Giustizia: Orlando "il sistema carcerario non dà possibilità di riscatto e va ripensato" di Roberto Zichittella Famiglia Cristiana, 12 marzo 2015 "Il barometro non segna il sereno". Nel suo ufficio di via Arenula, a un passo dal Tevere, il ministro della Giustizia Andrea Orlando, 46 anni, spezzino, non sta parlando del tempo, ma dei suoi rapporti con i giudici. La legge sulla responsabilità civile dei magistrati non è stata bene accolta da parte della magistratura. Orlando, ministro di poche parole e dai toni soft, giudica alcune reazioni "sproporzionate" e in questa intervista smorza la polemica. Ministro Orlando, siamo di nuovo alla guerra fra Governo e toghe? "Io non ho mai inteso questa legge come episodio di una guerra che non c'è e che spero nessuno voglia aprire. La legge deriva da un'esigenza di revisione complessiva delle norme sulla responsabilità civile dei magistrati adottate dopo il referendum del 1987, che però non avevano funzionato. Inoltre c'era l'esigenza di evitare una pesante procedura di infrazione dell'Unione europea, ma ora che la legge è stata approvata potrà essere archiviata evitando al nostro Paese pesanti sanzioni economiche. Quindi non c'è da parte nostra alcuna volontà persecutoria. Anzi, abbiamo voluto salvaguardare da indebite pressioni e interferenze l'attività del magistrato perché la sua responsabilità scatta soltanto se si dimostra che l'errore è stato determinato da una negligenza inescusabile". Se la legge dovesse funzionare male, lei, ministro, è disposto a introdurre correttivi? "Non ho mai pensato che le segnalazioni di criticità fossero pretestuose e sono disponibile a esaminarle. In certi casi c'è stata un'eccessiva enfasi, siamo pronti, nell'eventualità, a introdurre i necessari correttivi. Intanto vediamo la quantità dei ricorsi e come potranno essere gestiti". Quindi, da parte sua, c'è piena fiducia nelle capacità dei giudici? "Le riforme che stiamo facendo in materia di corruzione e di lotta alla criminalità economica, il disegno di legge appena approvato dal Senato sui reati ambientali, riconoscono ai magistrati un ruolo molto significativo che presuppone una piena fiducia nei loro confronti. Vogliamo costruire un sistema di garanzie più forti per i cittadini e anche togliere un argomento a chi ha criticato la magistratura in questi anni. Alla fine, quando questo meccanismo funzionerà, si vedrà che la gran parte della magistratura italiana fa il suo dovere correttamente". Il sovraffollamento delle carceri, che è costato all'Italia una condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo, resta un'emergenza? "Il sovraffollamento è sceso in modo significativo e il pareggio fra il numero dei detenuti e i posti disponibili non è più fantascienza, ma un obiettivo a portata di mano. Oggi abbiamo oltre 53 mila detenuti per una capienza totale di quasi 50 mila posti". Come avete fatto, senza provvedimenti di amnistia e indulto? "Con un ricalcolo delle pene, che non sono state cancellate, soprattutto per i reati legati alla tossicodipendenza, anche in base a una sentenza della Cassazione. Abbiamo ampliato l'uso delle pene domiciliari, rimpatriato detenuti stranieri, spostato nelle comunità diversi detenuti tossicodipendenti". Però restano aperti ancora molti problemi. "Sì. Una volta raggiunto questo equilibrio non avremo ancora gli standard a cui ci richiamano la Costituzione e la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. Il principio di rieducazione e di riabilitazione spesso non è realizzato e a volte la pena è solo un intervallo fra un reato e un altro. Noi invece vogliamo consentire, a chi vuole, di riscattarsi. Il nostro è un sistema costoso e di scarsa efficienza, con uno dei tassi di recidiva più alti d'Europa. Si tratta di ripensare il meccanismo dell'esecuzione della pena. Anche per questo ho deciso di organizzare gli Stati generali delle carceri". Chi vi parteciperà? "Chiameremo esperti del settore, il mondo del volontariato, di cui il mondo cattolico è parte essenziale, intellettuali e opinionisti, per discutere non solo di come funziona il carcere, ma anche come viene percepito dall'esterno. Quante volte abbiamo sentito che si deve mettere la gente dentro e buttare via la chiave? Ma il carcere non può essere rappresentato come una discarica umana". Conferma che entro fine marzo chiuderanno gli ospedali psichiatrici giudiziari? "Sì, la scadenza del 31 marzo è confermata e non daremo proroghe alle Regioni, altrimenti procederemo con il commissariamento. Serve uno sforzo di tutti per superare questa vergogna, che ora riguarda circa 700 persone. Deve finire questa aberrazione per cui una persona malata viene sottoposta a una pena detentiva. Certo non sottovalutiamo che possono esserci internati con un alto livello di pericolosità, perciò seguiremo questo passaggio con grande attenzione". Pochi mesi fa il Papa ha definito l'ergastolo "una pena di morte nascosta". Pensa che si arriverà ad abolirlo? "Non vedo all'orizzonte il superamento di questo tipo di pena per i reati più efferati. In ogni caso nel nostro ordinamento i casi di ergastolo ostativo, che negano qualsiasi beneficio ai detenuti, non sono molti. Però le parole del Papa sono un importante stimolo alla riflessione, che va raccolto. La Chiesa può dare un contributo grandissimo per fare evolvere una mentalità diffusa nell'opinione pubblica per cui l'idea della giustizia è regredita alla dimensione della vendetta". Nelle sue visite alle carceri che cosa l'ha più colpita, in negativo e in positivo? "Non ho mai fatto grandi visite perché quando arriva il ministro di solito la situazione si edulcora. È negativa la fatiscenza degli istituti di pena, nonostante gli sforzi di chi li dirige. A questo proposito ho appena avviato un'approfondita ricognizione sulle strutture più vecchie. Trovo invece positivo il funzionamento del sistema giudiziario minorile, dove i tassi di recidiva sono scesi molto. È stata un'esperienza toccante una mattinata con i giovani reclusi di Nisida. Non so se a loro è stato utile l'incontro con il ministro, a me certamente è servito". Giustizia: il ministro Orlando firma il Regolamento del Garante nazionale dei detenuti Il Velino, 12 marzo 2015 Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha "firmato oggi il decreto ministeriale sulla struttura e la composizione dell'ufficio del Garante nazionale dei diritti e delle persone detenute o private della libertà personale. Il regolamento - si legge in una nota del ministero - dà attuazione all'articolo 7, comma 4, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146, recante Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria. L'ufficio del Garante, organo collegiale composto da un Presidente e due membri, avrà sede presso il ministero della Giustizia e si avvarrà di un organico di 25 unità di personale messo a disposizione dallo stesso Dicastero. La predisposizione della pianta organica sarà demandata alla valutazione del Garante stesso, di concerto con il ministro della Giustizia e sentite le organizzazioni sindacali". "Il Garante - prosegue il ministero - definisce gli obiettivi da realizzare e si occuperà del coordinamento con i Garanti territoriali che hanno competenza per tutti i luoghi di privazione della libertà, compresi i Cie (centri di identificazione e di espulsione) e le comunità terapeutiche, e potranno contribuire, attraverso incontri strutturati, sia a individuare gli aspetti sistemici di non funzionamento, sia alla redazione di raccomandazioni da inviare alle relative autorità nazionali o regionali. L'istituzione del Garante nazionale rappresenta una puntuale risposta alle criticità evidenziate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo con la sentenza cd. Torreggiani del 2013, circa la presenza di efficaci strumenti di tutela dei diritti delle persone private della libertà personale". Giustizia: Antiterrorismo; l'Isis è come la camorra, rischio radicalizzazione nelle carceri Ansa, 12 marzo 2015 Il web resta un potenziale luogo di reclutamento per aspiranti terroristi: "ma più del jihadismo da tastiera il pericolo di radicalizzazione arriva dalle carceri". È quello il "vero luogo" dove l'Italia rischia di veder nascere i futuri foreign fighters o, peggio, i lupi solitari pronti ad attivarsi appena fuori dalla prigione. Il direttore dell'Antiterrorismo italiano, il prefetto Mario Papa, rilancia l'allarme sul rischio che, pochi giorni fa, il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha definito "effettivo". La situazione delle carceri italiane, d'altronde, parla chiaro: su quasi 54 mila detenuti oltre 17 mila sono stranieri e di questi diecimila provengono dai paesi musulmani. Questo non vuol dire che siano tutti potenziali terroristi, ma la presenza nelle carceri di soggetti legati all'estremismo islamico potrebbe avere sui più deboli ed emarginati un effetto dirompente. Non è un caso dunque che il Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, monitori con la massima attenzione le azioni di proselitismo dietro le sbarre e sia parte integrante del Comitato di analisi strategica antiterrorismo, il tavolo con 007 e forze di polizia in cui vengono analizzate le segnalazioni e le informazioni sulle minacce relative al nostro paese. Minacce che, spiega Papa al Comitato Schengen, nell'ultimo anno sono raddoppiate e arrivano da diversi fronti. Dai lupi solitari appunto, che continuano ad essere il peggior incubo di chi deve fare prevenzione proprio per l'impossibilità di prevedere le loro mosse, ma anche dai combattenti che tornano dal fronte. Allo stato i numeri riguardanti il nostro paese restano "esigui": 65 foreign fighters legati in qualche modo all'Italia - di questi una dozzina sarebbe rientrata ed è costantemente monitorata da 007 e forze di polizia - a fronte dei 1.500 della Francia, degli 800-1.000 della Gran Bretagna, dei 650 della Germania, dei 400 di Olanda e Belgio. Ma questo vuol dire poco, perché l'Italia potrebbe diventare la meta anche di quelli partiti da altri paesi Schengen. "I numeri sono esigui ma ciò che è importante è la questione del rientro - spiega il capo dell'Antiterrorismo - anche perché i raid della coalizione e le crisi interne al movimento potrebbero accelerare il processo di ritorno. E questo è l'aspetto più inquietante, sul quale c'è la massima attenzione". La buona notizia è proprio questa, l'Isis comincia a mostrare "le prime crepe": la sconfitta a Kobane, l'attacco delle truppe irachene a Tikrit, "il prossimo appuntamento a Mosul, tra aprile e maggio". Gli estremisti "non sono sconfitti - chiarisce Papa - ma cominciano ad arrivare notizie di loro sconfitte militari. E nel momento in cui dovesse fermarsi l'espansione dello Stato islamico, parte di quelli saltati sul carro del vincitore e le stesse popolazioni locali cercherebbero protezioni diverse". Ma non solo: il movimento mostra crisi anche al suo interno. "Cominciano ad esserci scontri tra le popolazioni locali e i foreign fighters e anche tra i combattenti arrivati dall'estero: da una parte gli arabi e dall'altra gli occidentali". Nonostante ciò, l'Is "non va sottovalutata". Papa lo spiega chiaramente: è un'organizzazione "con numeri e ricchezza, capace di scatenare guerriglie sofisticate" e di mettere in atto una propaganda "da far impallidire e arrossire le migliori agenzie del settore. Usa gli strumenti di informazione occidentale per aumentare la presa sulle coscienze". Un'organizzazione, conclude, capace di "sviluppare una politica di welfare dando aiuto ai familiari dei combattenti, un salario e delle pensioni, in grado di parlare alla mente e alla pancia della gente". In una parola, un'organizzazione che "ricorda la camorra". Circa 10mila detenuti provenienti da Paesi islamici Sono 17.463 su un totale di 53.982 i detenuti stranieri presenti nelle carceri italiane, in base all'ultima rilevazione del 28 febbraio scorso. Di questi sono circa 10 mila quelli provenienti da Paesi musulmani o a maggioranza musulmana. Questo non è che una cifra indicativa, da cui non discende, è ovvio, nessun nesso automatico. Ma è chiaro che la presenza islamica nelle carceri è uno degli elementi che il Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, sta monitorando in relazioni a possibili azioni di proselitismo jihadista dietro le sbarre. Un rischio reale, "effettivo", come ha spiegato lo stesso ministro della Giustizia Andrea Orlando pochi giorni fa, che parlando di questo aspetto ha sottolineato come si debba "fare in modo che non vi siano violazioni dei diritti che possano far aumentare il consenso della popolazione islamica che non è legata a questa visione e può diventarlo di fronte a forme di discriminazione". Queste le cifre più significative che si ricavano, paese per paese, sui detenuti provenienti da zone a religione musulmana. Giustizia: Ucpi; detenzioni illegali per mancanza braccialetti elettronici, solo 2mila in uso Ansa, 12 marzo 2015 Pochi braccialetti elettronici ("solo 2mila in tutta Italia", "a fronte di un contratto decennale per decine di milioni di euro all'anno"). E il risultato di questa carenza è "l'illegale detenzione di tutti coloro che, pur avendo ottenuto gli arresti domiciliari, restano in carcere per la mancata disponibilità di mezzi di controllo". A denunciare la situazione "raccapricciante per uno Stato di diritto" è l'Unione delle Camere penali. Il suo Osservatorio sulle carceri con un sondaggio ha rilevato che "dopo oltre un anno dall'entrata in vigore della riforma dell'art. 275 bis c.p.p., che avrebbe dovuto favorire e incrementare le uscite dagli istituti di pena, la norma trova, nella maggior parte dei casi, solo un'applicazione virtuale o viene disapplicata per l'impossibilità di darne esecuzione". "Restare in carcere, pur potendo uscire, era ed è davvero inimmaginabile", protestano i penalisti; tanto più dopo che la riforma ha stabilito che "la prescrizione degli strumenti elettronici di controllo debba rappresentare la regola". Alcuni Giudici, pur evidenziando che l'interessato "potrebbe essere scarcerato, rigettano l'istanza dopo aver verificato la mancanza del dispositivo - riferisce l'Ucpi. Altri non prendono proprio in considerazione la norma per l'impossibilità di applicarla. Altri ancora mettono, solo formalmente, in esecuzione il provvedimento, in attesa che vi sia l'opportunità di usufruire di un braccialetto già utilizzato. In quest' ultimo caso non vi sono liste di attesa e la mancanza di una regolamentazione può ingenerare meccanismi di ogni tipo, laddove l'interesse in gioco è altissimo: la scarcerazione di un individuo. Inoltre, se l'attesa si protrae, la misura disposta viene revocata". Giustizia: pene più severe per ladri e rapinatori, emendamento in riforma processo penale di Liana Milella La Repubblica, 12 marzo 2015 Da due a sei anni per chi svaligia gli appartamenti, da quattro a dieci per gli assalti armati. Tra gli obiettivi c'è il blocco dei benefici a chi viene condannato. Blitz del governo contro furti in casa e rapine. Le statistiche rivelano che i due reati crescono esponenzialmente e il Guardasigilli Orlando e il suo vice Costa sposano la linea "cattivista". Per una volta, sulla giustizia, sono d'accordo Pd e Ncd dopo le tante spaccature di questi giorni su anti-corruzione e falso in bilancio. La notizia trapelata da via Arenula è che sta per essere depositato alla Camera un emendamento, da inserire nel testo sulla riforma del processo penale, per innalzare il tetto della pena per i furti in appartamento, che verrebbero puniti con un minimo di 2 anni e un massimo di 8 anni, a fronte dell'attuale forbice di uno-sei anni. Di pari passo cresce anche la pena per le rapine, dove però aumenta solo il minimo che passa da 3 a 4 anni, mentre resta fermo il massimo di 10 anni. Il gioco degli aumenti bloccherà non solo i benefici condizionali, ma anche il bilanciamento delle circostanze aggravanti e attenuanti. Raccontano i collaboratori del ministro che Orlando è letteralmente saltato sulla sedia quando ha letto gli ultimi dati del Censis. Numeri che innanzitutto documentano la spaventosa frequenza dei furti, una casa svaligiata ogni due minuti, ma anche l'aumento esponenziale con il raddoppio dei furti in dieci anni. Erano 110.887 nel 2004, ma già nel 2013 erano saliti a 251.422. Ben il 127% in più. Nello stesso periodo sono calati invece gli omicidi (-29,7%). Nel 2013 ben 15.263 persone denunciate per furti in casa, +139,6% sul 2004. Andrea Orlando e il vice ministro Enrico Costa ne parlano, ragionano su che fare e in che tempi, decidono che "bisogna agire subito". Nasce così l'idea dell'emendamento da collocare nel ddl sul processo penale, da cui Orlando non ha voluto tirar via la delega sulla riforma delle intercettazioni e in cui adesso mette un aumento di pena che può "trascinare" l'intero provvedimento per l'ovvio interesse trasversale che tutti hanno rispetto a due reati, furti in casa e rapine, odiati dalla gente che vedono violata la propria privacy. Gli aumenti di pena, come spiega Costa, "sono soprattutto funzionali a interrompere la spirale degli sconti, dal bilanciamento tra aggravanti e attenuanti, alla sospensione condizionale. Ma è ovvio che conta anche il segnale sia politico che concreto contro gli autori di furti e rapine". C'è anche un'altra coincidenza, anche questa da tenere ben presente. Con questi aumenti il governo si "copre" prima di essere ancora attaccato da chi, come la Lega, lo accusa di avere la mano troppo morbida nei confronti della criminalità di strada. Non è certo un caso che la notizia esca proprio in coincidenza con il lasciapassare definitivo, nel consiglio dei ministri di oggi, del provvedimento sulla tenuità del fatto, una delega al governo che consente di evitare il processo per i reati bagatellari, però puniti da 1 a 5 anni. Un tetto molto alto, nel quale ovviamente già adesso non rientrano furti e rapine, ma che è già costato al governo molte polemiche. Hanno protestato le donne vittime di violenza e le associazioni animaliste. Orlando ha rassicurato tutti ricordando che il giudice, per poter evitare il processo, deve avere il consenso delle vittime. Questo esclude sia le donne violentate che gli animali maltrattati. Tuttavia il dubbio resta. Strategicamente, gli aumenti di pena per reati odiosi come furti e rapine vanno nella direzione opposta. Giustizia: sfida sulla Legge Severino; Fi punta alla Consulta, tra un mese la prima scelta di Liana Milella La Repubblica, 12 marzo 2015 Da 48 ore i riflettori sono puntati sulla legge Severino, quella che ha determinato la decadenza di Berlusconi da senatore. L'ex Cavaliere si augura che cada al più presto sotto la zampata della Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo e per mano della Consulta. Un colpo che, per essergli veramente utile, dovrebbe riguardare la retroattività, su cui i giuristi hanno già versato fiumi di inchiostro. La legge è retroattiva, ha stabilito il Senato. Altrettanto hanno fatto i prefetti quando hanno chiesto la sospensione di De Magistris e De Luca. Per la semplice ragione che ineleggibilità e decadenza non sono sanzioni penali, ma amministrative. Ora la parola passa alle Corti, e c'è grande allarme nel Pd, mentre berlusconiani come l'avvocato barese e presidente della commissione Affari costituzionali Francesco Paolo Sisto, chiedono a gran voce che la legge sia cambiata subito. Diceva ieri in Transatlantico un perentorio David Ermini, il responsabile Giustizia del Pd che si auto-definisce "renziano doc": "La Severino? Cambiarla? Matteo su questo è stato perentorio, qui non si cambia nulla, soprattutto si aspetta la Consulta". Già, ancora la Corte, che oggi tiene il tradizionale incontro con il nuovo capo dello Stato Sergio Mattarella seguito da una conferenza stampa. I ritmi dei giudici sono noti. Ci vorranno ancora dei mesi, non prima di settembre, per discutere della Severino. Alla Corte è ricorso il Tar di Napoli, cui si era rivolto il sindaco Luigi De Magistris, per chiedere di non sospendere più gli amministratori locali condannati solo in primo e secondo grado. Ma nel ricorso si solleva anche la questione della retroattività. Il punto è qui, che cosa farà la Corte. Se dovesse accogliere la tesi della non retroattività la legge sarebbe condannata. È quello che vuole Berlusconi, quello che il Pd non gli vuole assolutamente concedere in questo momento, prima della Corte. Renzi, dopo primi segnali favorevoli al cambiamento, adesso appare molto più prudente perché una Severino diversa e un Berlusconi candidato cambierebbero il destino delle politiche del 2018. Alla Corte il caso Severino ha già un numeroso progressivo, n. 29/2015. I giudici aspettano che il ricorso venga pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Poi hanno 20 giorni di tempo per fissare la data in cui sarà trattato il ricorso. Ma sicuramente se ne parla dopo l'estate. Potrebbe arrivare prima il verdetto di Strasburgo che, secondo gli avvocati dell'ex Cavaliere, dovrebbero discutere il loro ricorso forse già a settembre. Impossibile fare previsioni sulla decisione che i giudici potranno prendere. Anche in passato la Corte ha considerato le leggi sulla candidabilità soprattutto amministrative. In questo caso la legge può essere retroattiva e non va cambiata. Certo potrà influire anche la composizione futura della Consulta dove oggi mancano due giudici, il sostituto di Mattarella e quello che Forza Italia non è mai riuscito a eleggere. A luglio scade un altro giudice "a destra", Paolo Maria Napolitano. La prossima settimana si vota di nuovo in Parlamento per le alte toghe. Una composizione che diventa strategica pure per il giudizio sulla Severino. Una legge sempre in bilico, come nel caso dello "spacchettamento" della concussione, protagonista anche lei della decisione dei giudici della Cassazione su Berlusconi. "Una decisione unanime". Da una Cassazione blindatissima trapela questa testimonianza sulla camera di consiglio che ha mandato assolto Berlusconi. Riunione interminabile, s'era detto a ridosso di mezzanotte, i cinque giudici chiusi lì dalle 3 del pomeriggio. Su questo, dalla Corte, arriva una puntualizzazione seccata: "Si vede che non frequentate questo palazzo e non seguite da presso i nostri lavori. In media, le camere di consiglio durano proprio lo stesso numero di ore, quindi non c'è alcuna particolarità nel caso di Berlusconi". Giustizia: ma c'è un regalo per l'Anm… la prescrizione di Rinaldo Romanelli (Componente Giunta Unione Camere Penali) Il Garantista, 12 marzo 2015 Ecco, diranno alcuni benpensanti, il processo Ruby si è concluso con la definitiva assoluzione di Berlusconi da tutte le ipotesi di reato contestate e finalmente, grazie alla nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati, qualcuno chiederà i danni ai pm che lo hanno indagato ed ai giudici che lo hanno ingiustamente condannato in primo grado! Chi sbaglia paga e qui di conseguenze dannose derivanti dall'essere stato ingiustamente processato per anni se ne possono individuare veramente tante e quindi si pagherà molto. Siamo poi nella condizione ottimale per il danneggiato, un potente che ha tutti i mezzi per intentare e coltivare costose cause: la condizione peggiore per i magistrati che a vario titolo hanno compiuto in perfetta buona fede il loro dovere ed ora si trovano esposti, come foglie al vento, alla ritorsione del più forte. Giusto o sbagliato che sia, quel che è certo è che quest'ipotesi di cui qualcuno ha parlato negli ultimi due giorni, appartiene alla sfera dell'assoluta irrealtà, e chi si avventura in queste valutazioni non sa, evidentemente, come impiegare utilmente il proprio tempo. La riforma della legge sul risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità dei magistrati si è limitata ad ampliare l'ambito di responsabilità dello Stato (non dei magistrati, nei confronti dei quali non è consentita l'azione diretta e la rivalsa può essere esercitata solo nelle ipotesi di negligenza inescusabile) ai casi di manifesta violazione di legge, di travisamento del fatto o delle prove, negli esatti termini in cui ciò è stato imposto all'Italia dalla Corte di Giustizia dell'Ue. Posto che la violazione di legge deve essere "manifesta", e l'errore sul fatto deve trasmodare nel "travisamento", per tale intendendosi una macroscopica topica, che non richieda per essere accertata alcun approfondimento di carattere interpretativo o valutativo, è evidente che nessuna azione di danno potrà essere intentata nei confronti dello Stato a seguito dell'assoluzione di Berlusconi. L'indipendenza della magistratura è salva e francamente, chiunque abbia letto laicamente il contenuto della riforma, non ha mai dubitato del contrario. Quello che invece preoccupa è la posizione assunta dalla politica il giorno dopo l'approvazione del nuovo testo. Sembrava che fosse l'occasione per recuperare un po' di spazio e anche di dignità rispetto al ruolo centrale, preponderante ed invadente che certa parte della magistratura si è attribuito nella vita del Paese, esondando ampiamente dall'alveo delle proprie competenze e pretendendo di condizionare, fino al diritto di veto, ogni provvedimento assunto in materia di giustizia. E invece siamo quasi alle scuse e soprattutto pare che la magistratura associata abbia maturato un grosso credito, certo, liquido ed esigibile, che va riscosso a breve. Il ministro Orlando, al quale va riconosciuto il merito di aver dimostrato grande equilibrio e determinazione nel traghettare in porto la nave della riforma - attraversando i flutti perigliosi agitati da chi avrebbe voluto una legge in odio ai magistrati e da chi, invece, si è opposto irragionevolmente e ad ogni costo a qualsivoglia modifica - si è subito detto pronto ad una revisione. Il presidente della Repubblica ha sentito la necessità di tranquillizzare i giovani magistrati in merito al fatto che l'applicazione delle legge sarà attentamente monitorata per preservare e garantire l'indipendenza della magistratura. L'iter parlamentare della riforma del regime della prescrizione ha subito un'immediata accelerazione, chiudendo la porta ad ogni dialogo che pure era in corso davanti alla commissione Giustizia della Camera, dove tutte le parti rappresentative, tra cui l'Unione Camere penali, erano state audite sul disegno di legge giustizia del governo (nel quale appunto era inserita anche una modifica alla prescrizione), con la previsione, vista la complessità dei temi, di una seconda e più approfondita consultazione. È accaduto infatti che, sulla spinta mediatica di alcune inchieste in materia di corruzione e soprattutto in ossequio alle posizioni espresse dalla magistratura associata, il cui credito maturato con lo sgarbo della riforma sulla responsabilità civile va appunto saldato, si sia sentita l'impellente necessità di aumentare le pene per i reati contro la pubblica amministrazione e contemporaneamente allungare i termini di prescrizione. A poco vale osservare che si tratta di reati a bassissimo indice di prescrizione, per l'ovvia ragione che sono già puniti con pene edittali gravi e sono trattati nella prassi, in ragione della loro natura, con una certa attenzione: l'urgenza resta e i debiti vanno saldati. L'accelerazione si è, quindi, subito diffusa per contagio, sempre su sollecitazione dell'Anni, dal binomio prescrizione/corruzione al regime generale della prescrizione e dunque, a tutti i reati. La prescrizione, insomma, è l'origine di tutti i mali, altro che responsabilità dei magistrati! L'approccio al problema è però radicalmente sbagliato, sia nella forma, che nella sostanza. Quanto al primo aspetto deve essere chiaro che i penalisti italiani hanno fino ad oggi dato il proprio contributo costruttivo al percorso di riforme del Governo, pur non condividendo sempre ed appieno determinate scelte, proprio perché è stato privilegiato un dialogo tra le parti effettivo, biunivoco e oggettivamente utile ad una migliore produzione normativa. Se la scelta è quella di interrompere questo percorso e di imporre scelte illiberali ed autoritarie in ossequio alle pretese avanzate dalla magistratura associata, la risposta dell'Ucpi non sarà certo di passiva accettazione. Quanto al merito, è stato da ultimo autorevolmente osservato sulle pagine di questo giornale dall'Avvocato e Senatore Nico D'Ascola, che allungare i tempi della prescrizione equivale ad allungare i tempi del processo, e che la scelta del modello da seguire dipende dal sistema politico che i cittadini prediligono. Un sistema autoritario pone lo Stato e il suo interesse punitivo al centro e questo giustifica l'allungamento dei termini di prescrizione e conseguentemente di accertamento dei reati attraverso un processo infinito. Le inefficienze del processo, che ne determinano l'enorme durata, sono scaricate sul cittadino, che si badi deve essere considerato, in base ad un principio costituzionale, non colpevole fino alla sentenza definitiva, e che spesso magari, al termine di un lungo iter che gli sconvolge l'esistenza, viene anche assolto. Un sistema liberale, che è l'unico compatibile con la nostra Costituzione, pone al centro la persona, che ha diritto ad una giusta durata del processo (come sancito espressamente dall'articolo 111 della Costituzione), a vedere riconosciuta la propria estraneità ai fatti in un tempo ragionevole, o nella prospettiva della persona offesa, a vedere nello stesso ragionevole tempo l'accertamento definitivo della responsabilità del reo. D'altra parte è difficile comprendere, nella prospettiva di uno Stato liberale, che senso abbia raggiungere una condanna definitiva a decine di anni dal fatto, quando la pena non ha più alcuna funzione rieducativa e neanche retributiva, posto che si condanna una persona diversa dall'autore del reato. Riprendo, dunque, l'invito di D'Ascola, "riflettano i cittadini su quale dei due modelli preferiscono", ed aggiungo, rifletta il Governo su quale percorso vuole condurre per riformare il nostro sistema penale. Giustizia: Ospedali Psichiatrici Giudiziari… ma siamo sicuri che bisogna chiuderli tutti? di Carmelo Caruso Panorama, 12 marzo 2015 I sei ospedali psichiatrici giudiziari avrebbero dovuto essere soppressi per legge anni fa, poi nel 2014. Ora la data è stata fissata al prossimo 31 marzo, quando forse saranno sostituiti da "residenze". Paradossalmente i primi a diffidarne sono i reclusi e gli stessi operatori, che protestano: "Non abbiamo gestito dei lager". Per dimostrarlo, ci hanno spalancato le porte dell'istituto messinese di Barcellona Pozzo di Gotto. Impazziscono in prigione e rinsaviscono in manicomio. Non è un lager e non si applica la tortura, nel carcere psichiatrico di Barcellona Pozzo di Gotto, a pochi chilometri da Messina, "il più grande d'Italia, e sicuramente, in passato, il più affollato d'Europa" suggerisce Nunziante Rosania, direttore dal 1989, un fisico da gigante buono che ci ha vissuto dentro per anni. È questa la casa modello di cui può vantarsi il nostro sistema penitenziario, l'eccezione alla crudeltà delle galere. "Non è stato un carcere, ma un luogo spazzatura, una discarica molto visitata. Politici ne sono venuti, ne vengono sempre, come se questo fosse un giardino zoologico" rimprovera il direttore. A volte anche Rosania dice di sentirsi in proroga come questi ospedali (attualmente sono sei in Italia) sempre chiusi per legge ma sempre riaperti per decreto, oggi vicinissimi alla futura estinzione, già prevista per il 1 ° aprile 2014, ma poi posticipata al 31 marzo 2015 per l'ennesima impreparazione di Stato e Regioni. E infatti proprio le Regioni hanno chiesto di procrastinare la chiusura nel 2017. "Ma questa volta gli Opg chiuderanno" ha fatto sapere Roberto Calogero Piscitello, direttore generale dei detenuti e del trattamento del Dap. Oggi gli internati in tutta Italia sono 722, di questi 476 possono essere dimessi. E come sempre avviene nella transizione che anticipa la scomparsa, i manicomi giudiziari sperimentano la felice armonia di fine epoca, A Barcellona la malattia sembra finalmente evasa dalla struttura, tanto che il direttore deve quasi ricordare che questo ospedale resta un carcere, con i suoi quattro padiglioni protetti da mura di cinta e da pesanti cancelli smaltati di blu fresco, il blu della canzone: "È venuto anche Domenico Modugno a farci visita, quando era già segnato dalla malattia. Veniva anche quella splendida voce siciliana, Rosa Balestrieri, a cantare e visitare il cognato che aveva strangolato la sorella della cantautrice". Lungo i cortili si annusa il sonno impastato di medicine, ma è autentica la serenità emanata dagli alberi di limoni e mandarini che fanno adesso ombra a un detenuto a colloquio. Qui i familiari possono entrare tre volte a settimana, spiega il sovraintendente di polizia Vito Fazio, ancora provato dal verdetto severo che espresse la commissione parlamentare guidata nel 2011 dall'allora senatore Ignazio Marino: "Disse che qui c'era un olezzo nauseabondo. Lei lo sente l'olezzo?". Ora i padiglioni sprigionano profumo di sapone grazie a Salvatore Casalnuovo, detenuto, 26 anni, di Termini Imerese: "Resistenza a pubblico ufficiale, tentato omicidio. Oggi mi occupo di pulizie in carcere. Sogno la comunità". Salvatore esibisce un foglio che invece lo obbliga a restare, una bocciatura che qui chiamano "stecca" si appella per far rivedere il giudizio, testimonia la sanità; "Sono pronto, è arrivato il momento. Mi mandi via, mi mandi, la prego". Il direttore dice che il momento del congedo si comprende facilmente: "Solo nell'ultimo anno sono andati via in 240". Oggi a Barcellona gli internati sono 16S e di questi solo 18 hanno commesso omicidi, altri sono impazziti in carcere e li hanno spediti qui a guarire, altri ancora sono detenuti per piccoli reati, come Paolo che nel 1993 simulò una rapina con il dito in tasca, una rapina di 7 mila lire. È rimasto qui vent'anni, da dimesso bussa e chiede di rientrare. Ci sono stati anche dei simulatori? "Eccome. Erano i mafiosi che si facevano internare per ottenere gli sconti di pena. Qui sono stati rinchiusi Tommaso Buscetta, Gaetano Badalamenti, Frank Coppola, il boss Stefano Bontade, il figlio di Nitto Santapaola, ma c'è stato anche il primo vero pentito di mafia, Leonardo Vitale" dice Rosania, che parla di "grande armistizio", il momento più triste di questa istituzione perché "fu un'utilizzazione spuria e l'ospedale mostrò tutta la sua inadeguatezza". Ma adesso, nel padiglione numero 8, che ospita 80 detenuti, si riconosce solo la pancia gonfia del criminale solitario e non dell'affiliato. I visi sono tutti unti e affaticati sotto i soffitti bassi e caldi, anche se rinfrescati dal vento, da queste parti chiamato "cavaliere", che si insinua e che penetra nelle stanze e per i letti, sei per stanza, sformati dai corpi, E tutti hanno occhi stravolti e saettanti come quelli di Salvatore Nunnari, sicuro dell'uscita: "Ho picchiato mia moglie, mia sorella. Ma ho capito. Ormai c'è la cura". La cura che ha soffocato i deliri, erede del Largactil, primo psicofarmaco, è deposta nei bicchierini che custodisce Maria Grazia Saporiti, che staziona nell'ambulatorio. "Gli psicofarmaci ci hanno dato una grossa mano, ma non hanno risolto il disagio mentale. C'è della mitologia intorno al loro utilizzo. In realtà alcuni detenuti non vengono sottoposti a cure farmacologiche di quel genere" precisa Rosania che invece duella con i guasti del vero carcere: "Cirrosi, problemi respiratori e cardiovascolari", E indica Mejri Sani, romeno ricoverato già tre volte in un ospedale civile da quando è arrivato in Sicilia, un uomo dal corpo butterato: "Mi chiamano Rambo. Tentato omicidio. Questi segni me li sono fatti con una lametta in carcere a Lecce". Tutti gli internati portano rosari al collo che distribuiscono con prodigalità le suore, e sui capezzali ci sono gli ex voto, immagini di santi e madonne. E tutti escono dalle celle al passaggio del direttore, sciamano come api, vengono in processione, pretendono la carezza salvatrice, come un giovinetto con gli stessi battetti degli ambulanti del Bangladesh che picchettano gli incroci. "Si chiama Saiful Mehdi: è lui che nell'agosto 2011 ha ucciso il senatore Ludovico Corrao. Teme la chiusura dell'ospedale e l'ingresso in comunità, qui si è creato una nicchia" rivela Rosania. Saiful era il fedele servitore che amava Corrao: il domestico del senatore-avvocato-sindaco che una mattina d'agosto ha sgozzato con un coltello da cucina l'ultimo dei bizzarri siciliani, il politico che aveva rifatto a suo modo Gibellina, il conte dalle mille vite e dalle mille arti. "L'anno prossimo finirà in comunità" prevede il direttore, uomo incuriosito dal futuro di queste istituzioni: "Parliamo di ospedali che andavano chiusi negli anni Novanta. Le accuse che ci ha rivolto la commissione Marino sono servite a ricordarne l'esistenza. Dobbiamo giungere a piccole strutture con del personale più specializzato e trattare finalmente i detenuti come pazienti. A volte penso che si voglia sostituire il luogo, non il metodo". Ed è lo stesso timore che a chilometri di distanza esprime il professor Giandomenico Dodaro, che insegna diritto penale alla Bicocca di Milano: "Per la magistratura sono state soluzioni sbrigative, per i dipartimenti di salute mentale un carico troppe volte declinato solo per paura. C'è stata una mancanza di solidarietà tra giustizia e medicina". Eppure è forse merito di questo egoismo istituzionale e di questo interregno se, a Barcellona Pozzo di Cotto, si è potuta costituire la cooperativa Astu che ha dato un lavoro ai detenuti. È gestita dall'architetto Carmelo Puliafito, con officine di falegnameria, una piccola squadra di lavoratori edili e di ottimi fabbri. Ed è ancora la provvidenziale impreparazione che ha reso possibile l'esperimento ambizioso, un reparto di custodia attenuata organizzato da Tommaso Bucca, da 17 anni in servizio nel carcere. Bucca fa vedere la primavera struttura che dovrebbe sostituire il carcere giudiziario, la Rems, Residenza per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria, dove i detenuti si muovono senza secondini, osservati solo da due infermiere, e che è gestita dai reclusi stessi. Si avvia così a chiudere e spegnersi l'unico carcere che funziona, il fortunato esperimento nato malgrado la dimenticanza e la tiepidezza del mondo di fuori. Giustizia: il ministro Orlando a Francoforte illustra riforma civile a imprenditori tedeschi www.giustizia.it, 12 marzo 2015 Francoforte. Sono oltre 130 le presenze tedesche nel mondo dell'imprenditoria e della finanza per l'incontro con il ministro della Giustizia Andrea Orlando organizzato dalla Camera di Commercio Italiana per la Germania (Itkam), in collaborazione con Villa Vigoni - Centro Italo-Tedesco per l'Eccellenza Europea, la Frankfurt School of Finance and Management e lo Studio Legale internazionale Watson Farley & Williams. Al centro dell'intervento, la riforma della giustizia civile in Italia e i suoi riflessi sui rapporti commerciali fra Italia a Germania: il guardasigilli illustra le iniziative legislative ed organizzative messe in campo dal ministero in questo primo anno di governo con l'obiettivo di semplificare e rendere certe le procedure del processo civile italiano. "La riforma della giustizia civile - spiega Orlando - è per il governo un passaggio fondamentale per la credibilità internazionale del nostro Paese. Spiegare e raccontare all'estero gli interventi già attuati e quelli in corso è fondamentale per rafforzare il clima necessario a riportare in Italia investimenti stranieri. Gli apprezzamenti per quanto finora fatto che ci sono arrivati dall'Unione Europea con il vicepresidente della Commissione Katainen e con il Commissario Jourová rappresentano da questo punto di vista un grande incoraggiamento a proseguire sulla strada della riforma. Iniziative come questa di Francoforte e come altre che promuoveremo nei prossimi mesi - conclude il guardasigilli - vogliono essere una sorta di nostro biglietto da visita internazionale, consapevoli che il funzionamento efficace del servizio giustizia è cruciale per sviluppare al meglio le potenzialità dei nostri rapporti economici, soprattutto con un Paese amico e storico partner come la Germania". "Nella mia quotidiana attività in Germania - aggiunge l'ambasciatore italiano a Berlino Piero Benassi - percepisco grande attenzione e forte sostegno da parte sia del Governo tedesco sia del mondo economico della Germania al processo di riforme in corso in Italia. Sicuramente la riforma della giustizia civile riguarda uno degli ambiti in cui maggiore è la sensibilità e più elevate sono le aspettative degli operatori economici. Mi sembra pertanto particolarmente meritoria questa iniziativa di public-diplomacy". "La riforma della giustizia civile in Italia è tra i più importanti elementi del pacchetto di riforme italiano. La certezza del diritto è un bisogno basilare di ogni investitore", spiega il Presidente della Camera di Commercio Italiana per la Germania Emanuele Gatti. All'Itkam Colloquium sono presenti, oltre al ministro Orlando, l'ambasciatore della Repubblica Italiana Pietro Benassi, professore di Giurisprudenza e Direttore Accademico del corso di studio Master of Mergers & Acquisition della Frankfurt School of Finance and Management Christoph Schalast, il Counsel dello Studio Legale Watson Farley & Williams di Roma Francesco Maria di Majo e il presidente Itkam Emanuele Gatti, moderatore della discussione finale. Giustizia: l'evasione fiscale sanzionata come riciclaggio di Marino Longoni Milano Finanza, 12 marzo 2015 Dal 1° gennaio di quest'anno l'evasione fiscale sarà sanzionabile anche come auto-riciclaggio. Questo significa che sulle spalle del presunto evasore si andrà in alcuni casi a triplicare il carico delle sanzioni. Con effetti da paura! Facciamo un caso concreto. L'azienda Alfa, a seguito di un accertamento fiscale viene accusata di aver evaso 1 milione di euro. Fino a qualche mese fa avrebbe dovuto, se condannata in via definitiva, versare le imposte evase con raggiunta di sanzioni e interessi (più eventuali spese di giudizio). Oggi tutto ciò è solo l'inizio, perché la legge sulla voluntary disclosure ha introdotto il reato di auto-riciclaggio tra quelli presupposto della responsabilità amministrativa delle società (legge 231 del 2001). Questo significa che il dirigente che ha progettato e messo in atto l'evasione potrà essere condannato penalmente e, in mancanza dei modelli organizzativi previsti dalla legge 231 (che peraltro oggi ancora nessuno saprebbe come fare), la società potrebbe essere condannata in via amministrativa per lo stesso reato di auto-riciclaggio. E le sanzioni potrebbero essere anche molto salate. Sembra folle, ma è proprio così. Quante migliaia di aziende ogni anno vengono condannate per un fatto di evasione che potrebbe integrare il reato di auto-riciclaggio? E quanti procedimenti penali, e quanti procedimenti amministrativi potrebbero essere innescati dalle indagini finanziarie? Ovviamente i conti non li ha fatti nessuno. Certamente i procedimenti innescabili da queste novità normative sono molti, ma molti di più, di quanto il sistema giudiziario italiano è in grado di reggere. In pratica siamo di fronte alla riedizione delle grida di manzoniana memoria. Oppure all'invenzione della roulette russa fiscale. Più o meno a casaccio, qualcuno sarà chiamato a pagare sanzioni spropositate rispetto all'evasione commessa, e questo dovrebbe fungere da monito per tutte le altre aziende. In realtà le disposizioni sull'auto-riciclaggio dimostrano che è completamente saltato qualsiasi rapporto di ragionevolezza tra l'introduzione di una norma sanzionatoria e la capacità dello Stato di applicarla in modo fermo e uniforme. Sarà comunque uno spauracchio notevole per le imprese che, non appena se ne renderanno conto, cercheranno di tutelarsi con i mitici modelli di organizzazione aziendale, l'unica arma rimasta nelle loro mani. Un castello di carte di nessuna utilità dal punto di vista sostanziale ma, almeno formalmente, utili allo scopo, come può esserlo uno spaventapasseri in un campo di grano. E meno male che questo governo aveva al centro del suo programma la semplificazione amministrativa e fiscale, altrimenti chissà cosa non avrebbe potuto inventare. Emilia Romagna: visita del Garante regionale dei detenuti al carcere di Forlì www.assemblea.emr.it, 12 marzo 2015 Il garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione, Desi Bruno, ha visitato la casa circondariale di Forlì, accompagnata dal comandante di reparto della polizia penitenziaria, Michela Zattoni. Il garante ha potuto constatare una sensibile riduzione dei numeri delle presenze (un terzo in meno, rispetto a un anno fa); ora la maggior parte dei detenuti è collocata in cella singola, con una metratura a disposizione in linea con i parametri dettati dalla giurisprudenza della Corte Edu. A fronte di una capienza regolamentare di 144 persone, il 9 marzo erano presenti 112 detenuti di cui 19 donne; 62 i condannati in via definitiva; 51 gli stranieri; 36 i tossicodipendenti (di cui 6 donne); 5 gli ammessi al lavoro all'esterno (di cui 1 donna e 1 straniero); 24 gli autori di reati sessuali; 3 i protetti cosiddetti "promiscui" (separati dagli altri detenuti in ragione di problemi relazionali e di convivenza legati a chiamate in correità, collaborazioni marginali, appartenenza a Forze dell'ordine e altre specifiche condizioni soggettive). La struttura carceraria si presenta molto vecchia (all'interno di una rocca ottocentesca i cui ambienti sono stati riadattati), per cui esistono criticità di ordine strutturale: per esempio, le docce comuni all'esterno delle camere di pernottamento presentano problemi di umidità, a cui si fa fronte con opere di manutenzione ordinaria che le rendono, comunque, più decenti di quelle di altri istituti penitenziari regionali di ben più recente costruzione. In generale, gli ambienti si presentano decorosi, con opere di tinteggiatura, anche grazie al contributo del lavoro dei detenuti. Più adeguati, dal punto di vista degli spazi e della luminosità, risulteranno gli ambienti del nuovo carcere (il trasferimento dovrebbe avvenire nel 2017 in località Quattro). Risulta pienamente operativo il regime "a celle aperte", con i tutti i detenuti, anche nella sezione femminile, che hanno la possibilità di rimanere all'esterno della cella per almeno otto ore al giorno; inoltre, risulta compiutamente assicurata la separazione fra condannati in via definitiva e imputati. È altresì presente una sezione a custodia attenuata per persone in semilibertà e ammesse a lavorare all'esterno e per chi è in procinto di essere dimesso, a regime aperto, con un sistema di videosorveglianza. Nel corso dei colloqui che il garante ha effettuato con i detenuti, sono emersi a più riprese il clima positivo e il riconoscimento da parte della popolazione detenuta dell'attenzione e della predisposizione al dialogo che la direzione e lo staff dell'amministrazione penitenziaria, impegnati in un intenso lavoro orientato a caratterizzare la pena in termini di umanizzazione. Con riferimento ai rapporti con la magistratura di sorveglianza, si segnala che alcuni detenuti hanno informato il garante circa l'esito dei ricorsi presentati ai fini dell'accertamento di condizioni detentive inumane e degradanti: il magistrato di sorveglianza competente ne ha dichiarato l'inammissibilità in quanto formulati in maniera generica, mancando delle indicazioni necessarie per l'istruttoria in caso di ricorso. L'impegno del garante è a fornire informazioni puntuali ai detenuti circa le modalità di proposizione del ricorso. La visita ha compreso gli ambienti riqualificati della sezione a custodia attenuata per tossicodipendenti, anche grazie a lavori effettuati in economia da parte dei detenuti: questi ambienti torneranno completamente funzionali entro qualche mese (i lavori di manutenzione devono essere ancora completati) e potranno ospitare sino a 40 persone, è questa la capienza tollerabile, prevedendo diversi spazi per le attività trattamentali, con un locale adibito a refettorio. Esiste una pluralità di attività a favore delle persone detenute: si segnalano, in particolare, il laboratorio metalmeccanico (che impegna 5 detenuti); il laboratorio della cartiera (che impegna 4 detenuti); il laboratorio Raee per lo smaltimento dei rifiuti elettronici, consistente nello smontaggio e pretrattamento di piccoli elettrodomestici, con la sede del laboratorio all'esterno del carcere, gestito da una cooperativa sociale, che assume e remunera i detenuti, in collaborazione con un'agenzia formativa (con l'impegno di 1 detenuto all'interno del carcere). Sono, inoltre, presenti i laboratori di pittura e di teatro. Si registra che, allo stato, non risulta essere stato attivato il finanziamento della formazione professionale dal Fondo Sociale Europeo. Per quanto riguarda la scuola superiore, è attivo il corso dell'istituto tecnico commerciale. È attivo il sistema di prenotazione dei colloqui per familiari dei detenuti, organizzati su tre giorni alla settimana, prevedendo anche un pomeriggio. Si segnala ancora un progetto, promosso dal volontariato, rivolto all'accoglienza dei familiari in attesa di colloquio. Continua la collaborazione in atto con il Centro per uomini maltrattanti di Forlì: la sperimentazione è rivolta agli autori di reati sessuali che, nella fase che precede le dimissioni, con attività di gruppo dedicate ai sex-offender, vengono presi in carico in carcere, anche verificando la possibilità e/o la disponibilità dello sviluppo di un programma territoriale una volta usciti. Si registra positivamente l'esperienza di ex detenuti che, anche dopo essere tornati in libertà, hanno continuato a seguire e a sviluppare il programma trattamentale, rimanendo in carico al Centro. Emilia Romagna: fronte bipartisan contro l'estradizione in Brasile di Henrique Pizzolato www.assemblea.emr.it, 12 marzo 2015 Dopo l'allarme lanciato da Desi Bruno, Garante regionale delle persone private della libertà personale, un fronte bipartisan si è levato in Senato per chiedere al ministro della Giustizia Andrea Orlando che Henrique Pizzolato, il banchiere italo-brasiliano condannato a 12 anni di reclusione nell'ambito di una vicenda di tangenti, non venga estradato in Brasile. L'ex direttore del Banco del Brasile è attualmente detenuto presso il carcere di Modena dopo essersi costituito, ma la richiesta per la sua estradizione è stata accolta dalla Corte di Cassazione, che ha ribaltato la sentenza di diniego della Corte d'Appello di Bologna. Sul tema sono intervenuti sia il senatore Carlo Giovanardi di Ap con una interpellanza datata 24 febbraio che i senatori Sergio Lo Giudice e Luigi Manconi del Pd, primi firmatari di una interrogazione depositata il 27 febbraio e sottoscritta da numerosi colleghi provenienti anche da altri gruppi come Ap, Fi e Misto: Amati, Cirinnà, Cucca, Di Biagio, Fasiolo, Ferrara Elena, Fornaro, Guerra, Idem, Lai, Lo Moro, Malan, Mastrangeli, Orellana, Pagliari, Petraglia, Pezzopane, Spilabotte, Valdinosi. In entrambi i documenti i parlamentari esprimono le stesse preoccupazioni, già sollevata da Bruno prima della sua visita a Pizzolato nella casa circondariale di via Sant'Anna il 21 febbraio, sulle condizioni delle strutture detentive brasiliane e in particolare quella del carcere di destinazione, di recente, come sottolineato dall'Ufficio del Garante, scenario di episodi di violenza e morte inflitta da detenuti ad altri detenuti. "Il procedimento che lo ha visto coinvolto è stato celebrato dal supremo tribunale federale brasiliano, massimo organo giurisdizionale, competente a giudicare i reati commessi da deputati e ministri, nonostante non fosse il giudice naturale e precostituito in relazione a quel procedimento, non ricoprendo egli nessuno di questi ruoli- scrive Giovanardi-. In conseguenza di tale determinazione della competenza, il signor Pizzolato è stato sottoposto ad un processo che ha negato i diritti minimi di difesa e che non gli ha consentito di poter proporre ricorso avverso la pronuncia del supremo tribunale federale". Inoltre, rimarca il senatore, "come riconosciuto in primo grado dalla Corte d'Appello di Bologna e come ampiamente provato documentalmente nel corso del procedimento giurisdizionale, le carceri brasiliane, inclusa quella in cui dovrebbe scontare la pena Pizzolato (carcere di Papuda), sottopongono i detenuti a condizioni inumane e degradanti. Si sottolinea che nel carcere in cui Pizzolato dovrebbe scontare la pena nel 2013 sono stati accertati 2 suicidi, 14 omicidi, 30 morti e nel 2014 altri 2 omicidi e una morte dovuta ad un incidente". Similmente, Lo Giudice e Manconi sostengono che "la corte di Cassazione, annullando la decisione della Corte d'Appello, ha disposto la sua estradizione in Brasile noncurante dell'orribile condizione delle carceri brasiliane che comporterebbe seri rischi per l'incolumità di Pizzolato- spiegano nell'atto sottoscritto da altri 18 colleghi -. Rispettiamo la decisione della Suprema Corte, ma abbiamo deciso di interrogare il guardasigilli sull'eventualità che la patente violazione dei diritti umani nelle carceri brasiliane possa orientare la sua decisione finale verso una soluzione che garantisca l'incolumità fisica del nostro connazionale". I membri del Senato ricordano infine che "il trattato di estradizione tra la Repubblica italiana e la Repubblica federativa del Brasile prevede che l'estradizione non sia concessa ‘se vi è fondato motivo di ritenere che la persona richiesta verrà sottoposta a pene o trattamenti che comunque configurano violazione dei diritti fondamentali". Sciacca (Ag): arrestato per "molestie", sindacalista di 56 anni si impicca in cella di Giuseppe Recca La Sicilia, 12 marzo 2015 Si toglie la vita in carcere alcuni giorni dopo l'arresto. Tragica fine per un uomo di 56 anni di Caltabellotta, Paolo Vetrano, incensurato e molto noto in paese. L'uomo si è impiccato in una cella del carcere di Sciacca. Ad accorgersi del suicidio il personale di polizia penitenziaria. Sono intervenute le forze dell'ordine e sono in corso accurate indagini da parte della Procura della Repubblica di Sciacca. Vetrano era stato fermato venerdì scorso dai carabinieri di Ribera durante un posto di blocco. Era alla guida della sua vettura e avrebbe avuto a bordo un minore extracomunitario, che alla vista dei carabinieri lo avrebbe accusato di molestie sessuali. Dopo gli accertamenti è stato tradotto presso la Casa circondariale di Sciacca, dove ieri è stato interrogato dal giudice per le indagini preliminari nell'ambito della procedura riguardante l'interrogatorio di garanzia e la convalida del fermo. L'uomo, difeso dall'avvocato Paolo Imbornone, ha rigettato l'accusa, ritenendosi estraneo ai fatti che gli venivano contestati e raccontando che al giovane extracomunitario stava solo dando un passaggio a Ribera. Il giudice ha poi convalidato l'arresto. Ieri notte l'insano gesto, al culmine forse di un momento di sconforto. "Non ha retto alla pesante accusa di molestie su minore - ci dice l'avvocato Imbornone - ed ha deciso di farla finita". Vetrano era molto noto a Caltabellotta, era dirigente della locale Camera del lavoro e più volte presidente del comitato dei festeggiamenti del SS Crocifisso, la festa religiosa più amata nel centro montano. In paese la notizia si è sparsa velocemente. Vetrano, che era celibe, era impegnato in attività sindacale e di volontariato. Bologna: donna suicida accusa il pm che l'ha sentita "mi ha trattata come una criminale" Ansa, 12 marzo 2015 Una donna si è uccisa ed è stata trovata morta in un appartamento del centro di Bologna, zona universitaria. La donna avrebbe inoltre somministrato farmaci all'anziana madre, in gravi condizioni all'ospedale. Sul posto, la Polizia. Secondo quanto si apprende la donna era stata sentita nei giorni scorsi nell'ambito di un'indagine della Procura su delle opere d'arte. Vera Guidetti, la donna che si è tolta la vita a Bologna dopo aver tentato di uccidere la madre iniettandole insulina, ha lasciato un biglietto in cui fa riferimento al magistrato che lunedì l'ha sentita in questura, il procuratore aggiunto Valter Giovannini. Nel biglietto si dice, tra l'altro, che il Pm l'ha trattata "come una criminale" e non le ha creduto. La farmacista è stata sentita come testimone da Giovannini e dalla squadra mobile, nell'ambito di indagini su un furto di gioielli dal valore di circa 800mila euro, avvenuto il 3 marzo a casa di un'anziana, sempre a Bologna, in via Saragozza. Il furto era stato commesso da due finti tecnici del gas. Dalle indagini sono emersi contatti tra un sospettato, il pregiudicato di origine sinti, Ivan Bonora, 46 anni (per cui sempre lunedì è stato disposto il fermo per il furto) e la donna. Entrambi sono stati convocati in questura, insieme ad altre persone. Guidetti, nel corso dell'audizione, ha ammesso di conoscere Bonora, cliente della farmacia. E ha detto che venerdì lui le aveva dato un quadro e un sacchetto, di cui però non conosceva il contenuto. Ha detto anche di essere preoccupata per la propria incolumità e spaventata dall'idea di finire sui giornali. Si è quindi resa disponibile a farsi accompagnare nel proprio appartamento dalla Polizia per mostrare la merce. Una volta arrivati a casa ha consegnato il sacchetto, pieno di preziosi: tra questi, anche due anelli, in seguito riconosciuti dall'anziana derubata. La farmacista ha aggiunto che in passato Bonora le aveva portato, in conto deposito, diversi altri quadri. Ha detto che Bonora glielo aveva chiesto quando era stato sfrattato e che lei aveva accettato per generosità e affetto nei confronti della famiglia. I quadri, una trentina e in maggioranza arte sacra, sono stati sequestrati e le indagini proseguono per accertarne l'origine. Bonora, difeso dall'avvocato Luciano Bertoluzza, è stato portato in carcere con le accuse di furto in abitazione pluriaggravato e domani è in programma l'udienza di convalida del fermo. L'uomo, che era stato visto sotto la casa dell'anziana di via Saragozza da un testimone, era stato contattato dalla questura venerdì con la richiesta di presentarsi. Lui però ha detto che era ad una festa e si sarebbe "fatto vivo". Guidetti ha dichiarato che sempre venerdì lui le ha portato la merce. Dalle intercettazioni sono emersi contatti con la farmacista nel week-end. Per questo è stato deciso, lunedì, di convocarli entrambi. L'indagine sul furto prosegue, alla ricerca del complice, seguita dal Pm Massimiliano Rossi e dal procuratore aggiunto Giovannini. Del suicidio e del tentato omicidio è stato avvisato anche il pm di turno, Morena Plazzi. Oltre al biglietto con le frasi sul Pm una breve ricostruzione della vicenda, la donna ha lasciato anche una sorta di testamento. Firenze: Garante; carcere "Gozzini" pronto a sperimentazione progetti di reinserimento www.gonews.it, 12 marzo 2015 "Basterebbe poco per far diventare quest'istituto dove ha sede la sezione di custodia attenuata un luogo di responsabilizzazione e di costruzione del futuro del detenuto". Questo un primo commento del garante regionale dei diritti dei detenuti, Franco Corleone, al termine del sopralluogo di questa mattina al carcere "Gozzini" di Firenze. "In questa realtà - ha aggiunto Corleone - si respira un clima buono tra la direzione, gli educatori e i detenuti. Qui si lavora per trasformare l'evento detentivo da fatto afflittivo e traumatico in occasione per riflettere e riprogettare la propria vita. Occorrerebbe una sperimentazione più significativa che rafforzasse la mission del carcere e favorisse un'uscita progettuale". La capienza del Gozzini, inizialmente era di 50 posti, recentemente è stata ampliata e portata a 90, per i reparti ordinari. Sono presenti 70 detenuti e 30 nelle sezioni di semilibertà, al piano terra. "Le celle sono aperte, i refettori nuovi e - ha aggiunto Corleone - si fanno corsi e attività". L'istituto è dotato di aule scolastiche, biblioteca, palestra, sala cinema, sala musica e cappella. Tra le criticità Corleone ha evidenziato la mancanza di personale sia civile che di polizia penitenziaria e le difficoltà dei detenuti nei rapporti con i sorveglianti "a volte - ha detto - i progetti di uscita non vengono proprio considerati". Corleone ha poi parlato di un progetto in corso con il Comune di Firenze per l'utilizzo di una struttura al Guarlone che possa ospitare i detenuti in semilibertà, "una struttura meno contenitiva e più adatta alle esigenze di chi esce per andare a lavoro". Nel sopralluogo Corleone è stato accompagnato dalla direttrice Margherita Michelini. Il garante, martedì 17 marzo, andrà in visita alla casa circondariale di Siena, mercoledì 18 agli istituti penitenziari di Massa Marittima e Grosseto e giovedì 19 al carcere di Pistoia. Roma: Fns-Cisl; a Regina Coeli infiltrazioni e igiene precari, l'Asl chiude la mensa agenti www.romatoday.it, 12 marzo 2015 La chiusura dovrebbe protrarsi per circa un mese. Fns-Cisl: "Condizioni igieniche precarie in vari luoghi di lavoro". La denuncia fotografica della situazione di alcune aree del carcere risale allo scorso 27 febbraio, quando tre rappresentanti del sindacato Fns-Cisl di Roma e Lazio hanno visitato la casa circondariale di Regina Coeli ponendo l'attenzione su "Cavi elettrici penzolanti, idranti privi di lancio e manichetta, infiltrazioni ovunque, dalla sala avvocati a quella dei colloqui. Ma anche acqua nella mensa agenti, caserme con perdite e muffa e personale al lavoro tra discariche di immondizia a materassi accatastati". A distanza di due settimane il carcere di via della Lungara ha ricevuto la visita del personale della Asl RmA, come spiega Massimo Costantino, segretario regionale del sindacato dei baschi azzurri: "Dopo aver segnalato all'amministrazione Penitenziaria, al ministro della Giustizia ed alle autorità competenti la situazione del carcere nella giornata del 10 marzo è arrivata la Asl RmA. Dopo l'ultima visita sui luoghi di lavoro effettuata dalla Fns-Cisl all'Istituto romano di Regina Coeli, al fine di meglio far comprendere alle varie Autorità quanto già noto al personale che ci lavora, è stato disposto che a breve inizieranno i lavori di ristrutturazione, adeguamento e messa in sicurezza della locale mensa". Nella visita dello scorso 27 febbraio i rappresentanti sindacali avevano denunciato: "un impianto di climatizzazione insufficiente al locale stesso, caldo d'estate e freddo d'inverno, presenza sistematica di acqua all'interno della cucina con aerazioni non funzionanti e pareti luride. Problematiche anche nei vari reparti detentivi e lavorativi a cui è seguita nota ai vari organi preposti". Il 10 marzo la visita degli ispettori dell'Azienda Sanitaria con la stessa che ha "imposto una ristrutturazione - spiega ancora Massimo Costantino - in seguito alle nostre segnalazioni, e la conseguenze è quella che comporterà la chiusura per lavori, della locale mensa per circa un mese. Per la Fns-Cisl si tratta di un segnale che va verso la direzione giusta. Purtroppo si è ancora lontani dal garantire standard efficienti in detta sede". "Restano altre problematiche - conclude la nota stampa del segretario regionale Fns-Cisl - quello relativo al pagamento canone alloggi, condizioni igieniche precari in vari luoghi di lavoro ed e quant'altro, che sono all'attenzione di questa Federazione e delle autorità competenti". Como: chiudono gli ospedali psichiatrici giudiziari, si deve trovare casa a cinque internati di Anna Campaniello Corriere di Como, 12 marzo 2015 Sessanta internati ricollocati sul territorio lariano dal 2010, cinque ai quali trovare una sistemazione a breve. La chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, prevista per la fine del mese, obbliga le autorità competenti a individuare la destinazione adatta a ciascuno dei reclusi attualmente accolti negli Opg italiani. L'ospedale di riferimento per Como è quello di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, dove al momento risultano presenti cinque comaschi. Da aprile, gli Opg saranno sostituiti dalle Rems, le Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria. Sul Lario non dovrebbe essere collocata alcuna di queste nuove strutture. "Tra le varie proposte fatte in vista della chiusura degli Opg era stata avanzata anche quella di collocare una struttura di accoglienza a Mariano Comense, ma l'ipotesi è già stata accantonata - conferma Carlo Alberto Tersalvi, direttore sanitario dell'Asl di Como. Le Rems saranno residenze nelle quali rimarranno in essere misure di sicurezza, destinate ai casi più gravi. Negli altri casi, vengono valutati percorsi diversi". L'Asl di Como e il Dipartimento di Salute Mentale (Dsm) dell'azienda ospedaliera Sant'Anna collaborano da tempo con l'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere. "Siamo in contatto diretto per la gestione delle persone internate residenti in provincia di Como - spiega Carlo Alberto Tersalvi. Valutiamo le soluzioni di assistenza migliori in vista dell'uscita dall'Opg. Abbiamo una commissione mista di valutazione che comprende operatori dell'Asl e del Sant'Anna. Vanno a Castiglione a fare le necessarie valutazioni per pianificare poi la soluzione più idonea di accoglienza delle persona sul territorio. L'obiettivo è in tutti i casi assicurare la continuità terapeutica e l'assistenza in totale sicurezza per tutti". Dal 2010, quando è stato avviato il percorso per la chiusura degli Opg, sono una sessantina i comaschi usciti dalla struttura mantovana e ricollocati sul territorio. "La maggior parte è stata sistemata nelle strutture, qualcuno è rientrato a casa - dice Claudio Cetti, responsabile del Dipartimento di Salute Mentale del Sant'Anna. Non abbiamo avuto alcun tipo di problema. Abbiamo un protocollo d'avanguardia, un sistema collaudato che prevede la massima collaborazione tra tutti i soggetti interessati a livello di giustizia, sanità e assistenza". Il prefetto coordina un apposito tavolo di lavoro. "Abbiamo incontri periodici che coinvolgono il tribunale, la procura e le forze di polizia, oltre agli enti competenti per gli aspetti sanitari - dice ancora Cetti. Ogni caso è monitorato dalle istituzioni preposte per la gestione dei percorsi della giustizia come della salute". "Con la chiusura degli Opg - conclude Cetti - è prevista anche l'attivazione, in sei dipartimenti della Lombardia tra i quali Como, di unità di crisi composte da psichiatra, psicologo, assistente sociale, educatore e infermiere. Saranno il braccio operativo e tecnico di presa in carico dei pazienti che hanno commesso reati. Abbiamo ottenuto risultati molto positivi in questi anni e il modello funziona". Roma: il Csm pensa a detenuti Rebibbia per digitalizzare suo archivio di 900mila pagine Ansa, 12 marzo 2015 I detenuti di Rebibbia al lavoro per informatizzare l'archivio del Csm. È il progetto che Palazzo dei marescialli sta mettendo in cantiere per ridurre l'immensa mole dei propri documenti, preservando quelli che servono dai rischi legati alla conservazione cartacea, ma anche per dare un'opportunità di reinserimento ai reclusi del carcere romano. Poco più di 42mila euro è il costo del piano, che prevede la digitalizzazione iniziale in sei mesi di 900 mila pagine, e che dopo il sì del Comitato di presidenza, è in attesa solo del via libera definitivo del plenum di Palazzo dei marescialli. La scelta dei detenuti di Rebibbia - in tutto ne saranno impiegati sette - non è casuale. Si sono già occupati della digitalizzazione dei documenti del tribunale di sorveglianza di Roma. E dopo un'adeguata formazione e l'acquisto di cinque nuovi scanner potranno mettersi al lavoro. Il tutto avviene nella cornice di una collaborazione istituzionale con il capo del Dap Santi Consolo e sarà certificato da un accordo con il direttore di Rebibbia. L'esigenza di una digitalizzazione dell'archivio del Csm è legata anche a un problema pratico. Da decenni la documentazione cartacea è depositata in un'immobile a Roma dell'Agenzia delle Entrate che l'anno scorso ne ha chiesto la restituzione. In quei locali che si trovano in viale Trastevere ci sono circa 5.000 fascicoli personali di magistrati, tutti gli incartamenti della Sezione disciplinare dal 1982 ad oggi, e - tra l'altro - circa 300 fascicoli su fatti di criminalità organizzata. Di una parte di questo materiale è già stata decisa la distruzione. Brescia: la deputata di Sel Celeste Costantino in visita alle carceri bresciane www.bsnews.it, 12 marzo 2015 Venerdì 13 marzo la deputata di Sinistra Ecologia Libertà Celeste Costantino sarà a Brescia. La Costantino, tra le più giovani deputate con i suoi 35 anni, è membro della Commissione Affari Costituzionali ed è promotrice della proposta di legge che prevede l'introduzione dell'educazione sentimentale all'interno delle scuole. Impegnata in diversi ambiti tra i quali i diritti, le tematiche di genere e l'antimafia è stata la fondatrice del collettivo "Donne da Sud" all'interno dell'associazione anti mafie da Sud. Nel pomeriggio visiterà, insieme al deputato Franco Bordo, le carceri bresciane di Verziano e Canton Mombello e la sera alle ore 20:30, presso la "Sala S. Agostino" del Palazzo Broletto in Piazza Paolo VI parteciperà all'iniziativa "Beni confiscati e attività antimafia in Parlamento e in Regione Lombardia" organizzata dalla Federazione Provinciale di Sinistra Ecologia Libertà. La serata sarà aperta dal coordinatore provinciale di Sel Simone Zuin, seguirà il dibattito moderato da Andrea Grasso (Sel Brescia e Rete Antimafia) con relatori, oltre a Celeste Costantino, il Presidente della Commissione Antimafia Lombardia Gian Antonio Girelli, e sarà concluso dal Consigliere provinciale Giuseppe Lama. Roma: Rito Giovedì Santo; il 2 aprile il Papa a Rebibbia per lavanda dei piedi ai detenuti di Fausto Gasparroni Ansa, 12 marzo 2015 Papa Francesco ha scelto ancora un carcere per il tradizionale rito della "lavanda dei piedi". Nel pomeriggio del prossimo 2 aprile, giorno del Giovedì Santo, il Pontefice sarà infatti nel penitenziario romano di Rebibbia - la casa circondariale Nuovo complesso -, dove incontrerà i detenuti e dove, alle 17.30, nella chiesa "Padre nostro" celebrerà la messa "in coena Domini": durante la liturgia si chinerà davanti ad alcuni detenuti e ad alcune detenute della vicina casa circondariale femminile, in tutto 12, per lavare come secondo tradizione fece Gesù con gli apostoli. Bergoglio rinnova così la sua intenzione di celebrare il rito del Giovedì Santo fuori dal Laterano - dove la "lavanda dei piedi" era fatta dai Papi fino all'arrivo del Pontefice argentino - e di recarsi nei luoghi dell'emarginazione e del disagio sociale, nell'ambito della diocesi di Roma, come già faceva nella sua diocesi a Buenos Aires. Nel 2013, poco dopo la sua elezione fu tra i giovani reclusi dell'istituto di pena minorile di Casal del Marmo (anche qui aveva lavato i piedi a 12 detenuti, ragazzi e ragazze, tra le quali una musulmana) e l'anno scorso tra gli anziani e i disabili assistiti dalla fondazione don Gnocchi. Francesco è inoltre il terzo Papa che si reca a Rebibbia, dopo le visite di Giovanni Paolo II il 27 dicembre 1983 (quando ebbe un colloquio con il suo attentatore Alì Agca) e di Benedetto XVI il 18 dicembre 2011. Per la visita di Bergoglio, tutto nasce da un invito rivoltogli da don Sandro Spriano, il cappellano di Rebibbia. "Siamo super-felici, perché il Papa ha accolto l'invito che gli ho rivolto incontrandoci in una messa a Santa Marta, a settembre; ci aveva detto che nei limiti del possibile sarebbe venuto il Giovedì Santo - dice il sacerdote a Radio Vaticana -. Il fatto che abbia mantenuto questa promessa ci fa molto, molto piacere: è una cosa bella. Ripeteremo l'esperienza di tre anni fa, con Papa Ratzinger, in un contesto diverso e con una persona diversa". Per i detenuti questa visita "significa sicuramente un'attenzione importante della Chiesa di Roma in particolare alla loro condizione. Diciamo sempre che sono i più disgraziati; in questo caso, far vedere che sono figli di Dio amati dalla Chiesa e in particolare dal Papa, è per loro molto, molto importante. Tra l'altro, sarà la prima volta in cui celebreremo con uomini e donne detenute, quindi spostando le detenute del carcere femminile da noi: sarà una cosa molto bella". A Rebibbia oggi, riferisce il cappellano, oggi c'è "una situazione con un po' meno sovraffollamento, ma le persone che ci stanno hanno sempre le problematiche di prima, perché purtroppo sul carcere - a parte qualche provvedimento deflattivo sui numeri - non è successo niente di nuovo". "Questa è una visita strettamente pastorale - aggiunge don Spriano - a proposito delle sue attese. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci abbracci, che ci faccia sentire parte della società, che ci faccia sentire cristiani di una Chiesa più ampia e non segregati. Questo il Papa lo farà e questo noi desideriamo". Napoli: visita di Papa Francesco a Poggioreale, al pranzo in carcere ottanta storie su 1.900 di Antonio Mattone Il Mattino, 12 marzo 2015 C'è una trepidante attesa e un grande entusiasmo nel carcere di Poggioreale per la prossima visita di Papa Francesco. Un clima di allegria e di laborioso fermento in quella che fino a qualche tempo fa era una delle galere più orribili e temute della penisola. Nella chiesa che ospiterà il banchetto fervono i lavori: è stata completamente tinteggiata da una squadra di detenuti guidati da alcuni agenti che fanno parte del settore delle lavorazioni. Qui incontro Ciro. Fuori faceva il muratore e nei colloqui che facevamo mesi fa mi diceva che si sentiva di scoppiare e che voleva lavorare. Ha sofferto molto Ciro, ha una storia familiare dolorosa ma oggi è tutto orgoglioso del suo lavoro per abbellire il luogo che ospiterà il Papa. Anche il brigadiere che gli sta vicino è fiero di questi lavoranti scelti personalmente uno per uno, e del compito che a costo di grandi sacrifici, anche fuori dall'orario di lavoro ordinario, stanno portando avanti tutti insieme. "Non sei più venuto a trovarmi", mi dice rimproverandomi. Ma gli rispondo che non lo trovo mai, sta sempre a lavorare, e lui sorride. Per questa occasione nella cappella del penitenziario sono stati installati anche i climatizzatori. Finalmente i carcerati non dovranno più sopportare il freddo d'inverno e la calura nei mesi estivi. Il fermento e il buon umore aumentano di giorno in giorno. Lo noto andandoci con maggior frequenza, visto che dovrò occuparmi di coordinare lo svolgimento del pranzo con i sessanta volontari della pastorale carceraria della diocesi di Napoli. Sarà un pranzo semplice quello voluto da papa Francesco. Pasta al forno, vitello patate e broccoletti, tutto preparato dagli stessi detenuti nella cucina del padiglione San Paolo. E per finire babà e sfogliatelle, ricce e frolle come vuole la tradizione napoletana. Alcuni volontari faranno i sommelier versando vino rosso proveniente da Ischia, con la dovuta moderazione, mentre le tovaglie della tavola saranno cucite per l'occasione dalle detenute di Santa Maria Capua Vetere. Sono entusiasti i volontari anche perché hanno saputo che al termine del pranzo il Papa li vorrà salutare e nella riunione preparatoria sono pieni di domande e preoccupati che tutto vada per il meglio. Anche don Franco, il cappellano, sorride compiaciuto, e si raccomanda che tutto avvenga secondo le indicazioni e il volere di papa Francesco. Non c'è posto per tutti i detenuti a tavola. A Poggioreale oggi ce ne sono circa 1.900 e solo 80 potranno avere la fortuna di pranzare con Francesco. Oltre a chi avrà cucinato , ci saranno alcuni sorteggiati tra quelli che partecipano alla catechesi settimanale, 15 verranno dal penitenziario di Secondigliano, 5 dall'Opg e 4 ragazzi di Nisida. Altri 300 lo saluteranno fuori la chiesa, prima che inizi il pranzo. "Cosa diresti a papa Francesco se lo incontrassi" chiedo a Federico ? "Se potessi parlarci - mi risponde - sarebbe una grande gioia, stare con lui mi darebbe quella felicità che nessuna persona mi potrebbe dare. Io ho intrapreso un cammino di cambiamento ma ho paura che quando esco ritorno nel mio ambiente e ripercorro una via non buona". Poi si ferma e dopo averci pensato un po' riprende: "non gli chiederei un lavoro perché lui non è l'ufficio di collocamento, e so che dipende solo da me cambiare vita. Ma lui mi trasmette un senso di serenità, di fiducia, di allegria che sono un aiuto fondamentale per cambiare strada". E abbassando lo sguardo conclude: "ma tanto lo so che sicuramente non lo vedrò". Si alza dalla sedia, trattiene a stento le lacrime, mi abbraccia forte e se ne torna nella sua cella. Domani dirò a Federico che i miracoli avvengono e che potrà pranzare insieme al Papa. È proprio una grande benedizione la venuta di Bergoglio nel carcere di Poggioreale, anzi nella Casa Circondariale "Giuseppe Salvia" come dovremo abituarci a chiamare questo carcere, dove giorno per giorno sta avvenendo un altro miracolo: quello di trasformare un inferno in un luogo di grande professionalità e umanità, dove escono uomini migliori di quelli che sono entrati. Napoli: "L'orrore e l'errore", in mostra video e fotografie dall'inferno degli Opg di Francesca Bianco La Repubblica, 12 marzo 2015 Quattro giorni di fotografie, video e dibattiti dedicati agli Opg (Ospedali Psichiatrici Giudiziari). Da oggi a domenica a Castel dell'Ovo è in programma "L'orrore e l'errore. Evasioni dai manicomi criminali", per scoprire veri e propri non luoghi che, per effetto del decreto "svuota carceri", dovrebbero chiudere il prossimo 31 marzo (data scelta dopo due anni di proroghe). L'inaugurazione della mostra, che conta foto di Valentina Quintano, Vincenzo Mazzeo, Stefano Ciannella e Marta Sarlo, è prevista per le 11 e sarà visitabile dalle 10 alle 19. Nel pomeriggio dibattito con gli operatori e, alle 17, proiezione del filmato "Pazzi e criminali" di Valerio Cataldi. Nei prossimi giorni previsti filmati, conversazioni con gli operatori e presentazioni di libri. L'obiettivo è far emergere tutto ciò che è accaduto in questi luoghi d'orrore che si sono spesso trasformati in insoliti palcoscenici e dove laboratori e percorsi pedagogici hanno avvicinato all'arte tantissimi degenti. Ed è proprio il destino dei degenti per l'imminente chiusura degli Opg che preoccupa chi ha costruito con loro un percorso artistico e di redenzione, come Adolfo Ferraro, curatore dell'iniziativa ed ex direttore del manicomio di Aversa, o ancora la compagnia Teatringestazione di Anna Gesualdi e Giovanni Trono, che con gli internati di Aversa ha lavorato per otto anni. "Esperienza che ha cambiato le nostre vite", dice Anna Gesualdi, "imparano il linguaggio del teatro recuperando un'identità che questi luoghi spesso tolgono". E dagli abissi della degenza con la fiducia e l'autonomia che infonde il teatro si torna spesso uomini liberi, com'è successo per molti. Basta pensare a Giuseppe Rosano, "uno dei nostri primi attori che durante la degenza ha seguito i nostri laboratori e che continua a recitare da uomo libero". Proprio lo scorso gennaio Rosano, insieme ad Adolfo Ferraro, ha portato in scena a Galleria Toledo "I ragazzi della via Paal" con la partecipazione di Enzo Moscato. Spettacolo che replicherà ad aprile. "Lui è uno dei tanti. Molti sono tornati alle famiglie, altri vogliono condividere le proprie esperienze, come Ezio Rossi, ex internato che sta scrivendo un libro". A pochi giorni dalla chiusura degli Opg restano le preoccupazioni per il destino degli internati e si guarda con sospetto alle Rems, le nuove strutture che dovranno ospitare i reclusi, considerate dei mini-manicomi. Sala Consilina (Sa): detenuti a lezione di scrittura creativa, per il reinserimento nel sociale di Pasquale Sorrentino Il Mattino, 12 marzo 2015 Tre corsi per i detenuti del locale carcere. È il progetto che nasce nel nuovo protocollo d'Intesa tra la Casa Circondariale e il Comune, in collaborazione con la Caritas Diocesana. Previsto anche il supporto degli istituti comprensivi di Sala e Teggiano. Sono tre i corsi da attivare attraverso la stipula: un corso di informatica di base, uno di scrittura creativa e, infine di un corso per l'effettuazione della raccolta differenziata. L'obiettivo è quello di permettere ai detenuti di avere delle basi da poter utilizzare una volta tornati in libertà. Delle competenze per favorire il reinserimento. Non è la prima volta: in passato sono stati intrapresi, con ottimi risultati, corsi di pizzaioli, panettieri e informatici. I docenti dei corsi terranno lezioni per un complessivo, per ciascuno dei corsi in programma, di 30 ore. Il loro lavoro sarà svolto a titolo gratuito. A presentare il progetto educativo la direttrice della Casa circondariale di Sala Consilina, Concetta Felaco e il presidente del Consiglio comunale Maria Stabile. "È motivo di orgoglio questo lavoro di sinergia tra enti per favorire il loro reinserimento. Sala Consilina intende distinguersi nel campo del recupero organizzato da chi, per un motivo o per un altro, ha infranto la legge". In questo contesto si può inquadrare anche l'appuntamento di sabato prossimo, nell'Aula magna della Scuola primaria di Sala Consilina, su "Il lavoro di Pubblica Utilità in materia di sicurezza stradale". Si tratta del momento conclusivo di una complessa azione condotta dal Servizio di Assistenza Giustizia Penale (S.A.Gi.P.) del segretariato sociale del Piano di zona, per l'istituzione del servizio di "Lavoro di Pubblica Utilità", a favore dei cittadini condannati per i reati previsti dal Codice della Strada. In sostituzione della pena detentiva e pecuniaria, potranno prestare opere materiali o intellettuali, negli ambiti operativi individuati dai comuni. Torino: "Ognuno ha la sua legge uguale per tutti", teatro per riflettere su legge e giustizia Prima Pagina News, 12 marzo 2015 Dopo le rappresentazioni alla Casa Circondariale e, recentemente, al Piccolo Regio di Torino, nell'ambito del convegno "Guardiamoci Dentro" della Compagnia di San Paolo, saranno due luoghi simbolo della città ad ospitare "Ognuno ha la sua legge uguale per tutti" prodotto dal regista Claudio Montagna e dalla Compagnia Teatro e Società. Primo appuntamento sabato 14 marzo all'Aula Magna del palazzo di Giustizia Bruno Caccia di Torino che, in via del tutto eccezionale, apre le porte al format teatrale. "Ognuno ha la sua legge uguale per tutti" affronta gli interrogativi nati dallo studio della Cattedra di Sociologia del diritto, condotto dal prof. Claudio Sarzotti e dalle prof.sse Cecilia Blengino e Silvia Mondino, che ricostruisce i vissuti di giovani e detenuti sia rispetto al rapporto con la legge e con le conseguenze sanzionatorie della sua violazione, sia con i diversi attori sociali coinvolti in un'azione penalmente rilevante (vittima, forze dell'ordine e autore di reato). Studenti, detenuti ed esperti portano in scena casi concreti e punti di vista differenti avviando una riflessione sul complesso rapporto tra legge e giustizia. La nostra vita è regolata da norme giuridiche, ma anche sociali, morali o etiche: allora quando giudichiamo, condanniamo, assolviamo oppure scegliamo come comportarci, a quale legge facciamo riferimento? E chi trasgredisce è davvero così "altro"? "Ognuno ha la sua legge uguale per tutti" Sabato 14 marzo 2015 ore 10.00 sarà proposto all'Aula Magna del Palazzo di Giustizia Bruno Caccia di Torino, giovedì 26 marzo 2015 ore 18.00 all'Aula Magna Campus Luigi Einaudi, dell'Università degli Studi di Torino, in occasione della 53ª Giornata Mondiale del Teatro e della 2ª Giornata Nazionale del Teatro in carcere. Entrambi gli appuntamenti vedranno la partecipazione di un gruppo di detenuti del Padiglione A della Casa Circondariale Lorusso Cutugno e di un gruppo di studenti universitari della Facoltà di Giurisprudenza e degli Istituti di scuola Media Superiore di Torino accompagnati da autorevoli esperti di giustizia. Intervengono: Gian Franco Burdino Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Torino, Silvia Mondino prof.ssa cattedra di Sociologia del Diritto dell'Università degli Studi di Torino, Simone Perelli Giudice della Corte d'Appello, Davide Gamba avvocato. Gli eventi sono gratuiti e aperti al pubblico fino a esaurimento dei posti. Torino: Margherita Oggero "vado in prigione a insegnare come si evade con un romanzo" di Vera Schiavazzi La Repubblica, 12 marzo 2015 La scrittrice torinese porta dietro le sbarre l'iniziativa del Salone del Libro "Adotta uno scrittore": terrà tre lezioni a un gruppo di detenute del carcere delle Vallette "Lorusso e Cotugno". Il linguaggio è un bel problema. Non posso certo cominciare dicendo che leggere ci aiuta a evadere". Margherita Oggero è molto contenta di iniziare, oggi, la prima delle sue tre lezioni in carcere alle detenute che già frequentano la scuola interna. Ma sa di dover fare attenzione ai temi, ai romanzi che consiglierà, a tutte le situazioni reali o fantastiche che potrebbero movimentare troppo la situazione. Signora Oggero, da dove comincerà? "Per prima cosa, sono io che devo conoscere la classe, capire quante allieve avrò e quali sono le loro competenze nel parlare e scrivere in italiano. Le nazionalità sono diverse, così come l'età, si va dalle diciottenni alle cinquantenni, con studentesse italiane, rom e di altre nazionalità. E come ogni insegnante, anche per poco tempo, il mio obiettivo sarà quello di stimolare tutti e di non lasciare indietro nessuno. Non so neppure quante persone hanno aderito". Che cosa può insegnare una scrittrice alle detenute che l'hanno "adottata"? "Che la lettura e la scrittura rappresentano un modo di uscire dallo spazio ristretto dove vivono, con la fantasia e l'immaginazione. Si possono scegliere libri da leggere, e si può iniziare a buttare giù qualche parola, perfino un diario che non deve solo raccontare le giornate ma aggiungerci tutto ciò che avremmo voluto ci fosse, o perfino la vita di una persona diversa da noi. O si può cominciare dai racconti dell'infanzia, o di un animale che hanno avuto. Credo che questo sarà il tema della mia prima lezione di oggi". E per leggere? Quali libri ha in mente di suggerire? "Ci sono libri semplici e accattivanti, come quelli di Jack London per chi ama l'avventura. Non proporrei romanzi dell'Ottocento dal periodare difficile e pieno di subordinate. E, siccome le organizzatrici mi hanno proposto di suggerire anche uno tra i miei libri, ho pensato a "Risveglio a Parigi", che racconta la storia di tre donne diverse, una delle quali è una madre single, che parlano d'amore, ciascuna nella propria esperienza, un altro argomento che credo ci possa interessare. Racconterò la trama nella mia seconda lezione, in modo che tutte sappiano di cosa si parla e possano decidere se leggerlo o no". E nell'ultimo incontro? "Saranno le studentesse a suggerire i titoli, quelli già letti o quelli ancora da iniziare. Anche in quel caso, dalla storia della trama si può capire se leggere o meno il libro raccontato da un'altra. Io vorrei evitare i temi troppo dolorosi o cupi, le storie di violenza, insomma, tutto quel che non mi pare che possa far funzionare i benefici che la lettura dà alla vita delle persone che leggono, a seconda delle circostanze in cui si trovano. Ecco, è proprio questo che vorrei dire: avere un buon libro e saper usare la penna sono due modi straordinari di sentirsi meglio anche nei momenti più drammatici, di uscire almeno per un'ora dalle proprie angosce, dal disagio o dagli affanni. Non sono sicura di riuscire a spiegarlo a tutte, ma vale la pena provarci". E gli scritti delle allieve? "Se loro vorranno, possiamo leggerli in classe, io comunque sarò felice di correggerli uno ad uno e far sapere loro le mie opinioni anche dopo i tre incontri. È importante trasmettere quale possa essere il ruolo dell'immaginazione quando si scrive". Perché ha accettato? "Perché sono molto curiosa e ci tengo a conoscere chi verrà. E perché almeno ogni tanto bisogna provare a spingere qualcun altro a fare le cose che ci piacciono e nelle quali crediamo. Altrimenti, resteranno lettera morta". Livorno: storia di Alberto Piras, laureato in Scienze Giuridiche nel carcere Porto Azzurro www.tenews.it, 12 marzo 2015 Detenuto a Porto Azzurro, è riuscito a conseguire il titolo di studio a dispetto dei limiti imposti dal regime di reclusione. Fondamentale l'appoggio dei volontari del carcere e della Fondazione Livorno. Laurearsi non è facilissimo in condizioni normali, provate a farlo senza poter frequentare le lezioni, senza contatti quotidiani con i docenti e anche senza internet e il traguardo diventa quasi irraggiungibile. Ce l'ha fatta invece Alberto Piras detenuto nel carcere di Porto Azzurro che ha brillantemente concluso il corso di studi in Scienze Giuridiche con la tesi dal titolo "L'esperienza religiosa all'interno dell'istituto penitenziario di Porto Azzurro". Un percorso difficile quello di Alberto Piras che ha dimostrato, oltre ad una encomiabile tenacia, una profondità culturale di valore assoluto che gli ha consentito di superare tutti i limiti imposti dalla detenzione e di raggiungere un traguardo importante. Piras, naturalmente, non ha fatto tutto da solo, nel suo percorso è stato sostenuto da decine di persone che attraverso l'Associazione volontariato in carcere e la fondazione Livorno, hanno fatto pervenire a Piras tutto quello che poteva servirgli per il suo percorso di studi. L'eccellente risultato è il frutto del progetto "Universazzurro - Universitari in carcere" e gode del patrocinio del Comune di Portoferraio. Indonesia: pena di morte; esecuzione unica per 10 stranieri condannati per traffico droga Agi, 12 marzo 2015 Dieci stranieri condannati a morte in Indonesia per reati in materia di droga saranno giustiziati insieme. Lo ha comunicato il portavoce dell'ufficio del Procuratore generale, Tony Spontana. "Fino a oggi non c'è alcun cambiamento nei piani dell'ufficio di effettuare tutte le esecuzioni contemporaneamente. Si farà quando ogni cosa verrà chiarita, tra marzo e aprile", ha affermato Spontana. Nel gruppo dei detenuti nel braccio della morte ci sono due cittadini australiani e un francese, in attesa delle decisioni sulle loro istanze di clemenze. Per gli australiani la decisione è prevista il 19 marzo, per il francese il 21 marzo. Stati Uniti: pena di morte; lo Utah vuole reintrodurre il plotone di esecuzione www.ilpost.it, 12 marzo 2015 Il boicottaggio delle case farmaceutiche contro chi applica la pena di morte sta spingendo gli stati americani a cercare alternative all'iniezione letale. Lo Utah potrebbe diventare l'unico stato americano a utilizzare la fucilazione per l'esecuzione delle condanne a morte: martedì 10 marzo i senatori dello Utah hanno infatti approvato (con 18 voti a favore e 10 contrari) un progetto di legge che prevede di ricorrere al plotone di esecuzione "se le sostanze non sono in grado di portare avanti la pena di morte", nei casi in cui cioè i farmaci necessari per l'iniezione letale non siano disponibili 30 giorni prima della data fissata per l'esecuzione. Il progetto era già stato approvato alla Camera con 39 sì e 34 no: perché entri in vigore serve solo la firma del governatore Gary Herbert, repubblicano, che non ha ancora detto cosa intende fare. Il promotore della proposta è il repubblicano Paul Ray, secondo il quale i plotoni di esecuzione "sono un'alternativa umana e veloce alle iniezioni letali". Lo Utah ha vietato la morte per fucilazione nel 2004, anche se i detenuti che erano già stati condannati a morte avevano potuto scegliere la modalità della loro esecuzione. L'ultima condanna a morte per fucilazione è avvenuta nello Utah nel 2010: Ronnie Lee Gardner, 49 anni, decise di essere fucilato nel carcere di Salt Lake City. La fucilazione aveva seguito un preciso rituale: il condannato era stato legato a una sedia, cinque volontari armati si erano posizionati a otto metri di distanza, solo uno di loro con l'arma caricata a salve. Un fazzoletto bianco era stato fissato all'altezza del cuore del detenuto, la testa gli era stata coperta con un cappuccio e poi erano partiti gli spari. Diversi stati americani stanno cercando delle alternative alle iniezioni letali: una delle sostanze più utilizzate nelle iniezioni letali, il Pentobarbital, sta infatti diventando molto difficile da reperire. Si tratta di un barbiturico che si usa soprattutto per le eutanasie animali, ma anche per quelle umane (per esempio nei Paesi Bassi). Per anni il Pentobarbital è stato usato come componente principale per le iniezioni letali in diversi stati americani. Quando però la notizia dell'utilizzo della sostanza si è diffusa in Danimarca, dove ha sede il produttore, una campagna stampa ha spinto la società a bloccare tutte le vendite. Trovare sul mercato un fornitore alternativo della sostanza sembra essere complicato a causa del boicottaggio delle case farmaceutiche e gli stati che eseguono condanne a morte hanno cominciato passare a nuove misture che non si sono però rivelate affidabili. L'esecuzione della condanna a morte di Dennis McGuire in Ohio nel gennaio del 2014, durò per esempio 25 minuti: la sostanza utilizzata fu una mistura di midazolam e idromorfone. La stessa mistura ha causato effetti ancora più evidenti in almeno altre due condanne a morte negli ultimi tempi. In un caso, in Oklahoma, il condannato ha impiegato 43 minuti a morire, scalciando e facendo smorfie di dolore. In Arizona un'altra esecuzione di condanna a morte è durata quasi due ore. Messico: l'Onu denuncia uso tortura "l'ordine è negare, nascondere, fare finta di niente" di Carmine Saviano La Repubblica, 12 marzo 2015 Il messaggio da lanciare è: qui la tortura non esiste. Ma secondo l'ultimo rapporto di Juan Mendez, relatore delle Nazioni Unite sulla tortura e su tutti i "trattamenti degradanti", la realtà è diversa: la tortura è generalizzata: oltre 11 mila casi denunciati dai familiari delle vittime e da organizzazioni umanitarie. Nascondere, negare, guardare altrove. Anche se la denuncia arriva sino al pubblico ufficiale. Anche se i segni sul corpo delle vittime sono inequivocabili. Il messaggio da lanciare è uno e uno soltanto: qui la tortura non esiste. Ma secondo l'ultimo rapporto di Juan Mendez, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e su tutti i "trattamenti degradanti", la realtà è diversa: in Messico la tortura esiste eccome. Oramai generalizzata: oltre 11 mila casi denunciati dai familiari delle vittime e da organizzazioni umanitarie dal 2006 all'aprile del 2014. Una piaga resa ancora più atroce dal clima di generale impunità che circonda le forze militari e quelle di polizia. Impunità e brutalità. Un documento, quello delle Nazioni Unite, che conferma le preoccupazioni e le denunce che da anni numerose organizzazioni umanitarie rivolgono per la situazione in Messico. "Questo fondamentale ed estremamente duro rapporto di un massimo esperto delle Nazioni Unite sulla tortura evidenzia una cultura dell'impunità e della brutalità sulla quale abbiamo condotto campagne per anni". Ancora: "Il presidente Enrique Peña Nieto non può invocare l'ignoranza su questo tema. Invece, deve accettare e attuare tutte le raccomandazioni disposte nella relazione del relatore speciale", ha dichiarato Erika Guevara-Rosas, direttrice del Programma Americhe di Amnesty International. L'estorsione di confessioni. E l'esponente di Amnesty illumina anche il contesto in cui viene praticata la tortura. La polizia e l'esercito, infatti, si servirebbero regolarmente di trattamenti inumani per estorcere false informazioni o confessioni a chi è in carcere con l'accusa di contribuire al traffico di stupefacenti. La guerra alla droga coma maschera sotto cui si nascondono veri e propri crimini di stato. "Spesso, le vittime sono costrette a firmare dichiarazioni sotto tortura e in molti casi sono condannate unicamente sulla base di queste affermazioni. Gli esami di medicina legale, quando vengono eseguiti, di solito non sono all'altezza degli standard internazionali", continua la Guevara-Rosas. La detenzione arraigo. La richiesta che da più parti arriva al governo messicano è quella di applicare fedelmente il Protocollo di Istanbul. Ovvero: consentire, innanzitutto, ai medici legali di effettuare analisi immediate sulle persone che denunciano di essere state torturate. E poi che i tribunali accettino pareri, analisi e conclusioni di esperti indipendenti. Il principio è semplice: solo se la tortura viene documentata può essere individuata e sconfitta. La trasparenza contro l'impunità. E solo le autorità statali possono far sì che vengano mossi i primi passi verso questo monitoraggio costante: a partire dalla nuova regolamentazione della detenzione arraigo, regola che consente di prolungare fino a ottanta giorni il fermo di polizia. Due casi (tra tanti). Essenziale anche la mobilitazione della comunità internazionale. Negli ultimi mesi Amnesty International ha promosso numerose campagne d'opinione per far conoscere i casi di Angel Colón e Claudia Medina. Colón è stato sottoposto ad asfissia, sottoposto a trattamenti umilianti e picchiato dai soldati mentre era detenuto in una base militare. Dopo la sua denuncia di tortura, ci sono voluti cinque anni per ottenere che venisse sottoposto a un esame adeguato da parte di un esperto indipendente di medicina legale. Claudia Medina, invece, è stata violentata da soldati della marina militare. Le autorità sono state riluttanti a indagare sulle accuse e il governo le ha reso praticamente impossibile accedere ai servizi ufficiali di medicina legale. I nove punti. Queste le richieste di Amnesty International allo stato messicano: "Far prontamente comparire chiunque sia arrestato davanti al giudice. - Avviare immediatamente indagini sulle segnalazioni di tortura. - Predisporre un'immediata e adeguata visita medica dei detenuti. - Fornire a tutti i detenuti l'accesso al rappresentante legale - Consentire loro di vedere le rispettive famiglie. - Tenere i detenuti solo in strutture di detenzione riconosciute. - Abolire la detenzione arraigo. - Indagare su tutti i sospettati torturatori, indipendentemente dal loro grado. - Elargire riparazioni alle vittime di tortura. - Registrare in modo adeguato tutte le detenzioni, trasferimenti e cartelle cliniche". Siria: all'Onu foto shock sulle torture di Damasco, un disertore ha documentato l'orrore di Valeria Robecco Ansa, 12 marzo 2015 Le foto sugli orrori nelle prigioni siriane sbarcano al Palazzo di Vetro dell'Onu: sono scatti shock, che mostrano corpi scheletrici, bruciati dall'acido o da sigarette spente sulla pelle, crani fracassati, genitali brutalmente massacrati, teste deturpate a cui sono stati strappati gli occhi. La mostra - dal titolo "Caesar Photos: Inside Syrian Authorities Prisons" e sponsorizzata, tra gli altri Paesi, anche dall'Italia - raccoglie una ventina delle 55.000 immagini realizzate tra il 2011 e il 2013 da un fotografo disertore dell'esercito siriano conosciuto con il nome in codice di Caesar in tre carceri nell'area di Damasco. Foto portate clandestinamente fuori dal Paese mediorientale e talmente agghiaccianti che all'ingresso della galleria è stato posto il cartello "Warning: le immagini che seguono possono impressionare". L'obiettivo della mostra, secondo l'ambasciatore britannico Mark Lyall Grant, è quello di aumentare la consapevolezza sugli abusi dei diritti umani compiuti dalle truppe del presidente Bashar al-Assad. "Mentre il conflitto in Siria entra nel suo quinto anno, ci auguriamo che queste foto serviranno a ricordare l'imperativo di raggiungere una soluzione politica della crisi con la massima urgenza, per porre fine alle sofferenze della popolazione", ha detto Lyall Grant. Alcuni investigatori internazionali di crimini di guerra hanno descritto le immagini come "prove evidenti delle sistematiche torture e uccisioni di massa" nelle carceri siriane. Le foto sono state mostrate ai membri del Consiglio di Sicurezza dell'Onu lo scorso aprile, e il mese successivo Russia e Cina hanno bloccato con il veto una bozza di risoluzione che chiedeva di deferire la situazione in Siria alla Corte penale internazionale per l'eventuale perseguimento dei crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Russia: Zaur Dadaev; io non colpevole, mi hanno costretto a confessare omicidio Nemtsov Adnkronos, 12 marzo 2015 "Ho pensato, intanto arrivo a Mosca vivo, poi dirò la verità, che non sono colpevole, in tribunale ma giudice non mi ha dato parola". Zaur Dadaev, il ceceno accusato di aver ucciso Boris Nemtsov lo scorso 27 febbraio nel centro di Mosca, denuncia di essere stato costretto a confessare durante i primi interrogatori in Inguscezia e di averlo fatto per paura, convinto di poter, una volta in tribunale, "dire la verità, che non sono colpevole". In un colloquio con un giornalista del quotidiano Moskovsky Komsomolets al carcere di Lefortovo dove è detenuto, l'ex vice comandante del battaglione Sever del ministero degli Interni ceceno ha spiegato anche di aver confessato l'assassinio solo perché gli inquirenti che lo interrogavano avevano promesso di rilasciare l'amico ed ex suo subordinato Ruslan Yusupov (di cui fra l'altro non ci sono più notizie da allora) insieme a cui era stato arrestato. Nemtsov: interrogatori per attivisti che hanno denunciato torture Il Comitato investigativo russo, incaricato delle indagini sull'omicidio di Boris Nemtsov, ha annunciato che presto convocherà per interrogatori sia la giornalista del Moskovski Komsomolets, Eva Merkachiova, che Andrei Babushkin, membro del Consiglio per i diritti umani presso la presidenza russa, per le loro rivelazioni sul caso dell'oppositore politico ucciso. Sul sito del Comitato investigativo si rende noto che i due - i quali oggi hanno denunciato pubblicamente presunte torture sui detenuti ceceni, finora sospettati di coinvolgimento nel delitto - "saranno presto interrogati per chiarire i motivi che li hanno spinti a interessarsi delle circostanze della causa penale e a pubblicare materiali sui mass media". "Le loro azioni - secondo il Comitato investigativo - possono essere valutate come interferenza nell'attività degli investigatori, con l'obiettivo di ostacolare un'indagine piena e obiettiva". Il comunicato spiega, inoltre, che la visita al carcere di Lefortovo - dove i due si sono recati ieri in visita con una delegazioni di attivisti per incontrare tre dei sospetti criminali - era stata organizzata "esclusivamente per chiarire le condizioni della detenzione" di Zaur Dadayev, l'ex poliziotto ceceno e presunto esecutore materiale. A detta di Babushkin, citato da Rbc, non vi è stata alcuna violazione della legge nelle sue dichiarazioni: "Non abbiamo interferito in nulla, abbiamo fatto visita a delle persone e abbiamo visto e raccontato quali azioni illegali sono state condotte nei loro confronti". "Sono accuse assurde e inverosimili - gli ha fatto eco la Merkachiova - che hanno lo scopo di paralizzare il lavoro dei difensori dei diritti umani, affinché non venga loro permesso di entrare in contatto con i detenuti". "In tal caso - ha concluso la giornalista - non si potrà parlare di nessuna indagine onesta". Egitto: il reporter di Al Jazeera "noi, prigionieri per terrorizzare la libera stampa" di Laura Cappon La Repubblica, 12 marzo 2015 Il racconto di Baher Mohammed, uno dei giornalisti dell'emittente qatariota incarcerati per oltre un anno con l'accusa di spionaggio, ora in attesa di un nuovo processo. Per loro si è mobilitato tutto il mondo dei media internazionali. "È una battaglia più grande di noi, senza informazione non c'è democrazia". "Non so perché ci abbiano condannato, nelle indagini e in aula non c'è stata nessuna prova o testimonianza contro di noi". Baher Mohammed ha il volto stanco e segnato dai 400 giorni passati in carcere. Assieme al reporter australiano Peter Greste e a Mohammed Fahmy fa parte dello staff di Al Jazeera English arrestato in Egitto nel dicembre del 2013 con l'accusa di "spionaggio e collaborazione con l'organizzazione terroristica dei Fratelli Musulmani". Per la loro liberazione sono state raccolte centinaia di firme di giornalisti e forte è stata anche la pressione internazionale finché in gennaio la Corte di Cassazione ha annullato la pena tra i 7 e i 10 anni di carcere inflitta ai reporter in primo grado. Ora è libero su cauzione e sta affrontando un nuovo processo mentre Greste è stato estradato in Australia lo scorso primo Febbraio. Lo incontriamo al Cairo. Le carceri egiziane sono tristemente famose per i numerosi casi di tortura denunciati da diverse organizzazioni per i diritti umani. Come siete stati trattati durante la vostra detenzione? "Non sono stato torturato ma le condizioni nella prigione di Tora al Cairo erano orribili. In cella ero da solo, dormivo per terra non avevo l'ora d'aria e non avevo accesso all'acqua corrente. La cella era umida, a dicembre faceva molto freddo ed ero costretto a dormire per terra tra gli scarafaggi. Inoltre non mi era permesso di tenere con me libri, quaderni o penne. Poi sono stato trasferito in un altro penitenziario, in una cella leggermente più grande assieme agli altri due colleghi di Al Jazeera. Qui potevamo uscire nel cortile un'ora al giorno e fare attività fisica ma in realtà l'unico vero privilegio era l'acqua calda. Fahmy credo che dopo tutto questo tempo non sarà più in grado di recuperare completamente l'uso del suo braccio, aveva dei problemi fisici prima di essere arrestato e non gli è stato concesso nemmeno un letto per dormire". In primo grado l'iter processuale è stato molto lungo e travagliato, come risponde alle accuse che vi sono state attribuite? "Durante il primo processo abbiamo visto le prove e sentito le testimonianze e non c'era nulla di concreto contro di noi. Eravamo consapevoli di essere stati presi per far sì che il governo ci usasse come esempio per intimidire gli altri giornalisti. Io, per esempio, ho preso 3 anni di pena in più degli altri perché in casa hanno trovato un proiettile portato dalla Libia quando lavoravo come giornalista freelance". La vicinanza di Al Jazeera con i Fratelli Musulmani vi aveva reso un obiettivo per il governo già dopo la deposizione del presidente islamista Morsi nel luglio del 2013. Molti colleghi avevano lasciato il paese, voi avevate allestito una redazione dell'hotel Marriott per ragioni di sicurezza. Perché ha continuato a lavorare con Aje nonostante i rischi? "Io ho iniziato a lavorare con Aje nell'aprile del 2013 e non ho mai pensato di lasciare anche dopo l'inizio della repressione contro gli ikhwan (nome in arabo dei Fratelli Musulmani, ndr). Per me era un'occasione. Per quanto riguarda il canale, AJE ha sempre rispettato tutti gli standard di obiettività e professionalità con dei colleghi di altissima caratura. Inoltre, quando lavori con dei rischi ottieni molte più informazioni. Quello che mi interessa veramente è il servizio che io do al pubblico non i rischi che corro. E poi l'Egitto è pericoloso per tutti i giornalisti". Il vostro caso ha suscitato una campagna di sensibilizzazione senza precedenti che ha coinvolto giornalisti da tutto il mondo… "Sono molto commosso nel vedere il supporto che è arrivato a me, Peter e Mohammed. Non me l'aspettavo e questa è una cosa che va oltre perché è diventata una causa più grande della nostra. Penso a Gandhi, a Mandela, ovviamente non sono come loro, ma noi in questo momento dobbiamo lottare per la libertà di stampa, per quello che crediamo. Tutto ciò è molto importante per noi. Perché senza i media non c'è la democrazia. Senza i professionisti dell'informazione, la gente non potrebbe sapere cosa succede nel mondo non potrebbero esercitare il voto in maniera consapevole". Il presidente al Sisi ha dichiarato che potrebbe concedere la grazia dopo la fine del nuovo iter processuale. Confida in un intervento del capo di Stato egiziano? "In prigione devi mettere da parte le aspettative. È normale averle ma in carcere non ci devi pensare perché se non accade quello in cui speravi rischi di rimanere ferito nel profondo. Quindi non mi aspetto nulla, l'unica cosa in cui confido - ma in maniera molto flebile - è il giudizio della Corte di Cassazione che già annullando la sentenza di primo grado sembra aver dimostrato interesse nel nostro caso". Come vede il suo futuro? "Noi ora abbiamo il compito di tenere alta l'attenzione sulla violenta repressione che il governo di al Sisi sta portando avanti contro i giornalisti e lottare affinché i giornalisti vengano protetti. In carcere ci sono almeno 9 reporter ma potrebbero essere di più. È il motivo per cui abbiamo deciso di parlare con la stampa nonostante il processo non sia finito. Uno dei progetti a cui tengo di più è un libro scritto a sei mani con Greste e Fahmy. Vogliamo che gli incontri e i dialoghi che abbiamo avuto in carcere con le altre vittime della repressione governativa, cioè i numerosi attivisti di Tahrir arrestati o i leader dei Fratelli Musulmani. L'obiettivo è raccontare da un'altra prospettiva il periodo di transizione seguito alla deposizione del presidente Morsi". Marocco: ex detenuti disoccupati che hanno bloccato traffico ferroviario ad Asila Nova, 12 marzo 2015 Sono stati scarcerati ieri dalle autorità marocchine dopo quasi un anno di carcere i nove disoccupati arrestati lo scorso anno per un blocco ferroviario vicino ad Asila, nel nord del Marocco. Secondo quanto riporta la stampa di Rabat, i sono registrati festeggiamenti tra gli attivisti del movimento "6 aprile" che porta il nome della data nella quale lo scorso anno la polizia ha arrestato nove disoccupati che avevano organizzato un blocco ferroviario con l'accusa di aver bloccato un servizio pubblico. I nove attivisti si trovavano nel carcere di Asila 1 e sono stati condannati dal tribunale locale a 6 mesi di carcere ai quali si erano aggiunti 6 mesi di custodia cautelare già scontati. Il movimento dei disoccupati aveva organizzato lo scorso anno una serie di proteste culminate con un sit-in davanti all'abitazione del premier Abdel Ilah Benkirane.