Giustizia: "rimedi risarcitori"; flop 35Ter OP, ammissioni di Consolo alla Bernardini di Barbara Alessandrini L'Opinione, 13 marzo 2015 Tra poco meno di tre mesi il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa riaccenderà i riflettori sulla spinosa questione del sovraffollamento delle carceri nel nostro paese. Ma, dopo le iniziali ottimistiche rassicurazioni del ministro Orlando, il silenzio fatto calare dal governo sull'emergenza carceraria e sulla condizione degradante all'interno degli istituti di pena, non fornisce rassicurazioni sull'esito della imminente verifica europea. Lo scorso giugno, contestualmente al richiamo la Cedu aveva stabilito di concedere un'apertura di credito all'Italia che, nel frattempo, grazie all'introduzione del rimedio risarcitorio interno, era riuscita a scantonare la condanna. Ora, però, anche il cosiddetto 35Ter ha mostrato tutta la sua inefficacia e quando l'Europa riprenderà in esame la questione del rispetto dei principi di legalità nel nostro sistema detentivo non vi sarà rassicurazione ottimistica, come quelle più volte rilasciate sia dal ministro della Giustizia Andrea Orlando sia dal nuovo responsabile del Dipartimento penitenziario Santi Consolo, capace di disinnescare le sanzioni europee. L'Italia, come ha sostenuto Orlando, evitando la multa della Corte europea ha certamente "scongiurato un'onta politica" ottenendo "un risparmio di 41.157.765 euro" . Resta il fatto che, pur impegnandosi per soprassedere sul cinismo contabile che mortifica e passa come un caterpillar sui diritti fondamentali, l'onta è solo rinviata e non eliminata. Perché, a dispetto delle assicurazioni governative, la condizione di illegalità in cui versano di fatto i nostri istituti di detenzione dimostra l'incapacità di coniugare la pena con la garanzia dei diritti sanciti dall'articolo 27 della Costituzione. Singolare paese il nostro. Si procede unicamente in modo emergenziale o sotto lo spettro delle condanne dell'Europa senza mai puntare lo sguardo sui destinatari della legislazione, sempre all'insegna dell' estemporaneità e con espedienti normativi connotati da pressappochismo e cialtroneria. Così è stato per l'approvazione della responsabilità civile dei magistrati e così è accaduto per far fronte all'emergenza carceraria attraverso il rimedio risarcitorio interno, cosiddetto 35Ter con cui si stabilisce uno sconto di pena di un giorno ogni dieci durante i quali il detenuto abbia subito il pregiudizio o in alcuni casi otto euro di liquidazione per ogni giorno in cui si è subito il pregiudizio. E già correrebbe l'obbligo di una riflessione sulla mostruosità per cui il legislatore, per fronteggiare l'incapacità di rimediare alle condizioni illegali e allo stato prossimo alla tortura in cui vivono i detenuti negli istituti di pena italiani si arrabatta, anzi si ab-baratta, fornendo risarcimenti e sconti di pena nel tentativo estremo di ripristinare una parvenza di ordine interno alle carceri. In ogni caso tanto è bastato a tirarci, momentaneamente, fuori dai guai. La Corte Europea si è così affrancata da 3.685 ricorsi, (dichiarati ‘irricevibili') la cui competenza è passata al giudice nazionale. Bene, si dirà, è buona regola lavare i panni sporchi in casa propria. Purché, però, il sapone sia efficace. Al contrario la nuova norma si è rivelata un vero e proprio fallimento e sta paralizzando il sistema oltre ad aver innescato gravi distorsioni, lesive di qualsiasi dignità umana, nella gestione carceraria. I dati sulle istanze presentate dai detenuti e di quelle riportati dall'Osservatorio Carceri dell'Unione Camere Penali Italiane indicano non soltanto il notevole ritardo nelle decisioni ma anche il plateale e spropositato numero di declaratorie di inammissibilità dei ricorsi. A fine novembre 2014, delle 18.104 istanze iscritte, le definite erano 7.351 e pendenti 10.753. Delle definite ne sono state dichiarate inammissibili 6.395 (87%) ed accolte solo 87 (1,2%). Illuminanti anche i dati locali: Ufficio di Sorveglianza di Cuneo, al 27 gennaio 2015: Proc. iscritti 191 - non luogo a procedere 15 - Inammissibili. 83 - Incompetenza 1 - Accolti 0 - Rigettati 0. Ufficio di Sorveglianza di Bologna, al 27 novembre 2014: Proc. iscritti 337 - Non luogo a procedere 15 - Inammissibili 144 - Incompetenza 1 - Accolti 15 - Rigettati 1. Ufficio di Sorveglianza di Palermo, al 30 novembre 2014: Proc. iscritti 184 - Non luogo a procedere 1 - Inammissibili 426 - Incompetenza N 1 - Accolti 0 - Rigettati 0. Ufficio di Sorveglianza di Firenze, al 15 dicembre 2014: Proc. iscritti 561 - Non luogo a procedere 5 - Inammissibili 96 - Incompetenza 17 - Accolti 0 - Rigettati 6. Ufficio di Sorveglianza di Napoli, al 27 novembre 2014: Proc. iscritti 387 - Non luogo a procedere 13 - Inammissibili 124 - Incompetenza 1 - Accolti 0 - Rigettati 2. Ufficio di Sorveglianza di Cagliari, al 10 dicembre 2014: Proc. iscritti 332 - Non luogo a procedere 0 - Inammissibili 1 - Incompetenza 0 - Accolti 0 - Rigettati 0. Ufficio di Sorveglianza di Avellino, al 10 dicembre 2014: Proc. iscritti: 698 - Tutti ancora pendenti. Ufficio di Sorveglianza di Spoleto, al 26 giugno 2014: Proc. iscritti 720 - Non luogo a procedere 7 - Inammissibili 426 - Incompetenza 0 - Accolti 15 - Rigettati 5 Numeri che si commentano da soli e che impongono non soltanto di chiedersi se la Corte Europea sia al corrente di queste percentuali di efficacia dello strumento normativo adottato dall'Italia per evitarne le sanzioni ma anche di suggerire all'esecutivo una seria riflessione, considerati i tempi ridotti che ci separano da giugno, sulle misure da adottare a correzione di una legge che non funziona. Per rimediare al più presto alla gravità della situazione. Ormai ne è consapevole anche lo stesso Santi Consolo che, a distanza di poco più di un mese dalle sue rassicurazioni sul ripristino della legalità nelle carceri italiane, recentemente ha smorzato l'entusiasmo con Rita Bernardini, segretaria dei Radicali italiani e da sempre impegnata sul fronte dei diritti dei detenuti "Santi Consolo - riferisce la Bernardini - che è persona a mio avviso proba e onesta mi ha detto non ci possiamo presentare in Europa a giugno con queste cifre". La breccia che il responsabile del Dap ha aperto nella granitica linea politica del governo è senz'altro un passo avanti se si pensa che proprio Consolo a metà febbraio sosteneva che "nei 202 istituti penitenziari non c'è più un detenuto che viva in spazi inferiori ai 3 mq e che i posti regolamentari sono ora in totale 50.538". Le ambiguità responsabili del totale fallimento del 35 Ter sono molto chiare sia alla Bernardini, da mesi impegnata a denunciarle, sia a Maria Brucale, membro del direttivo della Commissione carcere della camera Penale di Roma. L'arbitrarietà interpretativa della misura si appunta essenzialmente al criterio della capienza minima di quei 3mq di spazio di cui ogni detenuto dovrebbe disporre e a quello dell'attualità del pregiudizio. "Il ripristino della legalità di cui parla l'Amministrazione penitenziaria - ci spiega Maria Brucale - è un miraggio in quanto calcolato sul parametro dei 3mq che, però, non è conforme né all'ultima lettura della Corte di Cassazione né alla giurisprudenza pilota della Corte Europea che aveva parlato di 3mq scomputato il mobilio, ossia calpestabili e vivibili. Oltretutto i 3mq vengono presi in considerazione come requisito minimo per poi prendere in considerazione altri parametri come l'assenza di promiscuità tra cucina e bagno, la possibilità di attività fisica di studio, di aereazione, acqua calda, luce. Tutti fattori che determinano violazione e condizione di tortura e a legittimano le istanze del risarcimento". È proprio sull'interpretazione di quel pugno di mq che si incagliano le richieste di risarcimento e i magistrati bocciano i ricorsi se lo spazio complessivo, mobili compresi, è di più di 3 mq. E che si tratti di un parametro cui ci si riferisce con logica ottusa lo dimostra, come racconta la Bernardini, la decisione del Dap di realizzare un software in grado di controllare se vi sia qualcuno sotto i 3mq (sempre con mobilio), caso in cui si procede al suo spostamento. Di conseguenza, quando il detenuto fa richiesta al magistrato di sorveglianza, la maggior parte dei direttori dei carceri inviano relazioni che rassicurano sul rispetto delle condizioni e, tanto per parlare di Roma, le udienze non vengono nemmeno fissate. Ovvio che l'errore è da addebitare ad una scappatoia legislativa che si è rivelata fallimentare perché oscura sia sul fronte dei tempi sia delle modalità applicative. Lo conferma la Brucale convinta che "Si tratta di una legge scritta malissimo innanzitutto perché non si chiarisce per quanto e da quando opera. E poi perché, nonostante la volontà del legislatore fosse chiaramente risarcitoria, nel rispetto di quanto concordato con la Corte Europea, il testo fa riferimento ad una norma che parla di attualità del pregiudizio lasciando uno spazio interpretativo che tradisce gli scopi originari e viene riempito discrezionalmente dai diversi magistrati di sorveglianza" . La paralisi e la mancanza di certezza del diritto, è noto, diventa un terreno di coltura ottimale per la degenerazione repressiva. Di qui all'annichilimento di qualsiasi percorso rieducativo e all'avvilimento della dignità individuale il passo è brevissimo. E infatti "gli istituti penitenziari - continua Brucale- per ripristinare una situazione di legalità, hanno tentato e tentano di creare spazio con i trasferimenti di un numero considerevole di detenuti, come quelli realizzati dal carcere di Rebibbia a Roma e di Opera a Milano a quello di Massana ad Oristano. In totale dispregio della territorialità della pena e dei percorsi di riabilitazione e di crescita in corso negli istituti di provenienza". A completare le aberrazioni scaturite dal 34Ter le richieste di risarcimento vengono spessissimo dichiarate inammissibili per carenza di informazioni. "Ma si può chiedere ai detenuti - si domanda Rita Bernardini - di ricostruire dettagliatamente le detenzioni precedenti e di trasformarsi in geometri con il metro alla mano? Questo compito spetterebbe all'amministrazione penitenziaria". Infine, tanto per completare brillantemente il quadro dei segnali giunti dal governo in materia di sovraffollamento degli istituti di pena, grava anche la scadenza dei termini per l'esercizio della legge delega 67/2014 che riforma la disciplina sanzionatoria e di pene detentive non carcerarie e trasforma alcuni illeciti penali in illeciti amministrativi. In sostanza la legge, che va ad aggiungersi all'infinito cahier delle "norme-annuncio" prive di decreti attuativi, non è stata resa applicabile. Se questo è il contesto, c'è da domandarsi quale attendibilità e credibilità accordare per il futuro alle rassicurazioni del Guardasigilli Orlando che collegava la stabilizzazione dell'emergenza carceraria al rafforzamento delle misure alternative alla detenzione. Ce lo farà sapere. Soprattutto considerando che gli ultimi dati forniti dal Dap parlano di una popolazione carceraria nuovamente in crescita. Come puntualmente fa notare la Bernardini si è dovuto attendere la dichiarazione di incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi (che ha portato alla rideterminazione della pena per molti condannati per droghe leggere con conseguente uscita dagli istituti di pena e ad evitare molte detenzioni) per avere qualche risultato rispetto alla frammentaria e lacunosa normativa cui si è ricorso finora. La necessità di ridefinizione al ribasso delle pene voluta dalla Cassazione, spiega, implica infatti che "molte condanne comminate sono illegali e che al momento si trovano in carcere numerose persone che non dovrebbe starci. Per questo - conclude la presidente dei Radicali italiani - ho ricominciato lo sciopero della fame chiedendo l'amnistia, che può essere mirata anche ad alcune fattispecie di reato e l' Indulto. Uno Stato consapevole dell'ingiusta ed illegale detenzione di persone cui è stata comminata una pena molto più alta di quella prevista dalla legge ha il dovere immediato di intervenire". Il tempo sta per scadere, il tentativo del governo di far tornare la contabilità carceraria si è rivelato una sconfitta che ha lasciato soltanto macerie del diritto ed il bilancio del 35Ter è lì a dimostrarlo mentre la gestione dell'Amministrazione Penitenziaria seguita ad essere catastrofica e le carceri si confermano luoghi di mortificazione, avvilimento e afflizione quotidiana, lontanissimi dalla funzione rieducativa cui sono chiamate. Difficilmente all'Italia verrà consentito una seconda volta di nascondersi dietro ulteriori lacunosi e ambigui provvedimenti che paralizzano il sistema e garantiscono soltanto una giustizia negata. L'auspicio è che l'imminente appuntamento con il comitato dei ministri del Consiglio d'Europa spinga il governo ad uscire dalle chiacchere e dalle dichiarazioni d'intenti. Altrimenti al Bel Paese non resterà che guardare alla civiltà giuridica e al rispetto dei diritti come ad una chimera, consolandosi e lavandosi la coscienza col comodo, inflazionatissimo e compiaciuto citazionismo peloso di Cesare Beccaria. Giustizia: ogni anno oltre 100 detenuti muoiono per "cause naturali" di Damiano Aliprandi Il Garantista, 13 marzo 2015 È dal primo marzo che manca l'infermiere per il turno di notte al carcere sardo di Alghero. Il motivo? Il turno notturno è stato sospeso su decisione del commissario dell'Asl e dietro indicazione del responsabile del servizio. La motivazione sarebbe quella di poche richieste da parte della popolazione carceraria nella fascia notturna, da qui la decisione di spostare l'infermiere nel carcere di Bancali a Sassari, dove a quanto pare sarebbe stata rappresentata una situazione di emergenza. Per questo motivo c'è molta preoccupazione tra i detenuti del carcere di Alghero e hanno predisposto una petizione - corredata da un centinaio di firme - che è stata inviata al commissario dell'Asl e alla direzione del carcere. Ma non è un problema isolato. L'intero sistema sanitario penitenziario è in deficit a causa dei tagli iniziati nel 2012 dal governo Monti e per questo motivo i detenuti non ricevono cure adeguate. Tagli al personale che incidono anche sulle morti in carcere. Ogni anno oltre cento detenuti muoiono per "cause naturali". A volte la causa della morte è l'infarto, evento difficilmente prevedibile, ma altre volte sono le complicazioni di malanni trascurati o curati male e un lungo deperimento, dovuti a malattie croniche. L'articolo 1 del Decreto Legislativo 230/99, sul riordino della medicina penitenziaria stabilisce che: "I detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali e uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali ed in quelli locali". Dall'entrata in vigore di questa legge sono trascorsi 14 anni, nel corso dei quali le competenze sull'assistenza sanitaria dei detenuti avrebbero dovuto gradualmente passare dal Ministero della Giustizia a quello della Sanità: invece, quello che si è sicuramente verificato è stato il taglio delle risorse economiche destinate alle cure mediche per i detenuti, mentre l'attribuzione delle pertinenze è tuttora argomento di discussione e di confusione. Nel frattempo i detenuti morti per problemi di salute sono aumentati d'anno in anno. Ma l'assistenza sanitaria in carcere è molto complicata anche perché a volte i detenuti "usano" la propria salute per cercare di ottenere migliori condizioni di detenzione - una dieta speciale, una cella singola, l'autorizzazione a fare la doccia ogni giorno, farmaci con i quali "sballarsi" - oppure la detenzione domiciliare o il rinvio della pena. I medici, a loro volta, tendono a considerare tutti i detenuti dei simulatori, a minimizzare di fronte ai sintomi di una malattia, a rassicurare il paziente - detenuto sul fatto che "non è niente di grave". Il comportamento di entrambe le parti impedisce l'instaurarsi di un rapporto di fiducia, che pure sarebbe necessario per l'effettività e l'efficacia delle cure. Così, quando un detenuto muore, una azione di "depistaggio" viene spesso messa in campo per scaricare su altri la responsabilità dell'accaduto, sia all'interno del carcere - gli agenti non l'hanno sorvegliato, i medici non l'hanno curato, gli psicologi non l'hanno capito, i magistrati non l'hanno scarcerato, sia all'esterno - non è morto in cella, ma durante la corsa verso l'ospedale, oppure subito dopo l'arrivo in ospedale, il che vuol dire: "Noi non c'entriamo, il carcere non c'entra, da qui è uscito ancora vivo". Ed è vero che ci sono delle indagini, che un fascicolo viene aperto in Procura, però le notizie diffuse dai mezzi di informazioni si basano quasi sempre sulle versioni "addomesticate" che provengono dal carcere. Fanno eccezione solo i casi nei quali i famigliari o gli avvocati del detenuto morto s'impegnano fortemente perché venga fatta chiarezza sulla fine del loro congiunto e, allora, si arriva anche all'accertamento delle responsabilità, a sentenze di condanna, a volte alla rimozione di direttori e dirigenti sanitari. Giustizia: lavora più di un detenuto su quattro, la maggior parte in Lombardia Redattore Sociale, 13 marzo 2015 I dati del ministero della Giustizia. La percentuale dei lavoranti sul totale dei detenuti presenti nelle carceri italiane è del 27,13 per cento. La percentuale dei lavoranti alle dipendenze dell'amministrazione sul totale dei lavoranti è dell'84 per cento. A fine 2014 erano 14.450 i detenuti lavoranti in Italia, di questi 5137 sono stranieri e 882 le donne. In generale, 12.226 detenuti lavorano alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria e 2324 no. Sono i dati pubblicati in questi giorni dal ministero della Giustizia. La percentuale dei detenuti lavoranti sul totale dei detenuti presenti nelle carceri italiane è del 27,13 per cento. La percentuale dei lavoranti alle dipendenze dell'amministrazione sul totale dei detenuti lavoranti è dell'84 per cento. La regione con il maggior numero di detenuti che lavorano è la Lombardia (2327), seguita da Lazio (1518), Campania (1491), Sicilia (1189) e Toscana (1112). Agli ultimi posti della graduatoria troviamo invece Valle D'Aosta (46), Molise (102) e Basilicata (109). Pochi i detenuti lavoranti anche in Friuli Venezia Giulia (136) e Trentino Alto Adige (139). La serie storica. Il ministero della Giustizia traccia anche l'evoluzione storica del rapporto tra detenuti e lavoro, osservando l'andamento dal 1991 al 2014. In generale va riscontrata una graduale e costante crescita dei detenuti lavoranti in Italia, dai 10.700 del 1991 ai 14.450 del 2014. Proprio lo scorso anno si è raggiunto uno dei livelli piu' alti, avvicinando i 14.686 di fine 2004 e i 14.595 di giugno 2005. Il picco storico si è avuto proprio alla fine del 2005,l quando i detenuti che lavoravano erano 15.576 (26,17 per cento, più di 1 su 4). Percentualmente, a causa della diminuzione della popolazione carceraria, il migliore rapporto tra lavoranti e presenti nelle carceri italiane si è avuto proprio nel 2014, con il 27,13 per cento. Una percentuale inferiore solo al primo anno di rilevazione, il 1991, dove lavoravano solo 10.770 detenuti su una popolazione carceraria di 31.053 persone (34,46 per cento a giugno, 30,74 per cento a fine anno). Insomma, piu' di 1 su 3. E alla parentesi tra fine 2006 (30,82 per cento) e fine 2007 (27,37 per cento), passando per il 28,68 per cento di giugno 2007. Giustizia: reati fino a 5 anni, da oggi sarà possibile archiviare di Giovanni Ngri Il Sole 24 Ore, 13 marzo 2015 Alla fine dal Consiglio dei ministri arriva il via libera alla nuova causa di non punibilità per i reati sanzionati fino a cinque anni di reclusione e per quelli puniti con pena pecuniaria. Ieri sera ha ricevuto l'approvazione finale il decreto legislativo sull'archiviazione per tenuità del fatto. Una misura sollecitata dalla magistratura e che non ha visto gli avvocati fare le barricate e che rappresenta nei fatti una forte attenuazione del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale. A evidente bilanciamento delle accuse, assolutamente prevedibili, che arriveranno dall'opposizione, in particolare della Lega Nord, il Governo (lo ha annunciato via tweet il ministro dell'Interno, Angelino Alfano) ha anche varato un aumento di pena per i furti in appartamento che verranno puniti con la detenzione da due a otto anni al posto degli attuali uno-sei. Possibile anche un intervento per rafforzare le sanzioni contro le rapine. La stretta sarebbe inserita in un emendamento al disegno di legge sulla riforma del processo penale in discussone alla Camera. Intanto, il decreto sulla tenuità del fatto, che attende solo la pubblicazione sulla "Gazzetta Ufficiale", introduce nel Codice penale una nuova causa di non punibilità quando per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, l'offesa è di particolare leggerezza e il comportamento non è abituale. Offesa che non può essere ritenuta lieve quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, con crudeltà o sevizie o, ancora, approfittando delle condizioni della vittima nell'impossibilità o incapacità a difendersi. In ogni caso, a essere escluse sono le condotte che, come conseguenze non volute, hanno provocato la morte o le lesioni gravissime di una persona. Esclusi, poi, e in questo caso l'attenzione è sul profilo dell'autore e non sulle modalità della condotta, i delinquenti abituali, professionali o per tendenza e chi ha commesso più reati della stessa indole. Fuorigioco anche chi commette un reato consistente in condotte plurime, abituali e reiterate (come lo stalking o i maltrattamenti in famiglia). Nessun diritto di veto per la persona offesa che, comunque, potrà opporsi nel merito alla richiesta di archiviazione avanzata dal Pm. Come pure, a potersi opporre sarà la persona indagata che potrebbe avere interesse a un'assoluzione ampia, tenuto anche conto di altri due elementi, conseguenze entrambi della natura dell'istituto che comporta un accertamento del fatto e un'attribuzione di responsabilità: dell'archiviazione resterà traccia nel casellario, evitando che la persona interessata possa fruire più volte dell'istituto; l'archiviazione avrà forza di giudicato, se emessa con sentenza al termine del dibattimento, quanto all'esistenza del fatto, all'illiceità a all'affermazione che l'imputato lo ha commesso. Per il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Ferri, va ricordato che "la legge 67/14 aveva previsto l'emanazione di un decreto legislativo che doveva introdurre l'istituto della non punibilità per quei reati lievi che avessero causato un'offesa di particolare tenuità con un comportamento non abituale. Ora il decreto emanato in attuazione della predetta legge, stabilisce che per la non punibilità, sarà necessario che sussista, contemporaneamente, sia il requisito della particolare tenuità dell'offesa (per esempio, esiguo valore economico della cosa rubata) sia quello della non abitualità del comportamento da parte di chi ha commesso il reato. Sarà, quindi, il giudice a dover stabilire quando l'offesa deve ritenersi particolarmente tenue e quando il comportamento illecito non è abituale". Giustizia: depenalizzazioni "ammorbidite", non punibilità dei fatti tenui e occasionali di Antonio Ciccia Italia Oggi, 13 marzo 2015 Perdonato il reato tenue, ma non quello crudele o commesso approfittando di persone particolarmente deboli. In ogni caso nessun salvagente per chi ha provocato lesioni gravissime o la morte. Sono le modifiche più importanti approvate nel testo definitivo del decreto legislativo sulla non punibilità dei fatti tenui e occasionali, attuativo della legge delega numero 67 del 2014. In sostanza si tratta di una depenalizzazione per moltissimi reati. La versione definitiva, approvata ieri dal Consiglio dei ministri, corregge un po' il tiro e dà anche qualche chance in più alla vittima che, per avere il risarcimento del danno deve, però, iniziare una causa civile a parte. Ma in quest'ultimo giudizio si comincia dal riconoscimento della colpa di chi, comunque, sarà non punibile con sanzioni penali. Il reato non può essere di particolare tenuità quando il colpevole ha agito per motivi abietti o futili o con crudeltà o con sevizie. Inoltre i benefici di legge sono esclusi quando il reo ha approfittato della debolezza della vittima o ha causato la morte o lesioni gravissime. Nella versione definitiva del decreto legislativo messo a punto dai tecnici del Guardasigilli Andrea Orlando si interviene anche sulla nozione di abitualità. Il reato è abituale (e, quindi, non si ha diritto al beneficio) se l'autore è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o delinquente per tendenza. Stessa esclusione scatta per chi ha commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità e anche nel caso in cui si tratta di reati che hanno ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Viene rimodulata l'efficacia della sentenza penale di proscioglimento per particolare tenuità del fatto nel successivo giudizio civile. In particolare, se il proscioglimento interviene a seguito di dibattimento (e, quindi, dopo una approfondita istruttoria) chi ottiene il beneficio, poi, nel separato giudizio civile, non può mettere in discussione di avere commesso il fatto e quindi chi chiede il risarcimento del danno ha il compito facilitato. Se, invece, il proscioglimento per particolare tenuità interviene in un giudizio abbreviato, la parte civile che non ha accettato il rito non sarà vincolata al giudicato penale. Il decreto legislativo introduce una depenalizzazione in concreto e trasversale. Il provvedimento dà semaforo verde alla non punibilità dei reati che provocano un'offesa di particolare tenuità, quando, contemporaneamente, il comportamento del reo risulta non essere abituale. La norma riguarda tutti i reati puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni o con la pena pecuniaria, sola o congiunta alla pena detentiva. Le relazioni di accompagnamento al decreto e, in particolare, l'analisi dell'impatto della regolamentazione evidenzia l'ambito di applicazione. La novità riguarderà tutte le contravvenzioni e molti delitti. Tra questi vengono ricordati la violenza privata, la violenza o minaccia per costringere a commettere un reato, la minaccia aggravata, alcuni delitti contro l'inviolabilità del domicilio e numerosi reati contro il patrimonio (dal furto semplice, al danneggiamento, dalla truffa all'appropriazione indebita). Ma l'elenco comprende anche le percosse, lesione personale non aggravata, la rissa, l'omissione di soccorso, alcuni false attestazioni, il maltrattamento di animali, la violazione degli obblighi di assistenza familiare, le intercettazioni informatiche, la rivelazione di segreto professionale, eccetera. Per ottenere il beneficio bisognerà, però, valutare insieme sia la tenuità dell'offesa sia la non abitualità della condotta. Il procedimento penale dovrà preferibilmente essere chiuso già con una richiesta di archiviazione del pubblico ministero. La persona offesa ha il diritto di essere informata, se lo ha chiesto, e di opporsi. E potrà iniziare una causa civile per ottenere il risarcimento dei danni, ma non è detto che lo faccia considerato i costi della giustizia civile. La non punibilità potrà essere dichiarata in ogni stato e grado del processo e se viene pronunciata prima dell'inizio del dibattimento dovrà essere sentita la persona offesa. Giustizia: prescrizione; testo in Aula il 16 marzo, resta la spaccatura nella maggioranza Il Sole 24 Ore, 13 marzo 2015 Era un voto, se si vuole formale, ma ha confermato la spaccatura (temporanea?) della maggioranza su un tema chiave della giustizia penale, la prescrizione. Ieri la commissione Giustizia della Camera ha dato mandato ai relatori per riferire in Aula, ma Alleanza popolare (Ncd più Udc) ha votato contro come peraltro aveva fatto nel merito la scorsa settimana. Insomma la frattura non si è composta e nel mirino è finito l'aumento dei termini decisi su proposta del Governo per alcuni reati contro la pubblica amministrazione (corruzione propria e impropria e in atti giudiziari). A questo punto una soluzione sarà possibile trovarla solo in Aula dove il disegno di legge sarà esaminato a partire dalla prossima settimana. Nel merito, la riforma prevede che il termine di prescrizione base dei reati di corruzione propria e impropria e in atti giudiziari aumenta della metà. Per esempio, per la corruzione disciplinata dall'articolo 319 del Codice penale, portata dalla legge Severino fino a 8 anni, il limite oltre il quale scatta l'estinzione passerà a 12 anni pena l'estinzione del reato. Per tutti i reati, in ogni caso, la prescrizione resta sospesa per due anni dopo la sentenza di condanna in primo grado e per un anno dopo la condanna in appello. La sospensione però non vale in caso di assoluzione. Oltre alle ipotesi già previste dal Codice, la prescrizione sarà sospesa anche nel caso di rogatorie all'estero (6 mesi), perizie complesse (3 mesi) e istanze di ricusazione. In linea con le convenzioni internazionali e gli ordinamenti europei, per i più gravi reati contro i minori (violenza sessuale, stalking, prostituzione, pornografia etc.) la prescrizione decorre dal compimento del quattordicesimo anno. Regolata anche la fase transitoria: dato che la prescrizione ha valore sostanziale, le nuove regole si applicheranno ai reati commessi dopo l'entrata in vigore della legge. Gli avvocati penalisti contestano la nuova disciplina e approvano lo stato di agitazione sottolineando come "la riforma della prescrizione, promossa mediaticamente da una serie di indagini sulla corruzione, è stata in un primo momento rappresentata come necessario pendant della riforma dei più gravi reati contro la pubblica amministrazione e dunque parte di un complessivo disegno di moralizzazione e di ripristino della legalità, per poi mutarsi, sotto l'urto di esplicite e pressanti richieste provenienti dalla magistratura associata, in una esigenza che riguardava indistintamente tutti i reati". Questa necessità di "allungamento indiscriminato dei termini di prescrizione con riferimento a tutte le fasi processuali - fa notare l'Unione delle camere penali - viene rappresentata come oramai insopprimibile e non più procrastinabile, come se la riforma della prescrizione fosse la palingenesi di tutti i mali della giustizia". A stretto giro replica però la presidente della commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti (Pd), difendendo la riforma: "In nessun altro paese quando lo Stato si è messo in moto per accertare un reato il processo rischia di finire per prescrizione: non in Germania, non in Francia, non in Spagna, tantomeno in Gran Bretagna. Come mai ci si confronta sempre con gli altri paesi europei quando si parla di lunghezza dei processi e si tace invece sulla prescrizione?". Prescrizione allungata del 50%, di Simona D'Alessio (Italia Oggi) Prescrizione allungata della metà per reati di corruzione propria e impropria e in atti giudiziari. E "congelamento" dei termini per due anni dopo la condanna in primo grado, e per un altro anno se confermata in appello (ma lo "stop" non varrà in assoluzione). È pronta all'approdo in Aula, a Montecitorio, lunedì 16 marzo la proposta di legge che modifica il nostro codice penale in materia di prescrizione del reato (2.150), dopo il conferimento ieri in commissione giustizia del mandato ai relatori Sofia Amoddio (Pd) e Stefano Dambruoso (Sc); seduta che, però, spacca la maggioranza, poiché Ap vota contro (per Alessandro Pagano "si legittimano tempi infiniti), mentre Sel esprime parere favorevole, schierandosi dalla parte del centrosinistra e il M5s opta per l'astensione, che Amoddio dice di augurarsi, però, una volta giunto il testo all'esame dell'Assemblea "diventi parere favorevole". Soddisfatta la presidente dell'organismo parlamentare Donatella Ferranti (Pd), perché "finalmente, dopo dieci anni, mandiamo in archivio la ex Cirielli, una legge perniciosa", che dimezzando i termini aveva "creato vere e proprie sacche di impunità". E, entrando nelle pieghe del provvedimento che verrà votato dai deputati all'inizio della prossima settimana, evidenzia la validità della scelta innovativa di "aver differito al compimento del quattordicesimo anno il decorso della prescrizione per i delitti commessi con l'abuso di minori, una norma che", puntualizza, "finalmente ci mette in sintonia con gli altri ordinamenti europei e con le convenzioni internazionali". Punto cardine, come già anticipato, è l'estensione della metà del termine di prescrizione base per le fattispecie di corruzione propria e impropria, e in atti giudiziari: una misura che, dovendo fare un esempio, per la corruzione ex art. 319, innalzata dalla legge sull'incandidabilità dell'ex ministro Paola Severino (190/2012) fino a 8 anni, farà sì che il processo dovrà intervenire entro 12 anni, pena l'estinzione del reato. Oltre, poi, alle ipotesi già previste dal codice, la prescrizione sarà sospesa anche nel caso di rogatorie all'estero (per 6 mesi), di perizie complesse (per 3 mesi) e in caso di istanze di ricusazione. Per crimini a danno di minorenni (dallo stupro allo stalking, dall'induzione alla prostituzione alla pornografia ecc.), invece, la disposizione decorrerà dal compimento del quattordicesimo anno della vittima; nel testo si precisa, infine, come i contenuti della nuova disciplina, in considerazione del fatto che l'istituto della prescrizione ha valore sostanziale, si applicano ai reati commessi dopo l'entrata in vigore della legge. Giustizia: il ddl prescrizione arriva in Aula alla camera, ma la ex-Cirielli rimane intatta di Eleonora Martini Il Manifesto, 13 marzo 2015 In principio l'allungamento dei termini di prescrizione era previsto, nei progetti governativi, per i soli reati di corruzione propria e impropria. Ma nel testo del ddl licenziato dalla commissione Giustizia della Camera che ha spaccato in due la maggioranza di governo - favorevoli Pd, Sel e Sc; contrari M5S, Fi, Lega e Ncd-Ap che accusa i democratici di aver tradito gli accordi presi all'interno del governo - e che approderà in Aula lunedì prossimo, i termini si allungano alla fin fine per tutti i reati, che siano delitti o contravvenzioni. Non direttamente (per le varie fattispecie di corruzione la prescrizione sale fino alla pena edittale massima aumentata della metà) ma per effetto delle sospensioni previste al decorso dei tempi: due anni dopo la sentenza di condanna in primo grado, un anno dopo la condanna in appello, e anche nel caso di rogatorie all'estero (6 mesi), di perizie complesse (3 mesi) e di istanze di ricusazione. Ma se c'era un vero motivo di urgenza nella riforma della prescrizione, era senz'altro la necessità di abolire la cosiddetta ex Cirielli, una delle norme maggiormente responsabili del sovraffollamento carcerario, come registrato anche in sede europea: la legge ad personam, introdotta dal governo Berlusconi nel 2005 per salvare l'amico Cesare Previti, che diminuiva i termini di prescrizione ma aumentava - per acquietare le indignazioni giustizialiste - le pene per i recidivi. E invece, nel testo del ddl è proprio questo l'unico punto che "resta ancora aperto e sarà oggetto di un ordine del giorno per un prossimo provvedimento", come riferisce al manifesto la presidente della Commissione, Donatella Ferranti, che pure appena dopo il voto rivendicava: "Finalmente, dopo dieci anni, mandiamo in archivio la ex Cirielli, una legge perniciosa che dimezzando i tempi di prescrizione ha creato vere e proprie sacche di impunità". Un parere esattamente opposto a quello espresso per esempio dai penalisti italiani (Ucpi) che hanno proclamato lo stato di agitazione contro una riforma considerata "demagogica e populista": "Non è vero - ribatte Beniamino Migliucci, presidente dell'Ucpi - dal 2005 ad oggi le prescrizioni maturate sono dimezzate, passando da oltre 220 mila alle circa 120 mila del 2013, secondo i rilevamenti della stessa commissione Giustizia". E invece, aggiunge Migliucci, "l'allungamento indiscriminato dei termini di prescrizione servirà solo ad allargare sempre più la distanza temporale dal fatto al giudicato e i tempi processuali diventeranno lunghissimi, contrariamente a quanto prescrivono le convenzioni internazionali e la nostra Costituzione, secondo la quale ciascuno ha diritto ad un processo in tempi ragionevolmente brevi. E infatti nel civile, dove la prescrizione non esiste, i processi sono infiniti". Ma Ferranti rivendica la "bontà" del testo "che guarda caso non garba né all'Anm né all'Unione camere penali, con giudizi completamente agli antipodi: i magistrati parlano di "romanella", i penalisti di "allungamento indiscriminato dei termini"", e auspica che sul ddl ci sia in Aula "un vasto consenso, anche del M5S". Ma per quanto riguarda il doppio binario creato dalla ex Cirielli per i recidivi, la deputata Pd spiega: "C'è indubbiamente una discrasia sulla quale bisognerà intervenire ma abbiamo chiesto al governo di monitorare prima gli effetti che si avrebbero modificando una norma che, andando incontro al favor rei, andrebbe applicata anche ai processi in corso e rischierebbe di diventare una sorta di indulto". Giustizia: "su prescrizione interventi incoerenti", penalisti proclamano stato di agitazione Public Policy, 13 marzo 2015 Nei "disparati e disomogenei interventi di riforma del sistema penale, sostanziale e processuale, non è possibile cogliere alcun disegno politicamente coerente e rispondente alle reali esigenze da noi da tempo segnalate. Appaiono inaccettabili le modalità attraverso le quali tali riforme si fanno strada solo in virtù dell'emergere mediatico di singoli casi giudiziari, nella cui eco appare di volta in volta assolutamente imprescindibile abolire o allungare i termini di prescrizione, triplicare le pene edittali di questo o quel reato, abolire o ridurre i mezzi impugnazione". Così l'Unione Camere penali delibera lo stato di agitazione "sui temi della riforma della prescrizione e del sistema penale processuale e sostanziale, riservandosi le necessarie ulteriori iniziative". Nella delibera, indirizzata alle più alte cariche dello Stato, i penalisti sottolineano come la riforma della prescrizione, "promossa mediaticamente da una serie di indagini sulla corruzione, è stata in un primo momento rappresentata come necessario pendant della riforma dei più gravi reati contro la Pa, e dunque parte di un complessivo disegno di moralizzazione e di ripristino della legalità, per poi mutarsi, sotto l'urto di esplicite e pressanti richieste provenienti dalla magistratura associata, in una esigenza che riguardava indistintamente tutti i reati". Tale necessità di "allungamento indiscriminato dei termini di prescrizione con riferimento a tutte le fasi processuali - fa notare l'Ucpi - viene rappresentata come oramai insopprimibile e non più procrastinabile, come se la riforma della prescrizione fosse la palingenesi di tutti i mali della giustizia". E in questo contesto, ribadiscono i penalisti, finisce con il prevalere una "sorta di demagogia dell'urgenza che induce il Parlamento e il governo a prendere decisioni improvvide in questa delicatissima materia, sebbene alcun dato statistico segnali la esistenza di una qualche reale emergenza". Modificare la prescrizione, allungandone indiscriminatamente i termini, "non solo non risolve il problema - spiega ancora l'Ucpi - ma aggrava ulteriormente la patologia in atto. L'ipotizzato allungamento dei termini di prescrizione avrà la evidente conseguenza di allargare sempre più la distanza temporale dal fatto al giudicato, per cui non solo gli imputati, ma anche le persone offese dovranno attendere tempi lunghissimi prima di vedere risolta la propria posizione processuale, con danni umani, psicologici, patrimoniali e di immagine assai rilevanti. E con riferimento ai fatti di corruzione, secondo le diverse ipotesi di riforma, la sentenza definitiva potrà giungere anche dopo venti anni dal fatto, e dunque dopo che gli autori del fatto saranno divenuti persone totalmente diverse e del tutto estranee al contesto sociale all'interno del quale hanno agito, con l'effetto perverso, in caso di assoluzione, di rovinare irreparabilmente la vita delle persone, se non anche di condizionarne la carriera politica". E sebbene la Relazione al ddl esordisca con un richiamo esplicito alla "esigenza di recuperare il processo penale ad una durata ragionevole" come "condizione essenziale" e di "tipo oggettivo" dell'attuazione del "giusto processo", le proposte modifiche della prescrizione, si rileva nella delibera, finiscono decisamente con il "mortificare tali declamati obiettivi". Giustizia: allarme-sicurezza, il Governo raddoppia le pene per i furti negli appartamenti Corriere della Sera, 13 marzo 2015 In dieci anni furti in casa raddoppiati: +127%. Il ministro Alfano su Twitter: "Le pene per i furti in appartamento raddoppiano. Deciso in Cdm. Ora la legge su città sicure". Furto in abitazione, furto con strappo, rapina. Su questi reati, che generano allarme sociale, il governo si appresta a intervenire nei prossimi giorni con un emendamento al testo che riforma il processo penale all'esame della commissione Giustizia della Camera. Giovedì sera, intanto, il Consiglio dei ministri ha dato il via libera sul raddoppio delle pene per i furti negli appartamenti. Ed è proprio il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, a dare l'annuncio via Twitter: "Le pene per i furti in appartamento raddoppiano. Deciso in #Cdm. Ora la legge su #cittàsicure", scrive Alfano. Secondo il vice ministro alla Giustizia, Enrico Costa, interpellato sulle misure allo studio del governo per inasprire le sanzioni previste per il furto in abitazione, il furto con strappo e la rapina, "i dati segnalano che reati come i furti in casa sono in forte progressione. Si tratta di reati che non incidono solo sul patrimonio, ma sull'intimità e la serenità delle persone e delle famiglie. È necessario un giro di vite". Costa ricorda i recenti dati Censis che hanno segnalato un aumento record di questo genere di episodi criminali: i furti in casa, più che raddoppiati negli ultimi 10 anni, crescono del 127%. In media, se ne contano 689 al giorno, 29 ogni ora. E solo nell'ultimo anno l'incremento è stato del 5,9%. I detenuti per furto in casa e furto con strappo sono 3.530 (dato 2014), con una crescita del 131,9% sul 2007. L'effetto, è una sensazione diffusa di insicurezza tra i cittadini. "L'analisi dei numeri - sottolinea ancora Costa - indica che c'è una forte concentrazione delinquenziale su questo genere di delitti e in quest'ambito si registra persino un trend in controtendenza rispetto alla generale diminuzione dei reati. Le norme attualmente in vigore e che intendiamo modificare - osserva infine il vice ministro - consentono un meccanismo di abbattimento delle pene per questo genere di reati, al punto tale che la pena stessa può diventare non effettiva. L'intervento del governo mira quindi a incidere con un giro di vite che renda le pene effettive". Giustizia: Viceministro Costa; i furti nelle case creano allarme, serve un "giro di vite" Ansa, 13 marzo 2015 Norme attuali rendono inefficaci sanzioni, dobbiamo cambiarle. "I dati segnalano che reati come i furti in casa sono in forte progressione. Si tratta di reati che non incidono solo sul patrimonio, ma sull'intimità e la serenità delle persone e delle famiglie. È necessario un giro di vite". È quanto afferma il vice ministro alla Giustizia Enrico Costa interpellato sulle misure allo studio del governo per inasprire le sanzioni previste per il furto in abitazione, il furto con strappo e la rapina. Costa ricorda i recenti dati Censis che hanno segnalato un aumento record di questo genere di delitti: i furti in casa, più che raddoppiati negli ultimi 10 anni, crescono del 127%. In media, se ne contano 689 al giorno, 29 ogni ora. E solo nell'ultimo anno l'incremento è stato del 5,9%. I detenuti per furto in casa e furto con strappo sono 3.530 (dato 2014), con una crescita del 131,9% sul 2007. L'effetto, è una sensazione diffusa di insicurezza tra i cittadini. "L'analisi dei numeri - sottolinea Costa - indica che c'è una forte concentrazione delinquenziale su questo genere di delitti e in quest'ambito si registra persino un trend in controtendenza rispetto alla generale diminuzione dei reati. Le norme attualmente in vigore e che intendiamo modificare - osserva il vice ministro - consentono un meccanismo di abbattimento delle pene per questo genere di reati, al punto tale che la pena stessa può diventare non effettiva. L'intervento del governo mira quindi a incidere con un giro di vite che renda le pene effettive". Giustizia: responsabilità civile; l'Anm avverte "sbagliato parlare di risarcimenti" di Enrico Paoli Libero, 13 marzo 2015 L'importante è non arrendersi. Mai. Anche di fronte all'evidenza dei fatti. E, se necessario, meglio spostare l'asse del ragionamento pur di non restare spiazzati. Se poi si tratti tattica o no, di scelta di campo o meno, poco importa. L'importante e stare in mezzo al campo. E così l'Associazione nazionale magistrati ha deciso di rimettersi in trincea, tornando ad indossare l'elmetto al posto della toga. "Chi invoca la responsabilità civile dei magistrati" in relazione all'assoluzione del Cavaliere nel caso Ruby "è veramente fuori strada", dice il presidente dell'Anm Rodolfo Sabelli. Insomma, per il sindacato delle toghe i giudici non sbagliano mai, anche quando i fatti dicono il contrario e, soprattutto, non devono pagare mai. Anche quando i soldi dei contribuenti sono stati palesemente spesi male. Per non dire inutilmente. E del tutto evidente che la posizione di Sabelli è una dura replica alla posizione assunta da Forza Italia. Subito dopo l'assoluzione della Cassazione i fedelissimi del Cav si erano scatenati: "Chi risarcirà la sofferenza e i danni a Silvio Berlusconi?". E Renato Brunetta, capogruppo alla Camera, più di tutti: "Mi verrebbe da dire, ma non sono un giurista, e adesso azione di responsabilità civile nei confronti di quei magistrati che hanno abusato della legge". E siccome ora è diventato di gran moda invocare l'intervento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quando c'è un problema che tocca la propria categoria, o non piace una posizione politica, i vertici dell'Anm saranno ricevuti il prossimo 19 marzo dal capo dello Stato. Erano stati gli stessi rappresentanti del sindacato delle toghe a chiedere un incontro a Mattarella, prima del varo della riforma della responsabilità civile. Una legge che i giudici considerano "punitiva" nei loro confronti e "dannosa" per i cittadini e sulla cui costituzionalità hanno espresso più di un dubbio. Dubbi rafforzati dall'esito del caso Ruby. "Non intendiamo tirare il capo dello Stato per la giacchetta" hanno assicurato di recente i vertici dell'Anm. A parole, nei fatti lo hanno già fatto. "Non vorrei che si utilizzasse questa assoluzione (il riferimento è al caso Ruby, ndr) in chiave di attacco alla magistratura", dice ancora Sabelli, "sarebbe una cosa profondamente sbagliata". Sbagliata o giusta che sia, la sensazione è che i magistrati dell'Anm abbiano deciso di usare la sentenza della Cassazione per rilanciare la propria azione politica, andando aldilà dell'effetto Berlusconi. "Auspichiamo non solo tempi brevi ma soprattutto buone riforme", sostiene Sabelli, "qui a forza di tele di Penelope si rischiano compromessi al ribasso, soluzioni di compromesso che non soddisfano". Il riferimento, in questo caso, è agli interventi in tema di contrasto alla corruzione. In soccorso dei magistrati sindacalizzati si schiera anche il presidente dell'Autorità nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone. "Io non credo affatto che sia stato un errore fare il processo Ruby", afferma il magistrato, "non credo assolutamente che abbia sbagliato la procura di Milano". "Rispetto a polemiche gratuite", ha aggiunto, "voglio dire che questa è la manifestazione vera che la giustizia ha anche la capacità di discernere. Le sentenze possono essere criticate, diventa difficile però quando più che criticare le sentenze si criticano i magistrati". In mezzo a questo dibattito cala una sentenza della Cassazione che da una mano ai giornalisti. Da oggi infatti la categoria sarà un po' più libera di raccontare gli "scheletri nell'armadio" di chi riceve un incarico politico, anche quando si tratta di magistrati "in carriera" incappati, in passato, in procedimenti penali e disciplinari dai quali sono usciti indenni. Il "nulla osta" viene dalla Cassazione. È stato infatti accolto dalla Suprema Corte il ricorso con il quale l'ex direttore de L'Unità Furio Colombo e la giornalista Sandra Amurri hanno contestato la condanna - inflitta loro dalla Corte di Appello di Roma nel 2010 - a pagare 40 mila euro per risarcimento danni da diffamazione in favore dell'ex magistrato Arcibaldo Miller. Giustizia: morte di Stefano Cucchi, ricorso in Cassazione "Sentenza illogica" La Repubblica, 13 marzo 2015 La famiglia e la procura di Roma chiedono un nuovo processo. In appello tutti gli imputati sono stati assolti. La Procura generale di Roma e i familiari di Stefano Cucchi, il geometra morto in ospedale una settimana dopo il suo arresto per droga a Roma, hanno depositato il ricorso in Cassazione contro la sentenza con la quale, nell'ottobre scorso, i giudici d'appello hanno assolto sei medici, tre infermieri e tre agenti della polizia penitenziaria. Il ricorso riguarda solo questi ultimi tre. Tre i ricorsi proposti: uno a firma del Sostituto procuratore generale Mario Remus (che ha sostenuto l'accusa nel processo d'appello); un secondo del padre di Stefano, Giovanni Cucchi; un terzo, della sorella Ilaria anche nella qualità di esercente la potestà genitoriale sui due figli minorenni. Dodici le persone che per questa morte, avvenuta nell'ottobre del 2009, sono state processate: sei medici, tre infermieri e tre agenti della penitenziaria. Per l'accusa, Cucchi fu "pestato" nelle celle del tribunale, in ospedale furono ignorate le sue richieste e addirittura abbandonato e lasciato morire di fame e sete. In primo grado, la III Corte d'assise di Roma condannò i medici per omicidio colposo, assolvendo infermieri e agenti. In appello, giudizio ribaltato: tutti gli imputati assolti. Adesso, il deposito dei motivi di ricorso in Cassazione Dal Pg è stata definita, a più riprese, illogica e contraddittoria la sentenza con la quale la Corte d'assise d'appello di Roma ha assolto tutti gli imputati del processo. Trentuno pagine, tanti allegati, e una schematizzazione degli argomenti, compongono un atto processuale che arriva a una conclusione: la richiesta alla Cassazione di annullare la sentenza d'appello e il rinvio a un altro giudice per un nuovo processo. Per il Pg, in sentenza "sono state scartate valide e probabili ipotesi di aggressione violenta, prospettando una possibile accidentalità dei fatti", nonostante "due delle tre ipotesi avanzate dalla perizia affermino una vera e propria aggressione fisica". In breve, sarebbe stato "sottostimato il significato, il valore e la gravità delle numerose lesioni sul corpo della vittima, giungendo a indicare l'azione che ha causato le lesioni come una semplice spinta, ed escludendo un'azione aggressiva condotta con maggiore intensità". Altro aspetto del processo sul quale s'incentra la procura generale è quello della causa di morte, sulla quale in sentenza si è ritenuto mancassero certezze. Tre le obiezioni della procura generale: "V'è da chiedersi in che misura l'asserita mancanza di certezze non dipenda dal comportamento gravemente negligente dei sanitari". Nel ricorso per Cassazione presentato dalla famiglia di Stefano Cucchi solo nei confronti dei tre agenti della polizia penitenziaria assolti in appello dall'accusa di lesioni, si legge: "Difetti capitali nella formulazione dell'imputazione che avrebbe dovuto vedere il fatto qualificato come omicidio preterintenzionale". La famiglia, infatti, non si costituì in appello nei confronti di medici e infermieri, dopo un risarcimento da parte della struttura sanitaria, l'ospedale Pertini, dove Stefano fu ricoverato e nella quale morì. Lettere: Berlusconi o il ladruncolo... comunque impiccateli! di Piero Sansonetti Il Garantista, 13 marzo 2015 Ce lo si poteva aspettare: il partito dei giudici ha lanciato la controffensiva. Non si convince di essere stato clamorosamente sconfitto, e anche un po' sputtanato, dinnanzi al mondo intero. Perché il processo-Ruby si è svolto (per volontà di Bocassini-Bruti-Travaglio-Mauro) dinnanzi al mondo intero. E non pensa che forse è giunto il momento di riflettere su due o tre problemi che riguardano lo strapotere illegittimo dei Pm (in particolare quello della Procura di Milano, che da oggi è una Procura totalmente delegittimata) e che recentemente sono stati posti sul tappeto dal Presidente Mat-tarella (con qualche prudenza) e dal Papa Francesco con chiarezza e in modo combattivo (ma i giornali se ne sono occupati poco, come era logico). In cosa consiste questa controffensiva? Due mosse. La prima è schierarsi a corpo morto ("perinde ac cadaver" dicevano i vecchi gesuiti) a difesa della Procura di Milano, demolita un po' sprezzantemente dalla Corte d'Appello e poi dalla Cassazione. La seconda è nel chiedere dei risarcimenti, sollecitando il governo a provvedimenti che limitino ancora - anziché ripristinarlo - lo Stato di diritto. Il primo provvedimento che chiede il partito dei Pm è quello di limitare ancora la prescrizione, in modo da poter allungare ulteriormente i processi, renderli infiniti, e far diventare superflua la condanna o l'assoluzione, perché la pena si sconta col solo fatto di restare sotto accusa magari per vent'anni. I Pm ormai sono convinti di questo: l'indagine deve essere contemporaneamente investigazione e pena, perché questo è l'unico modo per affermare un'etica della giustizia sostanziale, e per punire gli imputati. Poi ci sono altri provvedimenti che consistono nell'aumento delle pene per vari reati. Per la precisione tre tipi di reati: quelli che potrebbe commettere Berlusconi, quelli di mafia e quelli piccoli piccoli della microcriminalità (furti negli appartamenti e rapine). Perché? Chiarissimo il perché, perché sono i reati-tv, capite che intendo dire con reati-tv? Quelli sui quali la Tv si appassiona, si indigna, apre inchieste. Negli ultimi tempi è stata lanciata una campagna forsennata sulla devastante caduta della sicurezza in Italia. Inchieste, denunce, dirette dai posti più strani. Questa caduta della sicurezza però non esiste. I dati dicono che da anni i reati più gravi (soprattutto, guarda caso, i reati mafiosi) sono in crollo. Calano vertiginosamente omicidi, sequestri, stragi, violenze. È vero che da qualche anno (evidentemente in rapporto alla crisi economica e all'aumento della povertà assoluta e della disperazione) sono in aumento i piccoli furti, e che sul piano dei piccoli furti l'Italia è in testa alle classifiche dei grandi paesi europei insieme alla Gran Bretagna, ma è vero anche che per il furto sono già previste pene fino a 8 anni - che non sono pochissimi - e che tutti gli altri reati che non siano il furto in appartamento sono in caduta libera (comprese le rapine e i furti di automobili) e l'Italia, oggi, è considerato uno dei paesi più sicuri d'Europa (tra i grandi paesi solo la Germania è più sicura). Da secoli, ormai, lo sviluppo della civiltà comporta una riduzione delle pene e un attenuamento della loro severità. Tranne che nei periodi di involuzione reazionaria e autoritaria, come quando l'Europa fu travolta da un lato dalla barbarie nazista, e dal fascismo, dall'altra dalle spietate dittature comuniste. Ora, qui da noi, questo principio si è arrestato. Ogni giorno i nostri politici decidono di aumentare le pene e di inventare nuovi reati (riciclaggio, omicidio stradale, falsissimo in bilancio, eccetera eccetera). Perché succede questo? C'è stato un corto circuito nella nostra intellettualità. Questo fatto nessuno vuole prenderlo in considerazione. Fino a vent'anni fa l'intellettualità italiana era in gran parte vicina ai partiti politici, ma manteneva una sua autonomia e soprattutto difendeva il suo diritto al pensiero. Poi, a un certo moneto, si è arresa. Persi i partiti si è sentita sola, sperduta, impaurita. Si è prostrata dinnanzi ai "Girotondi" (ricordate i girotondi?) e ha iniziato a correre, verso destra o verso sinistra, in direzione del fascismo, del patibolo come simbolo di riscatto dei valori dell'onestà e della legalità. È tremendo dire queste cose. Però, lo sapete tutti, sono la verità. E nessuno osa dire che la persecuzione giudiziaria verso Berlusconi - che non può essere negata in buonafede - o verso il topino di appartamento, il ladruncolo, siano due facce della stessa medaglia, della voglia di forca, di criminalizzazione dell'altro. Che sia il tuo nemico politico, o che sia il piccolo ladro, il legalista e irrispettoso. Possibile che il governo non se ne accorga? Possibile che non se ne accorgano il Pd e l'Ncd, almeno. Lettere: l'antimafia diventa cultura, ma l'illegalità resta natura di Enrico Deaglio Venerdì di Repubblica, 13 marzo 2015 Il 2015 resterà negli annali come l'anno in cui rimettemmo in discussione (non certo per la prima volta) Sa questione della mafia. E dell'antimafia. Si era cominciato con una bombastica inchiesta. Mafia Capitale, con raffinati rimandi all'opera di Tolkien, secondo cui la vera mafia è a Roma e gira intorno alle cooperative rosse; poi è arrivato l'orrore della scoperta che il giovane paladino siciliano della legalità, ai vertici di Confindustria, tale Antonello Montante, astro nascente della nuova Italia pulita, fattiva, coraggiosa; icona dell'antimafia, come il figlio di Vito Ciancimino,... era indagato per mafia! Ed era nel board di una piuttosto oscura istituzione che si occupa di vendere i beni confiscati alla mafia, ovvero un cespite di decine di miliardi, di cui, però, stranamente nessun governo si interessa. Ogni giorno leggiamo cifre, statistiche, allarmi sul nostro Paese ormai regno di corruzione; l'Expo che apre tra poco, sarà l'esposizione della ‘ndrangheta vittoriosa o della ‘ndrangheta sconfitta? Un'inchiesta ha rivelato che gli atti intimidatori contro ì sindaci italiani (il proiettile, la testa di capretto, la macchina incendiata, queste cose qua) sono passati dagli 870 del 2013 ai 1265 del 2014, per cui prontamente il ministro dell'Interno ha proposto di regalargli una polizza assicurativa. In questo fosco panorama, brilla il gioiello dell'arresto in flagranza dì un'altra icona, il presidente di Confcommercio Palermo, tale Roberto Helg, uno stagionato negoziante in dissesto economico che teneva corsi di legalità - ed imponeva, come fosse routine - esosissimi pizzi ai suoi colleghi. Che dire? Che Leonardo Sciascia aveva ragione quando diceva che l'antimafia è una professione. E aveva anche ragione il famoso boss corleonese Luciano Liggio, al quale chiesero, "Esiste la mafia?" E lui, pensieroso: "Mah; se esiste l'antimafia, deve esistere anche la mafia...". Certo, di antimafia si muore; ma con l'antimafia si possono fare anche buoni affari, e buone carriere. Ahi, ahi. Un brutto 2015 si presenta. D'ora in poi quando i pargoli saranno chiamati a studiare legalità, potendo scegliere tra corsi anticorruzione, premi di legalità, firme di protocolli, apertura di sportelli, numeri verdi, codici etici, addii pizzi, stages nelle terre confiscate, marce, sit in, sventolio di agende rosse, un legittimo sospetto si impadronirà di loro. Come quello che ormai assale i genitori quando un prete è troppo gentile all'oratorio. Però, non tutto il male viene per nuocere. Il buon Roberto Helg, che incassa trentamila euro in contanti e un assegno in bianco da riempire fino alla cifra di 50.000 euro, ci potrebbe spiegare - questa sì sarebbe un'interessante lezione di legalità - come avrebbe fatto ad incassare l'assegno e come avrebbe lavato il contante. E come mai trovasse naturale che il pasticciere Santi Palazzolo (il titolare del famoso negozio di cannoli dentro l'aeroporto di Palermo, in attesa di rinnovo di concessione) non gli chiedesse neppure uno sconto. Questo rimane un mistero. Veneto: Presidente Zaia a Orlando "senza certezza della pena leggi più dure sono inutili" Adnkronos, 13 marzo 2015 "Come la bella addormentata nel bosco, sembra che un Ministro del Governo Renzi sia stato baciato dal principe e si sia svegliato da un lungo e colpevole sonno. Sarà vero? Seguiranno gli atti conseguenti? Per ora mi limito a considerare salutare il salto sulla sedia che il Guardasigilli avrebbe fatto vedendo i dati Censis sulla criminalità, che vanno esattamente nella direzione di quanto dico io da mesi con comunicati pressoché quotidiani sulla piaga della criminalità in Veneto". Lo dice il Presidente della Regione Luca Zaia, commentando le posizioni del Ministro della Giustizia Andrea Orlando sulla necessità di pene più severe per ladri e rapinatori, alla luce di dati che indicano in forte aumento i furti in casa e le rapine. "Il risveglio - incalza Zaia - è però lento, perché pene più dure non servono a niente se poi i condannati non le scontano, ed è proprio questo il problema numero uno: in Italia non esiste la certezza della pena. Si impegnino prima di tutto a tenere in galera chi se la merita, costruiscano nuove carceri se quelle che ci sono non bastano - aggiunge Zaia - e dopo ben vengano anche le pene più dure, senza però mai dimenticare un vecchio adagio secondo il quale un paese dalle troppe leggi è un Paese senza legge, praticamente la fotografia dell'Italia". "Si ricordino anche - prosegue il Governatore - che i delinquenti vanno prima di tutto presi, e allora il Ministro Orlando potrebbe darsi da fare per convincere il collega Alfano a mettere la benzina sulle auto della Polizia, ad assumere i mille idonei che non aspettano altro che di entrare in servizio, ad aprire i cordoni della borsa per dare a tutte le Forze dell'Ordine, tutto quel che serve per difendere la gente". "Senza bisogno del Censis - conclude Zaia - informo i Ministri competenti che anche oggi le cronache riportano una ventina di nuovi crimini commessi in Veneto. Per oggi risparmio loro l'elenco, sperando che il risveglio della bella addormentata nel bosco prosegua senza intoppi e porti a qualche cosa di concreto. Almeno qui in Veneto siamo stufi di aspettare e subire". Veneto: Sinigaglia (Pd); ritardi per chiusura Opg rischiamo sanzioni e commissariamento Ansa, 13 marzo 2015 "Sulla chiusura obbligatoria degli ospedali psichiatrici giudiziari la Regione Veneto è in grave ritardo e rischia il commissariamento". Lo dichiara in una nota il consigliere regionale del Pd Claudio Sinigaglia, in riferimento alla legge n. 81 del 30 maggio 2014, che fissa al 31 marzo la chiusura degli Opg. "Il Veneto - aggiunge - rischia di essere l'unica Regione in Italia a non aver individuato la Rems (Residenza Esecuzione Misure di Sicurezza) provvisoria per ospitare 20 persone ritenute indismissibili, perché socialmente pericolose. Zaia e i suoi sanno benissimo che non ci saranno deroghe e che rischiano appunto il commissariamento". "In attesa della realizzazione della Rems definitiva prevista a Nogara - conclude, mi chiedo perché nulla nel frattempo sia stato fatto, anche con l'aiuto del terzo settore. Le conseguenze per questo immobilismo sono anche di natura economica, visto che il Veneto dovrà pagare l'inserimento a Reggio Emilia di queste persone, con il relativo aggravio di lavoro per le strutture legate al dipartimento di salute mentale. Quanto ci costerà questo ritardo?". Sardegna: Consigliere Busia (Cd); governo eviti l'arrivo di tutti detenuti ex 41 bis Dire, 13 marzo 2015 "Vogliamo evitare assolutamente che i detenuti ex 41 bis arrivino tutti in Sardegna perché le conseguenze economiche sarebbero gravissime". Lo dice Anna Maria Busia, consigliere regionale del Centro democratico in Sardegna, intervistata dalla Dire a margine della conferenza stampa a Montecitorio sulla presentazione della mozione per la Sardegna. "Stiamo facendo di tutto per scongiurare questa cosa, non si può pensare di concentrare 5-600 detenuti particolari in un'unica regione. È una scelta scellerata che non ha fatto questo governo, ma che questo governo deve bloccare". "Nel 2009- ricorda- all'interno del pacchetto sicurezza è stata introdotta una norma che stabilisce che i detenuti speciali ex 41 bis debbano andare nelle zone insulari. A partire da quel momento ci sono stati interventi anche economici perché si creassero bracci speciali nelle carceri sarde". Uil-Pa lancia allarme per organici a Nuchis Il Coordinamento regionale della Uilpa penitenziari lancia l'allarme per l'istituto di Nuchis: carenza organica, mancata istituzione del Nucleo traduzione e piantonamenti, sono le criticità maggiormente riscontrate nel corso di una visita effettuata da una delegazione del sindacato composta dai segretari Francesco Piras, Michele Cireddu e Stefano Musino al carcere di Tempio Pausania. La Uil-pa mette in evidenza come all'interno del penitenziario "su 36 ispettori e sovrintendenti previsti dalla pianta organica ministeriale ne sono stati assegnati solo quattro, due per ruolo", con una carenza in organico "pari a 45 unità", che avrebbe portato ad un cumulo di congedi ordinari pari a 56 giorni per agente. Inoltre il sindacato precisa come nel nuovo carcere, realizzato nella frazione di Nuchis, non sia ancora stato istituito "il Nucleo traduzioni e piantonamenti, questo di fatto determina la soppressione di posti di servizio all'interno delle sezioni per inviare gli agenti a svolgere le traduzioni", un sovraccarico della mole di lavoro che "mette a rischio la sicurezza degli stessi lavoratori". Ma se da una parte la Uilpa rende merito alle capacità del personale (nel 2014 non ci sono stati tentativi di suicidio o atti autolesionistici; sono stati quattro gli episodi di aggressione tra detenuti; cinque deferimenti all'Autorità giudiziaria e 40 i rapporti disciplinari) dall'altro lancia l'allarme sul numero dei detenuti: "La capienza regolamentare è pari a 167 posti ma attualmente sono ristretti 212 detenuti". Emilia Romagna: il Presidente Rossi "pronti per la chiusura degli Opg a fine mese" La Presse, 13 marzo 2015 Gli ospedali psichiatrici giudiziari, noti come Opg, chiuderanno il prossimo 31 marzo e l'Emilia-Romagna è pronta, secondo quanto prevede la legge, ad accogliere i pazienti psichiatrici con problemi giudiziari nelle Rems, le Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza sanitaria. Lo ha confermato il sottosegretario alla presidenza della Regione, Andrea Rossi, in visita oggi alla struttura Opg di Reggio Emilia con il sindaco della città Luca Vecchi, il presidente della Provincia Giammaria Manghi e la consigliera regionale Ottavia Soncini. "La nuova legge prevede che ogni Regione - ha detto Rossi - si doti di strutture in grado di accogliere queste persone secondo le modalità previste dalle nuove norme. Noi siamo pronti, e il 31 marzo sarà possibile procedere al superamento dell'Opg con la collocazione delle 24 persone di cui dobbiamo farci carico (sulle 136 ora presenti all'Opg) in due Rems provvisorie, per qualche tempo, in attesa del completamento delle strutture definitive". "Con la realizzazione di queste strutture - ha aggiunto il sottosegretario - credo che possiamo cogliere l'occasione per recuperare nei fatti una funzione terapeutico-risocializzatrice, molto diversa dalla concezione di pena manicomiale. Ora occorre allargare gli strumenti di collegamento con la società, per abbattere le barriere e aprirsi alla comunità". Per rispondere a quanto prevede la legge, la Regione ha stanziato 11,5 milioni di euro, di cui 6 servono alla realizzazione delle Rems, mentre i rimanenti andranno a potenziare servizi e strutture esistenti. Superato il concetto di cella, la Rems si presenterà come una residenza psichiatrica, ma con maggiori caratteristiche di sicurezza. Macomer (Nu): il carcere è sprangato… ma per il ministero è ancora in attività di Tito Giuseppe Tola La Nuova Sardegna, 13 marzo 2015 Macomer, i dati lo conteggiano ai fini della capienza Caligaris: "Un'incongruenza che crea sovraffollamento". Dal mese di dicembre dentro le mura del carcere di Macomer non c'è più un solo detenuto, ma per il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è ancora operativo. Il 29 febbraio il ministero di Grazia e giustizia ha diffuso i dati sulla situazione delle carceri italiane e nell'elenco figurano ancora quello di Iglesias e quello di Macomer, che da alcuni mesi sono stati svuotati, ma sulla carta è come se fossero in funzione. Le due strutture vengono conteggiate ai fini dell'indicazione della capienza regolamentare: Bonu Trau a Macomer 46 posti, Sa Stoia di Iglesias 62. Praticamente è come se fossero aperte. Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme" ha rilevato l'incongruenza sottolineando che "a fronte di questa disponibilità risultano invece in sofferenza per sovraffollamento ancora tre istituti". È comunque singolare che mentre il ministro Andrea Orlando risponde ai parlamentari e agli amministratori del comune di Macomer che portano avanti la battaglia per il carcere che ormai non c'è più niente da fare perché si è di fronte a scelte definitive, dall'altro si mettono in conto i posti delle due strutture carcerarie. "La Sardegna registra attualmente la presenza di 1.834 detenuti (40 donne e 421 stranieri) con 2.774 posti regolamentari - fa osservare Maria Grazia Caligaris -, tuttavia la distribuzione delle persone private della libertà risulta disomogenea con una concentrazione negli istituti di Oristano (285 detenuti, la maggior parte in regime di alta sicurezza, per 266 posti) e di Tempio Pausania (198 per 167 posti) dove per far fronte al sovraffollamento è stato necessario introdurre la terza branda in diverse celle destinate a due persone. In difficoltà anche Lanusei con 40 persone per 34 posti. Mentre la casa circondariale di Sassari-Bancali è al limite della capienza (331 detenuti per 363 posti). Un'eccedenza di disponibilità di spazi si registra nelle colonie penali (complessivamente tra Mamone, Isili e Is Arenas si tratta di 561 posti) e nella casa di reclusione di Alghero (67 detenuti per 158) dove però è in atto un progetto innovativo trattamentale per il reinserimento sociale dei condannati". Per la presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme" le incongruenze sono evidenti. Mentre si continua a riempire strutture già sature, rimangono vuote quelle che sarebbero in grado di dare risposta ai problemi di sovraffollamento per i quali lo Stato italiano è stato in mora dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e dalle associazioni umanitarie. "Facendo un po' di conti - conclude Caligaris - la Sardegna non sembra quella felice realtà che il Dipartimento rappresenta con i numeri. È quindi opportuno un approfondimento sulle reali disponibilità e occorre fare chiarezza sul destino delle strutture penitenziarie di Macomer e Iglesias anche perché se come più volte ribadito dal Ministero devono restare chiuse, non si comprende perché risultino disponibili 108 posti ormai cancellati". Prosegue intanto la battaglia per riaprire il carcere anche con soluzioni alternative alla detenzione ordinaria. Brugherio (Mi): inaugurato un appartamento per detenuti in progetto "Housing Sociale" www.monzatoday.it, 13 marzo 2015 L'alloggio, grazie alla collaborazione del comune di Brugherio con la cooperativa sociale Monza 2000, ospiterà detenuti con residuo pena ridotto, sottoposti a un percorso di reinserimento sociale e lavorativo grazie alla buona condotta dimostrata durante il periodo di reclusione. Mercoledì sera a Brugherio alla presenza del sindaco Marco Troiano c'è stato il taglio del nastro per un appartamento destinato a ospitare detenuti avviati a un processo di reinserimento sociale e lavorativo. L'alloggio, situato in via Nazario Sauro 149, e confiscato alla criminalità organizzata, con la delibera n 236 del 27-10-2010 è stato ceduto alla cooperativa sociale Monza 2000 a r.l. per la realizzazione del "Piano Regionale per la promozione e lo sviluppo di una rete a favore delle persone sottoposte a provvedimenti dell'autorità giudiziaria e delle loro famiglie". L'abitazione è stata destinata al reinserimento sociale e lavorativo di persone con esperienza di detenzione con residuo di pena tale da poter usufruire di permessi premiali e di misure esterne al carcere. Il progetto, realizzato in collaborazione con l'Ambito territoriale di Monza-Brugherio e Villasanta, si fonda su alcune abitazioni/alloggi, dislocati nei comuni della provincia, fra i quali, anche Brugherio. Le persone che verranno inserite negli appartamenti saranno accuratamente selezionate e godranno di questa possibilità grazie ai comportamenti corretti assunti durante il periodo detentivo. La loro permanenza avrà una durata massima di 12 mesi complessivi con sei mesi iniziali più una eventuale proroga. La persona ospitata, al momento dell'ingresso, sottoscriverà il cosiddetto "Patto di Buona Convivenza", che definisce la permanenza nella struttura, e regolamenta i comportamenti reciproci da tenere sia all'interno sia all'esterno della casa. Oltre al primo cittadino brugherese alla cerimonia di inaugurazione era presente l'Assessore alle Politiche sociali Miriam Perego e il coordinatore referente del Progetto Paolo Piffer della Cooperativa Sociale Monza 2000. "Grande inaugurazione di un nuovo appartamento sequestrato alla criminalità organizzata" - ha commentato soddisfatto Piffer - "Da oggi quel luogo ritornerà a vivere regalando a molti la possibilità di un riscatto sociale. La solidarietà dei vicini di casa è stata straordinaria. Un grazie particolare al Sindaco Marco Troiano e alla sua sensibilità". Santa Maria Capua Vetere: Esposito, Foglia e Antigone, al carcere ancora carenza idriche www.campanianotizie.com, 13 marzo 2015 Ieri, 12 marzo 2015, una delegazione composta dall'On. Lucia Esposito, dall'avv. Mauro Foglia e da Antigone si è recata in visita presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere. Il carcere sammaritano, al momento della visita, presentava 1050 detenuti effettivamente presenti, di cui 417 in alta sicurezza. Le donne detenute ammontavano a 77 unità. "Stamane ho potuto constatare i gravi problemi riguardo l'approvvigionamento idrico nella Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere, un tema annoso che è presente già dalla nascita della struttura, dotata di un impianto di potabilizzazione, ma non allacciata alla infrastruttura idrica cittadina. Tutto ciò lede il diritto, dei detenuti e del personale, di fruire di acqua come gli altri cittadini, causando anche esborsi non irrilevanti per la direzione della struttura, in caso di emergenze e manutenzioni specifiche. Il Presidente della giunta regionale, tempo fa, ha siglato un accordo con il provveditorato regionale degli affari penitenziari, teso a finanziare le opere necessarie a restituire il diritto vitale all'accesso all'acqua per la popolazione detenuta nella casa circondariale sammaritana, impegnandosi al finanziamento dei lavori necessari. È ora di mettere in atto ogni determinazione che possa rendere esecutiva questa disponibilità, e a questo proposito preparerò una interrogazione da presentare nel primo Consiglio Regionale utile. Ho avuto modo, inoltre, di verificare l'encomiabile impegno della direzione della casa circondariale, del personale della polizia penitenziaria, degli operatori sociali presenti. Mi riserverò, inoltre, una verifica presso l'Asl competente riguardo i servizi erogati ai detenuti con patologie psichiatriche ospitati nel plesso", ha dichiarato l'On. Lucia Esposito, Consigliera regionale della Campania. "Nel carcere è presente una sezione destinata ad accogliere i detenuti con patologie psichiatriche: al momento della visita erano presenti 20 detenuti, di cui almeno due (C. R. e G. R.) in sezione da circa un anno: è una forma di internamento contraria alle norme in materia. Auspichiamo che tali illegittimità vengano preso rimosse". È quanto dichiara Mario Barone, presidente di Antigone-Campania e componente dell'Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione. Cagliari: tornano le Giornate Fai, porte aperte per l'ex carcere di Buoncammino Ansa, 13 marzo 2015 L'ex carcere di Buoncammino a Cagliari, che apre per la prima volta al pubblico, l'ospedale San Francesco a Nuoro, la chiesa di Santa Maria di Betlem a Sassari, le antiche carceri de La Rutunda a Tempio. Sono le quattro tappe sarde inserite nelle Giornate Fai di Primavera, la campagna in difesa dei beni culturali che giunge alla 23/a edizione. Sabato 21 e domenica 22 marzo, da mattina a sera, volontari e ciceroni di ogni età, dagli scolaretti delle primarie sino agli studenti delle superiori, accompagneranno i visitatori lungo un percorso avvincente fra alcuni dei gioielli dell'isola, per lo più ancora sconosciuti al pubblico. "L'obiettivo - ha spiegato la presidente del Fai, Maria Antonietta Mongiu - è sensibilizzare al recupero dei luoghi, promuovere e valorizzare il patrimonio storico archeologico, paesaggistico e artistico". La tappa sassarese offre ai visitatori il complesso monumentale di Santa Maria di Betlem, custode dei candelieri, il convento e la ricca biblioteca. A Nuoro apre le porte il vecchio ospedale, edificio storico nel centro città. Un altro luogo che è stato di sofferenza sarà meta dei visitatori in questo week-end: il carcere nel centro storico di Tempio. Nelle due giornate si esibiranno nella piazza antistante l'ex carcere di Buoncammino una serie di artisti locali. Sarà presente anche uno stand del Consorzio Pecorino Romano in collaborazione con gli alunni dell'istituto Enogastronomico Azuni. La Spezia: Prefetto in visita alla Casa Circondariale, ringrazia il personale penitenziario Gazzetta della Spezia, 13 marzo 2015 In data 10 marzo c.a., il Prefetto, dott. Mauro Lubatti, si è recato in visita alla locale Casa Circondariale dove è stato accolto dal Direttore Maria Cristina Bigi e dal Comandante del Reparto della Polizia Penitenziaria Tiziana Babbini. Lo stesso ha avuto modo di visitare le aree detentive, le camere di pernottamento dei detenuti, le sale colloqui, l'infermeria dell'istituto, le scuole, le aree dedicate alle attività trattamentali, comprese le officine, nonché quelle di passeggio ed il campetto di calcio. Si è a lungo soffermato a colloquiare con il personale della polizia penitenziaria, con il personale sanitario e con i detenuti che stavano frequentando i corsi scolastici. Durante la visita ha colto l'occasione per ringraziare il personale penitenziario per la professionalità e sensibilità dimostrata nello svolgimento dei delicati compiti, ha evidenziato la finalità educativa del periodo di detenzione che deve costituire, sia un arricchimento personale dal quale trarre insegnamento per il futuro, sia un utile apprendimento per il domani lavorativo. La visita del Prefetto è un segno di vicinanza tangibile delle Istituzioni alle problematiche del mondo carcerario e di tutti i soggetti che operano ogni giorno, con senso del dovere e responsabilità, al fine di garantire una convivenza serena all'interno dell'Istituto penitenziario della Spezia. Il Direttore e il Comandante al termine dell'incontro hanno ringraziato il Prefetto per l'attenzione e la vicinanza dimostrata. Siena: un incontro per conoscere la storia della Compagnia della Fortezza www.quinewsvolterra.it, 13 marzo 2015 Un incontro prima dello spettacolo al Teatro dei Rinnovati di Siena per conoscere la storia della Compagnia della Fortezza di Armando Punzo. In attesa di rivedere in scena la Compagnia della Fortezza con Santo Genet, in programma il 27 marzo al Teatro dei Rinnovati di Siena, la prossima occasione per chi vuole incontrare e conoscere la storia della Compagnia dei detenuti attori di Volterra, è per domani, venerdì 13 marzo alle 18 nell'Auditorium HB di Poggibonsi. La storia di una compagnia che da 27 anni, sotto la direzione di Armando Punzo, ha totalmente rivoluzionato il Carcere di Volterra trasformandolo da Istituto di Pena in Istituto di Cultura e diventando un'esperienza teatrale unica nel suo genere e riconosciuta a livello internazionale. L'evento di domani Mercuzio e altre utopie realizzate. Il teatro della Compagnia della Fortezza. sarà il preludio a una serie di attività preliminari che condurranno alla replica di Siena. Infatti, l'Associazione la Scintilla ospita nell'Auditorium HB un avvincente racconto teatrale che attraverserà i momenti più importanti della Compagnia, con la presentazione di estratti degli spettacoli più importanti fino ad oggi realizzati, interpretati da Armando Punzo e da Aniello Arena, con le suggestioni delle musiche di scena di Andrea Salvadori e la proiezioni frammenti di film e video di alcuni spettacoli storici. Filo rosso della serata saranno, ancora una volta, le ultime pubblicazioni editoriali e musicali della Compagnia della Fortezza: Armando Punzo, È ai vinti che va il suo amore - i primi venticinque anni di autoreclusione con la Compagnia della Fortezza di Volterra, Clichy 2013; Aniello Arena con Maria Cristina Olati, L'aria è ottima (quando riesce a passare). Io, attore, fine-pena-mai, Rizzoli 2013; Andrea Salvadori, cd delle musiche di scena degli spettacoli Hamlice - Saggio sulla fine di una civiltà, Mercuzio non vuole morire e Santo Genet. La serata, a ingresso libero, sarà coordinata da Chiara Fabene con un intervento di Alessandro Fo. Roma: "Oltre i tre metri quadri", presentazione del XI Rapporto di Antigone sulle carceri Ristretti Orizzonti, 13 marzo 2015 "Oltre i tre metri quadri": XI Rapporto Antigone sulle carceri (Foto di Associazione Antigone). Martedì 17 marzo (ore 11.00) a Roma, presso il CESV (via Liberiana 17), Antigone presenta "Oltre i tre metri quadri", l'XI Rapporto sulle condizioni di detenzione nelle carceri italiane. Verranno illustrati numeri, dati e storie riguardanti le condizioni di vita nei 206 istituti penitenziari del paese. Verrà inoltre presentato l'aggiornamento di Inside Carceri, il webdoc inchiesta sulle prigioni italiane iniziato nel 2012 dall'agenzia giornalistica indipendente Next New Media e Antigone. La nuova versione contiene nuovi dati sulle condizioni carcerarie e nuove infografiche che consentono anche il confronto storico con i dati di due anni fa. Inoltre sono state inserite nuove foto nel reportage e sono state aggiornate tutte le schede relative agli istituti per capire come sono cambiate le condizioni di vita nei principali carceri italiani. Complessivamente il reportage conta circa 40 video e 200 foto che Next New Media e Antigone hanno deciso di lasciare liberamente utilizzabili dai mezzi di informazione (senza possibilità di alterarne i contenuti). Il webdoc, realizzato da Next New Media e Antigone, è navigabile con qualsiasi browser e device mobile. www.associazioneantigone.it. Radio: oggi gli Ospedali psichiatrici giudiziari protagonisti a "La Radio ne parla" (Rai1) Italpress, 13 marzo 2015 Quale futuro attende le circa settecento persone internate negli ospedali psichiatrici giudiziari, che il 31 marzo chiuderanno i battenti, secondo la legge 81/2014? Come avverranno le dismissioni? Quali regioni sono pronte a gestire i passaggi successivi? E la collettività cosa pensa di tutto questo? Sono gli argomenti al centro della puntata del programma di Radio1 Rai "La Radio ne parla", che venerdì 13 marzo, dalle 10.00 andrà in onda in diretta dall'Opg di Castiglione Delle Stiviere (l'unico che ha anche una sezione femminile), dando la parola a personale sanitario, volontari e internati. In gioco il forte impatto che avrà sulla collettività il destino dei cosiddetti "folli rei" (le persone inferme di mente che hanno commesso gravi reati) tra paura e pregiudizi. Ilaria Sotis, in conduzione, fa il punto sull'applicazione della legge con interviste al Dipartimento per l'Amministrazione Penitenziaria, ai partecipanti al movimento Stop Opg e ai familiari delle persone con disabilità intellettiva. La prima diretta di Radio Rai da un Ospedale psichiatrico giudiziario La trasmissione "La Radio ne parla" trasmetterà dalle ore 10.00 dall'Opg di Castiglione delle Stiviere, l'unico con una sezione femminile. In discussione la chiusura di queste strutture entro il 31 marzo. Quale futuro per gli internati? Quale futuro attende le circa settecento persone internate negli Ospedali psichiatrici giudiziari, che il 31 marzo chiuderanno i battenti, secondo la legge 81/2014? Come avverranno le dismissioni? Quali regioni sono pronte a gestire i passaggi successivi? E la collettività cosa pensa di tutto questo? Sono gli argomenti al centro della puntata del programma di Radio1 Rai "La Radio ne parla", che venerdì 13 marzo, dalle ore 10 andrà in onda in diretta dall'Opg di Castiglione Delle Stiviere (l'unico che ha anche una sezione femminile), dando la parola a personale sanitario, volontari e internati. In gioco il forte impatto che avrà sulla collettività il destino dei cosiddetti "folli rei" (le persone inferme di mente che abbiano commesso gravi reati) tra paura e pregiudizi. Conduce Ilaria Sotis per fare il punto sull'applicazione della legge con interviste al Dipartimento per l'Amministrazione Penitenziaria, ai partecipanti al movimento Stop Opg e ai familiari delle persone con disabilità intellettiva. Immigrazione: se l'accoglienza si trasforma in un business di Andreina Albano (Arci) Il Manifesto, 13 marzo 2015 Quanto si apprende sulle inchieste che riguardano il Cara di Mineo, aperte dalle procure di Catania e Caltagirone, dopo la denuncia di Raffaele Cantone sull'irregolarità della gara d'appalto per la gestione, non fa che confermare quel che da tempo andiamo denunciando. Rifugiati e richiedenti asilo rischiano di diventare una merce su cui fare affari. Lo sono per i trafficanti di esseri umani, che solo con l'apertura di canali di ingresso umanitari e legali si potrebbero efficacemente contrastare. Ma potrebbero diventarlo anche per un sistema d'accoglienza che va profondamente ripensato, per evitare le infiltrazioni criminali nella gestione degli appalti e per garantire condizioni di vita dignitose e possibilità di integrazione per chi viene "accolto". Non a caso lo scandalo ora è scoppiato al Cara di Mineo, il più grande d'Europa, dove il controllo sulle condizioni in cui sono tenuti i rifugiati e l'integrazione col territorio in cui è insediato sono praticamente impossibili. Controllo e integrazione sono infatti possibili solo in strutture piccole, inserite in comunità dove sia stato fatto un lavoro preventivo di sensibilizzazione, con personale preparato, che si occupi dell'inserimento sociale e lavorativo di chi vi è ospitato. Auspichiamo che quest'ennesimo episodio di malaffare - se le accuse verranno confermate - serva a far aprire una riflessione seria nelle istituzioni, avendo ben chiaro che l'interesse da considerare prioritario dev'essere quello delle persone che vengono accolte. Così come ci auguriamo che per una volta chi, per propaganda politica, specula su queste vicende cercando di convincere l'opinione pubblica che migranti e rifugiati vanno semplicemente respinti - e magari lasciati affogare - abbiano il buon gusto di astenersi da qualsiasi commento razzista. Il danno vero del nostro Paese sono la corruzione e il malaffare, non le persone che raggiungono le nostre coste per fuggire da guerre e violenze. Droghe: cannabis, "coltivarla è veramente reato?" www.quibrescia.it, 13 marzo 2015 Una riflessione sulla coltivazione di cannabis. Lo propone la segreteria provinciale di Sel, dopo la notizia che, La Corte d'Appello di Brescia, ha sospeso il processo a un commerciante trovato con dei vasi di canapa, in quanto "non ci può essere disparità di trattamento tra chi detiene a uso personale e chi coltiva". Ora la decisione spetta alla Consulta. "Ancora una volta nel Bel Paese in cui viviamo", si legge nella nota di Sinistra Ecologia e Libertà, "è la magistratura a surrogare la mancanza della politica. Come accadde per la nefasta Fini/Giovanardi, che dopo anni di malsana applicazione venne in un lampo cancellata dalla Consulta, anche in questo caso nella Corte d'Appello di Brescia si sollevano dubbi di costituzionalità, e si rimanda la decisione finale alla Consulta". I giudici hanno specificato che i coltivatori per uso personale non vanno a intaccare il cuore della legge antidroga, che consiste nel "combattere il mercato della droga, che pone in pericolo la salute pubblica la sicurezza e l'ordine pubblico, nonché il normale sviluppo delle giovani generazioni". "Finalmente, se la Consulta appoggerà la tesi della Corte d'Appello di Brescia, coltivare canapa indiana non sarà dunque più reato. Ovviamente se ciò accadesse sarebbe una bella notizia, a parte il fatto che debba essere sempre e comunque la magistratura, un giudice, una consulta di giudici, a dire che la politica ha sbagliato per anni a criminalizzare una grande fetta di italiani". "Nel 1993?, conclude Sel, "votammo il referendum che sanciva che il consumo di sostanze non era più reato, ma comunque le nostre carceri sono state riempite di consumatori, coltivatori per uso personale, di detentori di sostanze fino a poco tempo fa. ?Ci piacerebbe che nella politica valesse il Principio di Responsabilità? quando si fanno le leggi sulla pelle delle persone, perché non è per niente giusto subire il torto di una legge ingiusta ed iniqua, soprattutto se poi la pena inflitta arriva a limitare o addirittura a togliere la libertà personale". India: ennesimo rinvio per i marò, il Tribunale di Nuova Delhi fissa udienza l'1 luglio Corriere della Sera, 13 marzo 2015 Il ricorso italiano ancora all'esame della Corte Suprema che dovrebbe pronunciarsi nel merito a fine marzo. Nuova calendarizzazione davanti ai giudici del massimo tribunale Il tribunale speciale di Nuova Delhi ha rinviato l'udienza dei due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone "al primo luglio, in attesa di una pronuncia della Corte Suprema che sta esaminando il caso". Il giudice Neena Bansal Krishnam ha rinviato la prossima udienza dopo aver ricevuto informazioni sull'udienza svoltasi martedì nella Cancelleria della stessa Corte, ha fissato la nuova data. La più alta istanza giudiziaria indiana deve ancora esprimersi sul merito del ricorso presentato dai legali dei due marò contro l'utilizzo nelle indagini dell polizia antiterrorismo Nia. Martedì scorso 10 marzo, la cancelleria della Corte suprema ha completato l'istruttoria del ricorso; e la prossima udienza, che esaminerà nel merito il ricorso, potrebbe essere calendarizzata forse già entro la fine di marzo. Prima di prendere la decisione, il magistrato ha avuto una breve discussione con i legali dei due militari italiani e ha visionato l'ordine di sospensione degli atti processuali emesso dalla tempo fa dalla Corte suprema. Da qui sarebbe maturata la convinzione che il procedimento richiede ancora tempo e che inoltre si dovrà tenere conto di una fase di sospensione dell'attività legata alle ferie giudiziarie, tra il 17 maggio e il 30 giugno. Un rinvio e un ritardo che indigna Elio Vito di Forza Italia, presidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati. "Marò, nuovo rinvio e nuova udienza fissata al 1 luglio, ma basta. Governo italiano svegliati", ha scritto in un tweet. "Nell'indifferenza generale continuano ad allungarsi i tempi, viene nuovamente rinviata l'udienza che dovrebbe finalmente risolvere la vicenda dei nostri due marò in India. È vergognoso. È un classico esempio di come ormai gli interessi economici prevalgano sulla politica, sui principi, sui valori, sulle leggi". Lo dichiara in una nota Potito Salatto, vicepresidente nazionale dei Popolari per l'Italia e membro del bureau PPE a Bruxelles.Renzi, Gentiloni, Mogherini, se ci siete battete un colpo in nome della vostra stessa credibilità. Gli italiani lo aspettano da tempo". Il caso dei marò italiani, da tre anni protagonisti di un'odissea giudiziaria di cui non si vede la fine, è solo uno dei milioni in attesa di giustizia dal tortuoso sistema indiano. Secondo dati presentati in Parlamento nel 2013, sono 30 milioni i processi in attesa di giudizio nei vari tribunali indiani. Brasile: caso Battisti; l'ex terrorista rosso arrestato e scarcerato dopo 7 ore Agi, 13 marzo 2015 È durata appena 7 ore la carcerazione di Cesare Battisti. L'ex terrorista rosso, condannato in Italia a quattro ergastoli per altrettanti omicidi, è stato liberato dopo il suo arresto. Il tribunale ha accolto la richiesta di scarcerazione avanzata dal suo avvocato, Igor Sant'Anna Tamasauskas, che aveva annunciato ricorso in appello contro l'ordine di espulsione, definendolo incostituzionale. Battisti era stato fermato dalla Polizia Federale a Embu das Artes, nella regione di San Paolo del Brasile, che gli aveva notificato un ordine di custodia di tipo amministrativo al fine di poterlo espellere. Il 3 marzo scorso la Giustizia federale brasiliana aveva deciso di annullare l'atto del Governo federale che consentiva la sua permanenza nel paese sudamericano, dove vive dal 2004. L'ex terrorista potrebbe ora essere estradato in Francia o in Messico, paesi in cui Battisti visse dopo essere fuggito dall'Italia e prima di arrivare in Brasile. Secondo il quotidiano brasiliano Otempo, il giudice della Corte Federale di Brasilia, Adverci Tariffe, ha deciso che la sua espulsione deve verificarsi entro il 26 marzo. Venezuela; eurodeputati chiedono rilascio immediato dei manifestanti arrestati Il Velino, 13 marzo 2015 Strasburgo approva risoluzione in cui si chiede la fine della persecuzione politica e della repressione dell'opposizione democratica. Le autorità venezuelane devono rilasciare immediatamente tutti i manifestanti pacifici, studenti e leader dell'opposizione arbitrariamente detenuti per aver esercitato il loro diritto alla libertà di espressione e dei diritti fondamentali. È quanto si legge in una risoluzione approvata giovedì dal Parlamento europeo, che invita il governo guidato da Maduro a mettere fine alla persecuzione politica e alla repressione dell'opposizione democratica. Nella risoluzione, approvata con 384 voti a 75, con 45 astensioni, i deputati chiedono alle autorità di rilasciare immediatamente Antonio Ledezma, Leopoldo Lopez, Daniel Ceballos. Il governo, aggiungono gli eurodeputati, deve anche creare un ambiente in cui i difensori dei diritti umani e le organizzazioni non governative indipendenti possano fare il loro legittimo lavoro di promozione dei diritti umani e della democrazia e garantire la sicurezza di tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro opinioni politiche e affiliazioni. Gli eurodeputati sottolineano inoltre la particolare responsabilità del Venezuela, come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, a rispettare lo stato di diritto e del diritto internazionale. Russia: caso Nemtsov, interrogata giornalista che ha denunciato torture su Azur Dadayev Agi, 13 marzo 2015 Sarà interrogata oggi Eva Merkacheva, la giornalista del quotidiano Moskovsky Komsomolets e coordinatrice del progetto Gulagu.net che mercoledì ha denunciato che sarebbe stata estorta con la tortura la confessione del presunto assassino di Boris Nemtsov. Lo scrive il sito del Moskovsky Komsomolets, secondo il quale la donna sarà sentita in qualità di testimone nell'ambito del procedimento penale sull'omicidio dell'oppositore politico. La giornalista aveva scritto che il ceceno Azur Dadayev, in carcere a Mosca e già incriminato, aveva subito abusi e pressioni per indurlo a confessare il delitto. Il comitato investigativo ha presentato una denuncia sia nei suoi confronti che di quelli dell'attivista Andrei Babushkin, che dopo aver fatto visita in carcere al detenuto hanno riferito sulla stampa quanto loro raccontato dall'uomo, il quale si professerebbe innocente nonostante il giudice abbia reso nota domenica la sua confessione. Babushkin, scrive sempre il Moskovsky Komsomolets, è stato già interrogato ieri in tarda serata. La redazione del giornale continua a sostenere l'illegittimità delle azioni del Comitato investigativo denunciando pressioni sulla giornalista in violazione all'articolo 144 del codice penale su "ostacoli alle legittime attività professionali del giornalista". Iran: Onu; 753 persone giustiziate nel 2014, numero più alto in 12 anni Aki, 13 marzo 2015 Inviato delle Nazioni Unite chiede rilascio 30 giornalisti e blogger in carcere, stop a limitazioni libertà espressione. Sono almeno 753 le condanne a morte eseguite in Iran nel 2014, il numero più alto in 12 anni. Lo denuncia l'inviato delle Nazioni Unite in Iran, Ahmed Shaheed, riferendo al Consiglio Onu per i diritti umani a Ginevra. Illustrando i dati, Shaheed ha chiesto alle autorità iraniane di revocare la condanna capitale per reati legati alla droga o commessi in età minorile, e di rispettare di standard processuali riconosciuti a livello internazionale. L'inviato dell'Onu ha quindi chiesto a Teheran di revocare le leggi che limitano le libertà di espressione e di stampa, di togliere il blocco imposto ad alcuni siti Internet e di rilasciare i 30 giornalisti e blogger dietro le sbarre dal maggio 2014. Tra questi, anche il giornalista del Washington Post Jason Rezaian. Vanno annullate, ha continuato Shaheed, quelle leggi che "limitano la stampa, penalizzano l'espressione, limitano l'accesso all'informazione e danno luogo a continui arresti di esponenti della società civile e di membri di gruppi vulnerabili, comprese le minoranze religiose ed etniche". "I giornalisti arrestati o processati sono spesso accusati di contatto con i media stranieri e sono presi di mira per aver criticato capi di governo o per aver discusso di questioni politiche delicate", ha detto Shaheed. Inoltre, ha continuato, "continua il blocco e il filtraggio di siti Web". "Va data alta priorità all'abolizione delle leggi che minacciano o violano i diritti riconosciuti a livello internazionale", ha scritto l'ex ministro degli Esteri delle Maldive Shaheed nel suo rapporto annuale di 81 pagine. A Shaheed è stato negato l'accesso all'Iran e il suo rapporto si basa su interviste condotte con persone contattate nella Repubblica Islamica o con esuli che vivono all'estero. Iran: l'appello di Muhammad Ali "liberate il giornalista del Washington Post in carcere" Aki, 13 marzo 2015 La leggenda del pugilato, Jason Rezaian è un uomo di pace. La leggenda del pugilato Muhammad Ali lancia un appello per la liberazione del giornalista del Washington Post Jason Rezaian, detenuto in Iran dal luglio dell'anno scorso. In una dichiarazione diffusa tramite il National Press Club di Washington e rilanciata dal Washington Post, Ali afferma: "Spero sinceramente che il governo e la magistratura iraniani pongano fine alla prolungata detenzione del giornalista Jason Rezaian e gli garantiscano l'accesso a tutte le vie legali". Rezaian è stato arrestato a Teheran insieme alla 30enne moglie iraniana Yeganeh Salehi lo scorso 22 luglio. Jason, 38 anni, ha la doppia cittadinanza iraniana e statunitense e lavora dall'Iran dal 2008. La Salehi, che dal 2014 lavora come corrispondente del giornale The National dalla Repubblica Islamica, è stata liberata su cauzione a ottobre. Insieme alla coppia erano stati arrestati anche altri due reporter che sono stati poi rilasciati. Le autorità iraniane non hanno mai chiarito per quale motivo il giornalista venga trattenuto nella famigerata prigione di Evin, a Teheran. Muhammad Ali, che raramente rilascia dichiarazioni pubbliche, descrive Rezaian come "un uomo di pace e di grande fede". "Sono al fianco della sua famiglia - dice - dei suoi amici e colleghi nel loro impegno per la sua liberazione". Muhammad Ali, affetto dal morbo di Parkison, avrebbe dovuto partecipare all'evento in programma per oggi al National Press Club organizzato dal fratello di Rezaian per un nuovo appello per la liberazione del giornalista. Cina: l'appello di Amnesty International per il rilascio di cinque attiviste arrestate Agi, 13 marzo 2015 Le autorità cinesi devono immediatamente far cadere le accuse e rilasciare le cinque attiviste arrestate. È questo l'appello di Amnesty International che oggi in un tweet dall'account ufficiale ha chiesto alla Cina di rilasciare le attiviste arrestate nella Giornata Internazionale della Donna per le loro proteste contro le molestie sessuali e per i diritti delle donne. Le cinque, Wei Tingting, Wang Man, Li Tingting, Zheng Churan e Wu Rongrong, sono state arrestate con l'accusa di aver "innescato liti e provocato problemi" e rischiano fino a cinque anni di carcere. Secondo alcune fonti, gli arresti sarebbero stati almeno dieci, con altre cinque donne rilasciate poco dopo. I primi arresti erano iniziati già venerdì scorso, giorno successivo all'apertura dei lavori dell'Assemblea Nazionale del Popolo, che si svolge in questi giorni a Pechino fino al 15 marzo prossimo. La prima donna arrestata è Li Tingting, nota con lo pseudonimo di Li Maizi, a Pechino, contro i casi di violenza tra le mura domestiche. La stessa sera, l'arresto di un'altra attivista di Hangzhou, Wu Rongrong, sostenitrice dei diritti dei malati di Aids. Quest'ultima, secondo quanto si legge dal sito di Amnesty, domenica avrebbe chiamato un'amica in lacrime, una chiamata però interrotta subito dopo. Secondo alcune fonti sarebbe trattenute nella stazione di polizia di Haidian a Pechino.