Giustizia: sempre più detenuti, la crescita infelice di Damiano Aliprandi Il Garantista, 10 marzo 2015 È di nuovo allarme per il numero di persone presenti nei penitenziari, i fatti smentiscono il Ministro Orlando. Continua nuovamente a crescere il numero dei detenuti nei nostri penitenziari. Un aumento che riguarda, in maniera significativa, il carcere viterbese. Secondo i dati diffusi, aggiornati al 25 febbraio scorso e curati dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il carcere della città dei papi passa dalle 382 alle 395 presenze. Proprio a Viterbo, oltre che a Regina Coeli (da 886 detenuti a 914) si è registrato il maggior aumento di reclusi dalle ultime rilevazioni del 25 febbraio scorso, a cura del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Un vero e proprio campanello d'allarme che smentisce la fine dell'emergenza carceraria dichiarata dal guardasigilli Andrea Orlando. "In questo 2015 la tendenza registrata è quella di un piccolo ma costante aumento dei numeri", ha dichiarato il garante dei diritti dei detenuti della regione Lazio Angiolo Marroni. La nota del garante fa il punto sulle presenze nei 14 istituti penitenziari del Lazio. Un report completo che mostra come, a Viterbo, siano momentaneamente presenti 22 detenuti in attesa di giudizio, 69 condannati non definitivi e 304 definitivi. Per un totale di 395. Secondo la nota del garante "il 5 marzo i reclusi presenti nei 14 istituti della regione erano 5728, 26 in più rispetto a dieci giorni fa 130 in più rispetto al 31 dicembre 2014. Anche se, rispetto a un anno fa, le presenza fanno registrare un meno 1150 (la rilevazione del 4 febbraio 2014 indicava, infatti, 6.856 presenze)". Ma per Marroni la novità più rilevante è un'altra: "Avevamo già segnalato questa inversione di tendenza dopo mesi ininterrotti di dati in calo. Il fatto che i numeri crescano in maniera lenta ma costante può voler dire che le norme "svuota carceri" varate in questi anni dai diversi governi stanno perdendo la propria spinta propulsiva, ma anche che, probabilmente, si è arrivati a un limite fisiologico di presenze al di sotto del quale non si può scendere con questo tipo di legislazione". La nota prosegue spiegando che "dall'Ufficio del garante fanno notare che i numeri sono lontani dalle medie di oltre settemila presenze registrate fino a due anni fa ma il sovraffollamento fa sempre segnare un più 600 presenze rispetto alla capienza regolamentare degli istituti regionali, fissata dal dipartimento a quota 5114. A livello nazionale, il Lazio si conferma al quarto posto nella graduatoria delle regioni italiane con il maggior numero di detenuti dietro Lombardia con 7.889 presenze, Campania con 7.327 e Sicilia con 5.895)". Ma nel Lazio, secondo i dati disponibili, gli incrementi più significativi riguarderebbero soprattutto i detenuti in attesa di giudizio definitivo, come spiegato nella nota del garante: "Attualmente, sono 2218, il 38,72 per cento del totale, contro il 37,39 per cento di un mese e mezzo fa. Nel dettaglio, 1.036 sono i reclusi in attesa di giudizio di I grado, e 1.182 i condannati non definitivi". Anche nelle carceri della Sardegna il sovraffollamento è un problema nonostante i dati rassicuranti del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. A contestare i dati è Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo diritti riforme". "Le strutture penitenziarie di Iglesias (Cagliari) e Macomer (Nuoro), benché senza detenuti - afferma la Caligaris - risultano ancora operative. Lo si evince dai dati diffusi dal ministero relativi alla situazione delle carceri al 28 febbraio scorso dove vengono conteggiati, al fine di indicare la capienza regolamentare, sia i posti di "Bonu Trau" (46) sia quelli di "Sa Stoia" (62)". E spiega nel dettaglio: "La Sardegna registra attualmente la presenza di 1.834 detenuti (40 donne e 421 stranieri) con 2.774 posti regolamentari. Tuttavia la distribuzione delle persone private della libertà - sottolinea la Caligaris - risulta disomogenea con una concentrazione negli Istituti di Oristano (285 detenuti, la maggior parte in regime di Alta Sicurezza, per 266 posti) e di Tempio Pausania (198 per 167) dove per far fronte al sovraffollamento è stato necessario introdurre la terza branda in diverse celle destinate a due persone. In difficoltà anche Lanusei con 40 persone per 34 posti. Mentre la Casa Circondariale di Sassari-Bancali è al limite della capienza (331 detenuti per 363 posti). Un'eccedenza di disponibilità di spazi si registra nelle Colonie Penali (complessivamente tra Mamone, Isili e Is Arenas si tratta di 561 posti) e nella Casa di Reclusione di Alghero (67 detenuti per 158) dove però è in atto un progetto innovativo trattamentale per il reinserimento sociale dei condannati". La presidente dell'associazione Sdr conclude: "Facendo un po' di conti, la Sardegna non sembra quella felice realtà che il Dipartimento rappresenta con i numeri. È quindi opportuno un approfondimento sulle reali disponibilità e occorre fare chiarezza sul destino delle strutture penitenziarie di Macomer e Iglesias anche perché se come più volte ribadito dal Ministero devono restare chiuse non si comprende perché risultino disponibili 108 posti ormai cancellati". Il trend nazionale è decisamente negativo e si comincia di nuovo ad intravedere l'ombra della condanna - finora scampata - da parte della Corte europea di Strasburgo per le condizioni disumane e degradanti delle nostre patrie galere. Giustizia: Unione Europea; Italia terzultima per durata processi peggio solo Malta e Cipro di Angela Lamboglia www.euractiv.it, 10 marzo 2015 Nelle prossime raccomandazioni specifiche per Paese la Commissione europea richiamerà con forza l'Italia sul tema della lentezza dei procedimenti giudiziari. Lo ha anticipato la commissaria per la Giustizia Vera Jourova, commentando il rapporto 2015 sui sistemi giudiziari europei secondo cui in Italia sono necessari in media 608 giorni per chiudere una causa civile o commerciale. Terzultima in Europa, seguita solo da Cipro e Malta. Questa la posizione dell'Italia nella classifica stilata dalla Commissione europea nell'ambito del quadro di valutazione annuale sulla qualità, l'efficienza e l'indipendenza della giustizia negli stati membri. A fronte dei 308 giorni registrati in Francia, dei 192 giorni in Germania e dei 135 in Austria, in Italia la durata media dei processi civili e di natura commerciale si attesta a quota 608 giorni. Un dato in peggioramento rispetto ai 493 giorni di media del 2010 e ai 590 giorni del 2012, che tra l'altro penalizza, secondo l'Esecutivo comunitario, la competitività dell'economia italiana. Per questo, ha fatto sapere la commissaria Jourova, nelle raccomandazioni economiche che Bruxelles presenterà a maggio nel quadro del semestre europeo, ci sarà un forte richiamo a rendere più efficiente la giustizia civile italiana. "La velocità dei processi è uno dei fattori chiavi per rendere efficace la giustizia", ha spiegato la commissaria, sottolineando che un sistema giudiziario con procedure eccessivamente lunghe non è "business friendly", quindi scoraggia gli investimenti e danneggia lo sviluppo delle imprese. A livello dell'Ue nel suo complesso, il rapporto rileva miglioramenti nell'efficienza dei sistemi giudiziari, nell'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e nella partecipazione dei giudici ad attività di formazione continua sul diritto dell'Unione o di altri stati membri. All'indomani dell'8 marzo il rapporto rivela, invece, progressi ancora deboli sul fronte della parità di genere, soprattutto per quanto riguarda le posizioni apicali: in base ai dati raccolti dalla Commissione, quanto maggiore è il grado di giudizio, tanto minore è la percentuale di giudici donna. Nonostante la presenza di donne tra i giudici togati di primo e secondo grado risulti in aumento, osserva l'Esecutivo comunitario, nella maggior parte degli stati membri nelle corti supreme non si raggiunge l'equilibrio di genere. Giustizia: la Commissione Ue boccia l'Italia "608 giorni per una sentenza di primo grado" di Simone Di Meo Il Tempo, 10 marzo 2015 Dimenticate il detto giustizia lenta, ma inesorabile. Per ora è solo lenta. A certificarlo è lo "scoreboard" della Commissione europea, presentato ieri, che affibbia un bel terz'ultimo posto all'Italia per la lunghezza dei processi di prima istanza civili e commerciali per l'anno 2013. Un peggioramento costante nel tempo (erano 493 giorni nel 2010 e 590 nel 2012) che ci piazza appena sopra Cipro e Malta. "La lunghezza dei processi danneggia l'economia" perché "è un principio del diritto romano quello che "una giustizia ritardata è una giustizia negata"", dice la Commissaria europea Vera Jourova annunciando che interventi sulla giustizia saranno richiesti all'Italia tra le riforme strutturali. Ma non è solo una questione di parametri e di fredde statistiche a preoccupare l'Unione europea. È che peggiora la "percezione di indipendenza" del sistema giudiziario. Il nostro paese - secondo i dati del World Economic Forum, citati nello "scoreboard 2015" - è al sestultimo posto, assieme alla Romania, con un rating di 3,5 su 7 per il biennio 2013-2014. L'indicatore era di 3,8 nel 2010-12 e 3,6 nel 2012-13. Peggio dell'Italia, la Slovenia (3,4), Spagna e Ungheria (3,2) e Bulgaria e Slovacchia (2,3). Finlandia (6,6), Danimarka (6,5), Irlanda (6,3) i paesi primi in classifica. Un disastro, insomma. Anche se una luce in fondo al tunnel, la Ue (bontà sua) la trova in alcuni miglioramenti in altri indicatori come la presenza di donne tra i giudici di Cassazione aumentata del 15% tra il 2007 e il 2014 ma non è che un palliativo. Quella dell'Ue non è una bacchettata priva di conseguenze e potrebbe concludersi addirittura con una multa. L'Italia è già finita fin troppo spesso dietro la lavagna per l'inefficienza del comparto giustizia. Appena qualche settimana fa, è stata messa una toppa alla riforma della responsabilità civile dei magistrati che aveva portato all'apertura di una procedura di infrazione. Stesso dicasi per le norme sulla libera circolazione delle informazioni sui precedenti penali e per quelle sul coordinamento della lotta contro la criminalità transfrontaliera. Altra procedura d'infrazione è stata aperta per non aver applicato le norme europee sulle misure di compensazione da riconoscere alle vittime di reati violenti intenzionali. Fascicoli ancora da definire, boom di richieste danni Sono ancora troppi gli italiani che aspettano una sentenza. Che da anni lottano con la lentezza della giustizia. Per la precisione sono 5,3 ogni 100 abitanti. Nel confronto con gli altri Paesi dell'Ue siamo terz'ultimi per numero di cause civili pendenti di fronte ai giudici di primo grado. Grecia e Cipro chiudono la classifica. Se si fa un confronto con gli altri Stati, il rapporto rispetto al nostro (5,3), scende quasi a zero. Il Lussemburgo, che si trova sul gradino più alto del podio, arriva infatti solo allo 0,2 contenziosi pendenti ogni 100 abitanti. Subito dopo, invece, la Finlandia e la Svezia con lo 0,3. Il nostro 5,3, tradotto in numeri, mette paura: si tratta di milioni di fascicoli ancora da definire. In particolare, nel distretto della Corte d'appello di Roma, al 30 giugno del 2014, c'erano 35.120 procedimenti pendenti per quanto riguarda gli affari civili contenzioni: controversie elettorali, procedure concorsuali, locatizie, opposizioni a sanzioni amministrative e diritto di famiglia. Circa 25mila fascicoli, invece, non ancora definiti in materia di lavoro e previdenza. E 16.600 per l'equa riparazione, cioè per richieste di risarcimento danni proprio per l'irragionevole durata dei processi. Ogni 100mila abitanti 380 azioni legali Un esercito di avvocati a fronte di pochi giudici. L'Italia è al terzo posto in Europa per numero di legali e quint'ultima per numero di magistrati. Dalla ricerca Ue emerge che soltanto il Lussemburgo e la Spagna hanno un ordine forense più popolato del nostro. E con il passare degli anni le iscrizione all'albo degli avvocati sono aumentate. Un dato che viene letto dall'Europa in maniera negativa, se poi paragonato alla situazione dei giudici, che non riescono a smaltire gli arretrati civili. Se nel 2010 c'erano 350 difensori su 100mila abitanti nel Belpaese, nel 2013 sono diventati 380. In Francia, ad esempio, ci sono meno di 100 avvocati ogni 100mila cittadini. Sul podio, la Finlandia, che ne ha circa 40. Passando ai magistrati, invece, in Italia sono 11 ogni 100mila abitanti. Hanno degli organici ancor più ridotti soltanto Francia, Malta, Danimarca e Irlanda. Mentre in Slovenia ce ne sono ben 46 ogni 100mila abitanti, in Croazia 44, in Lussemburgo 41. Un'altra "bacchettata" arriva sulle quote rosa in magistratura. Nel terzo grado di giudizio la percentuale è del 27 per cento di donne. Il Paese che ne ha di più è la Romania, con l'84%. Recuperare i crediti? Servono oltre quattro mesi Recuperare i crediti in Italia? Un'altra mission impossible. La ricerca mostra che ci vogliono 136 giorni dalla decisione giudiziaria definitiva fino al recupero dei beni: ciò comprende 23 giorni dalla "sentenza" fino al congelamento del conto corrente bancario. I dati provenienti da Finlandia, invece, mostrano che, in media, ci vogliono 21 giorni per riuscire a far congelare il conto corrente in banca. Si tratta di tempi fondamentali soprattutto se si prendono in considerazione le richieste di pagamento da parte degli imprenditori, che spesso si trovano per anni ad aspettare di recuperare crediti, costringendoli, a volte, a chiudere aziende o a licenziare dipendenti per mancanza di fondi dovuti. Per quanto riguarda la tempistica per i ricorsi in materia di tutela dei consumatori, l'Italia è penultima: dopo c'è solo l'Olanda. Nell'analisi sui tempi della giustizia civile in merito alla materia della tutela dei marchi e brevetti, l'Italia non è neanche pervenuta. Poi ci sono il diritto della concorrenza e gli appalti pubblici. Anche in questo il Belpaese non fa una bella figura. Anzi. L'Italia si trova agli ultimi posti nella lunga lista di Paesi Europei. Nel 2012 ci volevano 1200 giorni per risolvere contenziosi in materia di diritto della concorrenza. Nel capitolo appalti pubblici, in Italia ci vogliono 400 giorni, in Germania 75. La "sconosciuta" trasparenza sul web L'Italia non si distingue neanche per la trasparenza. Per quanto riguarda l'accesso alle sentenze tramite internet, siamo addirittura penultimi. Dopo di noi solo la Svezia e Cipro. I criteri seguiti dalla Commissione europea per presentare questa indagine, sono stati la gratuità, l'accesso al database e il suo aggiornamento, e l'effettiva disponibilità di consultare le sentenze in rete da parte del cittadino. A livello europeo, l'Eu Justice Scoreboard riscontra un generale miglioramento dei sistemi giudiziari dei Paesi membri. La maggior parte degli Stati dell'Unione europea sta infatti mettendo i cittadini in grado di poter accedere gratuitamente alle sentenze attraverso internet. Ma ciò sembra che non valga per il nostro Paese. Per accedere ai provvedimenti dei magistrati, servono infatti le chiavi di accesso, cosa che limita ancor di più la trasparenza dei documenti giudiziari. I Paesi più virtuosi, dove i cittadini possono visionare senza ostacoli le sentenze, sono la Germania, la Lituania, l'Olanda e l'Austria. Giustizia: sulla prescrizione una legge sbagliata, addio alla logica del dialogo di Francesco Petrelli (Segretario Unione Camere Penali) Il Garantista, 10 marzo 2015 Sulla questione della riforma della prescrizione l'Ucpi non ha mai avuto posizioni di contrasto di natura "ideologica". Si è piuttosto rappresentato come se ne volesse fare - così come è avvenuto anche in occasione di altre riforme del sistema penale - un uso simbolico, o di bandiera, che rispondesse più alla necessità di dare risposte ad una presunta aspettativa sociale maturata a seguito di alcuni casi giudiziari (che in verità con l'istituto della prescrizione in sé non avevano nulla a che a fare: vedi caso Eternit), piuttosto che ad una effettiva esigenza di razionalizzazione del sistema. Sospinta, in ambito mediatico, da una serie di indagini sulla corruzione, la riforma della prescrizione è stata in un primo momento rappresentata (sebbene la corruzione sia un reato con un bassissimo indice prescrizioni pari a circa il 3,5%) come necessario pendant della riforma dei più gravi reati contro la pubblica amministrazione, e dunque parte di un complessivo disegno di moralizzazione e di ripristino della legalità. Poi la stessa riforma si è trasformata, sull'onda di esplicite e pressanti richieste provenienti dalla stessa magistratura associata, in una esigenza che riguardava tutti i reati, esigenza divenuta (nonostante indicazioni statistiche di segno contrario) oramai insopprimibile e non più procrastinabile, come se dunque la riforma della prescrizione fosse la palingenesi di tutti i mali della giustizia. Al di là, dunque, di ogni obiezione ideologica, è parso necessario porre in evidenza che intendere la prescrizione come una malattia del sistema è invece assolutamente errato e conduce ad esiti paradossali. In realtà noi riteniamo che l'eccessivo peso della prescrizione non sia la malattia ma il sintomo di una patologia di natura strutturale che ovviamente alligna in una serie di carenze del sistema processuale, di mancanza di risorse, di organici, ed in una serie di ritardi relativi a ben altre riforme del sistema penale, sostanziale e processuale. Modificare la prescrizione, allungandone i termini, è come spostare verso l'alto i gradi del termometro e fingere di aver risolto così il problema della febbre. Non solo il vero problema non si risolve, ma la patologia si aggrava ulteriormente. La distanza temporale tra il fatto e il giudicato si allarga sempre più, gli autori di gravi reati potranno vedere una sentenza definitiva di condanna anche dopo venti anni dal fatto, la collettività potrà conoscere la verità su una vicenda di corruzione e ottenere una decisione definitiva solo dopo che gli autori del fatto saranno persone totalmente diverse, ed estranee al contesto sociale all'interno del quale hanno agito. Gli imputati dovranno attendere tempi lunghissimi prima di vedere risolta la propria posizione processuale, con danni umani, psicologici e di immagine rilevantissimi. Il controllo dell'opinione pubblica sugli sviluppi dei processi sarà del tutto vanificata, e saranno noti solo gli arresti clamorosi, le indagini mediatiche, di fatto private di ogni rapido ed effettivo vaglio processuale. L'obiettivo dell'avvicinamento della decisione al fatto e della ragionevole durata del processo viene così clamorosamente fallito. In un Paese che spende centinaia di milioni di euro per ingiuste detenzioni ed errori giudiziari l'allungamento dei tempi processuali diviene un ulteriore motivo di disagio, un altro accumulatore di ingiustizia, se è vero che il rimedio dell'ingiustizia patita giungerà solo dopo decine di anni di drammatica attesa nella pendenza di interminabili giudizi. Alla fine di febbraio, tuttavia, il primo testo della proposta di legge, già portatore di una serie evidente di criticità, sulle quali avevamo avuto modo di interloquire, diveniva inopinatamente oggetto di una serie di emendamenti, fra loro del tutto eterogenei, caratterizzati da elementi di assoluta novità che ne hanno ulteriormente incrementato le già rilevate criticità, con l'ulteriore consistente allungamento complessivo dei tempi di prescrizione e con la reintroduzione del meccanismo del computo delle circostanze ai fini della determinazione delle pene, con il conseguente deprecabile reinserimento della più ampia discrezionalità del giudice nel determinare l'applicazione o meno dell'istituto sostanziale. Questi emendamenti spostano dunque interamente la materia della riforma così come originariamente prospettata, i modi con i quali si ritiene di poter intervenire sul delicato istituto sostanziale, la filosofia stessa dell'intervento, assai differente da quella che era stata posta alla base delle prime ipotesi di riforma, sulle quali vi era stato un confronto in sede di commissione. Si pone anche un problema di metodo che rischia di rendere assai difficile la necessaria prosecuzione della interlocuzione in corso, se queste resteranno le prospettive e le modalità dell'iter legislativo. Giustizia: la responsabilità civile dei magistrati e la giusta misura delle parole di Massimo Adinolfi Il Mattino, 10 marzo 2015 La nuova legge sulla responsabilità civile dei giudici, attesa da molti anni e finalmente approvata dal Parlamento, ha ispirato alcune delle parole che il presidente della Repubblica ha rivolto ai magistrati in tirocinio, ricevuti ieri al Quirinale alla presenza del ministro della giustizia Orlando, che quella riforma ha fortemente voluto. Parole pacate e piene di misura, prive di toni polemici, estranee ad allarmi e preoccupazioni ingiustificate, che pure si sono ascoltate da parte della magistratura organizzata ma che il Capo dello Stato non ha ritenuto evidentemente di accogliere. Ai magistrati è affidato un compito difficile, ha detto infatti Mattarella: si tratta di assicurare "l'osservanza della legalità democratica", ma anche "il rispetto dei diritti e delle libertà individuali". Di questo rispetto fa parte la possibilità, per il cittadino che avesse patito un danno ingiusto, di rivolgersi allo Stato per essere risarcito. La nuova legge prevede infatti che sia lo Stato a rivalersi sul magistrato: non include dunque la possibilità di un'azione diretta, ma amplia indubbiamente le possibilità di ricorso da parte dei cittadini, ed elimina il filtro preliminare di ammissibilità che, di fatto, vanificava gran parte delle azioni risarcitone. Mattarella ha parlato perciò di una disciplina fattasi "più stringente", perché comprende anche, tra i motivi rilevanti ai fini della responsabilità civile dei magistrati, la colpa grave in caso di violazione manifesta della legge o di travisamento del fatto e delle prove. C'è il rischio che i magistrati si sentano intimiditi e che rinuncino a fare giustizia per non esporsi a misure ritorsive? C'è da temere, insomma, per la serenità del loro lavoro? Forse tanto quanto vi è da temere per la tranquillità di un medico, tutte le volte che entra in una sala operatoria, essendo anch'egli sempre esposto (anzi: ancor più direttamente esposto) ad azioni legali da parte del paziente stesso o dei suoi familiari. Per l'uno e per l'altro valgono infatti le doti richiamate ieri dal Presidente: "professionalità, dedizione, credibilità, autorevolezza, senso di responsabilità". In possesso di queste doti, non c'è magistrato (come non c'è medico) che devierà dal proprio dovere e dalle proprie convinzioni - "sempre aperte al dubbio", ha sottolineato Mattarella - per non cacciarsi nei guai, o per tema di rivalsa, o per paura di contenziosi o per qualunque altra ragione. D ‘ altra parte, come non rilevare che la riforma affida ad altri magistrati il vaglio dell'azione eventualmente intentata per malagiustizia? Come non pensare, allora, e come può l'Anm non pensare che la responsabilità civile dei magistrati è in buone mani, perché, dopo tutto, sono pure quelle mani di magistrati? Anche l'autonomia e l'indipendenza sono così "pienamente" tutelate, come ha ribadito ieri il Capo dello Stato, richiamandosi ai valori costituzionali. Ma Mattarella ha poi aggiunto anche un' altra considerazione, preziosa e abbastanza inconsueta, di cui non sempre si sono scorte tracce nei comportamenti e nei giudizi resi nella discussione sulla riforma della responsabilità civile. Il potere di cui dispone un magistrato è un potere "penetrante". Penetrante significa, traduciamo così, che una vita intera può essere rovinata da una disavventura processuale. Non è allora indispensabile connettere una responsabilità concreta ed effettiva all'esercizio di questo potere? Ad un tale potere, ha continuato perciò il presidente della Repubblica, deve "sapersi accompagnare, a bilanciamento, l'umiltà, vale a dire la costante attenzione alle conseguenze del proprio agire professionale". La nuova disciplina prova a introdurre non l'umiltà, che è una dote morale, ma almeno un minimo di bilanciamento: non si può dire infatti che la precedente legge Vassalli lo prevedesse, a giudicare dal limitatissimo numero di casi in cui un risarcimento è stato effettivamente comminato. Tutto questo non basta ancora a giudicare gli effetti della nuova normativa: ma quelli non possono evidentemente essere giudicati prima che essa entri in vigore. Mattarella ha perciò citato con approvazione la precisazione del ministro della Giustizia nell'aula del Parlamento: "Andranno attentamente valutati gli effetti concreti dell'applicazione della nuova legge". Questa valutazione è indispensabile, data la delicatezza delle funzioni affidate alla magistratura. Ma è in generale un principio che appartiene alla scienza e alla tecnica della legislazione, tanto più importante quanto più rilevante è la materia da valutare. Un principio, affidandosi al quale si priva la riforma di quegli elementi ideologici che in maniera del tutto impropria gli sono stati attribuiti nel fuoco delle polemiche che ne hanno proceduto l'approvazione, quasi che si trattasse di impartire una lezione ai magistrati o di dare un segnale politico. L'unico segnale che si tratta di dare è verso i cittadini, nella difesa delle loro libertà e dei loro diritti, contro ogni genere di abuso. E non c'è stata parola, usata ieri dal Presidente Mattarella, che non servisse a questo scopo. Con pacatezza, certo, ma anche con la giusta fermezza. Giustizia: Mattarella; responsabilità civile dei magistrati "valutarne gli effetti concreti" di Marzio Breda Il Corriere della Sera, 10 marzo 2015 La contrastata legge sulla responsabilità civile dei giudici Sergio Mattarella l'ha promulgata da giorni, e senza quelle riserve (a volte addirittura esplicitate per iscritto) che in altri casi della storia repubblicana abbiamo visto. Tuttavia, a pochi giorni dalla sua firma, sente il bisogno di avvertire che "andranno attentamente valutati gli effetti concreti" della sua applicazione. Di più: rivolgendosi ai 364 magistrati in tirocinio nominati un anno fa e ricevuti ieri al Quirinale, aggiunge: "Seguire il modello di magistrato ispirato all'attuazione dei valori etici ordinamentali vi aiuterà ad affrontare con serenità i compiti che vi aspettano e a non lasciarvi condizionare dal timore di subire le conseguenze di eventuali azioni di responsabilità". Che cosa vorrà dire?, si è chiesto qualcuno. Magari che il presidente della Repubblica nutre dubbi o riserve sul provvedimento, considerato "punitivo" dai magistrati? E che l'ha avallato controvoglia? Non è così. Il capo dello Stato si limita a richiamare un annuncio del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, maturato su una prassi ormai normale nel modo di legiferare contemporaneo. Quella di misurare le ricadute delle normative, anche quando maturano su un piano di principi sacrosanti, con un metodo che si potrebbe definire di sperimentalismo sociale. A tale proposito, nell'ordinamento anglosassone si parla di sunset law (legge con un tramonto, dunque potenzialmente a termine), per indicare una sorta di clausola di provvisorietà. Il che potrebbe significare, se si resta al controverso tema della responsabilità civile, mettere a raffronto il numero di cause che verranno presentate (ora siamo intorno al centinaio) con la loro ammissibilità, fondatezza o pretestuosità. Insomma: nessuna obliqua bordata al governo, nessun retro pensiero malizioso. Solo un cenno al dovere di vigilanza del legislatore, inserito in una riflessione più vasta a uso delle nuove toghe (con il sigillo della sua garanzia). A loro, Mattarella raccomanda di coltivare alcune virtù. Quasi dei valori morali da connettere alla professione. Cioè "coraggio, umiltà, giusto rispetto per la dignità della persona" e, insieme, "serenità e tranquillità di giudizio", anche ora che la legge Vassalli sulla responsabilità dei giudici è stata appunto modificata. Serenità, incalza, perché la possibilità di rivalsa si riferisce soltanto "a condotte soggettivamente qualificate in termini di dolo o negligenza inescusabile". Ecco gli antidoti indicati dal presidente per chi ha quel difficile compito. Dopo aver ricordato che la società chiede giustizia, e "in tempi rapidi", insiste sull'urgenza della "lotta alla corruzione", e qui echeggia la questione morale riproposta dagli ininterrotti smascheramenti di alleanze politico-criminali in tutt'Italia. Problema cruciale, spiega, perché "il contributo alla continua costruzione dell'edificio della democrazia passa anche da qui". Così, per lui "non sarà mai abbastanza sottolineata l'alterazione grave che deriva alla vita pubblica e al sistema delle imprese, al soddisfacimento dei bisogni della comunità, dal dirottamento fraudolento di risorse verso il mondo parallelo della corruzione". Una battaglia dura. Che richiede - e qui riprende il suo elenco - "imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo, equilibrio" e, ripete, "rispetto della dignità della persona, elemento essenziale della cittadinanza". Sembra un timore mirato alla tutela dei diritti umani di tutti, imputati o semplici sospettati, con l'invito a una maggior attenzione al ricorso alle manette. Eccessi visti più volte negli ultimi vent'anni, quando bastava un avviso di garanzia per distruggere una reputazione e quando alcuni magistrati scoprivano il gusto di stare sulla scena pubblica. Stavolta non ne parla, il capo dello Stato. Non sente il bisogno di ribadire l'avvertimento alle toghe malate di "burocrazia e protagonismo" di una settimana fa. Del resto, quella stessa espressione è appena stata usata dal suo vice al Csm, Giovanni Legnini: "Guardatevi dalle lusinghe dell'effimero protagonismo". Giustizia: "Se lavorate bene non vi citeranno", Mattarella smonta la rivolta dei magistrati Il Garantista, 10 marzo 2015 Sì, certo, "andranno attentamente valutati gli effetti concreti dell'applicazione della nuova legge". Ma sulla responsabilità civile dei magistrati Sergio Mattarella pronuncia parole tranquillizzanti. E smonta così i propositi di rivolta dell'Anm, il "sindacato" delle toghe. Che proprio in un suo severo richiamo sperava per mettere sui binari giusti il "tagliando" della nuova disciplina. Con le recenti modifiche, ricorda il presidente, resta "il principio della responsabilità diretta". Era l'ultima speranza dei magistrati: il Quirinale. Era il baluardo a cui l'Anm aveva deciso di appellarsi per l'attacco sferrato all'autonomia e indipendenza dei magistrati con la responsabilità civile. Ma Sergio Mattarella dà una risposta che più chiara non potrebbe essere. Prima promulga la contestatissima (dai giudici) riforma della legge Vassalli. Poi ricorda loro di non avere nulla da temere. Giacché, se seguiranno "il modello di magistrato ispirato all'attuazione dei valori etici ordinamentali", le toghe potranno "affrontare con serenità" i loro "compiti". E, soprattutto riusciranno a non lasciarsi "condizionare dal timore di subire le conseguenze di eventuali azioni di responsabilità, nella consapevolezza di essere soggetti", nell'applicazione delle loro funzioni, "unicamente alla legge". Il Capo dello Stato dunque ridimensiona la riforma della responsabilità civile dei magistrati. Riconosce, sì, che "andranno attentamente valutati gli effetti concreti" della sua applicazione. Ma intanto ricorda che una simile "clausola di salvaguardia" è stata promessa dallo stesso ministro della Giustizia Andrea Orlando. E poi fa notare, più nel dettaglio, come la nuova disciplina abbia comunque dei limiti precisi, rispetto alla sindacabilità degli atti compiuti dalle toghe. Si tratta di un'assai deludente risposta, per l'Associazione nazionale magistrati. La quale probabilmente sperava in parole più gravi, in un messaggio più severo da parte di Mattarella nei confronti della riforma. Se il Colle si fosse schierato in modo molto critico sul testo appena varato in Parlamento, si sarebbero create le premesse per il pur difficile ricorso alla Corte costituzionale. E comunque un giudizio negativo di Mattarella avrebbe almeno accelerato i tempi del "tagliando" previsto dallo stesso guardasigilli. Invece il presidente fa ragionamenti pacati, quasi sdrammatizza. Lo fa per giunta con il tono un po' paterno che si conviene all'occasione, il "battesimo" al Quirinale dei 346 magistrati in tirocinio di ultima nomina (in servizio dal 20 febbraio 2014). Ed è pure significativo che il discorso sia pronunciato al cospetto dell'intero Csm e dello stesso ministro della Giustizia. Mattarella ricorda come con la recente riforma si sia mantenuto "il principio della responsabilità indiretta del magistrato". E che sì, "la disciplina della rivalsa statuale" è diventata "più stringente", ma è pur sempre riferita ai casi estremi di "dolo o negligenza inescusabile". Il Capo dello Stato rassicura poi sul fatto che, anche nella sua veste di presidente del Csm, sarà sempre "attento custode dell'autonomia e dell'indipendenza" della funzione giudiziaria, "valori costituzionali decisivi per la democrazia". Ricorda peraltro che i giovani magistrati convenuti al Quirinale dovranno "contribuire all'efficienza del sistema giustizia". Impresa difficile, considerate le ultime statistiche della Commissione europea. Che nel "Justice scoreboard" classifica il Belpaese agli ultimi posti quanto a velocità delle cause civili e commerciali. Ora è esattamente alla pari con Cipro: peggio sta solo Malta. Si è passati dai 493 giorni necessari nel 2010 per arrivare a una sentenza di primo grado ai 608 del 2013 (in Germania sono 192, in Francia 308). Vero che nel frattempo c'è stato il decreto sulla negoziazione assistita e il rafforzamento dell'arbitrato. Ma certo non si può dire che la macchina pilotata dai giudici sia destinata a vincere il gran premio. Giustizia: responsabilità civile dei magistrati, dal Colle una bacchettata a Renzi di Wanda Marra Il Fatto Quotidiano, 10 marzo 2015 L'attacco frontale a Renzi di Sergio Mattarella arriva meno di un mese e mezzo dopo la sua elezione. La nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati? "Andranno valutati i suoi effetti". E la corruzione, sulla quale il nuovo provvedimento è ancora in fieri? "Va combattuta per costruire la democrazia". Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sceglie la visita ai 346 magistrati in tirocinio per fare quello che è il primo "affondo" vero e proprio dalla sua elezione. I toni sono sobri ma il giudizio è netto, su un tema tanto caldo, quanto delicato: la giustizia. Prima di tutto, Mattarella si esprime chiaramente sulla responsabilità civile dei magistrati. "Non fatevi intimidire", dice ai giovani presenti. Le toghe (che avevano già richiesto un suo intervento mentre la legge veniva approvata) sono preoccupate dagli effetti che potrà avere la nuova normativa. All'esortazione ("Seguire il modello di magistrato ispirato all'attuazione dei valori etici ordinamentali vi aiuterà ad affrontare con serenità i compiti che vi aspettano e a non lasciarvi condizionare dal timore di subire le conseguenze di eventuali azioni di responsabilità"), Mattarella fa seguire alcune precisazioni. Che evidentemente riguardano chi la legge l'ha fatta e chi deve applicarla. Prima di tutto sottolinea "il principio della responsabilità indiretta del magistrato" e il fatto che a essere in esame sono "con - dotte soggettivamente qualificate in termini di dolo o negligenza inescusabile". Niente esagerazioni, insomma. Di più, ribadisce: il Consiglio superiore della magistratura è "organo di garanzia dell'autonomia e dell'indipendenza della funzione giudiziaria". E lui, "nella duplice veste di presidente della Repubblica e di presidente del Csm", sarà sempre "attento custode" di questi valori. Il Presidente la legge l'ha firmata, ma i paletti li pone. Certo a posteriori, ma senza mezzi termini. Tanto più che lui stesso ricorda che anche il ministro della Giustizia, Andrea Orlando (presente all'iniziativa di ieri), ha detto che gli effetti del provvedimento andranno valutati. Un asse in piena regola, quello tra il Quirinale e via Arenula. Mentre a Palazzo Chigi la posizione è più radicale. "Siamo pronti a correggere i punti critici", aveva detto il Guardasigilli, lo stesso giorno dell'approvazione. Un segnale più che chiaro che il provvedimento è una forzatura, voluta in prima persona dal premier. L'unica legge veramente significativa in tema di giustizia è sotto esame da prima di nascere. C'è la questione dell'intimidazione, che evidenzia Mattarella: quanti magistrati avranno paura nel fare condanne scomode, magari nei confronti dei grandi gruppi economici? E poi, c'è anche un altro risvolto imprevedibile: se le cause contro i magistrati saranno troppe, si rischia di paralizzare ulteriormente la giustizia. Sono gli stessi fedelissimi del premier che parlano di una fase di monitoraggio. Le parole contro la corruzione sono ancora più forti. Mattarella l'aveva condannata già nel discorso del giuramento davanti alle Camere. Ma la legge che viene annunciata da mesi ancora non c'è. Sul falso in bilancio si sono alzate le barricate di FI, di Ncd e anche del ministro per lo Sviluppo, Guidi, in nome degli interessi di Confindustria. Risultato, un testo annacquato e l'ennesimo rinvio. Arriverà in Aula al Senato il 17 marzo. Mattarella ieri ha usato parole forti: "Il rapporto fra giustizia e sviluppo, tra equità e finanza pubblica, in una parola il contributo alla costruzione dell'edificio della democrazia, passa da un particolare impegno diretto alla lotta alla corruzione. Non sarà mai abbastanza sottolineata l'alterazione grave che deriva alla vita pubblica, al sistema della imprese, al soddisfacimento dei bisogni della comunità, dal dirottamento fraudolento di risorse verso il mondo parallelo della corruzione". Sotto testo: è il caso di fare rapidamente questa legge. Giustizia: ferie dei magistrati, il "taglio" non sarà impugnato… per ora di Giovanni Maria Jacobazzi Il Garantista, 10 marzo 2015 L'anno scorso, come si ricorderà, il governo Renzi si era presentato agli italiani con una ammiccante e seducente conferenza stampa. Il programma di governo aveva un titolo rivoluzionario: "Mille giorni per cambiare l'Italia: passo dopo passo", e prevedeva riforme mirabolanti. Nulla di mai visto in precedenza. "Mille giorni sono il tempo che ci diamo per rendere l'Italia più semplice, più coraggiosa, più competitiva. Dunque, più bella. Rendere l'Italia più bella? Impossibile, si potrebbe pensare. È già il Paese più bello del mondo. Vero. Ma noi pensiamo che in questi anni l'Italia abbia spesso vissuto di rendita. Non è stata solo colpa della politica, ma della classe dirigente intesa in senso ampio. Tuttavia, il tempo della rendita è finito. Chi si illude di poter continuare a ignorare questo elemento condanna il Paese all'irrilevanza. Ecco perché quelle che vengono chiamate riforme strutturali devono essere fatte. Non perché ce lo chiede l'Europa. Ma perché sono l'unica possibilità per l'Italia". Come non essere d'accordo? Applausi a scena aperta. La slide sulle riforme "strutturali" in tema di giustizia, ancora presente sul sito del governo, fra i tanti temi che potevano essere affrontati (separazione delle carriere, fine dell'obbligatorietà dell'azione penale, divieto di appellare le sentenze di assoluzione da parte dell'ufficio del pubblico ministero, ecc.) era tutta incentrata sul "taglio" delle ferie ai magistrati. Come dire, stiamo ancora costruendo le fondamenta della casa ma intanto compro le tende per le finestre. Le ferie delle toghe, oltre ad essere troppe, per il premier erano la causa principale dei ritardi e delle inefficienze dell'italica giustizia. "Siamo il Paese del diritto, non delle ferie dei magistrati", rispose sprezzante Matteo Renzi a chi lo criticava. Con un salto mortale senza rete, il premier riuscì nell'impresa di far passare il messaggio "Meno ferie ai magistrati: giustizia più veloce". E poi "5.2 milioni di cause pendenti, 945 giorni medi per una sentenza civile di primo grado. Francia 350, Germania 300 giorni. Il governo riduce le ferie ai magistrati. Da 45 giorni a max 30 giorni. Tribunali chiusi dal 6 agosto al 31". Complimenti al ghost writer di Palazzo Chigi. Ma poi? Le polemiche si scatenarono da subito. A parte che non è tagliando le ferie ai magistrati che si risolvono i problemi della giustizia in Italia, il motivo era molto semplice. Il comma 2 dell'articolo 16 del decreto 132 del 2014, ossia il famoso decreto sul processo civile convertito in legge il 10 novembre 2014, introduceva alla legge sull'Ordinamento giudiziario 2 aprile 1979 numero 97, dopo l'articolo 8 ("i magistrati che esercitano funzioni giudiziarie hanno un periodo di ferie di 45 giorni"), l'articolo 8 bis rubricato "Ferie dei magistrati" secondo cui "...i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché gli avvocati e procuratori dello Stato hanno un periodo annuale di ferie di trenta giorni". Lasciando, quindi, intendere che il taglio delle ferie si applicasse solo ai cosiddetti "fuori ruolo". L'ufficio Studi e documentazione del Csm venne interessato sia dalla Quarta commissione, quella che si occupa delle valutazioni di professionalità, circa le possibili ricadute sull'organizzazione del lavoro, e sia dalla Settima, quella per l'organizzazione degli uffici giudiziari, per una ricostruzione normativa fra gli articoli 8 e 8bis, per la definizione di giorni lavorativi e per i riflessi sui termini di deposito dei provvedimenti, sia con riferimento al lavoro del giudice che del pubblico ministero. La conclusione a cui giunse fu che pur essendo legittimi i dubbi interpretativi insorti l'intento del legislatore era chiaro: taglio delle ferie. La Settima commissione, dopo aver preso atto del documento, non si ritenne però soddisfatta e richiese un intervento chiarificatore al legislatore. Ponendo anche in votazione due proposte. La prima, relatore Ardituro, fu per l'interpretazione che restavano 45 giorni di ferie, la seconda, presentata e votata dal laico Zaccaria, per il taglio a 30 giorni. E l'Anm? Concentrata sul tema della modifica della responsabilità civile ed in attesa dell'intervento chiarificatore del Parlamento, dopo un iniziale momento di "riflessione" sembra stia valutando ora la possibilità di presentare un ricorso per impugnare il decreto del ministro della Giustizia del 13 gennaio 2015. Decreto che fissa il periodo feriale per l'anno in corso dal 27 luglio al 2 settembre. Un eventuale accoglimento, va detto, avrebbe effetti erga omnes. Nel frattempo, a dispetto della slide di Renzi e approfittando della approssimazione con cui la norma è stata scritta, i magistrati italiani continuano ad avere 45 giorni di ferie. Giustizia: reati economici, slitta ancora la riforma del falso in bilancio di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 10 marzo 2015 Di "giallo" è forse (ancora) improprio scrivere. Di certo però neppure oggi il ministero della Giustizia depositerà l'emendamento sul falso in bilancio. Uno slittamento dovuto, si fa sapere a via Arenula, per attendere il via libera definitiva che il consiglio dei ministri dovrà dare al decreto sulla tenuità del fatto. Se si tratti di tattica è tutto da vedere, però un rischio è certo: l'allungamento dei tempi di approvazione di un provvedimento, quello con la disciplina anticorruzione, nel quale deve essere inserita anche la nuova disciplina del falso in bilancio. Il provvedimento è già stato calendarizzato per l'Aula nella prossima settimana e si tratta oltretutto di uno slittamento di una decina di giorni rispetto a quanto era stato previsto in un primo tempo. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando si era già speso per assicurare un'approvazione in tempi rapidi, ma a questo punto il rischio è che tutto torni in alto mare. Già alla commissione Giustizia del Senato, dove il disegno di legge è in discussione, l'ostruzionismo di Forza Italia sta rallentando i lavori. Ufficialmente proprio per l'inerzia prima e il ritardo ora del Governo nello scoprire le carte su un testo che dalla scorsa settimana è stato oltretutto ampiamente diffuso. Situazione paradossale forse, ma che ieri sera alimentava le voci su un possibile cambiamento del testo. Finora, comunque, sono stati approvati pochi ma significativi emendamenti al testo originale del disegno di legge Grasso. Tra questi l'innalzamento di 2 anni sia nel minimo sia nel massimo delle sanzioni per l'ipotesi base di corruzione, facendo lievitare la pena sino a 10 anni, con conseguenze immediate di allungamento della prescrizione, anche al netto delle nuove regole che giovedì saranno oggetto alla Camera di un ultimo passaggio con il mandato al relatore prima dell'approdo in Aula, anch'esso previsto per la prossima settimana. E ieri la presidente della commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti ha rivendicato la scelta di aumentare i termini per alcuni dei principali reati contro la pubblica amministrazione (corruzione propria e impropria e in atti giudiziari), votata la scorsa settimana con il dissenso di Ncd e Udc: "non è più tempo di rinvii, la politica si assuma le sue responsabilità. Fondamentale è la credibilità dello Stato che viene compromessa se non riesce ad accertare un reato così grave perché è mancato il tempo". Nel merito, la bozza dell'emendamento sinora nota prevede una tripartizione delle sanzioni. Nel caso delle società quotate la pena arriverà a un massimo di 8 anni e partirà da un minimo di 3; mentre nelle società non quotate dovrebbe restare il tetto di 5 anni con un minimo di 1. Limite di 5 anni che è cruciale per poter applicare l'archiviazione per tenuità del fatto che il Consiglio dei ministri potrebbe approvare già giovedì in via definitiva e in attesa della quale sarebbe slittato l'emendamento stesso. In questo modo non sarebbero più punibili le false comunicazioni sociali, verificatesi in società non quotate, e caratterizzati da condotta non abituale e a limitata portata offensiva. In ogni caso, per i fatti di lieve entità è anche prevista, sempre nelle non quotate, l'applicazione di sanzioni ridotte, fra 6 mesi e 3 anni. Sanzioni elevate ma non troppo (certo non fino agli 8 anni dell'emendamento del governo), procedibilità d'ufficio, irrilevanza del danno, limite ai soggetti attivi. A un confronto allargato sulle principali legislazioni straniere in materia di falso in bilancio, emergono alcuni spunti di riflessione da tenere magari presenti anche in una prospettiva di riforma, come quella in cui si sta muovendo il Senato. E allora, riferendoci soprattutto al perimetro delle società quotate (ma in molti ordinamenti non è riconosciuta una specificità), va messo in evidenza che a sanzionare in maniera più severa le condotte di falsificazione delle comunicazioni sociali sono i Paesi di common law, Gran Bretagna e Usa, sede non a caso dei principali mercati finanziari. Così, se in Gran Bretagna la pena massima è fissata a 7 anni, negli Stati Uniti il carcere può arrivare a 20 anni, quando il reato è stato commesso con piena consapevolezza o con l'intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni. Più ridotte le sanzioni in Spagna e Germania, 3 anni al massimo di reclusione, con la via di mezzo della Francia che pone l'asticella a 5 anni. Negli Stati Uniti sono assai rilevanti anche le misure pecuniarie che possono toccare i 5 milioni di dollari nei casi più gravi. Per quanto riguarda la natura del reato, questo è pressoché unanimemente considerato di pericolo e la procedibilità a querela, attualmente inserita nella legislazione italiana ma non per le quotate, non esiste all'estero dove la magistratura può sempre intervenire d'ufficio. I soggetti attivi sono generalmente gli amministratori e i direttori finanziari, compresi gli amministratoti di fatto, mentre in nessun ordinamento sono comunque previste delle soglie di esenzione dalla punibilità. Giustizia: reato di "falso in bilancio", chi paga l'incertezza del diritto di Filippo Sgubbi (Ordinario di diritto penale all'Università di Bologna) Il Sole 24 Ore, 10 marzo 2015 Ogni norma penale deve essere costruita nel rispetto del principio di tassatività sancito dalla Costituzione, come ripetutamente ha sottolineato la Consulta. In particolare, nelle materie riguardanti le attività economiche, le norme penali devono essere certe al massimo grado. Chi opera in tale settore deve essere posto in condizione di valutare e prevedere con alta approssimazione quali siano le conseguenze della propria condotta: ciò, al fine di potere prendere le proprie decisioni - già esposte ai rischi, talvolta imponderabili, del mercato - sulla base di un contesto di sicurezza giuridica. Se si vanifica la certezza del diritto per l'attività imprenditoriale, il risultato che si ottiene è non soltanto dissennato, ma controproducente: infatti, nell'incertezza del diritto sopravvive più facilmente chi opera ai margini della legalità rispetto a chi lavora con la volontà di rispettare le regole dell'ordinamento giuridico, ma senza riuscire mai a sapere se è in regola o no. L'emendamento del Governo in materia di riforma del "falso in bilancio", almeno nella versione sinora circolata, evidenzia un alto coefficiente di indeterminatezza. Il che preoccupa. Invero, proprio in materia di "falso in bilancio" la cura da parte del legislatore in ordine alla certezza del confine fra lecito e illecito dovrebbe essere massima. Ciò per una precisa ragione tecnica. In altre figure di falso punito presenti nell'ordinamento, vi è un dato della realtà storica e materiale con cui confrontare il concetto di vero/falso. In materia di falso in bilancio, no. È quindi lo stesso nucleo del reato a non essere facilmente identificabile in sé: la nozione di non rispondente al vero in materia di bilancio e di comunicazioni sociali è nozione che può essere ricostruita soltanto attraverso altre disposizioni, diverse dalla norma incriminatrice, e suscettibili anch'esse di diverse interpretazioni. Non esiste infatti un dato di bilancio che sia vero o falso in assoluto: si parla infatti di verità legale, ricostruibile e accertabile soltanto attraverso le norme del codice civile dedicate al bilancio nonché attraverso le regole disposte dai principi contabili internazionali. Pertanto, considerato che il vero/falso contabile non è generalmente (salvo casi clamorosi) di immediato e sicuro accertamento, è necessario che la norma penale che punisce la non corrispondenza al vero sia dotata di altri e ulteriori elementi costitutivi del fatto punito, soggettivi e oggettivi, che possano produrre certezza selezionando il fatto tipico. L'emendamento governativo, purtroppo, pare indirizzato in senso contrario rispetto a tale esigenza. Alcuni esempi. L'eliminazione delle soglie di punibilità ci riporta al vecchio testo dell'articolo 2621 del Codice civile, sotto la cui vigenza anche il più marginale discostarsi dal vero legale costituiva reato: violando con ciò la primaria regola della effettiva lesività. Certo, nell'emendamento viene prevista la concreta idoneità all'inganno: ma mentre la fissazione di una soglia quantitativa o percentuale seleziona ex ante le condotte punite, operando sulla tipicità del fatto, l'idoneità costituisce un fattore che si accerta ex post, nel processo. Con la soppressione del richiamo al dolo intenzionale si rende possibile la punizione del fatto sulla base del mero dolo eventuale: cioè, anche nel caso in cui l'autore non voglia direttamente il falso, ma accetti l'eventualità concreta che il bilancio contenga poste non rispondenti al vero. Questa soluzione è molto gravosa in vari casi. Per gli amministratori della capogruppo, innanzi tutto: nel processo sarà facile affermare che coloro che hanno il compito di redigere il bilancio consolidato di gruppo hanno accettato l'eventualità che il bilancio di una società controllata sia non rispondente al vero. Analogamente per gli amministratori senza deleghe di una qualunque società e anche per i sindaci. Il veicolo della falsità può essere qualunque comunicazione: quindi anche comunicazioni non previste dalla legge. Anche una semplice intervista può quindi rientrare in tale categoria. Indeterminatezza accentuata dal fatto che il falso ha a oggetto, genericamente, "informazioni". Pregiudicano la certezza anche le norme dei progettati articoli 2621 bis e 2621 ter, norme costruite in modo generico e affidate alla più assoluta discrezionalità del Magistrato. Non solo: l'emendamento limita l'applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità alle società "non fallibili". Se ne deduce che la causa di non punibilità generale di cui all'articolo 131 bis Codice penale dovrebbe essere esclusa per le altre società. In sintesi. Il fatto di reato è costruito in modo incerto e indeterminato. E anche gli elementi costitutivi della fattispecie che vengono previsti non delimitano a priori il fatto punito, ma operano a posteriori, soltanto a seguito dell'accertamento giudiziale (come il requisito dell'idoneità o l'attenuante o la causa di non punibilità). Tale soluzione è perniciosa in termini di certezza. Oggi il processo penale si gioca soprattutto nelle primissime fasi. È all'inizio del procedimento, sulla base della sola iscrizione nel registro degli indagati dell'ipotesi d'accusa affacciata dal Pm, che possono applicarsi i provvedimenti cautelari altrimenti non consentiti se la tipicità fosse selezionata dalle soglie quantitative o da condizioni di procedibilità: mi riferisco alle misure cautelari personali, alle varie forme di sequestro, anche per equivalente, sui beni degli amministratori e dei sindaci nonché sugli assets societari, fino all'applicazione delle figure di "commissariamento" ai sensi del decreto 231/2001 o del decreto 90/2014 (c.d. anticorruzione). Con gli effetti dirompenti - spesso irreparabili - sulla vita aziendale, effetti che ben si conoscono. Giustizia: Don Ettore Cannavera (Cappellano Ipm) "il carcere minorile va abolito" www.ildemocratico.com, 10 marzo 2015 "Il carcere minorile va abolito. Bisogna creare delle comunità, con precise e severe regole comportamentali nelle quali, ovviamente, il ragazzo non sia libero di fare quello che vuole ma riesca a vivere la sua adolescenza, cosa che non ha fatto prima". A dirlo, intervistato a Voci del Mattino su Radio1, è don Ettore Cannavera, cappellano del carcere minorile di Quartucciu. "Con i ragazzi bisogna praticare la rieducazione - spiega don Ettore Cannavera, come recita anche la nostra Costituzione, ma in carcere questo non è possibile perché manca la libertà", "in carcere si distrugge l' affettività, come è possibile che ragazzi dai 16 ai 19 anni non abbiano una esperienza affettiva? Devi metterli alla prova, sperimentare la loro personalità: farli cucinare, amministrare la comunità, gestire soldi. Nella nostra comunità - continua il cappellano del carcere minorile - i ragazzi non prendono soldi dallo Stato, si mantengono con il proprio lavoro. Abbiamo un vigneto e un oliveto, venderemo olio e vino in Vaticano, pensate che bel messaggio. In carcere, viceversa, i ragazzi sono mantenuti da noi, dallo Stato: è forse educativo tutto questo? La recidività per gli adulti, a livello nazionale, è del 70%, mentre nella mia comunità è del 4%. Su 75 ragazzi - conclude il sacerdote - entrati in comunità, di cui 12 per omicidio, solo 3 sono rientrati in carcere". Lettere: la giustizia si sana anche separando le carriere di magistrati e giornalisti di Luciano Violante Il Foglio, 10 marzo 2015 Nella società dominata dai mezzi di comunicazione la giustizia non ha ancora risolto il suo rapporto con l'informazione; ma neanche l'informazione ha risolto il suo rapporto con la giustizia. Ho spesso sostenuto, scherzando, ma non troppo, che la vera separazione delle carriere va fatta tra alcuni giornalisti e alcuni magistrati. L'interscambio tra notizie e pubblicità, con costruzione di facili eroismi, costituisce una patologia diffusa. Peraltro in una magistratura costretta a lavorare con leggi malfatte e carenza di mezzi (in molti tribunali le udienze devono fermarsi alle 14 perché il governo non ha i soldi per pagare gli straordinari al personale ausiliario), è difficile per un p.m. respingere la prospettiva di ascendere all'empireo della notorietà, diventando un "magistrato famoso", consultato nei talk show e intervistato dai grandi quotidiani. Molti resistono; ma non tutti. In una società che ha bisogno di eroi per riscoprirsi come comunità che nutre fiducia in qualcuno, queste figure coprono un vuoto e animano una passione. Salvo poi, in qualche caso, a rivelarsi un po' diverse da come erano state presentate, o si erano presentate, dando luogo a disillusioni o a ulteriori sospetti. E non mancano casi nei quali è stata l'informazione a servirsi di una determinata inchiesta penale, santificandone i protagonisti, per dare maggiore concretezza alle proprie campagne. Un secondo capitolo dei rapporti tra giustizia e mezzi di comunicazione riguarda la pubblicazione delle intercettazioni, specie quelle pruriginose o che fanno intravedere prurigini. È un "giornalismo di riporto", che copre colonne o pagine di conversazioni, spesso prive di rilievo, ma che, per acquisire lettori e battere la concorrenza, sollecitano curiosità malate e infangano persone estranee al processo,. E che dire delle comunicazioni giudiziarie che da strumenti di tutela del cittadino si sono trasformate, grazie ad una informazione criminalizzante, in attestati di colpevolezza? Questa informazione risponde a un giustizialismo di massa che vede nel discredito del potente, o presunto tale, un mezzo per confermare i sospetti anti casta; intrecciata al giornalismo di riporto crea i presupposti per un grave arretramento civile. Infine, non si può sfuggire alla sensazione che il codice penale sia diventato una sorta di codice morale di un mondo politico che ha rinunciato a elaborare una propria etica pubblica e si è consegnato alla informazione penalizzante e alle tecnicalità giudiziarie per decidere questioni, come quelle relative alle candidature, penso alla legge anticorruzione, che dovrebbero invece rientrare nelle responsabilità proprie ed esclusive della politica. Prima di pensare a nuove leggi, sarebbe bene pensare a nuovi costumi, nuove abitudini, più rispettose del ruolo costituzionale e della dignità della magistratura e della informazione. A cominciare dalla scelta di non pubblicare la trascrizione di intercettazioni prive di rilevanza; per recuperare dignità, come ha scritto lei sul Foglio, anche a costo di perdere qualche lettore. Lazio: alla salute nelle carceri, accordo tra Garante dei detenuti e Ordine degli psicologi Ristretti Orizzonti, 10 marzo 2015 Il Garante dei detenuti della Regione Lazio, l'Ordine degli psicologi del Lazio e il Provveditorato regionale dell'Amministrazione penitenziaria del Lazio annunciano la firma di un Protocollo d'intesa per riconoscere e garantire il Diritto alla Salute alle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, nonché il loro diritto ad usufruire di una presa in carico di assistenza psicologica. Gli obiettivi dell'accordo sono incentrati, in particolare, sulla salvaguardia del diritto del detenuto a poter fruire dell'intervento dello psicologo e sul riconoscimento dell'importanza di tale professionalità nella tutela della Salute negli istituti di pena della nostra regione. Il Protocollo, che resterà in vigore sino al marzo 2018, ha dunque lo scopo di garantire ambiente idoneo allo svolgimento del lavoro di competenza del professionista psicologo, tale da assicurare la messa in opera di azioni di sostegno, attività trattamentali e interventi terapeutici; far collaborare i tre enti, nell'ambito delle rispettive competenze ed autonomie, al fine di riconoscere e garantire il Diritto alla salute alle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale; monitorare l'organizzazione del lavoro svolto dal professionista psicologo al fine di migliorare le condizioni di vita all'interno degli Istituti penitenziari. "Siamo particolarmente soddisfatti del fatto che al Protocollo abbia aderito anche l'amministrazione penitenziaria: ci auguriamo che questo ci metta finalmente in condizioni di incidere sull'organizzazione dell'assistenza alla salute mentale nelle carceri del Lazio", dichiara Pietro Stampa, vicepresidente dell'Ordine Psicologi del Lazio. "In più, per la prima volta viene affermato il diritto del detenuto alla continuità terapeutica: da adesso in avanti, chi prima del proprio ingresso in carcere seguiva una terapia psicologica, avrà diritto ad essere seguito dallo stesso professionista anche da detenuto. Ed è un risultato importante. Ci sono poi molti altri aspetti dell'accordo che verranno definiti nei mesi a venire, strada facendo: ci aspettiamo, in tal senso, di ricevere suggerimenti e proposte soprattutto da tutti i colleghi delle Asl, del ministero della giustizia, delle cooperative o di altri enti che già adesso, a vario titolo e funzione, lavorano nelle carceri". "Quello alla salute è il diritto maggiormente leso in carcere - ha detto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Negli Istituti della Regione, un quarto delle richieste di colloquio è legata alla tutela della salute. Il carcere è un luogo duro, in grado di piegare anche persone psicologicamente forti. È per questo che, in questi anni, ci siamo battuti contro i tagli e le riduzioni dell'assistenza psicologica in carcere ed abbiamo collaborato con Asl e Comunità terapeutiche su tutte le questioni più rilevanti inerenti tale ambito. Dal 2012 siamo presenti nel "Gruppo regionale tecnico scientifico" per il Programma per la riduzione del rischio autolesivo e suicidario dei detenuti, degli internati e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale nella Regione Lazio e nel Tavolo tecnico regionale istituito per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg). Consideriamo la firma di questo Protocollo d'Intesa un vero e proprio spartiacque: l'assistenza psicologica ai detenuti assume la stessa rilevanza di ogni altra prestazione sanitaria erogata in carcere". Tra i compiti che il Protocollo d'intesa assegna al Garante c'è innanzitutto la segnalazione di tutte quelle situazioni di disagio, sofferenza psicologica, chiusura difensiva e problematiche depressive al fine di promuovere mirate azioni di presa in carico che vadano oltre il mero intervento farmacologico. L'Ordine degli psicologi del Lazio si impegna a rappresentare e a promuovere la professione dello psicologo all'interno degli Istituti penitenziari e degli Uffici di esecuzione penale esterna e ad assicurare il rispetto del principio della continuità terapeutica. Inoltre, l'Ordine professionale si impegna a monitorare e sostenere vari livelli operativi, quali l'assistenza mirata agli imputati in custodia cautelare, gli interventi trattamentali di carattere psicosociale, l'attività di valutazione diagnostica finalizzata alla messa a punto di programmi trattamentali mirati, nonché all'offerta di un contributo tecnico specialistico funzionale in termini di prevenzione del rischio auto ed etero-lesivo, oltre che suicidario, nonché interventi di riabilitazione, di prevenzione secondaria mirati ai casi di recidiva, attività progettuali orientate al sostegno del personale penitenziario. Al Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria del Lazio spetta la promozione dell'operato del professionista psicologo e l'impegno a garantire adeguate condizioni di lavoro strutturali e operative. Secondo quanto affermato nel Protocollo firmato dai tre enti, il Provveditorato intende sostenere e monitorare percorsi di assistenza psicologica mirati all'utenza detenuta: dunque, in primis attività di osservazione e trattamento previste dall'Ordinamento penitenziario, nonché azioni di facilitazione dei processi di lavoro attivi nel sistema penitenziario, che il professionista psicologo può utilmente svolgere coadiuvando, in particolare, gli operatori deputati alla gestione delle attività trattamentali di carattere esperienziale. Tra gli impegni presi dall'amministrazione penitenziaria non manca, infine, anche il sostegno a interventi psicologici rivolti agli operatori penitenziari, nell'ottica di consolidare le capacità di problem solving del personale e potenziare le competenze di gestione dello stress connesso all'operatività di sistema. Avellino: detenuto di 46 anni muore per infarto, la magistratura avvia un'inchiesta www.cittadiariano.it, 10 marzo 2015 Tragedia in carcere ad Ariano, detenuto napoletano muore in cella colto da malore. Un infarto fulminante che non gli ha dato scampo. La magistratura come da prassi ha avviato un inchiesta. Un detenuto di 46 anni è morto stroncato da un arresto cardiaco in carcere ad Ariano Irpino. A nulla è valso ogni tentativo di rianimazione da parte dei sanitari del 118. Sul posto il medico legale per i relativi accertamenti. A confermare la notizia il direttore Gianfranco Marcello. Sassari: Socialismo Diritti Riforme; entro l'estate detenuti 41bis nel carcere di Bancali Ristretti Orizzonti, 10 marzo 2015 "È stata imposta un'accelerata ai lavori di completamento del Padiglione del Villaggio Penitenziario di Sassari-Bancali destinato ad accogliere 92 cittadini privati della libertà sottoposti al 41bis, il regime detentivo di isolamento previsto per i reati di terrorismo, eversione, ndrangheta e mafia. Il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria sembra infatti voler disporre della struttura prima dell'estate per iniziare a trasferire i detenuti". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme", sottolineando come "il progetto del Ministero della Giustizia continua il suo corso nonostante le polemiche sulla concentrazione di 184 detenuti al 41bis suddivisi tra Cagliari e Sassari". "Aldilà di qualunque considerazione sulla opportunità di trasferire nell'isola poco meno di un terzo dei ristretti considerati più pericolosi in Italia, il regime duro applicato nelle due Case Circondariali di Sassari-Bancali e Cagliari-Uta - rileva Caligaris - potrebbe negativamente incidere sul clima generale della detenzione. Si profila insomma anche il rischio di limitare le iniziative finalizzate al recupero sociale e rieducativo dei reclusi". "Anche la necessaria presenza dei Gom, gli Agenti del Gruppo Operativo Mobile, il reparto della Polizia penitenziaria istituito nel 1999 che opera alle dirette dipendenze del Capo del Dipartimento per i compiti relativi alla custodia della detenzione speciale, potrebbe - osserva la presidente di SDR - trasformare profondamente la realtà dei due luoghi di pena, da poco inaugurati e ancora in fase di rodaggio dove l'umanità degli Assistenti Penitenziari è un tratto caratteristico". "È dunque opportuno che le Istituzioni regionali operino al più presto per ottenere chiarimenti dal Ministero in merito ai trasferimenti dei detenuti in 41bis in modo che si conoscano una volta per tutte tecniche, modi e tempi di realizzazione di un progetto non condiviso dalla comunità isolana e verso il quale si nutrono forti perplessità. Non basta infatti sostenere che la Sardegna per le sue condizioni sociali ed economiche non è terra che suscita grandi appetiti. Non vorremmo - conclude Caligaris - che le difficoltà della regione debbano permanere e perpetrarsi per attuare fini non riconducibili a scelte consapevoli". Chieti: protesta dei detenuti a Lanciano, arriva la solidarietà di Maurizio Acerbo (Prc) www.chietitoday.it, 10 marzo 2015 A Villa Stanazzo circa 150 reclusi rifiutano il vitto da giorni perché, a loro parere, il magistrato di sorveglianza di Pescara respingerebbe tutte le istanze impedendo il ricorso a organi superiori. L'ex parlamentare chiede ai consiglieri abruzzesi di intervenire. Protestano dall'inizio del mese circa 150 detenuti del carcere di Lanciano, battendo sulle sbarre, rifiutando il vitto ed evitando le spese per il sopravvitto. Secondo loro, i magistrati di altre città rispetterebbero i decreti legge in materia di liberazione anticipata speciale e risarcimento al 10%. Al contrario, il magistrato di sorveglianza di Pescara, stando a quel che lamentano i detenuti, non applicherebbe mai nessun beneficio, dichiarando sempre inammissibili le richieste?. "Per non dire poi - scrivono in una letta - che le istanze vengono corrisposte a distanza di mesi e anche di anni. Nelle more di una decisione che il magistrato, se tempestivamente rispondesse, potrebbe dimagrire i termini del fine pena consentendo la scarcerazione, qui a Lanciano i detenuti scontano la pena fino all'ultimo giorno di detenzione". "Quando, dopo lunghe attese, è ottenuta la decisione per il beneficio - proseguono - ovviamente negativa e sfavorevole, per ricorrere non si ha più tempo. Questa situazione ci umilia, così risultano inutili anni e anni di percorso tratta mentale e viene inficiato l'operato dell'amministrazione della Casa circondariale, le valutazioni e i pareri dell'area educativa e della direzione". E ai detenuti di Villa Stanazzo arriva la solidarietà dell'ex parlamentare di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo. "Si tratta - dice - di una protesta nonviolenta volta a segnalare una disparità di trattamento che li priva della possibilità di usufruire di benefici previsti dall'ordinamento. Bisogna far chiarezza se davvero il Magistrato di Sorveglianza di Pescara ha un atteggiamento così diverso da quello di altri Uffici del territorio nazionale e se in tal modo non vengano rispettati gli ultimi decreti leggi promulgati in materia di liberazione anticipata speciale "È probabile - prosegue - che la pronunzia d'inammissibilità sia un modo per consentire agli uffici di sorveglianza di risolvere la difficoltà a far fronte a un carico di lavoro insostenibile. Certo è che si tratta di una situazione che va affrontata. A noi di Rifondazione Comunista, al momento non presenti in Parlamento e in Consiglio Regionale, non p possibile né entrare nel carcere per ascoltare i detenuti né presentare interrogazioni". "Invitiamo i parlamentari e i consiglieri abruzzesi, o comunque che si occupano della condizione carceraria, a intervenire celermente sul caso. La politica, sempre pronta a confezionare norme pseudo-garantiste salva-potenti, ha il dovere di occuparsi di carcere", conclude Acerbo. Mantova: l'Opg di Castiglione delle Stiviere verso una trasformazione "soft" di Francesco Romani Gazzetta di Mantova, 10 marzo 2015 Si parte con tre residenze vigilate, poi si abbatteranno le palazzine per far spazio alle comunità. Garanzie per i dipendenti. Opg castiglionese promosso dalla Commissione Sanità del Senato che nella sua visita da un lato ha apprezzato la efficienza della struttura, dall'altro ha raccolto la preoccupazione degli operatori per le falle della legge che ne prevede il superamento dal prossimo mese. Confermato il numero dei dipendenti attuali che transiteranno nelle nuove strutture, le pre-Rems, tre piccole comunità da venti pazienti che per ora nasceranno come restyling degli edifici attuali, ma alle quali se ne aggiungeranno altre tre nel momento in cui partirà la complessiva opera di riqualificazione delle strutture. La presidente della commissione, Emilia Grazia De Biasi (Pd), era accompagnata dalle colleghe Nerina Dirindin (Pd) e Paola Taverna (5Stelle). Nella visita ha potuto constatare come l'ospedale psichiatrico giudiziario castiglionese, unico in Italia da sempre con caratteristiche sanitarie e non carcerarie, sia già pronto per il passaggio alla nuova fase. "L'Opg è inserito nel dipartimento salute mentale - ha spiegato il direttore del Poma, Luca Stucchi - e integrato con le strutture psichiatriche. Noi siamo pronti, ma è la legge che lascia molti punti interrogativi". La legge è la 81 del 2014 che per superare la piaga dei cosiddetti ergastoli bianchi da un lato prevede il superamento degli Opg, dall'altro stabilisce che si debba dimettere il paziente psichiatrico quando è rimasto in Opg il tempo corrispondente alla pena prevista per il reato che ha compiuto. "Oggi il nostro Opg ha quattro reparti e l'unico femminile in Italia - ha detto il direttore Andrea Pinotti - nel corso del 2014 abbiamo dimesso circa cento pazienti in base alle nuove norme. E ormai, in prevalenza, chi è a Castiglione è una persona per la quale una prima perizia ha stabilito la incapacità, anche parziale, di intendere e volere. E queste persone si mescolano con altri, la cui pericolosità sociale e la tendenza alla ripetizione del reato è invece confermata". Uno dei problemi emersi è proprio quello delle perizie, non sempre all'altezza, che vengono usate come strumenti processuali. L'altro, più ampio, è l'obbligo di dimettere pazienti psichiatrici autori di reati, anche gravi. "Le strutture del territorio non sono adeguate - ha detto il direttore del dipartimento salute mentale, Antonio Magnani. Una volta messe fuori, non si riescono a gestire persone che non accettano di farsi curare e non riconoscono la propria malattia". Inoltre, hanno ricordato i magistrati di sorveglianza di Mantova e Brescia Marina Azzini e Monica Lazzaroni, chi è stato dimesso e compie un reato, ritornerà in Opg creando un circolo vizioso. "E ancora - ha concluso Pinotti - c'è il rischio che pazienti autori di reato dimessi vengano identificati tout court con pazienti psichiatrici, definendoli pericolosi per la società, facendo fare un balzo indietro di decenni alla psichiatria". La presidente, ascoltate le indicazioni, si è detta disponibile a promuovere un decreto per superare i limiti della legge 81. Mantova: nell'Opg di Castiglione ci sono 260 internati, impossibile chiudere entro marzo www.online-news.it, 10 marzo 2015 Cosa succederà in Lombardia l'1 aprile, quando l'ultima proroga concessa per la chiusura degli Opg (31 marzo) sarà scaduta? "Nulla. Siamo tutti consapevoli che dall'1 aprile sarebbe impossibile chiudere una struttura", l'Opg di Castiglione delle Stiviere nel Mantovano, "che ospita ad oggi 260 persone. I fondi statali" per le Rems (residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria), che dovranno sostituire la vecchia formula degli ospedali psichiatrici giudiziari, "non sono ancora arrivati e ci attendiamo che si dia corso alle assunzioni di responsabilità da parte del Governo", da cui Palazzo Lombardia aspetta 32 milioni di euro. A fare il punto è il vice presidente e assessore alla Salute della Regione Lombardia Mario Mantovani, oggi a Milano al termine dell'audizione a porte chiuse che si è svolta in Prefettura davanti alla Commissione Sanità del Senato, dopo la visita alla struttura mantovana da parte della delegazione composta dalla presidente Emilia Grazia De Biasi e dai senatori Sante Zuffada, Nerina Dirindin e Paola Taverna. Prima di tutto i numeri: "Oggi nell'Opg ci sono 260 persone. Quando l'ho visitato io l'anno scorso erano più di 300. Nel 2014 si è proceduto con 110 dimissioni, ma purtroppo ci sono anche le ammissioni - spiega Mantovani - Mediamente si verificano 9 dimissioni al mese e 5 nuovi ingressi". Non solo. "Delle 260 persone oggi presenti a Castiglione, 100 non sono in carico alla Regione Lombardia: 43 sono del Piemonte e delle altre 60 persone 50 sono donne, perché qui è la sede di tutto il reparto femminile a livello nazionale. Ho chiesto alla Commissione Sanità del Senato di farsi interprete di questi nostri evidenti ritardi, perché se ciascuna Regione non si fa carico dei propri pazienti, è chiaro che ci sono difficoltà. Per esempio oggi erano presenti rappresentanti del Piemonte. Da questa Regione ci dicono che non hanno i fondi e non sono in grado al momento di fare le due Rems necessarie per 40 persone". La Lombardia, assicura Mantovani, "è pronta. Ed è pronta anche per una fase transitoria: dall'1 aprile vorremmo strutturare tutte le 8 Rems" pianificate "all'interno di Castiglione delle Stiviere, in attesa che arrivino i fondi e si possano realizzare quelle definitive", di cui due sono previste a Limbiate, dove si preventiva una spesa di 5 mln di euro. "Noi prevediamo 8 Rems a diversa intensità, a seconda del livello di ‘pericolosità', in modo tale da consentire un graduale passaggio in base anche alla situazione psicologica e psichica delle persone. È la magistratura che fa le valutazioni del caso". Sul fronte Rems, continua Mantovani, "abbiamo 5 proposte in campo per l'obiettivo definitivo che prevede l'assunzione di 180 persone tra psichiatri, psicologi, infermieri, animatori, personale di servizio Oss per la gestione delle 8 Rems. Di queste, 96 persone lavoreranno per l'inserimento territoriale, per accogliere i dimessi. Noi dunque siamo pronti con il progetto lombardo, se le altre Regioni prendono in carico i loro pazienti". Il punto è anche capire se succederà, visto il diverso stato di avanzamento dei progetti nella varie realtà regionali. "Io mi auguro - sottolinea Mantovani - che il Governo lavori in questa direzione". Intanto, continua, "se ci mandano i fondi iniziamo a realizzare le strutture e gradualmente facciamo i trasferimenti. Noi intendiamo muoverci con il piano transitorio delle 8 Rems a Castiglione e lavoreremo per questo. Naturalmente favoriremo le dimissioni, compatibilmente con le possibilità. Quanto al problema delle 50 donne" dell'Opg mantovano, "se le Regioni di provenienza non le prendono in carico studieremo soluzioni alternative, non possiamo fare altrimenti. Siamo pronti a collaborare, visto che ci riconoscono competenza e professionalità". C'è poi la questione dei piani individualizzati per ciascun paziente. "Noi come Regione Lombardia ci siamo mossi - assicura Mantovani - e abbiamo chiesto entro il 27 febbraio a tutti i Dsm (Dipartimenti di salute mentale) il piano per ciascuno. Sono stati già redatti e saranno analizzati con magistrati, psichiatri, psicologi e tutto il personale coinvolto. Insieme si strutturerà un lavoro su quelli che possono essere gli sviluppi legati a ciascun caso e le possibili destinazioni". E dalla Lombardia c'è anche la disponibilità per un progetto pilota. Obiettivo: capire che fine fanno le persone dimesse dall'Opg, visto che "degli oltre cento dimessi nel 2014, solo 10 sono tornati in famiglia - fa notare l'assessore. Gli altri 90 vengono collocati in strutture territoriali e altre residenze. Abbiamo dunque accolto la proposta di formulare, in quanto Regione riconosciuta da tutti come quella che ad oggi affronta meglio il problema degli Opg, un progetto-obiettivo che prevede un'analisi epidemiologica sul destino dei dimessi nella nostra regione. Questo è stato ben accolto dai senatori, perché rappresenterebbe uno studio adeguato, pilota a livello nazionale". Savona: Sappe; detenuto algerino evaso dall'Ospedale San Paolo… manca la sicurezza www.rsvn.it, 10 marzo 2015 La segreteria regionale del Sappe, il sindacato autonomia di Polizia Penitenziaria, prende posizione sull'evasione del detenuto algerino dall'Ospedale San Paolo dove era ricoverato per sospetta tubercolosi. "Abbiamo denunciato più volta che il tallone d'Achille per le evasioni è proprio il ricovero ospedaliero o le visite specialistiche che, almeno in Liguria, avvengono senza sicurezza, con i detenuti lasciati anche per ore in luoghi comuni insieme ad altri pazienti", afferma il sindacato. "È una condizione che praticamente azzera la sicurezza - dichiarano i rappresentanti sindacali - Abbiamo chiesto all'assessore regionale alla Sanità Claudio Montaldo di rivedere tale condizione, valutando la necessità di individuare per la scorta dei detenuti che si recano nei luoghi di cura un percorso o luogo che possa garantire un minimo di sicurezza: fino ad oggi abbiamo ottenuto solo promesse". Brescia: i giovani scrivono ai detenuti "aprite la porta al cambiamento" Corriere della Sera, 10 marzo 2015 "Quando la porta della felicità si chiude, un'altra si apre, ma tante volte guardiamo così a lungo quella chiusa che non vediamo quella che è stata aperta per noi". Siamo 8 adolescenti che, sicuramente, non possono rendersi conto al 100% della realtà del carcere e della quotidianità vissuta dentro quelle mura ma che considerano le poche righe citate in apertura come il motore di azione del volontariato di Carcere e Territorio. Vogliamo allora utilizzare la metafora della porta: c'è la porta chiusa che rappresenta il passato, con tutti i suoi errori, con tutte le scelte sbagliate. È la porta che, orami chiusa, può essere solo guardata con la consapevolezza dell'immutabilità di ciò che ci sta dietro. C'è però anche la porta aperta, la porta del futuro, la porta della possibilità, del cambiamento, la porta che può essere oltrepassata e permette qualsiasi cosa. L'idea vigente oggi, come nel passato, è quella di considerare certi errori come imperdonabili, riparabili solo attraverso una dura pena. Con uno sforzo di apertura mentale si può invece capire che molti di coloro che sono dietro le sbarre, considerano quegli episodi come facenti parte del passato, del mondo della porta chiusa, un mondo che è solo da seppellire. È possibile che molti siano proiettati in una voglia di cambiamento che implichi una rinascita, una nuova vita ed è questo il fine ultimo della rieducazione, un nuovo modo di "pagare" il proprio conto, una giustizia che è riparativa e che da passiva si trasforma in attiva. Il concetto che secondo noi sta alla base di tutto è "il contemplare la possibilità, prevedere un'opportunità" senza critiche e pregiudizi, senza discriminazioni. Tutti devono avere ed hanno il diritto ad una seconda chance, nel momento in cui vi credono con ogni minima parte di sé e sono consapevoli del fatto che è possibile ricostruirsi una speranza, voltare pagina, riparare ciò che si è rotto: insomma, nel momento in cui si crede a quella porta aperta. Marta, Anna, Maria, Laura, Federica M., Federica P., Vittoria, Gianluca Per noi carcerati la porta chiusa può avere molte interpretazioni: la negazione della socialità o, ad esempio, la frustrazione di non essere riusciti nel fatto. Ma teniamo in considerazione qual è la felicità soggettiva di ognuno di noi o, quantomeno, la cosa giusta da fare. Certamente le istituzioni e le leggi indirizzano e purtroppo, spesso e volentieri, impongono uno stile di vita che , quasi sempre, chi predica razzola male. Le porte chiuse danno molto a pensare in quanto per una parte seppur minima di sé, chi vive un'esperienza di carcere, si convince che fuori da qua non avrà più niente a che fare con il delinquere. Ma esiste una parte che invece, dietro quella porta, escogita il modo per non farsi beccare o cerca di capire dove ha sbagliato per essere ora tra queste mura. Piacerebbe anche a me essere più positivo, pensare che tutto quello che ho fatto e sto vivendo, quando esco, possa essere solo un passato e, magari, che mi si aprano strade nuove. Ma come troppo spesso succede, ci hanno cucito addosso un'etichetta da delinquente che non sarà facile togliersi, anche se molti di noi non lo sono in realtà. Resta il fatto che la speranza è l'ultima a morire e visto che un buon consiglio non si nega mai "fate i bravi ragazzi" Cristian Treviso: detenuti pattuglieranno Parco naturalistico del Sile per scoraggiare atti vandalici Ansa, 10 marzo 2015 Detenuti pattuglieranno il Parco naturalistico del Sile per evitare i ripetuti atti vandalici. È quanto prevede la convenzione messa a punto tra i responsabili del Parco e la Casa circondariale di Treviso. L'unico vigilante in servizio, riporta il Gazzettino, verrà "scortato" da due detenuti che lo accompagneranno nelle ispezioni considerate più a rischio. In più agenti della Polizia locale di Treviso, Silea, Roncade, Casier e Casale saliranno a bordo della barca dell'Ente Parco per pattugliare le sponde del fiume. L'accordo con il carcere, che sarà ufficializzato nei prossimi giorni, prevede che due persone scelte dalla direzione dell'istituto di pena vadano a lavorare per il Parco due giorni a settimana dalle 8 alle 12 e dalle 14 alle 17. Oltre ad accompagnare il vigilante, i detenuti, scelti tra quelli che hanno commesso reati minori, dovranno raccogliere i rifiuti abbandonati lungo il Sile, monitorare le piste ciclopedonali e verniciare alcuni tratti di staccionata. Pescara: giustizia riparativa a Montesilvano Colle primo giorno di lavoro per un detenuto www.pescaranews.net, 10 marzo 2015 Primo giorno di lavoro, oggi, per il detenuto della Casa circondariale di Pescara, a Montesilvano Colle, nell'ambito del progetto di "giustizia riparativa per l'inserimento lavorativo dei detenuti e il recupero del patrimonio ambientale locale". Frutto di una convenzione tra il Comune di Montesilvano e il Carcere di Pescara, riattivata anche quest'anno dalla Giunta Maragno con una delibera dello scorso 21 agosto, l'iniziativa ha l'obiettivo di reintegrare i detenuti e offrire loro un'occasione per ripagare il danno arrecato alla collettività attraverso lavori di pubblica utilità. Il detenuto, individuato dal direttore del carcere, si occuperà di operazioni di piccola pulizia, e di interventi di ripristino e tinteggiatura delle panchine esistenti e della staccionata lungo la passeggiata del belvedere di Montesilvano Colle. Il detenuto svolgerà le sue prestazioni, dal lunedì al sabato, dalle 8:30 alle 12:30, sotto la supervisione di Danilo Palumbo, in qualità di consigliere comunale e di agente di Polizia Penitenziaria. Nel pomeriggio, invece, il detenuto, che è anche un atleta, si allenerà con il pugile Lorenzo Di Giacomo. Il Comune ha dotato l'incaricato dei dispositivi di protezione individuali per lavorare in sicurezza come previsto dalle normative. Il detenuto, che resterà sotto la diretta responsabilità del carcere di Pescara, verrà retribuito con una somma di 300 € mensili, che verrà corrisposta alla Casa Circondariale. "L'iniziativa di giustizia riparativa - ha affermato il consigliere Palumbo - è un ottimo strumento per agevolare il reintegro del detenuto nel mondo del lavoro. Allo stesso tempo è anche una buona occasione per operazioni di piccola manutenzione in città e nello specifico nel borgo di Montesilvano Colle". Spoleto (Pg): solidarietà in carcere, donati dieci computer ai detenuti Corriere dell'Umbria, 10 marzo 2015 L'offerta formativa per gli studenti-detenuti del carcere di Maiano si amplia. Grazie alla sensibilità della Maran Credit Solution, gli alunni dei vari corsi scolastici all'interno dell'istituto penitenziario spoletino, potranno contare su dieci computer. L'azienda spoletina, infatti, ha accolto la richiesta di donazione formulata dalla direzione del carcere e ha quindi donato i computer necessari ad allestire sale di informatica dove i detenuti avranno l'opportunità di utilizzarli per sviluppare al meglio i rispettivi percorsi scolastici o anche di studio personale. "È una occasione importante questa donazione - scrive in una nota la direzione penitenziaria a capo della quale c'è Luca Sardella - non sia altro che per ricordare quanto sia importante che i detenuti ricevano sostegni di questo tipo, assolutamente utili e indispensabili. Ma non solo. Gesti di questo tipo, costituiscono inoltre esempi di collaborazione e civiltà di grande significato per tutti. È con piacere quindi ringraziare i dirigenti della Maran Credit Solution per la loro disponibilità". Una donazione che, dunque, è di grande utilità per tutta l'attività scolastica attiva all'interno dell'istituto di massima sicurezza di Maiano. E un report di Antigone, associazione che opera all'interno del carcere, e piuttosto recente (è del settembre 2014), descrive nel dettaglio quelle che sono le attuali attività didattiche. Attualmente - come spiega il report - sono attivi i corsi di scuola superiore dell'Istituto d'arte e dell'alberghiero, oltre a classi di scuola elementare e media. Ci sono i corsi di alfabetizzazione, ma anche elementari, medie, 5 anni di superiori, con l'Istituto d'arte di Spoleto che conta più di 50 detenuti partecipanti nei cinque anni. Le aule dove si svolgono le lezioni sono molto ampie e ben attrezzate, e inoltre si svolgono anche altre attività formative e culturali. È attivo anche un laboratorio teatrale. Giustizia: convegno "Oltre gli Opg, prospettive e sfide di un incerto futuro prossimo" Ansa, 10 marzo 2015 Il futuro dopo la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, prevista per il 31 marzo, è al centro di un convegno a Bologna con la partecipazione del vicepresidente del Csm Giovanni Legnini. "Oltre gli Opg, prospettive e sfide di un incerto futuro prossimo" è il titolo della giornata del 20 marzo, organizzata nella sala Tassinari di Palazzo D'Accursio da Area Emilia-Romagna, con il patrocinio dell'Anm regionale. Il convegno sarà presentato alle 9 da Marco Imperato, referente distrettuale Area. Dopo i saluti di Amelia Frascaroli, assessore ai Servizi sociali del Comune di Bologna, spazio alla prolusione di Legnini e a cinque relazioni introdotte e coordinate da Francesco Maisto, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna. Nel pomeriggio, dalle 15, tavola rotonda con i direttori degli Opg d'Italia, Valeria Calevro (Reggio Emilia), Nunziante Rosania (Barcellona Pozzo di Gotto), Franco Scarpa (Montelupo Fiorentino), Raffaele Liardo (Aversa), Michele Pennino (Napoli), Andrea Pinotti (Castiglione), poi Franco Corleone del coordinamento nazionale garanti dei detenuti, Patrizio Gonnella, presidente di Antigone e Stefano Cecconi di Stop Opg. Le conclusioni saranno sempre di Maisto. Avellino: carcere S. Angelo dei Lombardi, anche Papa Francesco beve il vino "Galeotto" ww.irpinianews.it, 10 marzo 2015 È arrivata direttamente nelle mani di Papa Francesco una delle bottiglie di vino prodotte dai detenuti della casa di Reclusione di Sant'Angelo dei Lombardi. A consegnare il dono nell'Aula Nervi sono stati i giovani della cooperativa sociale Il germoglio, che gestisce la tenuta agricola della struttura carceraria altirpina, in occasione dell'udienza concessa sabato 28 febbraio a Confcooperative per i 70 anni dalla sua ricostituzione. A consegnare simbolicamente al Pontefice la bottiglia di vino "Il Galeotto", etichetta con cui viene commercializzato il vino irpino, è stato il vicepresidente della cooperativa Fiorenzo Vespasiano: "La responsabilità di dover raccontare al Santo Padre ciò che Il germoglio realizza grazie al lavoro dei detenuti del carcere di Sant'Angelo dei Lombardi mi ha fatto sentire piccolo fino a pensare di non potercela fare a reggere il peso di ciò che portavo in dono. In quella bottiglia non vi è solo dell'ottimo vino, ma c'è il lavoro, quello che manca soprattutto al Sud e quello che noi de Il germoglio, giorno dopo giorno e con tanti sacrifici, ci sforziamo di portare avanti. E poi ci sono le le capacità e la voglia di riscatto dei detenuti che non vogliono vedersi rubare la speranza, ma che anzi trovano nel lavoro la loro vera occasione di riscatto umano e sociale". La storia dei giovani della Cooperativa il Germoglio e del loro impegno nel sociale nasce da lontano ed affonda le radici nel Progetto Policoro sostenuto dalla Conferenza Episcopale Italiana, che ha voluto scommettere sulla capacità dei giovani del Sud di farsi promotori del loro futuro. Prosegue Vespasiano: "Le parole di Papa Francesco, unite ai suoi sguardi, alle sue battute e alla sua straordinaria umiltà, ci hanno fatto volgere la testa e il cuore in avanti: ai tanti sogni ancora da realizzare e alle future responsabilità che siamo chiamati ad affrontare. Parole che abbiamo ascoltato con grande attenzione, soprattutto quando Bergoglio ci ha raccomandato di continuare a perfezionare, a rafforzare e ad aggiornare le buone e solide realtà che abbiamo costruito". Di buone pratiche la cooperativa Il germoglio ne ha tante in cantiere: dalla gestione del tenimento agricolo nel carcere alla cantina sociale "Al fresco di Cantina", dalla tipografia "Le Ali di Carta" alla struttura ricettiva "Villa del Seminario". Attività che in occasione dell'ultimo Festival del Volontariato di Lucca, hanno meritato ai giovani santangiolesi il plauso della Presidente della Camera Laura Boldrini, del Ministro del Lavoro Giuliano Poletti e del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che hanno ascoltato con grande attenzione il racconto dell'impegno che Il Germoglio profonde in particolare per il recupero sociale dei detenuti. "Oggi, dopo le parole di incoraggiamento del Pontefice - conclude Vespasiano - possiamo affermare con un certo orgoglio che anche Papa Francesco beve "Il Galeotto". Milano: "Ip Musica: Musica dentro - Musica fuori", dalla Sicilia concerto per i detenuti Giornale di Sicilia, 10 marzo 2015 La musica come mezzo per esprimere le proprie emozioni e stati d'animo ma anche come occasione per comprenderne i valori e, magari, scoprire un talento nascosto. C'è tutto questo ma molto altro ancora dietro il progetto "Ip Musica: Musica dentro - Musica fuori" promosso dall'etichetta discografica nissena "Muddy Waters Musica". Il nuovo appuntamento è per domani quando le tre band Marilù (Andrea Amico, Marco Gioè, Salvo Montante), Carnaby (Giuseppe Racalbuto, Pietro Pelonero, Joseph e Vincent Sandonato) e Zafarà (Sergio Zafarana, Peppe Sferrazza e Salvo Montante) suoneranno al carcere Beccaria di Milano. Oggi, lo stesso concerto si terrà al "Bq de Nott" di Milano a partire dalle 22. Durante tutti i concerti (dentro e fuori dalle carceri) le emozioni e i commenti saranno colti dal video-maker Salvatore Pellegrino che realizzerà un documentario sull'esperienza vissuta. "Non si tratta soltanto di semplici concerti - hanno spiegato i musicisti coinvolti nel progetto - ma anche di "fotografare" momenti in cui i detenuti parleranno del significato che loro attribuiscono alla musica e quali generi ascoltano" A fine progetto saranno realizzate delle musiche e nuovi testi in collaborazione con il produttore e compositore Aldo Giordano. Verona: accordo per lavoro a favore della collettività di persone in esecuzione penale Ristretti Orizzonti, 10 marzo 2015 Oggi, martedì 10 marzo, alle ore 11.00 nella Sala Arazzi del Comune viene presentato e sottoscritto l'accordo tra Comune di Verona, Direzione carcere, Tribunale di Sorveglianza - Ufficio di Verona, Coordinamento Progetto Esodo e Garante dei Diritti delle persone private della libertà personale finalizzato a promuovere lavoro, a favore della collettività, da parte di persone in esecuzione penale. Alla base dell'accordo c'è l'intesa tra Associazione Nazionale Comuni d'Italia (Anci) e Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (Dap), oltre alla legge 354/ 1975 che prevede l'assegnazione a persone detenute di lavori socialmente utili. Il Comune di Verona, con questo impegno, prosegue e amplia l'attività a favore del mondo del carcere soprattutto avvalendosi della collaborazione di quanti, operatori istituzionali ed enti del privato sociale , sono impegnati nel dare all'esecuzione penale il fine stesso della sua istituzione. Possiamo quindi affermare che questo è un ulteriore passo avanti che le istituzioni compiono rispondendo appieno alle indicazioni che giungono dal Ministero di giustizia, ai richiami del Presidente della Repubblica, del Papa ma, soprattutto, finalizzato a garantire a quanti hanno trasgredito alle regole della convivenza la possibilità di un sicuro reintegro. Con questa convenzione, che sarà attiva già da questo mese di marzo, il Comune di Verona ha fatto proprie le istanze del Garante offrendo a persone detenute la possibilità di lavori risarcitori ma allo stesso tempo di utilità per i cittadini come la tenuta delle strade del centro, la pulizia dei cartelli stradali e altri compiti che verranno identificati. Libri: "Io, innocente in cella per 100 giorni… chi pagherà per questa violenza?" di Paolo Colonnello La Stampa, 10 marzo 2015 Il libro di Rossetti, l'ex manager di Fastweb assolto dopo le accuse: nel frattempo ho perso un figlio. "Io non avevo l'avvocato", (Mondadori, 143 pagine, 18 euro) è un libro che andrebbe caldamente raccomandato nelle scuole di giornalismo e in quelle di formazione dei giovani magistrati. E che, uscendo proprio in questi giorni, piomba come un sasso nello stagno delle polemiche sulla riforma della legge Vassalli per l'inasprimento delle responsabilità civili dei giudici, scuotendo le coscienze e ponendo un'unica, semplicissima domanda: chi paga per la vita di un uomo (e della sua famiglia) travolto da un'inchiesta giudiziaria, dimenticato in carcere e infine assolto? Prefato da un giornalista "di sinistra" e non certo tenero con gli scandali nostrani come Massimo Mucchetti, ora presidente della Commissione Industria del Senato; scritto con la collaborazione di un altro giornalista come Sergio Luciano; arricchito da citazioni di Giovanni Falcone, del presidente di Cassazione Giorgio Santacroce e di giuristi, già del Csm, come Giuseppe Di Federico, "Io non avevo l'avvocato" fornisce un elemento di riflessione indispensabile, senza mai una parola di rancore o di rivalsa, alla questione che agita la magistratura raccontando la storia, che purtroppo si ripete con frequenza, di un tragico errore giudiziario. Solleva inoltre l'eterna questione dell'inutilità di un carcere crudele e ottuso che costringe all'ozio e non fornisce alcuno strumento di lavoro e formazione e dunque, di vera riabilitazione e colpisce infine il cinismo distratto dei giornalisti. Perché questa è la storia, narrata in prima persona, di Mario Rossetti, 50 anni, ex manager Fastweb, laurea in economia e un master ad Harvard, che ha visto la sua vita spezzarsi improvvisamente una mattina piovigginosa del 23 febbraio 2010, quando il Nucleo Valutario della Guardia di Finanza di Roma, suonò alla porta della sua bella casa milanese per una perquisizione cui seguì l'arresto, di fronte allo sconcerto di moglie e tre figli, di 2, 9 e 10 anni: "Troppo piccoli per capire, ma abbastanza grandi per ricordare tutto ancora oggi con grande precisione". L'inizio di un calvario durato oltre 100 giorni nelle celle di San Vittore prima e Rebibbia dopo (di rara umanità la descrizione dei compagni di cella e del mondo dolente delle prigioni), e proseguito per 8 mesi di arresti domiciliari, prima che una sentenza, di primo grado ma priva di ombre, lo dichiarasse completamente innocente e lo assolvesse da ogni reato. Senza però cancellare il dolore non solo della perdita del proprio status, dei propri beni (sequestrati anche alla moglie) e di un'onorabilità compromessa inesorabilmente dai siti web che ricordano poco e possibilmente il peggio, ma anche del figlio più piccolo, ammalatosi di un tumore incurabile e deceduto giusto un anno fa: "Una scomparsa - scrive Rossetti - forse soltanto coincisa con la violenza, insensata e arbitraria, che si è abbattuta su casa nostra". È una storia tremenda e in un certo senso epica quella di Mario Rossetti, che senza questo libro avrebbe rischiato di finire nell'oblio di un Paese fin troppo abituato a scandali colossali, tanto da non curarsene quasi e non conoscerne la fine. Nella monumentale sentenza di mille e 800 pagine con cui sono state distribuite a pioggia condanne e (poche) assoluzioni nel processo romano Fastweb Telecom-Sparkle - tra queste quella più nota di Silvio Scaglia, il fondatore del colosso delle fibre ottiche - il nome di Mario Rossetti compare in non più di due pagine per dire che l'ex manager in questa storia non c'entrava niente. E dunque, andava assolto con formula piena. Due paginette per cancellare 100 giorni di carcere e 8 mesi di arresti domiciliari. Ma è possibile riassumere in poche righe la distruzione e la riabilitazione di una vita? Eppure, Mario Rossetti, un nome che sembra un eponimo dell'italiano medio, è rimasto uno sconosciuto ai più. L'incubo per altro non è ancora finito, dato che la Procura ha impugnato la sentenza e si attende l'esito del processo d'appello. A maggior ragione, la scelta di Rossetti risalta nella coraggiosa imprudenza degli innocenti, che fanno risuonare il loro grido di giustizia più alto di qualsiasi consiglio "strategico" e legale: il silenzio. Libri: milionari esentasse, invalidi in fuoriserie… le truffe (impunite) dei colletti bianchi di Gian Antonio Stella Corriere della Sera, 10 marzo 2015 Ma in galera non ci vanno mai? È fastidiosissimo, il dubbio che ti lascia l'ultimo libro di Mario Giordano, "Pescecani", da oggi in libreria. Per carità, alla larga dai forcaioli. Toglie il fiato, però, leggere le storie di tanti avventurieri in giacca e cravatta, veri tagliagole finanziari, che per un garantismo peloso finiscono per restare impuniti. Al massimo qualche giorno in cella, all'inizio. Poi addio. Al massimo i "domiciliari". Come può restare in eterno a piede libero, stando alle imputazioni, chi ha firmato settanta cambiali e 234 (duecento trentaquattro) assegni a vuoto? Come può cavarsela con una quarantina di giorni di carcere, in attesa d'una sentenza definitiva (campa cavallo), uno come Dino Pasta denunciato da due associazioni non profit per essersi impossessato di 7,4 milioni di euro destinati ai poveretti colpiti dal terremoto di Haiti che fece 220 mila morti? Mette i brividi, la carrellata di "colletti bianchi" (una fanghiglia di "società civile") messi in fila dal direttore del Tg4 e di TGcom24. A partire da Luigi Compiano, il trevisano che nei caveau della sua Nes custodiva i soldi di varie banche e a un certo punto cominciò a servirsene, fino a mettere sulla strada 700 dipendenti, per dare sfogo al suo vizio di collezionista. Saltò fuori che aveva accumulato in tredici capannoni 70 yacht, 163 motociclette e 493 auto: "Una Rolls-Royce numerata, esemplare unico. Tutte le Aston Martin, dal primo all'ultimo modello, comprese quelle usate nei film di James Bond. La collezione rally con la Lancia Stratos di Miki Biasion campione del mondo. La Jaguar E-Type di Diabolik comprata dal batterista dei Pink Floyd. La Ferrari 275 Gtb, un pezzo quasi unico nella storia dei motori, che da sola vale 2,5 milioni di euro. E poi altre Ferrari di tutte le epoche e di tutte le specie, Porsche, Lamborghini, Land Rover, Mercedes, Bentley e un'Alfa Romeo Formula Indy". E poi Daniele Santucci, il presidente dell'Aipa, una società che incassava i tributi per conto di 800 Comuni italiani (uno ogni dieci), arrestato con l'accusa d'aver fatto sparire sette milioni di euro per costruirsi sui colli sopra Varese un ranch stile texano. E i fratelli Aldo, Giorgio e Ruggiero Magnoni che, "secondo quanto scrive la Procura, riescono a spogliare gli enti previdenziali: 52 milioni di euro sottratti alla cassa di previdenza dei ragionieri, 15 milioni sottratti all'ente di previdenza dei medici, 7,6 milioni sottratti all'ente di previdenza dei giornalisti". E il vicentino Andrea Ghiotto che secondo la Finanza in questi anni di crisi ha "guadagnato 9,5 milioni di euro" sfornando "fatture false per tutti coloro che non volevano pagare l'Iva" e denunciava al Fisco "177 euro l'anno" e quando gli chiesero in tivù se non si vergognasse fece spallucce: "Dov'è il problema? No go copà nisun". Non ho mica ammazzato nessuno. E poi ancora Angiola Armellini, "La donna immobile" dei salotti romani che "abita in una casa meravigliosa proprio dietro Castel Sant'Angelo" e, distratta com'è, si era "dimenticata" di pagar le tasse su 1.243 palazzi, negozi, appartamenti, immobili vari. E il signor A.C., un calabrese trapiantato a Forlì che figurava aver come unico introito una pensione di invalidità di 286 euro ma negli ultimi anni ha cambiato diciannove auto di lusso (dalla Mercedes alla Bentley) e ha comprato una casa di mille metri quadrati da due milioni e 349 mila euro, arredata tra l'altro con 50 mila euro di tappeti persiani. E il pescivendolo di Civitella in Romagna: 900 euro al mese di redditi, una Mercedes M1 e una Ferrari 360 Modena in garage. Per non dire dell'ottantenne romano padrone di 47 immobili "che affittava tutti in nero agli studenti della Capitale". Non mancano nomi finiti in prima pagina. Dall'ex docente Alberto Micalizzi (il "Madoff della Bocconi" che trattava contratti per decine di milioni ma aveva una società con la sede in una roulotte nel Nevada) a Piergiorgio Baita, il grande corruttore poi diventato il grande accusatore dello scandalo Mose, che quando fu arrestato "risultava titolare di 250 conti correnti e aveva 35 poltrone in 35 diverse società" anche se nei momenti d'oro "di poltrone era arrivato ad averne addirittura 88". Da Annamaria Caccavo, che vinceva una dietro l'altra le gare per i restauri di Pompei, a Giovanni Berneschi che secondo i giudici "in Svizzera teneva almeno 35 milioni, di cui 21 sottratti truffando la Carige, che dirigeva da anni" e tanta ingordigia pareva troppa perfino al figlio Alberto: "Se avesse rubato solo due milioni di euro nessuno diceva nulla". Ne esce, tra principi di sangue blu decisi a non pagare le tasse e truffatori di pellet, direttori di banca fuggiti col bottino e finti produttori di finto Montalcino Doc (220 mila bottiglie false spacciate in tutto il mondo) un quadro terrificante. Che conferma, attraverso decine di episodi e di inchieste, la sostanziale impunità di certi pirati più o meno borderline. La stessa umiliante verità emersa giorni fa dai numeri dell'Università di Losanna secondo cui le nostre carceri ospitano un decimo dei "colletti bianchi" detenuti in Europa per reati fiscali, economici, finanziari. Anzi, un 35° rispetto alla Germania. Scommettiamo? Se la nostra giustizia fosse meno bonaria coi protagonisti di certe vicende, in questi anni di crisi ce la saremmo cavata meglio. In "Pescecani" Giordano racconta la nuova criminalità degli avventurieri in giacca e cravatta. Libri: una vita di reclusione inseguendo una palla ovale di Fabio Canessa La Nuova Sardegna, 10 marzo 2015 "Per la libertà. Il rugby oltre le sbarre": l'esperienza dello scrittore Antonio Falda Un viaggio tra le carceri di Nisida, Terni fino a quelle di Torino, Monza e Bollate. "It's buried in the countryside. It's exploding in the shells at night. It's everywhere a baby cries. Freedom. Freedom. Freedom". Le parole che concludono "Redemption Day" di Johnny Cash aprono simbolicamente il nuovo libro di Antonio Falda: "Per la libertà. Il rugby oltre le sbarre" (Absolutely Free Editore, 250 pagine, 14 euro). Parole perfette per introdurre l'argomento trattato e in fondo anche lo stile dell'autore. Come il grande cantautore americano, Falda sembra fotografare con la sua scrittura frammenti di vita, "aggrovigliati nel mondo ovale" come piace dire allo stesso autore nato in provincia di Benevento ma residente in Sardegna, a Capoterra, da una vita. Scrive di rugby Antonio Falda. E dopo le piccole storie di campo e di vita raccolte in "Novelle ovali" e la grande storia di una leggenda come "Franco Ascantini" ripercorsa in "Franco come il rugby", la passione per questo sport lo ha portato in un luogo particolare: il carcere. Un viaggio in otto istituti detentivi nell'arco di oltre sei mesi, tra settembre 2013 e il marzo successivo. Dal carcere minorile di Nisida a Napoli agli istituti detentivi di Terni, Torino, Monza, Frosinone, Porto Azzurro (Livorno), Bollate (Milano) e Sollicciano (Firenze) per seguire da vicino un interessante progetto sostenuto anche dalla Federazione Italiana Rugby: favorire la diffusione della palla ovale nella popolazione carceraria, come strumento di crescita personale e collettiva. Lo sport insomma non solo come svago, ma come strumento educativo. Nel suo viaggio Antonio Falda ha incontrato quindi i detenuti coinvolti nell'iniziativa e vari operatori, allenatori, membri della polizia convinti che i concetti fondamentali del mondo dello sport, del rugby, possano diventare valori chiave di un riscatto per chi ha sbagliato e sconta la sua pena in carcere: il rispetto delle regole e dell'avversario, l'aiutarsi a vicenda, la collaborazione necessaria con gli altri senza individualismi. Cosa resta di quest'attività sul detenuto? È la domanda fondamentale che muove la ricerca dello scrittore. La risposta arriva già esplicita nella prefazione firmata da Aniello Arena il cui riscatto è passato per il teatro: condannato all'ergastolo, partecipando a un laboratorio teatrale (che poi lo ha portato anche al cinema con "Reality" di Matteo Garrone e a vincere per la sua prova il Nastro D'Argento come miglior attore protagonista) dice di aver conosciuto la vera libertà. Perché qualunque sia l'attività, artistica o sportiva, questa può influire sulla vita dei detenuti. Lo dimostra la storia di Arena, lo dimostrano i frammenti di storie raccontate nelle pagine del libro. Di quei ragazzi che durante l'allenamento o una partita hanno come urlo di battaglia: "Per la libertà". Immigrazione: 4 arresti dopo rivolta in un Centro accoglienza in provincia di Palermo Adnkronos, 10 marzo 2015 Scoppia la rivolta in un centro di prima accoglienza del palermitano e quattro extracomunitari finiscono in carcere con l'accusa di sequestro di persona, resistenza a Pubblico Ufficiale e lesioni personali aggravate. In carcere sono finiti C.L. 27enne, E.D. 29enne, A.A. 27enne e F.A. 31enne, tutti del Gambia. Su segnalazione del personale del centro di prima accoglienza per immigrati, gestito dall'associazione "Vogliamo Volare", di a Borgetto, i Carabinieri sono intervenuti per una rivolta in atto, "ad opera di alcuni immigrati che protestavano pretendendo una somma aggiuntiva alla diaria giornaliera prevista", spiegano gli inquirenti, "impedendo nella circostanza, agli operatori del centro di uscire dall'immobile ponendosi fisicamente davanti all'unico cancello d'ingresso, la cui apertura era stata anche sbarrata con l'apposizione di blocchi di pietra". I Carabinieri intervenuti sul posto, sono riusciti a rimuovere i blocchi e aprire il cancello del centro, venendo aggrediti dai promotori della sommossa. Nella circostanza un militare dell'Arma ha riportato lievi lesioni, ricorrendo alle cure dei sanitari del Pronto Soccorso dell'Ospedale Civico di Partinico. Su disposizione dell'Autorità Giudiziaria, gli arrestati sono stati associati alla Casa Circondariale "Ucciardone" di Palermo. Droghe: cannabis, un inter-gruppo parlamentare per la legalizzazione di Domenico Letizia L'Opinione, 10 marzo 2015 Il senatore Benedetto Della Vedova, iscritto radicale, ex-Scelta Civica confluito nel gruppo Misto, ha inviato una lettera agli altri parlamentari nella quale ha chiesto la nascita di un inter-gruppo sulla questione cannabis. Della Vedova ha ricordato che il 27 agosto del 1995 venne arrestato dopo un atto di disobbedienza civile. Con il leader radicale Marco Pannella e l'attuale segretaria dei Radicali Italiani, Rita Bernardini, simularono la cessione gratuita di marijuana. Quella che è passata alla storia come una "provocazione" di legalità e libertà antiproibizionista, ovvero, l'unica proposta davvero concreta per fermare i floridi guadagni della criminalità organizzata. Il Partito Radicale da decenni sta con forza affermando le ragioni della legalizzazione anche come parziale soluzione all'allarmante questione giustizia che attanaglia il nostro paese. L'esperienza e l'attualità di molti degli stati americani quali Washington e Colorado non è quella della semplice depenalizzazione delle "droghe leggere", ma la vera e propria legalizzazione. Ad un anno dalla legalizzazione della vendita di marijuana, in Colorado, si tracciano anche i primi bilanci. Le previsioni negative dei proibizionisti si sono rivelate profondamente errate, al punto da indurre il governatore dello Stato John Hickenlooper a riconoscere pubblicamente il successo della legalizzazione sia dal punto di vista economico che dal punto di vista della giustizia e dei reati. La marijuana ha portato alle casse statali del Colorado 60.128.757 dollari. "Questo è l'inizio della fine per la proibizione della marijuana in tutto il mondo" intitola così il britannico The Observer nell'edizione dell'11 novembre 2012. A partire dall'entrata in vigore della legge, sono stati, inoltre, creati molti nuovi posti di lavoro: ad oggi sono circa 16mila le persone che lavorano nel settore della marijuana. Al contrario di quanto temuto dai suoi critici, inoltre, la legge non ha generato conseguenze a livello sociale. Il tasso di incidenti stradali è rimasto molto basso e il numero degli studenti delle scuole superiori che consuma marijuana non dovrebbe aumentare di considerevole misura. Anche in Italia qualcosa sta cambiando. Nella sua ultima relazione annuale la Direzione Nazionale Antimafia illustra e descrive chiaramente quale è il percorso nel quale le istituzioni dovrebbero muoversi: legalizzazione. Ben venga l'idea di Della Vedova poiché, come detto dallo stesso senatore, "l'Intergruppo è lo strumento ideale per togliere tutti gli elementi "partisan" alla proposta, che incrocia trasversalmente l'interesse di tanti colleghi". Della Vedova però, non può non dimenticare la preveggenza radicale e l'azione politica di disobbedienza di Rita Bernardini, Marco Pannella, Laura Arconti e numerosi militanti radicali. La vera proposta di riconoscenza e di libertà è quella pervenuta da Irene Testa, segretaria dell'associazione radicale "Il Detenuto Ignoto", che ha pubblicamente proposto la candidatura di Rita Bernardini come presidente ad honorem dell'Intergruppo. Speriamo bene. India: caso marò; la Cancelleria della Corte Suprema rimanda il caso in aula Ansa, 10 marzo 2015 La Cancelleria (Registrar) della Corte Suprema indiana ha concluso oggi a New Delhi le procedure amministrative riguardanti un ricorso presentato dai legali dei Fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, in cui si contesta fra l'altro la presenza nelle indagini della polizia investigativa Nia. Dopo aver ascoltato gli avvocati delle varie parti presenti, il giudice della Cancelleria M.K. Hanjura ha chiuso la fase amministrativa e disposto il ritorno del caso in aula. Da settembre scorso la Cancelleria seguiva le procedure amministrative del ricorso italiano dopo che la Corte aveva chiesto il parere su di esso a quattro parti coinvolte: i ministeri di Interni, Esteri e Giustizia e la polizia Nia. Preso atto che solo gli Interni avevano formalizzato la loro posizione, i giudici avevano concesso più tempo alle altre parti. Oggi, ultima opportunità per formalizzare le posizioni, davanti al giudice Hanjura si è appreso che il ministero degli Esteri ha sposato la posizione degli Interni, mentre quello della Giustizia si è limitato a comunicare di "avere ricevuto la notifica" senza però produrre un documento. La Nia invece, che aveva una lettera da presentare al magistrato, non lo ha fatto e, ha appreso l'ANSA sul posto, lo farà solo quando riprenderanno le udienze. A questo punto la discussione è stata chiusa e Hanjura ha dettato una ordinanza in cui si dispone una nuova calendarizzazione del caso in aula. Secondo fonti legali, questo avverrà fra due o tre settimane. Gambia: rilasciato uno dei pescatori italiani, resta in carcere il comandante De Simone Corriere della Sera, 10 marzo 2015 "Le Autorità del Gambia hanno scarcerato Massimo Liberati, direttore di macchina del Motopeschereccio Idra Q, che era stato arrestato il 2 marzo insieme al comandante, Sandro De Simone, con l'accusa di utilizzo di reti da pesca non conformi alla regolamentazione del Gambia". Lo comunica una nota ufficiale della Farnesina. "Il rilascio di Liberati è avvenuto dietro presentazione da parte dell'armatore di adeguate garanzie finanziarie di pagamento dell'ammenda comminata dal giudice di Banjul (capitale del Gambia, ndr)". L'ambasciatore a Dakar ha parlato con Liberati, che si trova in buone condizioni. Lo stesso ambasciatore ha informato la moglie di Liberati. "Le autorità del Gambia hanno stabilito che il comandante De Simone, in quanto responsabile dell'imbarcazione, resti in carcere fino all'avvenuto pagamento dell'ammenda". La nostra Ambasciata a Dakar "continua a seguire con la massima attenzione la vicenda e in serata è previsto l'arrivo a Banjul del Vice Ambasciatore Fornara". "Le adeguate garanzie" comunque non sono bastate alle autorità del Gambia che hanno trattenuto il comandante De Simone riservandosi di rilasciarlo quando sarà versata la "multa" inflitta da un giudice di Banjul. "Non gli basta la cauzione", fa sapere l'Italfish, armatore del peschereccio. E mentre l'ambasciatore italiano a Dakar ha già parlato con Liberati che si trova in buone condizioni ed ha informato la moglie del suo rilascio, lunedì sera arriverà a Banjul l'ambasciatore Fornara per "continuare a seguire con la massima attenzione la vicenda". Le autorità del Gambia hanno stabilito infatti - ha spiegato la Farnesina - che De Simone (di Silvi Marina, in provincia di Teramo) in quanto responsabile dell'imbarcazione, dovrà restare in carcere fino all'avvenuto pagamento dell'ammenda. Una ventina di giorni fa c'era stato il fermo del peschereccio italiano dell'Italfish cui era seguito il sequestro. E il 2 marzo l'arresto di due degli uomini dell'equipaggio (a bordo della nave c'è un terzo italiano, il nostromo Vincenzino Mora, di Torano Nuovo, non coinvolto nella vicenda giudiziaria): una vicenda per la quale, dal primo momento, oltre alla Farnesina si è mobilitato anche il mondo politico, gli amici e i concittadini che avevano lanciato lo slogan "Subito a casa!". A ricostruire l'accaduto era stata la stessa società armatrice di "Idra Q" di Martinsicuro (Teramo), la nave con base a Mazara del Vallo ed una operativa in Senegal: "L'imbarcazione di 45 metri - avevano spiegato all'ufficio della Italfish - stava pescando al largo delle coste del Gambia quando un equipaggio armato della marina militare locale è salito a bordo. Hanno contestato presunte violazioni per una rete, non utilizzata, le cui maglie, accertate con un righello, sarebbero di 68 millimetri invece dei 72 previsti". Da quella violazione il sequestro del peschereccio e poi l'arresto dei due italiani. Messico: Amnesty International; tortura diffusissima indagare dopo nuovo Rapporto Onu Askanews, 10 marzo 2015 Un nuovo rapporto delle Nazioni Unite descrive in modo dettagliato come la tortura sia ampiamente diffusa tra le forze di polizia e di sicurezza del Messico, deve indurre le autorità ad affrontare questa pratica ripugnante una volta per tutte, ha dichiarato Amnesty International. Il rapporto di Juan E. Méndez, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani e degradanti, è stato presentato oggi al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Descrive come in Messico i pubblici ufficiali vengano spesso meno al dovere di indagare sulle denunce delle vittime di tortura e come i medici legali che lavorano per il governo ignorino frequentemente i segni di tortura. "Questo fondamentale ed estremamente duro rapporto di un massimo esperto delle Nazioni Unite sulla tortura evidenzia una cultura dell'impunità e della brutalità sulla quale abbiamo condotto campagne per anni. Il presidente Enrique Peña Nieto non può invocare l'ignoranza su questo tema. Invece, deve accettare e attuare tutte le raccomandazioni disposte nella relazione del relatore speciale" - ha affermato Erika Guevara-Rosas, direttrice del Programma Americhe di Amnesty International. "La polizia e i soldati si servono regolarmente della tortura per punire o estorcere false confessioni o informazioni dai detenuti nella cosiddetta "guerra alla droga". Spesso, le vittime sono costrette a firmare dichiarazioni sotto tortura e in molti casi sono condannate unicamente sulla base di queste affermazioni. Gli esami di medicina legale, quando vengono eseguiti, di solito non sono all'altezza degli standard internazionali". Amnesty International chiede al governo messicano di garantire che i funzionari di medicina legale effettuino analisi immediate, imparziali e approfondite su ogni persona che denunci di essere stata torturata e che le autorità accettino le conclusioni degli esperti indipendenti di medicina legale come prove valide in tribunale. "Le indagini sulle denunce di tortura in Messico sono piene di difetti. Le linee guida concordate a livello internazionale, come il Protocollo di Istanbul sulle indagini in materia di tortura, sono regolarmente ignorate e spesso le vittime devono aspettare mesi o anni per essere visitate. Documentare la tortura è il primo passo per rompere il muro di impunità" - ha aggiunto Erika Guevara-Rosas. Negli ultimi mesi, Amnesty International ha condotto una campagna per la giustizia in favore di Ángel Colón e Claudia Medina, entrambi torturati per estorcere loro false confessioni. Ángel Colón è stato sottoposto ad asfissia, sottoposto a trattamenti umilianti e picchiato dai soldati mentre era detenuto in una base militare. Dopo la sua denuncia di tortura, ci sono voluti cinque anni per ottenere che venisse sottoposto a un esame adeguato da parte di un esperto indipendente di medicina legale. Claudia Medina è stata violentata da soldati della marina militare. Le autorità sono state riluttanti a indagare sulle accuse e il governo le ha reso praticamente impossibile accedere ai servizi ufficiali di medicina legale. L'unica prova legale delle torture subite dalla donna è scaturita da due esami medici indipendenti. "Dopo il lungo percorso che ho dovuto attraversare, ho sentito il bisogno di diventare un'attivista per i diritti umani per dimostrare che non sono una criminale, come le autorità mi hanno dipinto. Non permetterò che una sola donna in più sia torturata in Messico" - ha dichiarato Claudia Medina ad Amnesty International. Il 3 marzo, il Messico ha nominato Arely Gómez González nuova procuratrice generale federale. "Arely Gómez González ha la possibilità di prendere una posizione forte sulla tortura. Deve assicurare che le vittime abbiano accesso a esami di medicina legale adeguati da parte di funzionari esperti e autonomi rispetto all'Ufficio della procura generale federale, come il relatore sulla tortura delle Nazioni Unite ha sottolineato oggi" - ha concluso Erika Guevara-Rosas. Cina: finiscono in galera anche le attiviste anti-molestie di Guido Santevecchi Corriere della Sera, 10 marzo 2015 La stampa statale a Pechino ha appena esortato i legislatori a introdurre norme contro la violenza domestica, che secondo un rapporto colpisce quasi il 40% delle donne in Cina. Ma contemporaneamente, secondo fonti del movimento per i diritti femminili, la polizia ha arrestato almeno 10 attiviste, per evitare che partecipassero a manifestazioni non autorizzate per l'8 marzo, giorno internazionale delle donne. Cinque delle femministe sono ancora in carcere e i loro avvocati non sono riusciti ad avere alcun contatto. La polizia può tenere in cella chiunque fino a 30 giorni senza incriminazione e poi ha il potere di prorogare la detenzione per altri mesi per motivi di sicurezza non specificati. La notizia di questi arresti è stata data alla Ap da Feng Yuan, un'attivista che si trova in questi giorni a New York. Secondo Feng le cinque ancora nelle mani della polizia sono Li Tingting, Wei Tingting, Wang Man, Zheng Churan e Wu Rongrong. La più nota è Li Tingting, che nel 2012 organizzò una campagna contro la violenza familiare indossando un vestito da sposa macchiato di vernice rosso sangue. Li, che ha 25 anni, è un'attrice dell'Opera di Pechino e come nome d'arte usa Li Maizi. Le amiche la descrivono come molto tranquilla, timida, per niente aggressiva. Dicono che gli agenti sono andati a prenderla a casa la notte di venerdì 6 marzo e da allora non si è saputo niente di lei. Anche Wu Rongrong è stata presa il 6: Wu è impegnata nella campagna contro la discriminazione dei malati di Aids e di epatite. Altre compagne sono state arrestate nelle città di Canton e Hangzhou dove ha sede il Women's Center. A Pechino sono in corso le "due sessioni", le riunioni annuali del Congresso del Popolo e dell'Assemblea Consultiva, i due organismi che sono i pilastri della "democrazia consultiva" cinese: in pratica si limitano ad approvare ogni decisione presa dal Politburo del Pcc. Sabato un gruppo di deputate del Congresso aveva tenuto una conferenza stampa sull'eguaglianza di genere, sorridendo e assicurando che ogni problema femminile sarà affrontato e risolto. Pakistan: uccise il governatore che difese Asia Bibi, pena di morte confermata di Stefano Vecchia Avvenire, 10 marzo 2015 Ieri l'Alta Corte della capitale Islamabad, in un'aula sottoposta a severe misure di sicurezza, ha confermato la condanna a morte per Mumtaz Qadri, reo confesso di avere assassinato il 4 gennaio 2011 il governatore della provincia del Punjab, Salman Taseer. La sentenza è stata una sorpresa, per i molti che si attendevano un'attenuazione della pena davanti alla crescente pressione estremista nei casi in qualche modo collegati con l'accusa di blasfemia. Invece i giudici hanno confermato la condanna dell'ottobre 2011 per quanto riguarda l'accusa di omicidio aggravato, ma non per quella di terrorismo. In qualche modo aprendo al condannato la porta per una sospensione della pena in giudizi successivi. Qadri, ex membro della polizia avvicinatosi all'islamismo radicale, aveva ucciso Taseer perché in disaccordo con le sue idee progressiste. Per compiere l'atto criminale si era proposto quel giorno di sostituire un collega della scorta. La sua azione, che lo ha fatto diventare un "eroe" agli occhi dei radicali e un potenziale martire, ha accentuato la frattura tra i settori più conservatori della società che sulla legge anti-blasfernia basano la volontà di imporre la loro visione estremista. "Colpa" del governatore, esponente del laicista Partito del popolo pachistano, noto con la sua famiglia per uno stile anticonformista, era stata di evidenziare pubblicamente la necessità di una riforma della legge che rende le minoranze religiose e i musulmani moderati a rischio di persecuzione e di avere preso le difese di Asia Bibi, che aveva visitato in carcere. La donna cattolica, la cui detenzione è arrivata oggi a 2.087 giorni, aveva incontrato Taseer nella prigione di Sheikhupura, dopo la sentenza capitale di primo grado del novembre 2010. Da allora è rimasta in cella, sempre a rischio che la sentenza di morte - confermata in appello ma in attesa del giudizio finale della Corte Suprema - sia eseguita da qualche fanatico prima di una possibile assoluzione giudiziaria che, con ogni probabilità, aprirebbe a lei e alla famiglia la porta dell'esilio. Venezuela: sanzioni Usa per violazione diritti umani, appello liberazione detenuti politici Ansa, 10 marzo 2015 Il presidente americano, Barack Obama, ha dato il via libera ad una serie di sanzioni nei confronti del Venezuela, accusando alcuni suoi funzionari governativi di aver violato i diritti umani e di corruzione pubblica. Lo riferisce la Casa Bianca, spiegando come nel decreto presidenziale si chieda anche di liberare tutti i prigionieri politici. In particolare ad essere colpite dalle sanzioni sono sette persone tra attuali ed ex funzionari governativi.