"Perdono il killer di mio marito", la storia di Claudia Francardi di Francesca Sironi L'Espresso, 15 maggio 2015 La vedova di un carabiniere ucciso da un ragazzo di 19 anni si batte perché non resti in cella dopo la condanna: "È un'altra persona. Deve continuare il percorso di riabilitazione". Lei porta un libro di poesie scritte da lui nella borsa. "Dietro il "mostro" ho scoperto un ragazzo, il cui dolore per ciò che ha fatto resterà per sempre, come il mio". Lei è la vedova. Lui, l'omicida. Lei è la moglie del carabiniere da lui ucciso brutalmente a 19 anni, il 25 aprile 2011. E adesso è lei a chiedere "giustizia, non vendetta" per lui. Nelle sue parole la vendetta è il carcere: quella cella di San Vittore dove è stato rinchiuso lo scorso 30 aprile, quando la Cassazione ha reso definitiva la condanna a venti anni per omicidio. Vendetta, e non giustizia, che rischia di cancellare il percorso avviato da loro dopo l'arresto. "Ho paura. Temo la prigione disumana. L'isolamento e la povertà delle relazioni sociali che avrà", spiega Claudia Francardi, la donna che alla prima udienza gli urlava contro disperazione e all'ultima invece piangeva per l'affetto che li lega. "La persona che oggi va in carcere non è affatto la stessa di quattro anni fa", aggiunge la madre del condannato, Irene Sisi. Non è la stessa persona perché queste due donne da sole, contro muri di convinzioni che incitavano all'odio, hanno rifiutato la rabbia, il rancore, e scelto la rarissima via della riconciliazione. Del perdono. Entrambe madri, si sono conosciute, aiutate, hanno vissuto l'una la sofferenza dell'altra. Oggi sono amiche che si telefonano almeno una volta al giorno, e hanno fondato un'associazione che si batte per la riabilitazione dei detenuti, chiamata AmiCainoAbele. Perché la loro storia personale apra un dibattito sulla condizione del carcere in Italia, più volte sanzionata dalle autorità europee. L'omicidio Lui si chiama Matteo Gorelli e il 25 aprile 2011 tornava a casa da un rave party in provincia di Grosseto. Aveva 19 anni, in macchina c'erano tre amici minorenni. Alle porte di Sorano vengono fermati da due carabinieri, Antonio Santarelli e Domenico Marino. L'alcool test di Matteo risulta positivo. Iniziano i controlli. Ma mentre eseguono le verifiche i due agenti sono colpiti alle spalle. Picchiati più volte alla testa e al corpo con pugni e bastoni, pali divelti da una recinzione vicina. Massacrati di botte. Marino perderà l'occhio destro. Santarelli entrerà in coma e morirà un anno dopo all'ospedale di Imola. Dopo l'aggressione i quattro provano a scappare, ma li bloccano subito. Dicono: "Abbiamo perso la testa". Gorelli confessa e viene portato in carcere, dove resta ino all'autunno, quando entra in un percorso di riabilitazione. Il 7 dicembre 2012 il tribunale di Grosseto lo condanna all'ergastolo. La procura parla di "un'esplosione di ferocia inaudita". Alla corte d'assise d'appello di Firenze, il 25 settembre 2013, la sentenza viene ridotta a 20 anni, anche alla luce del disturbo di personalità diagnosticato a Matteo da tutti i periti. Il 29 aprile 2015, con la conferma della Cassazione, la condanna diventa definitiva. E Matteo viene prelevato dalla comunità in cui viveva per essere portato a San Vittore. La speranza "Prima di uscire dall'aula mi ha detto: "Claudia, non conta il luogo, conta il percorso che stiamo facendo", racconta la vedova del carabiniere: "Ma io so che conta, perché il sistema carcerario non offre le stesse possibilità". La possibilità di un riscatto, di un futuro, per Matteo Gorelli, sono stati gli arresti domiciliari, concessi dal tribunale nell'autunno 2012 e trascorsi a spese della famiglia nella comunità Exodus di Don Mazzi a Milano. Lì in questi anni Matteo ha vissuto, lavorato, contribuito alla gestione ordinaria, studiato per gli esami di Scienze dell'Educazione all'Università Bicocca. "È lì che l'ho visto per la prima volta", ricorda Claudia Francardi: "Non era riuscito a dormire, come me. Lo abbracciai, perché non sapevo cosa dire. Avevo solo bisogno di fargli prendere consapevolezza del mio dolore. È lì che ho capito che non invidio la sua sofferenza". La comunità, spiegano le due donne, ha permesso a Matteo di maturare e di curare la sua malattia, non solo coi farmaci ma anche con l'aiuto di persone capaci. "Il nostro obiettivo più grande è il suo recupero", spiega la giovane madre, oggi 39enne: "Siamo unite nella speranza che diventi da adulto una persona capace di onorare la memoria di Antonio, un uomo che credeva nel suo mestiere, che era al servizio degli altri". In comunità, continua Claudia: "aveva una libertà limitata, ma immersa in relazioni sane, giuste; lui stesso era d'aiuto agli altri ragazzi; poteva riflettere e lavorare, guadagnando qualcosa. E questo non ha mai tolto nulla al peso che porta: ogni volta che mi vede ha il volto coperto di lacrime. Il dolore per quello che ha fatto non lo lascerà mai". La pena Il 30 aprile, la reclusione. Inevitabile, perché "è in carcere che si sconta la pena nel nostro sistema giudiziario", dice l'avvocato, Luca Tai: "Prima che possa sfruttare permessi d'uscita passerà molto tempo". Così quel ragazzo di 23 anni, che sulle macerie dell'orrore da lui compiuto adolescente stava ricostruendo una vita, nella privazione ma anche nella vicinanza degli affetti, si ritrova dietro le sbarre. A San Vittore. "Noi non chiediamo sconti di pena, non l'abbiamo mai fatto. Chiediamo solo che la possibilità che si stava meritando non venga distrutta", spiega la vedova del militare: "Io ci sono stata, a San Vittore, a portare con Irene la nostra testimonianza. E sono stata male". Silenzio. Irene sussurra: "Mi ha detto; "Mamma, sono forte, non ti preoccupare". Affronteremo insieme anche questo io, Claudia, e Matteo. Non ci fermeremo". Come non le hanno fermate quei cori d'odio lanciati al momento della condanna: "Vent'anni non bastano, deve rimanere in galera per sempre", commentavano in molti alla caduta dell'ergastolo: "Merita i lavori forzati", "Va mandato a morte", scrivevano acrimoniosi per quel futuro che il tribunale lasciava intravedere al ragazzo. "Non capisco, non potrò mai capire chi gode nel pensare a una persona costretta in una cella sovraffollata, sola di fronte a un muro tutto il giorno", dice Claudia: "Che me ne faccio io della soddisfazione di saperlo recluso? A cosa serve? Non alla società. Non a lui. E a me? A me toglie solo altra dignità". Io, magistrato pentito, non credo più nella punizione… colloquio con Gherardo Colombo di Francesca Sironi L'Espresso, 15 maggio 2015 "Questa donna ha ragione. E va ascoltata. Perché se oggi il carcere svolge una funzione, è la vendetta". Prima giudice, poi pubblico ministero in inchieste che hanno fatto la storia d'Italia come la Loggia P2 o Mani Pulite, Gherardo Colombo ha messo profondamente in discussione le sue idee: "Ero uno che le mandava le persone in prigione, convinto fosse utile. Ma da almeno quindici anni ho iniziato un percorso che mi porta a ritenere errata quella convinzione". Da uomo di legge, la sua è una posizione tanto netta quanto sorprendente. "È concreta. I penitenziari sono inefficaci, se non dannosi per la società. Anziché aumentare la sicurezza, la diminuiscono, restituendo uomini più fragili o più pericolosi, privando le persone della libertà senza dare loro quella possibilità di recupero sancita dalla Costituzione. Esistono esempi positivi, come il reparto "La Nave" per i tossicodipendenti a San Vittore, o il carcere di Bollate, ma sono minimi". Molti dati mostrano la debolezza della rieducazione nei nostri penitenziari. Ma perché parlare addirittura di vendetta? "Credo sia così. Pensiamo alle vittime: cosa riconosce la giustizia italiana alla vittima di un reato? Nulla. Niente; se vuole un risarcimento deve pagarsi l'avvocato. Così non gli resta che una sola compensazione: la vendetta, sapere che chi ha offeso sta soffrendo. La nostra è infatti una giustizia retributiva: che retribuisce cioè chi ha subito il danno con la sofferenza di chi gli ha fatto male". Esistono esperienze alternative? "Sì. In molti Paesi europei sono sperimentate da tempo le strade della "giustizia riparativa", che cerca di compensare la vittima e far assumere al condannato la piena responsabilità del proprio gesto. Sono percorsi difficili, spesso più duri dei pomeriggi in cella. Ma dai risultati molto positivi". Se questa possibilità è tracciata in Europa, perché un governo come quello attuale, così impegnato nelle riforme, non guarda anche alle carceri? "Nei discorsi ufficiali sono tutti impegnati piuttosto ad aumentare le pene, a sostenere "condanne esemplari", come sta succedendo per la legge sull'omicidio stradale - una prospettiva che trovo quasi fuori luogo: quale effetto deterrente avrebbe su un delitto colposo? Ma al di là del caso particolare, il problema è che i politici rispondono alla cultura dei loro elettori. Il pensiero comune è che al reato debba corrispondere una punizione, che è giusto consista nella sofferenza. Me ne accorgo quando parlo nelle scuole del mio libro, "Il perdono responsabile": l'idea per cui chi ha sbagliato deve pagare è un assioma granitico, che solo attraverso un dialogo approfondito i ragazzi, al contrario di tanti adulti, riescono a superare. D'altronde il carcere è una risposta alla paura, e la paura è irrazionale, per cui è difficile discuterne". È una paura comprensibile, però. Parliamo di persone che hanno rubato, spacciato, ucciso, corrotto. "Ovviamente chi è pericoloso deve stare da un'altra parte, nel rispetto delle condizioni di dignità spesso disattese nei nostri penitenziari. Ma solo chi è pericoloso. Ed è invece necessario pensare in da subito, per tutti, alla riabilitazione. Anche perché queste persone, scontata la condanna, torneranno all'interno di quella società che li respinge". Meglio abolire il carcere: è inutile e dannoso L'Espresso, 15 maggio 2015 Il libro di Luigi Manconi pubblicato da Chiarelettere "Abolire il carcere, una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini". Primo: il carcere è inutile, perché sette detenuti su dieci tornano a compiere reati. Secondo: le galere non esistono da sempre. Terzo: le celle sono violente. Cambiare l'esecuzione della pena in Italia è l'obiettivo di un libro implacabile scritto da Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Valentina Calderone e Federica Resta, appena pubblicato da Chiarelettere con il titolo: "Abolire il carcere, una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini". Il volume raccoglie dati, storie e notizie su torture, recidiva, costi assurdi, sbagli e omissioni di un sistema che restituisce alla collettività criminali peggiori di quelli che aveva rinchiuso. Da questa analisi, scrive Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani del Senato, emerge come "la pena si mostri in carcere nella sua essenzialità quale vera e propria vendetta. E in quanto tale priva di qualunque effetto razionale e totalmente estranea a quel ine che la Costituzione indica nella rieducazione del condannato". Per questo gli autori propongono dieci riforme possibili. A partire dall'idea che "il carcere da regola dovrebbe diventare eccezione, extrema ratio", come sostiene il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky nella postfazione. Giustizia: martedì a Bollate presentazione degli "Stati generali" sull'esecuzione penale Ansa, 15 maggio 2015 Si svolgerà martedì prossimo presso la Casa di Reclusione di Milano Bollate la giornata di presentazione degli Stati generali dell'esecuzione penale, un percorso semestrale di riflessione e approfondimento sulle tematiche legate al carcere per arrivare nel prossimo autunno all'elaborazione di un articolato progetto di riforma. L'inizio è fissato alle 10 con l'inaugurazione dell' esposizione dei teli realizzati dai detenuti in collaborazione con l'Accademia di Belle Arti di Brera con il contributo artistico di Dario Fo, a cui seguirà la proiezione di un estratto del docufilm "Ombre della sera" di Valentina Esposito. Alla presentazione degli Stati generali, coordinata dal direttore di RadioTre Marino Sinibaldi, interverranno il ministro della Giustizia Andrea Orlando; il presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida; il giurista e filosofo del diritto Luigi Ferrajoli; la giornalista e scrittrice Marcelle Padovani, l'attrice Valentina Lodovini. Il presidente emerito Giorgio Napolitano invierà un messaggio. Saranno presenti tra gli altri anche il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, il capo dell'Amministrazione penitenziaria Santi Consolo, il presidente del Comitato scientifico degli Stati generali Glauco Giostra. I giornalisti e i cine/foto-operatori interessati possono accreditarsi inviando una e-mail a cc.bollate@giustizia.it indicando nome, cognome, testata ed estremi di un documento di riconoscimento Penalisti a presentazione Stati Generali: iniziativa importante Il presidente dell'Unione Camere penali, Beniamino Migliucci, e il responsabile dell'Osservatorio Carcere Ucpi, Riccardo Polidoro, parteciperanno martedì, nella Casa di reclusione di Milano-Bollate, alla presentazione degli Stati generali dell'esecuzione penale, voluti dal ministro della Giustizia Andrea Orlando. Ipenalisti ribadiscono "l'apprezzamento per l'iniziativa che ha l'obiettivo di coordinare le molteplici figure istituzionali e non, che si occupano di questo delicatissimo, quanto importante, segmento della Giustizia italiana" ed evidenziano "l'importanza di una concreta svolta nell'approccio al problema, che possa effettivamente consentire l'applicazione dei principi costituzionali (1948) e delle norme dell'Ordinamento Penitenziario (1975), che da decenni non vengono applicate ed evitare ulteriori condanne dalla Corte europea dei diritti dell'uomo". L'Unione Camere penali indica "tra le iniziative da prendere immediatamente, quella di una corretta informazione e un sistematico insegnamento sui temi della Giustizia e della detenzione in particolare, che possano far comprendere all'opinione pubblica l'importanza di una pena scontata in maniera lecita, contrastando il comune pensiero di quei cittadini culturalmente non pronti a recepire principi di civiltà e legalità". Giustizia: Giovanni Legnini "un'autoriforma del Csm, per essere più efficaci ed efficienti" di Anna Maria Ciuffa Specchio Economico, 15 maggio 2015 Manovre nuove si ravvisano nel balletto tra Parlamento e Governo, e il tema "anticorruzione" conduce le danze: il disegno di legge approvato dal Senato e inviato alla Camera prevede il reato di falso in bilancio, le intercettazioni solo per le società quotate, carcere più lungo per i mafiosi; si occupa di corruzione nella Pubblica Amministrazione; conferisce più poteri di vigilanza all'Anac, Autorità nazionale anticorruzione. Altro tema tristemente alla ribalta dopo i tragici fatti al Tribunale di Milano, quello della sicurezza nei luoghi dove si amministra la giustizia. Nel primo caso la Magistratura si troverà ad applicare le nuove norme anticorruzione, una volta approvate in via definitiva; nel secondo a richiedere maggiore sicurezza nei luoghi dove si esercita la giurisdizione. Sulle intercettazioni si gioca una partita molto delicata: il Legislatore dovrà trovare un punto d'equilibrio tra il diritto alla riservatezza, la tutela delle persone indagate e non indagate per fatti estranei all'oggetto delle indagini, le prerogative della giurisdizione ed il diritto di cronaca. Scelta normativa non semplice, trattandosi di valori di rilievo costituzionale. Questi e molti altri sono i punti all'attenzione dell'organo di governo autonomo dei magistrati, il Consiglio Superiore della Magistratura, a cui la Costituzione assegna le competenze in materia di assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati ordinari, oggi presieduto da Sergio Mattarella, presidente della Repubblica, che vi partecipa di diritto. Ma è il vicepresidente, che il Csm elegge tra i membri "laici", a svolgere concretamente i compiti connessi alla presidenza del collegio. Già sottosegretario all'Economia nel Governo Renzi, componente anche dell'Esecutivo Letta del quale ha fatto parte come sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all'Editoria e all'Attuazione del Programma, Giovanni Legnini ricopre questo incarico dal 30 settembre 2014, quando, nel discorso di insediamento, dichiarava: "Rapidità dei giudizi e certezza del diritto costituiscono il presupposto affinché si torni a guardare ai giudici e ai pubblici ministeri come ai detentori prestigiosi ed affidabili di una funzione che è e dovrà essere sempre autonoma, indipendente ed imparziale. Sono pertanto convinto che il Consiglio Superiore della Magistratura debba esercitare un ruolo di attenta partecipazione al complesso dei propositi riformatori avviati dal Governo e ai procedimenti legislativi pendenti in Parlamento, segnalando in modo puntuale le norme che rischiano di risultare in concreto non aderenti agli obiettivi indicati e quelle eventualmente lesive del ruolo e della funzione costituzionale dei magistrati". Domanda. Dopo due anni è stato approvato dal Senato il disegno di legge che aumenta le pene sulla corruzione e riforma il reato di falso in bilancio. Può illustrare in sintesi cosa cambia nella fisionomia di tali reati? Risposta. L'apparato sanzionatorio di contrasto alla corruzione esce indiscutibilmente rafforzato dal disegno di legge approvato dal Senato e ora all'esame della Camera. Per il reato di falso in bilancio vi è un'inversione di tendenza netta rispetto alla disciplina vigente, nel senso di reintrodurre fattispecie più stringenti di punibilità della falsificazione dei bilanci e un regime sanzionatorio conseguente. In sostanza, si vuole contrastare la corruzione anche facendo leva sul delitto di falso in bilancio che si presta ad essere commesso per costituire fondi neri. Una volta approvato il disegno di legge sarà certamente più agevole punire i responsabili, e sarà certamente più difficile farla franca per i corrotti. D. Fatta la legge, trovato l'inganno: si troveranno altri sistemi per continuare? R. Purtroppo nel nostro Paese l'attitudine ad aggirare la legge è elevata in qualunque ambito. Per un'efficace lotta alla corruzione, non basta una buona legge ma occorre un'evoluzione culturale tale da determinare il diffuso convincimento che quei reati corrodono il presente e il futuro dell'etica pubblica e dell'economia legale. In altre parole, contrastare la corruzione è giusto in sé e conviene all'economia e ai cittadini; questa è la consapevolezza che deve crescere. D. Si può debellare totalmente quella rete di relazioni "opache" che unisce criminali, politici e funzionari pubblici? R. La riforma di cui abbiamo parlato si muove nella direzione che lei indica, tuttavia per debellare la rete di relazioni opache occorre anche altro. Non è sufficiente la repressione penale che interviene, come sappiamo, a valle del manifestarsi delle condotte criminali, ma occorre intervenire anche in via preventiva, e su questo certamente l'attività dell'Autorità nazionale Anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone fornirà un decisivo contributo. Sarebbe altrettanto preziosa una profonda semplificazione normativa e amministrativa perché, dentro le complicazioni, si annidano l'opacità e la capacità di pressione sui pubblici funzionari. Laddove è difficile e complicato ottenere un risultato, è anche più facile indurre a comportamenti corruttivi. D. Per combattere la corruzione non si dovrebbe anche intervenire in ambito preventivo, per esempio snellendo la burocrazia? R. Il tema della semplificazione è cruciale. Un caso eclatante è costituito dalla disciplina degli appalti pubblici. In Italia partecipare a un appalto e aggiudicarlo costituisce spesso una delle operazioni più complesse che si possa immaginare; snellire e razionalizzare tale disciplina, fondarla su poche regole dagli effetti certi, aiuterebbe non poco a contrastare la corruzione. D. Cosa ha in mente di fare per portare avanti ciò che sta dicendo? R. Non spetta al Csm formulare le norme giuridiche, bensì al Governo e al Parlamento. Noi svolgeremo il nostro compito propositivo. D. Ogni giorno la polizia giudiziaria esegue provvedimenti contenenti dialoghi intercettati tra gli indagati o terze persone, ma solo quando spuntano nomi di politici o personaggi noti si ode il coro contro i giornalisti che riportano il contenuto degli atti giudiziari e contro i magistrati per aver inserito frasi e cognomi privi di rilevanza penale. Come uscirne? R. È evidente che la tutela delle persone non indagate o indagate per fatti estranei all'oggetto delle indagini è una necessità inderogabile. So bene che questa esigenza, finalizzata a tutelare la riservatezza delle persone, spesso confligge con il diritto di cronaca e con il diritto-dovere di informare, ma quando due interessi, peraltro entrambi costituzionalmente garantiti, e cioè quello della riservatezza e quello del diritto-dovere d'informare, confliggono, bisogna trovare un punto d'equilibrio. Oggi è troppo sbilanciato sulla libera diffusione di qualunque colloquio intercettato. D. Non ritiene giusto che queste intercettazioni escano fuori solo una volta che la giustizia abbia già fatto il proprio corso sull'indagato? R. Risolvere questo problema è ancora più difficile rispetto alla questione della tutela dei non indagati. Non è possibile, infatti, immaginare un processo penale nel quale gli atti vengano tenuti segreti prima della sentenza. Il processo penale è di per sé pubblico e non si può rinunciare a tale forma di tutela posta a garanzia dell'imputato e dell'esercizio della giurisdizione in nome del popolo. Altra cosa è una maggiore attenzione e tutela durante le indagini. Per esempio, l'idea di limitare non già l'utilizzo, ma la trascrizione delle intercettazioni nelle ordinanze di custodia cautelare destinate a essere pubbliche, è un'opzione interessante che il Legislatore farebbe bene a coltivare: la magistratura disponga comunque, nei termini che ritiene, del potere d'intercettare, usi pure il materiale che acquisisce e quindi anche le intercettazioni, ma prima di renderle pubbliche ci ripensi dieci volte. E soprattutto siano previste regole che limitino fortemente la diffusione delle intercettazioni non rilevanti ai fini delle indagini e dell'esercizio dell'azione penale. L'ipotesi avanzata sul punto dai Procuratori Pignatone e Bruti Liberati mi sembra interessante. D. Come si può mettere un limite a tutto ciò? R. Vi sono varie possibilità, ciascuna delle quali ha punti di forza e di debolezza. Il punto fermo dovrebbe essere: massimo potere ai magistrati nell'usare questo strumento, minima possibilità di rendere pubblico il materiale acquisito attraverso intercettazioni non strettamente necessarie alle indagini e al processo. Si discute da anni del tema senza risolverlo. Constato che oggi c'è un diffuso consenso ad intervenire con uno strumento normativo appropriato. D. Se la stampa le pubblica, è perché qualcuno le fa uscire. R. È proprio questo il punto: l'intervento di riforma deve accrescere il grado di riservatezza e di segretezza degli atti. Non si può pensare che un intervento riformatore salvaguardi tutto e tutti. Non è possibile. Se il valore costituzionale della riservatezza deve essere tutelato a qualcosa bisogna rinunciare, poiché non si possono depotenziare i mezzi d'indagine, né limitare il diritto di cronaca; il punto su cui intervenire è su quali atti d'indagine e su quando sia possibile renderli pubblici. Non vedo molte alternative. Se le intercettazioni arrivano alla stampa, non è che possiamo prendercela con i giornalisti e gli editori. D. Cosa pensa della nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati? R. Al sacrosanto diritto dei cittadini ad essere risarciti in presenza di provvedimenti dannosi nei loro riguardi per dolo o colpa grave dei magistrati, non può conseguire uno stato d'intimorimento e turbamento della libertà dei magistrati. Occorre che i nuovi strumenti e il diritto, che è stato diversamente disciplinato, di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno non siano utilizzati in modo strumentale e con l'intento di esercitare una pressione sui magistrati. L'ultima parola, comunque, spetterà alla giurisdizione poiché saranno i giudici investiti dalle domande di risarcimento danni a determinare la loro fondatezza. Sarà la stessa giurisdizione, dunque, che consentirà nel tempo di affermare una linea interpretativa in grado di coniugare questi due valori: il legittimo diritto dei cittadini ad essere risarciti nei casi previsti dalla legge e la necessità che i magistrati continuino a fare il proprio lavoro con diligenza e responsabilità, ma anche con serenità. D. Con quale parametro si può pensare di risarcire una persona che è stata ingiustamente danneggiata? R. I parametri sono quelli che già l'ordinamento prevede. In presenza di un ingiustificato provvedimento restrittivo della libertà personale, la quantificazione del danno dovrà essere ad essa proporzionata. Così come, se viene leso un diritto patrimoniale, il risarcimento sarà rapportato al danno patrimoniale concretamente stimabile. D. La politica ha dichiarato che uno dei primi problemi della giustizia italiana sono i magistrati; la vera questione non sarebbe un riequilibrio "pacifico" dei rapporti tra politica e magistratura? R. Non condivido il giudizio in base al quale uno dei primi problemi della giustizia siano i magistrati. Auspico che si affermi sempre più un clima di rispetto reciproco, e sottolineo "reciproco". La reciprocità nel rispetto delle prerogative e delle funzioni di ciascuno è la chiave per conseguire un equilibrio. A volte invece, ascoltando i giudizi politici, sembra che i magistrati debbano stare "buoni" e non occuparsi di nulla salvo che di reati bagatellari. Così come a volte appare inaccettabile un utilizzo distorto del potere d'indagine verso un'invadenza del campo del legittimo esercizio della discrezionalità politica. D. In che misura incidono la mancanza di personale e la crisi economica sulla lunghezza biblica dei processi italiani? R. Purtroppo incidono. Il personale amministrativo addetto agli uffici giudiziari è gravemente carente da anni, e la responsabilità non è di questo Governo ma è risalente nel tempo. Abbiamo una scopertura di organici molto elevata di circa 9 mila unità in ambito amministrativo. Quest'anno il Governo ha deciso di coprire mille posti, e naturalmente non può non apprezzarsi il fatto che abbia assunto una decisione che non si prendeva da anni, ma mancano ancora 8 mila unità, ed è ovvio che tale carenza di personale incide sulla lunghezza dei processi e sulla produttività dei magistrati, che le statistiche, peraltro, attestano come molto elevata. Moltissimi magistrati non riescono a svolgere udienze o a depositare sentenze in tempo perché non dispongono di personale sufficiente. Non lo dico solo io, lo dicono tutti. C'è anche il grande tema della formazione del personale in parallelo alla digitalizzazione del processo. La crisi economica d'altra parte influisce perché il disagio sociale e le difficoltà del sistema delle imprese si ripercuotono in via diretta sulla giurisdizione. Per esempio in questi anni di crisi sono aumentati vertiginosamente i fallimenti delle imprese e questo fenomeno ha condotto e conduce a un sovraccarico per il sistema giudiziario. È certo che sono aumentate le morosità, come anche le vendite all'asta delle case perché molti, che hanno perso il lavoro, non riescono a pagare il mutuo, e anche questo porta a un aggravio di pendenze per il sistema giudiziario. D. Lei è stato anche al Ministero dell'Economia; questa crisi e questo aggravio di pendenze non dipende anche dal fatto che il Governo, non solo quello attuale, con i suoi provvedimenti eccessivi nei confronti degli imprenditori, delle aziende, dei lavoratori, non li aiuta? R. Il mio ruolo m'impone di non rispondere a questa domanda. D. Secondo lei che significato "simbolico" ha la strage compiuta al tribunale di Milano? Per quale motivo si sono riversate troppe tensioni e troppa rabbia verso la giustizia? Non è anche un fatto legato ad una questione di sicurezza? R. La strage di Milano non può essere in alcun modo giustificata. Nessun collegamento si può stabilire tra la decisione folle di quella persona e le tensioni sociali o la delegittimazione della magistratura. Il gesto è gravissimo e folle, punto. C'è un problema di sicurezza negli edifici giudiziari italiani: c'era ben prima della strage ed occorre provvedere. Il Ministro ha convocato una riunione con i procuratori generali per impostare il lavoro che è già in via di definizione. Uno dei problemi che si pongono è che, poiché la gestione degli uffici giudiziari e dei servizi accessori compresa la sicurezza, è stata fino a questo momento affidata ai Comuni, si è creata una situazione a macchia di leopardo in giro per l'Italia, ci sono uffici più sicuri e uffici meno sicuri. Dal primo settembre 2015, in virtù di una norma contenuta nell'ultima legge di stabilità, la gestione degli uffici giudiziari, compresa la sicurezza, sarà affidata al Ministero della Giustizia e questo può essere l'occasione per un ripensamento complessivo su un tema che tutti riteniamo importante. C'è sì la necessità di una maggiore vigilanza e sicurezza, ma non vorrei neanche che i tribunali diventassero bunker inaccessibili perché altrimenti si creerebbero file e disagi non secondari. Bisognerebbe anche qui farsi aiutare dalla tecnologia per stabilire controlli più efficaci, senza creare barriere eccessive per i moltissimi cittadini, avvocati e professionisti, che accedono quotidianamente agli Uffici Giudiziari. D. Ma i cittadini non hanno bisogno di avere più fiducia in un potere giudiziario certo, valido e giusto come deve essere quello della Magistratura? R. Il tema del recupero della fiducia è cruciale. L'esercizio della giurisdizione di per sé deve essere improntato alla certezza e all'effettività della risposta, e questo è l'unico parametro per recuperare quella fiducia; se si avvertirà che la giustizia è efficiente ed è rispettosa dei diritti dei cittadini, tutto sarà più semplice. D. La Magistratura ultimamente sembra aver perso quell'aura di rispetto e di autorevolezza. Cosa fare? R. Se vi è crisi d'autorevolezza della magistratura, questa è purtroppo collegabile al tema dell'inefficienza. L'equazione "la giustizia non mi offre la risposta, uguale, responsabilità e colpe sono dei magistrati" è sempre più ricorrente, anche quando ciò non risponde al vero. Se riusciamo a recuperare valori di efficienza, celerità e certezza nelle decisioni, credo che il rispetto e l'autorevolezza dei magistrati torneranno a crescere. D. Dal 30 settembre 2014 è vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Può fare un bilancio di questi primi mesi di consiliatura? È auspicabile, da parte sua, una riforma interna del Csm? Quali modifiche adotterebbe? R. Abbiamo adempiuto ad un carico di lavoro ordinario notevole in modo assolutamente tempestivo e soddisfacente; ciò non è facile all'inizio di una consiliatura e con un Plenum che è nuovo in tutti i suoi componenti, anche perché l'incarico non è rinnovabile. Stiamo elaborando idee e definendo progetti per cambiare in profondità questa istituzione così importante non solo per i magistrati: garantire la loro indipendenza è un valore non solo a loro tutela ma anche per i cittadini. Trovarsi di fronte a un giudice non libero è la negazione di uno dei principi basilari della democrazia. L'autogoverno dei magistrati che la Costituzione ha affidato al Consiglio Superiore della Magistratura serve a questo: io e tutti i consiglieri ne siamo consapevoli. Se decliniamo il doveroso principio dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura in chiave di rispetto dei diritti dei cittadini, questa istituzione acquisirà ulteriore autorevolezza. D. Quali sono i suoi obiettivi per la Consiliatura? R. Cambiare questa istituzione: autoriformarla per renderla più efficiente e più trasparente nel senso della comprensibilità da parte dei cittadini di ciò che si decide e di come si arriva alle scelte; fare in modo che il Csm sia considerato dai magistrati più che nel passato come un'istituzione autorevole che non offre risposte amicali o correntizie, ma obiettive e meritocratiche; infine, fare in modo che il Consiglio, quale organo d'autogoverno, stabilisca con gli altri poteri dello Stato un rapporto certo improntato all'autonomia, ma anche alla capacità di dialogo e di costante confronto. D. Tra le attività del Csm, una delle più rilevanti è quella del conferimento degli incarichi direttivi. Quali sono le conseguenze del decreto Madia? R. Per effetto dell'abbassamento dell'età pensionabile da 75 a 70 anni siamo stati investiti dal Legislatore a rinnovare una notevole quantità di incarichi direttivi, a partire dalle posizioni di vertice degli Uffici Giudiziari. In questa Consiliatura abbiamo una grande responsabilità perché, scegliendo persone adeguate al ruolo, contribuiremo in concreto a riformare nei fatti la giustizia. D. È soddisfatto di questo incarico o preferiva stare al Governo? R. La distanza tra le due funzioni è molto rilevante. Sottolineo la soddisfazione di essere stato investito, in un arco di tempo ristretto, della cura degli interessi pubblici dal punto di vista di tutti e tre i poteri: da legislatore in Parlamento, da componente dell'Esecutivo e adesso dalla prospettiva della giurisdizione. Tra questi tre ruoli le differenze sono evidenti ma il fine è comune: fare la propria parte per concorrere al bene comune. Giustizia: la Procuratore Nazionale Antimafia diventa competente sui reati di terrorismo di Antonio Marini* Specchio Economico, 15 maggio 2015 Il 15 aprile scorso è stato approvato in via definitiva dal Senato il decreto legge varato dal Governo, contenente misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché la proroga delle missioni internazionali delle forze di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione. Come si rileva dalla relazione del disegno di conversione in legge di tale decreto, si tratta di misure estremamente importanti che si muovono sia sul versante interno, sia sul versante internazionale, tenuto conto che una concreta e corretta politica di prevenzione e di repressione contro la crescente minaccia terroristica di matrice jihadista, che in questi ultimi anni si è manifestata in forme spesso nuove e di inusitata violenza, comporta necessariamente una visione del fenomeno non limitata all'ambito del territorio nazionale, ma mirata anche al rafforzamento della presenza delle nostre Forze armate nei territori di maggiore criticità. Non v'è dubbio, infatti, che il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione in aree di crisi, come si sottolinea nella relazione, sia propenso ad acquisire sempre più anche una funzione preventiva quale elemento essenziale della politica estera, con sicuri riflessi sulla sicurezza dei cittadini. Né v'è dubbio che la lotta al terrorismo vada realizzata in maniera unitaria senza divisione tra sicurezza interna ed esterna come d'altronde dimostrato dal fenomeno dei cosiddetti foreign fighters. Infatti, il contesto che si deve affrontare rende essenziale sviluppare una capacità di risposta globale, attraverso misure che si muovono sia sul versante interno, sia sul versante internazionale per consolidare il processo di pace, sforzo al quale l'Italia contribuisce attraverso operazioni in cui sono impegnati contingenti e aliquote delle nostre Forze armate e di polizia. Diventa cioè strategica nella lotta al terrorismo la partecipazione attiva del nostro Paese alla coalizione internazionale di contrasto alla minaccia terroristica dello Stato islamico ovvero dei jihadisti dell'Isis, costituita su iniziativa degli Stati Uniti d'America e in risposta alle richieste di aiuto umanitario e di supporto militare delle autorità regionali curde, con il consenso delle autorità nazionali irachene, in seguito alla Conferenza internazionale per la pace e la sicurezza dell'Iraq, tenutasi a Parigi il 15 settembre 2014. Nel documento conclusivo di tale conferenza, individuata nell'Isis una minaccia non solo per l'Iraq ma anche per l'insieme della comunità internazionale, è stata affermata l'urgente necessità di un'azione unitaria per contrastare tale minaccia, in particolare adottando misure per prevenirne la radicalizzazione, coordinando l'azione di tutti i sevizi di sicurezza e rafforzando la sorveglianza delle frontiere. Analoghe raccomandazioni sono del resto contenute nelle Risoluzioni nn. 2170 e 2178 adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, rispettivamente il 15 agosto e il 24 settembre del 2014, che hanno riaffermato la necessità di combattere con ogni strumento, in conformità con la carta delle Nazioni Unite e con l'ordinamento internazionale, le minacce alla pace e alla sicurezza causate da atti terroristici. Una strategia complessiva, dunque, per dare una risposta efficace a una minaccia globale. Di qui la scelta, da un lato di consolidare, come già detto, la presenza dei nostri militari all'estero e, dall'altro, di incidere sui vari pilastri della normativa nazionale, estendendo la tutela penale per "abbracciare" condotte rispondenti alla nuova tipologia di fenomeni riscontrati in tale ambito con particolare riguardo alle misure di prevenzione attraverso il rafforzamento dei poteri dei Servizi segreti, che tradizionalmente operano un'incisiva azione di lotta al terrorismo, nonché della magistratura con l'individuazione di una nuova figura di coordinamento e di riferimento denominata Procuratore Nazionale Antiterrorismo, coincidente con quella del Procuratore Nazionale Antimafia. Con la nuova legge, infatti, la Procura Nazionale Antimafia assume la denominazione di "Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo", estendendo così la competenza del Procuratore Nazionale Antimafia ai reati di terrorismo. In particolare, il provvedimento introduce norme finalizzate a garantire un coordinamento su scala nazionale delle indagini e dei procedimenti di applicazione delle misure di prevenzione in materia di terrorismo, attribuendo a tal fine specifiche funzioni al Procuratore Nazionale Antimafia. Come è noto, la precedente normativa prevedeva soltanto la distrettualizzazione delle attribuzioni del Pubblico Ministero in riferimento ai procedimenti per i delitti di terrorismo, ma nulla era disposto quanto al coordinamento sul piano nazionale di attività di investigazione e di indagine. Per sopperire a tale carenza la nuova normativa prevede l'estensione a settore per i delitti di terrorismo anche internazionale dei compiti e delle funzioni di coordinamento che il Procuratore Nazionale Antimafia aveva svolto finora al contrasto alla criminalità mafiosa. Per quanto concerne l'operato dei Servizi segreti la nuova legge introduce una norma temporanea volta a consentire, fino al 31 gennaio 2016, ai Servizi di informazione di effettuare colloqui personali con i soggetti detenuti o internati, al fine di acquisire informazioni per la prevenzione dei delitti con finalità terroristiche di matrice internazionale. La norma precisa che tali colloqui siano effettuati su richiesta del presidente del Consiglio dei Ministri, formulata a mezzo del direttore generale del Dipartimento delle informazioni della sicurezza (DIS) e previa autorizzazione del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma, concessa quando sussistono specifici e concreti elementi informativi che rendono assolutamente indispensabile l'attività di prevenzione. È inoltre previsto che dello svolgimento dei colloqui sia data comunicazione scritta al Procuratore Generale e ne venga informato il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir). Un'altra norma di grande importanza è quella che estende le garanzie funzionali e di tutela, anche processuali, del personale e delle strutture degli organismi di informazione e sicurezza. In particolare, tale norma estende anche al personale dei servizi di informazione che ha agito sotto copertura, la possibilità già prevista per la polizia giudiziaria di deporre in sede testimoniale mantenendo le generalità di copertura. In tal modo si intende, da un lato , tutelare i soggetti impegnati nelle attività informative che richiedono false identità, e dall'altro agevolare acquisizioni probatorie collegate allo svolgimento di tali attività. Essa introduce, inoltre, la possibilità di autorizzare il personale dei servizi di informazione per la sicurezza della Repubblica a ulteriori condotte previste dalla legge come reato al fine dello svolgimento delle attività informative di fronte a minacce di natura terroristica. Prima dell'introduzione della nuova normativa non potevano essere autorizzate le condotte per le quali non era possibile opporre il segreto di Stato, e quindi tra queste anche quelle relative a fatti di terrorismo, con la sola eccezione della condotta di partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico, prevista dall'articolo 270 bis del Codice penale. Nella configurazione delle operazioni di intelligence finalizzate all'acquisizione di notizie e informazioni in relazioni alla minaccia terroristica è però emerso come il reale svolgimento delle operazioni possa portare il personale dei Servizi segreti a commettere anche condotte contigue a quella autorizzata della partecipazione all'associazione di cui all'articolo 270 bis. È questo il caso in cui l'associazione oggetto di interesse informativo assume la configurazione di banda armata, realizzando la fattispecie di cui all'articolo 306 del Codice penale, ovvero della fattispecie meno grave dell'associazione sovversiva di cui all'articolo 270 del Codice penale. Al riguardo, va sottolineato che l'ipotesi delittuosa di banda armata è ritenuta poter concorrere con quella di associazione di finalità di terrorismo e che la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione ha riconosciuto l'autonoma valenza della fattispecie dell'associazione sovversiva di cui all'articolo 270, superando il precedente orientamento che riteneva tale fattispecie assorbita della più grave condotta dell'associazione con finalità di terrorismo, scriminabile ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 124 del 2007. Di qui la necessità di conferire una più certa base normativa alle operazioni dei Servizi realizzabili mediante autorizzazioni di condotte di reato, dando riconoscimento alle diverse ipotesi criminose cui può dar luogo lo svolgimento delle specifiche attività informative, evitando così che, pur in assenza dell'autorizzazione riferita all'articolo 270 bis, possano essere contestate al personale dei Servizi condotte finora non scriminabili. Così la nuova normativa prevede che fino al 31 gennaio 2018 possano essere autorizzate non solo le condotte relative all'associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico di cui all'articolo 270 bis, ma anche le condotte relative all'assistenza degli associati di cui all'articolo 270 ter, all'arruolamento e all'addestramento con finalità di terrorismo anche internazionale di cui all'articolo 270 quater e 270 quinquies, nonché alle condotte relative all'associazione sovversiva di cui all'articolo 270, all'istigazione a commettere alcuno dei delitti contro la personalità interna e internazionale dello Stato di cui all'art. 302, alla banda armata di cui all'art. 306, secondo comma, e all'istigazione a delinquere di cui all'art. 414, quarto comma, del Codice penale. La nuova legge mira anche ad assicurare una sostanziale omogeneità giuridico-operativa rispetto agli appartenenti ai servizi di informazione al personale delle Forze armate che è impiegato in un numero circoscritto di unità nell'attività di concorso con il personale del contingente speciale per la tutela della sicurezza delle sedi e del personale del Dipartimento delle informazioni della sicurezza (Dis), dell'Agenzia Informazioni per la Sicurezza Interna (Aisi) e dell'Agenzia Informazioni per la Sicurezza Esterna (Aise). Con la nuova legge potrà essere consentito un più efficace utilizzo del personale delle Forze armate nei predetti compiti di tutela, consentendo di destinare il personale degli organismi allo svolgimento delle attività informative di istituto. La nuova legge prevede, poi, anche la possibilità per gli appartenenti ai Servizi segreti di utilizzare l'identità di copertura negli atti dei procedimenti penali aventi ad oggetto le condotte scriminate della previsione delle garanzie funzionali, con l'immediata comunicazione alla magistratura procedente. E ciò al fine di tutelare l'attività operativa esercitata con l'utilizzo delle garanzie funzionali, in contesti che presentano elevati profili di rischio e di assicurare una maggiore efficacia alla stessa attività, impedendo il disvelamento delle reali identità delle persone impiegate anche esterne ai Servizi di Informazione. *Antonio Marini, Procuratore Generale della Repubblica f.f. della Corte d'Appello di Roma Giustizia: sulla riforma della prescrizione raggiunto l'accordo nella maggioranza Il Sole 24 Ore, 15 maggio 2015 Accordo fatto nella maggioranza sul "riequilibrio" dei termini della prescrizione previsti dalla riforma in materia all'attenzione del Senato, condizione posta da Area Popolare per non ostacolare l'approdo in Aula alla Camera, senza modifiche, del ddl Anticorruzione, che dovrebbe avere l'ultimo via libera in seconda lettura la prossima settimana. Un vertice al ministero della Giustizia tra il ministro Andrea Orlando e i capigruppo di maggioranza ha stabilito l'avvio di un tavolo tecnico sulla prescrizione per raccordare i due ddl e rivedere l'allungamento eccessivo dei termini per i reati contro la Pa che rischiava di avere impatti sulla ragionevole durata dei processi. Orlando, a margine della presentazione dell'"Enciclopedia delle Mafie" al Senato, si è detto "assolutamente soddisfatto" per l'accordo raggiunto dalla maggioranza sulla prescrizione che "ci consente di approvare le norme anticorruzione prima delle elezioni regionali, come ci eravamo impegnati a fare e come è giusto fare". Al termine della riunione - cui oltre al Guardasigilli hanno preso parte anche il vice ministro Enrico Costa, gli esponenti di centrodestra Renato Schifani, Nico D'Ascola e Carlo Giovanardi e il responsabile giustizia del Pd, David Ermini - Area Popolare ha garantito che i tempi di approvazione del ddl Anticorruzione, annunciati nei giorni scorsi sia dal ministro Orlando, sia dal premier Matteo Renzi, saranno rispettati e che le norme saranno legge entro la prossima settimana. Sul ddl Grasso, ha spiegato il capogruppo a Palazzo Madama Schifani, "non ci sono intoppi. Si va verso l'approvazione del testo uscito dal Senato. In Aula illustreremo i nostri emendamenti sul falso in bilancio per aprire un dibattito. Siamo pronti al confronto ma non ci sono elementi di contrasto". Quanto al tavolo sulla prescrizione, Schifani ha sottolineato che "porterà al giusto compromesso". La riunione è stata "un passo avanti per la rivisitazione delle anomalie presenti nel testo sulla prescrizione, che portavano a un'eccessiva dilatazione dei termini violando il principio della ragionevole durata dei processi". Ermini, responsabile Giustizia del Pd, ha chiarito che il tavolo inizierà a lavorare nelle prossime settimane, ma che "l'impianto delle norme rimane integro e il lavoro partirà dalla considerazione che i reati contro la Pa, ai fini del calcolo della prescrizione non sono considerati come reati ordinari e nel novero abbiamo chiesto che siano inclusi tutti, anche l'induzione". Nel pomeriggio, l'Aula della Camera ha poi avviato e concluso la discussione generale del ddl Anticorruzione. In base a quanto stabilito ieri dalla conferenza dei capigruppo, l'esame degli articoli e degli emendamenti inizierà la prossima settimana, dopo il voto finale sul ddl scuola fissato per mercoledì 20 alle 13. L'intesa tra i gruppi è di licenziare le nuove norme contro la corruzione venerdì 22. "Siamo particolarmente fieri di aver introdotto una norma sul falso in bilancio degna di questo nome". Intervenendo in Aula sul ddl, la vice capogruppo Pd Alessia Morani, ha sottolineato come reato di falso in bilancio costituisca "l'antefatto della corruzione, la zona grigia dove si ricavano i fondi per la corruzione". Dal lungo iter parlamentare è uscita "una norma efficace, che prevede pene fino a 8 anni, le più alte in Europa, ma capace di distinguere i meri errori materiali dalla volontà di falsare i conti". Rispondendo alle accuse di norma opportunistica lanciata dai 5 Stelle, Morani ha concluso "Questa è una legge che il Paese attende da troppi anni. Non è campagna elettorale, è che il Paese ha bisogno di una legge anticorruzione, il marketing politico lo lasciamo ad altri". Fortemente critico il capogruppo azzurro, Renato Brunetta, che commentando la riforma con i giornalisti ha parlato di "ennesimo spot pubblicitario" perché "non si combatte la corruzione aumentando le pene". "Avevamo impostato con il governo Berlusconi - prosegue - ben altro. Vale a dire la prevenzione, la trasparenza, la trasparenza della pubblica amministrazione, perché la corruzione si annida proprio nell'inefficienza, nell'opacità della pubblica amministrazione. Avevamo predisposto un disegno di legge che era cosa ben diversa da queste gride manzoniane di Renzi fatte soprattutto, ancora una volta, per avere facile demagogico consenso". "Il risultato - ha concluso - sarà che non succederà assolutamente nulla, le pene incrementate non spaventeranno nessuno, ma Renzi si sarà ripulito la coscienza con grande danno per il mondo delle imprese che non avranno più certezza e che dovranno temere per i propri bilanci". Giustizia: prescrizione, se per l'opinione pubblica il "mostro" è l'avvocato di Antonietta Denicolò (Componente della Giunta dell'Unione Camere Penali) Il Garantista, 15 maggio 2015 L'ascolto dei telegiornali di prima mattina e la lettura degli articoli apparsi su molti quotidiani a grande diffusione nazionale porta in evidenza il messaggio che i media si ostinano a voler fare passare: la prescrizione dei reati sarebbe l'eldorado di ogni indagato, e i difensori dei soggetti "graziati" dall'intervento salvifico sarebbero, in qualche misura, le anime nere che hanno tramato perché l'empio evento venga portato a compimento. A noi preoccupa dover constatare il tentativo di spalmare sugli indagati e sui loro difensori la volontà di sottrarsi al processo. Nella più profonda condivisione del dolore della famiglia del professor Marco Biagi e nell'assoluta certezza che Jung non sbagliava affermando che ai soggetti coinvolti resta il doloroso e sofferente confrontarsi con le proprie coscienze, c'è il timore che si voglia colpire imputati e legalità. In più articoli e in più servizi è stato detto che l'ex ministro Claudio Scajola e l'ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, pur avendo avuto la possibilità di rinunciare alla prescrizione, avrebbero opzionato di non manifestare la ridetta volontà, e quindi avrebbero preferito sottrarsi a un processo anziché conclamare la loro estraneità dal fatto percorrendo quel processo. Ora: se è vero che si è anche data voce al fatto che i difensori di Scajola e De Gennaro avrebbero fatto sapere come non rientri nel potere dell'indagato rinunciare alla prescrizione, facoltà che per converso spetta solo all'imputato, in nessun articolo tra quelli apparsi a commento della vicenda si insinuano perplessità, per converso doverose, sul tempo e sul modo di svolgere le indagini, e dunque sulla consumazione della prescrizione nelle mani degli uffici inquirenti, prima che gli indagati e la loro difesa possano in qualche modo incidere sul destino processuale della vicenda. L'opinione pubblica, costituita non necessariamente da esperti di diritto, dovrà sapere che quando un reato è prescritto, al pubblico ministero che ha in carico l'indagine per quel fatto, è precluso l'esercizio dell'azione penale, e quindi la richiesta di archiviazione diviene un atto necessitato, sul quale gli indagati non possono in nessun modo incidere. Che questa sia la realtà tecnica è un dato certo e codificato: come operatori di diritto ci interroghiamo sul perché si offrono notizie finalizzate a sconfessare principi del nostro ordinamento giudiziario. Sembra esserci una sola possibile risposta: perché si vuole, si pretende, di incupire con luci sinistre chi, non avendo potuto essere sottoposto a un processo - perché appunto la Procura ha utilizzato un tempo eccedente quello ritenuto lecito per far processare qualcuno - deve quantomeno essere bersaglio della gogna mediatica; deve apparire come colui che ha "sfruttato" la prescrizione per non dare conto delle proprie malefatte. La parte preponderante della stampa gronda di presunzione di colpevolezza: al di là di forme vistosamente "di stile" che impongono di scrivere "il presunto colpevole", è palpabile la convinzione che l'iscrizione nel registro degli indagati congiunga il soggetto iscritto all'ipotesi della sua condanna. Ma in un ordinamento che dovrebbe leggere la presunzione di innocenza come elemento fondante, questa prassi eversiva sconvolge le coscienze sensibili al rispetto della norma. Ed allora, in questo nostro sistema in cui si vorrebbe, per come Salvatore Tramontano sul "Giornale" ha scritto, che la prescrizione diventi un ergastolo, la voce dei penalisti italiani non può tacere e deve esprimersi facendo comprendere quello che in mille occasioni, anche istituzionali, si è avuto modo di dire, ovvero che non è demanio né dell'indagato né del suo difensore dilatare i tempi processuali per emergere dalle imputazioni attraverso la prescrizione, ma è piuttosto responsabilità di chi investe tempi biblici ed incongrui per coltivare e chiudere un'indagine ciò che non consente, in molti casi, di raggiungere una verità processuale. Siamo convinti che al di là del cicaleccio da talk show - per dirla con Guccini - per la collettività sarà meglio conoscere come obiettivamente si evolvono le procedure, piuttosto che essere appagata attraverso la consegna di un capro espiatorio che, solo a causa di errori o di ritardi degli inquirenti, non potrà sottrarsi dal pregiudizio che riconnette al binomio prescrizione uguale colpevolezza la definizione dei casi irrisolti. Giustizia: sì al ddl anticorruzione, ma prescrizione ridotta per i reati contro la PA di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 15 maggio 2015 Governo e maggioranza blindano il ddl anticorruzione, che diventerà legge senza modifiche venerdì prossimo. Ma decidono anche di modificare il ddl sulla prescrizione riducendo i termini proprio per i reati più gravi contro la pubblica amministrazione. Il "quantum" della riduzione è ancora da definire ma il risultato finale non sarà quel (quasi) "raddoppio" promesso pubblicamente dal premier Matteo Renzi e approvato dalla Camera (nel testo ora all'esame del Senato) per i reati di "corruzione propria", "impropria" e "in atti giudiziari". Salvo ripensamenti, infatti, nel vertice di maggioranza di ieri al ministero della Giustizia(presenti solo i capigruppo del Senato), Area popolare ha ottenuto un "tavolo tecnico" per mettere a punto la rimodulazione dei termini allungati a Montecitorio vista la "specificità" dei reati contro la Pa (che, come ricordato in questi giorni anche dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, spesso si scoprono anni dopo essere stati commessi, con conseguente erosione della prescrizione). Il compromesso che si fa strada gioca sugli articoli 157 e 161 del Codice penale. Stando ai ddl anticorruzione e prescrizione, la "corruzione propria" si prescriverebbe in 18 anni e 3 mesi perché il nuovo articolo 157 stabilisce che il termine iniziale non sia più di 10 anni (pari al massimo della pena) ma sia aumentato della metà (5 anni); a questa nuova base (15 anni) si andrebbe poi ad aggiungere l'aumento di 1/4 previsto dall'articolo 161 per effetto delle interruzioni (nella fattispecie, 3 anni e 3 mesi). Quasi un raddoppio, quindi, visto che le norme vigenti fissano la prescrizione a 10 anni (con la ex Cirielli era di 7 anni e 1/5 mentre prima era di 15). Ap propone invece di lasciare com'è l'articolo 157 e di modificare il 161: il termine di base resterebbe quindi 10 anni, ma si arriverebbe a 15 portando da 1/4 alla metà l'aumento previsto per effetto delle interruzioni. In "cambio" di questa correzione al ddl sulla prescrizione, Ap ha garantito di votare senza modifiche il ddl anticorruzione. "Un'intesa equilibrata" chiosa il viceministro Enrico Costa (Ncd). Orlando non si sbilancia, limitandosi alla "soddisfazione" per un accordo che consente di approvare l'anticorruzione prima delle elezioni regionali. Il relatore David Ermini (Pd) precisa che comunque "i reati contro la Pa non potranno essere considerati come reati ordinari" (quindi si terrà conto della loro specificità) e che tra quelli per i quali scatterà comunque un aumento della prescrizione (sia pure con il meccanismo dell'articolo 161) ci sarà anche l'"induzione indebita" , che alla Camera era stata invece misteriosamente esclusa dal (quasi) "raddoppio". Perplesso il capogruppo Pd in commissione Giustizia alla Camera Walter Verini, secondo cui "nessun tavolo tecnico potrà ipotizzare cose diverse da quelle pubblicamente affermate dal presidente del Consiglio, e cioè il raddoppio dei tempi di prescrizione per i reati contro la PA, un'impostazione su cui alla Camera - dice - abbiamo coerentemente lavorato". Giustizia: la trattativa del Pd con il Nuovo Centrodestra sui reati dei "colletti bianchi" di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 15 maggio 2015 L'annuncio di un accordo tra il Pd e la componente di centrodestra è l'ennesima conferma di una maggioranza divisa sulla "questione giustizia", che fatica ad andare avanti con le riforme in questo settore. E per ottenere la garanzia di approvare la nuova legge anticorruzione entro la prossima settimana, in modo da poterla spendere nell'ultimo tratto di campagna elettorale per le amministrative, i democratici sono costretti a promettere che in cambio rivedranno quella parte di "nuova prescrizione" che, combinandosi con l'altra riforma porterebbe, per la corruzione, il tempo limite per pronunciare l'ultima sentenza a oltre vent'anni (più del doppio di quanto previsto ora). Un'esagerazione, a detta di tutti o quasi. Tuttavia di scritto e approvato non c'è ancora nulla. C'è l'impegno reciproco tra i due schieramenti affinché - mentre arriverà il sì definitivo della Camera alla riforma che Renzi vuole al più presto, la quale aumentando il tetto di pena per la corruzione a 10 anni porta di per sé la prescrizione fino a quel limite, più eventuali 2 anni e mezzo - al Senato si presenti un emendamento sulla modifica della durata massima della perseguibilità di tutti i reati. Con l'obiettivo, per quelli contro la pubblica amministrazione, di non superare in ogni caso, più di tanto, il tempo massimo previsto per arrivare alla sentenza definitiva negli altri procedimenti. In modo da evitare la processabilità all'infinito, come chiede il Nuovo centro destra di Alfano. Ora si tratterà di vedere quale testo verrà concretamente partorito, sebbene lo scopo di non squilibrare troppo la prescrizione per la corruzione rispetto a quella prevista per gli altri reati (tenendo conto dell'interruzione del decorso per due anni dopo la prima condanna e di uno dopo l'eventuale conferma di colpevolezza in appello) sia ritenuto corretto. Pur tendendo presente che quel genere di reati commessi dai cosiddetti "colletti bianchi" hanno la particolarità di essere scoperti, spesso, molto tempo dopo essere stati commessi: per questo un allungamento del tempo disponibile a celebrare i processi è considerato un intervento necessario e razionale. Nell'attesa di poter valutare il risultato finale, rimane la sensazione che anche stavolta la materia del contendere sia diventata il vessillo di una battaglia in cui ciascuno dei due fronti di sostegno al governo è chiamato a difendere un principio di cui deve rendere conto al proprio elettorato: l'aumento delle pene per corruzione a sinistra, la tutela dei "colletti bianchi" da un processo eterno a destra. Non a caso, appena ha capito che il Pd di Renzi voleva accelerare su corruzione e prescrizione, Ncd e i suoi alleati hanno chiesto altrettanta solerzia sulle riforme delle intercettazioni e del Csm. "Perché sennò facciamo solo leggi che piacciono ai magistrati, e non va bene" ha protestato il capogruppo alfaniano Lupi; "ma se abbiamo appena approvato la responsabilità civile dei giudici e la riforma della carcerazione preventiva!", gli ha replicato il responsabile giustizia renziano David Ermini. Lasciando intendere che divisioni e battaglie interne alla maggioranza sulla "questione giustizia" sono tutt'altro che concluse. Giustizia: allarme di Mattarella sulla corruzione "è una concezione rapinatoria della vita" di Marzio Breda Corriere della Sera, 15 maggio 2015 Il presidente a Torino: politica senza senso se non orientata alla giustizia. Gli ricordano i visitatori illustri che hanno fatto tappa qui, compresi altri inquilini del Quirinale, e quando sente il nome di Benigno Zaccagnini ha un brivido. "Lo conoscevo bene. Per me è stato importante seguire la sua vita. Come una lezione", dice Sergio Mattarella. E si spiega evocando un passo dell'ultimo discorso pubblico che il segretario della Dc fece poco prima di morire: "La politica è cercare di capire le grandi cose. Per dare ad esse un senso. Per intervenire possibilmente affinché si svolgano secondo un fine, nella consapevolezza che tutto è strumento (anche il partito è strumento) e lo strumento si nobilita in relazione al fine che si vuole raggiungere". Frasi delle quali ha percepito fin da quel giorno il valore testamentario. Infatti ha cercato di raccoglierle e gli sembra giusto trasmetterle a sua volta - in una logica che si potrebbe definire di pedagogia civile - ai giovani con i quali dialoga nell'ex fabbrica d'armi divenuta Arsenale della Pace, dove ha sede il Sermig di Ernesto Olivero. Un dialogo a tutto campo, quello fra i ragazzi e il presidente. Con l'obiettivo di dissipare le troppe ombre di oggi, mentre le provviste etiche del Paese si stanno consumando e chi si occupa della "cosa pubblica" è spesso, e magari non senza motivo, circondato dal "discredito dei cittadini". Delegittimato. La politica, avverte il presidente, "smarrisce il suo senso se non è orientata alla giustizia, alla lotta contro le esclusioni e le disuguaglianze… e diventa poca cosa se non è sospinta dalla speranza di un mondo sempre migliore". La politica, tagliando corto, ha sempre un'urgenza "di concretezza, di scelte concrete" e c'è il rischio che non venga capita quando non ha "la capacità di affrontare i problemi, di ridurre i danni, di sanare le ferite sociali, di andare incontro ai bisogni materiali". Per questo, aggiunge, "c'è bisogno di voi giovani… non tiratevi indietro, fatevi sentire, imponete i vostri temi agli adulti". Ma come si fa, gli obietta Irene, se dominano la corruzione e la corsa al potere? Come si lotta per avere un mondo più pulito e trasparente? "Sì", ammette il capo dello Stato. "La corruzione è un fenomeno diffuso. Come se ci fosse una concezione rapinatoria della vita. L'impegno, per ognuno, sarebbe di cominciar a riflettere criticamente su se stesso, ricordando che oltre ai diritti abbiamo dei doveri e che troppo spesso si punta il dito su ciò che fanno gli altri senza accorgersi che si ha lo stesso comportamento. Aveva ragione Papa Francesco quando scriveva, prima ancora di diventare arcivescovo di Buenos Aires, che i corruttori sono i peggiori peccatori. Parole di fuoco che condivido… La corruzione nasce dalla caduta della politica". È una sorpresa per molti, il Mattarella che va in scena a Torino. Percorre la città in lungo e in largo, tra il Salone del Libro, una sosta alla torre di Intesa San Paolo, una colazione al Cambio, tappe davanti alla Sindone e al Museo Egizio, sulla tomba di San Giovanni Bosco e infine al Sermig. Si muove spesso a piedi. Si ferma sorridente con quelli che lo salutano e che in parecchi casi lo ossessionano per un selfie. Soprattutto parla senza risparmio. Insomma, fa il contrario di uno che si protegge nel silenzio e in lontananze impenetrabili, come lo dipinge la satira. Una visita densa di appuntamenti e contatti, nella quale sperimenta il carico di aspettative che gli italiani mettono su di lui e che i volontari del Sermig gli dimostrano con il loro ingenuo ma penetrante questionario. Che affronta senza eludere nessuna domanda. Come quelle sui migranti, per i quali richiama in causa l'Europa, che "ha avuto secoli contrassegnati da migrazioni". Rammenta che "c'è sempre stato l'istinto di chiudersi, come se fosse possibile impedire gli arrivi", ma che occorre agire "in modo più intelligente, e non pensare a scorciatoie impossibili". Si tratta di un "fenomeno epocale", che ci mette di fronte a una "responsabilità storica". E l'Unione europea "non può non essere all'altezza della sua storia e dei suoi valori". Giustizia: il pm Francesco Greco "contro la corruzione norme più severe per i privati" di Davide Gangale lettera43.it, 15 maggio 2015 Legge troppo soft. Punire le società pubbliche non basta. Il sistema si è evoluto. Il procuratore Greco: "Falso in bilancio? Bene, ma s'intervenga sulle fondazioni".. È il magistrato tuttora in attività che detiene il record, per numero e per importanza, delle indagini su casi di falso in bilancio e corruzione in Italia. Sulla scrivania del suo ufficio, al quarto piano del tribunale di Milano, ci sono i dossier che scottano: dalla presunta evasione fiscale di Apple Italia all'ipotesi di aggiotaggio per il Consiglio di amministrazione di Ei Towers, fino alle perdite da centinaia di milioni di euro che sarebbero state occultate dagli ex dirigenti della banca Monte dei Paschi di Siena. Il procuratore aggiunto Francesco Greco, coordinatore del pool sui reati finanziari, insieme con Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo ha fatto la storia di Mani pulite. "Il ddl? Giudizio complessivamente positivo". A più di 20 anni di distanza da quell'esperienza, ha commentato in esclusiva per Lettera43.it il disegno di legge anticorruzione varato dal governo Renzi, che venerdì 15 maggio approda in Aula alla Camera dei deputati per l'approvazione definitiva. "Il mio giudizio è complessivamente positivo", spiega. "Mi auguro però che prima o poi il legislatore decida di intervenire con una normativa più seria per contrastare la corruzione privata, e per riportare a trasparenza il sistema delle fondazioni". Domanda. Ha parlato di giudizio "complessivamente positivo" sul disegno di legge anticorruzione. Nulla da eccepire, dunque? Risposta. Spero che il provvedimento venga approvato il prima possibile in via definitiva. In sede di audizione in commissione Giustizia ho segnalato tuttavia alcune criticità, che in parte ritengo superabili senza la necessità di cambiare il testo, in parte richiedono invece una riflessione più profonda su come sia cambiata la corruzione dai tempi di Mani pulite ad oggi. D. Cominciamo dalla prima criticità: di cosa si tratta? R. Per quanto riguarda il falso in bilancio, che finalmente torna a essere un reato di pericolo, la nuova legge punisce chi, al fine di conseguire un ingiusto profitto, espone nei bilanci "fatti materiali" (nelle società quotate) o "fatti materiali rilevanti" (nelle non quotate) "non rispondenti al vero". D. Dove sta il problema? R. Innanzitutto trovo risibile il concetto di "fatto materiale", dal momento che non esistono fatti che non siano materiali. Si tratta di una traduzione ridondante dell'espressione inglese "material facts", che però significa "fatti rilevanti", non "fatti materiali". In secondo luogo, in un bilancio non vengono esposti fatti, ma grandezze rappresentative delle realtà sottostanti secondo determinati criteri, detti principi contabili. D. Cosa significa, in termini meno tecnici? R. Che un bilancio è fatto al 99% di valutazioni. L'attuale disciplina del falso in bilancio, a proposito dei "fatti materiali rilevanti", contiene l'inciso "ancorché oggetto di valutazioni", scomparso nella nuova formulazione. Tuttavia, considerando la giurisprudenza in materia, che ha sempre e correttamente esteso il falso in bilancio alle valutazioni, ho ritenuto non necessario chiedere una modifica del disegno di legge su questo punto. D. Un problema risolvibile con l'interpretazione della norma, quindi. Quali sono invece le criticità che riguardano la mutata natura dei fenomeni corruttivi? R. Consistono in ciò che resta fuori dal disegno di legge. Dai tempi di Mani pulite i meccanismi della corruzione sono cambiati. I centri di spesa della Pubblica amministrazione, in particolare, sono stati esternalizzati. Sorge quindi la necessità di intervenire con una normativa più seria sulla corruzione privata, che a mio avviso dovrebbe essere parificata alla corruzione pubblica. Tra i due reati oggi c'è un'eccessiva sperequazione di pena. D. Si spieghi meglio. R. La corruzione tra privati può incidere pesantemente sulla distribuzione delle risorse, ma non è facile ricondurla nell'alveo della corruzione pubblica. Le faccio un esempio ponendole una domanda: le società municipalizzate a capitale pubblico, secondo lei, sono società pubbliche o private? D. Domanda difficile. Può fare altri esempi? R. Se il presidente di una fondazione riceve da un imprenditore una tangente per l'appalto di costruzione di un ospedale, fondazione finanziata quasi interamente con soldi pubblici, che differenza c'è tra quel presidente di fondazione e il direttore di una Asl? La corruzione privata oggi rappresenta un mondo ibrido, al confine tra settore pubblico e settore privato. Una zona che contiene il core business dell'economia, in cui vengono gestiti capitali ingentissimi. Inoltre, le joint venture pubblico-private sono spesso la forma giuridica ed economica di grandi appalti internazionali. D. Quali innovazioni sono previste dal disegno di legge anticorruzione nei confronti delle fondazioni? R. Sono rimaste fuori dal provvedimento. Il nuovo reato di falso in bilancio, nell'ipotesi più grave, si estende anche alle società controllanti. Spesso però gli enti controllanti sono fondazioni, che a loro volta sono esenti dalla disciplina del falso in bilancio. Il paradosso consiste nel fatto che oggi chi falsifica i bilanci di una fondazione non commette nessun reato. Un problema insoluto che prima o poi dovrà essere affrontato, riportando a trasparenza le fondazioni. D. Le fondazioni sono esenti anche da un'altra normativa: quella che riguarda il finanziamento illecito ai partiti. R. Anche questo reato è rimasto fuori dal disegno di legge. Attualmente è considerato un reato bagatellare: chi eroga il denaro non attiva la legge 231 del 2001, la pena edittale prevista è risibile, eppure si tratta del reato principale del lobbismo occulto. Le fondazioni, in tale ambito, sono diventate uno degli strumenti più importanti per la raccolta di finanziamenti illeciti. Lei pensi che in alcuni casi noi abbiamo scoperto che c'erano fondazioni che pagavano uomini politici, ma non abbiamo potuto formulare un'accusa, perché la norma sull'illecito finanziamento non si applica alle fondazioni. D. Il falso in bilancio torna a essere un reato anche per le società non quotate. La pena prevista, però, va da uno a cinque anni: si esclude così l'uso di intercettazioni telefoniche. Cosa ne pensa? R. Su questo vorrei essere chiaro. Collegare le intercettazioni telefoniche al falso in bilancio è un pretesto per fare una pesca aperta, e io sono assolutamente contrario, non condivido le prese di posizione che ho letto di recente sui giornali. L'inchiesta Mani pulite è stata fatta senza neanche un giorno di intercettazioni telefoniche. D'altra parte, o il falso in bilancio è stato già commesso, e allora non si capisce come si possa motivare una richiesta di intercettazioni su un fatto già avvenuto; oppure il reato non è stato ancora commesso. D. Ma cosa significa disporre intercettazioni su casi di falso in bilancio non ancora avvenuti? R. Come ho detto anche in commissione Giustizia, è difficile immaginare un manager che telefoni alla moglie per dirle: "Cala la pasta che ho finito di falsificare il bilancio". L'obiezione che alcuni fanno è che, dato che il bilancio si falsifica per coprire altri reati, con le intercettazioni si potrebbero scoprire ulteriori violazioni della legge. Ma questo metodo dal mio punto di vista è sbagliato. Il vero problema della magistratura è imparare a fare le indagini documentali, un ambito in cui si è persa professionalità a favore delle intercettazioni. Dal legislatore non voglio reati-pretesto per condurre intercettazioni a tutto campo, da passare magari ai giornalisti. D. A fine 2014 è entrato in vigore il reato di autoriciclaggio. La considera anche una sua vittoria personale? R. Si è trattato di una battaglia durata circa 15 anni, condotta anche attraverso il Gruppo di studio sull'autoriciclaggio istituito nel 2013 dal ministero della Giustizia, di cui io stesso ho fatto parte. Il Gruppo, nella sua relazione conclusiva, ha sottolineato come il fenomeno del riciclaggio, incluso quindi l'autoriciclaggio, rappresentasse una grave minaccia non solo e non tanto per il bene patrimonio, quanto piuttosto per il corretto e ordinato svolgimento delle attività economiche e finanziarie nel nostro Paese, nonché per l'amministrazione della giustizia. Oggi posso rivendicare il merito di aver avuto l'idea che ha reso possibile l'introduzione del reato di autoriciclaggio nel nostro ordinamento. D. Com'è stato possibile ottenere questo risultato? R. Agendo su due fronti: da una parte con la previsione di una fattispecie autonoma di reato, dall'altra collegando l'autoriciclaggio alla voluntary disclosure. Esigenze di giustizia e l'andamento preoccupante dei conti pubblici imponevano una svolta. Piuttosto che continuare a varare provvedimenti discutibili e poco efficaci come gli scudi fiscali, occorreva fare in modo che se i capitali detenuti illecitamente all'estero non fossero rientrati in Italia, per l'evasore fiscale si configurasse il rischio di andare in galera. D. E le banche? R. Le banche non avrebbero certamente potuto correre il rischio di essere accusate di riciclaggio o di concorso in autoriciclaggio. In questo modo la situazione si è finalmente sbloccata. D. In Italia secondo un recente studio dell'Agenzia delle entrate ci sono 11 milioni di persone considerate ad altissimo rischio di evasione fiscale. È per questo che è così difficile combatterla? Si rischia di perdere voti? R. Credo che la lotta all'evasione fiscale sia difficile anche per motivi culturali. Molti ritengono che il problema fondamentale del riciclaggio sia la trasformazione di denaro ‘sporcò in attività lecite. Tuttavia, l'esperienza maturata in anni di indagini mi porta a dire che il problema principale è un altro. D. Ovvero? R. La trasformazione dei guadagni in denaro clandestino. I capitali depositati nei paradisi fiscali in tutto il mondo provengono in massima parte dall'evasione fiscale. Provviste di denaro utilizzate per la creazione di fondi neri, con cui si alimenta anche il sistema della corruzione. D. La legislazione italiana in materia di evasione mostra molte incongruenze. La delega che il parlamento ha dato al governo è ferma, mancano i decreti attuativi. Quali sono i provvedimenti più urgenti che l'esecutivo dovrebbe mettere in campo? R. In mancanza del testo definitivo dei decreti delegati non posso esprimere alcun giudizio. Certamente l'attuale normativa presenta molte lacune. D. Per esempio? R. Punisce con un massimo di tre anni l'evasore totale, mentre chi emette una fattura falsa rischia fino a sei anni. Una cosa che ritengo del tutto illogica. In ogni caso, nel momento in cui si pianificano riforme fiscali, occorre porsi il problema della loro sostenibilità economica. D. L'opinione pubblica ha diritto di sapere se le nuove norme comportano un aumento oppure una diminuzione del gettito. R. Esatto. Il rischio, segnalato dall'Agenzia delle entrate, è che alcuni cambiamenti legislativi possano comportare una riduzione delle entrate stesse. In un momento in cui le casse dello Stato sembrano essere a corto di fondi, abbassare il gettito può essere pericoloso. D. Il presidente dell'Anac, Raffaele Cantone, ha chiesto ai partiti di mettere mano a un nuovo Codice degli appalti, per rendere il sistema più trasparente. Condivide questa richiesta? R. La trasparenza è un valore fondamentale. A mio avviso per avere uno Stato più trasparente occorre partire dall'abolizione della carta. Se tutta l'attività della Pubblica amministrazione, compresa l'amministrazione della giustizia, venisse messa online, non solo si risparmierebbe sui costi di funzionamento della macchina burocratica. Ma si avrebbero guadagni tangibili in termini di controllo democratico dell'operato dei pubblici poteri. L'unica vera garanzia contro gli abusi e contro i comportamenti corruttivi. Giustizia: caso Google, la trasparenza (che ancora manca) sul diritto all'oblio di Marta Serafini Corriere della Sera, 15 maggio 2015 Google deve essere più trasparente sul diritto l'oblio. Parola di 80 esperti, docenti, avvocati e giuristi che hanno preso carta e penna e firmato una lunga lettera pubblicata sul Guardian. A un anno dalla sentenza della Corte di Giustizia europea sul diritto a vedere cancellati sui motori di ricerca i link che contengano notizie "inadeguate o non più pertinenti" su una persona, Big G ha fatto sapere di aver ricevuto fin qui 254 mila richieste e di aver valutato l'eliminazione di 925 mila link, rifiutandola nel 58,7 per cento dei casi. Un "transparency report" dunque c'è. A scorrere gli esempi di richieste ricevute balza agli occhi come la rimozione sia più frequente se si tratta di url collegate a procedimenti penali. Per gli 80 firmatari della lettera tuttavia non è sufficiente. In primis è necessaria maggior chiarezza sulle categorie di casi, sulle percentuali di rifiuto e sui criteri di risposta adottati. Necessario, ad esempio, capire se, in caso di notizie che riguardano la salute, ci sia maggior attenzione o meno rispetto agli insulti o a foto imbarazzanti. Questo lavoro sarebbe utile per lo stesso Google che eviterebbe così di trovarsi sommerso di pratiche, soprattutto se si considera la facilità con cui è possibile fare richiesta (si compila un formulario fornendo un documento). E se da Mountain View fanno sapere di avere in serbo delle novità, per gli avvocati è importante conoscere i tempi di evasione delle pratiche. Tra i quindici e i venti giorni è il dato non ufficiale. Ma non è ancora chiaro quanto duri la pratica di chi prova a farsi rimuovere un link solo per capriccio. Lettere: sì al reato di tortura, ma senza tifoserie di Raffaele Cantone (Presidente Autorità Nazionale Anticorruzione) Il Manifesto, 15 maggio 2015 Gentile Direttore, Le chiedo ospitalità per rispondere alla lettera aperta che, dalle pagine del Suo giornale, mi ha indirizzato il Presidente dell'Associazione Antigone, Patrizio Gonnella, che, senza retorica alcuna, ringrazio per l'attenzione che ha riservato alle mie parole. Siccome si tratta di frasi estrapolate da un discorso più ampio, esse rischiano di essere equivocate e vorrei, quindi, poterle meglio precisare. Effettivamente, ho detto che sono indignato per la strumentalizzazione avvenuta, non solo in Italia, di una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che, occupandosi delle vicende di Genova, non solo rispetto ma anche condivido. Sono indignato in particolare perché qualcuno - partendo dalla sentenza - ha provato a dare un'immagine dell'Italia, del suo sistema giudiziario e di Polizia assolutamente non coincidente con la realtà delle cose. Si è arrivati, persino, a paragoni tra il nostro Paese e Stati dittatoriali, evocando l'emanazione di una legge sulla tortura quasi fosse una necessità frutto di emergenze anche attuali. Nella mia esperienza di magistrato, cittadino e di persona che non si ritiene affatto né culturalmente né ideologicamente un conservatore, contesto fermamente questa posizione. Fatti come quelli di Genova - o anche meno eclatanti come quelli che hanno riguardato persone sottoposte a misure restrittive, come i poveri Aldrovandi e Cucchi (per citarne solo due) - sono non solo gravi ma anche assolutamente vergognosi e meritano di essere stigmatizzati moralmente, giuridicamente e puniti penalmente. In Italia, però non si sono coperti questi fatti, li si è perseguiti - a volte con difficoltà ma comunque in modo da raggiungere quasi sempre la verità - giungendo anche, nelle vicende che riguardano Genova, a condanne e successive espulsioni dalla Polizia di soggetti destinati anche a radiose carriere. Queste vicende non sono, quindi, il segno di un modus operandi tipico delle nostre Forze di Polizia, che ho verificato, sul campo, essere tutt'altro sia dal punto di vista umano che professionale. È giusto punire - anche pesantemente - chi sbaglia, ma le criminalizzazioni generalizzate non possono essere accettate. Quanto al reato di tortura, sia chiaro che io sono assolutamente favorevole alla sua introduzione e sono d'accordo con il Presidente di Antigone che le persone oneste delle forze di polizia non hanno nulla da temere da questo reato. Su quale debba essere il contenuto del reato, non intendo esprimermi, perché sarà il Parlamento a trovare il giusto equilibrio. Ciò che continua a non piacermi è il perseverante utilizzo, da parte di alcuni, di questa sentenza della Corte Europea - e della sacrosanta battaglia per introdurre un reato che le Convenzioni internazionali ci impongono da tempo - per valutazioni negative generalizzate su una parte del Paese fatto di uomini e donne che, non dimentichiamocelo, hanno svolto un ruolo rilevante nel contrasto al terrorismo, alle mafie ed alla criminalità, pagando anche un alto tributo di sangue. Quella sulla introduzione del reato di tortura, lo ripeto ancora una volta, è una battaglia sacrosanta ma non va vissuta come un contrasto tra guelfi e ghibellini. Lettere: Salvatore Rinella non è "confidente dei servizi segreti" di Federica Folli (Avvocato) L'Espresso, 15 maggio 2015 Nell'articolo "007 operazione farfalla: l'ultimo giallo, uno dei confidenti dei servizi segreti messo in cella con il boss Iovine" ("l'Espresso" n. 40/2014) si afferma che "secondo i documenti" Salvatore Rinella, detenuto in espiazione della pena definitiva a Parma "ha iniziato a fare il confidente dei Servizi, ma non si sa quali notizie abbia passato. Nel febbraio 2013 Rinella viene trasferito, "quasi alla chetichella" nel carcere di Badu e Carros a Nuoro. Fino a quel momento in questo istituto c'era solo un detenuto sottoposto al 41 bis, rimasto in isolamento per un lungo periodo. È un recluso speciale: Antonio Iovine. Il padrino dei casalesi trascorre quasi un anno fianco a fianco del confidente Rinella, che potrebbe essere stato utilizzato come agente provocatore. Sta di fatto che a maggio dello scorso anno Iovine inizia a collaborare con la giustizia". Tali affermazioni sono totalmente infondate. Il sig. Rinella, detenuto ininterrottamente dal 7 marzo 2003, è stato ristretto e assegnato, negli anni, presso gli istituti penitenziari di Cuneo e Parma. Giammai è stato detenuto presso il carcere Badu e Carros. Il mio assistito ha inoltrato istanza alla Corte di Appello di Palermo nell'ambito del processo di appello a carico di Mario Mori + 1; alla Procura generale e alla Corte di Assise di Palermo nell'ambito del procedimento Bagarella + 9 (cd. Presunta trattativa Stato mafia) al fine di smentire tali notizie. Veneto: lavoro in carcere; presentate ieri in Regione le opportunità per le imprese Ansa, 15 maggio 2015 Dare una commessa ad un carcere, in cui si realizzano attività lavorative, invece che ad un'azienda di un paese straniero: non è un auspicio ma è già accaduto e l'ha fatto un'impresa sfruttando le opportunità offerte dalle lavorazioni attive negli Istituti Penitenziari del Veneto. Il catalogo di queste produzioni, realizzato dall'amministrazione Penitenziaria e dalla Regione in collaborazione con Unioncamere, Confindustria, Confcooperative del Veneto e Salone d'Impresa Spa è stato presentato oggi a Palazzo Balbi da Enrico Sbriglia, provveditore regionale delle carceri per il Triveneto, e dall'assessore regionale ai lavori pubblici e alla sicurezza, Massimo Giorgetti. Quest'ultimo ha sottolineato come, in generale, il tema del futuro per il Veneto consista nel mettere insieme domanda e offerta di lavoro. Questo catalogo diventa quindi uno strumento importante perché mostra quali sono le opportunità per le imprese che il lavoro dei detenuti può offrire, attraverso le cooperative sociali che operano all'interno delle carceri. Non si tratta di attività di carattere assistenziale, ma di lavoro vero. Da parte sua, Sbriglia ha evidenziato che proprio nel carcere, luogo considerato "perdente" e "dalla difficile speranza", sta avvenendo qualcosa di concreto: "si costruiscono professionalità, si fa veramente impresa perché le produzioni devono essere all'altezza e competitive. Inoltre - ha aggiunto - non c'è miglior sicurezza, sul piano sociale, che vedere i detenuti che lavorano e pensano al proprio futuro". Il catalogo, realizzato illustra le produzioni di beni e forniture di servizi in cui sono attivi detenute e detenuti ospiti negli istituti di pena del Veneto, produzioni che hanno le potenzialità per un'ulteriore crescita quantitativa e qualitativa. La presentazione segna l'avvio di una campagna per favorire nelle imprese del territorio una maggiore consapevolezza del vantaggio economico e sociale dell'impegno in questa direzione, d'intesa con la rete delle cooperative sociali che operano sul fronte dell'inclusione, del recupero e della formazione. Aosta: nel carcere di Brissogne tenta il suicidio detenuto cubano accusato di omicidio aostasera.it, 15 maggio 2015 È successo ieri sera nella Casa circondariale di Brissogne. È stato salvato in extremis dalla polizia penitenziaria. Suicidio sventato ieri sera al carcere di Brissogne. Osmany Lugo Perez, di 34 anni, cubano, che è recluso nella casa circondariale, con l'accusa di aver ucciso Elio Milliery, di 78 anni, al termine di una violenta lite a La Salle ha tentato di togliersi la vita ma è stato salvato in extremis dalla polizia penitenziaria. Interrogato dal gip nei giorni scorsi, Lugo Perez si era avvalso della facoltà di non rispondere. "L'insano gesto non è stato consumato per il tempestivo intervento dei poliziotti penitenziari, ma l'ennesimo evento critico accaduto in un carcere italiano è sintomatico di quali e quanti disagi caratterizzano la quotidianità penitenziaria", denuncia Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. Secondo i dati forniti dal sindacato nell'ultimo anno a Brissogne si sono contati 2 tentati suicidi sventati in tempo dai baschi azzurri, 7 episodi di autolesionismo e 2 colluttazioni. "Per fortuna delle Istituzioni", conclude il leader del Sappe "gli uomini della Polizia Penitenziaria svolgono quotidianamente il servizio in carcere - come a Brissogne - con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità, pur in un contesto assai complicato per il ripetersi di eventi critici. Ma devono assumersi provvedimenti concreti: non si può lasciare solamente al sacrificio e alla professionalità delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria la gestione quotidiana delle costanti criticità delle carceri italiane". Imperia: Sappe; detenuto tunisino tenta suicidio, è l'ennesimo evento critico nel carcere sanremonews.it, 15 maggio 2015 "Una tragedia evitata per un evento annunciato. Un detenuto tunisino è andato in escandescenza dopo essere stato sanzionato per essersi opposto alle operazioni di perquisizione ordinaria". "Indescrivibile l'agonia dell'istituto di Imperia dove il personale è stato trascurato dalle politiche gestionali del Provveditorato regionale ligure". Esterna così la propria amarezza la segreteria regionale del Sappe, il maggiore sindacato di categoria, nel prendere atto dell'ennesimo evento critico avvenuto all'interno dei reparti detentivi dell'istituto di Imperia. "Una tragedia evitata per un evento annunciato. Un detenuto tunisino è andato in escandescenza dopo essere stato sanzionato per essersi opposto alle operazioni di perquisizione ordinaria. Per protesta il detenuto si è prima procurato una ferita da taglio, e, soccorso dagli agenti e riportato il tutto alla normalità apparente, dopo solo un paio di ore ha tentato di impiccarsi. Pronto l'intervento del poliziotto di turno che ha evitato il dramma. Il detenuto è stato ricoverato in ospedale per essere certi che non avesse riportato danni di alcun genere". "La cosa preoccupante - continua il segretario regionale Lorenzo - è che il detenuto era così convinto nel proseguire i gesti inconsulti tanto che in bocca aveva occultato una lametta, che non è sfuggita all'attento agente che è riuscito a scovarla e farsela consegnare. Non si può continuare così, perché il personale di Polizia Penitenziaria di Imperia è numericamente insufficiente per reggere: sarebbero previste 71 unità di Polizia, ne sono presenti solo 47 mentre i detenuti dovrebbero essere 62 e ce ne sono 90. È un istituto senza direttore, senza vice comandante e senza ispettori. Non è possibile non avere nemmeno il reparto di poliziotte per le attività a loro demandate. Nel 2014 nell'istituto di Imperia la Polizia Penitenziaria ha fronteggiato 66 eventi critici, sventato 2 suicidi, 26 autolesionismi, e purtroppo, un decesso. Se questo corrisponde o meno agli standard europei o italiani, devono avere il coraggio di dirlo pubblicamente". Velletri (Rm): carcere resta senz'acqua per guasto a impianto idrico, protestano i detenuti Il Messaggero, 15 maggio 2015 Forti disagi al carcere di Velletri per la mancanza di acqua causata da un guasto all'impianto idrico. Un vasto allagamento ha interessato i locali della sala termica della struttura di Contrada Lazzaria. Al lavoro per molte ore con idrovore e altri macchinari i vigili del fuoco di Velletri, Nemi e la protezione civile di Ariccia con al seguito anche vari mezzi e autobotti per l'aspirazione dell'acqua. L'allagamento è stato causato dalla rottura di alcuni tubi degli impianti termici all'interno delle sale caldaie, che si trovano tra le sezioni dei detenuti e gli alloggi di servizio. Al lavoro anche gli operai e i tecnici della struttura che hanno cercato di accelerare i tempi della riparazione. Nel frattempo i detenuti, restati senza acqua, hanno protestato. Modena: gli internati della Casa di Lavoro visitano l'impianto per selezione dei rifiuti sassuolo2000.it, 15 maggio 2015 L'impianto modenese di Akron, società del Gruppo Herambiente, ha ricevuto ieri mattina una ventina di ospiti della Casa di Lavoro di Castelfranco Emilia, che hanno così potuto conoscere da vicino le modalità attraverso le quali il materiale prodotto dalla raccolta differenziata viene re-immesso nel ciclo produttivo. La visita si è svolta alla presenza di volontari del carcere e di tecnici Hera, che hanno illustrato dettagliatamente il funzionamento dell'impianto, rispondendo alle domande dei presenti. La visita ha rivestito grande importanza, anche perché nel novembre scorso, grazie alla collaborazione tra Hera e i volontari, è stato avviato nella Casa di Lavoro di Castelfranco un progetto che ha l'obiettivo di educare al rispetto per l'ambiente e all'uso corretto di buone pratiche, come la raccolta differenziata. Il progetto, che coinvolge 160 persone tra internati e personale di vigilanza, sta dando risultati sorprendenti: dopo un mese dal suo avvio la percentuale di raccolta differenziata all'interno della struttura aveva già superato il 74%; alla fine dell'aprile di quest'anno era salita al 78,8%. Inaugurato nel 2013, l'impianto Akron di Via Caruso è dotato di un ‘sistema intelligentè, utilizzato per selezionare ulteriormente i rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata L'innovativo sistema a lettura ottica, che tratta principalmente i rifiuti urbani da raccolta differenziata come plastica, prodotti cartacei e multimateriale (qualsiasi frazione secca che non contenga vetro, ad esempio plastica e lattine o carta e plastica insieme), presenta due importanti vantaggi tecnici. La lettura ottica in entrata consente, infatti, una selezione molto più puntuale e veloce (fino a 3 volte), assicurando alte percentuali di materiale effettivamente destinato a recupero. Inoltre, grazie a questa tecnologia avanzata, è possibile ottenere un'elevata qualità dei materiali da avviare a riciclo, perché i lettori ottici permettono di selezionare i rifiuti con precisione, riducendo il margine di errore e la presenza finale di materiali di scarto. La nuova linea consente anche un sensibile miglioramento nella qualità del lavoro degli addetti, i quali, da un processo di selezione prevalentemente manuale, sono passati ad attività più incentrate sulla manutenzione degli strumenti e sul controllo di qualità. La fase di avvio del progetto di raccolta differenziata nella Casa di Lavoro di Castelfranco Emilia, che è molto articolato e capillare, è stata preceduta da una serie di incontri formativi tenuti da personale Hera. In seguito si è provveduto alla collocazione di contenitori per la raccolta di carta, plastica e lattine, organico in tutte le stanze, nella cucina, negli uffici della Polizia Penitenziaria, nei punti di ristoro, nella biblioteca, nei locali adibiti a laboratorio e nello spaccio alimentare interno. Oltre a queste raccolte tradizionali ne sono state avviate altre; sono stati collocati infatti anche contenitori in cui conferire separatamente cartucce per stampanti (negli uffici), RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) bombolette vuote per fornelli da campeggio, cassette di legno o di plastica, e mozziconi di sigaretta, questi ultimi non recuperabili ma dannosi se dispersi nell'ambiente. Gli ospiti hanno ricevuto un kit per la raccolta differenziata, composto di una borsa multiscomparto e da una pattumella per la raccolta dei rifiuti a base organica, da utilizzare nelle celle. La stalla e la zona adibita a vivaio sono state dotate di compostiere per la produzione interna di fertilizzante da utilizzare nelle attività di coltivazione svolte dagli ospiti. È stato avviato anche un servizio di ritiro potature. Per rendere più agevoli le operazioni di raccolta, all'esterno è stata collocata una stazione di base completa, composta da contenitori per la raccolta di carta, plastica e lattine, rifiuto organico e potature e pile esauste. I contenitori vengono vuotati con cadenze diverse, secondo il tipo di rifiuto. Grazie a questa organizzazione e, soprattutto, alla collaborazione degli ospiti, nel primo quadrimestre di quest'anno è stato possibile avviare al recupero 16,2 tonnellate di rifiuti differenziati (i rifiuti indifferenziati sono stati 4,3 tonnellate). In particolare sono state raccolte separatamente 3,5 tonnellate di vetro, 4 tonnellate di plastica, 2,7 tonnellate di carta e cartone, 5,5 tonnellate di rifiuti a matrice organica, 420 Kg di imballaggi in legno, 20 kg di olio vegetale usato e 15 Kg di pile esauste. Isernia: 12 borse-lavoro per ex detenuti e tossicodipendenti, pubblicato avviso pubblico comune.isernia.it, 15 maggio 2015 L'Ambito territoriale sociale di Isernia (Ufficio di Piano) ha pubblicato l'avviso pubblico per la presentazione di progetti per la concessione di dodici borse lavoro, in esecuzione della determinazione del direttore generale della Regione Molise n. 205 del 10 aprile 2015. I progetti hanno lo scopo di promuovere e sostenere processi di inclusione sociale e lavorativa di persone svantaggiate, appartenenti alle cosiddette fasce deboli: soggetti riconosciuti affetti da una dipendenza e che stiano seguendo un programma di tipo medico-farmacologico e/o psico-socio-riabilitativo; soggetti che hanno terminato il percorso terapeutico riabilitativo da non più di 36 mesi; soggetti che hanno scontato una pena detentiva. Ogni progetto di borsa lavoro avrà la durata di 5 mesi e prevede per gli interessati un impegno di 20 ore settimanali, distribuite dal lunedì al venerdì. Il termine per la presentazione delle domande è fissato alle ore 13 del prossimo 23 maggio. Per ogni altra utile informazione e per la corretta presentazione delle domande, si consiglia la lettura del bando pubblicato sul sito web del Comune di Isernia (www.comune.isernia.it). Cuneo: Rassegna Culturale Convivenze "I buoni e i cattivi, convivere con e nel carcere" targatocn.it, 15 maggio 2015 Nell'ambito della rassegna culturale "Convivenze", organizzata dall'Assessorato alla Cultura e dalla Commissione Cultura. "Un giorno ho accompagnato un detenuto in una parte più esterna del carcere per un servizio fotografico. Lui ad un certo punto si è fermato e guardava per terra; mi ha detto che era dieci anni che non camminava su un prato e non si ricordava più come era fatta l'erba". È una delle tante e suggestive "immagini" dal carcere che il fotografo Davide Dutto ha presentato venerdì scorso nella Biblioteca civica di Trinità nell'ambito della rassegna culturale "Convivenze", organizzata dall'Assessorato alla Cultura e dalla Commissione Cultura. All'incontro di venerdì, tutto dedicato a dialogare su "I buoni e i cattivi; convivere con e nel carcere" hanno preso parte anche Bruno Mellano, Garante piemontese dei detenuti, e Franco Prina, docente di sociologia dell'Università di Torino, esperto di criminalità nonché promotore di importanti iniziative di formazione nel carcere. È stata presentato un quadro della situazione carceraria piemontese e in particolare della provincia di Cuneo, da cui emergono luci ed ombre. Ci sono carceri in cui i detenuti sono coinvolti in progetti lavorativi di rieducazione, ad esempio la produzione della birra nel carcere di Saluzzo, di caffè in quello di Torino e di biscotti in quello di Verbania, e carceri in cui i detenuti rimangono anni e anni fermi nelle loro celle, sei per cella, con letti a castello di tre piani, senza una doccia e quindi con difficoltà persino per lavarsi. "È stato dimostrato che la recidiva è molto più bassa nelle carceri in cui vengono attuati percorsi di rieducazione", ha sottolineato Bruno Mellano. "Se in carcere i detenuti hanno modo di imparare un mestiere e di studiare, una volta usciti potranno reintegrarsi con più facilità e non commettere più reati". Il professor Prina ha illustrato i progetti che segue: alcuni corsi di laurea sono accessibili anche ai carcerati, ma sono riservati solo a pochissimi detenuti e sono del tutto escluse le donne. Il fotografo Davide Dutto ha presentato la sua mostra "Pure ‘n carcere ‘o sanno fa. Immagini, parole e sapori reclusi", allestita nel salone della Biblioteca: una ventina di fotografie di grande formato, a colori e in bianco e nero, scattate in occasione di alcuni corsi di cucina realizzati presso i carceri di Fossano e di Alessandria. Il dialogo sul carcere è stata seguito da un pubblico attento, composto da una sessantina di persone; a fine serata è stato significativamente offerto loro un biscottino prodotto nel carcere di Verbania. Erano presenti anche alcuni componenti del Lions Club di Fossano e Provincia Granda, tra cui la presidente Marina Mana, e del Lions Club di Mondovì e Monregalese: il contributo dei due Lions ha reso possibile la realizzazione della rassegna culturale. La serata è stata preceduta giovedì 7 maggio da un incontro con gli oltre cento studenti delle scuole medie di Trinità. Rosanna Degiovanni, nominata recentemente Garante dei detenuti dal Comune di Fossano, ha presentato la realtà del carcere ai ragazzi, commentando alcuni video realizzati da Davide Sordella nella struttura di detenzione di Fossano. E proprio questo carcere è stato giudicato come uno dei migliori del Piemonte, per quanto riguarda i progetti lavorativi. La rassegna culturale "Convivenze" continua nei prossimi giorni: la mostra di Davide Dutto "Pure in carcere lo sanno fa. Immagini, parole e sapori reclusi" sarà visitabile in Biblioteca fino a venerdì 15 maggio, tutti i giorni dalle ore 14 alle ore 17.30. L'ultimo incontro di Convivenze si terrà venerdì 29 maggio e sarà dedicato a "La fame e l'abbondanza; riflessioni sul cibo nell'anno di Expo". È previsto un dialogo tra due giovani ricercatrici: Gaia Cottino, che ha compiuto indagini alle isole Tonga e Hawaii, e Valentina Peveri, che ha approfondito le problematiche della fame in Africa, in particolare in Etiopia. Livorno: "Restituire persone migliori", l'isola-carcere di Gorgona, dove l'utopia è realtà di Macri Puricelli La Repubblica, 15 maggio 2015 C'è un'isola nel mare davanti a Livorno dove il carcere non ha sbarre. Dove i settanta detenuti vivono all'aperto, fuori dalle celle. Dove gli animali vivono liberi e non vengono macellati. Dove, per diventare persone migliori, si coltiva la terra nel rispetto delle sue dinamiche e si amano gli animali. Dove, per curare, da oltre vent'anni si usa l'omeopatia. Quell'isola è Gorgona. "Restituire persone migliori", sta scritto su un cartello che accoglie i visitatori di quest' ultima isola-penitenziario italiana, la più piccola dell'arcipelago toscano, la più profumata con tutti quei pini, lecci, macchia mediterranea e perfino una varietà autoctona di olivo, la "Bianca di Gorgona". Nonostante le difficoltà, soprattutto economiche, l'obiettivo del direttore del carcere e dei collaboratori è fare di Gorgona "un'isola dei diritti, dello Stato, dei detenuti e anche degli animali". Ne è convinto Marco Verdone, il veterinario che dal 1990 lavora Gorgona e che di questa esperienza ha scritto due libri: "Il respiro di Gorgona - Storie di uomini, animali e omeopatia nell'ultima isola carcere italiana", Libreria Editrice Fiorentina, e "Ogni specie di libertà - Carta dei diritti degli animali dell'isola di Gorgona. Il sogno di un mondo migliore per tutti i viventi", Altreconomia edizioni, 2012). Grazie a un progetto di crowdfunding, il terzo è uscito in questi giorni, L'isola delle bestie (lo ha pubblicato Marotta e Cafiero, una casa editrice indipendente gestita da giovani coraggiosi di Scampia) che sarà presentato il 22 maggio a Padova. Gorgona oggi è ancora un importantissimo "luogo di sperimentazione". Dove hanno trovato spazio nuove forme di convivenza tra umani e animali, di cui hanno beneficiato sia questi ultimi sia gli umani detenuti sull'isola, che attraverso tale convivenza hanno imparato, tra l'altro, il rispetto per i più deboli. Ma "Progetto Gorgona" è anche in pericolo: è stato messo fortemente a rischio dalla decisione dell'amministrazione penitenziaria di bandire una gara per dare all'esterno le attività produttive, dando così in gestione a un soggetto privato anche gli animali presenti sull'isola. Se accadesse ciò che fine farebbero tali animali, tra cui quelli, come la maialina Bruna, salvati dalla macellazione mediante un provvedimento di grazia caratterizzato da un altissimo valore simbolico? Mentre Essere Animali ha lanciato un appello con raccolta firme, Il Governo "è impegnato a valorizzare e promuovere buone pratiche come l'esperienza di reinserimento e recupero dei detenuti del carcere dell'isola di Gorgona attraverso attività con animali domestici". Lo ha stabilito il punto 21 della Mozione firmata da 23 senatori fra i quali Amati, Cirinnà, Fissore e Granaiola (PD), Mazzoni e Bonfrisco (Forza Italia), De Petris e Petraglia (Sel), Schifani (Ncd), Repetti (Gruppo Misto), che è stata approvata martedì 5 maggio, con 170 voti a favore e solo 3 voti contrari, dal Senato. Televisione: "Redemption-Detenuti in affari" dal 21 maggio su Explora Hd di Irene Natali maridacaterini.it, 15 maggio 2015 Il progetto è rivoluzionario e ambizioso: redimere 10 ex detenuti che sono stati condannati per vari reati e fornire loro una seconda possibilità. Tutto questo lo offre il nuovo reality show dal titolo "Redemption-Detenuti in affari", in onda sul canale Explora Hd (415 di Sky) a partire dal 21 maggio e, successivamente, ogni giovedì in prima serata alle 21.00. Explora presenta il primo reality show del piccolo schermo che concede un'occasione di "redenzione" a 10 ex carcerati. Tutto ruota intorno agli ex detenuti, ad un imprenditore e a 100mila dollari: questo infatti è il montepremi che viene vinto alla fine di tutte le prove che i singolari protagonisti del programma devono superare. L'imprenditore in oggetto è un americano, Kevin O Leary. Il manager ha una sua propria filosofia, e vuole dimostrarla proprio puntata dopo puntata nel reality show. È infatti convinto che dietro ogni criminale si possa celare un manager con ottime capacità imprenditoriali, perciò Kevin O Leary è disposto a investire personalmente 100mila dollari per mettere in evidenza come una persona "condannata dalla società", dopo aver scontato il proprio debito e aver pagato per i propri errori, possa imboccare una nuova strada all'insegna della legalità, dell'operosità e, soprattutto, dell'inventiva. Gli episodi di "Redemption-Detenuti in affari" sono nove. E tutto procede come in un vero e proprio reality. Giudice unico di tutto quanto accade è lo stesso imprenditore, che valuterà le prove, giudicherà l'operato dei concorrenti, e alla fine sceglierà, serata dopo serata, chi può continuare e andare avanti e chi invece deve abbandonare il gioco. Le prove a cui i dieci ex detenuti sono chiamati sono state appositamente studiate per sviluppare e mettere in evidenza le possibilità di ciascuno e la loro capacità d'inventiva. Ad esempio: in una puntata saranno chiamati ad ideare una nuova linea di prodotti per il bagno, e dovranno cercare la formula giusta per arrivare direttamente a catturare l'interesse dei consumatori. In un'altra puntata invece, i concorrenti si trasformeranno in venditori di arte contemporanea. E per cercare di convincere i potenziali acquirenti, dovranno aver studiato con molta attenzione gli autori e le stesse opere che dovranno piazzare agli acquirenti. Insomma, un programma che vuole coniugare una sfida per il futuro ad una innovativa filosofia di vita. Il vincitore del reality avrà a disposizione 100mila dollari che dovranno servirgli per rifarsi una vita e incamminarsi in un'attività onesta, scegliendo tra quelle con le quali è venuto a contatto nel corso delle stesse prove affrontate. Sei senza fissa dimora? allora la custodia cautelare la fai in carcere di Damiano Aliprandi Il Garantista, 15 maggio 2015 È il paradosso di un articolo della norma "svuota carceri" nata per arginare l'abuso della carcerazione preventiva. Non hai una casa? Gli arresti domiciliari vengono tramutati automaticamente in carcerazione. È il paradosso di un articolo della nuova legge cosiddetta "svuota carceri" nata per arginare l'abuso della carcerazione preventiva. A farne le spese è stato un algerino diciannovenne incensurato, arrestato nel trentino per resistenza a pubblico ufficiale e perché trovato con un discreto quantitativo di droga: per lui si sono aperte le porte del carcere. Reduce da una notte passata nella camera di sicurezza dei carabinieri, dovrà adattarsi a dividere la cella con qualche altro detenuto. Almeno finché il suo difensore non troverà una comunità o un'associazione che lo possa ospitare, in modo che abbia un domicilio e possa scontare in una casa il resto della pena. Nel processo per direttissima, l'imputato ha patteggiato nove mesi ed una multa di mille euro. L'ipotesi dei domiciliari è saltata per la modifica di un articolo della legge sulla carcerazione preventiva, che in questo caso diventa peggiorativo rispetto al passato: se l'imputato è senza fissa dimora gli arresti domiciliari diventano detenzione in carcere. Per l'imputato algerino, in particolare, nella valutazione dell'attualità del pericolo e della gravità del fatto la bilancia ha pesato più nella direzione della reclusione in cella, dato che la sua posizione pare non essere così lieve: la droga che aveva con sé sarebbe stata destinata non alla vendita al minuto, ma ad altri spacciatori. L'imputato, secondo ipotesi investigative, potrebbe collocarsi ad un livello più alto del traffico della droga in città. Però rimane, appunto, solo un ipotesi tutta da verificare durante l'eventuale processo. Lo straniero era stato fermato venerdì pomeriggio. Ha tentato di scappare e per guadagnare la fuga ha sferrato prima una gomitata ad un brigadiere, poi un pugno ad un appuntato. Portato in caserma per gli accertamenti, nascondeva nella tasca dei pantaloni un panetto di hashish del peso di 99 grammi: il fumo era diviso in quattro grossi pezzi, destinati ad altri suoi "collaboratori" più che ai clienti di strada che acquistano un paio di grammi alla volta. È dunque scattato l'arresto sia per resistenza a pubblico ufficiale che per spaccio. Qualche problema c'è stato per l'identificazione, dato che lo straniero ha dichiarato una falsa identità, e soprattutto un'età errata: ha infatti sostenuto di avere 17 anni. Per verificare se la data di nascita fosse corretta, come prassi, i carabinieri hanno accompagnato il ragazzo al Santa Chiara per l'esame radiologico: dalla visita è emerso che era maggiorenne. È una vicenda che però mette alla luce il problema dei detenuti senza fissa dimora, e colpisce soprattutto gli stranieri. I reati di cui sono in genere responsabili i senza fissa dimora rientrano nella cosiddetta "microcriminalità": la scarsa gravità dei reati da una parte, e dall'altra i benefici previsti dalla legge per pene di questo genere (affidamento ai servizi sociali, semilibertà etc. etc), farebbero pensare a buone possibilità di reinserimento per questa area di detenuti. Oppure, proprio per i reati non gravi, hanno la possibilità di non essere rinchiusi in carcere mentre sono in attesa di giudizio. La realtà è un'altra e possono accadere anche eventi paradossali come la storia del clochard arrestato perché era "evaso" dalla panchina. Era agli arresti domiciliari. Ma non avendo una casa, aveva eletto come domicilio una panchina del parco di Borgosatollo, un paese alla porte di Brescia. E il giudice aveva dato parere favorevole. Ma quando i carabinieri effettuarono il solito controllo, non vedendolo sulla panchina, lo considerarono alla stregua di un evaso, E così, per il 43enne Ilario Bonazzoli, questo il nome del clochard, nel 2009 era arrivata la condanna in primo grado a 10 mesi di carcere: la motivazione suona come una beffa recitando che l'imputato era colpevole "per non essersi fatto trovare a casa nonostante fosse agli arresti domiciliari". L'anno scorso la sentenza d'appello aveva ribaltato il primo grado e sancì che Bonazzoli doveva lasciare il penitenziario di Ivrea dove era attualmente detenuto. Ma la questione del domicilio si ripropose inevitabilmente. Il problema, a quel punto, ricadde sui servizi sociali di Borgosatollo, dove il senza fissa dimora doveva risiedere: "Oggi come oggi, non saprei nemmeno dove alloggiarlo, non abbiamo strutture da offrirgli - commentò all'epoca il sindaco di Borgosatollo Francesco Zanardini. L'unico aiuto che gli possiamo dare è trovare una residenza fittizia". Per i senza fissa dimora, il carcere non sarà mai la soluzione e la punizione non è utile per la stessa sicurezza sociale. I comportamenti - considerati "devianti" dalla società - tendono a ripetersi nel tempo per assenza di alternative sostanziali. L'esperienza di detenzione infatti si inserisce in situazioni personali e familiari spesso deprivate sia dal punto di vista economico che culturale: questa posizione di svantaggio - assieme alla carenza di risorse del sistema di sicurezza sociale - fa sì che chi "sbaglia" una volta, paga una pena doppia: cioè la detenzione e la successiva esclusione ripetuta esclusione del contesto sociale e lavorativo. Chi ha precedenti penali infatti avrà sempre poche speranze di trovare un lavoro regolarmente retribuito. Ad aggravare questa situazione è l'assenza di una fissa dimora: la ricerca di un lavoro si presenta pressoché impossibile a meno che non si reperisce una sistemazione alloggiativa, ma altrettanto irraggiungibile per una persona sola senza un reddito fisso. Altrettanto difficile è, per loro, usufruire delle misure alternative alla detenzione. La prima difficoltà è dell'ordine economico: l'impossibilità di pagarsi un avvocato fa sì che debbano ricorrere alla difesa dell'avvocato d'ufficio. Inoltre non sempre dispongono delle informazioni necessarie per richiedere i benefici di cui hanno diritto: è necessario un collegamento con l'esterno, una conoscenza delle risorse del sistema sociale che chi vive per strada spesso non ha. Un ruolo decisivo, come abbiamo già raccontato, è di nuovo determinato dalla possibilità di avere una dimora stabile che è indispensabile per ottenere misure alternative come gli arresti domiciliari o l'affidamento in prova al servizio sociale o delle licenze. Sarà forse il caso di evocare meno "giustizia penale" e invocare , invece, più "giustizia sociale"? Prostituzione e paternalismo di Stato di Eretica Il Garantista, 15 maggio 2015 Alcuni parlamentari del Pd hanno presentato una proposta di legge - la n. 1838 - che ancora una volta parla di prostituzione. Tra le firme vediamo quella di Valeria Fedeli che pure aveva firmato l'altra - la n. 1201 -su iniziativa di Maria Spilabotte. Poi vediamo una serie di altre firme che raccoglievano trasversalmente il consenso di varie espressioni di diversi partiti. Se la proposta Spilabotte, unita ad altri componenti dei settanta sottoscrittori di un manifesto pro-legalizzazione, dedica ampio spazio alla regolamentazione della prostituzione, quella di Pina Maturarli parla tutt'altro linguaggio. Con una sintesi di Matteo Orfini, presidente dell'assemblea del Partito democratico, costoro decidono che lo sfruttamento della prostituzione si attesterebbe al 95 per cento, lasciando che solo a un 5 cento scarso sia riconosciuto il diritto di potersi dire espressione di un mestiere gestito in modo auto determinato dalle sex workers. In Italia non esiste un osservatorio che si dedica a questo fenomeno e nulla di certo si può dire in proposito, salvo il fatto che nei Paesi europei, nei quali si impone la logica abolizionista, si usa pressappoco lo spesso parametro che corrisponde alla quota di donne migranti che varcano la soglia dei vari Paesi. Dunque si dà per scontato che tutte le donne straniere siano sfruttate, non mettendo in discussione mai il fatto che se alcune avessero possibilità di ottenere un permesso di soggiorno come lavoratrici sessuali, quella stessa cifra scenderebbe in modo netto. La proposta parla di un aggravio di pene che erano previste dalla Legge Merlin, con un pugno di ferro rivolto contro quei locali nei quali si nasconde l'esercizio della prostituzione e senza tenere mai conto della prostituzione maschile o trans. Più volte si cita la risoluzione Honeyball, votata lo scorso febbraio dal Parlamento europeo grazie all'accordo trasversale tra deputati dell'area socialista e quelli del Ppe più altri dei gruppi di estrema destra. Tra le persone che hanno votato la risoluzione si possono notare persone antiabortiste, omofobe, razziste. Non l'hanno votata vari parlamentari del Gue, cioè la sinistra, e di correnti della zona socialista non influenzate da paternalismo e conservatorismo spinto. Quella risoluzione nacque male, grazie ai toni usati da chi voleva a tutti i costi imporre quel punto di vista, in special modo quelli di chi diffamò le organizzazioni in difesa dei diritti civili dei/delle sex workers, in lotta per la regolarizzazione della professione, attraverso la divulgazione, tra tutti i parlamentari europei, di una menzogna che metteva in relazione quelle organizzazioni con i papponi. Come se non bastasse quel po' di delegittimazione, va ricordato quel che disse Daniela Danna, sociologa e coordinatrice per la relazione destinata alla Commissione europea, prima che si parlasse della risoluzione. Da quel che si può leggere in una sua intervista rilasciata al sito verdidebatt.no, dal titolo: "A fanatic Eu Committee", Danna fu costretta a dimettersi e a ritirare quel contributo scientifico che avrebbe dovuto essere la base di un ragionamento da fare in vista della risoluzione, perché il contributo scientifico non era allineato alla posizione delle abolizioniste. Sicché il deputato laburista, femminista radicale, Mary Honeyball, spinse molto affinché fosse assegnata, alla commissione Femm, la responsabilità per la preparazione della relazione da consegnare alla Commissione Ue. Quel che venne fuori fu un voto in favore di una risoluzione non vincolante per gli Stati membri e che in realtà ripropone, come un mantra, le stesse teorie che le RadFem portano ovunque, dagli Stati Uniti all'Europa, dalla Svezia alla Francia, fino al tentativo di rivedere le legislazioni di quei paesi in cui la prostituzione è in qualche modo regolamentata. Parte del mantra è anche la parziale informazione che parlerebbe di un fallimento della legislazione tedesca. L'unico fallimento concreto però è quello che riguarda i media che riportano informazioni parziali e prive di riferimenti scientifici. La legge tedesca che regolamenta la prostituzione non è stata infatti applicata ovunque in quella nazione. E dire questo è molto diverso dal dire che la legge non ha funzionato. Quel che si sa è che le RadFem, che qui evidentemente trovano sponda in qualche fascia del Pd, pensano che tutte le prostitute siano vittime, non ne esiste nessuna che abbia scelto liberamente e non esiste una prostituzione libera al di fuori dalla tratta. Quindi per loro prostituzione libera e tratta sarebbero la stessa cosa e di fondo c'è la convinzione presuntuosa, da parte di costoro, di voler imporre un punto di vista che nega l'esistenza delle prostitute che fanno quel mestiere per scelta e così le esclude, delegittimandole, dal dibattito politico che pure dovrebbe tenere conto della loro posizione e della loro proposta politica. Pur concordando con quella parte della proposta piddina che è dedicata al reinserimento lavorativo di chi vuole uscire dal mondo della prostituzione non vedo comunque come si possa omettere una realtà precisa: le prostitute pagano già le tasse facendo si che lo Stato sia visibile per quel che al momento è, ovvero uno Stato pappone. Se quel che le prostitute guadagnano è denaro illecito allora perché l'agenzia delle entrate chiede moneta sonante alle prostitute ed è in questo aiutata perfino da sentenze della cassazione? (Cass. Sent. n. 20528 del 1.10.2010) Delle due l'una: vogliono che la prostituzione sia dichiarata del tutto espressione di un'attività criminale allora che i parlamentari includano un paragrafo o un articolo in cui si dice che non devono pagare le tasse. Diversamente, come avviene per ogni lavoratore e cittadino che è chiamato a contribuire alle spese dello Stato, se una prostituta paga le tasse allora ha il diritto di poter gestire il proprio lavoro alla luce del sole, come una qualunque attività d'impresa e nelle migliori condizioni igieniche, economiche, contributive e di sicurezza. Un'ultima cosa: pensare leggi sulle prostitute parlando in nome di altre non è femminismo. È solo un modo per disconoscere soggetti che si autorappresentano. E un modo per stigmatizzare ancora di più quelle che vogliono parlare per sé, e questa cosa si chiama in un solo modo: paternalismo di Stato. Bahrain: 6 mesi di carcere per un tweet, confermata condanna dissidente Nabeel Rajab Aki, 15 maggio 2015 È stata confermata in appello la condanna a sei mesi di carcere per un noto dissidente del Bahrain, Nabeel Rajab, colpevole di aver insultato l'esercito del regno con un tweet. Lo riporta l'agenzia di stampa Bna. Rajab è stato riconosciuto colpevole di aver "insultato pubblicamente due organismi governativi", ovvero il ministero della Difesa e quello degli Interni. Noto per aver partecipato alle rivolte in corso in Bahrain nel 2011, ha accusato il governo a maggioranza sunnita di repressione e tortura. "Molti bahreiniti che si sono uniti al terrorismo e all'Is vengono da istituzioni di sicurezza e che sono il proprio primo incubatore ideologico", ha scritto su Twitter lo scorso settembre.