Giustizia: Papa Francesco lancia il giubileo dei detenuti, il ministro Orlando tace di Damiano Aliprandi Il Garantista, 9 maggio 2015 Papa Bergoglio invoca il giubileo dei detenuti per il 6 novembre 2016, mentre il ministro della Giustizia Orlando ancora non ha confermato l'appuntamento sugli stati generali sul carcere da lui stesso proposto. Il giubileo dedicato ai detenuti non avverrà solo all'interno delle carceri, ma la Santa Sede sta studiando il modo per dare la possibilità ad alcuni carcerati di venire alla Basilica di San Pietro. Papa Francesco fin da subito a mostrato particolare sensibilità per i diritti dei detenuti e soprattutto, tramite un suo discorso, ha condannato il "populismo penale" dilagante. Per questo motivo, e non solo, l'associazione radicale "Nessuno tocchi Caino" ha voluto assegnare il premio dell'anno al Papa: le ragioni di questa decisione risiedono nel fatto che Bergoglio, il cui Pontificato è stato inaugurato dall'abolizione dell'ergastolo e dall'introduzione del reato di tortura nell'ordinamento dello Stato del Vaticano, si è pronunciato in modo forte e chiaro non solo contro la pena di morte, ma anche contro la morte per pena e la pena fino alla morte. Nessuno tocchi Caino è un'associazione fondata nel 1993. Il nome trae origine da un passo della Genesi: "Il Signore pose su Caino un segno perché non lo colpisse chiunque lo avesse incontrato". La segretaria di Nessuno tocchi Caino, Elisabetta Zamparutti, spiega: "L'abbiamo chiamata così, proprio per affermare il valore, non solo della vita, ma anche della dignità della persona nella sua integralità. Con il conferimento del Premio, Nessuno tocchi Caino riconosce al Santo Padre il valore prodigioso delle sue parole, sulle quali intende impegnarsi per tradurle in iniziative concrete verso il superamento definitivo di punizioni e trattamenti anacronistici, sempre più necessarie e urgenti se si considera il contesto attuale della pena capitale nel mondo di cui le recenti esecuzioni in Indonesia sono l'ultimo aberrante esempio di uno Stato che diventa Caino". Invece profondo silenzio crea l'appuntamento, mai confermato, sugli "stati generali delle carceri" che ha creato grande entusiasmo tra i detenuti, associazioni come Antigone, gli avvocati delle camere penali e i Radicali. Il ministro Orlando non ne parla più. Eppure ci sono stati vari appelli, tra i quali quelli della redazione Ristretti Orizzonti dove si proponeva al ministro di organizzare gli Stati Generali sulle pene e sul carcere nella Casa di reclusione di Padova dove ogni anno organizzano un Convegno, a cui partecipano circa seicento persone dall'esterno, e 150 persone detenute. Intanto il Vaticano ha annunciato una data per i detenuti tanto da invitarli a piazza San Pietro, nella patria di Cesare Beccaria invece è rimasto solo un assordante silenzio. Giustizia: il delirio dell'universo carcerario di Pino Roveredo Il Manifesto, 9 maggio 2015 Pubblichiamo il testo che lo scrittore, divenuto Garante dei detenuti della regione Friuli Venezia Giulia, presenterà oggi a Udine all'interno del Festival "Vicino/Lontano". Il carcere: scatola vergognosa dove nascondere i disgraziati! Disgraziato io, disgraziato tu, disgraziati tutti quelli che si fanno sporcare le dita col colore scuro delle impronte digitali. Io sono uno di quelli che, tanti anni fa, si è fatto sporcare le dita con le impronte digitali, ero un ragazzino, che maldestramente aveva intrapreso la strada dello sbaglio. Quando entrai nel carcere di Trieste ricordo che mi scontrai con l'aria pesante della tragedia, quello era un periodo di rivolte carcerarie e due giorni prima, la sezione minorile aveva inscenato la protesta incendiando i materassi, e dentro il fuoco e il fumo erano morti tre ragazzi. Di quella volta mi ricordo anche dell'ufficio matricola dove consegnai la vita, ricordo il rumore terrificante del ferro e delle serrature, ricordo l'angoscia nell'abbandono della cella d'isolamento, e ricordo l'avvocato d'ufficio che informato della mia indisponibilità finanziaria mi affiancò nell'interrogatorio davanti al giudice col silenzio assoluto. Ferro batte ferro e sbarra chiama sbarra: mettete via i deliri e conservateli per stanotte. La chiave ha fame di serrature e i cancelli hanno voglia di musica. Sveglia, delinquenti, che è ora di scontare. Tirate fuori le condanne e togliere le lancette agli orologi… Andare, camminare, e girare sopra il rammarico e sui frammenti di catena! Il carcere è una scuola dove si insegna la cattiveria, e dove bisogna imparare immediatamente la materia altrimenti rischi di essere stritolato dalla violenza istituzionale e da quella dei compagni più feroci. Io mi salvai con la scrittura, scrivendo e vendendo lettere per gli altri detenuti. Due pacchetti di sigarette per le scritture a madri, mogli, fidanzate, e cinque pacchetti per le richieste al Magistrato perché ne andava della mia incolumità se la risposta era negativa. Ricordo di aver scritto tanto e fumato come mai in vita mia! Ricordo anche, e lo faccio da più di quarant'anni, che io al carcere non devo mezza virgola della mia salvezza, anzi, sono convinto che abbia aumentato le mie capriole e le mie salite. Popolo delle fedine penali pulite, se non avete il fisico disperato, un carattere disgraziato, la referenza tormentata o il talento criminale no, non pensate alla galera, non vi venga mai in mente di fare i delinquenti, comportatevi bene e andate per la vostra strada. Girando tra quella folla di inutili, capireste che se la paura è una sensazione umana, è umana solo oltre le mura. La paura carceraria, invece, fa parte dell'istinto bestiale, lei ti cattura, ti stravolge, e, con il pretesto di un piccolo errore, ti stritola nell'impasto sbagliato. Dimenticavo, casomai vi dovesse succedere, non vi venga in mente di tirare fori le vostre referenze oneste, perché, là dentro, non conta niente il futuro, figuratevi il passato. Perciò, gente per bene e popolo delle fedine pulite… Ripeto, non fatevi venire la voglia del detenuto, se prima, non vi siete imparentati con la disgrazia! Le ultime percentuali dicono che il 75 % del popolo carcerario italiano tornerà a delinquere. Una percentuale che continua a non spaventare e allarmare le istituzioni e che viene dalla mancanza del senso carcerario, quello rieducativo e riabilitativo (Art. 1 ordinamento penitenziario: Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento degli stessi.), e che invece, proprio per l'imbarbarimento del luogo, produce un rancore che si sfoga verso scelte negative ed episodi di recidività. D'altronde il carcere, per la politica, è sempre stato un motivo impopolare, meglio, molto meglio frequentare il populismo dei giustizialisti, quello senza ragione, fingendo d'ignorare che la mamma degli arrabbiati continuerà a partire storie sbagliate, storie che continueranno a pesare sulla collettività e a soffiare dentro una paura senza guarigione. Ferro batte ferro e sbarra chiama sbarra. Giustizia: l'antimafia che non sognavo di Roberto Puglisi Il Foglio, 9 maggio 2015 I miei due compagni di scuola uccisi, i funerali di Falcone, tante speranze. E poi millle e mille delusioni Biagio aveva il viso pulito dei quattordicenni, con una polvere di tristezza: come se avesse saputo della sua morte imminente. Giuditta aveva diciassette anni, guance di pesca e un sorriso che occupa per intero la fotografia sul comodino della camera da letto di sua madre. Biagio Siciliano e Maria Giuditta Milella, studenti del liceo classico Giovanni Meli di Palermo, il 25 novembre del 1985 aspettavano l'autobus all'uscita dalla scuola, a piazza Croci, in una giornata di sole. Una macchina che scortava i giudici Leonardo Guarnotta e Paolo Borsellino piombò sulla fermata, al termine di una sventurata carambola. Fu un massacro in quella zona residenziale che prese le sembianze di Beirut. Il bilancio definitivo avrebbe registrato due morti e parecchi feriti. L'operaio Nicola Siciliano vide il figlio Biagio già cadavere, steso su un lenzuolo, mentre era in affannosa ricerca con sua moglie, Maria Stella. Il vicequestore Carlo Milella trascorse lunghi giorni di veglia, con Francesca. Le preghiere dei genitori per la figlia non vennero esaudite: Giuditta spirò una settimana dopo. Io aspettavo con gli altri alla fermata, quel 25 novembre. Antonio della sezione F si avvicinò: "Torniamo a casa a piedi, dai". Ci incamminammo. Eravamo già lontani e correva la prima ambulanza, poi la seconda, poi la terza… Le scuole di Palermo bruciarono di di Roberto Puglisi sdegno. Morire di mafia era orrendamente logico. Ma non si poteva morire così, giustiziati da un'Alfetta di scorta ai giudici. Che legalità era quella che uccideva i ragazzi, anche se involontariamente, come una divinità assetata di vite umane? Qualcuno propose: "Andiamo al tribunale a spaccare i vetri a sassate". Nel clamore, si levò, autorevole, la voce dell'antimafia studentesca, che riempiva la città con i cortei a sostegno delle toghe sotto assedio: "I nostri compagni sono morti di mafia, vittime del clima di terrore che i magistrati, minacciati da Cosa nostra, subiscono. Palermo è una trincea di ferro e fuoco. C'è il maxi-processo contro la Cupola che provoca estreme misure di sicurezza". Il rosario dei caduti era tristemente noto: Piersanti Mattarella, presidente della regione, Emanuele Basile, capitano dai carabinieri, Gaetano Costa, procuratore, Pio La Torre, comunista, Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto… E adesso Biagio e Giuditta. "Grazie al loro sacrificio - insisteva la voce - avremo la Sicilia che abbiamo sempre sognato. Asciughiamo le lacrime. Seppelliamo i morti e i propositi di violenza". Noi ci rassegnammo al prezzo da pagare. Dovevamo solo avere pazienza, marciare dietro gli striscioni, le bare e portare, in silenzio, la croce della nostra adolescenza spezzata. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano persone serie, non avrebbero gradito i necrologi apparecchiati dalla retorica. Giovanni Falcone amava Francesca Morvillo; morì con la disperazione di saperla accanto a sé sull'autostrada di Capaci. Un suo collaboratore conservò in un cassetto del Palazzo di giustizia un bigliettino, con la dedica: "Giovanni, sei la mia vita. Firmato: Francesca". Paolo Borsellino era un uomo profondo e allegro, capace di reggere un filo di spensieratezza sul baratro dei rischi che affrontava. Sapeva a memoria tomi interi di barzellette. Negli ultimi tempi - tra Capaci e via D'Amelio - aveva perso ogni levità, perché sentiva il colpo in arrivo. Talvolta, si rifugiava da un barbiere che portava il suo stesso nome. E Paolino, il barbiere, suggeriva a Paolo, il giudice: "Dottore, ha fretta? La faccio passare per primo?". La replica, tra angoscia e ironia, non cambiava mai: "Non mi disturbare. Ho solo quest'attimo di serenità…". La domenica mattina, il dottore Borsellino si allontanava, talvolta, per iniziare una lentissima passeggiata dal portone di casa fino all'edicola. Misurava i passi. Incedeva con calma, come per suggerire: "Prendete me. Lasciate stare gli agenti, la mia famiglia. Sono qui". Ma i suoi boia ragionavano con la sottile crudeltà di menti raffinatissime. Lo lasciarono sopravvivere fino al tritolo designato. Ai funerali di Falcone, c'ero. Ricordo la chiesa, talmente gremita da provocare sgomento, e l'orazione funebre di Rosaria Schifani, moglie dell'agente di scorta, Vito: "Io vi perdono, ma vi dovete mettere in ginocchio". Ci inginocchiammo per omaggio, colpevoli e innocenti. Era il prezzo da pagare. Un giorno, avremmo conosciuto una Sicilia diversa. Io, compagno di morti, concittadino di morti, io che, ovunque girassi lo sguardo, vedevo soltanto morti, avrei finalmente toccato con mano la mia terra liberata dall'antimafia, la resurrezione che avevo sempre sognato. Molti anni dopo, splende ancora il sole a Palermo. Alla fermata dell'incidente, una targa un po' arrugginita raccoglie qualche mazzo di rose che i superstiti e gli alunni contemporanei depongono ogni 25 novembre e che appassisce in fretta. Via Libertà - via nobile, di una nobiltà decaduta, che taglia piazza Croci - è chiusa al traffico. Sta sfilando un corteo per il pm Nino Di Matteo, incaricato del processo sulla cosiddetta trattativa stato-mafia. Sono anch'io lì, con un fiore di gelsomino tra le dita. Così posso guardare la mia speranza rinsecchirsi, insieme ai fiori per Biagio e Giuditta. C'era una volta la bella antimafia che riempiva le piazze e le chiese. Ora ci sono quattro volonterosissimi gatti; i ragazzi di un istituto che hanno sfruttato l'occasione dell'assenza fungono da supporto logistico alla pochezza dei presenti. Sorridono. Un tizio con l'altoparlante - tutto rap e barbetta - detta i tempi degli slogan. Si balla e si canta. Con allegria. Un'allegria di troppo. Tese e serrate apparivano invece le facce dei giovani degli anni Ottanta e Novanta, schierati dietro uno striscione. Erano caduti i nostri compagni, avevano ammazzato i giudici. Eravamo cresciuti tra una fermata d'autobus e le lamiere di Capaci e Via D'Amelio. Non riuscivamo a sorridere. Cera una volta l'antimafia della consapevolezza che conosceva la sua rotta e le biografie dei martiri. Ora ci sono i bambini deportati a Palermo il 23 maggio e il 19 luglio, per Falcone & Borsellino. Scendono dalle navi della legalità, festosi, con cappellini colorati. Intruppati, passeggiano fino all'aula bunker del carcere Ucciardone, lì dove si celebrò il maxi-processo. Ascoltano un concertino di musiche popolari ai piedi dell'albero Falcone, in via Notarbartolo, ornato da salmi e omelie di altissimi rappresentanti delle istituzioni. Di sera, risalgono sulle grandi imbarcazioni che li riporteranno indietro. Non sapranno mai davvero nulla di quegli anni, delle lotte studentesche, di Biagio e Giuditta, del bigliettino di Francesca Morvillo, di Paolo Borsellino che smise di raccontare barzellette, dello strazio di Nicola e Maria Stella Siciliano, di Carlo e Francesca Milella che attesero invano una guarigione, pregando. L'antimafia che era bellezza consapevole si è spenta in un folclore irrilevante, in una galleria di statue di marmo che ha inghiottito le persone. E c'era una volta l'antimafia del disinteresse. Sfilavamo per le strade, senza chiedere niente. Poi trionfò il professionismo in cerca di redditi e notorietà. L'albo delle figure professionali è appunto vasto. C'è l'agitatore delle folle. C'è il santone in odore di antimafiosità. C'è il giornalista che non ha notizie, tuttavia sforna le sue inchieste "scottanti" che si venderanno a palate sull'apposito scaffale del circuito organizzato. C'è l'artista che produce creazioni impalpabili e acclamatissime, al limite del vilipendio di ciò che è sacro. C'è il politico a cui non farebbero amministrare nemmeno un condominio, che sta a galla, piazzando nel suo governo personalità dal cognome evocativo, visto che non è difficile rintracciare un Carneade che - per ingenuità o ingenuo cinismo - si presti alla manfrina del nome associato all'incarico. C'è l'amico di turno che non si esime dal narrare quanto fosse profondo il suo legame con "Giovanni e Paolo", mettendo in scena una ribalta di familiarità, condita di cinismo. Non vorrebbe parlare, non vorrebbe esporsi… Eppure, il discretissimo destinatario di un legame tanto luminoso cede immancabilmente alla prepotenza della memoria offerta al pubblico, non per sé - si capisce - ma affinché risalti la gloria di quegli eroi inarrivabili. E parla, parla, con il ciglio inumidito di commozione, il cuore gonfio di orgoglio. Infine, approda lì dove doveva approdare, intanto che l'antimafia disinteressata di un tempo si è trasformata in borsa di monete sonanti. C'è l'antimafia delle certezze che ha strangolato l'intelligenza dei dubbi che perfino noi ragazzi con le nostre tenere schiere dell'impegno nutrivamo. E cova le sue domande, però non desidera risposte. E sfrutta la mistica del complotto che tiene insieme servizi segreti deviati, poliziotti amici dei boss, carabinieri felloni, un paio di presidenti della Repubblica, nonché l'uomo delle pulizie pro tempore del tribunale di Palermo, altrimenti che fiction sarebbe? Ci sono cunicoli da scavare, storie da approfondire, correità da illuminare; ma l'antimafia delle certezze ripudia i sentieri della ricerca della verità, costellati di punti interrogativi. Sa già tutto e tutto ha già previsto. E se un giurista di sinistra - il professore Giovanni Fiandaca - si permette addirittura di avanzare un'ipotesi laica sulla vicenda della cosiddetta trattativa, saltano su i chierici antimafiosi che lo scomunicano, friggendo di rabbia per essere stati smascherati. E c'è l'antimafia Ikea, fai-da-te, delle vendette trasversali. Ognuno fabbrica la sua, con il suo libretto di istruzioni. Una volta assemblata, la userà alla stregua di un'arma finale contro il nemico di turno. Sulle trincee di interessi troppo convergenti per convivere pacificamente, divampa una guerra di bande partigiane che non hanno timore di usare la corda, o il coltello contro l'avversario più prossimo, di solito un altro antimafioso che è salito troppo nell'apposita classifica; dunque, meglio che ritorni un po' più giù. Allo scopo, possono tornare utili le testimonianze di improbabili pentiti, il sopracciglio alzato di pataccari di complemento, la voce stentorea di ombre che vomitano vecchi ricordi. Sotto gli occhi di tutti apparirà, unendo i puntini del discorso, il profilo dello smarrimento. Se tale è diventata l'antimafia dei buoni, cosa sarà mai la mafia dei cattivi? C'era una volta l'antimafia: specchio limpido di coscienze, striscioni e passione. Nacque in mesi cruenti di stragi. Ora ci sono i cocci sparsi dell'opacità, i riflessi di una mistificazione, i vetri colorati di un'impostura che nessuno prende a sassate. Quando finalmente tornai casa, quel 25 novembre, non sapevo nulla. Trovai mio padre che si era precipitato in strada, con i radi capelli spettinati - proprio lui che era un puntiglioso assertore del decoro - gli occhiali da professore appannati dal pianto, le pantofole ancora ai piedi: perché nell'orgasmo di venirmi a cercare, non se l'era neanche tolte. "Papà, che è successo?". "C'è stato un terribile incidente a scuola. Una macchina di scorta è finita sui ragazzi. Ci sono morti e feriti". E mi abbracciò. Biagio aveva un viso pulito, incipriato dal talco della tristezza. Giuditta aveva guance di pesca. Nessuno le avrebbe più baciate, nessuno li avrebbe abbracciati mai più. E io sono rimasto qui, alla fermata, a domandarmi se ne sia valsa la pena, dove mai sia finita la speranza del sangue versato. Sono qui, che penso ai morti e depongo fiori di gelsomino, mentre guardo passare l'antimafia che non ho sognato. Giustizia: corrotti e "delatori"; chi svela reati altrui non può nascondersi, ecco perché di Giunta dell'Unione Camere penali italiane Il Garantista, 9 maggio 2015 Dice Raffaele Cantone, Autorità Nazionale Anticorruzione, che "la delazione non è una brutta parola" e che quindi "serve più coraggio del legislatore" ed è forse necessario "sporcarsi un po' le mani" ed "avere il coraggio di dare maggior tutela e riservatezza al denunciante". Il cosiddetto Whistleblowing è in effetti un fenomeno, ed uno strumento, assai diffuso in altri Paesi e soprattutto negli Usa, dove una diversa tradizione culturale, politica e soprattutto religiosa favorisce simili comportamenti. E tuttavia, qui, il problema non è tanto quello di spiegare quali diverse (e non del tutto riprovevoli) condizioni etiche e culturali giustificherebbero una qualche avversione ad un uso eccessivamente disinvolto dello strumento, ma quali rischi di sviamento possa comportare un troppo semplicistico trasferimento da un contesto aziendale a quello puramente penal-processuale. Quando il Presidente Cantone afferma che occorrerebbe "rompere un tabù un po' come si è fatto dando sostanza all'uso dei collaboratori di giustizia", evoca scenari e fenomeni criminali, non solo non equiparabili sotto un profilo antropologico e sociologico a quelli implicati dalla lotta al fenomeno della corruzione, ma per altro verso neppure simili sotto il profilo dell'etica della responsabilità: se da un lato nel bene e nel male (con i possibili esiti nefasti e con i noti rischi di strumentalizzazione), la collaborazione impone al collaborante una assunzione di responsabilità personale, nel Whistleblowing, come ricorda lo stesso Cantone, si tratterebbe invece di dare "tutela e riservatezza al denunciante". Come ben sa il responsabile dell'Autorità Nazionale, questi meccanismi, calati nella realtà del nostro sistema processuale, se utilizzati come fonte di prova, entrerebbero in rotta di collisione con la "copertura" della fonte medesima, e se al contrario utilizzati come semplice ed anonima "notizia di reato", potrebbero avallare i peggiori comportamenti, vendette, invidie, atti di sciacallaggio di un'impresa ai danni di un'altra, fornendo all'autorità giudiziaria una quantità di materiali informativi e di spunti investigativi, tutti astrattamente suscettibili di accertamenti e di attenzionamenti, ma tutti al tempo stesso suscettibili di trasformarsi in una autentica ed inesauribile "macchina del fango istituzionalizzata". Non si può, dunque, ad un tempo affermare che non si tratta di una sporca delazione ma di "una doverosa assunzione di responsabilità da parte dei cittadini" necessaria al fine di "combattere la mentalità omertosa inducendo i cittadini a farsi parte diligente e denunciando gli illeciti", e dall'altro garantire "tutela e riservatezza al denunciante". Chi denuncia l'illecito fa il proprio dovere di cittadino, ma se denuncia si assume la responsabilità della propria scelta e abbandona, insieme alla "mentalità omertosa", anche l'idea che il proprio comportamento non possa che essere inteso come un atto esemplare del quale essere orgogliosi davanti alla collettività. E una simile idea non ha bisogno certo né di "tutela" né di "riservatezza". Giustizia: i video di Massimo Bossetti spiato in carcere sono un'inutile gogna mediatica di Paolo Graldi Il Messaggero, 9 maggio 2015 La materia scotta, è incandescente, e il suo utilizzo pubblico, cioè la sua pubblicazione, via carta stampata o via video, si infila dritta dritta nell'infinita polemica sul tema del confine da tracciare intorno alle intercettazioni. Se ne parla da anni. Appunto, se ne parla, se ne discute, si litiga, si promettono o si minacciano leggi, s'invocano per un verso o si temono per l'altro verso bavagli alla stampa e alla libertà di informazione. Si discetta sulla reale utilità nelle indagini di polizia giudiziaria e sui limiti da osservare, includendo alcune fattispecie di reato ed escludendone altre. Il malloppo di polemiche è tale che nessun governo, per quanto decisionista si proponga di essere, ha finora mai fissato un punto chiaro e fermo. La materia che scotta, sulla quale si sono riversati fiumi di opinioni per lo più contrapposte, darà ancora molte soddisfazioni ai cultori del ramo: per ora c'è solo il buio alla fine di questo tunnel di polemiche. La materia che scotta, tuttavia, qualche volta sembra scavalcare qualsiasi recinto e infilarsi, sbaraccando ogni barriera, in quel che resta della privacy in questo paese. Gira in tv lo scoop, perché di autentico scoop giornalistico si tratta, è di Sky Tg24, e riguarda uno spezzone di conversazione in carcere tra Massimo Bossetti, accusato dell'assassinio di Yara Gambirasio (26 novembre 2010) e la moglie Marita Comi. Le microspie con telecamera piazzate nella stanzetta dei colloqui del carcere assorbono ogni dettaglio, anche il minimo bisbiglio, del colloquio. Si coglie, ascoltandolo, l'ansia della moglie del muratore di avere conferme delle tante voci e delle non poche bugie delle quali Bossetti ha disseminato il suo percorso di presunto assassino, rispondendo agli assalti degli investigatori e dei pubblici ministeri. "Se mi devi dire qualcosa dimmelo adesso", implora trattenendo un'ansia mozzafiato la donna. S'avverte nella sua insistenza il dolore acuto che deve provare nel sentire il marito che le chiede a mezza bocca, quasi farfugliando, una sorta di complicità su alcuni dettagli, smemoratezze calcolate e però anche di valore per i cercatori di prove. Chiede, insiste, vuole sapere, capire, fugare dubbi e fantasmi, quegli orrori nei pensieri che le stracciano il sonno della notte. Lo scoop del Tg in onda 24 ore su 24 ripropone, pur nella sua potenza (prepotenza?) giornalistica la domanda: perché quelle immagini che accolgono una intimità drammatica vengono lasciate uscire dai faldoni del processo (60 mila pagine, in corte d'Assise dal 3 luglio prossimo) per mostrarsi a tutti? Assale, scrutandole per cercarne le pieghe più riposte o cangianti, un senso di inquietudine, come di qualcosa che è stato violato per il nobile scopo di raccogliere elementi utili alle investigazioni e però poi fatto deflagrare nell'immenso palcoscenico della opinione pubblica. Da un bel po' ci sono programmi che si nutrono e non di rado con robuste approssimazioni di istruttorie su omicidi (vanno molto quelli in cui le vittime sono donne, moglie, madri) nei quali il carattere indiziario è forte e scatena le divisioni tra il pubblico: è innocente; no, è colpevole. Su alcuni fatti di sangue hanno prosperato interi palinsesti nei quali la riservatezza delle indagini (e per molte c'è o dovrebbe esserci la coperta stagna del segreto) è stata piegata al copione delle telenovele noir. Tutto si dispiega in tempo reale come se si fosse di fronte a istruttorie che già contendono sentenze passate in giudicato. Si ha l'impressione che la tensione verso la verità che si dice di ricercare o di disvelare nasconda in realtà lo stravolgimento delle regole a protezione di chi è soggetto ad indagini. Di qui l'accusa, non sempre infondata alla stampa e alla tv, di "macchina del fango" che non riesce ad accettare i tempi (sì, certo, quasi sempre troppo lunghi) degli accertamenti processuali spostando la stessa sede del giudizio dalle aule agli studi tv o nelle redazioni dei giornali. Sono questi tempi duri, crudi, impietosi: troppa violenza, troppo sangue ovunque per invocare ricami o ceselli. Di questi tempi prevale l'ansia della mannaia. E il bilancio finale, non è quasi mai con dell'utile da esibire. Fa pena Marita Comi che tempesta il marito di domande, lui accusato di aver ucciso e violentato una tredicenne. Quei frammenti da strumento di indagine, invasivo per definizione, diventano un'altra cosa, si trasformano in esibizione del dolore. Da investigazione diventano invasione in una intimità tradita per altri fini. Lo stesso vale per tutto ciò che il male di una società malata di immagini choc ci mostra ogni giorno: non avremmo mai più dovuto vedere uomini e donne in manette, di qualsiasi colpa accusati, mentre dai laboratori dei comandi escono trionfali riprese di boss e gregari assassini tirati fuori dai loro covi. Certo, vedersi infilati nelle macchine di servizio produce un attimo di sollievo: presi, finalmente. Ecco, in quell'istante, sospirando, ci siamo giocati un altro frammento di rispetto umano. Che poi è un valore che, alla fine dei giochi, non rispetta e non guarda in faccia nessuno. Giustizia: Renato Vallanzasca "l'ergastolo è disumano, rideterminate la mia pena" di Valeria Gianoglio La Nuova Sardegna, 9 maggio 2015 Un anno fa era finito di nuovo nei guai per il furto di due paia di mutande in un market di Milano. Renato Vallanzasca, che dall'autunno del 2013 stava assaporando il piacere del regime di semi-libertà, si era difeso affermando di essere stato vittima di un complotto legato ad alcune sue rivelazioni nell'inchiesta sulla morte di Marco Pantani. Ma i giudici non avevano sentito ragioni e per lui era arrivata una condanna a dieci mesi e la revoca immediata del beneficio della semilibertà. Ma adesso l'ex componente di spicco della mala milanese degli anni 70 e 80 ci riprova. E si rivolge al tribunale di Nuoro che lo aveva giudicato tanti anni fa per ottenere una rideterminazione della pena che alla fine avrebbe un effetto immediato: la sua scarcerazione. La richiesta. Vallanzasca, attualmente detenuto a Opera (Milano), punta alla conquista della libertà che ritiene di essersi riguadagnato, visto che ritiene la pena dell'ergastolo del tutto illegittima alla luce di alcune sentenza della Corte europea dei diritti umani. "Per conto del condannato Renato Vallanzasca - scrive il suo avvocato, Gianluca Pammolli, del foro di Roma - si chiede la rideterminazione del titolo esecutivo penale con valutazione e conteggio del presofferto totale dell'intera carcerazione del condannato, e la liberazione anticipata ed eventuali condono e amnistie". Pena disumana. Citando una sentenza della Corte Europea del 9 luglio 2013, l'avvocato di Vallanzasca riferisce di una vicenda giudiziaria nella quale i giudici di Strasburgo avevano stabilito che si debba "rivalutare e favorire in ogni caso la rieducazione del reo nei casi di pena perpetua definitiva la quale viene considerata assolutamente disumana e degradante, e quindi violatrice dell'articolo 3 della Convenzione europea di Strasburgo". "Nel caso presente - scrive il legale - si osserva che le pene dell'ergastolo inflitte al reo sono antecedenti al 1982 e quindi il condannato non ha potuto beneficiare di alcuna misura premiale, né di scelta del rito processuale. Inoltre il reo ha sofferto ben oltre tre anni di isolamento diurno, pena suppletiva che oggi non avrebbe mai potuto patire secondo le nuove norme sulla scelta del rito processuale. Quindi non ha potuto beneficiare del rito abbreviato che gli avrebbe evitato la condanna all'ergastolo". I calcoli. Il legale ha già fatto i conti: "La pena va fissata a un massimo di 30 anni di reclusione, da cui detrarre il presofferto che oggi supera i 44 anni, e che quindi determina una immediata scarcerazione del condannato". Ieri la posizione di Vallanzasca è stata sostenuta in aula dall'avvocato Paolo Carta, nuorese del foro di Tempio. Il legale ha chiesto al giudice in via principale l'accoglimento della richiesta di Vallanzasca, la scarcerazione. E in via subordinata di "sollevare una questione di legittimità costituzionale per l'articolo 22 del codice penale". È l'articolo che prevede l'ergastolo. Il giudice deciderà nei prossimi giorni. Giustizia: caso Gugliotta, condannati a 5 anni i poliziotti che lo pestarono "per errore" di Adelaide Pierucci Il Messaggero, 9 maggio 2015 Quattro agenti di polizia sono stati condannati a cinque anni di carcere per il caso di Stefano Gugliotta, un giovane romano pestato nel 2010 durante gli scontri alla partita di Coppa Italia Roma-Inter perché scambiato per un ultra. I quattro erano già stati dichiarati colpevoli per l'aggressione, mentre la nuova sentenza riguarda la compilazione di un verbale di arresto ritenuto falso. Guido Faggiani, Adriano Cramerotti, Andrea Serrao e Roberto Marinelli, processati in contumacia, rispondevano di calunnia e falso. A Gugliotta un risarcimento di 100 mila euro. Prima sono arrivate le condanne per il pestaggio, ora quelle, ancora più pesanti, per il falso verbale. Si è chiuso (almeno in primo grado) con una doppia condanna per 4 poliziotti il caso di Stefano Gugliotta, il giovane romano pestato da un gruppo di agenti perché scambiato per tifoso violento durante gli scontri per la partita di Coppa Italia Roma-Inter del 2010 e poi arrestato per resistenza. Per il verbale di arresto, ritenuto una copertura del pestaggio, ieri quattro poliziotti della Questura di Roma sono stati oggi condannati a cinque anni di reclusione dal giudice monocratico Clementina Forleo. Guido Faggiani, Adriano Cramerotti, Andrea Serrao e Roberto Marinelli, processati in contumacia, rispondevano di calunnia e falso. Per loro il giudice ha disposto anche l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e un risarcimento di centomila euro in favore di Gugliotta, assistito dall'avvocato Eleonora Piraino. Per le manganellate e i calci al ragazzo gli stessi sottufficiali erano già stati condannati lo scorso anno a quattro anni di reclusione con l'accusa di lesioni gravi assieme ai colleghi Leonardo Mascia, Fabrizio Cola, Leonardo Vianelli, Rossano Bagialemani e Michele Costanzo. A chiedere l'incriminazione per i quattro agenti era stato due anni fa il gip Valerio Savio nell'udienza in cui Gugliotta, assistito dall'avvocato Cesare Piraino, venne scagionato dall'accusa di resistenza. Il gip allora ordinò al pm di disporre "accertamenti" in relazione "alle modalità" con cui erano stati predisposti il verbale, in particolare "nella parte in cui si riferisce di una violenta e concitata colluttazione ingaggiata da Gugliotta". Nella ricostruzione in aula del pestaggio il pm Pierluigi Cipolla era stato chiaro: "Gli agenti sono intervenuti in dieci contro uno. Eppure non c'erano scontri in quel momento in via del Pinturicchio. Nulla che giustificasse la loro azione". Fermando Gugliotta (che non indossava sciarpe e bandiere, ma andava con un amico in motorino a una festa) Mascia, in particolare, che gli aveva dato l'alt e subito dopo la manata e le prime manganellate, avrebbe avuto così il torto di innescare l'intervento dei colleghi che erano nel blindato. Sedici secondi che hanno scatenato il pestaggio successivo, ricostruito mettendo più volte a confronto le testimonianze raccolte in aula con i tre video girati da testimoni alle finestre. Il vicequestore Bruno Failla, dirigente del commissariato Prati e responsabile dei servizi interni all'Olimpico, ascoltato in aula, però, aveva tenuto a precisarlo: "Il video lo abbiamo acquisito noi, a Prati, su delega dell'autorità giudiziaria". Piemonte: "Voltapagina", tutti in carcere per il Salone del Libro, Saviano fra gli ospiti www.alessandrianews.it, 9 maggio 2015 Giunge alla sua nona edizione il progetto Voltapagina, capace di portare scrittori e autori all'interno dei carceri per incontrare detenuti e liberi cittadini. Quest'anno, in collaborazione con il Salone Internazionale del Libro di Torino, saranno 6 le occasioni d'incontro in programma. Fra loro, anche Roberto Saviano Per tutti gli appassionati divoratori di carta stampata e rilegata maggio è il mese della cultura e dell'overdose da libri: romanzi, volumi storici, saggi, inchieste, tomi di filosofia, scienza, psicologia e quant'altro. Non solo: è anche il mese degli incontri diretti e ravvicinati con gli scrittori che presentano le loro ultime fatiche e si concedono agli avidi lettori in un tripudio di mani scroscianti, fotografie e autografi. Tutto questo avviene al Salone Internazionale del Libro di Torino, giunto alla sua 28a edizione in questo 2015. Dal 14 al 18 maggio, infatti, persone di tutte le età e culture saranno coinvolte in una full immersion di eventi di vario genere. La lettura supera ogni confine e riesce a varcare persino i cancelli super controllati della Casa di Reclusione di San Michele ad Alessandria, che ospiterà per il terzo anno consecutivo uno degli eventi del Salone. Una finestra spalancata sul mondo e sulla vita, che si apre sfogliando pagine di romanzi, saggi, poesie e racconti. È il progetto Voltapagina, l'iniziativa del Salone Internazionale del Libro di Torino, nata nel 2007 dapprima nel carcere di Saluzzo e successivamente estesa ad altri Istituti, per portare i grandi autori della narrativa italiana nelle carceri del nostro paese durante i giorni della festa del libro torinese. Un progetto di grande impegno sociale, giunto alla sua nona edizione e cresciuto negli anni per apprezzamento e partecipazione di scrittori, operatori penitenziari e pubblico esterno, organizzato in collaborazione con il Ministero della Giustizia. Quest'anno le persone detenute nel carcere alessandrino incontreranno e "interrogheranno", il giorno 16 maggio 2015 alle ore 15:30, Antonio Moresco, autore del romanzo "Fiaba d'Amore". Sarà un'importante occasione di crescita e di scambio non solo per la popolazione ristretta ma anche per la città di Alessandria. Il carcere, infatti, aprirà le sue porte alla comunità esterna, consentendo a detenuti e cittadini liberi, almeno per un giorno, di potersi confrontare reciprocamente, scambiando idee e opinioni sui temi affrontati dal testo dell'autore. Tutti coloro che intendono partecipare all'evento potranno comunicare la propria adesione entro e non oltre il 12 maggio 2015, inviando i propri dati anagrafici (nome, cognome, data e luogo di nascita e residenza) all'indirizzo e-mail educatori.cr.alessandria@giustizia.it. A coloro che verranno autorizzati all'ingresso in Istituto verranno successivamente comunicati l'orario e la modalità d'accesso alla struttura. In tutto saranno quattro gli istituti penali piemontesi coinvolti: la Casa di Reclusione Rodolfo Morandi di Saluzzo (Via Regione Bronda, 19/bis); la Casa Circondariale Quarto Inferiore di Asti (Strada Quarto Inferiore, 266), la Casa di Reclusione San Michele di Alessandria (Strada Casale, 50/A) e l'Istituto Penale per i Minorenni Ferrante Aporti di Torino (Via Berruti e Ferrero, 3). Sono sei gli autori che incontreranno i detenuti e il pubblico esterno: Antonio Moresco (carcere di Alessandria), Mauro Corona (Torino), Franco Di Mare (Asti), la scrittrice danese Helle Helle (Torino), Roberto Saviano e l'educatore Paolo Belotti (Saluzzo). Nelle settimane che precedono gli incontri, i detenuti che hanno volontariamente scelto di partecipare a Voltapagina vengono guidati alla lettura e all'approfondimento dei libri da un gruppo di assistenti sociali, educatori e volontari dei penitenziari. Il momento dell'incontro con l'autore sarà così occasione di discussione e dialogo sui temi trattati nell'opera e sull'esperienza della scrittura. Ecco di seguito il programma completo di Voltapagina Sabato 16 maggio Ore 10 - Casa Circondariale "Lorusso e Cotugno" Via Adelaide Aglietta, 35 Torino Incontro con Helle Helle In occasione della pubblicazione di Come fosse al presente In collaborazione con Scritturapura Ore 10 - Casa di Reclusione "Rodolfo Morandi" Via Regione Bronda, 19/bis Saluzzo (Cn) Incontro con Paolo Belotti In occasione della pubblicazione di Visti da dentro In collaborazione con Itaca Edizioni Intervengono Pietro Buffa e Bruno Mellano Ore 16 - Casa di Reclusione San Michele Strada Casale, 50/A Alessandria Incontro con Antonio Moresco In occasione della pubblicazione di Fiaba d'amore In collaborazione con Mondadori Domenica 17 maggio Ore 10- Casa Circondariale "Lorusso e Cotugno" Via Adelaide Aglietta, 35 Torino Incontro con Mauro Corona In occasione della pubblicazione di I misteri della montagna In collaborazione con Mondadori Ore 11 - Casa Circondariale Quarto Inferiore Strada Quarto Inferiore, 266 - Località Quarto Inferiore - Asti Incontro con Franco Di Mare In occasione della pubblicazione di Il caffè dei miracoli In collaborazione con Rizzoli - Rcs Ore 11- Casa di Reclusione "Rodolfo Morandi" Via Regione Bronda, 19/bis Saluzzo (Cn) Incontro con Roberto Saviano In collaborazione con Feltrinelli Voltapagina è aperto anche al pubblico esterno, che dovrà presentarsi munito di documento d'identità. La prenotazione è obbligatoria: per Saluzzo, entro il 14 maggio: cr.saluzzo@giustizia.it (specificando in oggetto: Salone del Libro) oppure 0175/248125 - 0175/248225 (fax 0175/248786) per Asti, entro il 12 maggio: ufficioeducatori.cc.asti@giustizia.it (specificando in oggetto: Salone del Libro) oppure 0141.293732 per Alessandria, entro il 12 maggio: educatori.cr.alessandria@giustizia.it (specificando in oggetto: Salone del Libro) oppure 0131.361781 int. 236 per Torino, entro il 12 maggio: savino.gagliardi@giustizia.it Parma: nel carcere 531 persone a fronte della capienza di 652, 63 detenuti in regime 41bis La Repubblica, 9 maggio 2015 Sono 63 i detenuti nel carcere di Parma attualmente sottoposti al regime di 41bis, il cosiddetto "carcere duro" che si applica per reati come l'associazione mafiosa oppure per crimini con finalità terroristica, e a questi si aggiungono altre 189 persone nel circuito differenziato dell'alta sicurezza. A renderlo noto la Garante regionale delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, che dopo la visita della scorsa settimana, in cui ha anche incontrato il nuovo direttore Carlo Berdini, coglie l'occasione per delineare la situazione della struttura. A fronte di una capienza tollerabile di 652 persone, nell'istituto di pena se ne trovano al momento 531: si può quindi considerare superata l'emergenza sovraffollamento, in una struttura che al 31 dicembre 2013 contava quasi 170 detenuti in esubero. Non si fermano in ogni caso, riferisce la Garante, i lavori inseriti nel Piano carceri nazionale, che prevede la costruzione di un nuovo padiglione per ulteriori 200 posti. Tra le migliorie in programma, la direzione intende anche portare avanti "la riqualificazione dell'area verde da utilizzare per i colloqui con i familiari durante il periodo estivo e la riorganizzazione dello spazio per l'accoglienza dei figli minori". Dei 370 condannati in via definitiva, 80 sono ergastolani, e anche per questo motivo, spiega Bruno, "è emerso, da parte della nuova direzione, l'intendimento di valutare l'opportunità di un incremento delle attività lavorative, con particolare riguardo a coloro che hanno lunghe pene da scontare, sfruttando gli spazi presenti della struttura penitenziaria inutilizzati, anche con l'eventuale coinvolgimento della società esterna". Solo 8 detenuti, infatti, sono al momento autorizzati a lavorare all'esterno. Secondo la Garante, "la complessità degli istituti di Parma è legata alla presenza di rilevanti criticità sanitarie": nella struttura infatti ha sede uno dei Centri diagnostici e terapeutici dove l'amministrazione penitenziaria assegna, anche con provenienza extraregionale, i detenuti per il trattamento di patologie in fase acuta o cronica in fase di scompenso. Al momento sono 28 i pazienti in carico, a cui si devono aggiungere 9 tetraplegici detenuti nella struttura. Risulta però costante la totale copertura dei posti disponibili: di conseguenza un numero eccessivo di detenuti affetti da gravi patologie, in ragione dei posti limitati a disposizione, viene collocata nelle ordinarie sezioni detentive (ambienti inidonei per una persona malata) nell'attesa, spesso lunga, che si liberi un posto. Da un lato quindi si sono verificate difficoltà a sottoporre i detenuti ad esami specialistici all'esterno, dall'altro la crescente promiscuità determinata dalla convivenza di persone sane e malate ha fatto lamentare ai detenuti coinvolti un netto peggioramento delle condizioni di vita complessive. Nonostante ciò, riporta la Garante, persiste la prassi di trasferimenti e di assegnazioni per motivi di salute, giustificati per assicurare cure più adeguate al detenuto rispetto al carcere di provenienza, ma senza che preventivamente sia valutata l'effettiva sostenibilità della presa in carico nel breve periodo. Al nuovo direttore, la Garante è tornata a segnalare le condizioni della sezione Iride, destinata anche a ospitare i detenuti in isolamento disciplinare ai quali viene applicato un regime di particolare rigore. Per tutta la durata della sanzione disciplinare i detenuti permangono in celle senza suppellettili: non sono presenti né uno scrittoio né la televisione e nemmeno una sedia, fornita solo al momento dei pasti, e anche l'armadietto con gli indumenti è posizionato nel corridoio all'esterno della cella, con il detenuto che, se vuole cambiarsi, ha bisogno quindi di chiedere all'operatore penitenziario. Inoltre, manca una porta che separi la camera di pernottamento dal bagno con la turca. Resta ricoverato nel reparto detenuti dell'ospedale di Parma il boss Totò Riina. L'anziano capomafia è stato trasferito nel nosocomio per problemi renali. Le sue condizioni sarebbero stazionarie. Il padrino di Corleone, ieri, aveva fatto avere alla corte d'assise di Palermo, che lo giudica nel processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, la documentazione sanitaria e la rinuncia a partecipare all'udienza in videoconferenza dal carcere. Arrestato nel 1993, Riina è al 41 bis. Lamezia Terme: Lo Moro (Pd) chiede chiarezza sul decreto per la chiusura del carcere www.giornaledicalabria.it, 9 maggio 2015 "Apprendo dai giornali che è stata disposta la soppressione del carcere di Lamezia Terme. Apprendo anche che il decreto ministeriale che se ne occupa contiene una serie di inesattezze, facendo riferimento a pareri positivi che non sono stati mai espressi. Credo che tutto ciò sia intollerabile e non avendo ottenuto chiarimenti per le vie brevi li pretenderò mediante un'interrogazione parlamentare". Lo afferma in una nota la senatrice Pd Doris Lo Moro, già sindaco di Lamezia Terme. "Non ho mai nascosto - spiega Lo Moro - i seri rischi di chiusura della struttura, essendomi occupata della situazione carceraria e dei requisiti delle strutture penitenziarie da componente di una apposita commissione d'inchiesta. Intervengo per associarmi a quanti ritengono inaccettabile che ci si occupi di Lamezia, sia pure con riferimento ad una struttura penitenziaria, con approssimazione e superficialità. Leggo anche - aggiunge la senatrice Pd - che il "Comitato riapriamo il carcere a Lamezia" mi ritiene la principale responsabile della chiusura del carcere. Ebbene tutto ciò è falso e intollerabile. Non voglio trasformarmi in un politico dalle facili promesse per piacere al Comitato. Questa volta non succederà come per l'azienda sanitaria che è stata soppressa notoriamente contro la mia volontà. Capisco che il fatto che all'epoca fossi assessore regionale alla sanità consente a chi su quella vicenda, che ha segnato la fine del mio impegno nella politica regionale, continua a speculare di indicarmi come la responsabile di atti che non ho mai avallato ma il caso carcere è tutt'altra cosa e non è utilizzabile per speculazioni inconsistenti e superficiali come il decreto di cui ci si lamenta", conclude Lo Moro. Sappe: chiusura è blitz provveditore "La notizia della definitiva chiusura del carcere di Lamezia Terme sembra togliere ogni speranza, ai colleghi della polizia penitenziaria di poter tornare a svolgere la propria attività lavorativa in quella struttura, dove per tanti anni hanno profuso impegno, dedizione e sacrifici". Lo affermano, in una nota congiunta, Giovanni Battista Durante e Damiano Bellucci, rispettivamente, segretario generale aggiunto e segretario regionale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe). "Sembrano ormai lontani - aggiungono - i tempi in cui denunciavamo che quello di Lamezia era il carcere più sovraffollato d'Italia quando, a seguito di quelle denunce, nessuno si preoccupava di assumere provvedimenti e correttivi adeguati. Ci ha pensato, invece, nella maniera più errata che si potesse fare, l'attuale provveditore regionale dell'Amministrazione penitenziaria, le cui iniziative, forse perché divideva il proprio tempo lavorativo tra la Calabria e la Basilicata, spesso passavano inosservate. Infatti, l'attuale provveditore regionale, in missione a Catanzaro, perché la sua sede è a Potenza, ha prima svuotato il carcere di Lamezia, sollecitando provvedimento deflattivi, per poi chiuderlo con un vero e proprio blitz, senza avvisare nessuno. La chiusura del carcere di Lamezia costituisce un'operazione scellerata, considerato anche che il ministro di allora aveva deciso di salvare il tribunale. La chiusura del carcere di Lamezia costituisce la punta dell'iceberg del fallimento gestionale in Calabria, dove l'amministrazione regionale ha accumulato una serie di inefficienze da fare paura, a cominciare dalle circa diecimila giornate di congedo arretrato accumulate negli anni nel carcere di Palmi e mai smaltite. Nessuna iniziativa concreta è stata messa in atto dal vertice regionale, nonostante i tanti solleciti fatti dal Sappe". "Tutto questo ci induce solo a sperare - concludono Durante e Bellucci - che il nuovo capo del Dipartimento proceda al più presto a revocare l'incarico di missione in Calabria all'attuale provveditore, inviando in regione, in pianta stabile, un dirigente generale che voglia e sappia farsi carico dei tanti problemi che ci sono". Perugia: la direttrice "cambiato il modello di detenzione, da segregazione a rieducazione" www.umbria24.it, 9 maggio 2015 Il direttore Bernardina Di Mario: "Abbiamo cambiato il modello di detenzione: da segregazione a rieducazione". All'istituto penitenziario di Capanne di Perugia, mancano 64 agenti. Lo ha detto il vicecomandante della polizia penitenziaria nel corso del suo intervento alla celebrazione del 198 anniversario della fondazione della polizia penitenziaria. Il commissario Andrea Tosoni, ha quindi spiegato nelle specifico le assenze rispetto alla pianta organica che prevede 297 agenti. È stato invece il direttore del carcere Bernardina Di Mario, a spiegare che "è diminuito, rispetto agli anni precedenti, il numero di detenuti, ora 315 mentre nel 2013 erano 560 (439 nel 2014)". "La popolazione detenuta in questo istituto - ha spiegato Di Mario - è progressivamente diminuita per effetto degli interventi normativi. Gli stessi hanno determinato anche una radicale trasformazione: su 315 detenuti 211 sono condannati con sentenza definitiva". Durante la celebrazione, il comandante Andrea Tosoni ha anche illustrato alcuni dati dell'attività operativa svolta lo scorso anno a Perugia con 43 denunce, 199 notifiche delegate dall'autorità giudiziaria, 41 verbali di sommarie informazioni. Otto i sequestri di droga fatti, 12 le perquisizioni straordinarie (un terzo con le unità cinofile). Controllate quasi otto mila celle e 12.480 i detenuti perquisiti tra la sezione maschile e femminile. La polizia penitenziaria è stata inoltre impegnata in 1.181 traduzioni di detenuti (sei in aereo) e 28 piantonamenti. Il vicecomandante ha parlato inoltre della "necessità di allestire un reparto detentivo protetto" all'ospedale Santa Maria della Misericordia, che "consenta di coniugare le istanze di sicurezza provenienti dall' amministrazione penitenziaria e dai cittadini (degenti, visitatori e dipendenti dell'ospedale), i quali spesso si trovano a dover assistere a situazioni di criticità causate dai pazienti-detenuti". È stato invece il direttore del carcere di Perugia Bernardina Di Mario a spiegare che l'istituto penitenziario di Capanne "ha raccolto le sfide del cambiamento per superare un modello di detenzione sostanzialmente caratterizzata da passività e segregazione, in favore di nuovi percorsi di rieducazione e reinserimento sociale". Nello specifico la direttrice Di Mario ha spiegato che "la cella è il luogo del pernottamento" i perché durante il giorno sono impegnati in progetti di recupero. "La recente cena Golose evasioni - ha aggiunto Di Mario - è la prova di integrazione e coesione nel tessuto cittadino". "Determinante - ha sottolineato la Di Mario - l'intervento della magistratura di sorveglianza che ha sempre ampiamente condiviso e sostenuto i tanti progetti che hanno portato ad una diminuzione nelle richieste di farmaci ansiolitici da parte di detenuti, riduzione dei fenomeni di autolesionismo, aggressioni e scioperi della fame". "Il personale di questo istituto - ha evidenziato infine la Di Mario - ha dimostrato concretamente di essere consapevole che il cambiamento poteva passare solo attraverso le loro azioni, comportamenti, professionalità e umanità, ancor prima dell'intervenuta sentenza della Corte europea". Trento: i "sex offender" in arrivo sono 70, che si aggiungeranno agli altri 210 detenuti di Ubaldo Cordellini Il Trentino, 9 maggio 2015 Nel carcere di Spini di Gardolo sono ora reclusi i primi tre ospiti del reparto destinato ai cosiddetti sex offender, ovvero detenuti condannati con pena definitiva per reati come violenza sessuale, atti sessuali su minorenni e pedopornografia. Nei giorni scorsi, il provveditorato alle carceri per il nordest, che ha sede a Padova, ha deciso di istituire a Trento un reparto per i sex offender perché gli altri reparti dello stesso tipo in Veneto stanno letteralmente scoppiando. Così già da qualche giorno a Spini di Gardolo è stato liberato un primo braccio destinato a questi detenuti e un secondo sarà liberato entro poco tempo. Nel giro di un mese, i due bracci saranno occupati da circa 70 detenuti che hanno riportato condanne per reati di natura sessuale. I nuovi ospiti si andranno ad aggiungere ai 210 detenuti, 200 uomini e 10 donne, che attualmente vivono dietro le sbarre. Così, in totale, la popolazione carceraria di Spini potrebbe raggiungere molto presto le 280 unità. Ovvero potrebbe sfondare il tetto dei 250 detenuti che era stato fissato dall'accordo di programma tra la Provincia e il Ministero di Grazia e Giustizia. Secondo questo accordo, la Provincia si impegnava a costruire a sue spese un carcere nuovo e in grado di rispettare la dignità dei detenuti. Nel vecchio carcere di via Pilati la capienza teorica era di 90 detenuti, ma la popolazione carceraria era stabilmente intorno alle 140 unità. Il nuovo carcere era partito con una popolazione carceraria inferiore alle 200 unità, ma poi questo tetto venne superato molto presto. Dal Ministero ipotizzarono di poter arrivare a 400 detenuti e la giunta provinciale guidata da Lorenzo Dellai dovette ricordare con forza l'accordo con il tetto a 250. Da allora la popolazione carceraria è stata sempre intorno alle 200 unità. Adesso, però, con il nuovo reparto destinato ai sex offender si rischia di sfondare il tetto. Non solo, il rischio di un peggioramento delle condizioni di vita all'interno del carcere sono concrete. Il reparto per i detenuti per reati di natura sessuale necessita di un'organizzazione particolare. Questi detenuti devono essere separati dagli altri per evitare atti di violenza o vendette. Per questo il livello di attenzione deve essere maggiorato. Da due giorni sono arrivati i primi tre detenuti per reati sessuali. Sono moldavi provenienti dal carcere di Verona e condannati per violenza sessuale e pedofilia. Ben presto saranno raggiunti da molti altri detenuti per gli stessi reati. Il contingente di 70 sex offender potrebbe essere raggiunto entro l'estate. Sono tutti provenienti da carceri del nordest. Ma questa non è l'unica novità per la vita del carcere. Il terreno intorno alle strutture carcerarie e all'interno delle mura perimetrali sarà trasformato in orti coltivati dai detenuti. Gli orti in questi giorni sono già stati dissodati e ben presto saranno coltivati dai detenuti che saranno assunti da una delle cooperative che operano all'interno del carcere. I prodotti degli orti saranno poi venduti all'esterno. I detenuti che parteciperanno al progetto potranno coltivare gli orti e passare molte ore all'aperto. Questo non è che l'ultimo esperimento di natura lavorativa a Spini. C'è già una lavanderia gestita da una delle cooperative che lavora sia per lo stesso carcere che per clienti esterni e ci lavorano sei detenuti. C'è anche un progetto di assemblaggio che coinvolge 40 detenuti. Benevento: il carcere di Capodimonte si "svuota", in un anno calo di cento detenuti di Enrico Marra Il Mattino, 9 maggio 2015 I dati snocciolati durante la festa del Corpo della Polizia penitenziaria: in 12 mesi 170 ingressi e 270 scarcerazioni. "È un lavoro silente, difficile, sotto traccia che viene alla ribalta solo nel momento delle negatività". Così il commissario capo della polizia penitenziaria, Mario Tarantino, ha sintetizzato l'impegno professionale in occasione della annuale celebrazione della fondazione del Corpo che ha visto un cerimonia presso l'istituto di contrada Capodimonte. "Un'occasione questa cerimonia - aggiunge la direttrice dell'istituto di pena Maria Luisa Palma - per ribadire la compattezza della rete istituzionale che esiste nel Sannio, testimoniata dalla presenza oggi dei vertici dei vari enti e delle forze dell'ordine. Una festa per dare testimonianza a chi opera nel carcere che rappresenta un problema della società. E chi opera in questo settore ha il diritto di pretendere un grazie dalla collettività". Ma al di là degli attestati di riconoscenza e gratitudine verso gli operatori penitenziari contenuti nei messaggi letti dalla funzionaria Marianna Danti, ci sono anche delle anticipazioni come quelle espresse, in un nota, dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, che ha fatto riferimento a provvedimenti legislativi, la cui discussione in Parlamento è calendarizzata per giugno, finalizzati ad accogliere alcune istanze della polizia penitenziaria. La celebrazione è stata anche un'occasione per fare con dati resi noti dall'istituto di pena, una sintesi dell'attività svolta in un anno. Il carcere beneventano può ospitarne 450, di cui 200 per reati comuni e 250 per reati particolarmente gravi. Attualmente a contrada Capodimonte ne sono ospitati 415, di cui 23 nella sezione femminile, in sintesi un quasi tutto esaurito. Alla loro vigilanza sono preposti 300 addetti della polizia penitenziaria. Nel corso dell'anno si sono svolte procedure per 170 ingressi di detenuti e 270 scarcerazioni. Si sono gestiti dodicimila colloqui tra detenuti e familiari e legali. Si è poi data attuazione a venti decreti di intercettazioni disposti dalla magistratura e denunciati 46 detenuti per reati commessi all'interno dell'istituto di pena. Le traduzioni di detenuti sono state 872 attuate dallo speciale Nucleo. A contrada Capodiomonte si può contare su un groppo cinofilo molto attivo e impegnato su più fronti tanto che ha svolto nell'ambito dei vari istituti di pena dell'intera regione 166 operazioni antidroga. C'è anche una struttura scolastica che ha visto nei vari corsi impegnati 165 allievi. Ma non sono mancati anche momenti drammatici e di tensione. Tra questi venti episodi di gesti autolesionistici da parte di detenuti. Alla cerimonia di ieri svoltasi nella palestra del carcere sono intervenuti il prefetto Paola Galeone e tutti i vertici delle forze dell'ordine. C'è anche da ricordare, in particolare, che le organizzazioni sindacali Cigl, Uil, Sinappe e Ugl nei mesi scorsi hanno più volte denunciato "le condizioni in cui sono costretti a svolgere il proprio dovere i poliziotti penitenziari che chiedono a gran voce interventi risolutivi e strumenti adeguati per garantire la propria incolumità all'interno della casa circondariale che troppo spesso viene tenuta nella scarsa considerazione dai vertici dell'amministrazione". Roma: ex dirigente Dap sotto inchiesta per danno erariale, 2 mln € in appalto "fantasma" di Giulio De Santis Corriere della Sera, 9 maggio 2015 Fernando Mulas firmò nel 2000 un contratto per nuovo sistema informatico costato 2 milioni di euro ma mai realizzato. Un progetto fantasma dal costo salato. Due milioni di euro è la cifra finanziata nel 2000 per la realizzazione di un sistema informatico presso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap). Ma, nonostante i quindici anni di attesa, i frutti della spesa non sono mai sbocciati perché dell'opera si sono perse le tracce. Ora, secondo la procura della Corte dei Conti, il responsabile dell'assenza di risultati è l'ex direttore dell'ufficio Sia del ministero di Giustizia, Fernando Mulas, indagato con l'accusa di danno erariale. Qualora dovesse essere condannato, il funzionario dovrà pagare due milioni di euro, che è l'equivalente della somma stanziata per la realizzazione del programma. È l'inizio del 2000 quando viene decisa l'informatizzazione nel settore del Dap che cura l'esecuzione penale esterna. Il progetto prevede l'automatizzazione del Centro servizi sociali per adulti. L'appalto per la realizzazione del programma viene affidato alla società Finsiel con la stipula di una contratto siglato nel dicembre del 2000. Tre anni dopo viene visionato il primo prototipo, ritenuto tuttavia inadeguato e incompleto dalla commissione esaminatrice. L'anno successo il modello viene modificato ma il risultato rimane lo stesso: bocciatura. Da allora non è mai stato effettuato nessun collaudo e l'evoluzione del progetto è un mistero. Secondo i pm della corte dei conti, Mulas, il firmatario del contratto e pertanto responsabile del procedimento, sarebbe colpevole di aver gestito in modo inadeguato l'iter della realizzazione dell'opera. In particolare, non avrebbe considerato con la dovuta attenzione le perplessità manifestate dagli organi di controllo del Dap sull'evoluzione dei lavori. Tra le colpe individuate dalla procura, c'è anche la decisione di Mulas di nominarsi presidente della commissione che avrebbe dovuto svolgere il collaudo definitivo, ponendosi cosi in conflitto d'interesse. Va sottolineato che il collaudo non è mai stato effettuato perché il progetto sarebbe stato riposto in un cassetto da diverso tempo. Napoli: appello dei Radicali, detenuto 40enne a Poggioreale in gravi condizioni di salute Ansa, 9 maggio 2015 "Domani mattina io e Gennaro Mucciolo andremo a Poggioreale a parlare con il direttore del carcere per sensibilizzarlo sulla vicenda di Giuseppe Denise, detenuto al Padiglione S.Paolo di Poggioreale. Le sue condizioni di salute sono gravi e preoccupanti". A dirlo Donato Salzano, segretario Radicali Salerno. "Il giovane - rimarca Salzano - è un detenuto di circa 40 anni con problemi al fegato, cirrosi, epatiti ed è anche sieropositivo. Il suo avvocato da tempo si batte per lui. Per un anno è stato ai domiciliari e poi è stato trasferito al carcere di Fuorni prima di arrivare a Poggioreale. Non può, però, rimanere lì per il suo quadro clinico preoccupante. Speriamo che il direttore sia sensibile e accolga la nostra richiesta. Il suo avvocato da tempo chiede che venga trasferito con ricovero d'urgenza al Cutugno. Il giovane, originario di Siano, ha una condanna definitiva a sette anni. Non so i motivi che lo hanno condotto in carcere ma a noi non interessa. Noi abbiamo a cuore solo l'essere umano in quanto tale. In queste ore - aggiunge Salzano - Marco Pannella ha smesso di mangiare e bere proprio per impedire i trattamenti inumani e degradanti nelle carceri". Domani, alle ore 12,00 in via Raffaele Conforti n. 17, a Salerno al Castle Rock Broker, si terrà una Conferenza Stampa per discutere del suo caso. Torino: l'avvocato denuncia "sospetta scabbia in carcere per tre giovani No Tav" Agi, 9 maggio 2015 "Sospetta scabbia" in carcere per Francesco Sala, Lucio Alberti e Francesco Mazzarelli, i tre giovani "No Tav" a processo a Torino per l'azione al cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013. Lo denuncia il loro legale, l'avvocato Eugenio Losco. "Sono andato a trovarli ieri nel carcere di Torino - racconta - ma all'Ufficio Colloqui mi hanno detto che non potevo vederli perché presumibilmente hanno la scabbia, che è contagiosa. Sono in attesa di avere risposte su come l'hanno presa e da quando ne sono affetti". I tre sono detenuti nel carcere Lo Russo Cotugno di Torino dalla metà di aprile, quando vi furono trasferiti dall'istituto penitenziario di Ferrara, pochi giorni prima che cominciasse il processo col rito abbreviato in cui sono imputati. Davanti al Tribunale del Riesame, era caduta per loro l'accusa di avere agito con finalità di terrorismo, ma, spiega Losco, "continuano a restare in regime di alta sorveglianza e, fino a pochi giorni fa, dormivano su una branda senza materasso". A processo devono difendersi dalle accuse di danneggiamento, resistenza a pubblico ufficiale e porto d'armi da guerra (molotov). Parma: "La cura di sé" ed "Essere genitori in carcere" due opuscoli realizzati dai detenuti www.parmadaily.it, 9 maggio 2015 È il risultato del lavoro fatto dai detenuti per i detenuti quello presentato oggi. Si tratta di due opuscoli realizzati per dare le principali informazioni su due argomenti importanti per chi vive l'esperienza della detenzione: come prendersi cura della propria salute e come essere genitore, nonostante la difficile condizione di vita. Il lavoro è durato più di tre anni, organizzato sia in diversi gruppi sia a livello individuale: è stata un'attività intensa, emozionante, a volte difficile, ma mai banale, per la quale è stata fondamentale la disponibilità di diversi detenuti (oltre 100 quelli coinvolti) di volersi raccontare, nonostante le differenze culturali e religiose (i partecipanti provengono da Paesi diversi) e confrontare, su argomenti spesso delicati e difficili. Ognuno ha messo a disposizione la propria esperienza, il proprio vissuto in carcere, con le paure e le difficoltà che questo comporta. Con l'aiuto degli operatori dell'Ausl, (10 professionisti, di cui 6 mediatori culturali provenienti da diversi Paesi), hanno saputo andare oltre i pregiudizi e gli stereotipi, anche personali, hanno riscoperto anche le proprie risorse, per guardare avanti. Indispensabile, ovviamente, la collaborazione del personale dell'Amministrazione Penitenziaria, che ha creduto in queste attività ed ha contribuito alla loro realizzazione. Da tutto questo hanno preso forma i due opuscoli, sintesi del percorso fatto. Stampati in 3.300 copie complessive e tradotti in 5 lingue (rumeno, albanese, inglese, francese e arabo), da oggi gli opuscoli sono a disposizione dei detenuti e rappresentano un pratico strumento che può aiutare a trascorrere il tempo della detenzione, guardando avanti, oltre le sbarre, per iniziare a ricostruire il proprio futuro. I due opuscoli sono parte del più ampio progetto "La promozione del benessere psicofisico negli Istituti Penitenziari di Parma" realizzato dall'Ausl con l'Amministrazione Penitenziaria e grazie al contributo di Fondazione Cariparma. Un progetto che vuole intervenire per orientare ad una migliore gestione delle condizioni generali di vita di coloro che vivono l'esperienza della detenzione. L'obiettivo è quindi di far acquisire consapevolezza e responsabilità alla popolazione detenuta (circa 1.100 persone all'anno) nella promozione della salute e favorire condizioni di benessere, riducendo quindi il disagio psico-fisico, episodi di autolesionismo e il rischio suicidario. La salute "dentro": prenditi cura di te - consigli e testimonianze per una vita sana "Mantenersi in salute vuol dire guardare al futuro e non ancorarsi al passato, ma senza dimenticarlo". Questa frase, riportata all'inizio dell'opuscolo, sintetizza molto bene il senso del lavoro fatto. Antonio, Roberto, Cristian, Giuseppe, Iliya, Bogdan, Maher, Maurizio, Balig, William, Angelo, Luca, Alberto, Aleksander, Albi, Maghdi, Francesco illustrano come ci si può sentire durante la detenzione, quali sono i bisogni, le paure…Il loro racconto è intervallato dai consigli dei professionisti dell'Ausl che spiegano alcune semplici regole sull'igiene personale, ambientale ed alimentare, sull'importanza di mantenere la mente occupata ed in salute, sulla corretta assunzione di farmaci. Da non dimenticare, poi, che in carcere occorre stare, in modo forzato, con sconosciuti in spazi limitati. Ecco allora che una parte della guida è dedicata alla convivenza, a come gestire le relazioni ed eventuali atteggiamenti aggressivi. Nell'ultima parte della guida, infine, si è scelto di lanciare un messaggio positivo e di speranza: guardare avanti, oltre le sbarre, si può. In tal senso, alcune persone hanno lavorato su di sé con la psicologa e raccontano il risultato del percorso fatto. Il genitore detenuto non è per questo un cattivo genitore ed è il genitore con cui il figlio dovrà fare i conti per crescere Essere padre e detenuto richiede di affrontare diverse questioni: come superare il timore di trasmettere un'immagine negativa di sé e comunicare ai propri figli la condizione di carcerato, come mantenere stabili e regolari colloqui con i figli e la famiglia, come gestire il rapporto quando arriva il fine pena. Giuseppe, Mario e Ahmed, nella guida, raccontano la propria esperienza, mediata dagli operatori dell'Ausl che diventa così un utile riferimento per chi legge. Le difficoltà del padre recluso sono ancora più complesse nel caso in cui sia anche straniero e debba quindi confrontarsi con il fatto che i figli crescano in un ambiente socio-culturale differente dal suo. Una difficoltà questa che diventa anche conflitto se i due genitori non appartengono alla stessa cultura. Anche questo opuscolo si chiude con un messaggio positivo: si può essere buoni genitori anche dal carcere. La testimonianza di chi si è raccontato conferma come i padri detenuti continuino ad avere un ruolo fondamentale all'interno del rapporto genitoriale. Firenze: all'interno di Sollicciano arriva Vivicittà, iniziativa ludico-sportiva dell'Uisp www.gonews.it, 9 maggio 2015 Sabato 9 maggio Uisp Firenze, in collaborazione con il G.S. Le Torri, porta Vivicittà all'interno della struttura penitenziaria fiorentina: un momento ludico sportivo per la popolazione residente nel carcere di Sollicciano, un impegno per svolgere attività fisica e ricreativa. La ricerca del traguardo attraverso la fatica, l'impegno e la riscoperta della lealtà della competizione sono valori che possono guidare il percorso dei detenuti verso i valori più sani della società e anche verso un possibile reinserimento sociale (associazionismo quale valido riferimento un volta fuori). Il progetto, denominato Sport in Libertà, si colloca nei piani d'azione del comune di Firenze e prevede interventi di attività sportiva più o meno intensa, singola o di gruppo, come momenti formativi ed educativi. Con questa manifestazione Uisp si pone questi obiettivi: realizzare un'attività sportiva socializzante volta all'integrazione di un segmento della vita carceraria con il mondo esterno; rafforzare le abilità di base, l'autonomia e l'autostima dei detenuti; mettere in contatto l'ambiente esterno con la realtà carceraria favorendo il superamento della reciproca diffidenza e la creazione di un rapporto solidale tra società e detenuti. La partenza della gara avverrà alle 9. Il percorso prevede due giri della struttura. Gli iscritti alla gara sono 100 uomini e 80 donne. Sarà presente l'assessore allo sport del Comune di Firenze, parteciperanno anche il presidente del Q4 e la presidente della commissione sport Q4. Per il Presidente del Consiglio di Quartiere 4 l'iniziativa riveste un alto valore sociale e culturale e dopo il concerto per e con i detenuti della Notte Bianca e gli Aperitivi Galeotti, dopo la mozione del Consiglio di Quartiere sull'impiego dei detenuti "Messi alla prova" per lavori del Comune, l'amministrazione deve continuare a sostenere tutte le iniziative che fanno capire quanto Sollicciano e i suoi abitanti, comunque persone con i loro diritti, siano un pezzo importante del quartiere e della città di Firenze. Turi: carcere come "laboratorio culturale" per favorire l'inclusione sociale dei detenuti? www.pugliain.net, 9 maggio 2015 Piero Rossi, il Garante dei detenuti della Regione Puglia, racconta delle possibilità lavorative e culturali ancora inesplorate del carcere di Turi, passato alla storia per aver ospitato, fra gli altri, Antonio Gramsci e Sandro Pertini. Opache, non filtrano e non restituiscono luce. Le carceri appaiono ai nostri occhi come universi a sé stanti, strutture imponenti - per spazi e numero di ospiti - ma invisibili all'occhio della gente. Quando le persone ripudiano la presenza dei penitenziari all'interno del perimetro cittadino, cancellano in un sol colpo l'edificio e i suoi residenti - carcerieri e carcerati - ed emettono una silente ma ferma condanna a morte sociale nei confronti di chi, per errore o per recidività, viene punito con la reclusione. Avviene in Italia, nonostante la pietas cristiana suggerisca perdono e misericordia verso chi ha smarrito la retta via e, soprattutto, nonostante il terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione reciti quanto segue: Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. La rieducazione del condannato passa anche per i rapporti sociali e lavorativi nel mondo esterno, banchi di prova incontrovertibili del cammino formativo intrapreso all'interno delle carceri dal detenuto. Lavorare affinché i due mondi abbiano maggiori possibilità di contatto trasformerebbe in risorsa ciò che oggi è nell'ipocrita oblio di tutti. Processo di integrazione ancor più possibile in strutture dalle dimensioni contenute, dal valore storico ed architettonico come il Carcere di Turi. Le celle del penitenziario del Sud Est barese raccontano le repressioni politiche subite da alcuni degli italiani più influenti del XX secolo, tra cui spiccano Antonio Gramsci - che proprio a Turi ha redatto i famosi quaderni dal carcere - e Sandro Pertini - ancora oggi il Presidente della Repubblica più amato e rimpianto. Una struttura che, nell'ipotesi tracciata da Piero Rossi - garante della popolazione carceraria della Regione Puglia - potrebbe in futuro ospitare un laboratorio urbano. "Stiamo lavorando per dedicare un'area del carcere di Turi a spazi culturali e spettacolari, aperti all'esterno, salvaguardandone ovviamente le esigenze di sicurezza in senso lato. Dal consiglio regionale uscente ho riscontrato ampia disponibilità per questo progetto - prosegue il garante - e non ho alcun motivo per ritenere che anche la prossima assemblea non abbia la stessa sensibilità". Un progetto di inclusione sociale che prende spunto dal passato del complesso penitenziario. "I padri non sbagliano mai - sentenzia Rossi - All'interno del carcere, nei locali ora destinati all'ufficio matricole, un tempo c'era il cinema. Ci dev'essere un motivo se la gente veniva in carcere a guardarsi un film". Un'opportunità che, secondo il garante, potrebbe "creare posti di lavoro per i detenuti e, più in generale, per tutti i giovani dentro e fuori". Dall'animazione culturale ai servizi ristorativi, sino a guide specializzate nell'accompagnare i visitatori nella cella di Gramsci, raccontare la difficile prigionia del pensatore italiano ed il lento incedere del tempo nel periodo di soggiorno forzato. "Per i detenuti che rappresento - specifica Rossi - si tratterebbe di ulteriori opportunità di riscatto, accanto ai lavori socialmente utili ed al supporto delle cooperative". C'è un pellegrinaggio silenzioso che ancora oggi giunge a Turi per visitare i luoghi della reclusione di Gramsci e Pertini. La prima edizione del festival dedicato ad Antonio Gramsci - organizzato dal comune di Turi gli scorsi 24, 25 e 26 aprile - ha lanciato un segnale. Per la piccola cittadina della conca barese, immersa nei ciliegeti, si tratterebbe di un'inaspettata fonte di incoming turistico. Piero Rossi ci scherza su, forse non troppo. "Sogno un merchandising in cui la gente si possa comprare la maglietta di Gramsci come si può comprare la maglietta di Che Guevara". Lanciano (Ch): ecco "L'Arcobaleno", il giornale dei detenuti realizzato con la scuola Il Centro, 9 maggio 2015 Undici pagine di pensieri ed emozioni per andare oltre le sbarre del carcere. Si chiama "L'arcobaleno" ed è la testata giornalistica dell'istituto penitenziario di Villa Stanazzo, a Lanciano. Il progetto è nato in collaborazione con l'istituto comprensivo Umberto I, che da anni realizza il giornalino d'istituto "Il mondo in una scuola". Per alcuni mesi, ogni 15 giorni, undici detenuti della casa circondariale di Villa Stanazzo hanno partecipato agli incontri in istituto con la professoressa Rosalinda Madonna, allo scopo di cimentarsi nella realizzazione del primo numero del giornale, presentato ieri nell'aula magna della scuola media di viale Cappuccini alla presenza della dirigente scolastica, Anna Maria Sirolli, del vicesindaco Pino Valente e dell'assessore all'istruzione Marcello D'Ovidio. I detenuti sono riusciti a costruire una compatta redazione, suddividendosi compiti, ruoli - il giornale ha anche un direttore - e sezioni della testata giornalistica, arricchita anche da vignette realizzate dal disegnatore del gruppo. Il giornale è stato stampato grazie al contributo del Rotary Club di Lanciano. Il progetto, voluto dalla direzione del carcere, ha consentito ai detenuti di rafforzare le loro competenze linguistiche, informatiche e relazionali, in una prospettiva socio-riabilitativa. "È un giornale che vuole raccontare la vita dentro il carcere attraverso le parole che aiutano ad "evadere", spiega la professoressa Madonna, "ma è anche un'occasione per creare un ponte con la società libera e presentare i detenuti semplicemente come persone". E ieri mattina i detenuti hanno incontrato i "colleghi giornalisti" della redazione scolastica della media Umberto I, che partecipa al giornale del carcere con lettere e riflessioni. Catanzaro: "quando un libro rende liberi", lo sguardo dei detenuti al Progetto Gutenberg www.zoomsud.it, 9 maggio 2015 Se un libro rende liberi, come ha giustamente osservato la dirigente del Liceo Classico Galluppi, Elena De Filippis, durante la presentazione del Progetto Gutenberg, non c'è posto migliore per sperimentarlo del carcere. Liberi almeno di pensare con la propria testa, questo è sempre stato l'obiettivo educativo di chi svolge tra quelle mura il difficile ruolo di insegnante. Ad accrescere questa nutrita edizione, dal suggestivo titolo "Sguardi", si aggiunge quest'anno una nuova scuola, forse sconosciuta ai più, ma ormai consolidata negli anni: la Scuola Secondaria di I grado del Ctp (Centro Territoriale Permanente per l'Istruzione degli Adulti - Istituto Comprensivo "V. Vivaldi"), con i corsi attivi all'interno della Casa Circondariale di Siano, finalizzati al conseguimento del titolo di studio conclusivo del I ciclo di istruzione. Il progetto è stato rivolto ai detenuti del circuito di Alta Sicurezza, iscritti ai corsi scolastici, che hanno aderito con entusiasmo, orgogliosi di partecipare ad un'iniziativa che ne accoglie senza pregiudizi lo sguardo, accomunandoli a tutti gli altri studenti della regione. Nonostante la bassa scolarizzazione di partenza, ci sono tanti detenuti che amano leggere, partecipano ad iniziative culturali, corsi professionali e progetti scolastici, e ciò perché, alla base di tutto, frequentano una scuola che ha dato loro non solo le basi, ma anche i giusti stimoli per sviluppare interessi sempre nuovi. Referenti del progetto, la prof.ssa Roberta Giuditta, docente di Lettere della Scuola di I grado, e la prof.ssa Francesca Tedesco, insegnante della Scuola primaria e responsabile del Ctp. Tra i tanti titoli proposti dal progetto di quest'anno, la scelta è ricaduta sulla narrativa ed in particolare su testi d'attualità, di interesse interdisciplinare, facilmente collegabili con i percorsi didattici seguiti nel corso dell'anno. Ad interessare maggiormente gli studenti è stato il volume di Giuseppe Catozzella, "Non dirmi che hai paura", un testo tragicamente attuale che racconta le vicende di Samia, una ragazzina somala con la passione per la corsa, la cui storia finirà nel Mediterraneo, a pochi metri dalla salvezza. Domani pomeriggio, sabato 9 maggio, alle ore 16.30, presso l'auditorium dell'Itis Scalfaro di Catanzaro, si svolgerà un momento di confronto sui temi del libro arricchito dalle letture di Daniela Vitale. Questa lettura ha avuto un effetto davvero dirompente, provocando un misto di rabbia, impotenza e autentica commozione, frutto della partecipazione umana ad una vicenda purtroppo reale. I lettori, tutti meridionali (provenienti da Sicilia, Campania, Calabria, Puglia), cresciuti in realtà spesso marginali o che hanno conosciuto una forte emigrazione, e dove tuttora i giovani vivono senza prospettive per il futuro, hanno rivolto il loro sguardo su un'umanità ancor più dolente e sconosciuta. Quella che finora è stata solo una notizia del telegiornale, improvvisamente è stata vista sotto una luce diversa. Hanno voluto rileggere la storia del colonialismo in Africa, il ruolo dell'Italia in Somalia e in Libia, hanno approfondito le conoscenze sui paesi da cui proviene la maggior parte dei migranti, hanno consultato atlanti e libri di geografia per ripercorrere idealmente quegli stessi itinerari, attraverso i deserti fino alle porte della ricca Europa, separata da un breve tratto di mare che rappresenta la salvezza e dove invece molti di loro trovano la morte. Due di loro hanno voluto scrivere una recensione del libro, da condividere con tutti gli altri studenti e con l'intero pubblico del Gutenberg, un commento a cui affidare le loro riflessioni, le loro emozioni, le tante domande senza risposta, e soprattutto lo sdegno verso chi lucra sulla sofferenza. Torino: un agente travolto da tavole di legno in carcere, protesta del sindacato Osapp La Repubblica, 9 maggio 2015 L'assistente di polizia penitenziaria stava aiutando alcuni detenuti a scaricare un camion: contusioni e microfrattura del bacino. Il segretario Beneduci: perché impiegato in operazioni di facchinaggio? Un assistente capo di polizia penitenziaria è stato travolto ieri sera, nel carcere delle Vallette, da alcune tavole di legno che stava scaricando da un camion assieme ad alcuni detenuti, subendo contusioni in varie parti del corpo e una microfrattura del bacino. Un episodio che ha provocato la protesta del sindacato autonomo Osapp, il cui segretario generale Leo Beneduci denuncia l'utilizzo improprio di personale di polizia penitenziaria in "operazioni di facchinaggio di materiali pesanti", dichiarando anche: "Oggi nel carcere torinese si celebra il 198° anniversario della fondazione della polizia penitenziaria ma, per quanto ci riguarda, non riteniamo che in tale sede ci sia molto da festeggiare". L'episodio è accaduto intorno alle 19.15 ("un orario almeno insolito per simili operazioni", commenta Beneduci), quando un gruppo di reclusi e di agenti carcerari stava scaricando da un autocarro materiale donato all'istituto penitenziario dal San Paolo. All'improvviso alcuni pannelli di legno sono scivolati cadendo sull'assistente capo che aiutava i detenuti. Il sottufficiale, semisepolto dalle tavole, è stato soccorso dal 118 e ricoverato all'ospedale Maria Vittoria. Sull'accaduto, informa l'Osapp, dovrebbe essere stata aperta un'inchiesta "per accertare se siano stati adottati tutti gli accorgimenti previsti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro"; il sindacato sottolinea peraltro che "in questo caso quanto accaduto non riguarda i cosiddetti rischi professionali della polizia penitenziaria". Libri: "Il colore delle toghe", di Giammario Frattolillo recensione di Domenico Letizia L'Opinione, 9 maggio 2015 Possiamo senza alcun problema stabilire che tra le problematiche italiane, che da decenni caratterizzano il nostro paese, quella della mala-giustizia e della non riforma delle sue strutture resti "il problema" cardine che non si vuole o non si riesce ad affrontare. Molti sono i casi di malagiustizia conosciuti a partire dalla vicende che hanno caratterizzato la vita e le attività del noto presentatore televisivo Enzo Tortora. Storicamente potremmo interrogarci sul valore che Tortora ha avuto sia per Pannella e per il Partito Radicale sia per il grande pubblico che ha seguito la sua vicenda. I radicali sono in prima linea nel denunciare i casi di non giustizia in questo paese chiedendo incessantemente una riforma della giustizia che ponga la certezza del diritto come punto focale per una sua ristrutturazione. Accanto ai grandi casi di malagiustizia conosciutissimi, vi sono i casi di cittadini non noti al grande pubblico. La storia di Giammario Frattolillo è tra queste. Frattolillo nel 1986 venne trasferito da impiegato del Comune di Alife (in provincia di Caserta) alla Comunità Montana del Matese con il ruolo di coordinare l'ufficio di presidenza dell'ente con gli altri uffici centrali e periferici dell'amministrazione. Precedentemente al suo trasferimento la Comunità Montana del Matese stava valutando un'offerta di una società di Piedimonte Matese per l'acquisto di una nuova sede dell'ente. Il 30 Settembre del lontano 1992, il signor Frattolillo, mentre era a pranzo con la famiglia, viene prelevato dalla sua abitazione dai Carabinieri che lo invitano a seguirli in caserma per "problemi giudiziari". Frattolillo racconta che già in quell'auto inizia un incontrollato interrogatorio, viene tempestato di domande e alle non risposte la chiusa del capitano è: "tra poco sarai consegnato nelle carceri di Santa Maria Capua Vetere e li ci rimarrai per molto tempo, stai sicuro che per consegnare il maltorto allo stato dovrai venderti la casa paterna". Di cosa veniva accusato Giammario Frattolillo? Di aver intascato delle tangenti per l'acquisto della sede della Comunità Montana del Matese. A suo carico vengono addebitati indizi di colpevolezza quale impiegato della Comunità Montana, nonostante al tempo della trattativa non era un impiegato dell'ente. Frattolillo veniva accusato di aver ricevuto 140.000.000 delle vecchie lire per la prestazione nell'essersi adoperato illecitamente al fine di consentire la vendita dell'immobile. Frattolillo possedeva un "libretto al portatore" per ritirare somme di denaro per esplicita richiesta del Presidente della Comunità Montana, non sua. La storia prosegue e Frattolillo viene portato al carcere di Santa Maria Capua Vetere, in una cella di isolamento per ben due giorni. Intanto sui giornali locali viene descritto come un faccendiere o un grande architetto della truffa. Il P.M. attraverso gli interrogatori fa intendere al Frattolillo che deve confessare, fare i nomi e che la custodia cautelare s'impone poiché potrebbe inquinare le prove. Frattolillo invita a controllare i libretti postali e bancari e a verificare che non vi siano arricchimenti negli anni di servizio trascorsi presso la Comunità Montana. Significative le parole che Giammario Frattolillo riporta sul suo libricino autobiografico: "Basta trascorrere una sola giornata nelle carceri italiane per costatare che gli istituti di pena sono diventanti delle autentiche fogne a cielo aperto". Frattolillo passa dal carcere agli arresti domiciliari e dopo poco i carabinieri si ripresentano. Viene condotto in caserma dove il capitano si prepara ad un nuovo interrogatorio, senza la presenza dell'avvocato. Al Frattolillo viene dichiarato che ora sono a conoscenza che i soldi non sono stati intascati da lui, però sta proteggendo l'uomo che gestisce il tutto, un noto politico locale. A Frattolillo è chiaro l'obiettivo: dopo la distruzione della sua immagine, ora vogliono il crollo del potere del noto politico. Frattolillo questa volta chiede davvero giustizia, esprimendo la sua rabbia e viene a conoscenza che il capitano doveva notificargli un provvedimento del magistrato presso la sua abitazione, ma era lo stesso stato condotto in caserma per un nuovo irregolare interrogatorio. Dopo 24 giorni si conclude la vicenda di Giammario Frattolillo, non ci sono più pericoli di inquinamento né indagini da proseguire. Dopo poco il capitano della locale stazione dei Carabinieri sarà trasferito e il protagonista di tale storia torna a vivere. Tutta la vicenda di Giammario Frattolillo è descritta nel libricino "Il Colore delle Toghe" edito dalle Edizioni Ikona. Pochi giorni fa ho incontrato il protagonista che mi ha consegnato alcune copie del suo libricino chiedendomi di dargli una mano a far conoscere questa storia, oramai passata ma poco conosciuta. Come rifiutarsi, proprio oggi, che qualcuno dichiara di aver risolto il problema della giustizia. Se solo si ascoltasse un po' di più Rita Bernardini e Marco Pannella. Immigrazione: la scolta dell'Unione europea "i Paesi non possono più rifiutare l'asilo" di Alberto D'argenio La Repubblica, 9 maggio 2015 È una rivoluzione nel segno della solidarietà quella in arrivo da Bruxelles sulla politica europea per l'immigrazione: obbligo per tutti paesi di accogliere chi sbarca sulle coste italiane; missioni in Libia per distruggere i barconi dei trafficanti di esseri umani; aiuti ai paesi di origine e transito del flusso migratorio. È una rivoluzione nel segno della solidarietà quella in arrivo da Bruxelles sulla politica europea per l'immigrazione: obbligo per tutti paesi ad accogliere chi sbarca sulle coste italiane o degli altri paesi rivieraschi, missioni nei porti libici per sequestrare e distruggere i barconi dei trafficanti di esseri umani, aiuti ai paesi di origine e transito per sgominare le bande criminali che ruotano intorno alla Libia. Sono questi i punti cardine della nuova Agenda sull'immigrazione che, salvo sorprese, sarà approvata mercoledì dalla Commissione europea e le cui bozze iniziano a circolare tra le Cancellerie continentali. Un testo ambizioso oltre ogni aspettativa anche grazie all'impegno personale del presidente dell'esecutivo comunitario, Jean Claude Juncker, dell'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione, Federica Mogherini, del vicepresidente Frans Timmermans e del commissario all'Immigrazione Dimitris Avramopoulos. Sembra dunque che in Europa si sia finalmente sviluppata una nuova sensibilità sulle tragedie che periodicamente si consumano nel Mediterraneo. Un ruolo tristemente centrale lo ha avuto la strage di aprile quando nel Canale di Sicilia sono morti 900 migranti e dopo la quale l'Italia aveva ottenuto un summit straordinario dei capi di Stato e di governo a Bruxelles. Da quel momento la percezione politica è cambiata permettendo alla Commissione di preparare un testo di spessore che sarà discusso, e approvato, dal collegio preceduto da Juncker mercoledì prossimo. Un passaggio non facile: in molti si aspettano un dibattito acceso tra i commissari europei, non tutti ancora convinti della necessità di un salto di qualità di questa portata. Se passerà l'Agenda dovrà poi essere approvata dal Consiglio (i governi) e dal Parlamento di Strasburgo. Altro percorso non facile. Basta leggere le dichiarazioni rilasciate preventivamente ieri del premier ultranazionalista ungherese Victor Orban: "È un'idea folle quella di dividere gli immigrati fra i paesi dell'Unione, mi opporrò". E ieri l'ambasciatore libico all'Onu, Ibrahim Dabbashi, ha affermato che la Libia non appoggia l'idea di interventi europei nelle sue acque territoriali. Dunque per portare a casa il risultato servirà una vera battaglia politica dentro e fuori all'Unione: in prima linea oltre a Juncker ci saranno Renzi, Merkel e Hollande. Nel dettaglio l'Agenda prevede una serie di azioni immediate per rispondere all'emergenza migranti e alle stragi in mare accompagnate da misure di medio-lungo termine per cambiare la politica migratoria europea. La novità di maggior rilievo, se verrà confermata mercoledì, è la proposta di creare un sistema di quote obbligatorie di ripartizione tra tutti i paesi europei dei migranti già presenti sul territorio dell'Unione. Per fare un esempio, gli stranieri oggi stipati nei centri d'accoglienza italiani o maltesi, ormai al collasso, saranno sparpagliati tra i Ventotto con un criterio di quote obbligatorio al quale nessun governo potrà sottrarsi. Saranno poi i paesi in questione a occuparsi delle pratiche di asilo o dei rimpatri in modo da alleggerire non solo i paesi che fronteggiano gli sbarchi, ma anche quelli dove la maggioranza dei rifugiati poi si stabilisce come Germania, Svezia, Francia, Italia o Belgio. Nel medio termine si propone anche una revisione delle politiche di asilo: l'obiettivo è il mutuo riconoscimento delle decisioni di un singolo paese in modo che se ad uno straniero viene riconosciuto lo status di rifugiato, questo possa poi trasferirsi da una nazione all'altra all'interno dell'Ue. Insomma, sarà un asilante europeo, non italiano, francese o tedesco come avviene oggi. La Commissione proporrà anche il contrasto alle attività dei trafficanti nel Mediterraneo, come chiesto dal summit straordinario di aprile. Si tratta di un missione chiamata a intercettare i barconi degli scafisti anche in acque territoriali libiche, persino dentro ai porti, sequestrarli prima della partenza ed eventualmente affondarli. Per dare chance di successo alla missione Bruxelles propone anche un lavoro di stretta condivisione di informazioni tra le intelligence europee. Proprio lunedì Mogherini sarà a New York per tessere la tela al Consiglio di Sicurezza, vista la necessità di agire all'interno del diritto internazionale. L'Europa punta ad avere una risoluzione delle Nazioni Unite che dia il via libera alla missione entro il summit europeo del 25 e 26 giugno per permettere ai leader Ue di lanciarla prima di luglio. La Commissione conferma poi che verranno triplicati i soldi per Frontex, ovvero per la missione Triton nel Canale di Sicilia. Ambiziosa anche la parte di politica estera dell'Agenda, curata direttamente dalla Mogherini. Si propone di integrare tutte le politiche europee di settore per ottenere risposte dai paesi di origine e di transito: saranno tutte indirizzate al fine di ottenere la massima collaborazione dei governi locali affinché contrastino i trafficanti, ne sgominino le bande e impediscano loro di far entrare i migranti in Libia, dove poi spariscono dai radar internazionali fino all'attraversata sulle carrette del mare. Un lavoro che nelle intenzioni di Bruxelles sarà finalizzato nel vertice tra Ue e Africa di ottobre a Malta. Per ottenere l'intervento nei paesi di origine si punta anche ad aiuti economici per contrastare la povertà, una delle cause delle partenze oltre alle guerre e alle persecuzioni. Si proporrà poi di aiutare economicamente i paesi di transito - come Sudan, Egitto, Ciad e Niger - per aumentare i controlli alle frontiere in modo da intercettare i camion dove i trafficanti stipano i migranti. Sgominare le bande, salvare i migranti e accoglierli in campi Unhcr dove poi verranno rimpatriati o portati in Europa se ne avranno diritto. Già oggi l'Europa tra aiuti umanitari e altre politiche attive spende circa un miliardo all'anno per l'Africa, se tutto il flusso di spesa verrà indirizzato o condizionato alla lotta all'immigrazione clandestina, scommettono a Bruxelles, si potranno ottenere risultati concreti. Novità arriveranno anche sulla migrazione legale, quella economica, ritenuta necessaria per contrastare il flusso clandestino dei disperati in cerca di lavoro e per rispondere alle necessità del mercato del lavoro. Si pensa ad una Blu Card europea che funzionerà grazie una piattaforma comune che identificherà che genere di specializzazioni, professionalità o mano d'opera sia richiesta in ogni momento in Europa. Immigrazione: tutti i numeri della nuova politica migratoria.. che non c'è di Umberto De Giovannangeli Left, 9 maggio 2015 Sono 626.000 i profughi che, solo nel 2014, hanno richiesto protezione all'Europa della democrazia e del benessere. Tutti i numeri della nuova politica migratoria. Che non c'è. Doveva essere l'approdo della speranza. Doveva essere vettore di stabilità, democrazia, benessere nell'altra parte del Mediterraneo: invece è stata spesso produttrice di altre guerre, di altre dittature, di altra povertà. In termini di accoglienza e diritto di asilo, l'Europa non è la soluzione, è il Problema. Lo è per il cinismo dimostrato nel porre tali veti e barriere da costringere un'umanità in fuga da indicibili inferni a mettersi nelle mani, avide e intrise di sangue, di trafficanti di esseri umani. L'Europa della vergogna, "modello 1937", è quella dei treni in partenza da Bolzano e diretti oltre confine che vengono controllati da pattuglie miste di poliziotti italiani, tedeschi e austriaci che bloccano chi non è bianco e impediscono ai migranti di salire sulle carrozze. È il Problema, l'Europa, quando innalza muri e trasforma i "centri di accoglienza", in veri e propri campi di concentramento. È il Problema, l'Europa, perché rifiuta testardamente di adottare quelle misure che tutte le organizzazioni umanitarie, le agenzie Onu, impegnate sul campo hanno da anni invocato. Una fra tutte: l'Unione europea dovrebbe concedere asilo attraverso le ambasciate. È quello che hanno fatto alcuni Paesi dell'America Latina, come il Brasile. In questo modo, spiegano gli operatori umanitari, i profughi avrebbero l'opportunità di presentare domanda di protezione direttamente nelle sedi diplomatiche degli Stati dell'Unione, senza dover affrontare, da clandestini, i "viaggi della morte" che fanno la fortuna dei mercanti di esseri umani (il 10 per cento del Pil libico verrebbe da questo odioso commercio). I dati, anzitutto. "In un anno, il numero di richiedenti asilo registrati nell'Ue è aumentato di 191.000 persone (+44%) per raggiungere il numero record di 626.000 richiedenti nel 2014". A evidenziarlo è l'ultimo rapporto Eurostat che puntualizza da dove viene gran parte di questa nuova ondata migratoria: "In particolare, il numero di siriani è aumentato di 72.000 persone, passando da 50.000 richiedenti nel 2013 a circa 123.000 nel 2014". Con la forza dei dati, il rapporto Eurostat sfata diversi miti sulla presunta invasione di migranti in Italia: "Un terzo dei richiedenti asilo dell'Ue ha fatto la sua domanda in Germania. Nel 2014, il maggior numero di richiedenti asilo è stato di gran lunga registrato in Germania (202.700 richiedenti, cioè il 32% dell'insieme dei richiedenti), seguita dalla Svezia (81.200, cioè il 13%), dall'Italia (64.600, cioè il 10%), dalla Francia (62.800, cioè il 10%) e dall'Ungheria (42.800, cioè il 7%). Eurostat, però, evidenzia che questi cinque Stati membri che da soli hanno ricevuto il 72% delle richieste di asilo, l'anno scorso hanno conosciuto tendenze diverse: "Il numero dei richiedenti asilo nel 2014 è più che raddoppiato in rapporto al 2013 in Italia (+143%) così come in Ungheria (+126%) ed è aumentato significativamente in Germania (+60%) e in Svezia (+50%), mentre in Francia è diminuito del 5%". Se invece si fa la proporzione con la popolazione di ogni Stato membro dell'Ue, l'Italia scompare dalla testa della classifica e il tasso più elevato di richiedenti asilo è in Svezia: 8,4 per 1.000 abitanti, quasi il doppio di quello dell'Ungheria (4,3), dell'Austria (3,3), di Malta (3,2), della Danimarca (2,6) e della Germania (2,5). Le percentuali più basse di richiedenti asilo rispetto alla popolazione si registrano in Portogallo, Slovacchia e in Romania. La media Ue del 2014 è stata solo di 1,2 richiedenti asilo per 1.000 abitanti. Un altro mito che viene sfatato è che i richiedenti asilo in Italia siano "arabi" ed eritrei, invece i primi tre Paesi di origine dei migranti che fanno questo tipo di domanda sono Nigeria (10.135), Mali (9.790) e Gambia (8.575): in Nigeria si fugge dalla guerra scatenata da Boko Haram contro i cristiani, in Mali dalla guerra civile e in Ghana da una feroce dittatura. Eritrei, siriani, libici e somali ormai utilizzano il nostro Paese solo come passaggio per chiedere asilo altrove: più di 70.000 siriani hanno fatto domanda in Germania o in Svezia. La Siria, con 122.800 richiedenti asilo (un quinto del totale) resta il principale Paese di origine dei profughi: il 60% dei siriani si è registrato in Germania (41.100) e in Svezia (30.800). Il secondo Paese di provenienza dei richiedenti asilo è diventato l'Afghanistan con 41.300 casi, il 7% del totale: 9.700 afghani si sono registrati in Germania e 8.800 in Ungheria. Quanto ai migranti sbarcati in Italia, nel 2014 (dati ministero dell'Interno) sono stati 170.100, 26.556 fino al 19 aprile). Un radicale cambio di rotta da parte dell'Europa, passa per Dublino. Schematizzando: l'articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (introdotto dal Trattato di Lisbona) stabilisce il principio di solidarietà tra gli Stati membri dell'Unione in materia di controllo delle frontiere, asilo e immigrazione. Il principio di solidarietà deve obbligatoriamente governare le azioni dell'Ue e dei singoli Stati in queste materie. Il "Sistema Dublino", composto dal Regolamento "Dublino III" del 2013, dal Regolamento "Eurodac II", sempre del 2013, e dagli atti esecutivi dei regolamenti, è stato creato con la Convenzione di Dublino del 1990, ben prima del Trattato di Lisbona, per determinare lo Stato membro competente a esaminare le domande di asilo. Le rifusioni dei Regolamenti avvenute nel 2013 lasciano l'impianto generale del sistema sostanzialmente invariato. "La Convenzione di Dublino ha messo in atto un sistema inumano che non prende in considerazione i diritti e le necessità delle persone", denuncia Christopher Hein, direttore del Gir (Consiglio italiano per i rifugiati). Il salto di qualità, non solo legislativo, ma politico e culturale, che l'Europa è chiamata a compiere è passare dalla diffidenza alla solidarietà. Una solidarietà fattiva, non parolaia. Il che significa, per esempio, estendere la libertà di circolazione garantita oggi ai cittadini dell'Unione, a tutte le persone a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato. Una misura di civiltà, lontana però non solo dall'essere vinta ma anche solo combattuta. Perché i dati, mai come in questo caso esplicativi di un'inquietante verità, non solo narrano di una Europa cinica e avara, ma fanno di più: indicano nella "civile" Europa la destinazione più pericolosa al mondo per i migranti. A documentarlo è il rapporto Fatal Journeys - Tracking lives lost during migration dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Dall'inizio del 2014, si legge nel rapporto, su 4.077 migranti che hanno perso la vita lasciando il proprio Paese, oltre 3.072 - pari al 75% del totale - sono morti nelle acque del Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l'Europa. Nello stesso periodo, i migranti deceduti sono stati 251 nell'Africa orientale e 230 al confine tra Stati Uniti e Messico. Se si guarda ancora più indietro, i migranti morti nel Mediterraneo dal 2000 a tutto il 2014, risultano, sempre secondo i dati dell'Oim, almeno 22.400, a cui vanno aggiunti i 1.754 i migranti che, da gennaio a oggi, hanno perso la vita nel mar Mediterraneo mentre tentavano di raggiungere l'Europa. Di questi, 1.710 hanno trovato la morte nel Mediterraneo centrale, nello specchio d'acqua tra Libia, Marocco e Italia. In meno di quattro mesi il numero delle vittime ha superato la metà del totale registrato nel 2014. D'altro canto, sottolinea Philippe Hensmans, curatore del rapporto di Amnesty international sulle "stragi dei migranti" - per frenare l'emergenza in Europa è necessario non soltanto l'adozione di un Mare Nostrum europeo, ma anche l'avvio di una nuova politica migratoria. "C'è bisogno - afferma - di rimuovere le barriere e aprirsi a una vera politica di asilo. Bisogna aumentare il numero dei reinsediamenti in Europa, aprire alla concessione di visti umanitari, così come adottare un approccio più libero ai ricongiungimenti familiari". E invece, dal 2012, l'Europa intera ha accolto appena 40.000 dei quasi 4 milioni di rifugiati siriani. Per Amnesty International si tratta di una cifra irrisoria rispetto alle capacità dell'Unione europea. E irrisoria è anche la presunta disponibilità italiana. In Europa nel 2013 i rifugiati, in maggioranza siriani, sono aumentati del 32% rispetto all'anno precedente, rileva il rapporto 2014 del centro Astalli. Ebbene, solo 695 cittadini siriani hanno scelto l'Italia per chiedere asilo politico, un numero irrisorio se confrontato con gli oltre 16.000 della Svezia e i quasi 12.000 della Germania. L'Italia ha il più basso investimento europeo per le missioni umanitarie all'estero. Come ha denunciato Emma Bonino, ex ministro degli Esteri, già Commissario europeo per gli Aiuti umanitari: "Il nostro Paese ha rinunciato a fare la sua parte di umanità e ha rinunciato a farla valere con testardaggine e cocciutaggine in Europa. Abbiamo cancellato Mare Nostrum accettando anche la motivazione dei colleghi europei, che sostenevano e sostengono che l'operazione di salvataggio avrebbe attirato ulteriori sbarchi. I dati stanno smentendo quella motivazione. La gente scappa perché le condizioni nei Paesi d'origine sono sempre più terribili e non perché qualcuno poi li salverà. Cancellare Mare Nostrum è stata una vergogna, un atto disumano". Nel Belpaese, in tempi politicamente grami come questi, si fa spesso riferimento alla Carta costituzionale. Vale la pena ricordare che l'articolo 10 stabilisce il diritto d'asilo allo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l'esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione. I dati, le denunce, i racconti di questi anni, ci dicono che questo articolo, anche questo articolo, è per molti rimasto sulla carta. Carta straccia. Immigrazione: nei panni di un sopravvissuto di Tiziana Barilla Left, 9 maggio 2015 Si imbarca in un piccolo porto del Nord Africa. Attraversa il Mediterraneo. Scampa alla morte. E arriva sulle nostre coste. Qui, comincia un altro viaggio. Eccolo. Ai morti il cordoglio. E ai sopravvissuti? In questi primi mesi del 2015 siamo già oltre i mille morti, ma sulle coste del Sud Italia sono arrivati sani e salvi più di 8.000 migranti. L'anno scorso sono sbarcate 170.000 persone che in 63.041 casi hanno richiesto la protezione internazionale. A quelli che ce l'hanno fatta tocca almeno un anno di attesa prima di conoscere la propria sorte: profugo da proteggere o clandestino da espellere? Lo decide una commissione territoriale. E la "sala d'attesa" per chi richiede protezione è un Centro di accoglienza per richiedenti asilo, oppure uno dei nuovi Centri di accoglienza straordinaria (Gas), in pratica palestre et similia arrangiati a centri di accoglienza. Left ripercorre la strada di un sopravvissuto scampato al Mare della morte. Tra strutture, sempre più spesso, al centro di accuse per violazioni di diritti umani e tempi di attesa inspiegabilmente lunghi. Accoglienza, si fa per dire. Si chiamano centri di accoglienza ma spesso sono un vero e proprio inferno. Anche se i Cara non sono detentivi per legge - i migranti sono liberi di uscire durante il giorno - chi attende che la commissione decida del suo futuro non lo fa proprio da uomo libero: strutture sovraffollate, denunce di maltrattamenti e inchieste per mala gestio. Non c'è Cara tra i 14 distribuiti sul territorio nazionale, che non sia stato oggetto di scandali e denunce: Bari, Mineo, Crotone... Al punto da indurre la stessa Camera dei deputati a istituire (con delibera del 17 novembre 2014) una Commissione di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, e sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri destinati all'accoglienza e al trattenimento di immigrati. La Commissione si è insediata il 25 marzo scorso, sulla scia degli scandali di Mafia Capitale. Khalid Chaouki, membro della commissione, conferma: "In questi centri c'è un problema umanitario ma anche di gestione dei fondi pubblici. Manca il controllo da parte delle istituzioni e, soprattutto, una reazione immediata alle denunce puntuali di stampa e associazioni", dice Chaouki. "Si replica in modo troppo disinvolto il paradigma dell'emergenzialità. E il rischio di infiltrazioni e di una speculazione cinica non dico sia alle porte ma quasi, come ha dimostrato l'inchiesta Mafia Capitale". Torniamo sulle orme di chi sbarca in Italia. Vi siete chiesti che fine abbiano fatto i 28 sopravvissuti alla strage del 19 aprile, quella che tanto ha scosso l'Europa e il mondo intero? Quattro minori non accompagnati (due somali e due bengalesi) sono stati portati altrove, tre erano scafisti e uno di loro, un altro cittadino bengalese, è ricoverato in ospedale. Gli altri 20 si trovano nel Cara di Mineo, il più grande d'Europa. Rintracciarli è difficile. Oggi a Mineo sono 4.000 i richiedenti asilo, in un complesso che può ospitarne circa 1.800. È il "Residence degli aranci", fino al 2011 residenza per i marines della base di Sigonella e le loro famiglie. Poi, durante l'emergenza immigrazione, il governo Berlusconi e il ministro Maroni convertono la struttura in Cara: 400 villette a due piani di 160 metri quadrati, tre bagni ognuna, con una media di 10, 12 ospiti per ogni casa. Ogni villetta un tempo destinata a una famigliola statunitense è oggi occupata da circa 30 migranti: 3.519 uomini, 319 donne e 57 minori. Abitabilità a parte, è un posto sicuro un Cara? Quello di Mineo no, denuncia Alfonso Di Stefano della Rete antirazzista catanese: "All'interno ci sono anche i carnefici dei naufragi che si trovano lì agli arresti domiciliari. Nonostante il controllo ferreo, vige la legge della giungla, e i più forti hanno licenza di fare business. Basta venire qui per vedere la situazione drammatica che c'è. Invece del pocket money di 2,50 euro al giorno, danno loro un pacchetto di sigarette ogni due giorni. Si arrangiano come possono". Rifiuti, mercato nero, prostituzione e spaccio: a mettere insieme le denunce sul Cara viene fuori un inferno di Stato. Ma lì dentro ogni "ospite" ci starà almeno un anno: sono questi i tempi di attesa delle commissioni. Nell'ultimo anno la presenza è più che raddoppiata, mentre le domande esaminate sono diminuite della metà. Così, chiosa Di Stefano, "se la matematica non è un'opinione i tempi si quadruplicano". Giunti in Italia, ha inizio un viaggio da fermi, rinchiusi. Nell'attesa che arrivi il proprio turno dinanzi alla commissione territoriale. Il passaggio successivo allo sbarco, infatti, è la richiesta di protezione internazionale. Istanza un tempo presentata all'arrivo - per esempio il centro di prima accoglienza di Lampedusa - ma che da qualche anno si formalizza presso l'ufficio immigrazione del Cara di destinazione. In quel di Catania sono ben 4.000 i richiedenti in attesa. L'avvocato Giuseppe Carnabuci, membro dell'Asgi, l'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione, attualmente ne assiste 83, tutti del Cara di Mineo. Così spiega il percorso: il migrante è sottoposto a una mini intervista, con la quale viene identificato, dopo di che la pratica passa alla commissione territoriale competente che valuta se riconoscere o meno la protezione. Tra l'arrivo e l'audizione passa minimo un anno. Per farvi un'idea della "coda", calcolate che le commissioni fanno 8-10 audizioni al giorno a fronte di 4.000 persone in attesa di avere un colloquio. Poi, una volta in commissione, il verbale di audizione registra la storia di quel migrante: le ragioni che lo hanno indotto ad abbandonare il suo Paese di origine, il tragitto fino al territorio italiano e se ha subito violenze, minacce o violazioni di diritti umani. È su queste basi che si decide se riconoscere o meno la protezione internazionale, che può assumere tre diverse gradazioni: il riconoscimento dello status di rifugiato (estremamente raro), la protezione sussidiaria che prevede il riconoscimento di un permesso di soggiorno di 5 anni se vi è il rischio di un danno grave alla persona qualora torni nel suo Paese d'origine (raro); infine, quella che viene solitamente riconosciuta è la protezione umanitaria, che dà diritto a un permesso di soggiorno di un anno ma non consente di espatriare fuori dal territorio italiano. Un "jolly" riconosciuto per esempio quando il migrante è particolarmente provato fisicamente e/o psicologicamente. Nel 2015 si registra un forte aumento dei dinieghi: dal 29 per cento del 2013 si è passati a quasi il 50 per cento nei primi mesi di quest'anno. I dati del ministero dell'Interno dicono che le domande non accolte sono quasi la metà del totale: a dicembre 2014 sulle 2.805 esaminate i dinieghi sono stati 1.349. Identica la situazione nei primi due mesi dell'anno: a gennaio 2015 le domande con esito negativo sono state 1.190 su 2.503 domande analizzate, a febbraio 1.609 su un totale di 3.301. Per giunta, l'omogeneità di giudizio è una chimera. "C'è una disparità di decisione e interpretazione tra le varie commissioni dislocate sul territorio", denuncia l'avvocato Carnabuci. "Perciò abbiamo più volte sollecitato una conferenza di servizi o un qualche tipo di incontro per coordinare i criteri di valutazione delle domande". Un esempio? Restiamo in Sicilia, dove la commissione di Catania risponde sistematicamente picche, mentre quella di Siracusa è più larga di maniche. "Legittimamente", sottolinea l'avvocato, "perché è molto più vicina alle decisioni del tribunale". Le disparità, infatti, vengono quasi sempre appianate dai tribunali in sede di ricorso. "I dinieghi, spesso, avvengono perché l'audizione del migrante in commissione avviene in assenza di un difensore di fiducia", spiega il legale. "La legge non prevede che il migrante possa avvalersi del gratuito patrocinio di un legale. Invece la presenza di un avvocato, già munito di informazioni sulla sfera personale e sulle criticità del Paese d'origine, semplificherebbe il lavoro delle commissioni". E chi un avvocato non lo intercetta in tempo diventa clandestino. Il migrante ha solo 15 giorni di tempo per impugnare l'eventuale diniego e fare ricorso. Dati alla mano, dopo lo straordinario afflusso del 2014, c'è un numero di richieste che si può ipotizzare in oltre 70.000, quindi si prospettano almeno altri 35.000 nuovi irregolari. Che diventeranno clandestini da espellere, dopo aver aspettato almeno un anno dentro un centro come quello di Mineo. E, a questo punto, non ci ritroveremmo più a parlare di Cara ma di Cie. Ovvero dei centri di identificazione ed espulsione. Dove la detenzione è legge e il resoconto delle violazioni dei diritti umani potrebbe riempire migliaia di pagine. Immigrazione: profughi al lavoro gratuitamente? nel veronese è già realtà di Riccardo Mirandola L'Arena, 9 maggio 2015 Il ministro dell'Interno Alfano ha inviato un funzionario per "copiare" l'esperimento avviato da due Comuni del veronese per l'impiego dei migranti. I trentanove africani ospiti nella Bassa prenderanno servizio lunedì puliranno parchi e cimiteri: unico costo sarà la loro assicurazione. Nogara e Sorga sono diventati dei Comuni modello per l'impiego in lavori socialmente utili dei 39 profughi ospitati in due strutture private del paese. Questo è quanto emerso ieri mattina in un vertice promosso in municipio a Nogara dal sindaco Luciano Mirandola e dal suo collega di Sorga Mario Sgrenzaroli al quale hanno preso parte anche Gabriele De Giorgi, funzionario del ministero dell'Interno inviato nella Bassa proprio dal ministro Angelino Alfano, la parlamentare del Pd Michela Campana, componente della commissione giustizia, dirigente nazionale del partito e fedelissima del premier Matteo Renzi, e la deputata veronese Alessia Rotta. Un incontro nato dopo l'annuncio dato nei giorni scorsi dalle due amministrazioni della Bassa sull'accordo raggiunto con la Prefettura e la cooperativa che di fatto gestisce i Centri di accoglienza della zona per far svolgere ai 39 profughi africani una serie di lavori a favore della comunità a costo praticamente zero per entrambi gli enti. L'idea sembra essere piaciuta moltissimo al ministro Alfano al punto da indurlo a rilanciare l'iniziativa di Nogara e Sorga a livello nazionale, invitando con una circolare i Comuni ad attivare progetti di attività lavorative gratuite per gli stranieri in attesa di riconoscere l'asilo politico. Al vertice erano presenti anche i responsabili della cooperativa "Assistenza Serena" e due profughi che hanno voluto confermare la volontà propria e dei loro compagni ad avviare un percorso di attività al servizio della popolazione. "Siamo convinti", ha esordito Mirandola, "che sia opportuno minimizzare l'impatto sociale dell'immigrazione e in questo caso è necessario che ai nostri cittadini sia evidente un ritorno attraverso una serie di lavori socialmente utili. Il progetto avrà una durata sperimentale di tre mesi e partirà lunedì prossimo grazie alla convenzione firmata con Prefettura e cooperativa". L'avvio del progetto era in realtà fissato per il 4 maggio ma i due Comuni hanno dovuto acquistare i dispositivi di protezione individuale per i lavoratori e stipulare l'assicurazione obbligatoria. "Ci saranno", ha annunciato Mirandola, "squadre di cinque immigrati coordinate da operatori della cooperativa, da associazioni e imprenditori locali. Il costo che sosterremo sarà di 18 euro mensili per ciascuna persona per l'assicurazione. Chiediamo comunque al Gverno di riconoscere questo tipo di iniziativa e di garantire dei vantaggi ai Comuni che attivano questi progetti. Si potrebbe premiare con l'elasticità del patto di stabilità o con altri incentivi". L'iniziativa ha raccolto il plauso sia delle due parlamentari del Pd che del funzionario inviato da Alfano, che ha poi criticato il rifiuto del governatore Luca Zaia ad accogliere altri profughi in Veneto. "Tutte le regioni", ha detto De Giorgi, "hanno firmato un accordo che prevede la ripartizione dei profughi secondo determinati criteri. Il Veneto ora non intende rispettare questo accordo e ciò non è giusto verso le altre regioni". Campana ha quindi snocciolato una serie di dati relativi ai flussi migratori puntando sul fatto che il Governo è riuscito ad ottenere il sostanziale aiuto dell'Unione Europea per far fronte al problema. Lunedì mattina, intanto, ci sarà la prima uscita ufficiale dei 39 profughi per dare un segnale di buona volontà nei confronti gli abitanti di Nogara e Sorga. Si partirà dalla pulizia dalle erbacce nei cimiteri, dalla raccolta dei rifiuti abbandonati per le strade o in zone artigianali e con la pulizia dei parchi pubblici, piste ciclabili o quanto altro si renderà necessario. Sempre con la supervisione di un responsabile, che insegnerà agli stranieri come svolgere i lavori senza rischi di infortuni. Al termine dei tre mesi i due enti tracceranno un bilancio e stabiliranno se sarà opportuno continuare oppure chiudere l'esperimento". Iran: 340 esecuzioni da inizio anno, lo riferiscono relatori Onu su situazione diritti umani Ansa, 9 maggio 2015 Più di 340 persone, tra le quali almeno 6 prigionieri politici e 7 donne, sono stati giustiziati in Iran dall'inizio dell'anno. Lo riferiscono i relatori speciali delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Iran, Ahmed Shaheed, e sulle esecuzioni extragiudiziarie, Christof Heyns, condannando "il forte aumento delle esecuzioni nelle ultime settimane nella Repubblica islamica dell'Iran". Nel solo periodo tra il 9 e il 26 di aprile, ben 98 detenuti sono stati giustiziati, pari a una media di oltre sei al giorno, dettagliata una nota pubblicata oggi a Ginevra. "Siamo allarmati dal recente aumento del numero di esecuzioni, nonostante i seri dubbi esistenti circa gli standard di equità processuale", ha osservato Heyns. Molti dei prigionieri giustiziati in questo periodo sono stati accusati di reati legati alla droga e, osservano i due esperti deplorando inoltre le continue notizie di esecuzioni in pubblico, almeno 15 nel 2015. "Le esecuzioni in pubblico hanno un effetto disumanizzante sia per la vittima che per chi assiste all'esecuzione, rafforzando quindi la natura crudele, inumana e degradante della pena di morte ", hanno insistito. Stati Uniti: diminuisce il proibizionismo… e calano i reati di Annalisa Lista www.west-info.eu, 9 maggio 2015 Per la prima volta, da 40 anni a questa parte, negli Usa cala il numero dei reati. Una inversione di tendenza che, per gli esperti del Brennan Center for Justice, è da attribuire in generale a politiche più "rilassate". E in particolare a due fondamentali novità. La prima, l'introduzione, nei distretti di polizia, di report settimanali dettagliatissimi sulle caratteristiche dei crimini commessi. Per mettere in atto strategie ad hoc di prevenzione. La seconda, i cambiamenti sociali: dall'invecchiamento della popolazione alla riduzione del tasso di alcolismo. Un trend tanto più rilevante se letto tenendo conto dello storico paradosso Usa. Che oggi ospitano il 5% degli abitanti della Terra, ma il 25% della popolazione carceraria mondiale. Stati Uniti: la procura di San Francisco apre indagine sulle violenze della polizia Askanews, 9 maggio 2015 Prima era emersa una serie di messaggi razzisti e omofobici che si inviavano alcuni funzionari del dipartimento di polizia di San Francisco. Poi un giro di scommesse su combattimenti all'interno delle carceri tra detenuti organizzati da alcuni poliziotti. Adesso la procura di San Francisco ha aperto una inchiesta sui comportamenti degli agenti per capire se nella città sono stati eseguito in modo sistematico arresti illegali di appartenenti a minoranze etniche. Anche se San Francisco è una delle città più multietniche degli Stati Uniti, da decenni i cittadini di origini afroamericane lamentano l'uso eccessivo della forza da parte della polizia. Pur rappresentando solo il 5% dei residenti, la popolazione carceraria è composta da oltre il 50% da afroamericani, percentuale che sale al 60% nelle prigioni per minorenni. George Gascón, ex capo della polizia di San Francisco e oggi assessore alla Giustizia della città, ha detto che l'indagine ha già preso in considerazione oltre 3.000 arresti fatti da 14 poliziotti (quelli che si scambiavano messaggi razzisti) nel corso degli ultimi anni. ma adesso l'analisi si allargherà a tutti i 2.000 agenti che compongono il dipartimento della metropoli californiana. La notizia arriva dopo una serie di proteste che da mesi stanno toccando le principali città americane. L'ultima a Baltimora, dopo la morte (mentre si trovava nelle mani della polizia) del 25enne Freddie Gray. Mercoledì il sindaco della città del Maryland ha chiesto al dipartimento di Giustizia di aprire una indagine su possibili violazioni da parte delle autorità nei confronti dei cittadini afroamericani.