ristrette a Rebibbia sono straniere. Il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria censisce anche la distribuzione dei detenuti sulla base della cittadinanza. Il 16,8% sono marocchini, il 16,4% provengono dalla Romania, il 14,% sono albanesi e l'11% tunisini. Sensibilmente meno forti le presenze di nigeriani (4%), egiziani (3%), algerini (2,3%), senegalesi (1,7 %) e cinesi (1,4%). Per quanto riguarda la tipologia di reato, secondo i dati del ministero della Giustizia aggiornati al 31 dicembre 2014, gli stranieri infrangono prevalentemente la legge sullo sfruttamento della prostituzione, con 654 detenzioni su un totale di 840. Per quanto riguarda i reati contro il patrimonio, un quarto delle persone recluse è nato all'estero; mentre in materia di reati contro la pubblica amministrazione sono 2.500 a fronte di 4.500 mila italiani. Se si passa poi agli illeciti connessi allo spaccio e alla produzione di sostanze stupefacenti, ammontano a 6.747 i detenuti stranieri su un totale di circa 19 mila. Un 10% di loro, invece, infrange invece la legge sulle armi. In materia di ordine pubblico, un terzo dei reati vengono commessi da cittadini nati all'estero. Per quanto riguarda poi i reati contro la persona, 6.644 su 22.167 detenuti sono stranieri. Desta curiosità anche la casistica dei reati contro la fede pubblica, un terzo delle persone arrestate per questo illeciti rientranti in questa categoria ha passaporto non italiano. Le associazioni di stampo mafioso (415 bis) restano invece una prerogativa nostrana: sono soltanto 108 i detenuti stranieri a fronte di 6.800 italiani. Per capire la distinzione dei reati all'interno di queste macro-categorie, bisogna far riferimento a delle rivelazioni statistiche risalenti nel tempo. Sono dati sulla percentuale di stranieri denunciati o arrestati, attinti dal Sistema d'indagine (Sdi) del ministero dell'Interno ed elaborati dalla Direzione centrale della Polizia criminale. Nel 2006, le persone nate fuori dal confine italiano hanno commesso nel nostro Paese il 40% dei furti con destrezza, il 19% dei furti e delle rapine nelle abitazioni, il 12% dei furti di auto e il 15% delle rapine sulla pubblica via. E infine: il 12% delle violenze sessuali ha avuto come protagonisti cittadini stranieri. Ha gettato acqua sul fuoco, alcuni giorni fa, il titolare del Viminale. "Noi in materia di sicurezza possiamo vantare un calo dei reati superiore al 7% nel 2014 rispetto al 2013", ha detto lo scorso 5 marzo il ministro dell'Interno Angelino Alfano, al termine di una riunione con una delegazione dell'Anci. Secondo Alfano "si tratta di dati oggettivi che scontano spesso una diversa percezione della sicurezza e per questo dobbiamo rendere le nostre città non solo più sicure ma anche percepite come più sicure". Giustizia: "Lo stigma e la bellezza", oltre l'Opg di Montelupo Fiorentino… il nulla di Eleonora Martini Il Manifesto, 14 marzo 2015 Nella solitudine di un recluso ciò che lo sguardo incontra oltre le sbarre può essere di vitale importanza. Se poi il panorama che si apre oltre la finestra a scacchi incornicia, come nel caso dell'Opg di Montelupo Fiorentino, un ridente scorcio di collina toscana e una splendida villa medicea affacciata sulla riva sinistra dell'Arno, unica tra le residenze raffigurate nelle lunette di Giusto Utens a non essere inclusa nel patrimonio Unesco proprio perché non aperta al pubblico, la fantasia allora può fare miracoli. Non solo la fantasia degli attuali 117 internati nei tre reparti rimasti ancora aperti che, almeno sulla carta, dovrebbero lasciare l'Ospedale psichiatrico giudiziario toscano a cominciare dal 1° aprile prossimo. Perché sulla villa dell'Ambrogiana sono in molti ad aver messo gli occhi, e il progetto maggiormente accreditato al momento sembra essere quello di trasformare la residenza medicea, quando sarà liberata dall'Opg, in un resort a cinque stelle, visto che "di questi tempi - hanno sostenuto in molti durante il mega convegno organizzato a metà dicembre dal sindaco di Montelupo, Paolo Masetti, con ospiti d'eccezione come il presidente della Toscana Enrico Rossi, il sottosegretario Luca Lotti, il presidente della Cassa depositi e prestiti Franco Bassanini, il direttore dell'Agenzia del demanio Roberto Reggi, il provveditore regionale dell'amministratore penitenziaria Carmelo Cantone e l'assessore regionale alla Salute Luigi Marroni - non si può che ricorrere a investimenti privati", per recuperare un patrimonio statale di tale valore. Un'idea che inorridisce quanti vorrebbero che la villa medicea rimanesse invece a disposizione della collettività, magari per farne un museo sui manicomi giudiziari, ultima istituzione totale in via di abbattimento. Oppure, come sostiene la direttrice dell'Opg di Montelupo, Antonella Tuoni - che, come tutti i suoi colleghi, ha ricevuto dal Dap una circolare che le impone di "non entrare nel merito di aspetti di carattere generale relativi alla chiusura degli Opg" - per ospitare in una parte della struttura "un carcere a bassa sicurezza, in osmosi col territorio, aperto alla cittadinanza, con i detenuti che lavorano e vivono in un posto bello, ad alto valore simbolico, in modo da ribaltare il concetto vetusto di detenzione che la vuole collegata al dolore". Rems o commissariamento In qualunque caso, per "liberare" la villa Amborgiana, c'è bisogno che la Toscana riesca a rispettare le scadenze definite dalla legge 81/2014 che impone alle giunte regionali, pena il commissariamento, di trasmettere entro il 15 marzo ai ministeri di Salute e Giustizia l'elenco delle Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) che sostituiranno gli Opg. Sono strutture a totale gestione sanitaria che non possono superare i 20 posti letto e che dovranno essere in numero adeguato al bacino di utenza regionale. "Siamo fiduciosi di riuscire a non essere commissariati", fanno sapere dall'assessorato alla Salute. Dopo vari rinvii e rimodulazioni dei piani di attuazione delle Rems, "a causa dell'opposizione dei sindaci dei comuni dove avevamo pensato di collocare le residenze", l'ultima delibera è stata firmata dalla giunta toscana il 9 marzo scorso, a una settimana dalla scadenza, e prevede la realizzazione di circa 70 posti letto, con diversa intensità di cura e di sicurezza, per un costo complessivo di 11,6 milioni di euro. A conti fatti, però, spiegano i tecnici dell'assessorato regionale, la Toscana si deve far carico "solo" dei suoi 50 internati presenti a Montelupo Fiorentino che non sono dimissibili di qui alla fine di marzo, più 7 provenienti dall'Umbria, secondo un accordo interregionale. Ma per il superamento degli Opg la regione di Rossi ha deciso di avvalersi di una sola Rems (a Careggi, una struttura provvisoria in attesa di costruirne una nell'empolese), e puntare invece maggiormente su strutture non contenitive: due case famiglia a Siena e ad Arezzo (8 posti, ma in alto mare nella realizzazione), e altre quattro residenze sanitarie "intermedie", ossia senza sorveglianza perimetrale, destinate agli internati che stanno ultimando il percorso riabilitativo prima delle dimissioni definitive (42 posti distribuiti ad Aulla, Firenze e Volterra). Di sinistra ma mica "matti" Insomma di definitivo non c'è molto perché "tutto è stato deciso a ridosso della scadenza", come fa notare Cesare Bondioli, responsabile nazionale di Psichiatria Democratica: "La realtà è ben lontana dai toni trionfalistici che annunciavano il primato toscano nel superamento degli Opg". Il motivo? "L'insipienza - secondo Bandioli - della Regione a governare e a cogliere una scadenza epocale, pari alla chiusura dei manicomi: non c'è stato un sufficiente e sistematico coinvolgimento dei Dipartimenti di salute mentale (Dsm) e neppure un scambio sufficiente tra Regione e magistratura, come invece è avvenuto in Emilia Romagna (unica, insieme a Campania, Calabria e Friuli a poter rispettare le scadenze senza ricorrere al privato, ndr)". Ma c'è anche un territorio che, contrariamente a quanto ci si potesse aspettare dalla "rossa" Toscana, "è stato respingente": a San Miniato, per esempio, ma anche in molti altri comuni, i sindaci - di sinistra - sono scesi sulle barricate per scongiurare il trasferimento dei "matti" sui loro territori. "La collettività - ragiona Antonella Tuoni - non è sufficientemente matura, non solo per affrontare il problema del disagio mentale abbinato alla commissione di reati ma anche sulla limitazione della libertà personale". Ne è la prova il grosso polverone mediatico alzato dalla notizia divulgata qualche giorno fa di un internato di Montelupo "fuggito" durante una licenza, "cosa che avviene in continuazione, senza alcun problema, visto che stanno testando l'ultima fase di reinserimento", spiega Tuoni. L'uomo, per la cronaca, è già tornato in cella, ma sorride dietro le sbarre chiuse per punizione (le altre sono aperte, quasi tutte, dalle 8 alle 18). E pensare che il primo passo per il superamento degli Opg, stabilito anche dalla legge Marino, è la presa in carico di ciascun internato da parte del Dsm di appartenenza che dovrebbe approntare piani terapeutici e percorsi di reinserimento personalizzati nel territorio di residenza. Secondo una ricerca promossa da Franco Corleone, garante regionale dei detenuti della Toscana, e dall'associazione di volontariato penitenziario Onlus di Firenze che ha descritto il "quadro della popolazione internata nell'Opg di Montelupo Fiorentino", l'eccessivo ricorso alla proroga delle misure di sicurezza - che ha portato in passato al paradosso di vedere costretti al cosiddetto "ergastolo bianco" persone con piccole condanne alle spalle - è dovuto soprattutto alla "assenza di progetti di dimissione" e al "fallimento delle licenze finali di esperimento". "Il problema - dice Corleone - è che è sempre stata posta la domanda sbagliata: "Dove li mettiamo?" invece di "quali progetti abbiamo per loro?". No, non è la 180 ma… Lo raccontano bene gli internati di Montelupo: "Negli Opg, nelle comunità o anche quando sei libero e seguito dai Dsm, il programma terapeutico non lo fanno mai insieme a noi. Difficile dunque che funzioni", racconta Bruno che viene da San Remo e nell'Opg fa lo scopino per 154 euro al mese ma poi ne deve restituire 50 per il mantenimento, come tutti i carcerati. Silvio annuisce, lui è in regime di custodia attenuata e può lavorare anche all'esterno, come Silvano che proviene dal carcere di Sollicciano. In media, solo il 21% dei reclusi di Montelupo ha un'occupazione interna retribuita. Alessandro, che viene dalla Liguria ed è vicino alla libertà, ha "iniziato un percorso di psicoterapia" perché non si accontentava degli incontri sporadici con lo psicologo dell'Opg: "Ce ne sono troppo pochi - dice - è normale che diano più attenzione a chi ne ha più bisogno". Per Danilo invece la ripresa è più difficile: è di Cagliari e l'ultima volta che ha visto la sua famiglia, a Natale, "mi sono messo a piangere". Ed è pure fortunato, perché non fa parte di quel 30% di internati che non riceve mai visite dai familiari. Una percentuale simile è quella degli internati che ha alle spalle anche una storia di tossicodipendenza, come Mirko, ventitreenne di Olbia che da sei anni entra ed esce dagli Opg ma rimpiange la comunità "dove lavoravo e c'era un progetto di reinserimento sociale". Ma anche dentro l'Opg il personale sanitario e socio-sanitario "non è assolutamente parametrato alle esigenze", affermano la direttrice e il comandante Massimo Mencaroni, che dirige il personale penitenziario (77 agenti e una decina di civili). "Come si fa con sette psichiatri, tre psicologi affiancati da uno del Sert per 11 ore settimanali, tre operatori della riabilitazione e due operatori socioassistenziali a fare una politica orientata al reinserimento? Domenica scorsa - raccontano - nel pomeriggio non c'era nessun operatore addetto alla cura degli internati". Tuoni ricorda però che quando arrivò nel 2011 la struttura "era in condizione pietose". L'allora senatore Ignazio Marino realizzò il suo video-denuncia dentro la sezione "Ambrogiana", chiusa successivamente quando già erano stati appaltati i lavori di ristrutturazione. In quegli anni, un incendio si sviluppò su un'intera ala, oggi in ristrutturazione, partito da alcune celle "imbottite" di materiale che risultò niente affatto ignifugo. "Celle utilizzate per contenere persone particolarmente agitate, ma inutili perché avevano letti e porte di ferro che certo non scongiuravano la possibilità di atti di autolesionismo", racconta Franco Scarpa, direttore della struttura "fino al 2008", attualmente responsabile sanitario. C'erano anche tre letti di contenzione, ma "l'Opg era inadeguato alla riabilitazione degli internati allora come lo è adesso - afferma Scarpa - soprattutto per la scarsità di risorse. Perché la logica manicomiale non sta tanto nelle mura quanto nella mancanza di prospettive". "Nonostante ci abbiano fatto passare per cattivi - aggiunge - sono molto contento che con Marino sia arrivata per la prima volta una commissione di medici e non di poliziotti, e che si sia poi deciso di chiudere gli Opg". Oggi dice, "c'è un grande fermento e anche una grande pressione sulle nostre spalle", quasi come quando a liberare i "matti" arrivò la legge Basaglia. "Meno male però che c'è questo faro acceso - conclude Scarpa - ho solo paura di quando i riflettori si spegneranno". Giustizia: Sott. De Filippo; chiusura Opg, soluzioni transitorie per rispettare la scadenza www.ilfarmacistaonline.it, 14 marzo 2015 Così il Sottosegretario alla Salute è intervenuto ieri in commissione Affari Sociali per rispondere a 3 interrogazioni presentate da Paolo Beni (Pd) e Marisa Nicchi (Sel). Vista l'urgenza della questione, De Filippo ha anche palesato il rischio di "commissariamento delle Amministrazioni che non presenteranno l'elenco delle Rems individuate sul territorio di competenza". Il prossimo 31 marzo scade il termine previsto per il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari in favore delle nuove Rems. Per completare la realizzazione delle nuove strutture residenziali sanitarie, tenuto conto dei progetti predisposti dalle Regioni, il Comitato per il superamento degli Opg ha valutato che si sarebbero "ampiamente superati" i termini previsti per legge. "Pertanto si è convenuto sulla assoluta necessità di individuare, con urgenza, soluzioni residenziali transitorie, in strutture da identificare ed allestire in tempi contenuti, per garantire il rispetto della scadenza temporale fissata dalla legge". Così, il sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo, ha risposto ieri in commissione Affari Sociali alla Camera, ha 3 interrogazioni sullo stato di attuazione della legge sul superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari, presentate da Paolo Beni (Pd) e Marisa Nicchi (Sel). Questo il testo della risposta di De Filippo. "Rispondo in maniera congiunta alle interrogazioni parlamentari in esame, stante l'analogia dei quesiti formulati rispetto alla tematica degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Come previsto dal decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52, convertito dalla legge 30 maggio 2014, n. 81, con decreto del Ministro della salute del 26 giugno 2014, è stato istituito presso il Ministero l'Organismo di Coordinamento del processo di superamento degli OPG, da me presieduto. Tale Organismo si è insediato il 2 ottobre 2014 dopo le designazioni delle Regioni e si è successivamente riunito presso il Ministero della salute nelle date del 29 ottobre, 9 dicembre 2014 e, quindi, con cadenza settimanale, nelle date del 15, 22 e 28 gennaio, 5, 12, 19 e 26 febbraio, 5 marzo e si riunirà anche oggi, 12 marzo 2015. Parallelamente, al fine di monitorare con maggiore continuità e intensità le azioni messe in atto dalle Regioni, per rispettare la prevista scadenza del 31 marzo 2015, si sono svolte diverse riunioni di confronto, con gli Assessori alla Salute delle Regioni, e di natura tecnica con la partecipazione di esperti e di dirigenti delle Amministrazioni coinvolte, per verificare puntualmente i problemi ostativi al rispetto delle scadenze previste dalla legge. Alle riunioni dell'Organismo hanno sempre partecipato i dirigenti del Ministero della giustizia e del DAP che hanno assicurato la massima collaborazione per il conseguimento dell'obiettivo nei termini previsti dalla legge e nella redazione delle relazioni al Parlamento: al riguardo segnalo che la seconda relazione trimestrale, contenente i dati e le iniziative attuate aggiornate fine anno 2014 è stata consegnata ai Presidenti delle Camere da alcune settimane. Stiamo elaborando la terza che verrà consegnata entro fine mese. Ho voluto dare memore del dibattito parlamentare massima priorità a una questione che ritengo fondamentale per l'azione politica e per consentire con il pieno impegno del Ministero il più celere superamento dei problemi di natura amministrativa che possono ritardare il rispetto delle scadenze previste dalla legge. Ho invitato alle riunioni dell'organismo da me presieduto di volta in volta i rappresentanti della magistratura di sorveglianza, del Ministero dell'economia e del Ministero dell'interno, quindi le amministrazioni coinvolte nell'effettiva applicazione della legge, in più le amministrazioni coinvolte nell'effettiva erogazione dei finanziamenti in conto capitale necessari alle regioni per effettuare la realizzazione delle strutture e dei finanziamenti di parte corrente per il personale che dovrà assistere gli internati considerati dimissibili, l'amministrazione che dovrà coordinare tramite le prefetture la sorveglianza esterna delle REMS. I nodi cruciali per il raggiungimento dell'obiettivo sono di due tipi: la dimissione dei soggetti internati ma dichiarati dimissibili e la loro conseguente presa in carico da parte dei dipartimenti di salute mentale delle Regioni di residenza; l'accoglienza e l'assistenza dei soggetti dichiarati non dimissibili, in strutture residenziali appropriate (Rems), conformi ai requisiti definiti con il decreto ministeriale 1° ottobre 2012. Con riguardo alla prima problematica, le Regioni hanno effettivamente trasmesso al Ministero della salute, entro i termini previsti, i percorsi terapeutico-riabilitativi individuali di dimissioni delle persone ricoverate negli Opg, e, con il costante monitoraggio messo in atto si è potuto anche constatare la progressiva diminuzione nel tempo dei pazienti in carico presso gli Opg. Tale diminuzione non può essere attribuita ad una riduzione degli ingressi (che anzi risultano aumentati), a seguito dell'applicazione dei più restrittivi criteri fissati dalla legge, bensì al potenziamento dell'attività dei Servizi territoriali per la salute mentale, che ha favorito e accelerato il numero delle dimissioni e l'avvio di programmi di trattamento, sia in regime ambulatoriale che residenziale. A questo processo ha contribuito anche la prescrizione normativa che considera il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, quale obiettivo tra quelli valutabili dal Comitato per l'effettiva erogazione dei Livelli essenziali di assistenza, ai fini dell'erogazione della quota premiale del Fondo Sanitario Nazionale prevista dalla legge. Per quanto riguarda il trasferimento degli internati destinatari di una misura di sicurezza detentiva, e socialmente pericolosi presso le strutture a totale gestione sanitaria alternative agli Opg, l'Organismo di coordinamento delle Amministrazioni centrali e Regionali ha valutato che, per completare la realizzazione delle nuove strutture residenziali sanitarie per l'esecuzione della misura di sicurezza, tenuto conto dei progetti a suo tempo predisposti dalle Regioni, valutati e autorizzati dal Ministero della salute con propri decreti, e successivamente rimodulati in base alle nuove esigenze riscontrate, si sarebbero comunque ampiamente superati i termini previsti per legge. Pertanto, al fine di fronteggiare la complessa situazione descritta, il Comitato ha convenuto sulla assoluta necessità di individuare, con urgenza, soluzioni residenziali ‘transitoriè, in strutture da identificare ed allestire in tempi contenuti, per garantire il rispetto della scadenza temporale fissata dalla legge, assicurando, comunque, i necessari ed appropriati interventi terapeutico-riabilitativi in favore dei soggetti ospitati. Per rendere realizzabile la decisione assunta, l'Organismo di coordinamento sta lavorando a tappe forzate e con la massima celerità, in stretto raccordo con le Regioni, e il Ministero della giustizia, anche al fine di risolvere positivamente alcuni aspetti procedurali e il necessario coordinamento tra la normativa sanitaria e quella relativa all'Amministrazione Penitenziaria. Colgo l'occasione per comunicare che quasi tutte le Regioni hanno già pianificato l'individuazione e l'attivazione delle strutture transitorie di cura con i requisiti di sicurezza, tali strutture sono idonee ad accogliere i pazienti che provengono dagli Opg e gli eventuali nuovi ingressi, entro i termini previsti, fermo restando il proseguimento del programma parallelo di realizzazione delle strutture definitive. Alla data del 27 febbraio 2015 gli internati presenti nei sei Opg operanti nel territorio nazionali sono esattamente 700, 628 uomini e 72 donne. Tra questi 642 persone sono residenti nelle 19 regioni e 2 PP.AA., 58 invece risultano senza fissa dimora. Concludo precisando che in data 5 marzo 2015, ho trasmesso una nota a tutti gli Assessorati per la convocazione, proprio per oggi alle ore 16.00, di una ulteriore riunione dell'Organismo di coordinamento per il superamento degli Opg. Tale riunione avrà ad oggetto la presa d'atto dell'individuazione, da parte di tutte le Regioni e Province Autonome, delle Rems nell'ambito territoriale di appartenenza, anche ai fini della comunicazione al Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria entro il 15 marzo 2015. È stata mia cura segnalare alle Regioni l'urgenza e la rilevanza della questione, che potrebbe condurre al Commissariamento delle Amministrazioni che non presenteranno l'elenco delle Rems individuate sul territorio di competenza". Giustizia: Sottosegretario Ferri; risparmio energetico per carceri e tribunali tema centrale Ansa, 14 marzo 2015 "Il risparmio energetico è un tema centrale per il ministero della Giustizia. Stiamo lavorando a una politica energetica diversa per i nostri palazzi, per le carceri e i tribunali. Stiamo valutando come risparmiare". Lo ha detto il sottosegretario al ministero della Giustizia Cosimo Maria Ferri intervenendo al convegno "Nuove strategie e tecnologie per la produzione di energia", organizzato dal movimento ecologista Fare Ambiente in collaborazione con Enel. Tema centrale del convegno, l'educazione energetica e più in generale ambientale, con l'annuncio di Fare Ambiente Academy, un progetto per sostenere la formazione sull'ambiente nelle scuole in vista dell'ingresso di questa materia, come obbligatoria, nelle aule. Accanto a ciò, ha sottolineato il presidente di Fare Ambiente Vincenzo Pepe, occorre informare i cittadini, che spesso di fronte a una bolletta sono impreparati: "Dobbiamo sapere da dove viene l'energia che usiamo, come viene prodotta e quali rischi comporta per la salute, in modo da poter scegliere". Nel 2014 circa un terzo dei consumi italiani è stato soddisfatto con energia da fonti rinnovabili, ha spiegato Stefano Tosi, responsabile normativa di settore di Terna. Anche per questo "l'Italia ha bisogno di elettrodotti", per portare l'energia pulita dal Sud, dove è maggiore la produzione, al Centro-Nord, dove è maggiore il consumo. I consumi, intanto, continuano a calare. Nel gennaio scorso, secondo il Gse, sono scesi dell'1,1% dopo il -3% del 2013. Il calo pone un problema di over-capacity degli impianti ed è in parte legato alla crisi. Tuttavia, ha evidenziato Luca Marchisio, responsabile sostenibilità di Enel, "nelle famiglie e nelle Pmi la riduzione dei consumi è imputabile principalmente all'efficientamento energetico, dagli elettrodomestici alle lampadine". Quel che pare certo è che "non torneremo ai consumi energetici pre-crisi", ha aggiunto il Ceo di Energetic Source Carlo Bagnasco, denunciando un'annosa mancanza, nel Paese, di una strategia e di una pianificazione energetica. Giustizia: riammessi in servizio agenti sospesi per commenti Facebook su morte detenuto Ansa, 14 marzo 2015 Sono stati riammessi in servizio i 16 agenti di Polizia penitenziaria che erano stati sospesi immediatamente per aver postato commenti e insulti su Facebook su un detenuto suicida. Sei di loro sono tornati in servizio nei giorni scorsi, gli ultimi 10 oggi. Nei loro confronti resta comunque aperto il procedimento disciplinare. Sulla pagina Facebook di un sindacato del tutto minoritario a metà febbraio scorso qualcuno ha pubblicato la notizia del suicidio nel carcere di Opera di Ioan Gabriel Barbuta, 39 anni, condannato all'ergastolo per omicidio. I commenti alla notizia contenevano insulti e felicitazioni indegne del corpo. Questo il tenore dei commenti che hanno portato la sospensione. "Meno uno". "A me dispiace per i colleghi che si suicidano per soggetti come questo. Per lui no!", e ancora "chi se ne frega?", "uno de meno che lo stato non ha da magna…". A chi faceva notare che i commenti erano fuori luogo la risposta era chiara: "Lavora all'interno di un istituto. Sono solo extracomunitari. Per fare questo mestiere devi avere il core nero". Giustizia: caso Yara; Bossetti resta in carcere "Dna nucleare rimane un grave indizio" Il Giorno, 14 marzo 2015 Ennesima istanza di scarcerazione respinta dai giudici del Riesame di Brescia per Massimo Bossetti, detenuto dal giugno scorso per l'omicidio di Yara Gambirasio. In carcere da giugno scorso, Massimo Giuseppe Bossetti dovrà restarvi secondo il tribunale del Riesame di Brescia: i giudici hanno respinto l'ennesima istanza di scarcerazione presentata dalla difesa del carpentiere di Mapello accusato di aver ucciso Yara Gambirasio. A Palazzo di Giustizia a Brescia era presente l'avvocato di Bossetti, Claudio Salvagni, che martedì aveva discusso la richiesta di scarcerazione per l'assistito. Il legale aveva puntato l'attenzione su presunte discrepanze tra l'esito degli accertamenti sul Dna mitocondriale (che non riconduceva all'indagato) e l'esito delle analisi sul Dna nucleare che, invece, secondo le consulenze della Procura, è certamente di Bossetti. Con questa decisione è la quinta volta che Bossetti si vede negare la scarcerazione: due volte dal gip di Bergamo, altrettante dal Riesame di Brescia e, in un'occasione, dalla corte di Cassazione. La mancata corrispondenza tra il Dna mitocondriale trovato sul corpo di Yara Gambirasio, che non risulta essere di Massimo Bossetti, e quello nucleare, certamente del muratore, "non è dirimente e non scalfisce l'estrema rilevanza e significatività dell'indizio grave", appunto il Dna nucleare. Lo scrive il Riesame negando la scarcerazione a Bossetti. Giustizia: senzatetto creduto morto a Milano in realtà è vivo… ed è in carcere a Sanremo di Kati Irrente www.nanopress.it, 14 marzo 2015 Una storia incedibile, raccontata dal settimanale Giallo, che lascia molte domande senza risposta. Lo scorso 12 gennaio 2013 in via Brera, a Milano, fu trovato il cadavere di un uomo, un senzatetto che non aveva documenti di riconoscimento addosso. La polizia locale si mette ad indagare e lo identifica come Alviero Polacco, nato a Vevey in Svizzera il 18 giugno 1945. La polizia locale informa la Asl, viene certificata il decesso anche da parte del Comune. La prassi vuole che qualcuno riconosca il cadavere. Viene chiamato Roberto Polacco, fratello sessantenne di Alviero, che si reca in obitorio. Anche se i due fratelli non si vedono da dieci anni, Roberto Polacco, forse trascinato dalla suggestione, riconosce, in quegli occhi azzurri del cadavere, quelli di suo fratello, che da tempo aveva fatto perdere ogni traccia, e probabilmente viveva da vagabondo "come uno sbandato per la strada". Il corpo del morto viene quindi consegnato alla famiglia, che essendo ebrea decide di seppellirlo con rito religioso. Il rabbino si accorge che il cadavere non presenta la circoncisione. Il fratello Roberto spiega il fatto ritenendo probabile che i genitori, profughi ebrei fuggiti dall'Italia, non abbiano avuto il tempo di fare l'operazione. Il corpo viene allora circonciso e sepolto. Ad un certo punto però, dal carcere di Sanremo parte un telegramma per Roberto in cui si chiede di aggiornare la situazione pensionistica del fratello. Che è vivo e detenuto per furto e ricettazione di opere d'arte. Ora sarà forse la magistratura a chiarire quando e come sia avvenuto l'errore nell'identificazione. "Abbiamo fatto formale richiesta di accesso agli atti, per capire come una cosa tanto grave sia potuta succedere - dice Domenico Musicco, legale di Roberto Polacco - non escludiamo poi di rifarci, in sede penale o civile, nei confronti del Comune. Il mio assistito ha subito un grave danno morale. È stato erroneamente portato a pensare per due anni che il fratello fosse deceduto". Rimane un quesito: chi è stato seppellito nel cimitero ebraico al posto di Alviero? Lettere: quando il lavoro in carcere restituisce la dignità di Elisabetta Ponzone Vita, 14 marzo 2015 L'altra sera al Pime a Milano ho conosciuto Gemma Capra, vedova del commissario Calabresi, ucciso il 17 maggio 1972. È stata una serata bellissima, ho pianto per la commozione. La signora Gemma (che nome bellissimo), con la brava Anna Pozzi del Pime, ha raccontato al pubblico la sua fede e la sua scelta di vivere la vita con gioia. Nonostante la tragedia. Allora aveva 25 anni, due figli e uno nella pancia. Era mattina, suo marito era sotto casa. È stato freddato con due colpi davanti al suo portone. Non è più tornato in famiglia dai lei e dai suoi figli. La moglie si è seduta sul divano e dice di aver riconosciuto, in quel momento del dolore, la fede. "Ho sentito che Gesù era con me" ha detto. Da allora ha abbracciato la vita e abbandonato il rancore. Io non ce l'avrei fatta. Lei invece ha anche perdonato. Mi ha colpito molto quando ha ricordato di quando in tribunale ha visto Sofri accarezzare suo figlio chiedendogli di andare via, di non rimanere in quell'aula. "In quel momento - ha detto Gemma - ho riconosciuto anche in Adriano Sofri il suo essere padre, preoccupato che il figlio non sentisse cose troppo brutte. Ho riconosciuto in lui un "pezzetto" di me". Che donna! In quel momento ho ricordato quando Mario, Gabriele, Pino e tutti gli altri ragazzi dentro, in carcere, mi hanno raccontato, con una delicatezza assolutamente inaspettata, dei loro figli. Mi sono ricordata di quanto fossero preoccupati di offrire un futuro migliore ai loro ragazzi. Alla fine non c'è tanta differenza tra padri dentro e fuori. Gemma ha poi raccontato anche il suo stupore di quando, durante una visita nel carcere di Padova, tre detenuti le hanno spiegato di quanto fosse importante il lavoro che stavano svolgendo all'interno dell'istituto penitenziario e di quanto ne fossero felici. È da troppo tempo che non scrivo qualcosa qui su Vita. È stato un periodo tanto, tanto pieno di lavoro, di fatica, ma nello stesso tempo di grande soddisfazione. Abbiamo lavorato molto nel laboratorio di sartoria Borseggi nel carcere di Milano-Opera. I ragazzi dentro hanno fatto delle cose bellissime. A volte sono tornati a fine giornata in cella stanchi morti, ma sempre così orgogliosi e felici del loro lavoro. Sono davvero contenta che una donna come la vedova Calabresi abbia nel cuore l'importanza del lavoro in carcere. PS: per vedere i frutti del lavoro dei nostri ragazzi, dal 13 al 15 marzo, siamo alla fiera di Milano "Fa la cosa giusta!", padiglione 4, settore "economia carceraria". Sicilia: 409 donne detenute. Il Provveditore regionale "sezioni femminili non adeguate" Ansa, 14 marzo 2015 "Sono 112 le donne adulte detenute in Sicilia di cui sette per associazione mafiosa. Le altre sono state condannate per reati diffusi come maltrattamenti, omicidi o furti. Il 37% è di nazionalità straniera. Queste donne vengono inserite in carceri maschili dove, successivamente, sono state attivate delle sezioni femminili". Lo ha spiegato Maurizio Veneziano, provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria, durante il convegno "Quando mogli, madri e figlie incrociano il carcere", inserito tra le iniziative promosse dal Comune per il ‘Mese delle donnè. "Quindi le strutture non sono pensate per loro - ha aggiunto - avendo un sistema di sorveglianza e uno stile di detenzione più adatta all'uomo. Noi siamo disposti a lavorare per dare un carcere dignitoso, ma dobbiamo segnalare la mancanza di partecipazione e di interesse da parte degli enti locali. Cosa che oggi, con questo convegno, pare voler cambiare". "Nelle carceri minorili, invece, sono 297 le ragazze detenute, 97 per reati contro il patrimonio, 136 per reati contro la famiglia e la persona e 17 per reati contro le istituzioni - ha detto Angelo Meli, direttore centro per la giustizia minorile di Palermo - con un'incidenza complessiva, sul dato nazionale, dell'11%". Friuli Venezia Giulia: pronto piano di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari Dire, 14 marzo 2015 Su proposta dell'assessore alla salute, Maria Sandra Telesca, la giunta della regione in Friuli Venezia Giulia ha definitivamente approvato il programma regionale per la realizzazione di strutture sanitarie finalizzate a consentire il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), che a livello nazionale è stato fissato al 31 marzo 2015, come proprio ieri ha ribadito il ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin. Gli ospedali psichiatrici giudiziari sono istituti che a metà degli anni settanta hanno sostituito i vecchi manicomi criminali. Sono dunque strutture giudiziarie dipendenti dall'amministrazione penitenziaria del ministero della giustizia. In Italia ve ne sono sei (nessuna in Friuli Venezia Giulia); accolgono complessivamente circa 1.500 Detenuti. Anche a causa del loro degrado e della carenza di quegli interventi di cura che avevano motivato l'internamento, nel 2012 ne era stata decisa la chiusura, prevedendo forme di accoglienza che garantissero scenari ottimali di cura, riabilitazione e inclusione sociale. I cittadini del Friuli Venezia Giulia con problemi di salute mentale autori di reato sono al momento otto, accolti negli Opg di Reggio Emilia e castiglione delle Stiviere. Il programma approvato oggi dalla giunta prevede di poter accogliere complessivamente fino a 10 persone, in tre diverse strutture regionali della rete dei servizi mentali: a Maniago, Udine e Duino Aurisina. Una scelta definita ideale per definire percorsi terapeutici individuali, in una logica di pertinenza territoriale. Complessivamente il programma sarà finanziato con 2.666.000 euro, di cui oltre 2,5 milioni a carico dello stato e 133.000 stanziati dalla regione. (Dire) Toscana: chiusura Opg; 500mila € per gli stipendi di chi lavorerà coi carcerati psichiatrici Il Tirreno, 14 marzo 2015 In vista del trasferimento dei pazienti psichiatrici autori di reato (al massimo saranno 12) che arriveranno a Volterra l'1 aprile dopo la chiusura dell'Opg di Montelupo Fiorentino l'Asl ha perfezionato i dettagli per l'assunzione di venti nuove figure professionale. Il costo di tale operazione, che decorre dall'1 aprile, sarà totalmente a carico della Regione Toscana. Il progetto presentato dall'Asl 5 avrà una durata triennale e per questo motivo i contratti di assunzione saranno a tempo determinato. In tutto verranno assunti sei educatori professionali, tre infermieri, uno psicologo, uno psichiatra e sei operatori socio sanitari. Inoltre, sarà assunto anche uno psichiatra per venti ore alla settimana. Solo per questo anno lo sforzo economico da parte della Regione per il reclutamento degli specialisti, che dovranno coprire i turni per 23 ore, sfiora il mezzo milione di euro. I pazienti saranno ospitati nel padiglione Morel in Borgo San Lazzero, in una porzione inutilizzata che si trova al piano terra. Stiamo parlando di 450 mq dove sono già presenti ambienti per la degenza, ad uso medico e i necessari locali accessori. La nuova struttura andrà a sostituirsi all'ex Opg soppresso, a partire dal 31 marzo, con la legge 81 del 30 maggio 2014. Volterra diventerà il punto di riferimento per l'intera Area vasta (quella del nord-ovest). I numeri. I lavori di adeguamento del padiglione Morel sono stati già quantificati: serviranno circa 65mila euro per sistemare i locali (si tratta di metterli a norma per poter ospitare autori di reati). Il cronoprogramma per l'attivazione della struttura prevede l'adeguamento dei locali entro il 20 marzo; l'assunzione e la formazione del personale entro il 31 marzo; la pianificazione del percorso e la predisposizione delle procedure e dei protocolli entro il 31 marzo; l'avvio del progetto residenziale invece dovrà essere, per forza di cose, l'1 aprile. Infatti, a quella data i pazienti di Montelupo dovranno aver lasciato l'ospedale psichiatrico giudiziale di Montelupo. Il progetto prevede anche che il padiglione Morel possa ospitare i pazienti dimissibili dalla Rems (Residenza per Esecuzione di misure di sicurezza) per cui è venuta meno la necessità della misura detentiva pur permanendo l'applicazione di misure di sicurezza ma anche i pazienti autori di reato provenienti dal territorio per i quali l'Autorità Giudiziaria dispone l'invio in struttura per trattamenti riabilitativi con misure di libertà vigilata attenuata ma non di tipo detentivo in alternativa al carcere o alla misura detentiva nella Rems. Messina: suicidio in carcere nel 2005; sentenza ribaltata in Appello, assolti due psichiatri di Rosario Pasciuto Gazzetta del Sud, 14 marzo 2015 La detenuta Giovanna Vinci morì nel 2005 dopo aver ingerito una dose eccessiva di farmaci. In primo grado erano stati condannati a dieci mesi di reclusione per omicidio colposo due psichiatri esterni alla casa circondariale di Gazzi. Oggi sono stati assolti. La Corte d'appello di Messina ha ribaltato la sentenza di primo grado nel processo per il suicidio nel carcere di Gazzi della detenuta Giovanna Vinci. La donna morì nel 2005 dopo aver ingerito una dose eccessiva di farmaci. Per questo decesso in primo grado erano stati condannati a dieci mesi di reclusione per omicidio colposo due psichiatri esterni al carcere Francesco Chimenz e Linda Di Blasi ed il direttore sanitario del carcere Carmelo Crisicelli. Oggi la Corte di Appello ha assolto per non avere commesso il fatto Chimenz e Di Blasi (assistiti dagli avvocati Candido e Camaioni) e ha dichiarato la prescrizione per Crisicelli (avv. La Manna) nei cui confronti ha mantenuto la condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile. Il Procuratore Generale Ada Vitanza aveva chiesto per tutti la prescrizione e la condanna al risarcimento dei danni. Secondo l'accusa iniziale i dottori Chimenz e Di Blasi, che avevano sottoposto a visita Giovanna Vinci poco prima che si suicidasse, non prescrissero la misura di sorveglianza per la donna che solo poco tempo prima aveva già tentato il suicidio ingerendo dei farmaci. Il dottor Crisicelli era accusato di non aver chiesto alla direzione della casa circondariale l'applicazione della sorveglianza a vista della Vinci, unico sistema per impedire il suicidio. Palermo: presto il Garante comunale per i diritti persone private della libertà personale Ansa, 14 marzo 2015 "Presente già in alcune tra le più grandi città italiane, il Garante comunale per i diritti delle persone private della libertà personale potrà essere istituito anche a Palermo, facendo del capoluogo siciliano la terza città della Regione che compie un passo in avanti per i diritti dei carcerati e per rimediare alla sanzione emanata dalla Corte europea per i diritti dell'uomo. La mozione è stata già presentata al Comune di Palermo e presto verrà discussa in aula". L'ha annunciato Giusi Scafidi, presidente della commissione Politiche sociali, durante il convegno "Quando mogli, madri e figlie incrociano il carcere", inserito tra le iniziative promosse dal Comune per il "Mese delle donne". "Istituire anche a Palermo una figura come quella del Garante (già presente a Bologna, Firenze, Verona e Venezia) permetterebbe alla nostra città di rifarsi dalla pesante sanzione ricevuta dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - spiega la promotrice della mozione -. Nella sanzione dell'8 gennaio 2013, infatti, la Corte condannava innanzi tutto l'Italia per le condizioni del suo sistema penitenziario, con standard minimi di vivibilità delle carceri, e segnalava l'assenza in Sicilia dei Garanti". Cagliari: Sdr; nel carcere di Uta ancora gravi deficit della sanità penitenziaria Ristretti Orizzonti, 14 marzo 2015 "La Sanità Penitenziaria, a quattro mesi dal trasferimento dei detenuti nel Villaggio di Cagliari-Uta, nell'area industriale di Macchiareddu, non è ancora in grado di dare adeguate risposte ai ristretti". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme", sottolineando che "l'organizzazione del lavoro e l'assenza di alcune strumentazioni rendono particolarmente difficile assicurare costantemente il diritto alla salute dietro le sbarre". "Nella nuova Casa Circondariale di Cagliari - osserva Caligaris - si presentano delle condizioni paradossali. Da un lato si sta provvedendo a dotare l'Istituto di una Tac (tomografia assiale computerizzata), dall'altro mancano i telefoni e i computer per poter comunicare direttamente all'esterno e con i Magistrati. Una situazione incredibile che ogni giorno mette a dura prova l'attività dei Medici, sprovvisti perfino di carta intestata. L'aspetto più preoccupante tuttavia è l'assenza della strumentazione per gli esami radiologici. I detenuti infatti non vengono sottoposti alle schermografie indispensabili per scongiurare infezioni polmonari incipienti o in atto". "Non si può del resto tacere sulle carenze nel Reparto femminile, dove non è stato previsto un centro clinico ma soltanto un'infermeria, e su un'organizzazione dove sono assenti gli operatori socio-sanitari, indispensabili per garantire il supporto ai detenuti ammalati. Ancora assente la figura del Farmacista previsto dalle linee-guida regionali. I detenuti inoltre non possono avere la continuità terapeutica in quanto l'elevato numero di Medici e di Infermieri e il loro continuo alternarsi secondo gli orari di servizio impediscono ai pazienti di avere - sostiene la presidente di SDR - referenti sanitari certi che possano seguire con continuità le problematiche della salute di ciascuno". "È quindi necessario rivedere l'organico limitando il numero di Medici e Infermieri e favorendo l'esclusività dell'incarico di ciascuno dotando l'Istituto di Oss e di tutti quegli strumenti diagnostici indispensabili. Tra l'altro si avvicina la scadenza del 31 marzo che vedrà la chiusura definitiva degli Opg e si profila il rischio che molti detenuti con disturbi psichiatrici gravi possano essere affidati al Centro Clinico in attesa che le Rems (Residenze Esecuzione Misura Sicurezza Sanitaria) diventino pienamente operative. Insomma - conclude Caligaris - ci sono urgenze che richiedono un immediato intervento dell'assessorato regionale della Sanità anche perché nell'Istituto perfino il defibrillatore è in prestito dal 118". Teramo: Di Nanna e Acerbo (Rc); sciopero della fame dei detenuti, intervenga la politica www.cityrumors.it, 14 marzo 2015 Uno sciopero della fame dei detenuti per protestare, in maniera pacifica, contro la decisione del direttore del Carcere di Castrogno di vietare l'introduzione dei cibi da parte dei familiari. Il presidente dell'associazione Amnistia Giustizia e Libertà dell'Abruzzo, Vincenzo Di Nanna e Maurizio Acerbo, di Rifondazione Comunista, invitano i parlamentari abruzzesi e i rappresentanti regionali ad occuparsi della vicenda e a recarsi nella casa circondariale teramana per affrontare anche tutti gli altri problemi che interessano la struttura. Sarebbero un'ottantina i detenuti che già da alcuni giorni starebbero, infatti, portando avanti questa severa forma di protesta. Detenuti che soffrono già, come sottolineano in una nota Di Nanna e Acerbo, "per le gravi carenze strutturali e il cronico problema del sovraffollamento". "Se le esigenze poste a base della contestata decisione sono di natura meramente igienica e organizzativa", dicono i due rappresentanti politici, "andrebbe allora verificata la possibilità di risolvere ogni questione in tempi brevi. Invitiamo i rappresentanti istituzionali, dalla Regione al parlamento, a occuparsi di questa vicenda, come più in generale dei gravi problemi determinati dall'inadeguatezza delle strutture carcerarie e a recarsi quindi presso la Casa Circondariale di Castrogno per incontrare i detenuti impegnati nella lotta nonviolenta, personale e, ovviamente, il direttore". Sassari: un giardino e un orto per le detenute di Bancali, grazie a un progetto del Rotary di Paoletta Farina La Nuova Sardegna, 14 marzo 2015 Libertà è anche un fiore. E per chi ne è privato, come le detenute del carcere di Bancali, poter piantare e vedere crescere una rosa rende più sopportabili quelle sbarre che le separano dal resto del mondo. Con questo obiettivo è nato il progetto "Incontrarsi nel verde e imparare a coltivare fiori e ortaggi", progetto voluto dal Rotary e sostenuto con entusiasmo dalla direttrice della casa circondariale Patrizia Incollu. Tre presidenti dei Club Rotary cittadini (Marisa Mele, Nico Pinna Parpaglia e Roberto Boiano), il Past Governatore Pier Giorgio Poddighe e il Governatore Carlo Noto La Diega, del Distretto Rotary 2080, che ha contribuito con una generosa sovvenzione, hanno dato il via a un'iniziativa che ha trovato ampio consenso tra le detenute che vi partecipano. Alle quali viene così offerta la possibilità di specializzarsi nel giardinaggio e acquisire competenze eventualmente spendibili nel mercato del lavoro. È una squadra tutta rosa quella che dallo scorso ottobre sta pian piano vedendo crescere il verde in un ampio cortile del penitenziario. Oltre alle ospiti della sezione femminile, ovviamente, che sono le principali protagoniste, ci sono le educatrici Maria Paola Soru, capo dell'area trattamentale, e Rosanna Roggio, e l'agronoma Marinetta Marras che si è messa a disposizione per dare lezioni di botanica e seguire sul campo il lavoro. Sempre lei ha regalato, oltre il suo tempo, il progetto complessivo che vedrà in prospettiva il radicale cambiamento dell'area prescelta. Un vivaio, un orto, e "il Giardino degli incontri, "quest'ultimo finanziato con fondi del Banco di Sardegna - afferma la direttrice del carcere Patrizia Incollu - e che consentirà di far incontrare i detenuti con i loro familiari all'aperto e in un ambiente accogliente". Piante e fiori, un gazebo, un pergolato, anche il gioco del tris sulla pavimentazione a mattonelle, perché in carcere purtroppo, capita che ci siano, a volte, anche bambini, figli delle detenute, che hanno bisogno di uscire dalle mura e divertirsi. È una giornata ventosa e fredda, ma soleggiata, e cinque donne con salopette e scarponi, spostano vasi e li circondano di pietre perché il vento non li rovesci. "Siamo più che contente di fare le giardiniere - scherza una giovane e bella detenuta. È una bellissima opportunità che ci è stata offerta e se vogliamo dire la verità fino in fondo, ci piacerebbe poter lavorare tutti i giorni". L'impegno, infatti, è limitato a due ore settimanali, e la giornata di giardinaggio è talmente attesa che, raccontano, più di una detenuta avrebbe rinunciato volentieri al permesso ottenuto in coincidenza, pur di non perdere l'occasione. "È un'esperienza emozionante anche per me", aggiunge l'agronoma Marras che loda le sue "alunne" per la tenacia e le capacità. "Non solo, il lavoro di gruppo è stato anche fonte di scambi "etnici" - racconta Maria Paola Soru. Nel senso che le detenute straniere e quelle italiane si scambiano le informazioni su come piantare o coltivare, secondo le tradizioni del loro Paese". Il progetto finirà a maggio ma non finisce comunque. "Perché l'obiettivo è utilizzarlo nell'ottica dell'autofinanziamento - spiega Marisa Mele, presidente del Rotary Club Sassari Silki. Già a Natale sono state confezionate per beneficenza le piante cresciute qui. abbiamo l'intenzione di proporre i prodotti di "Libertà in Fiore", come abbiamo battezzato il gruppo, in mercati e altri eventi". Savona: all'Expò la Coop Articolo 27 "pena rieducativa con la produzione di serramenti" www.savonanews.it, 14 marzo 2015 L'architetto Mallarino: "Articolo 27 prende nome dall'omonimo articolo della Costituzione italiana che dice che la pena detentiva deve essere rieducativa e non afflittiva. Infatti la cooperativa ha un laboratorio all'interno del carcere di Sanremo per il confezionamento e la produzione di serramenti in PVC" Dare opportunità di lavoro a soggetti in svantaggio sociale in particolare ai carcerati. Questo l'obiettivo della Cooperativa sociale Articolo 27 che produce serramenti come finestre in PVC, persiane e scuri in Fibex. La Cooperativa è presente quest'anno all'Expò di Savona per mostrare i suoi prodotti e i fini sociali che persegue. "Articolo 27 prende nome dall'omonimo articolo della Costituzione italiana che dice che la pena detentiva deve essere rieducativa e non afflittiva - afferma Giorgio Mallarino, architetto - Infatti la cooperativa ha un laboratorio all'interno del carcere di Sanremo per il confezionamento e la produzione di serramenti in pvc. A lavorare sono i detenuti che seguono un corso di qualificazione professionale e di rieducazione personale". "Siamo qui all'Expò di Savona perché lavoriamo e ci poniamo sul mercato per soddisfare la clientela civile e privata con un prodotto di alta qualità e un prezzo ottimo - afferma - l'impegno è anche sociale perché l'obiettivo è dare opportunità di lavoro a soggetti svantaggiati (in carcere) e a soggetti a fine pena. Forte è l'impegno con il Comune di Savona nel progetto Perseo rivolta a soggetti in svantaggio sociale. Parma: "il valore della libertà", 25 ragazzi si confrontano con il carcere www.parmatoday.it, 14 marzo 2015 Lo scorso week end, 7-8 Marzo, in tutta Italia si sono tenute le Officine Rover, eventi a partecipazione individuale promosse dall'associazione scout laica Cngei. Quest'anno, la sezione Cngei di Parma, non solo ha partecipato iscrivendo i suoi ragazzi, ma ha ospitato una base in città: Parmatraz. Ma facciamo un passo indietro, chi sono i rover e cosa si fa alle Officine? I rover sono ragazzi in età compresa tra 16 e 19 anni che durante questo tipo di iniziative hanno l'occasione di scegliere e approfondire temi da loro sentiti. Per un adolescente partecipare ad un' Officina significa vivere un momento di crescita personale e di confronto con associazioni e realtà presenti sul territorio ospitante. La sezione di Parma ha scelto come tema la vita del carcere e il reinserimento sociale delle persone detenute, organizzando attività, giochi e dibattiti che hanno coinvolto 25 ragazzi provenienti da diverse città italiane vicine e lontane. Nella giornata di sabato 7 sono state ascoltate le testimonianze della cooperativa sociale Sirio, che con grande disponibilità ha risposto alle domande dei ragazzi sulla vita e i progetti culturali condotti presso gli Istituti Penitenziari di Parma. Hanno partecipato al dibattito Giuseppe La Pietra, responsabile delle risorse umane e area formazione di Sirio, il prof. Mario Ponzi e la psicologa Silvia Moruzzi, che collaborano con la Sirio per i progetti didattici con le scuole, con le persone detenute e insieme hanno realizzato il cortometraggio "Fuga d'affetto", lasciato alla visione dei ragazzi. Un momento toccante e di grande riflessione per i ragazzi, è stato il confronto con Michele (nome di fantasia), detenuto in semi libertà che lavora alla Sirio, recluso a Parma da 20 anni, che ha raccontato la propria esperienza personale, il suo rapporto con la libertà, la famiglia, il lavoro dedicando importanti ore del suo tempo libero - limitato - prima del rientro serale nelle nostre carceri. In ultimo la testimonianza di Antonio, un detenuto di quelli "ostativi", che non accedono ai benefici, alle misure alternative previste dalla legge. Una lettera scritta per i ragazzi e letta da Giuseppe, un commovente inno alla vita, alla ricerca della felicità e al valore della libertà. La sera e nella giornata di domenica 8 sono seguiti giochi di ruolo, approfondimenti su sentenze realmente eseguite, ideazione di spazi per il carcere progettati alla luce di ciò che è emerso durante i dibattiti. Due giorni intensi, trascorsi a confrontarsi con la legalità, la costituzione, sulla rieducazione detentiva e il ruolo della cooperazione sociale come luogo di inserimento socio lavorativo e di riscatto per la dignità di molte persone. Un laboratorio di idee, una vera e propria officina. Nelson Mandela scriveva "Si dice che non si conosce veramente una nazione finché non si sia stati nelle sue galere. Una nazione dovrebbe essere giudicata da come tratta non i cittadini più prestigiosi ma i cittadini più umili." È con questo spirito che sono stati salutati i 25 giovani scout, con la speranza che tornino a casa con qualche risposta in più, ma soprattutto con tante da domande da porsi e da porre. Cngei Parma ringrazia sentitamente tutti coloro che hanno reso possibile questa importante esperienza. Milano: un nuovo gruppo di studenti milanesi a Opera per incontrare i detenuti www.a-zeta.it, 14 marzo 2015 Dopo il notevole interesse suscitato in occasione di altre iniziative analoghe, altri 150 studenti milanesi incontreranno mercoledì 18 marzo gli studenti del carcere di Opera. L'iniziativa è voluta dalla Direzione insieme ai protagonisti del progetto "Leggere Libera-Mente". La giornata prevede la proiezione del docufilm "Levarsi la cispa dagli occhi", una testimonianza del potere della lettura e della scrittura nella vita delle persone, non solo detenute. Il progetto formativo è attivato all'interno del carcere di Milano-Opera da Cisproject-Leggere Libera-Mente, associazione che si occupa di promozione culturale con le persone detenute attraverso la biblioterapia, la scrittura creativa, poetica, autobiografica e giornalistica. Il docufilm, ricco di testimonianze toccanti che invitano alla riflessione su temi quali la mancanza della libertà e l'importanza della lettura e della scrittura come strumenti di "sopravvivenza", sarà anche un'occasione di dibattito al termine della proiezione. Le iniziative di incontro tra studenti e persone detenute rientrano nell'ambito di BookCity per le scuole del Comune di Milano. Un aspetto da sottolineare è la singolare opportunità di conoscenza reciproca offerta agli studenti reclusi e a quelli che frequentano le scuole di Milano. "I precedenti incontri organizzati a Opera sono stati una grande occasione di confronto tra due ‘mondì apparentemente lontani, che si sono però ritrovati vicini in alcune riflessioni e anche emozioni - dichiara Barbara Rossi presidente di Cisproject e fondatrice di Leggere-Libera-Mente - Per questo motivo riteniamo necessario proseguire con queste iniziative, che contribuiscono alla crescita degli studenti e aiutano il percorso intrapreso dalle persone detenute. Tutto questo è possibile grazie anche alla collaborazione con la Casa di Reclusione di Opera, che ne sostiene fin dall'inizio il valore". Chi volesse prenotarsi o avere maggiori informazioni può scrivere a: segreteria.organizzativallm@gmail.com. Il prossimo incontro di Cisproject- Leggere-Libera-Mente, si svolgerà mercoledì 13 maggio, sempre all'interno del carcere di Milano-Opera, e sarà un'occasione per discutere di un tema di grande attualità, che riguarda in modi diversi sempre più persone: l'autoreclusione. Ulteriori informazioni sono disponibili all'indirizzo www.leggereliberamente.it Firenze: oggi e domani un convegno sulla figura dello psicologo in carcere www.gonews.it, 14 marzo 2015 La figura e il ruolo dello psicologo in carcere come fondamento a tutela della salute dei detenuti, degli agenti e del personale che opera nelle strutture penitenziarie. Di fronte all'incremento esponenziale dei casi di suicidio e autolesionismo nelle carceri italiane, l'Ordine degli Psicologi della Toscana promuove il dialogo e il confronto sul tema con le istituzioni di riferimento per evidenziare criticità e sviluppare una piattaforma efficace per l'elaborazione di strategie che diano dignità tanto ai detenuti quanto agli operatori in un rapporto da costruire insieme. "Il ruolo dello psicologo in carcere: quale futuro?" questo il titolo del Convegno in programma sabato 14 e domenica 15 marzo a Firenze (Sala Conferenze dell'Ordine degli Psicologi della Toscana) promosso dal Gruppo di Lavoro di Psicologia Penitenziaria dell'Opt, istituito nel 2014 per rispondere ad alcune problematiche che colpiscono i professionisti operanti nel contesto inframurario nonché i detenuti. Il programma Molti gli esperti chiamati ad intervenire insieme ai rappresentanti istituzionali e dirigenti sanitari. Ad aprire i lavori il presidente dell'Ordine degli Psicologi della Toscana Lauro Mengheri e a coordinare gli interventi sarà il consigliere del gruppo di lavoro Psicologia Penitenziaria Ezio Benelli. La psicologia penitenziaria È una psicologia applicata a un contesto per sua natura rigido, all'interno del quale le esigenze di sicurezza sigillate da una pesante mole di norme giuridiche e burocratiche sfidano il principio fondamentale al quale si ispira il mandato deontologico dello psicologo: l'obbligo di lavorare per la promozione del benessere della persona. A fronte di tanti datori di lavoro e obiettivi professionali, ancora oggi lo psicologo in carcere non raggiunge una visibilità istituzionale ufficialmente riconosciuta: il singolo lavoratore si trova esposto a una composita realtà lavorativa, all'interno della quale pochi professionisti riescono a raggiungere una stabilità contrattuale lavorativa. Immigrazione: Rom e Sinti… fuori dal campo dell'emergenza di Luigi Manconi Il Manifesto, 14 marzo 2015 Superamento definitivo dei "campi nomadi" e fine della sciagurata stagione di politiche pubbliche che dal 2008 ha portato alla segregazione, nelle periferie delle città e nel tessuto sociale del paese, di migliaia di persone Rom. Questo è il contenuto di una risoluzione approvata dalla commissione tutela dei diritti umani del senato. Ovvero la richiesta urgente al governo di attuare l'insieme di misure e pratiche previste dalla Strategia nazionale d'inclusione di Rom, Sinti e Caminanti, varata ormai tre anni fa su sollecitazione dell'Ue. La risoluzione della commissione del senato ha il suo cuore nella sollecitazione ad abbandonare definitivamente quell'approccio emergenziale e assistenzialista che ha di fatto privato le comunità rom della possibilità di accedere al pieno godimento del sistema dei diritti, a partire dal mancato riconoscimento della loro dignità sociale. Sta proprio nel ricorso allo strumento dei campi l'esempio più bruciante dell'esistenza di un metodo, deliberato e sistematico, utilizzato in questi anni nei confronti di una minoranza. Un metodo fatalmente destinato a produrre una irresistibile spirale, dove la decisione pubblica di creare il ghetto ha determinato una tendenza all' auto-ghettizzazione da parte degli interessati, stigmatizzati e, allo stesso tempo, tentati dall'idea di fare di quel ghetto un presidio di identità e un perimetro chiuso da rivendicare e in cui esercitare una sorta di governo-domestico (anche illegale). E se all'esecutivo si chiede di dimostrare la volontà di affrontare una situazione drammatica, e assai complessa e delicata, adottando strumenti adeguati e risorse finanziarie sufficienti, a uno sforzo ancora più urgente sono chiamate le amministrazioni locali. Su queste ultime, infatti, grava la responsabilità di procedere materialmente al superamento dei campi, mettendo in atto percorsi di inclusione abitativa e sociale (soluzioni individuali o per insediamenti di dimensioni ridotte, sostegni per l'affitto, per la ristrutturazione e per l'autocostruzione). I centri visitati dalla Commissione per i diritti umani nel corso dell'indagine che ha prodotto la risoluzione, elaborata in particolare dalla senatrice Manuela Serra, hanno riportato immagini di degrado estremo, condizioni igieniche precarie, spazi asfittici, in un quadro generale di massima vulnerabilità. Come il campo di Giugliano, in Campania, allestito su una discarica, in completo abbandono e dove vivono centinaia di bambini. O come il "centro di raccolta" di via Visso a Roma, dal nome grottescamente enfatico di "Best House Rom": una serie di loculi privi di aria e di luce all'interno di un magazzino inutilizzato, lontani dall'assicurare condizioni di vita accettabili. Oggi, finalmente sembra manifestarsi qualche positiva novità. L'assessore alle politiche sociali di Roma, Francesca Danese, ha dichiarato il suo impegno a chiudere la struttura e a garantire agli abitanti di via Visso una sistemazione dignitosa e l'avvio di un percorso condiviso. E il sindaco Marino più volte ha ribadito di voler superare l'attuale sistema, che coinvolge circa ottomila persone. L'amministrazione comunale di Milano si muove in tale direzione dal 2013, con un piano concreto e ragionevole che si sviluppa attraverso una serie di azioni e interventi graduali, nel segno della legalità e del superamento dell'impostazione assistenzialista. E si hanno i primi piccoli risultati. Come si vede, ci si muove in una prospettiva di radicale mutamento dell'approccio finora utilizzato e della valorizzane, allo stesso tempo, di misure e provvedimenti ispirati da una concreta fattibilità. Non si può fare diversamente. Per una serie di circostanze, la "questione rom" è diventata in Italia, negli ultimi anni, uno dei fondamentali fattori di allarme sociale, frutto velenoso di una scellerata campagna di colpevolizzazione. Sulla base di alcuni dati incontestabili (tasso di criminalità, sfruttamento dei minori per accattonaggio e gravi ostacoli alla convivenza) si è attivato un meccanismo assai pericoloso di creazione del capro espiatorio. Sarà un'impresa faticosa e dall'esito incerto, ma la sola speranza di "uscirne vivi" è la realizzazione di politiche totalmente nuove e finalmente razionali e intelligenti. Siria: Osservatorio diritti umani "13mila detenuti morti per le torture inflitte da regime" Adnkronos, 14 marzo 2015 Sono quasi 13mila le vittime delle torture inflitte a cittadini siriani dal regime del presidente Bashar al-Assad dall'inizio della rivoluzione fino ad oggi. È quanto è riuscito a documentare l'Osservatorio siriano per i diritti umani, che conta per l'esattezza 12.751 decessi in seguito a torture nelle carceri e nelle celle dei servizi segreti del governo siriano. In alcuni casi le autorità hanno riconsegnato i cadaveri ai parenti, mentre altre volte le famiglie sono state informate da terzi della morte dei loro congiunti in carcere, oppure il regime ha costretto le famiglie a firmare dichiarazioni secondo cui il decesso sarebbe avvenuto per mano di gruppi armati dell'opposizione. L'Osservatorio ha messo in evidenza che queste statistiche non includono gli oltre 20mila desaparecidos nelle carceri del regime e dei suoi apparati e le migliaia di persone scomparse durante gli assalti condotti dalle forze governative e dalle loro milizie in diverse aree del Paese dove si sono verificate stragi. "Noi dell'Osservatorio siriano per i diritti umani ribadiamo la nostra richiesta al Segretario generale dell'Onu e all'Alto commissario per i diritti umani ad agire con maggior serietà e a prodigare il massimo degli sforzi per il rilascio immediato di oltre 200mila detenuti nelle carceri del regime siriano e nelle celle dei suoi apparati di sicurezza", si legge in un appello dell'ong, che cita anche "oppositori politici e attivisti per i diritti umani", tra cui "Abdelaziz al-Khayyir, Khalil Maatouq, Husayn Ayso, Bassam Sohyouni e Mazen Darwish". Venezuela: è "giallo" sulla morte in carcere del prigioniero politico Rodolfo Gonzalez di Filippo Fiorini La Stampa, 14 marzo 2015 L'"Aviatore" Gonzalez è stato trovato impiccato in cella. Era accusato di cospirazione, ma si è sempre detto innocente. Ieri mattina è stato depennato un nuovo nome dalle liste dei circa 40 prigionieri politici che ancora rimangono nelle carceri del Venezuela, da quando nel febbraio del 2014 parte della popolazione si è ribellata al governo socialista. Si tratta dell'ultra-sessantenne Rodolfo Gonzalez, che però non è stato liberato, ma trovato morto nella cella in cui ha trascorso l'ultimo anno, con l'accusa di aver cospirato contro il presidente Nicolas Maduro. Il primo a darne notizia è stato il suo legale, José Vicente Haro, secondo cui Gonzalez, detto l'"Aviatore" per il suo passato da capitano di Aeronautica, si sarebbe impiccato perché non sopportava l'idea di essere trasferito nel penitenziario di Yare, un carcere di massima sicurezza in cui la sua detenzione si annunciava ancora molto lunga. "Non stava bene fisicamente - ha detto l'avvocato - probabilmente non ha digerito la notizia di doversi recare in una struttura come quella". Effettivamente, giovedì la deputata Iris Varela aveva detto in qualità di "ministro per il Potere Popolare sulle Prigioni dello Stato" che Rodolfo e tutti gli altri detenuti alloggiati nel misterioso edificio dell'Helicoide, la piramide nel centro di Caracas che fa da sede al servizio segreto Sebin, sarebbero stati trasferiti a Yare. Lissete, la figlia dell'"Aviatore", però, ha detto che la causa della morte non è ancora stata confermata e che per saperne di più, bisognerà attendere i risultati dell'autopsia, in corso presso l'obitorio di Bello Monte. Le circostanze in cui è scomparso Gonzalez sono comunque bastate a seminare i sospetti che dietro alla sua impiccagione, possa nascondersi un omicidio. Sebbene non ci siano prove, è proprio questa l'idea che si sta consolidando nei social network della grande comunità di oppositori al governo Maduro, i quali si dividono ora da quelli che credono che l'esecutivo debba comunque essere considerato responsabile, anche se si trattasse solo di un suicidio. Gonzalez era finito in carcere il 26 aprile 2014 con l'accusa di essere a capo di una rete cospirativa. Secondo la conferenza stampa data a suo tempo dal ministro dell'Interno, Miguel Rodriguez Torres, sotto di lui stavano circa 20 uomini, tra cui compariva anche il sindaco di uno dei 5 distretti metropolitani di Caracas, Antonio Ledezma, arrestato a sua volta poche settimane fa per un presunto tentativo di Golpe. In casa dell'Aviatore, le autorità dissero di aver trovato un arsenale e prove informatiche del suo sostegno finanziario ai giovani studenti che in quel periodo innalzarono le prime barricate nelle città e che, con intensità molto minore, tuttora mantengono. La morte in carcere di questo ex militare 63enne, che ha sempre sostenuto di aver dato appoggio ai manifestanti per affinità ideologica, ma di non sapere nulla di colpi di Stato, avviene a meno di 24 ore dall'ultimo capitolo del battibecco diplomatico in corso tra il Venezuela e gli Stati Uniti. A inizio settimana, il presidente Barack Obama ha ordinato restrizioni alla circolazione e alle attività sul suolo statunitense per diversi funzionari di Caracas, in risposta a provvedimenti analoghi presi da Maduro qualche giorno prima. Questa volta, però, la Casa Bianca ha calcato più la mano rispetto al passato, accusando il "Socialismo del XXI secolo" di violare sistematicamente i diritti umani e denunciando gli arresti politici che si moltiplicano in Venezuela. La presa di posizione, è servita da pretesto al presidente Maduro per denunciare i presunti piani americani per spodestarlo, impugnando i quali si è presentato davanti al parlamento che controlla, e ha chiesto poteri speciali per poter continuare a governare. Bulgaria: condanna dalla Corte Europea a causa delle cattive condizioni nelle carceri di Lilia Rangelova www.bulgariaoggi.com, 14 marzo 2015 La Bulgaria dovrà pagare un risarcimento di oltre 5.000 euro a Khalil Hassan Adem per il regime speciale a cui è stato sottoposto come condannato all'ergastolo e anche per le cattive condizioni di vita nelle prigioni. Secondo la Corte Europea dei diritti dell'uomo si tratta di una violazione dell'art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (divieto di trattamenti inumani o degradanti). Il ricorrente Khalil Hassan Adem è stato processato 11 volte e nel mese di ottobre 2000 è stato condannato all'ergastolo senza condizionale per rapina e omicidio. Oggi dalla Procura di Sofia hanno riferito che stanno effettuando dei controlli senza preavviso nelle carceri e negli ostelli dei prigioni di Sofia, Kremikovtsi e Kazichene. Le ispezioni sono iniziate lunedì e finora sono stati trovati molti oggetti vietati come coltelli e telefoni cellulari. Tuttavia dal Ministero della Giustizia hanno riferito che i capo prigioni di Sofia, Burgas e Boichinovtsi sono stati licenziati a causa di critiche da parte del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa. Sud America: "Encerrados", il continente raccontato attraverso le sue carceri di Melissa Aglietti www.avantionline.it, 14 marzo 2015 Nella sua più famosa commedia, lo scrittore latino Publio Terenzio Afro affida alle parole di Cremete la celebre formula "Homo sum, humani nihil a me alienum puto", che letteralmente significa: "sono un essere umano, non ritengo a me estraneo nulla di umano". Ed è proprio questo autentico e spudorato interesse "dell'uomo per l'uomo" che percorre, come un impulso elettrico lungo le fibre nervose di un corpo, Encerrados, intenso lavoro del fotografo romano Valerio Bispuri, raccolto nell'omonimo libro edito da "Contrasto". Nato quasi per caso nel 2002, questo progetto, lungo dieci anni, nasce dal tentativo di raccontare il continente sudamericano e la sua gente attraverso un aspetto, quello delle 74 carceri visitate dall'autore, che, seppur unico nelle sue specificità, si presenta come fattore aggregante di varie realtà. Scorrendo le pagine di Encerrados si è come proiettati fuori dal tempo e dallo spazio, sensazione rafforzata dalla scelta dei toni del bianco e del nero. Ma questa violenta atemporalità e aspazialità permette la completa identificazione con il soggetto, la totale compenetrazione tra lo spettatore e una realtà popolata da ombre rabbiose e primitive, ma anche da donne vestite a festa e di uomini che si scambiano palleggi; una realtà intrisa dell'odore di corpi nudi e di latrina, dell'odore metallico delle lame dei coltelli e di quello secco delle siringhe. Bolivia, Perù, Ecuador, Argentina, Cile, Uruguay, Brasile, Colombia e Venezuela si specchiano in una quotidianità, quella degli "encerrados", che suona quasi come un paradosso, perché, nonostante le condizioni inumane delle carceri, la percentuale dei suicidi è quasi nulla se rapportata ai numeri di suicidi nelle prigioni europee e statunitensi. Complice un rovesciamento in cui la vera vita sembra essere "dentro", in quelle carceri in cui è la logica delle gang che, specularmente a quanto avviene "fuori", continua a far da padrona, in cui non si può parlare propriamente di perdita della libertà, perché questa è tanto inesistente "fuori" quanto "dentro". Come dannati dell'Inferno dantesco, i detenuti continuano a conservare atteggiamenti e abitudini della loro vita precedente, a testimonianza di un feroce e ostinato attaccamento alla vita. Una fame di vita e di riscatto che si scontra con un vivere mollemente rassegnato e dal sapore nostalgico.