Giustizia: per gli Opg una chiusura a rilento, ci sono ancora 500 internati di Giovanni Augello Redattore Sociale, 26 maggio 2015 A più di un mese e mezzo dalla chiusura, in arrivo i primi dati. I ricoverati erano circa 1.400 nel 2011. StopOpg: "Commissariare le regioni in ritardo, in particolare Veneto, Toscana e Calabria". Il caso di Castiglione delle Stiviere, trasformato in Rems: "Ha semplicemente cambiato targa". Lentamente, con qualche regione indietro rispetto alle altre, eppur si muove. Il superamento degli Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari, sta iniziando a dare qualche risultato. I ritardi ci sono, ma gli internati stanno realmente diminuendo. Anche perché dal primo di aprile non ci sono più nuovi ingressi. È questo il quadro sulla chiusura degli Opg in Italia fatto da Stefano Cecconi, di StopOpg, a poco più di un mese e mezzo dal termine della proroga alla chiusura di queste strutture. Un mancato rinvio che ha segnato il vero punto di svolta nella vicenda. "Sapevamo che ci sarebbe voluto del tempo per applicare la legge - spiega Cecconi, ma non potevamo concedere la proroga perché avrebbe legittimato il ritardo e sarebbe stata la pietra tombale su questa battaglia. La mancata proroga ci permette di insistere con le regioni e chiederne il commissariamento". Ingressi chiusi per gli Opg, quindi. Nessun nuovo internato, ma nelle strutture ci sono ancora oltre 500 persone, anche se nell'aprile 2011 erano circa 1.400. "Le cose stanno procedendo molto lentamente - spiega Cecconi, ma ce l'aspettavamo. Gli Opg stanno diminuendo la capienza, siamo passati da 700 di fine marzo a poco più 500. Sapevamo che sarebbe stato necessario un tempo di transizione". Nessun dato, invece, sugli ingressi evitati. "È impossibile ad un mese e mezzo dall'applicazione della legge - spiega Cecconi. Abbiamo assistito, però, a nuovi ingressi sia in Rems (Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza), che a Castiglione delle Stiviere". Incerti anche i dati sulle Rems che secondo StopOpg ad oggi accolgono circa 300 persone, di cui la metà nell'ex Opg di Castiglione delle Stiviere. Un centro, quest'ultimo, diventato Rems ma che secondo Cecconi "ha semplicemente cambiato targa". Sui ritardi dei territori StopOpg taglia corto: le regioni che stanno indietro e non riescono a mettersi al passo vanno commissariate. E ad oggi, spiega Cecconi, in "grave ritardo" sono soprattutto Veneto, Toscana e Calabria. Nonostante ad oggi il quadro dell'applicazione della norma che chiede di superare gli Opg non sia del tutto definito nei numeri, le notizie che arrivano dai territori fanno ben sperare. "C'è stato un processo di dimissioni di internati grazie al fatto che si comminano misure alternative rispetto alla detenzione - spiega Cecconi. Non abbiamo solo meno travasi dagli Opg ai mini-Opg, cioè le Rems, ma si inizia ad applicare anche la parte più pregiata della normativa che prevede che principalmente si adottino misure di sicurezza non detentive nei confronti delle persone. Questo sta accadendo in alcune regioni e abbiamo già sollecitato il ministero della Salute affinché si attivino dei "radar" perché le persone devono essere seguite". Tuttavia, spiega Cecconi, in questa fase iniziale, "ci si sta concentrando soltanto sulle Rems, strutture che devono accogliere le persone in misura di sicurezza detentiva". Secondo StopOpg, infatti, i nuovi internamenti nelle Rems con le misure detentive sono ancora troppi e "continuano ad essere la regola anziché l'eccezione" e richiama l'attenzione sulla legge 81 che, "spostando il baricentro dalla logica manicomiale alla cura delle persone nel territorio, privilegia le misure non detentive e rende obbligatorie le dimissioni a fine pena". Buone nuove anche sul fenomeno degli ergastoli bianchi. Al 25 marzo del 2015 gli internati usciti per "fine misura" risultavano essere 88, di cui 31 da Aversa, 25 da Castiglione delle Stiviere e 12 da Barcellona Pozzo di Gotto. "Comincia ad essere applicata quella parte della norma che prevede la dimissione quando la misura di sicurezza arriva al limite coincidente con quello che avrebbe avuto la pena per il reato commesso - spiega Cecconi. Non sono più concesse proroghe. Una persona deve essere dimessa alla scadenza della misura di sicurezza quando raggiunge il cosiddetto massimo edittale della pena. Questa era la fattispecie che generava il fenomeno di alcuni ergastoli bianchi. È un fatto importante, ora vengono presi in carico dai servizi e abbiamo insistito per ciascuno ci sia un percorso di cura". In ritardo, anche la magistratura che secondo Cecconi non ha ancora "metabolizzato" la norma. "Parliamo di quella giudicante non quella di sorveglianza, che ci segnala che non ha ancora fatto propria questa norma, disorientante rispetto all'impianto precedente perché privilegia le misure alternative alla detenzione". Infine il fenomeno misure di sicurezza provvisorie, ancora presente, anche se stavolta sono le Rems le strutture interessate. "Come è accaduto con gli Opg - conclude Cecconi -, anche le Rems rischiano di essere intasate da persone mandate in osservazione. Questo snatura il mandato di quello che dovrebbe essere la cura delle persone. È una sorta di parcheggio che non va bene". Giustizia: giovani, malati, abbandonati… il disagio infinito degli ex pazienti degli Opg Il Velino, 26 maggio 2015 La più ampia ricerca finora realizzata in Italia rivela che nove pazienti su dieci sono uomini, senza famiglia, un terzo ha problemi fisici, oltre il 70 per cento era già noto ai servizi psichiatrici prima di commettere i reati. Mentre le donne sono quelle più a rischio di detenzioni lunghe. Per lo più uomini, soli, abbastanza giovani, spesso malati anche fisicamente, con una lunga storia di sofferenza psichica alle spalle ma scarsissime possibilità di riabilitazione. Ecco chi sono gli ospiti degli ex Ospedali psichiatrici giudiziari, gli Opg ormai chiusi, secondo l'identikit emerso da un progetto promosso e finanziato dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie del Ministero della salute e coordinato dall'Istituto Superiore di Sanità, i cui risultati sono stati recentemente diffusi durante un convegno che si è tenuto a Roma e che rappresenta come la più ampia testimonianza disponibile su questa popolazione negli ultimi dieci anni nel panorama nazionale. L'indagine è stata realizzata su un campione rappresentativo di 473 ricoverati (alla data di avvio delle valutazioni - 1 giugno 2013 - nei sei Opg italiani erano presenti 1.015 pazienti, 835 dei quali ricoverati nelle cinque strutture coinvolte nel progetto). Il campione è costituito per circa il 90% da uomini. L'età media è pari a 42,5 anni. Il 73% circa dei pazienti partecipanti non è sposato e non ha figli e il 50% viveva con la famiglia d'origine prima del ricovero in Opg. Le donne più spesso degli uomini riescono a formare una famiglia e oltre il 50% delle pazienti ha figli. Emerge una condizione di svantaggio sociale: basso livello di istruzione unito a condizioni lavorative ed economiche precarie. Oltre il 30% dei pazienti ha una malattia fisica grave, il 24% circa è obeso e l'80% è fumatore. Il 7,6% ha una disabilità da moderata a grave dovuta a patologie del sistema nervoso centrale. Rispetto ai pazienti affetti da disturbi mentali gravi in cura presso i Centri di Salute mentale la popolazione dei ricoverati in Opg presenta condizioni di maggiore marginalità e una più elevata comorbilità con malattie fisiche. Oltre il 50% dei partecipanti ha una diagnosi di schizofrenia o altro disturbo psicotico. I disturbi di personalità rappresentano circa il 20% delle diagnosi, in aumento rispetto a quanto osservato in precedenti indagini. L'eventualità che il reato commesso sia la prima manifestazione di un disturbo psichiatrico è poco frequente: la durata media di malattia dei ricoverati è superiore ai 18 anni, ben il 75% dei pazienti aveva effettuato precedenti trattamenti per un disturbo mentale nel passato e oltre il 60% aveva avuto contatti, spesso problematici (il 30% del campione ha effettuato almeno un ricovero in regime di Tso), con i Dipartimenti di salute mentale. Suscita preoccupazione il dato relativo all'intensità dei trattamenti riabilitativi disponibili nel contesto dell'OPG (pur con differenze significative fra le diverse strutture): il 17% dei pazienti non ha effettuato neppure un'ora di riabilitazione nell'ultimo mese e solo il 15% circa è stato coinvolto in un'attività riabilitativa per almeno 8 ore settimanali. La maggior parte dei pazienti è in contatto con i propri familiari, ma più del 45% dei ricoverati non ha ricevuto neppure una visita nell'ultimo mese. Più di un terzo dei partecipanti ha commesso reati gravi contro la persona. La durata media del ricovero in OPG è risultata pari a 2,9 anni. Il sesso femminile, il reato di omicidio o tentato omicidio, la diagnosi di schizofrenia e la durata di malattia precedente al ricovero in Opg sono le variabili associate a una durata di internamento superiore ai 5 anni, che interessa l'11,7% dei partecipanti. Giustizia: non solo applicare le leggi ma anche farle, tutto il potere ai pm di Francesco Petrelli (Segretario Unione Camere Penali) Il Garantista, 26 maggio 2015 Parrebbe a qualcuno segno di una positiva presenza democratica il fatto che un magistrato offra un contributo alla riforma del processo penale ed alla elaborazione di adeguate ed efficienti norme anti-mafia e anti-corruzione. Ma non è così. Se i magistrati sono soggetti solo alla legge, è proprio perché in questo assoggettamento si è individuata la chiave di volta della loro stessa indipendenza. Oltre questo limite si apre un pericoloso segno di squilibrio istituzionale. Quanta strada ancora ci separa dalla normalità? La varietà delle opinioni è certamente una ricchezza e la contrapposizione ideologica un fatto di vivacità culturale. Ed in un contesto di normalità ogni critica costruttiva dovrebbe essere apprezzata. L'attribuirsi la prerogativa di fare e di disfare quelle stesse leggi che dovrebbero costituire il limite e la garanzia della loro stessa azione diviene un evidente e pericoloso segno di squilibrio istituzionale e di una altrettanto grave alterazione dei rapporti fra il potere giudiziario e il potere legislativo. Ha forse ragione il dottor Gratteri a meravigliarsi del fatto che sino ad un quarto d'ora prima che il neopresidente del Consiglio salisse al Quirinale con i nomi del suo Governo, fosse certa la sua nomina a ministro della Giustizia. Non perché non conoscesse quella regola non scritta consolidata nella nostra costituzione materiale che inibiva ad un magistrato requirente, attivamente impegnato sui diversi fronti giudiziari, di varcare il soglio di via Arenula, ma perché i tempi sembravano maturi, lui che al suo autorevole sponsor, per svecchiare quella regola obsoleta e proiettare nel futuro cielo del Paese le magnifiche sorti e progressive di una nuova era, nella quale la giustizia e la legalità tutta fosse nelle mani della magistratura. Non soltanto la tutela della legalità nelle aule di giustizia, ma la fabbricazione sociale della sua stessa idea, la sua autorevole costruzione nei ministeri, la sua quotidiana applicazione nelle amministrazioni regionali, provinciali e comunali. Come un coltello affondato nel burro di una realtà politico-istituzionale in decozione questa prerogativa di poter insegnare la legalità - quell'idea di legalità - in esclusiva si è spinta in profondità nel corpo sociale senza trovare ostacoli. Anzi! Quando nuove Autorità Nazionali, garanti della sfida alla corruzione, sono state insediate lo si è fatto consegnandole tetragoni a un magistrato. A noti magistrati, senza tentennamenti, sono stati affidati nuovi assessorati alla Legalità, a Roma come altrove, pensando che solo la magistratura e non certo la politica potesse sanare se stessa. La magistratura non si occupa dunque più dì accertare la responsabilità di chi viola la legalità, ma la amministra, ne costruisce e somministra in esclusiva l'immagine sociale, ne pensa i presupposti normativi, forgia gli strumenti ideologici e materiali della sua stessa applicazione. Abbiamo letto nel parere di recente espresso dal Csm aspre critiche sulle nuove norme anti-corruzione, ritenute troppo deboli e del tutto insufficienti, ed abbiamo letto che sarebbe necessaria una "rivoluzione epistemologica" nella riforma del sistema penale. Abbiamo poi appreso dal plenum dello stesso governo autonomo della magistratura che si trattava invece di una buona riforma, equilibrata ed efficiente. Potremmo dire che siamo lieti di questo ripensamento, che rivede una posizione giustizialista, se non fosse che né luna né l'altra opinione ci sembrano rispettose dei compiti assegnati a questo organo autorevole. Il Csm non dovrebbe affatto invadere il campo della politica legislativa del Governo e del Parlamento, non dovrebbe fare campagna elettorale per la propria idea di processo e di legalità, mostrando le sue molteplici facce politiche e correntizie, perdendo con questo la propria autonomia e la propria autorevolezza. La tanto proclamata autoriforma sembra su questi presupposti una impossibile chimera, o peggio una truffa delie etichette. Se davvero si volesse autoriformare il Csm dovrebbe semplicemente ripartire da qui, ripensare i suoi stessi limiti, iniziare richiamando i troppi magistrati insediati nei ministeri, laddove si consuma un'insopportabile contaminazione fra potere giudiziario e potere esecutivo, cambiare subito le regole sulla candidabilità dei magistrati alle elezioni politiche ed amministrative, e richiamare quindi i magistrati dagli assessorati, e farla dunque dentro di sé, quella bella "rivoluzione epistemologica", lasciando riformare ad altri le leggi, applicandole bene, ove possibile, e senza interpretazioni creative. Interpretazioni la cui ondivaga espansione all'interno del nostro sistema penale l'Europa - quella stessa Europa che secondo il dottor Gratteri non dovrebbe "darci lezioni" - ha recentemente censurato. Ma è solo un'utopia. E ancora troppo lunga la strada per la normalità. Ha ragione il dottor Gratteri a meravigliarsi del perché non sia divenuto ministro, avendo chiesto ed ottenuto "carta bianca sulla riforma della giustizia", quando invece la società sembra essersi arresa consegnando di fatto a dieci, cento, mille Gratteri la riforma della giustizia e le sorti della legalità. Giustizia: le sanzioni anticorruzione sembrano sproporzionate, troppi anni di carcere di Andrea R. Castaldo Il Sole 24 Ore, 26 maggio 2015 La legge anticorruzione appena approvata ha inasprito sensibilmente le pene per i reati contro la Pa, per l'associazione mafiosa e per le false comunicazioni sociali. Gli effetti distorsivi di queste sanzioni, tuttavia, non sembrano essere stati considerati adeguatamente. In primo luogo, l'aumento delle pene va sempre calibrato e coordinato con l'insieme dei reati che compongono la legislazione penale. L'importanza del bene giuridico offeso dal reato impone e giustifica una pena proporzionata. Le modifiche della legge anticorruzione, viceversa, falsano il sistema di riferimento, soprattutto in relazione alla pena minima prevista. Qualche esempio contribuisce a chiarirne gli effetti paradossali. La corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio passa dalla forbice di 4-8 a 6-10 anni di reclusione e l'induzione indebita a dare o promettere utilità, fattispecie di incerta applicazione, da 6 a 10 anni e 6 mesi rispetto ai precedenti 3-8. Nella realtà quotidiana, fatta di piccole violazioni, le pene minime saranno sproporzionate in eccesso. Così, il dirigente televisivo che induca la velina a versare denaro a terzi promettendole la parte in uno spettacolo televisivo nella migliore delle ipotesi sarà condannato a 6 anni di reclusione, mentre l'autore di una violenza sessuale se la caverà con la reclusione da 5 a 10 anni. Le sorprese crescono analizzando gli aumenti di pena per l'articolo 416 bis del Codice penale: per capi e promotori il range sanzionatorio è da 12 a 18 anni di reclusione (rispetto ai precedenti 9-14); se l'associazione è armata le pene schizzano dai 15 ai 26 anni (contro i 12-24). Considerando che il reato si configura con la mera esistenza dell'associazione, indipendentemente dalla commissione dei delitti-scopo, e che per l'aggravante è sufficiente la sola disponibilità delle armi, i picchi sanzionatori paiono irrazionali. La rapina, infatti, è punita da 3 a 10 anni di carcere (meno della corruzione propria), nonostante la gravità dell'offesa e la violenza insita nel reato. Addirittura l'omicidio volontario è punito con la pena minima di 21 anni, sicché in astratto il capo-mafia che non commetta alcun reato potrebbe subire una pena maggiore dell'assassino. A stupire e inquietare è l'obiettivo politico dell'inasprimento delle pene e cioè curare la piaga della prescrizione. Un rimedio che rischia di aumentare i danni. La prescrizione matura per un coacervo di ragioni tecnico-procedurali e sostanziali ed è legata all'eccessiva lunghezza delle indagini preliminari, per l'assenza di controlli efficaci sull'operato del pm in termini di durata e selezione dei procedimenti. Ebbene, anziché intervenire sulle cause si ricorre alla scorciatoia di guadagnare tempo innalzando la pena massima. L'esperienza, però, insegna che il giudice, senza la spada di Damocle dell'imminente prescrizione, rallenta le udienze e la trattazione del processo, allungandone la definizione. Giustizia: Equitalia allerta la Consulta "la sentenza sull'aggio può costare 2,5 miliardi" di Liana Milella La Repubblica, 26 maggio 2015 Un buco da 2,5 miliardi di euro. Con "conseguenze devastanti sul bilancio di Equitalia". Conseguenze che "si ripercuoterebbero in definitiva sull'intero bilancio dello Stato, trattandosi di una società a totale capitale pubblico". Firmato, Equitalia Nord. Destinataria la Corte costituzionale. Allarme protocollato il 5 maggio, appena sei giorni dopo l'ormai famosa sentenza della Consulta sulle pensioni. Al contrario del Ministero dell'Economia, Equitalia non si fa prendere in contropiede. In vista dell'udienza pubblica, che si svolgerà stamattina, e della decisione sul ricorso delle commissioni tributarie di Torino e Latina contro il calcolo dell'aggio sulle riscossioni, che potrebbe anche essere di inammissibilità, Equitalia aggiorna la sua memoria di due anni prima e lancia l'allarme sul potenziale "buco" che una sentenza favorevole ai ricorrenti potrebbe provocare. Quando ancora la polemica sui dati delle pensioni non è ancora esplosa, e né il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, né il presidente delle Consulta Alessandro Criscuolo si sono sfidati a fioretto sulla questione, Equitalia invece si copre le spalle. Intuisce che un'eventuale decisione della Consulta favorevole ai ricorrenti avrebbe effetti "devastanti" su suoi conti e cerca di correre ai ripari. Può farlo perché, contro i ricorsi, si è ufficialmente costituita in giudizio. Quindi può argomentare direttamente con la Consulta. Cosa che invece il Mef non avrebbe potuto fare visto che il suo "avvocato" era l'Avvocatura dello Stato, alla quale però non risulta che il Mef abbia inviato documentazione sugli effetti "devastanti" del buco sulle pensioni. Tant'è. Equitalia Nord, che affronta il ricorso di Torino, innanzitutto si premunisce in caso di possibile sconfitta e chiede "quantomeno una limitazione della retroattività degli effetti della declaratoria di incostituzionalità della norma censurata". Si copre le spalle con l'altrettanto ormai famosa sentenza sulla Robin tax, la 10 del febbraio di quest'anno, in cui non si riconosce la retroattività del rimborso. Scrive Equitalia, nella memoria che fa parte del fascicolo d'udienza della Consulta e che oggi sarà sul tavolo dei 12 giudici presenti, che "la recente giurisprudenza costituzionale ha valorizzato "le esigenze dettate dal ragionevole bilanciamento tra i diritti e i principi costituzionali"". Si sta parlando dell'articolo 81 della Costituzione che stabilisce il principio del pareggio del bilancio. A questo punto Equitalia annuncia gli "effetti devastanti" per i suoi conti e quantifica il possibile buco in 2,5 miliardi di euro. È tutto da vedere se oggi, dopo l'udienza pubblica, la Corte entrerà nel merito delle questioni di costituzionalità sollevate, il 18 dicembre 2012, dalla commissione tributaria di Torino, su ricorso di Stefano Longhi, che aveva impugnato la sua cartella di pagamento, e da Latina il 29 gennaio 2013, stavolta per il ricorso di Anna Cacciotti. Questioni identiche. Di mezzo le norme che, in tre provvedimenti legislativi (1999, 2008, 2009), fissano l'aggio in misura fissa, sganciato dai costi del servizio. Negli ambienti della Consulta si può cogliere un certo scetticismo sui ricorsi privi, a quanto pare, di dettagli sufficienti. Ma il dato rilevante è che, anche stavolta come per le pensioni, a trattare il caso saranno 12 giudici sull'organico previsto di 15. Non presiede Criscuolo, fuori Roma per un impegno internazionale. Al suo posto ci sarà la vice presidente Marta Cartabia, allieva dell'ex presidente della Corte Valerio Onida, una delle sei alte toghe che ha votato contro la bocciatura della legge Monti sulle pensioni. Ma la novità, stavolta, è che Equitalia ha messo sul piatto ufficialmente il nodo tra decisione costituzionale sul caso in questione e la compatibilità degli effetti sui conti dello Stato. Abbiano ragione o torto i ricorrenti di Torino e Latina, il caso sta tutto in questo perimetro stretto. Giustizia: spese pazze nei tribunali, così il governo li "commissaria" di Luca Fazzo Il Giornale, 26 maggio 2015 Ci sono sedi che spendono cinque volte più di altre. Adesso la gestione passerà dai Comuni allo Stato. Milano ironizza: "Aspetteremo l'idraulico da Roma". Far funzionare la giustizia a Bologna costa quasi il doppio che a Firenze. Tenere aperto il tribunale di Sassari costa il triplo che mantenere quello di Trento. La corte d'appello di Messina va avanti con metà degli euro che servono a quella prospiciente di Reggio Calabria, e con un quinto del denaro che inghiotte ogni anno, cento chilometri più in giù, il distretto giudiziario di Catania. Com'è possibile? Mistero, anche se si può stare certi che ognuno dei tribunali spendaccioni avrà pronta una sua spiegazione. Ma il dato di fatto è che nelle tabelle diramate ieri dal ministero della Giustizia emerge un affresco surreale delle spese che ogni anno mantengono in vita l'apparato giudiziario: le spese correnti, quelle per il riscaldamento, i telefoni, la vigilanza privata agli ingressi. Un buco senza fine cui solo di recente il ministero ha deciso di prendere in mano il controllo. Finora (con l'eccezione di Roma e Napoli, già gestite direttamente dal ministero della Giustizia) i palazzi di giustizia vengono mantenuti dai Comuni, che poi si rivalgono sulle casse di via Arenula. E il documento diramato dallo staff del ministro Andrea Orlando rende conto di come sono stati distribuiti i 58 milioni di euro che il governo ha versato ai Comuni per rimborsare una prima tranche, il 70 per cento, delle spese sostenute nell'arco del 2013. La distribuzione riguarda sia i capoluoghi più grossi, che sono sedi di Corti d'appello (e qui il più costoso è Milano, con i suoi 4,7 milioni), sia i Comuni dove c'è solo un tribunale o un giudice di pace, nonché quelli che ospitavano sedi giudiziarie soppresse recentemente da Renzi nella spending review : ed è un piccolo viaggio nella giustizia di paese, dove si apprende che a Silandro, in Alto Adige, c'era una sede staccata che riusciva a stare aperta con 512 euro l'anno, meno di due euro al giorno; o che la vita quotidiana della giustizia a Foligno costava, chissà perché, 37 volte più che nella vicina Città di Castello. Insomma, un marasma dove accade che il più costoso d'Italia sia il tribunale di Agrigento, e che il suo funzionamento costi il quintuplo di quello di Varese, che ha il doppio di abitanti. È per mettere sotto controllo questo andazzo che il ministero ha deciso di accentrare dal prossimo settembre la gestione delle spese di funzionamento dei palazzi di giustizia. La decisione di Orlando ha sollevato le ire di molte toghe: a Milano si sono addirittura riuniti in assemblea per protesta, "adesso se si rompe un tubo dovremo aspettare l'idraulico da Roma". Ma è un dato oggettivo che le spese per la giustizia erano quasi ovunque fuori da ogni controllo, anche perché la Corte dei Conti, molto e giustamente solerte nel fare le pulci alle spese dei politici, quando si tratta di affari che riguardano altri magistrati è assai più lenta. Tanto per restare a Milano, le denunce sullo sperpero di fondi Expo avvenuto in tribunale sono rimaste senza conseguenze, e lo stesso è accaduto all'esposto della Procura generale sulla folle cifra investita per costruire una nuova aula bunker davanti al carcere di Opera, incompiuta dopo oltre sedici anni. Giustizia: allarme da Telefono Azzurro il "numero verde" per bambini rischia di chiudere di Paolo Martone La Stampa, 26 maggio 2015 La Commissione Juncker a febbraio ha tagliato i fondi. Altrove in Europa i governi sono subentrati per garantire il servizio, in Italia non ancora. Caffo (presidente Telefono Azzurro): "Dalla politica solidarietà solo a parole". Lo spettro della chiusura (e della sparizione), per chi le sparizioni (in questo caso di bambini) fa di tutto per evitarle. Il 116.000 è il numero unico europeo per i bambini scomparsi, gestito in Italia da Telefono Azzurro, e da febbraio è senza fondi dopo i tagli effettuati dalla Commissione Europea. Negli altri Paesi dell'Ue i governi sono subentrati alla Commissione garantendo i soldi per la sua sopravvivenza, in Italia no. C'è una trattativa in corso con il ministero dell'Interno, ma la situazione è di stallo. Ernesto Caffo, presidente di Telefono Azzurro, in occasione della Giornata internazionale dei bambini scomparsi non ha nascosto la delusione: "Da parte del Governo e della politica c'è stata una solidarietà a parole, per cui al momento non c'è una soluzione". Per sopravvivere ci sarebbe bisogno di 250.000 euro all'anno, una cifra non certo esorbitante tenendo soprattutto conto della missione umanitaria che svolge. "Ogni anno nel mondo spariscono 8 milioni di bambini; in Europa 270 mila, cioè uno ogni due minuti - spiega Caffo - in Italia dal maggio 2009 ad aprile 2015 il numero 116.000 ha gestito 610 casi di bambini spariti. Nel 38% dei casi si trattava di fughe da casa, nel 31% di fughe da istituti, nel 10% di sottrazioni internazionali, nel 6% di minori stranieri non accompagnati". Nel 2014 in Europa la linea 116.000 ha gestito 6.119 casi di bambini scomparsi. È gratuita e raggiungibile da telefonia fissa e mobile. Telefono Azzurro, in collaborazione con la federazione Missing Children Europe, ha lanciato oggi la campagna "#Salvail116.000, salva un bambino", "per poter continuare a garantire un servizio essenziale". Le richieste di soccorso sono in crescita, e in Italia ogni anno oltre cento bambini spariscono nel nulla. La onlus Telefono Azzurro soffre (come tutti) la crisi economica: le donazioni dei privati sono diminuite rispetto al passato, proprio mentre l'evoluzione tecnologica richiede un servizio sempre più all'avanguardia. Come funziona il 116.000. Il suo compito è quello di rispondere 24h su 24 alle segnalazioni provenienti dal territorio nazionale relativamente a situazioni di scomparsa di minori e supportare le indagini delle autorità competenti attraverso accordi e procedure operative che Telefono Azzurro ha definito e condiviso con le Forze di Polizia. Una volta raccolte le informazioni necessarie, una banca dati con l'indicazione delle Forze di Polizia competenti territorialmente consente di inoltrare tempestivamente le segnalazioni ricevute ai nodi competenti a livello locale della Polizia di Stato e dell'Arma dei Carabinieri attraverso un contatto telefonico e un messaggio di posta elettronica che parte in automatico dopo la compilazione della scheda informatizzata di raccolta dati. Il servizio 116.000 nasce anche con l'obiettivo di creare una rete di intervento sinergica fra i diversi servizi negli Stati membri al fine di agevolare le possibilità di intervento e il ritrovamento dei bambini scomparsi. Giustizia: Telefono Azzurro; "Missing Children's Day", rompere silenzio dell'abbandono di Elena Leoparco helpconsumatori.it, 26 maggio 2015 Ci sono 8 milioni di bambini nel mondo che non fanno rumore. Non gridano, non giocano, non parlano. Non fanno niente di tutto quello che i bambini di solito fanno per il semplice fatto che non esistono: nessuno sa chi sono, dove sono e cosa fanno. Sono i minori non accompagnati, scomparsi o sfruttati ai quali oggi, in occasione della Giornata internazionale "Missing Children's Day", Telefono Azzurro ha voluto dare attenzione. "Per rompere quel silenzio che condanna all'oblio e all'abbandono e per prendere coscienza che si tratta di un fenomeno sommerso, socialmente rilevante ed estremamente difficile da monitorare", dice il Presidente dell'associazione, Ernesto Caffo. Si stima che in Europa i bambini scomparsi ogni anno siano 250.000 e le cifre che riguardano il nostro Paese non sono più confortanti: 9.075 il numero dei minori non accompagnati (Msna) presenti nell'ultima rilevazione del Ministero dell'Interno a fine 2014. "Il fenomeno dei bambini scomparsi, dei Msna e dei bambini sfruttati non può più essere considerato marginale", spiega il Professor Giuseppe Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale, "soprattutto alla luce delle consistenti migrazioni internazionali che interessano ormai pesantemente anche l'Europa e in particolar modo l'Italia", e continua aggiungendo che "occorre un cambiamento giuridico e-culturale della percezione del bambini nell'ambito di menomi come quello migratorio. Bisogna arrivare a capire che i bambini hanno pari dignità e diritti degli altri individui per il semplice fatto che sono soggetti in evoluzione e formazione continua ai quali vanno date le giuste opportunità". Sulla stessa linea di opinione anche Giuseppe Magno, magistrato e membro del consiglio direttivo di Telefono Azzurro, il quale ribadisce il preambolo fondante della convenzione di New York sui diritti dell'infanzia "se è vero che i bambini hanno diritto ad uno sviluppo armonico della loro personalità, allora garantire questo sviluppo vuol dire poter disporre in futuro di risorse maggiori per la società". Cosa si può fare per dare compimento a questa disposizione generale? "Innanzitutto non si può continuare a considerare i minori non accompagnati come semplici richiedenti asilo. Si tratta di individui che hanno bisogno di ben altro tipo di trattamento", afferma ancora Magno. Nel 2014 il numero di richieste d'asilo avanzate da minori in Italia è stato di 23.075, di queste 2.240 provenienti da minori di 14 anni. Il numero unico internazionale 116.000, attivo in Europa in 29 paesi, è uno strumento efficace per gestire situazioni di minori che per varie ragioni sono lontani dalla loro dimora abituale. Dal 2012 i contatti ricevuti in tutta Europa sono aumentati sensibilmente (+21% solo nell'ultimo anno) e, per il 25% delle volte, si tratta di casi cross-border in cui è fondamentale poter contare sul supporto di altri paesi. Il fenomeno è in evoluzione e mentre in passato i casi gestiti riguardavano per la maggior parte allontanamenti (volontari e non) oggi, sempre più di frequente si ha a che fare con tratta e sfruttamento. "Le migrazioni internazionali non fanno che acuire il dramma", sottolinea Mon. Marcello Sànchez Sorono della Pontificia Accademia delle Scienze, "molti bambini perdono la vita durante il viaggio, altri sono tenuti in condizioni disumane ancora prima di avere il permesso di partire, altri ancora appena giunti a destinazione dopo un viaggio estenuante segnato da paura e insicurezza, sono detenuti come fossero criminali. Una vera e propria nuova Strage degli Innocenti". "Occorre perciò dare risposte concrete", conclude Caffo "passando dalla prospettiva meramente emergenziale in cui abbiamo agito fino ad ora ad un'azione basata sul coordinamento a livello territoriale e di monitoraggio, nonché di un migliore uso delle tecnologie a disposizione". Giustizia: appalti, il Consiglio di Stato respinge i ricorsi che superano le 30 pagine di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 26 maggio 2015 Un limite ai ricorsi amministrativi. Almeno quantitativi. A porli è il decreto 40/2015con cui il Consiglio di Stato (ma a prevederlo era stata la legge "del fare") ha scandito i limiti di pagine cui devono sottostare le contestazioni a Tar e Consiglio stesso in materia di appalti. Il provvedimento, la data è di ieri, delimita innanzitutto l'area di applicazione dei paletti che dovranno essere rispettati da parte degli avvocati nella redazione degli atti: gli appalti appunto. A seguire vengono scanditi i limiti di pagine da rispettare. Cosa succede, però, se questi limiti non vengono rispettati? Il decreto non lo dice e per capirlo bisogna fare riferimento a una disposizione che già era stata contestata da parte dell'avvocatura (sul punto critici, per la violazione al diritto di difesa, sia il Cnf sia l'Unione nazionale degli avvocati amministrativisti), l'articolo 40 del decreto legge n. 90 del 2014. Testuale: "Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti; il mancato esame delle suddette questioni costituisce motivo di appello avverso la sentenza di primo grado e di revocazione della sentenza di appello". A prima lettura così appare evidente come la penalizzazione per il mancato rispetto dei vincoli sul numero di pagine sia rappresentato dal possibile mancato esame delle ragioni contenute nelle pagine in eccesso da parte dell'autorità giudiziaria. Senza che, in questo caso, venga dalla legge riconosciuto il mancato esame come un motivo di impugnazione da fare valere nei gradi successivi di giudizio. Quanto ai limiti introdotti dal decreto che è destinato a rappresentare un punto di riferimento ineludibile (a meno di future censure da parte della Corte costituzionale) va innanzitutto sottolineato come "le dimensioni dell'atto introduttivo del giudizio, del ricorso incidentale, dei motivi aggiunti, degli atti di impugnazione principale ed incidentale della pronuncia di primo grado, della revocazione e dell'opposizione di terzo proposti avverso la sentenza di secondo grado, dell'atto di costituzione, delle memorie e di ogni altro atto difensivo non espressamente disciplinato dai numeri seguenti, sono contenute, per ciascuno di tali atti, nel numero massimo di 30 pagine". Le domande per l'applicazione di misure cautelari devono essere contenute entro le 10 pagine , mentre lo stesso limite deve essere rispettato per la richiesta di misure cautelari e per le memorie di replica. Si può sforare dai limiti indicati? Sì, ammette il decreto, quando la controversia presenta questioni tecniche, giuridiche o di fatto particolarmente complesse oppure riguarda interessi sostanziali di particolare rilievo anche economico. In questa prospettiva vengono valutati, a titolo di esempio, il valore della causa, comunque non inferiore a 50.000.000 euro, determinato secondo i criteri relativi al contributo unificato, il numero e l'ampiezza degli atti e provvedimenti effettivamente impugnati, la dimensione della sentenza impugnata, l'esigenza di riproposizione di motivi dichiarati assorbiti oppure di domande od eccezioni non esaminate, la necessità di dedurre distintamente motivi di natura diversa. Giustizia: si apre oggi a Milano l'appello-bis per la strage di Brescia, del 28 maggio 1974 di Saverio Ferrari Il Manifesto, 26 maggio 2015 Si apre oggi al tribunale di Milano l'appello-bis per la strage (8 morti e quasi un centinaio di feriti) di piazza delle Loggia del 28 maggio 1974 a Brescia. Una delle ultime tappe di un iter giudiziario lungo, tortuoso e complicato, come nella peggiore tradizione della storia delle stragi in Italia, da piazza Fontana alla stazione di Bologna, dal 1969 al 1980. Poi bisognerà solo attendere il sigillo della cassazione. Sarà comunque certamente l'ultimo processo della strategia della tensione. Con l'accusa di concorso in strage, il 4 ottobre 2007, la procura di Brescia chiese il rinvio a giudizio di Delfo Zorzi, all'epoca a capo della cellula di Ordine nuovo di Mestre, oggi cittadino giapponese, condannato all'ergastolo in primo grado per la strage di piazza Fontana, poi assolto; di Carlo Maria Maggi, il "reggente" di Ordine nuovo nel Triveneto, processato, senza esito, per la strage del 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell'Agricoltura e per quella davanti alla Questura di Milano del 17 maggio 1973; di Maurizio Tramonte, l'informatore del Sid; di Pino Rauti, il fondatore di Ordine nuovo; dell'ex generale dei carabinieri Francesco Delfino, comandante all'epoca del Nucleo investigativo di Brescia, e, infine, di Giovanni Maifredi, già coinvolto nelle vicende eversive del Mar di Fumagalli, infiltrato, secondo gli inquirenti, dallo stesso Delfino negli ambienti della destra eversiva. Carlo Digilio, l'"armiere" del gruppo e depositario di tutti i segreti della struttura clandestina dell'organizzazione, i cui interrogatori avevano consentito di riaprire l'inchiesta, non poté figurare tra gli imputati, essendo deceduto nel 2005, il 12 dicembre, vuole il caso, esattamente alla stessa data e ora della strage di piazza Fontana, 36 anni dopo. Secondo Carlo Digilio a fornire l'esplosivo (in una valigetta con una bomba di 14 candelotti già approntata per lo scoppio) sarebbe stato Delfo Zorzi, su ordine di Carlo Maria Maggi, prelevandolo da un deposito nei pressi di Spinea. Marcello Soffiati, capocellula di Ordine nuovo di Verona, deceduto anni fa, lo avrebbe trasportato. Lo stesso Digilio, in via Stella a Verona, nell'abitazione di Soffiati, si sarebbe occupato di mettere l'ordigno "in sicurezza", impedendo che deflagrasse inavvertitamente lungo il tragitto verso Milano dove fu consegnato alle Sam (Squadre d'azione Mussolini) di Giancarlo Esposti, materialmente incaricate di compiere la strage Maurizio Tramonte, dal canto suo, riferì, invece, come fossero stati approntati due ordigni, utilizzando gli stessi timer residui della partita acquistata per la strage di piazza Fontana. Le bombe furono poi consegnate a Ermanno Buzzi e da questi a Giovanni Melioli, della cellula di Ordine nuovo di Rovigo, che si offrì volontario per collocare una di queste nel cestino porta rifiuti di piazza della Loggia a Brescia. Due ricostruzioni diverse ma assolutamente convergenti nel coinvolgere Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Marcello Soffiati nell'organizzazione della strage, con la movimentazione da parte degli stessi, nei giorni immediatamente precedenti, di ordigni preparati a questo scopo. Una assise "scomoda" In queste deposizioni riaffiorò nuovamente la figura di Ermanno Buzzi, condannato all'ergastolo nel primo processo, poi assassinato nell'aprile del 1981 dai terroristi neri Pier Luigi Concutelli e Mario Tuti alla vigilia dell'appello, nel carcere di Novara, per il timore che parlasse. Un personaggio indicato per anni come un semplice delinquente comune, mitomane e pedofilo, in realtà ben inserito negli ambienti del neofascismo. Nella ricostruzione operata dai pm, Francesco Delfino sapeva dei preparativi della strage e non la impedì, mentre Giovanni Maifredi avrebbe avuto per qualche giorno la disponibilità dell'ordigno. Il nuovo processo si protrasse per ben due anni, con 150 udienze, 422 testi sentiti in aula e 669 altre testimonianze acquisite. Nel pieno del suo svolgimento venne meno uno dei sei imputati, Giovanni Maifredi, detto "Gianni il genovese", ormai settantenne, ex guardaspalle e addestratore militare di giovani neofascisti. Nella sua requisitoria il pm Roberto Di Martino definì il processo "scomodo", evidenziando il "disinteresse delle istituzioni e dei media nazionali, al di là dei giornali locali". "Questo è un processo", disse, "che non piace, perché sono emerse cose che danno fastidio, cose che mettono in cattiva luce le istituzioni di allora. Ne esce un'immagine abbastanza sconcertante: non c'è uomo dell'eversione di destra che non avesse un referente nei servizi segreti". "Le istituzioni", queste le conclusioni, "hanno fatto fare il lavoro sporco ai servizi segreti che a loro volta lo hanno fatto fare agli eversori di destra". Il processo si concluse il 16 novembre 2010 con l'assoluzione di tutti i cinque imputati in base all'articolo 530 comma 2 assimilabile alla vecchia assoluzione per insufficienza di prove. La sentenza venne confermata in appello il 14 aprile 2012?.Il presidente della corte, Enzo Platè, beffa finale, condannò i familiari delle vittime al pagamento delle spese processuali, come già avvenne nell'ultimo processo per la strage di piazza Fontana. Motivazioni illogiche La Corte di cassazione il 21 febbraio 2014 valutò con parole durissime, l'operato dei giudici di secondo grado, definendo la sentenza mossa da "un ipergarantismo distorsivo della logica e del senso comune", oltre che da "un'esasperata opera di segmentazione del quadro complessivo", tesa "alla ricerca ogni volta di un possibile ma improbabile significato", spesso "astruso". In particolare ritenne che su Maggi si fosse proceduto in modo "ingiustificabile", attraverso "una valutazione parcellizzata ed atomistica degli indizi, presi in considerazione uno ad uno e scartati nella loro potenzialità dimostrativa, senza una più ampia e completa valutazione". "Moltissimi", di contro, gli "indizi che paiono essere convergenti verso un ruolo determinante nell'organizzazione della strage". La cassazione "riabilitò" anche la figura di Carlo Digilio "ritenuto significativamente credibile dai giudici di primo grado (per le stragi di piazza Fontana e di via Fatebenefratelli), cioè da quei giudici che avevano avuto la possibilità di conoscerlo e interrogarlo", valutazione "puntualmente ribaltata in secondo grado, senza che egli sia stato risentito". "Tutto ciò", queste le conclusioni, "non può che lasciare perplessi alla luce della recente giurisprudenza della corte europea dei diritti dell'uomo". Da qui, l'accoglimento parziale del ricorso del procuratore generale della Corte d'appello di Brescia, relativamente a Maggi e Tramonte, e la necessità di un nuovo processo. Ancora Ordine nuovo Mentre scriviamo sono ancora in corso atti investigativi con perquisizioni e interrogatori. Il tutto originato dalle dichiarazioni di Giampaolo Stimamiglio, negli anni Sessanta legato a Ordine nuovo di Verona. Nel 2011 Giampaolo Stimamiglio rilasciò anche alcune dichiarazioni al pm Francesco Piantoni sulla strage di piazza della Loggia. Il 27 aprile dello stesso anno sul registro degli indagati, finirono a quel punto due persone, il mantovano Roberto Besutti, ormai deceduto, ex di Ordine nuovo, e Marco Toffaloni, all'epoca della strage quasi diciassettenne, che avrebbe confidato proprio a Stimamiglio di aver avuto un ruolo "non marginale" il 28 maggio 1974. "Mi raccontò", questa la sua testimonianza, "che la mattina dell'esplosione della bomba si trovava in piazza Loggia". A occuparsi di questo stralcio d'inchiesta è ora la procura dei minori di Brescia. Oggi Toffaloni ha cambiato nome e vive in Svizzera, a Schaffhausen. La nuova inchiesta ruoterebbe ancora una volta attorno a Ordine nuovo e nello specifico ad alcune sette esoteriche di ispirazione nazista nonché di stampo provocatorio legate alla stessa organizzazione, come le cosiddette Ronde pirogene antidemocratiche e i Nuclei sconvolti per la sovversione urbana, attive ancora negli anni Ottanta. Sullo sfondo anche i contatti con Ludwig, il gruppo neonazista di Wolfgang Abel e Marco Furlan, ritenuti materialmente responsabili di almeno dieci dei 28 delitti rivendicati da questa sigla tra il 1977 e il 1984, e con la setta esoterica Ananada Marga (nel suo simbolo anche una svastica), approdata a Verona tra il 1974 e il 1975. A interessare la procura dei minori è ora in particolare la fotografia di un giovane scattata in piazza Loggia poco dopo la strage. Seconda una consulenza antropologica si potrebbe trattare proprio di Marco Toffaloni. Da qui alcune perquisizioni, nel marzo 2015, tra Brescia, Verona e Bologna, alla ricerca di sue fotografie, al tempo della strage quando frequentava il liceo. Lazio: Cangemi (Ncd); si ritarda su nomina Garante detenuti, Zingaretti spieghi il perché Askanews, 26 maggio 2015 "Il Garante per i detenuti del Lazio è scaduto da un pezzo e ancora non si procede alla nuova nomina. Non si capisce cosa stiamo aspettando per poter votare in Consiglio una figura importante per le politiche carcerarie. Zingaretti spieghi i motivi di questo assurdo ritardo, o dietro questa attesa si nasconde qualcos'altro?" Così Giuseppe Cangemi, consigliere Ncd della Regione Lazio. "Ad oggi, dalla pubblicazione dell'avviso pubblico per il nuovo Garante non è dato sapere quali nominativi siano pervenuti al Consiglio regionale, che pure vorremmo conoscere visto che saremo chiamati ad esprimerci in aula. Invece regna il mistero più fitto e non vorremmo trovarci di fronte all'ennesima operazione di spartizione partitica per fare posto a qualche altro trombato della politica o che anche la scelta del Garante per i detenuti sia finito nel tritacarne delle correnti che stanno flagellando la maggioranza di governo nella Regione Lazio" ha concluso. Abruzzo: Garante detenuti, il Consiglio regionale torna a parlare del bando per nomina Ansa, 26 maggio 2015 Sarà portato oggi, martedì 26 maggio, all'esame dei capigruppo in Consiglio regionale il bando che riapre i termini per la nomina del Garante dei detenuti in Abruzzo. Lo ha confermato il presidente del Consiglio, Giuseppe Di Pangrazio, a Teramo nella conferenza stampa organizzata da Amnistia Giustizie e Libertà alla quale hanno partecipato il leader dei radicali italiani, Marco Pannella, e l'onorevole Rita Bernardini. Proprio i rappresentanti di Agl Abruzzi hanno fatto sì che in Regione si tornasse a parlare della legge istitutiva approvata nel 2011 (n.35) su iniziativa degli allora consiglieri Antonio Saia (Comunisti italiani) e Maurizio Acerbo (Rifondazione comunista). Uno degli attivisti, Ariberto Grifoni, ha smesso nel fine settimana uno sciopero della fame iniziato l'8 maggio scorso e interrotto proprio alla notizia che Di Pangrazio avrebbe preso l'iniziativa di avviare la procedura del bando. Il rappresentante del Governo regionale, riconoscendo lo stimolo svolto dalla lotta non violenta dei radicali abruzzesi, ha spiegato di aver avviato attraverso l'ufficio di presidenza l'iter che porterà domani in conferenza dei capigruppo, che valuterà se il bando, come approntato nel 2011, abbia ancora validità o non abbia bisogno di modifiche, per poi riaprire una finestra di 20 giorni e accogliere eventuali nuovi curricula. Poi si procederà all'elezione del garante e all'istituzione del suo ufficio per tutte le attività di competenza. Alla conferenza stampa erano presenti anche gli ex consiglieri regionali Riccardo Chiavaroli e Maurizio Acerbo. Quest'ultimo - tra i proponenti della legge approvata che intendeva individuare una figura di raccordo tra la realtà detentiva delle carceri e le istituzioni - ha raccomandato di evitare un'individuazione del garante "che passi attraverso la consueta lottizzazione partitocratica" e ha plaudito all'intenzione del governatore, Luciano D'Alfonso, di individuare quale Garante in Abruzzo la parlamentare radicale Rita Bernardini, indicata da più parti come la candidata favorita. Pannella ha ringraziato il presidente Di Pangrazio per aver raccolto lo stimolo dei radicali, auspicando che non si registrino più ritardi come colpevolmente la politica locale ha messo in atto finora su questo fronte. Calabria: Uil-Pa; nelle carceri preoccupante peggioramento sul fronte della sorveglianza quicosenza.it, 26 maggio 2015 Mentre il resto dei penitenziari italiani pare registrare un miglioramento delle condizioni detentive, la Calabria, in controtendenza, registra una disdicevole involuzione. "Quella che a Roma è stata battezzata con lo slogan "Rivoluzione normale" e che doveva tradursi in un miglioramento dello stato della detenzione e delle condizioni di lavoro per la Polizia penitenziaria anche a seguito delle censure mosse dalla Cedu, in Calabria si è tramutata in un' "Involuzione eccezionale". È quanto afferma Gennarino De Fazio, Segretario Nazionale della Uil-pa Penitenziari, che spiega: "mentre si dichiara che i detenuti vengono "aperti" per molte ore al giorno nella realtà vengono "rinchiusi" all'aperto (passeggi) o comunque in altri spazi comuni sempre sotto stretta sorveglianza statica che prevede la costante presenza fisica della Polizia penitenziaria. Nessun accenno, fatte salve forse un paio di sparute eccezioni che confermano la regola, a moderni modelli di sorveglianza "dinamici" che deflazionino i carichi di lavoro degli operatori anche con il ricorso a sistemi di controllo remoto. Così le direttive centrali continuano a rimanere profondamente inattuate e si registra il paradosso per il quale gli organici sono formalmente in esubero, ma pur con il cospicuo invio di rinforzi da fuori regione e la dismissione della Casa Circondariale di Lamezia Terme i carichi di lavoro, che prevedono anche straordinario programmato, sono divenuti insopportabili ed i diritti degli Agenti penitenziari costantemente compressi e mortificati, quando non addirittura negati. Delle due l'una: o la quasi totalità dei dirigenti penitenziari ed il provveditore regionale della Calabria sono incapaci o riluttanti nello gestire le risorse umane messe loro a disposizione secondo le direttive impartite o le piante organiche della Calabria e le consequenziali istruzioni diramate sono gravemente errate". "Peraltro, - prosegue De Fazio - mentre le relazioni sindacali intrattenute dal Provveditore regionale in missione, Salvatore Acerra, sono da sempre a dir poco scadenti, fa specie apprendere che presso la Casa Circondariale di Vibo Valentia, per come dichiarato dal Direttore, non è stato possibile rivedere l'organizzazione del lavoro e contrattare con il Sindacato l'articolazione dei turni di servizio per il mancato assenso degli uffici superiori. Per queste e per altre ragioni - conclude il segretario nazionale della Uil-Pa Penitenziari - ho inviato in data odierna una nota al capo del Dap, Santi Consolo, e ad altri dirigenti dipartimentali per descrivere nuovamente la situazione contingente ed invitarli a farsi concretamente carico di quanto denunciato anche attraverso l'offerta di documentazione probante e ad intervenire con celerità affinché in Calabria si ripristino condizioni di legittimità per quel che concerne l'organizzazione dei servizi della Polizia penitenziaria, ponendo altresì fine alla costante promanazione di segnali e atti deleteriamente contraddittori che disorientano il personale dipendente e sviliscono la stessa azione amministrativa nel perseguimento dei preminenti interessi della collettività". Cagliari: Caligaris (Sdr); l'Asl 8 istituisce struttura semplice per "tutela salute in carcere" Ristretti Orizzonti, 26 maggio 2015 "Primo concreto passo dell'azienda sanitaria locale n. 8 di Cagliari per favorire e rendere efficiente la sanità penitenziaria nelle strutture detentive di Uta, Isili e nell'Istituto per Minori di Quartucciu. Con una delibera del Commissario Straordinario Savina Ortu è stata infatti istituita la struttura semplice "Tutela della salute in carcere" nell'ambito della Direzione Generale aziendale attivando una selezione interna che permetterà di riorganizzare il delicato settore della medicina penitenziaria dandogli continuità". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme", ricordando che "si tratta della prima attuazione di un provvedimento assunto 3 anni fa e divenuto operativo grazie alla recente autorizzazione della Regione". "La struttura semplice, che non avrà costi aggiuntivi in quanto sostituisce una preesistente attualmente vacante, è finalizzata - precisa Caligaris sottolineando che il documento è stato sottoscritto dai dirigenti amministrativo Antonella Carreras e sanitario Pierpaolo Pani dell'Asl 8 - alla realizzazione di condizioni di protezione della salute dei detenuti e degli internati nonché dei minori sottoposti a provvedimento penale, in collaborazione con gli Istituti penitenziari e i Servizi Minorili. Vi sono comprese anche le funzioni garantite per la cura e la riabilitazione dei detenuti tossicodipendenti e/o alcol dipendenti". "Garantirà altresì il coordinamento organizzativo delle funzioni sanitarie in ambito penitenziario affinché si promuova un percorso omogeneo nella cura dei pazienti detenuti secondo quanto stabilito dalle linee guida regionali e dai relativi atti di coordinamento. Si tratta insomma del primo atto aziendale per favorire una maggiore efficienza degli ambulatori e dei centri di ricovero ubicati nelle carceri. L'istituzione di un Dirigente Medico a tempo indeterminato ed esclusivo per tre anni - conclude la presidente di Sdr - avrà sicuramente degli effetti positivi sull'organizzazione del servizio e sulla qualità delle prestazioni medico-diagnostiche. L'auspicio è che vengano rispettati i tempi e si proceda il più rapidamente possibile per far sì che le persone private della libertà possano fruire effettivamente di livelli di assistenza adeguati ai bisogni". Massa Carrara: troppi detenuti, ma l'ala B rimane chiusa per problemi di burocrazia Il Tirreno, 26 maggio 2015 Due uffici tecnici non riescono a mettersi d'accordo e il taglio del nastro ritarda. Il Sottosegretario Ferri annuncia una visita per sbloccare la situazione. Una diversità di vedute tra uffici tecnici sta bloccando l'inaugurazione dell'ala B del carcere di Massa. Il reparto che darebbe centocinquanta posti in più alla casa circondariale e risolverebbe il problema del sovraffollamento. Non è un ostacolo di poco conto, però. Si tratta di soldi: per un ufficio servono quasi cinquecentomila euro per dare il via libera, nonostante i lavori di ripristino effettuati cinque anni fa circa; per l'altro ufficio invece bastano pochi lavoretti e pochi spiccioli per poter tagliare il nastro. Il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Maria Ferri, è per l'apertura dell'ala, sempre che il ministero non debba accollarsi una spesa folle. Per questo è imminente una sua visita insieme al capo dipartimento amministrazione penitenziaria Sante Consolo, quello a cui spetta l'ultima parola. Insomma, forse ci siamo. Ma è una questione che si trascina da tanto, troppo, tempo. Tra i lavori fatti fare nel carcere di Massa, da quella che era stata definita la cricca degli appalti, questo è quello che non ha visto ancora la luce. Nonostante sopralluoghi positivi e un indiscutibile beneficio che porterebbe ai detenuti. È stato lo stesso ex direttore Salvatore Iodice a porsi la domanda, mentre aspettava la sentenza della corte di appello di Genova: "L'ala B è pronta dal 2013, nonostante questo resta chiusa. Perché?". Perché se lo chiedono un po' tutti, visto che l'opera è stata completata nel 2010 e da allora i muri si sono scrostati e anche le piastrelle di alcuni bagni si stanno staccando. L'ala B, che avrebbe dovuto risolvere i problemi di sovraffollamento della casa circondariale di via Pellegrini, ha superato il collaudo il 24 luglio del 2012. Potrebbe ospitare più di un centinaio di detenuti e che nonostante sia funzionale (come attesta il documento protocollato del provveditorato interregionale delle opere pubbliche di Toscana e Umbria) resta off limits. C'è tutta la storia dell'ala B nella relazione del provveditorato: la consegna dei lavori avveniva il giorno 04 luglio 2006 con riserva riguardante principalmente il rinvenimento di manufatti non previsti all'interno dell'area di sedime dello scavo (vecchia centrale termica obsoleta) per l'esecuzione delle fondazioni, nonché la mancanza di altri (idoneo impianto fognario atto a ricevere le acque reflue) non trascritta nel registro di contabilità e non confermata nello stato finale. Il tempo del cantiere viene fissato in 480 giorni, praticamente un anno e mezzo. E precisamente il time out è il 27 ottobre del 2007. La spesa di poco superiore ai tre milioni. La ditta che si aggiudica l'appalto è la Ibeco costruzioni spa di Roma. Ma poi arrivano le varianti e scoppia il caso appaltopoli e nel 2008 la Ibeco viene costretta ad accettare l'esecuzione dei maggiori lavori senza costi aggiuntivi per l'ente pubblico. Ma la realizzazione dell'opera è un vero calvario, con più di seicento giorni di sospensione divisi in tre episodi caratterizzati da problemi relativi alla sicurezza del cantiere per carenza di personale. In più il provveditorato continua a chiedere migliorie al progetto iniziale e la ditta si impunta, anche perché sa che più di quanto stabilito in partenza non incasserà. Nonostante questo cammino ad ostacoli il 24 novembre del 2009 il cantiere è finito. Tre visite del collegio poi hanno certificato la validità del lavoro eseguito dall'Ibeco, che ha buttato giù la vecchia palazzina, ricostruendola ex novo ampliata. Bollate: ministro Orlando visita Laboratorio di arteterapia per detenuti di Luisa Colombo resegoneonline.it, 26 maggio 2015 "Libertà congelata", questo il titolo dell'esposizione presso il carcere di Bollate curata dall'artista malgratese. Martedì 19 maggio, presso la II Casa di Reclusione di Milano-Bollate, si è svolta la giornata di presentazione degli Stati Generali dell'esecuzione penale che si adopereranno per la realizzazione di un progetto di riforma atto a migliorare le problematiche carcerarie. A questo evento di apertura ha preso parte anche l'ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, con l'invio di un significativo messaggio che ha ricordato come lunga resta la strada per alleggerire il carico complessivo delle pene carcerarie e le condizioni, tuttora talvolta insopportabili, della detenzione in carcere. Al termine della conferenza il Ministro di grazia e Giustizia, Andrea Orlando, accompagnato dal Questore della Camera dei Deputati Stefano Dambruoso, dal Direttore del Carcere Massimo Parisi e altri illustri ospiti, ha visitato il secondo reparto maschile per prendere visione dei risultati del lavoro svolto dalla malgratese Luisa Colombo che da un anno conduce il progetto di arteterapia da lei ideato e condotto, sostenuto dall'On Dambruoso e finanziato dal Parlamento della Legalità di Milano. Il Ministro é stato accolto dalla Colombo e dai detenuti del gruppo di arteterapia che hanno partecipato alla realizzazione di questo progetto dal titolo "Libertà congelata" che ha voluto rappresentare attraverso i dipinti e colori, il percorso che ogni detenuto compie dal giorno del suo ingresso in carcere al giorno del loro rilascio per il reinserimento nella società. Pescara: gli studenti in visita al carcere a conclusione dell'anno scolastico pagineabruzzo.it, 26 maggio 2015 A conclusione dell'anno scolastico che ha visto impegnati diversi Istituti penitenziari e d'istruzione secondaria in reciproci scambi culturali sul tema della legalità e della cittadinanza attiva, l'Ufficio Detenuti e Trattamento del Provveditorato dell'Amministrazione Penitenziaria di Pescara, per iniziativa della Dirigente dott.ssa Fiammetta Trisi, ha ritenuto di valorizzare l'importante lavoro compiuto a livello regionale ospitando il Convegno "Nutrire le Menti, Testimoni del diritto". L'evento suggella un percorso avviato dall'Istituto Comprensivo di Loreto Aprutino, con la Dirigente Scolastica dott.ssa Lorella Romano e dall'Istituto Comprensivo "L. Acquaviva" di Catignano, con il Dirigente Scolastico dott. Carlo Cappello, che ha visto impegnati sessanta alunni di scuola secondaria di primo grado (classi seconda e terza media) nell'approccio a tematiche certamente complesse, come la giustizia, la pena, la funzione rieducativa della detenzione, ma di necessaria conoscenza per ogni giovane cittadino consapevole. Così, dopo aver ‘nutrito le mentì tramite incontri di formazione con esperti e visite didattiche guidate presso la Casa Circondariale di Chieti e la Casa Circondariale di Pescara, nel cui ambito i rispettivi Direttori, dott.ssa Giuseppina Ruggero e dott. Franco Pettinelli, hanno consentito che testimoni del diritto fossero proprio le detenute e i detenuti ivi ospitati, gli studenti coinvolti, con i loro genitori, i professori, gli esperti e i dirigenti si incontreranno nuovamente domani, martedì 26 maggio, per approfondire il senso delle esperienze compiute e delle testimonianze apprese. Ed anche in questa occasione l'Amministrazione Penitenziaria, tramite il Provveditorato, ha voluto offrire agli studenti una piattaforma di active learning, attraverso strumenti esperienziali organizzati per l'occasione: "un assaggio di carcere", ovvero un assaggio del vitto preparato dai detenuti e per i detenuti della Casa Circondariale di Pescara nonché un laboratorio di narrazione/rielaborazione imperniato su una mostra di oggettistica carceraria originale, con materiali, manufatti e documenti storici provenienti dalla Casa Circondariale di Chieti sistematizzati, per l'occasione, dal Comm. Capo di Polizia Penitenziaria i. q. Valentino Di Bartolomeo. Importante sottolineare che la mostra rimarrà aperta alla cittadinanza tutta, con ingresso libero, dalle ore 16:00 alla ore 19:00 dei giorni 27 e 28 maggio in via Alento 76, a Pescara. Enna: iniziativa dell'Onav e della Prefettura, cena di beneficenza per i detenuti indigenti startnews.it, 26 maggio 2015 L'iniziativa ha ricevuto il sostegno, oltre che della prefettura e del prefetto, Fernando Guida, delle associazioni di categoria. Una cena di beneficenza il cui ricavato sarà devoluto al fondo detenuti indigenti gestito dai volontari. "Cena al fresco" è un'iniziativa promossa dalla Prefettura di Enna su proposta dell'Onav, Associazione nazionale assaggiatori di vino di Enna che si terrà nella sala polivalente della Casa Circondariale "Luigi Bodenza" il prossimo mercoledì 27 maggio. "È il nostro contributo ad una realtà sociale dalle tante sfaccettature - dice il delegato Onav Tommaso Scavuzzo - L'iniziativa ha ricevuto il sostegno, oltre che della prefettura e del prefetto, Fernando Guida, delle associazioni di categoria che hanno coinvolto i loro associati dimostrando grande sensibilità e generosità. A tutti loro, oltre che al direttore del carcere ennese Letizia Bellelli che ci ospita, va il nostro grazie". All'iniziativa, infatti, partecipano i rappresentanti dell'Istituto professionale di Stato " Federico II" insieme ad alcuni allievi, della Federazione Cuochi Ennesi, dell'Associazione Pasticceri ennesi e della Fisar, che si sono occupati della formazione dei detenuti con mini corsi di cucina, di pasticceria e di mise en place, e di sommelier, l'Anfe regionale che con gli allievi dei corsi che si tengono all'interno del carcere si è occupata di progettare l'invito, la Coldiretti, la Confartigianato e la Cna che metteranno a disposizione le materie prime per la realizzazione della cena. "È sicuramente un'esperienza per tutti - aggiunge Scavuzzo - perché è un incontro tra il mondo esterno e una parte della popolazione detenuta che porta un messaggio di speranza. E poi c'è anche il coinvolgimento dei giovani allievi dell'Alberghiero, chiamati a servire e cucinare insieme ai reclusi, che faranno una importante esperienza di vita". Grande disponibilità è stata offerta dalle associazioni di categoria che attraverso i loro associati si renderanno partecipi del progetto a fini benefici. La cena sarà realizzata utilizzando prodotti del territorio e dell'entroterra siculo, come chiaro messaggio di valorizzazione delle nostre risorse agroalimentari e sarà allietata dalla musica del maestro violinista Stefano Termini. Reggio Calabria: il libro "arma" di speranza e riflessione, progetto del Rotaract a Palmi cn24tv.it, 26 maggio 2015 In data 23 maggio 2015 si è svolta, all'interno della sala teatro della Casa Circondariale di Palmi, la presentazione dell'iniziativa sociale promossa dal Rotaract Club di Palmi volta alla raccolta ed alla donazione di libri per la biblioteca del penitenziario cittadino. Alla presenza delle autorità civili, religiose e politiche e di una folta rappresentanza di detenuti, dopo i saluti di rito e la conferma che durante la raccolta sono stati donati circa 400 volumi, sono intervenuti i relatori di quello che si è da subito trasformato in un vero e proprio dibattito con i ristretti sul tema giustizia e sul sistema carcerario italiano in genere. I lavori sono iniziati con la presentazione dell'iniziativa, curata dall'Avv. Annamaria Napoli (Presidente del Rotaract Club di Palmi), per poi proseguire con gli interventi della Dott.ssa Maria Grazia Arena (Presidente del Tribunale di Palmi), dell'Avv. Francesco Napoli (Presidente del Consiglio dell'Ordine Avvocati di Palmi), del Dott. Antonio Castellano (Presidente del Rotary Club di Palmi) e di Mons. Silvio Mesiti (cappellano presso la Casa Circondariale di Palmi); a seguire, le relazioni esposte dal Dott. Romolo Pani (Direttore Casa Circondariale di Palmi), dalla Dott.ssa Daniela Tortorella (Magistrato di Sorveglianza presso il Tribunale di Reggio Calabria) e dal noto giornalista e scrittore Pino Aprile, autore tra gli altri di "Terroni" e "Giù al Sud", con la moderazione dell'Avv. Davide Vigna (Penalista, membro della commissione Legalità del Rotaract Club di Palmi). Pesaro: "L'Arte Sprigionata", una manifestazione dove s'incontrano carcere e città pu24.it, 26 maggio 2015 "Dentro la pena, la pena dentro". È prevista per il 3 e 4 giugno prossimi a Pesaro la 12esima edizione de L'Arte Sprigionata, manifestazione che si fa luogo d'incontro tra carcere e città. Durante l'anno detenute e detenuti della casa circondariale di Villa Fastiggi di Pesaro dedicano il loro impegno all'approfondimento di un tema, producono narrazioni, spettacoli teatrali, realizzazioni artistiche e artigianali, poesia, film. Tali attività si svolgono con il contributo di persone della comunità esterna. Vengono poi condivise con la città attraverso un evento che nasce dalla lunga collaborazione tra il carcere e la biblioteca San Giovanni e dalla continua e proficua attenzione dell'Amministrazione comunale, sancita da una convenzione a tre (carcere - Comune - biblioteca) sottoscritta il 18 dicembre 2003 e arricchita di anno in anno di nuovi contenuti. L'edizione 2015 vedrà uscire dal carcere non solo i detenuti ma anche una cella. Sarà, infatti, ricostruita una cella detentiva a dimensioni reali e arredata fedelmente rispetto all'originale, che si potrà visitare. Dopo aver toccato temi come la poesia, il viaggio, i migranti, per fare qualche esempio, l'Arte Sprigionata affronta e propone, quest'anno, un argomento scottante, ostico e attualissimo: la pena verso una diversificazione all'interno del sistema sanzionatorio. Libri: il "Cielo Libero" dei desaparecidos argentini di Roberto Da Rin Il Sole 24 Ore, 26 maggio 2015 È una storia senza fine quella dei 30mila desaparecidos argentini, per tante ragioni. Perché senza il ritrovamento dei corpi è impossibile elaborare il lutto. Perché la ricerca dei neonati rubati alle donne incinte sequestrate dai militari prosegue ancora, trent'anni dopo. Perché alla classe politica argentina manca un'intera generazione, quella desaparecida, appunto. José Luis Tagliaferro è un sopravvissuto e ha trovato la forza di ripercorrere gli orrori di quegli anni. Lo ha fatto in modo diverso da altri autori; ha raccolto le poesie di detenuti politici che in modo rocambolesco sono riusciti a consegnare uno scritto a un familiare, forse in uno dei pochi e sorvegliatissimi incontri. Il testo curato da Tagliaferro, "Cielo libre, immaginare la libertà", Edizioni Valore italiano, dà uno spaccato inedito di una stagione drammatica. A corredo dei testi, in italiano e in spagnolo, i magnifici disegni di Christian Mirra. Lo scrittore argentino Osvaldo Bayer nella prefazione al testo descrive i versi dei detenuti come "un'attestazione diretta della nobiltà dei loro pensieri. Farsi poesia per andare avanti". Anche quando, scrive un carcerato-poeta, il dolore incombente costringe ad "ascoltare le grottesche risate che festeggiano una morte e un'altra donna stuprata". Scorrendo il libro c'è la nostalgia di un amore, "La cerimonia semplice del mate che percorre il breve spazio di due esseri. Va' a sapere per quale destino, quando scambiammo il primo sguardo, finimmo per sorridere tutti e due". O l'asprezza dei versi di "Maggio", con " I bambini denutriti di Puna, con le facce di vecchi maltrattati, il curvo contadino insensibile alle ore, ai giorni, agli anni…." C'è anche la sublime forza interiore di chi riesce a guardare oltre la devastazione morale inflitta dalle torture e scrive …"Per tutti i bambini che sognano e cantano, per tutti i bambini che cercano di notte una stella in alto nel cielo, per tutti i bambini che aspettano l'ora del sole. Per tutti voi….continuiamo ad andare avanti". Cielo Libre - Immaginare la libertà - José Luis Tagliaferro e Christian Mirra - Edizioni Valore Italiano-Lilamé. Libri: "La rete. Dall'utopia al mercato", il regno perduto della libertà on line recensione di Tiziana Terranova Il Manifesto, 26 maggio 2015 Codici aperti. Un diario di viaggio nel cyberspazio e una lettura critica sul laboratorio dove hanno preso forma le trasformazioni che hanno investito il capitalismo contemporaneo. "La rete. Dall'utopia al mercato", un saggio di Benedetto Vecchi. Gilles Deleuze, si sa, considerava i giornalisti che scrivono libri, come uno dei segni più nefasti della decadenza dei tempi. In un certo senso, la sua diagnosi è stata anche confermata e superata dalla tendenza contemporanea che vede libri scritti da giornalisti come Gian Antonio Stella, Sergio Rizzo e Bruno Vespa raggiungere le cime delle classifiche dei best seller. Si tratta spesso di libri che raccontano delle storie che sebbene i dettagli cambino, restano sempre le stesse, che contribuiscono a consolidare un ordine del discorso già dato (la legalità, la casta, il potere). Deleuze, però, non sarebbe sicuramente indignato dal volume La rete dall'utopia al mercato (ecommons-manifestolibri, pp. 173, euro 16) di Benedetto Vecchi, giornalista di una testata libera come il manifesto, e in particolare giornalista culturale che negli anni ha seguito con costanza l'evoluzione delle tecnologie di rete, vedendo appunto la rete scivolare inesorabilmente "dall'utopia al mercato". All'apparenza anche questa potrebbe sembrare una storia scontata. Nel titolo del volume, troveremmo condensata tutta la parabola discendente della breve storia della Rete a quella di un paradiso perduto, in cui l'utopia si fa brutalmente commercio, consumo, scambio, accumulazione, alienazione, controllo, e sfruttamento. E purtuttavia nello spazio che si dispiega tra il titolo e la serie di saggi che compongono il volume, questo slittamento dall'utopia al mercato lungi dal risolversi in una storia banale, si rivela essere pieno di pieghe e di sfumature inattese, che si aprono anche alla possibilità che la rete possa tornare ad essere non tanto utopia quanto un potente mezzo di rovesciamento dei rapporti di forza. Le pieghe che compongono il volume sono letteralmente altri libri, o comunque saggi. C'è qualcosa di affascinante nel vedere come il pensiero del giornalista, e in particolare quello del giornalista-recensore di una testata militante come il manifesto, attraverso la pratica della recensione, si dispieghi correndo letteralmente tra i libri e nei libri, selezionando, forse anche attraverso la sua frequentazione di mailing list di nicchia, nella marea montante di volumi su Internet, i saggi più significativi, per raccontare la trasformazione di Internet "da utopia a mercato" al di là dei luoghi comuni, in maniera critica, ma allo stesso tempo rigorosa, curiosa e ambivalente. Un libro fatto, come tutti i libri in fondo, di altri libri, sostenuto e nutrito dalla pratica della recensione, che però non rinuncia alla propria prospettiva. Il nodo dello sfruttamento È chiaro infatti come l'autore attraversi questo fiume di parole che si sono riversate sulla rete mantenendo ferma la propria bussola e il proprio orientamento intellettuale e politico. Centrale è l'importanza di continuare ad insistere sulla critica dell'economia politica della rete, di sottolineare la propria differenza da prospettive liberali e libertarie, anarco-capitaliste o neo-keynesiane, continuando ad aderire ad una prospettiva marxista, plurale e aperta, liberata da qualsiasi dogmatismo, ritradotta in una revisione degli strumenti dell'analisi marxiani che tenga conto delle trasformazioni del modo di produzione e di una sempre necessaria reinvenzione delle categorie usate per cogliere la relazione tra sfruttamento ed emancipazione. Nel volume questa analisi si materializza nell'intuizione, sviluppata in una ibridazione feconda tra critica della rete e dell'economia politica, da un lato sulla coesistenza di controllo sociale e sfruttamento economico, e dall'altro sulle dinamiche di creazione di valore e ricchezza nella cooperazione sociale. Allora nello slittamento dalla rete in quanto utopia di un nuovo spazio che introduce una differenza radicale rispetto alla realtà (esemplificato dalla "Dichiarazione di independenza del ciberspazio" di John Perry Barlow) alla connessione costante delle "realtà miste" della comunicazione ubiqua e mobile, è il termine "mercato" a pesare di più. Internet è ormai mercato e fabbrica, un mondo soggetto alle leggi dello scambio, dello sfruttamento e della valorizzazione economica. E purtuttavia questo rovesciamento non produce solo una nuova schiavitù, ma una situazione nuova che corrisponde allo slittamento del centro della produzione economica verso l'innovazione, dove l'innovazione stessa non è il monopolio dell'imprenditore alla Steve Jobs, ma un prodotto della socializzazione, e quindi della traduzione continua di conoscenze tacite in conoscenze formali (algoritmi, protocolli, interfacce, applicazioni), della scomposizione e ricomposizione innovativa dei flussi di conoscenza e informazione. La trasformazione della rete in mercato è il segno di una trasformazione sociale ed economica in cui è la cooperazione sociale e il suo prodotto, l'innovazione, a rappresentare la fonte del valore economico, la forma del lavoro vivo postindustriale. Interlocutore fondamentale in questa rilettura è il peso e la mole degli scritti di matrice liberale, libertaria e anarco-capitalista, prevalentemente statunitensi, che costituiscono un discorso egemone sulla rete in quanto nuova tecnologia di produzione. La tensione che questo saggio stabilisce è dunque con un discorso teorico (quello liberale) che pur teso a comprendere le novità introdotte dalla rete in quanto mezzo di produzione e comunicazione inesorabilmente tende anche a presentare Internet alla luce delle categorie e concetti dell'economia neo-classica. Allora anche i saggi di un autore come Yochai Benkler, teorico della produzione sociale e p2p, possono essere letti come traduzione di una novità eccedente (la cooperazione sociale che produce il software open source, Wikipedia, i contenuti delle piattaforme di social networks), nel linguaggio rassicurante delle scelte razionali e motivazioni individuali coordinate da una "mano invisibile" del sociale. È questa una interpretazione influente dell'economia peer-to-peer per cui quest'ultima, pur fondando un nuovo modo di produrre, non sfida le leggi fondamentali dell'economia (la legge del costo marginale per esempio). Oltre la distopia Il volume attraversa dunque una molteplicità di saggi ed analisi sulla rete, considerando di ogni analisi gli elementi preziosi, ritornando costantemente alla necessità di pensare alla relazione tra controllo e sfruttamento da una parte e innovazione e emancipazione dall'altra. L'unico genere di letteratura critica su Internet con cui Vecchi comprensibilmente mostra impazienza è forse il genere che possiamo definire "distopico", il rovesciamento dell'utopia, i detrattori di Internet che vedono la rete come luogo di sorveglianza totale, massificazione della produzione culturale, perdita degli standard qualitativi della cultura e simili. Non c'è ritorno possibile neanche ad una soggettività operaia incentrata sul lavoro di fabbrica che per alcuni sarebbe il luogo in cui ritrovare il centro di gravità permanente ma perduto della politica comunista. Il lavoro vivo ai tempi della rete è multiforme e proteico; non è la divisione del lavoro nella fabbrica che ci dà la classe in grado di rifondare il comunismo, ma l'evento della cooperazione sociale che produce invenzione e la valorizza. In questo senso, La rete dall'utopia al mercato forza continuamente i limiti dell'economia politica, anche marxiana. La domanda fondamentale che ritorna nel volume è dunque questa: qual è la logica immanente della produzione di valore nella cooperazione sociale così come svelata dal mercato/fabbrica Internet e come è possibile pensare ad una sua emancipazione considerando l'intensità di questo sfruttamento economico che prende le forme di un controllo sociale opaco e automatizzato? Quali sono i limiti che l'organizzazione di questo lavoro proteico e multiforme (militarizzato, precario, servile, schiavista, "libero", volontario o cooptato) una volta che esso cerca effettivamente di spingersi oltre la produzione verso l'organizzazione politica? La trappola del dono Il primo limite, che è analitico, si concentra attorno all'opposizione tra la "monade" postulata dall'analisi neoclassica della produzione sociale, cioè l'individuo proprietario come soggetto razionale della scelta, e l'"individuo sociale" di matrice marxiana. Che significa porre non l'individuo proprietario, ma l'individuo sociale come soggetto della cooperazione sociale? Vecchi incontra qui i limiti della saggistica sulla cooperazione sociale in Internet, che si è avvitata rispetto alla categoria antropologica di dono. La logica della cooperazione sociale sarebbe dunque quella del dono, ma è possibile ridurre la cooperazione sociale allo scambio di doni? È la teoria del dono uno strumento sufficiente a rendere conto della relazione tra costruzione di "società" (collettivi, gruppi, reti), invenzione di valori etici, culturali, estetici, politici e produzione di valore economico? In secondo luogo, il limite empirico delle forme di resistenza e organizzazione politica dati nella rete. Gli anonymous, le cosiddette "primavere" arabe, wikileaks e altri fenomeni di organizzazione politica in rete sembrano essere condannate a differenza degli esperimenti di produzione economica a essere eventi effimeri, senza durata in grado di incidere a lungo termine sui processi politici. Tra l'espropriazione del comune della cooperazione sociale e la sua riappropriazione, la rete emerge come tecnologia sociale attraversata da una tensione ambivalente e costituente: "misura della miseria del presente e spazio per quella ricchezza del possibile senza la quale è inimmaginabile una politica radicale della trasformazione". Immigrazione: richiedenti asilo, le misure urgenti della nuova agenda europea di Mimma Amoroso Il Sole 24 Ore, 26 maggio 2015 La rivoluzionaria agenda europea sui richiedenti asilo, approvata precipitosamente il 13 maggio scorso, in realtà non appare per nulla improvvisata. La complessità delle misure messe in campo, infatti, lascia pensare che da tempo era pronta nel cassetto di qualche funzionario di Bruxelles. Dal punto di vista italiano è positivo che finalmente siano state prese decisioni che in qualche modo dovrebbero attenuare il peso del fenomeno migratorio, e allo stesso tempo è comprensibile - ma non accettabile - che Paesi come Gran Bretagna, Irlanda e Francia si oppongano alla prospettiva di dover sostenere con maggiore impegno i flussi provenienti dai confini meridionali e orientali dell'Unione. Di certo è solo un primo passo, cui dovranno necessariamente seguirne altri decisivi per raggiungere una disciplina davvero comune tra gli Stati europei e che consenta di superare gli atteggiamenti protezionistici di alcuni membri. Le misure proposte dalla Commissione sono diverse, ognuna strettamente collegata all'altra e non tutte convincenti. Tuttavia, superano l'inazione registrata fino a ora e probabilmente con la loro realizzazione coordinata potranno vedersi dei miglioramenti concreti. Operazioni "salva vita" Per assicurare il salvataggio delle vite umane si arriverà a un maggiore finanziamento delle operazioni Triton e Poseidon (aventi solo competenza territoriale diversa) e al conseguente ampiamento delle finalità e della sfera territoriale di intervento delle forze impegnate. Ci si è resi conto, infatti, come il passaggio da Mare nostrum (interamente finanziato dall'Italia ed esclusivamente diretto al soccorso dei migranti) a Triton (avente maggiore propensione per gli aspetti di polizia, con budget di gran lunga inferiore e competenza territoriale più limitata rispetto a quella di Mare nostrum) sia stato perdente e non abbia prodotto i risultati sperati in termini di contrasto all'immigrazione irregolare. I detrattori di Mare nostrum sostenevano che l'operazione avesse incoraggiato la partenza dei barconi, ma con Triton non c'è stato l'auspicato effetto di contrasto e riduzione degli sbarchi, che invece sono aumentati. Su questo punto la Commissione ha precisato che Gran Bretagna e Irlanda non sono tenute a partecipare, ma ciò non esclude che la prima contribuisca alle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, come di fatto è successo recentemente, quando una nave inglese ha soccorso e condotto sulle coste italiane oltre 600 migranti. Contrasto ai trafficanti a commissione si propone di individuare procedure che consentano di identificare e distruggere le imbarcazioni utilizzate dai trafficanti e di cancellare le pagine internet pubblicate per attrarre i migranti, sempre nel quadro della legislazione internazionale. Come ciò potrà avvenire in concreto è ancora da verificare e in ogni caso è rimesso alle intelligence militari che certamente non potranno rivelare i dettagli delle operazioni. Riallocazione dei profughi Bruxelles ritiene che una delle risposte al massiccio flusso migratorio che attraversa il Mediterraneo possa essere una più equilibrata distribuzione dei richiedenti asilo provenienti soprattutto dai confini meridionali dell'Unione. Si intende procedere alla distribuzione dei rifugiati secondo una proporzione derivante dalla combinazione di un insieme di fattori: il Pil, la popolazione, il tasso di disoccupazione e il numero di richiedenti asilo e rifugiati reinsediati. La Danimarca è esclusa dall'applicazione di questa misura, mentre Irlanda e Regno Unito possono esercitare il diritto di opt in se vogliono prenderne parte. La Commissione, inoltre, ha annunciato che entro la fine dell'anno sarà presentata una proposta legislativa per disciplinare in maniera più strutturata la redistribuzione dei richiedenti asilo. Quest'ultimo è il punto più interessante dell'intero pacchetto e che consentirà di mettere finalmente in discussione il famigerato regolamento di Dublino, che impone allo Stato membro ove il richiedente asilo ha fatto ingresso di esaminarne la domanda (e fin qui non ci sarebbe nulla di male) e di inserirlo nella propria società (non essendo ammesso che costui si stabilisca in altro Paese dell'Unione). Anzi, se l'intenzione è quella di assegnare i richiedenti asilo in misura proporzionale tra i Paesi aderenti, il regolamento di Dublino perderebbe di fatto gran parte della sua efficacia. La procedura del resettlement Per evitare che milioni di persone in fuga da scenari di guerra e di persecuzione si rivolgano a trafficanti senza scrupoli non c'è che facilitare il loro trasferimento direttamente dai Paesi di origine. In quest'ottica la proposta dell'Agenda prevede che, con la collaborazione dell'Unhcr, vengano individuati ogni anno 20mila profughi da accogliere complessivamente nei Paesi europei, sempre nel rispetto di criteri proporzionali e tenendo conto che alcuni Paesi non hanno adottato alcuna iniziativa in tal senso (mentre l'Italia, con questa procedura, quest'anno ne accoglierà 500). L'iniziativa è certamente apprezzabile, ma la cifra di rifugiati che si intende accogliere è risibile se si considera che solo nel 2014 sono sbarcati in Italia 170mila profughi e che quest'anno le previsioni parlano di 250mila migranti. La misura, dunque, appare estremamente debole e inefficace rispetto al proposito di assicurare protezione agli aventi diritto e di scoraggiare il traffico di migranti. Collaborazione con i Paesi terzi L'impatto migratorio verso l'Europa non può essere ridimensionato se non si interviene presso i Paesi di provenienza. Occorre ricordare che non tutti i migranti sono effettivamente meritevoli di protezione internazionale anche se provengono da Paesi molto poveri e arretrati. In tal caso è fondamentale che i Governi di quei Paesi vengano sostenuti con programmi che favoriscano lo sviluppo della loro società: si spera solo che i fondi che la Commissione intende stanziare non finiscano come al solito in progetti che avvantaggiano solo chi li realizza e non contribuiscono a risolvere durevolmente i problemi dei Paesi bisognosi di sostegno. Aiutare gli Stati membri di frontiera La Commissione Ue riconosce la necessità di aiutare i Paesi di frontiera, con un approccio definito hotspot, individuando uno o più punti di accesso ove i migranti possano essere identificati mediante la raccolta delle impronte digitali. Infatti, proprio nel caso dell'Italia, il fenomeno assume dimensioni evidenti agli occhi di tutti: i migranti sbarcati sono stati "contati", ma non tutti sono rimasti in Italia, molti hanno proseguito il loro percorso migratorio verso i Paesi del nord Europa, suscitando l'ira degli Stati interessati (al contrario, in Paesi come la Germania, i cui confini sono tutti interni all'Unione, coloro i quali transitano per recarsi in Olanda, Belgio o Danimarca non vengono contati). Presso gli hotspot si pensa di selezionare i migranti effettivamente bisognosi di protezione da quelli che hanno motivazioni economiche, e di assumere iniziative per il trasferimento di questi ultimi verso i Paesi di provenienza. Tale misura coincide grosso modo con quanto l'Italia sta già cercando di realizzare - per quanto si sa - nelle vicinanze dei principali porti di approdo delle navi soccorritrici, ove si pensa di ampliare la capacità di posti per la primissima accoglienza per consentire alle forze di polizia di effettuare le operazioni di foto segnalamento prima del trasferimento in altre strutture. La Commissione, inoltre, vuole sostenere economicamente gli Stati con frontiere esterne per assicurare l'accoglienza e la prestazione delle cure mediche ai migranti. Immigrazione: truffa sui "pocket money" in Campania, sequestrati documenti in Regione di Titti Beneduce Corriere del Mezzogiorno, 26 maggio 2015 S'indaga anche sul servizio civile. Alcune sedi di "Un'ala di riserva" sono vuote. Potrebbero arrivare dal servizio civile nuove grane giudiziarie per Alfonso De Martino e la compagna Rosa Carnevale, arrestati sabato scorso nell'ambito dell'inchiesta sull'assistenza ai migranti. La Guardia di Finanza infatti ha acquisito negli uffici della Regione documenti relativi a questo settore, che la onlus "Un'ala di riserva" porta avanti parallelamente a quello dei migranti. Gli inquirenti sospettano che quello del servizio civile (giovani volontari che dovrebbero dedicare un anno a progetti utili "contribuendo allo sviluppo sociale, culturale ed economico del nostro Paese") si celi un altro maxi imbroglio come quello della mancata assistenza ai migranti. E che alcuni politici locali (dalle carte spunta il nome di Biagio Iacolare, ex vicepresidente del consiglio regionale candidato con l'Udc) si servano del servizio civile per coltivare le proprie clientele. L'esame dei documenti acquisiti potrebbe dunque confermare questi sospetti. 11 materiale che le fiamme gialle dovranno leggere è tantissimo, se alle carte prese in Regione si sommano quelle sequestrate nel corso delle perquisizioni di sabato alla Caritas di Teggiano e agli indagati. L'inchiesta è complessa e si allargherà ulteriormente. Il procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli e i sostituti Raffaello Falcone e Ida Frangino vogliono infatti capire se anche altre associazioni che sulla carta assistono i migranti intascano i soldi pubblici fornendo ai loro ospiti colo pochi spiccioli. Alcune segnalazioni sarebbero già al vaglio dei magistrati. È fondato ipotizzare che la gestione disinvolta dei fondi per i migranti continui anche ora che a stipulare le convenzioni e a erogare le somme di denaro non è più la Regione, ma la Prefettura. Quanto a "Un'ala di riserva", un servizio andato in onda su La 7 dimostra che tre sedi dell'associazione, ad Arco Felice, Giugliano e Castelvolturno, non solo non ospitano migranti, ma sono vuote e appaiono in stato di abbandono. I vicini hanno riferito di avere visto sporadicamente in passato alcuni immigrati, ma poi più niente. Diversi i modi in cui, secondo la ricostruzione degli inquirenti, De Martino e la compagna si impadronivano dei soldi pubblici. Non solo stornavano somme consistenti dal conto dell'associazione, ma facevano convergere le piccole somme chiamate "pocket money" - ticket da 2,50 euro al giorno che ciascun immigrato dovrebbe ricevere - su un'edicola di Pozzuoli gestita da Rosa Carnevale. Sono 33.697 i ticket di cui i due si sono appropriati, secondo i calcoli della Guardia di Finanza, e hanno fruttato 84.202 euro, spesi in buona parte per ricariche telefoniche. L'interrogatorio di garanzia di Alfonso De Martino (che aveva fatto importanti investimenti in Montenegro, Paese nel quale sembra stesse per rifugiarsi definitivamente) è fissato per questa mattina. Immigrazione: Monsignor Sorondo "bambini a fine viaggio detenuti come criminali" Adnkronos, 26 maggio 2015 Cancelliere della Pontificia Accademia, molti minori non accompagnati vittime di tratta. "Molti bambini vittima di tratta sono minori non accompagnati, alcuni dei quali perdono la vita nel processo migratorio, spesso tenuti in condizioni disumane ancor prima di avere il permesso di partire, mentre altri, appena giunti a destinazione dopo un viaggio estenuante segnato da paura e insicurezza, sono detenuti alla stregua dei criminali". A dirlo è monsignor Marcelo Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali durante il convegno "Bambini non accompagnati, scomparsi, sfruttati: il dramma silenzioso", organizzato da Telefono Azzurro, oggi a Palazzo Ferrajoli di Roma. "Con la globalizzazione dell'indifferenza, mossa dal solo profitto, sono aumentati i modi in cui i bambini sono vittimizzati: questi includono vendita di organi, avviamento alla prostituzione e alla pornografia, narcotraffico, elemosina forzata, adozioni transfrontaliere irregolari, matrimoni forzati, reclutamento di bambini soldati, schiavitù da parte di gruppi terroristici, e lavoro forzato", spiega mons. Sanchez Sorondo che alla luce dei dati drammatici snocciolati durante il convegno (tra le vittime di tratta circa il 15% è rappresentato da bambini) parla "di una nuova strage degli innocenti, che avviene nel mondo globalizzato davanti ai nostri occhi anche se, molte volte, non la vogliamo vedere". Immigrazione: "Ma mai nessuno che se la stupri"; insultò la Kyenge, condanna a 13 mesi di Cristina Genesin Il Mattino di Padova, 26 maggio 2015 Sentenza definitiva della Cassazione per le offese alla Kyenge. Il difensore: "Ricorreremo alla Corte Europea". Condanna confermata nel terzo e ultimo grado di giudizio per Dolores Valandro, di Padova, l'ex consigliera circoscrizionale per la Lega nel consiglio dell'Arcella che il 13 giugno 2013, riferendosi all'allora ministro dell'Integrazione in quota Pd Cecilia Kyenge, aveva postato la frase: "Ma mai nessuno che se la stupri, così tanto per capire cosa può provare la vittima di questo efferato reato?". I giudici della Suprema Corte hanno inflitto a Valandro 13 mesi di carcere (pena sospesa) con divieto di partecipare a comizi per tre anni, come stabilito in primo grado dal tribunale di Padova e poi in appello dai giudici di Venezia. L'accusa contestata? Istigazione a commettere atti di violenza sessuale per motivi razziali. Il difensore, Massimiliano Nicolai di Ravenna, che aveva impugnato la pronuncia sostenendo l'insussistenza dei motivi razziali, ha annunciato: "La signora Valandro, per avere giustizia, ricorrerà alla Corte Europea di Strasburgo". Il post scioccante era stato pubblicato a commento di una notizia condivisa da Valandro sull'aggressione attribuita a un immigrato dì origine africana. Coro di applausi. E coro dì proteste indignate con apertura di un'inchiesta da parte della procura di Padova. Subito Dolores Valandro, già sospesa dal partito perché a Pontida aveva contestato Maroni, venne cacciata dal Carroccio su decisione della direzione veneta. Del resto il governatore della Regione, Luca Zaia, aveva così commentato la vicenda: "Chieda scusa chi con un post vergognoso ha insultato anche i veneti e una regione dove l'integrazione funziona e rappresenta un modello a livello nazionale. Si tratta di un episodio che condanno senza se e senza ma...". Indagine chiusa a tempo di record e processo per direttissima davanti al tribunale collegiale. Valandro, in lacrime, si era difesa recitando il mea culpa per la "frase infelice": "Sono mamma e donna, non era mia intenzione insultare un'altra donna... Mi e però passato davanti agli occhi un episodio accaduto a mia figlia, molestata da un diversamente italiano. Mela sono presa con il ministro Kyenge perché non ha mai detto una sola parola a sostegno delle vittime di violenza. È stato un atto impulsivo". L'avvocato Nicolai aveva ribadito in aula: "Il razzismo non c'entra. Non ho mai contestato la carica offensiva della frase nei confronti del ministro, che ha il mio rispetto. C'è stata solo una diffamazione". Niente da fare, condanna in primo grado inevitabile confermata in appello il 17 aprile 2014. Ieri la Cassazione. Ora la speranza è di Valandro è rivolta alla Corte Europea per i diritti dell'uomo. Stati Uniti: troppi errori e abusi, negli States cresce il fastidio per le esecuzioni capitali di Domenico Letizia Il Garantista, 26 maggio 2015 Negli Stati Uniti è in corso un dibattito dalle dimensioni storiche che pone al centro l'attenzione sulla giustizia, il rispetto della dignità umana, la certezza del diritto e la pena di morte. Gli Stati Uniti uccidono legalmente 40 assassini l'anno, ma ne lasciano completamente liberi 5000. L'Organizzazione Nessuno Tocchi Caino rende noto la creazione di un nuovo sito internet "murderdata.org", che monitora di anno in anno i casi di omicidio non risolti che hanno luogo nel paese. Dal 1980 al 2012 sono almeno 211mila i casi di omicidio non risolti. A metà degli anni 60 veniva risolto circa il 90% dei casi. L'ultimo dato ufficiale, risalente all'intero anno 2013, calcola che in tutta la federazione Usa sono stati commessi 14103 omicidi e sono giunti a soluzione 8614 casi; i casi non risolti sono il 39%. Il sito internet murderdata.org si basa su statistiche ufficiali fornite dall'Fbi, integrando tali dati con altri rilievi che stimano l'esistenza di almeno 21mila omicidi non conteggiati, nel periodo dal 1980 al 2012, dal Fbi. Gli "omicidi non conteggiati" sono stati ricavati grazie ad un'azione di "diritto alla conoscenza" ricorrendo alla possibilità dell'accesso agli atti e a una estensiva rassegna stampa sui casi di cronaca nera. Dall'analisi di tali fenomeni criminali, i significativi cambiamenti che vengono registrati sono la diminuzione degli omicidi in ambito familiare e un considerevole aumento degli omicidi legati al crimine organizzato, soprattutto nel mondo dello spaccio e della vendita di sostanze stupefacenti. Gli esperti stanno registrando un incremento della diffidenza da parte della popolazione nei confronti della giustizia e, nello specifico, nei confronti delle forze dell'ordine. All'interno della comunità afro-americana vi è meno disponibilità a collaborare con la polizia e al tempo stesso viene registrato un impegno minore da parte della polizia quando le vittime sono di colore o provenienti dai quartieri degradati. Il tasso di omicidi di persone di colore irrisolti è intorno al 35% a differenza del 28% quando le vittime sono bianche. In alcune zone del paese, rende noto l'organizzazione non governativa radicale Nessuno Tocchi Caino analizzando il lavoro degli esperti, è proprio la classe politica a trascurare un lavoro capillare sul crimine, preferendo concentrare l'attenzione su casi di particolare richiamo massmediatico, al centro dei dibattiti e dei talk show televisivi. Non va ignorato che le indagini per omicidio sono accompagnate da un elevato costo economico per i contribuenti che spesso richiedono il lavoro di numerosi agenti delle forze dell'ordine su un singolo caso. Nei casi di omicidio, spesso, non si riesce a trovare qualcuno disposto alla collaborazione, bloccando subito le indagini. La raccolta e l'analisi di tali dibattiti innesca una intensa discussione anche sulla pena di morte. Si chiedono cambiamenti di spesa, riforme economiche, risparmiando sui costi di operazione ed eseguimento della pena capitale e destinandoli alla soluzione dei casi irrisolti. Alcuni casi mediatici stanno acquisendo particolare attenzione da parte dell'attenzione pubblica. Mark Scott Tharnton, oggi quarantenne, ha trascorso gli ultimi venti anni nel braccio della morte, dopo l'omicidio di una donna della California. Tharnton è stato condannato a morte nel 1995. Il figlio della vittima Clifford ÒSullivan aveva solo sei anni quando è comparso in tribunale contro l'assassino di sua madre. Allora chiese la pena capitale per l'assassinio della madre. Recentemente ha dichiarato pubblicamente di aver cambiato idea, sostenendo che la pena di morte intensifica il dolore dei parenti e delle vittime e che è profondamente errato sostenere che la pena di morte aiuti "a superare" il dolore. "Non guarisci dal dolore", ha dichiarato ÒSullivan. "I processi durano anni, e si prolungano in maniera tortuosa, e questo per me, e per molte altre vittime, non aiuta". Con tale decisa convinzione, ÒSullivan decise di scrivere all'assassino della madre per chiedergli se potevano incontrarsi. Lo scorso settembre, ventidue anni dopo la morte della madre, ÒSullivan ha preso un aereo per la California. I due uomini hanno parlato per 5 ore. "E stato il più grande regalo che potesse farmi" ha detto ÒSullivan. Quando ÒSullivan ha detto a Thornton che non pensava più che dovesse essere ucciso, è restato sorpreso dalla risposta dell'assassino. Invece di parlare del suo proprio futuro, Thornton ha voluto tornare indietro nei ricordi e cercare una pacificazione su quello che aveva fatto tanti anni prima. "Cerchiamo di essere sicuri che i prossimi 20 anni non siano un riflesso di quello che sono stati i 20 anni passati. Troviamo un senso a tutto questo, per il tuo bene, per il mio bene, per il bene di tua madre", ha detto Thornton. Tali eventi, caratterizzati anche da un forte impatto mediatico, stanno mutando la mentalità e la percezione degli avvenimenti criminali da parte della popolazione. Il 20 maggio 2015, il parlamento del Nebraska ha approvato l'abolizione della pena di morte. Probabilmente il Nebraska diverrà il primo stato a maggioranza repubblicana, in epoca contemporanea, ad abolire la pena di morte. I repubblicani che si sono uniti alle decisioni della minoranza democratica hanno motivato il loro voto e la loro scelta rispetto alle posizioni tradizionali dal partito con motivazioni economiche, religiose e per la nulla efficacia preventiva del sistema penale capitale. L'eroe del ddl legislativo è il senatore Ernie Chambers, 79 anni, nero, in parlamento dal 1973. Ha presentato la proposta di legge abolizionista ogni anno, un ddl che, per motivi procedurali, viene messo ai voti di solito ogni due anni. Nel 2014 il ddl venne presentato ma non portato al voto, mentre nel 2013 il ddl passò 7-0 in Commissione ma entrò in stallo nella fase successiva a seguito di una procedura di ostruzionismo. La volta che Chambers è andato più vicino al successo è stata nel 1979, quando la legge venne approvata 26-22, ma l'allora governatore Charley Thone pose il veto. "L'abolizione della pena di morte in Nebraska ha un grande valore politico oltre che giuridico e umanitario, perché il Nebraska è il primo Stato americano a maggioranza repubblicana ad abolire la pena di morte in epoca moderna", ha dichiarato il segretario di Nessuno tocchi Caino Sergio D'Elia dopo il voto massiccio del parlamento unicamerale del Nebraska. Questa abolizione è la riprova di un sempre più diffuso fastidio in America nei confronti di una pratica crudele e inusuale che accomuna la più antica democrazia occidentale ai peggiori Paesi illiberali ed esecuzionisti, quali Cina Iran, Iraq e in Europa la Bielorussia. Nel paese un vivace dibattito è in corso, il Nebraska si aggiungerà agli altri 19 stati statunitensi abolizionisti, senza contare quelli come Oregon, Colorado, Washington e Pennsylvania, che hanno sospeso le esecuzioni a causa degli evidenti difetti che connotano il sistema capitale e le continue problematiche legate all'utilizzo dei farmici adoperati per le iniezioni letali. Brasile: rivolta nel penitenziario di Feira de Santata, 9 persone morte di cui 1 decapitata Ansa, 26 maggio 2015 Nove persone sono morte, di cui una decapitata, nel corso di un ammutinamento in un carcere brasiliano. "Dopo 18 ore di trattative l'ammutinamento è cessato", ha riferito un portavoce della polizia dal penitenziario di Feira de Santata, a circa 100 da Salvador de Bahia, precisando che sono stati rilasciati 70 ostaggi. Durante la rivolta, scattata mentre erano in corso le visite dei familiari, i detenuti hanno ucciso 8 carcerati mentre uno è morto in seguito alle ferite riportate. I prigionieri hanno preso in ostaggio i visitatori chiedendo di poter parlare delle loro condizioni con i rappresentanti dell'associazione dei diritti umani. Il direttore del carcere, Cleriston Leite, ha detto invece che si è trattato di una disputa tra fazioni rivali. Le associazioni per i diritti umani hanno più volte denunciato le condizioni delle prigioni brasiliane definendole "medievali". Egitto: il regime militare egiziano che somiglia sempre più a una dittatura sudamericana di Giuseppe Acconcia Il Manifesto, 26 maggio 2015 Desaparecidos, pene di morte generalizzate e torture. Come non bastasse, secondo la Federazione internazionale per i diritti umani (Fidh) nel paese di Abdel Fattah al-Sisi si fa un uso sistematico dello stupro su donne, bambini e uomini oltre i confini delle stazioni di polizia e delle carceri. I famigerati poliziotti egiziani, conosciuti per le loro pratiche sommarie, sono tornati ad assaltare, violentare con oggetti contundenti, effettuare test della verginità, elettroshock agli organi genitali con più violenza di prima gente per strada e nelle università. Nel report dal titolo "Smascherare l'ipocrisia dello Stato: la violenza sessuale delle forze di sicurezza in Egitto", si aggiunge che lo scopo di queste molestie di massa è uno solo: eliminare le proteste di piazza. Secondo il think tank, in particolare per una donna è semplice finire nell'inferno di queste pratiche aberranti perché i poliziotti, sempre più potenti dopo il colpo di stato militare del 2013, considerano la tortura come un loro dovere. I documenti presentati dal Fidh includono una lunga serie di testimonianze di donne che raccontano come sono state bastonate fino al punto di non poter rimanere in piedi prima di essere violentate nonostante ormai vomitassero sangue. Alcuni bambini della prigione di el-Eqabiya avrebbero ammesso che "non essere stati violentati è l'eccezione". Ma sono i prigionieri politici, in particolare gli uomini sospettati di avere informazioni riservate, a soffrire prima di tutti delle angherie dei poliziotti. Amnesty International ha riferito di casi di violenze con bastoni bollenti ed elettroshock ai genitali o minacce di violenze a membri della famiglia contro le centinaia di attivisti egiziani di ogni schieramento politico in prigione. Le violenze vengono perpetrate indiscriminatamente ai checkpoint, nei metro, agli ingressi delle università, negli ospedali, in impianti sportivi e all'interno delle case. Il report dimostra che con l'ascesa al potere di al-Sisi le violenze contro le donne sono aumentate anziché diminuire. Proprio lui, l'uomo dei test della verginità dell'8 marzo 2011 contro 17 manifestanti in piazza Tahrir, nonostante i proclami e le accuse strumentali contro i Fratelli musulmani, ha trasformato una pratica in passato rara in abuso sistematico. Nelle ore seguenti alle manifestazioni di massa in Egitto, centinaia sono state le donne molestate pubblicamente. Molte ong hanno puntato il dito contro polizia, militari e islamisti tutti impegnati a fermare le contestazioni. I primi a subire torture e violenze sono i Fratelli musulmani e l'ex presidente Mohamed Morsi che rischia di vedere da un momento all'altro eseguita la condanna a morte a suo carico. Secondo la stampa vicina agli islamisti, il leader dei Fratelli musulmani potrebbe presto essere estradato in Turchia, su questa evenienza sarebbero in corso colloqui tra il presidente al-Sisi e il suo omologo turco Recep Tayyp Erdogan, uno dei più duri critici del golpe del 2013. I rischi per gli islamisti sono ancora più gravi dopo il golpe giudiziario dell'ex capo del club dei giudici, l'anti-Fratelli musulmani, Ahmed al-Zend, che ha scalato i vertici della magistratura egiziana, come ha fatto al-Sisi nell'esercito, per diventare il nuovo ministro della Giustizia. Subito dopo la sua nomina, la scorsa settimana sei giovani islamisti sono stati impiccati dopo essere stati condannati a morte per aver partecipato ad azioni eversive nel Sinai dove operano i jihadisti di Beit al-Mekdisi. Alcuni di loro erano minorenni o si trovavano già in prigione quando il reato è stato commesso. Dopo l'esecuzione la Corte amministrativa del Cairo ha chiesto di fermare l'esecuzione dei sei ma la condanna era stata già eseguita. Portogallo: l'ex premier Socrates detenuto da 6 mesi in attesa del processo per corruzione La Presse, 26 maggio 2015 Sono passati sei mesi da quando l'ex primo ministro portoghese José Socrates metteva piede nel carcere di Evora, una detenzione preventiva in attesa di sapere se si aprirà o meno il processo nei suoi confronti. La legge portoghese permette di prolungare la detenzione preventiva fino a 12 mesi in certi casi, quindi la procura ha tempo fino al 25 novembre per confermare le accuse e aprire il processo, oppure permettere la scarcerazione dell'ex premier. Dei sette sospettati, attualmente solo Socrates continua a rimanere in carcere, situazione che ha fatto parlare alcuni di cospirazione nei suoi confronti legata allo scenario politico del Portogallo, dove si terranno le elezioni a fine anno. L'ultimo a uscire di prigione è stato un amico personale dell'ex premier, l'imprenditore Carlos Santos Silva, rilasciato venerdì scorso per ordine del giudice e attualmente ai domiciliari. Fuori dal carcere anche la moglie di Santos Silva, Ines Ponte do Rosário; l'autista dell'ex primo ministro, Joao Perna; il suo avvocato, Gonçalo Trindade Ferreira; l'amministratore dell'azienda farmaceutica Octapharma, Paulo Lalanda Castro (per cui lavorava proprio il primo ministro) e l'amministratore del Grupo Lena, Joaquim Barroca. Socrates venne arrestato lo scorso 21 novembre all'aeroporto di Lisbona, di ritorno da Parigi. Dopo l'arresto fu sottoposto a un interrogatorio durato diversi giorni, poiché accusato di presunta partecipazione ai reati di frode fiscale, corruzione e riciclaggio. Secondo il giudice esiste la possibilità che possa distruggere delle prove o minare le indagini. L'avvocato difensore dell'ex capo di governo, Joao Araújo, ha già presentato vari ricorsi negli ultimi mesi per ottenere la scarcerazione. Iran: al via processo a Jason Rezaian, reporter del Washington Post in carcere da 10 mesi Askanews, 26 maggio 2015 Si aprirà oggi a Teheran il processo a Jason Rezaian, il giornalista del Washington Post detenuto in Iran da oltre dieci mesi. Il reporter, che sarà giudicato a porte chiuse, dovrà rispondere di una serie di accuse, tra cui quella di "spionaggio". Rezaian, che è in possesso di doppia cittadinanza, è accusato di avere passato informazioni "a governi ostili". Se giudicato colpevole, ricorda la Bbc, il reporter potrebbe essere condannato ad almeno 20 anni di carcere. Il direttore del Washington Post ha definito il processo di Rezaian "vergognoso" ed ha criticato la decisione di tenerlo a porte chiuse. "Non c'è alcuna giustizia in questo sistema, non un grammo di essa, e il destino di un uomo buono, di un innocente è in bilico", ha detto. Anche la madre e la moglie di Rezaian, saranno processate separatamente per presunti reati correlati a quelli contestati a Rezaian.