Giustizia: Radicali e antiproibizionisti ai Tavoli di lavoro degli Stati generali sul carcere di Eleonora Martini Il Manifesto, 2 luglio 2015 Orlando agli esperti: "Ma fate presto, c'è poco tempo". A coordinare il tavolo che si occuperà dell'affettività in carcere e della territorializzazione della pena, c'è la radicale Rita Bernardini. Mentre quello sulla minorità sociale, la vulnerabilità e le dipendenze è stato affidato alla supervisione di Grazia Zuffa, componente del comitato nazionale per la Bioetica e direttrice di Fuoriluogo.it. E se il presidente del Consiglio europeo per la cooperazione nell'esecuzione penale, Mauro Palma, dirigerà i lavori del tavolo su istruzione, cultura e sport, Franco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, farà altrettanto sulla salute e il disagio psichico dietro le sbarre. Nomi di spicco che danno il segno di una "svolta", per i 18 tavoli tematici degli Stati generali del carcere che ieri hanno aperto i lavori e attorno ai quali il ministro di Giustizia Andrea Orlando ha riunito circa duecento esperti, tra avvocati, magistrati, docenti universitari, operatori penitenziari e sanitari, assistenti sociali, volontari, rappresentanti della cultura e dell'associazionismo civile, garanti delle persone private di libertà e detenuti stessi. Le linee di azione generali su cui lavorare per arrivare a novembre a tirare le somme sullo stato attuale delle carceri italiane e sulle possibili soluzioni ai vari e cronici problemi che le attanagliano, sono state predisposte dal Comitato scientifico presieduto dal professor Glauco Giostra e al quale siedono, tra gli altri e oltre allo stesso Mauro Palma, anche don Luigi Ciotti e Vladimiro Zagrebelsky, già giudice della Corte europea dei diritti umani. Tutti al lavoro a titolo gratuito. Ieri, durante la prima riunione dei coordinatori nella Sala Livatino di via Arenula il Guardasigilli l'ha definita, a ragione, "la scommessa politica più rilevante che questo ministero realizzerà nel corso del 2015". L'attuale modello del nostro sistema carcerario, ha detto Orlando, costa "ogni anno circa 3 miliardi di euro e produce un tasso di recidiva tra i più alti d'Europa; invece di produrre un più alto livello di sicurezza sociale rischia di diventare un moltiplicatore di insicurezza". È evidente quindi che "la strada intrapresa è sbagliata". Gli obiettivi, per il ministro, sono due: "Alimentare e sostenere l'elaborazione scientifica, normativa e organizzativa necessaria al cambiamento e al contempo promuovere una mobilitazione culturale in grado di incidere profondamente sulla percezione collettiva dei temi della pena e del carcere che spesso si prestano a improprie semplificazioni e usi strumentali". A tal fine gli esperti raccoglieranno contributi e riflessioni anche in vista dell'iter della delega per la riforma dell'ordinamento penitenziario contenuta nel ddl sul penale. "La scelta di un percorso aperto è oggi possibile perché la situazione delle carceri non è più esplosiva dal punto di vista del sovraffollamento. Allora una discussione sulla finalità e sul senso della pena sarebbe stata surreale", ha affermato Orlando rivolgendosi in particolare a Rita Bernardini, rimasta da sola insieme a Marco Pannella e ai Radicali a denunciare l'ancora drammatica condizione penitenziaria. "Ma vi prego, è molto importante che rispettiate i tempi che ci siamo dati per consegnare i lavori perché siamo nell'epoca dell'incertezza", ha aggiunto il ministro del governo Renzi riferendosi ai sei mesi che sono il termine ultimo concesso per ultimare gli Stati generali del carcere. "Sappiamo - ha concluso - che fino ad un certo periodo c'è la certezza di poter lavorare, più avanti non è detto". Giustizia: Orlando "Stati generali sull'esecuzione penale una nostra scommessa politica" Agi, 2 luglio 2015 Gli Stati generali sull'esecuzione della pena sono "la più rilevante scommessa politica che il ministero realizzerà nel 2015". Ne è convinto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che oggi pomeriggio ha introdotto i lavori della prima riunione dei coordinatori dei diciotto tavoli istituiti nell'ambito degli Stati generali. "Non consideriamo la situazione delle carceri risolta - ha detto il guardasigilli - ma è migliore di come l'abbiamo trovata: se fossimo ancora in un sistema che stava esplodendo, che aveva raggiunto quasi 70 mila detenuti, questa discussione sarebbe stata surreale". In Italia si investono quasi 3 miliardi di euro sulle carceri, ha ricordato il ministro, ma il tasso di recidiva è tra i più alti d'Europa: "Il ricorso al carcere sempre più frequente non ha portato più sicurezza - ha osservato Orlando - ma ha moltiplicato le insicurezze". Il lavoro degli Stati generali, dunque, non sarà di carattere "puramente accademico: la nostra ambizione - ha dichiarato il ministro - è far parlare di questo tema anche il Paese per costruire un nuovo modello duraturo di sistema penitenziario". L'esito dei lavori degli Stati generali sarà la base per due interventi concreti: da un lato riguarderà questioni di carattere amministrativo, data la ristrutturazione del ministero che prevede il riassetto del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e il passaggio dell'esecuzione esterna ad un nuovo dipartimento, dall'altro, parte del lavoro verrà inserito nella delega sull'ordinamento penitenziario. "Oggi ci sono le condizioni politiche - ha affermato il ministro - per arrivare a sistemare insieme tutti gli interventi che si sono susseguiti negli ultimi anni per l'emergenza carceri. Importante sarà rispettare i tempi che ci siamo dati, poiché non è detto che più avanti ci saranno ancora le condizioni politiche per mettere a frutto questo lavoro". Il messaggio che oggi il guardasigilli vuole lanciare con questo avvio degli Stati generali riguarda in particolare "la complessità dei temi, che è maggiore rispetto a quella che viene raccontata, nonché il pluralismo nel cercare le soluzioni". Il ruolo di coordinatore è stato affidato al professor Claudio Giostra, ordinario di Procedura penale all'Università La Sapienza di Roma. Diciotto, poi, i tavoli di lavoro: il primo sarà dedicato ad architettura e carcere e coordinato dall'architetto Luca Zevi; il secondo riguarderà la vita detentiva, il tema della responsabilizzazione e della sicurezza e coordinatore sarà il magistrato di sorveglianza Marcello Bortolato; un altro tavolo si concentrerà sul tema "Donne e carcere", coordinato da Tamar Pitch, docente dell'Ateneo di Perugia, mentre il quarto, su "Minorità sociale, vulnerabilità, dipendenze" avrà come coordinatore Grazia Zuffa, membro del Comitato nazionale per la bioetica. L'insegnante Marco Rossi Doria coordinerà i lavori su "Minorenni autori di reato", mentre l'esponente radicale Rita Bernardini quello su "Mondo degli affetti e territorializzazione della pena". Di stranieri ed esecuzione penale si occuperà invece il settimo tavolo, coordinato da Paolo Borgna, procuratore aggiunto a Torino, mentre il tavolo su "Lavoro e formazione" sarà coordinato da Stefano Visonà, capo dell'ufficio legislativo del ministero del Lavoro. Il nono tavolo, dedicato a istruzione cultura e sport, sarà coordinato ad interim dal professor Mauro Palma. Era proprio questo il tavolo per cui inizialmente era stato contattato Adriano Sofri. Su salute e disagio psichico coordinerà i lavori Francesco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, mentre il presidente del Tribunale di sorveglianza di Messina, Nicola Mazzamuto, coordinerà i lavori sulle misure di sicurezza. L'ex magistrato Gherardo Colombo si occuperà di misure e sanzioni di comunità. Il tredicesimo tavolo, su giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime sarà coordinato dal docente universitario Grazia Mannozzi, mentre quello sull'esecuzione penale, comparando le regole internazionali, dal professor Franco Viganò. Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto a Messina, coordinerà i lavori sugli operatori penitenziari, mentre Riccardo Polidoro, responsabile dell'Osservatorio carcere dell'Unione camere penali, si occuperà del trattamento rieducativo. Infine, il professor Claudio Sarzotti coordinerà il tavolo sul processo di reinserimento e Filippo Patroni Griffi, presidente di sezione del Consiglio di Stato, coordinerà quello sull'organizzazione dell'esecuzione penale. Nel comitato di esperti, oltre al coordinatore Giostra e a Mauro Palma (consigliere del ministro per le tematiche sociali), fanno parte anche Vladimiro Zagrebelsky, Franco Della Casa, Luisa Prodi, Francesca Zuccari, Maro Ruotolo, don Luigi Ciotti e Adolfo Ceretti. Giustizia: Orlando "in progetto servizi telematici per comunicare tra detenuti e familiari" Ansa, 2 luglio 2015 Sarà più facile per i detenuti comunicare con i familiari attraverso servizi telematici. Lo assicura il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, rispondendo al question time alla Camera, sulle iniziative per l'applicazione del principio di territorialità della pena e per la presenza del Garante dei detenuti in tutte le regioni italiane. "In merito alle specifiche iniziative - spiega il ministro - volte ad agevolare la possibilità per il carcerato del contatto con le persone a lui care, è in elaborazione un progetto per implementare lo sviluppo delle videoconferenze e dotare gli istituti penitenziari di una capacità di banda telematica in grado di sostenere tali collegamenti senza pregiudicare gli altri servizi telematici degli istituti". "Attualmente ci sono alcuni istituti penitenziari italiani che già utilizzano moderni programmi per le comunicazioni via internet. L'impegno che ho richiesto ai miei uffici è di implementare l'uso di tali strumenti su scala nazionale, indicando come priorità quella di assicurarne la diffusione in quegli istituti nei quali il principio di territorialità può risultare maggiormente compresso", conclude Orlando. Implementare il lavoro nelle carceri "È in elaborazione un progetto per implementare lo sviluppo delle videoconferenze e dotare gli istituti penitenziari di una capacità di banda telematica in grado di sostenere tali collegamenti senza pregiudicare gli altri servizi telematici degli istituti". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, illustrando le iniziative "volte ad agevolare la possibilità per il carcerato del contatto con le persone a lui care". "Attualmente, peraltro - ha osservato Orlando - ci sono alcuni istituti penitenziari italiani che già utilizzano moderni programmi per le comunicazioni via internet. L'impegno che ho richiesto ai miei uffici è di implementare l'uso di tali strumenti su scala nazionale, indicando come priorità quella di assicurarne la diffusione in quegli istituti nei quali il principio di territorialità può risultare maggiormente compresso". "Anche in ambito lavorativo - ha proseguito il Guardasigilli - l'impegno del ministero è in chiave propulsiva. Attualmente, lavorazioni gestite da terzi all'interno degli istituti penitenziari sono presenti su quasi tutto il territorio nazionale, coinvolgendo più di 140 tra imprese e cooperative, presenti in 59 penitenziari e stiamo, con il coinvolgimento di altre istituzioni e ministeri, verificando la fattibilità di ulteriori prospettive progettuali". Quanto alla nomina del Garante dei detenuti in tutte le regioni italiane, conclude "continuerò la mia opera di stimolo in tal senso, evidenziando che si tratta di una competenza propria delle autonomie locali". Giustizia: Dalla Zuanna (Pd) "più imam nelle carceri per fermare la propaganda radicale" di Fabrizio Caccia Corriere della Sera, 2 luglio 2015 Intervista al demografo Gianpiero Dalla Zuanna, senatore Pd. "Il Califfo non sopporta che oggi in Tunisia la donna faccia meno figli. E il jihadismo è il rifiuto della modernità". Gianpiero Dalla Zuanna, 54 anni, docente ordinario di Demografia all'università di Padova, senatore del Pd, coautore di un libro, "Nuovi Italiani", edito da il Mulino, il cui sottotitolo è "I giovani immigrati cambieranno il nostro Paese?". Una domanda, professore, che ci stiamo ponendo tutti, mentre sale l'allerta terrorismo... "Partiamo da un presupposto: l'acqua del mare non si può fermare: nei prossimi 20 anni nei Paesi cosiddetti ricchi si creerà ogni anno un buco di 5 milioni di persone, tra quelli che escono dal mondo del lavoro e quelli che vi entrano. I sessantacinquenni, i figli del baby boom che vanno in pensione, non vengono rimpiazzati dai ventenni, perché non ci sono abbastanza ventenni, perché da noi c'è stato il crollo delle nascite. Ecco, dunque, il buco che si forma. Nel frattempo, però, nei prossimi 20 anni, nei Paesi poveri ogni anno ci saranno 50 milioni di persone in più che entreranno nel mondo del lavoro. E tra questi almeno un decimo premerà per trasferirsi, per venire a coprire il buco dei 5 milioni. Una migrazione incontenibile che durerà almeno fino al 2050, nel segno del push & pull". Push vuol dire "spinta", pull vuol dire "attrazione"... "Esattamente. Nell'Africa sub-sahariana, per dire, il 50 per cento della gente oggi ha meno di 20 anni. E questa massa enorme di giovani spinge per andarsene, per provare a migliorare le proprie condizioni di vita. E l'attrazione, appunto, è la nostra. Quella dei Paesi ricchi. L'Italia col suo milione di badanti straniere che hanno trovato lavoro, per fare un esempio". Ecco perché il mare non si ferma. "No, non si può fermare. Almeno fino a quando non cominceranno a fare effetto le politiche di controllo delle nascite adottate da poco anche in quei Paesi. Per esempio, la Tunisia, dove già oggi nascono meno bambini che in Francia, dove la fecondità è in calo e infatti la donna inizia a godere di nuove posizioni, un nuovo ruolo. Già, la Tunisia...". Non sarà questo il motivo degli ultimi sanguinosissimi attentati che l'hanno colpita? Prima il Bardo, poi la spiaggia di Sousse. "Non voglio essere così ardito, ma certo cos'è il terrorismo islamico se non un rifiuto, una reazione alla modernità? Quali sono i tabù principali per i terroristi? Il controllo delle nascite e l'istruzione dei bimbi. La primavera araba in Tunisia ha rappresentato proprio questa minaccia: l'avvento di una nuova civiltà, della democrazia". E quelli hanno imbracciato i kalashnikov. Non c'è il rischio che possano farlo anche da noi? "Il rischio c'è, è chiaro. E non sarà facile scongiurare che qualcuno possa mettersi in testa di colpire agli Uffizi o di sparare al Papa in piazza San Pietro. É già successo in Francia, in Inghilterra, in Spagna, che giovani immigrati di seconda generazione anziché assimilarsi ai loro coetanei europei abbiano sviluppato un processo di reazione violenta, dando sfogo alla loro ansia d'affermazione nella maniera sbagliata che abbiamo visto" E allora? "E allora tanto per cominciare non guasterebbe mandare degli imam nelle nostre carceri, dove monta la propaganda radicale tra i giovani detenuti maghrebini, per evitare il più possibile le occasioni prossime di peccato, i tentativi di contatto, di reclutamento. E poi più che necessario è un lavoro di grande cooperazione tra le polizie, italiana, egiziana, tunisina, per riuscire a intercettare i possibili gruppi nascenti, anche su internet. Asciugare l'acqua prima che il pesce prosperi. Mi sono spiegato?". E tutti quei migranti che arrivano dal mare? "No, sui barconi non viaggiano i terroristi. I barconi sono un problema umanitario. Quei migranti lì sono facili da controllare e lo fanno già bene le nostre Capitanerie. Però ci vuole la massima chiarezza: tempi più rapidi per il riconoscimento di protezione internazionale ma rimpatri immediati per chi non ha titolo per restare. E soprattutto serve la vera integrazione, che poi è quello che vogliono per la maggior parte i migranti che arrivano stremati sulle coste. Diverso problema, invece, sono tutti gli altri che con un documento falso e un biglietto aereo possono sbarcare qui da noi con un piano già in testa. Penso, ad esempio, a quei 3 mila tunisini che sono andati a combattere con l'Isis. Ecco, di sicuro, non prenderanno il barcone qualora decidessero di venire in Italia". Giustizia: sora anche il pm di "Mani pulite" si indigna per l'abuso del carcere preventivo di Maurizio Tortorella Tempi, 2 luglio 2015 "C'è un'organizzazione complessiva della società e dello Stato, che va dal giornalista che fa il titolo urlato e scandalistico fino al premier che chiede pene severe ed esemplari dopo degli arresti preventivi, senza cioè che vi sia ancora alcun colpevole, che porta a queste aberrazioni". Vi propongo un test di cultura giudiziaria: chi ha pronunciato in una pubblica conferenza queste tre frasi, lo scorso 11 giugno? "Purtroppo è vero: in Italia si abusa della custodia cautelare, spesso al di fuori del dettame costituzionale degli articoli 13 e 27 della nostra Carta fondamentale, quelli che parlano dell'inviolabilità della libertà personale e della non colpevolezza fino a sentenza definitiva". La carcerazione preventiva, insomma, "viene usata non solo nelle circostanze eccezionali entro cui è prevista, quando cioè esistono gravi indizi di colpevolezza o il rischio che l'indagato fugga, reiteri il crimine o tenti di inquinare le prove". E perché accade tutto questo? "C'è un'organizzazione complessiva della società e dello Stato, che va dal giornalista che fa il titolo urlato e scandalistico fino al presidente del Consiglio che chiede pene severe ed esemplari dopo degli arresti preventivi, senza cioè che vi sia ancora alcun colpevole, che porta ad aberrazioni come queste. È il sistema nel suo complesso, la Costituzione materiale del Paese a porsi fuori dai dettami costituzionali. Ed è l'opinione pubblica, solitamente, a invocare provvedimenti eccezionali e immediati, invece che normali". Sapete chi lo ha detto? L'indovinate? Se la risposta è no, ve lo dico io. È Gherardo Colombo, 69 anni appena compiuti, da tre membro del consiglio d'amministrazione della Rai su indicazione del Pd. Fino al febbraio 2007, Colombo è stato magistrato presso la procura di Milano e soprattutto uno dei più autorevoli membri del mitico pool di Mani pulite che dal 1992 dette il via allo scoperchiamento di Tangentopoli. Il giorno del suo j'accuse garantista, Colombo partecipava alla presentazione di un bel saggio nel quale Mario Rossetti, ex manager di Fastweb, racconta la sua esperienza d'innocente in cella per un anno. Quel giorno, parlando davanti a un pubblico mediamente indignato per i racconti di Rossetti (che mentre era in galera ha perso un figlio, bambino piccolo), Colombo ha giustamente censurato tutte le peggiori categorie del populismo giudiziario. Vorrei premettere che Colombo è uno dei pubblici ministeri più intelligenti che ho conosciuto. Colto, tecnicamente preparato, serio. E poi, ormai, è un ex magistrato da otto anni: forse è anche per questo che si smarca da certi eccessi. Però mi viene da dire che davvero un po' stupiscono questi pm che fanno autocritica sulle... altrui cattive azioni della loro stessa categoria. Come Ilda Boccassini, procuratore aggiunto di Milano, che nell'ottobre 2011 ebbe a dire pubblicamente: "È evidente che le intercettazioni telefoniche sono uno strumento importante per la ricerca delle prove, però c'è stato un cattivo uso delle intercettazioni telefoniche da parte della magistratura". E aggiunse, a sorpresa: "Anche io, da cittadina, leggendo sul giornale delle cose che non dovrei leggere, m'indigno". S'indignava, la cittadina Boccassini? Eh, sì. Perché, spiegò, "nel nostro Paese le conversazioni captate diventano uno strumento di lotta politica". Ecco, uno pensa al conclamato abuso della custodia cautelare ai tempi ruggenti di Tangentopoli. Uno ricorda anche le intercettazioni, che so, di un Silvio Berlusconi: date in pasto ai mass media in quantità industriale (e molte sono sempre lì, su Internet, in formato audio, e ci resteranno per secoli). Poi uno va a rileggersi le parole di Colombo & Boccassini. E a quel punto decide di chiedere la cittadinanza a un Paese dove i diritti dell'indagato siano graniticamente tutelati. Tipo la Cina, o la Corea del Nord. Giustizia: Ferri voleva tempi più lunghi per pensionare le toghe, arriva lo stop dal Colle di Antonella Mascali Il Fatto Quotidiano, 2 luglio 2015 Il Sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, ex Segretario di Magistratura Indipendente, ha provato fino all'ultimo a modificare il decreto legge sulla mini proroga del pensionamento dei magistrati che hanno compiuto 70 anni. Voleva ottenere di più per i suoi colleghi, anche su suggerimento di un magistrato che aspira a chiudere la carriera al massimo livello: la presidenza della Cassazione. Ma che per ora lo fa a fari spenti. Ferri si è molto impegnato e ha creduto perfino di essere riuscito nell'obiettivo, tanto che ha mandato una mail e un sms a decine di magistrati per dire che era fatta: "Modificata all'ultimo la norma sulla proroga "chi non ha compiuto 72 anni a dicembre 2015 e deve essere collocato a riposo secondo la normativa generale entro dicembre 2016 è prorogato sino al 31 dicembre dell'anno in cui compirà 72 anni". Un abbraccio, Cosimo Ferri". Ma non è andata così. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando è sempre stato scettico e il Quirinale si è messo di traverso perché, nel confronto anagrafico tra magistrati che possono aspirare ai vertici della Cassazione, si sarebbe avvantaggiato qualcuno a discapito di qualcun altro, anche involontariamente. E così il capo dello Stato Sergio Mattarella, che è anche il presidente del Csm, ha inteso garantire "pari opportunità". Insomma, avrebbe fatto capire che non avrebbe firmato un testo diverso. Dunque, il messaggio di Ferri online e via telefonino si è rivelato intempestivo. La proroga per i magistrati, come si evince dal decreto legge, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 27 giugno, è fino al dicembre 2016. La proroga di un anno, dal dicembre di quest'anno al dicembre 2016, riguarda, come si sa, i magistrati che non hanno compiuto i 72 anni entro il 31 dicembre 2015. Da fine 2016, se non arriveranno sorprese dal Parlamento, i magistrati, come deciso dal governo Renzi, andranno in pensione a 70 anni. Martedì scorso il plenum del Csm ha approvato il bando per 165 posti per incarichi direttivi e semi direttivi. Grazie alla proroga, ha ridotto di circa un centinaio le nomine che il Consiglio è chiamato a deliberare entro dicembre 2015. Non potranno usufruire del decreto legge il primo presidente della Cassazione Giorgio Santacroce e il suo vice Luigi Rovelli, che andranno in pensione a dicembre. Dunque a partire da settembre sono aperte le domande per concorre ai posti più ambiti della magistratura. Sempre in Cassazione dovranno essere nominati 21 presidenti di sezione e due avvocati generale. Tra i procuratori generali dovranno essere sostituiti quelli di Torino, per il pensionamento di Marcello Maddalena, e di Firenze, per la scomparsa di Tindari Baglione. Complessivamente, sono 400 i magistrati ai vertici degli uffici giudiziari che avranno diritto alla proroga. Fra loro, tutti a Milano, il presidente della Corte d'Appello Giovanni Canzio, il procuratore generale Manlio Minale e il procuratore Edmondo Bruti Liberati, in attesa della valutazione del Csm sul suo operato. L'allungamento dell'età pensionabile da 70 a 75 anni, è avvenuto nel 2002, su decisione del governo Berlusconi, per provare a ingraziarsi, senza successo, il primo presidente della Cassazione Nicola Marvulli. Quando, nel 2014, la maggioranza di Renzi ha deciso di accorciare i tempi fino a 70 anni, il Csm ha lanciato l'allarme per le conseguenze sull'organizzazione degli uffici. "Francamente - disse il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini - non è facile giustificare perché i magistrati vadano in pensione a 75 anni, i professori universitari a 70 e gli ambasciatori a 65". La motivazione del ritardato pensionamento dei magistrati nel 2002 faceva riferimento all'adeguamento delle aspettative di vita dei cittadini, ma è difficile pensare che fare il magistrato sia una garanzia di maggiore longevità. Le preoccupazioni espresse riguardano l'efficienza degli uffici giudiziari, che correrebbero il rischio di vedersi improvvisamente privati di un buon numero di magistrati, senza che il sistema possa garantire una celere sostituzione. In particolare, la Cassazione subirebbe la maggiore emorragia". Ed ecco decisa la proroga, ma di un anno. Non di più, come avrebbe voluto invece il sottosegretario Ferri. Giustizia: Mafia Capitale; il procuratore capo di Roma Pigliatone attacca il sistema coop di Francesco Grignetti La Stampa, 2 luglio 2015 Il procuratore: "Sono privilegiate, e senza controlli interni". Sono parole che pesano come macigni, quelle cesellate dal procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone. Così è accaduto, ieri, nel corso di un'audizione davanti alla commissione Antimafia, che il magistrato abbia buttato là, con curata nonchalance, premesso che naturalmente la stragrande maggioranza è di onesti, un giudizio al vetriolo sul sistema cooperativo: "C'è una riflessione da fare sul ruolo delle cooperative. C'è da riflettere sulle agevolazioni, sulle simpatie e sui tipi di controlli di cui godono le cooperative. Ma questo non è compito della procura, è più compito della commissione". Pignatone parlava delle coop malate di Mafia Capitale. Ad esempio di quella "19 Giugno" che era nata per dare lavoro a ex detenuti, ma era piuttosto una società mascherata di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati. Il contraccolpo, però, non è mancato. La presidente Rosy Bindi è andata a ruota: "Alla Commissione Antimafia non è sfuggita l'importanza delle cooperative. Sentiremo i responsabili della Cascina". E il mondo cooperativo s'è sentito sul banco degli accusati. "Siamo i primi a chiedere di punire severamente chi sbaglia e di fare pulizia, perché chi commette reati danneggia profondamente nell'immagine la vera ed autentica cooperazione, ma diciamo no ai processi sommari", ha affermato Maurizio Gardini, presidente Confcooperative. Ricordato che la cooperazione in Italia dà lavoro a 1,3 milione di persone e sono oltre 12 milioni i soci, è stato soprattutto l'accenno alle agevolazioni che ha preoccupato Gardini. Che dunque replica: "Una decina di cooperative non può essere presa a modello per demolire e danneggiare tutte le altre". Già, ma il ragionamento del magistrato parte da alcuni fatti appurati dall'inchiesta su Mafia Capitale. Primo, l'organizzazione del duo Carminati-Buzzi è assolutamente inedita, associando un mondo criminale, quali gruppi di rapinatori e estorsori, a uno nobile quali le cooperative sociali, eppure utilizza i metodi mafiosi dell'intimidazione associata alla corruzione: ci sono già due pronunce in merito della Cassazione. Secondo, seppure non c'è paragone con i collegamenti di alto livello che Mafia Capitale poteva vantare nella gestione Alemanno, il cambio di maggioranza in Campidoglio non aveva preoccupato più di tanto i vertici dell'organizzazione. Si sentivano coperti a destra come a sinistra. "Restano - ha spiegato il procuratore - i trattamenti privilegiati con Buzzi per tutta la durata delle indagini. Si registra per tutta la durata delle indagini una vera e propria attività di lobbing da parte di Buzzi e Carminati per imporre ai vertici personaggi amici". Dalle indagini emergono alleanze inimmaginabili per controllare gli appalti. Ed ecco perché Pigliatone invita a ripensare al sistema. "I controlli interni nelle cooperative non hanno funzionato. Quanto ai controlli esterni, noi in procura non abbiamo ritenuto di trovare contestazioni di reati da attribuire ai funzionari del Viminale o della prefettura. Poi sull'efficienza o meno dei controlli, noi allo stato non siamo in grado di dirlo". È formalmente conclusa, intanto, l'inchiesta sul Centralino unico prenotazioni per la sanità regionale. Finirà a processo Maurizio Venafro, l'ex assistente del Governatore Zingaretti, ma nessun politico. C'è una riflessione da fare sul ruolo delle coop. C'è da riflettere su agevolazioni, sulle simpatie e sui tipi di controlli di cui godono. Ma questo non è compito della procura, è compito della commissione. Giustizia: l'altra faccia di "Mafia Capitale", gli operatori sociali rimasti senza stipendio di Roberto Ciccarelli Il Manifesto, 2 luglio 2015 Il movimento dei lavoratori dell'accoglienza (A.l.a.) chiede di smantellare i "megacentri" fonte di sfruttamento dei migranti. Precarietà, sfruttamento, demansionamento. È la condizione degli operatori dei centri di accoglienza per migranti e rifugiati a Roma, molti dei quali non ricevono lo stipendio da mesi. è l'altra faccia di "Mafia Capitale", quella del lavoro, lontana dalla luce dei riflettori e degli inquirenti. In questo mondo ampio, oltre agli operatori, lavorano legali, insegnanti, educatori, assistenti, addetti alla pulizia. Dopo il blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione, la crisi del terziario avanzato e l'esplosione della bolla occupazionale creata dalla lunga stagione veltroniana dei "grandi eventi culturali", a Roma questo terzo settore è sembrato l'unico capace di produrre un'occupazione precaria e, talvolta, anche un reddito. "Mafia Capitale" ha mandato in tilt questo sistema che oggi conta su una decina di cooperative - compresi i consorzi - e circa duemila addetti. L'emergenza ha spinto gli operatori a riunirsi nell'assemblea dei lavoratori e delle lavoratrici dell'accoglienza (A.l.a) che ieri si sono incontrati in un'assemblea all'entrata dell'assessorato delle politiche sociali di viale Manzoni a Roma. Sul posto c'era anche l'Unione sindacale di base (Usb) che ha denunciato il ritardo di tre mesi per i lavoratori di una cooperativa Eta Beta. Dai loro racconti emerge una realtà quotidiana caratterizzata anche dalla mancanza di chiarezza sulle mansioni da svolgere. Nel video "quel che non vi raccontano dell'accoglienza", diffuso dall'A.l.a. su Youtube, una giovane operatrice legale sostiene che "non esiste un mansionario stabile e nella cooperativa svolgo qualsiasi mansione, dalla distribuzione dei pasti alla pulizia dello stabile". "Spesso le strutture sono inadeguate e prive di servizi per gli ospiti". "Quello dell'operatore sociale che si occupa di accoglienza è un profilo professionale relativamente giovane, risale a una quindicina di anni fa - racconta un'altra operatrice che preferisce mantenere l'anonimato - Nel nostro contratto nazionale manca la certezza dell'inquadramento. Questo significa che sul lavoro ci viene chiesto di svolgere tutti i ruoli, anche quello di sorveglianza e guardiania nei centri". L'incertezza delle mansioni, oltre che del reddito, neutralizza di fatto il ruolo dell'operatore che è delicatissimo. Il suo compito è mediare tra le esigenze basilari del migrante e la società di accoglienza. Per farlo sono necessarie competenze, e formazione, che non vengono riconosciute né al momento della stipula dei contratti, né nell'attività quotidiana. "Questa situazione c'era prima di Mafia Capitale e purtroppo è destinata a continuare anche dopo" aggiunge l'operatrice. Alla base c'è un baco del sistema che, nel recente passato, ha imposto il terribile scambio biopolitico tra appalti e profitti sulla pelle dei rifugiati e oggi continua a creare nuove emergenze. A Roma si è manifestata con lo sgombero di una piccola baraccopoli a Ponte Mammolo e con l'incredibile vicenda dei profughi alla stazione Tiburtina. In questo contesto si muove l'A.l.a, un'esperienza di auto-organizzazione degli operatori sociali sostenuta dalle Camere del lavoro autonomo e precario (Clap). Nell'incontro ottenuto oggi dall'assessora capitolina alle Politiche Sociali Francesca Danese chiederanno chiarezza sui pagamenti alle cooperative che giustificano i ritardi con il blocco dei versamenti da parte del comune. Al comune chiedono anche di farsi garante dei diritti dei lavoratori negli enti che hanno in gestione i suoi appalti nell'accoglienza. Questa azione ha un obiettivo ambizioso: la "trasformazione radicale del sistema di accoglienza - sostengono i lavoratori dell'A.l.a. - Bisogna superare i megacentri e le politiche emergenziali, fonti del business e dello sfruttamento dei migranti e dei lavoratori". Lo strumento per ottenere una simile trasformazione potrebbe essere un tavolo inter-istituzionale con Prefettura, comune e il sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), un'altra delle richieste del movimento. Giustizia: Mafia Capitale; Buzzi si converte e scrive al Papa "corrotto sì e sono pentito" di Luciano Piras La Nuova Sardegna, 2 luglio 2015 Il patron della coop al centro dell'inchiesta che scuote Roma è attualmente detenuto a Nuoro. È stato decisivo l'incontro con il vescovo Mosè Marcia e il cappellano Giampaolo Muresu. Salvatore Buzzi scrive una lunga lettera a Papa Francesco e racconta un'altra verità. "Dichiaro la mia totale adesione al Suo invito alla conversione" gli fa sapere. E soprattutto conferma le indiscrezioni uscite in queste ultime settimane: il patron della Cooperativa 29 Giugno al centro dell'inchiesta Mafia Capitale sta parlando con i magistrati "e mi auguro di non essere il solo" sottolinea nella missiva partita dal carcere barbaricino di Badu e Carros, dove è detenuto in regime di Alta sicurezza fin da pochi giorni dopo il suo arresto a Roma, il 3 dicembre 2014. Corrotto sì, mafioso no, confessa in sostanza l'uomo considerato il capo (insieme a Massimo Carminati) del sodalizio criminale che nel corso degli anni avrebbe dirottato ingenti quantità di denaro pubblico a beneficio suo e dei suoi gregari. Una teoria, tuttavia, che Buzzi cerca di smontare pezzo a pezzo nella lettera inviata al Papa lo scorso metà maggio e soltanto ora diffusa dalla testata della diocesi di Nuoro L'Ortobene. Anticipata in parte ieri pomeriggio all'agenzia di informazione religiosa Sir, la lettera sarà pubblicata sul numero del settimanale in uscita oggi. Che sintetizza il senso del lungo racconto firmato Salvatore Buzzi con il titolo "Il coraggio della conversione e della denuncia". Decisivo l'incontro nel penitenziario nuorese con il cappellano don Giampaolo Muresu e con il vescovo Mosè Marcia. Sono loro che hanno aiutato l'ex presidente della Coop 29 Giugno nel suo percorso di avvicinamento all'invito del Pontefice ai fautori o complici di corruzione contenuto nella bolla di indizione del Giubileo della Misericordia. "Seguendo la via tracciata dalla Misericordiæ Vultus - scrive Buzzi, dichiaro la mia totale adesione al Suo invito alla conversione, "unita al coraggio della denuncia" perché la corruzione "impedisce di guardare al futuro con speranza ed è un accanimento nel peccato"". "Dal 2010 - denuncia Buzzi in un passo della lettera - iniziammo ad avere richieste varie di utilità da parte di funzionari ed amministratori: facemmo un esposto alla Procura di Roma, ma non ci fu seguito, tentammo anche la via della denuncia politica, ma anche questa via non portò risultati. Ed allora io in prima persona cedetti a queste richieste: moralmente giustificavo il mio agire con il classico "fine che giustifica i mezzi". Tali richieste si sono poi accentuate con gli anni e con il crescere della cooperativa; io continuavo a giustificare il mio operato con il fatto di creare occupazione per tante persone che altrimenti non avrebbero mai trovato lavoro. Da vittima divenni pian piano complice di un sistema corruttivo cresciuto sempre di più, sia a livello politico che amministrativo". "Sono consapevole di dover affrontare la giustizia terrena e mi adopererò per chiarire le mie colpe e contrastare per quanto è nelle mie possibilità i fenomeni corruttivi; mi difenderò dall'accusa ingiusta di mafia" sottolinea ancora il res della cooperativa sociale di Roma che nei giorni scorsi, attraverso il suo legale, ha chiesto di patteggiare la condanna a tre anni e sei mesi di reclusione e 900 euro di multa. Perché colpevole "solo" di corruzione, non certo di associazione mafiosa. Basta riprendere in mano - sottolinea nella lettera a Francesco - l'esposto presentato alla Procura di Roma cinque anni fa. Un passaggio decisivo in vista del processo che inizierà il prossimo 5 novembre e che lo vedrà alla sbarra assieme ad altri 33 indagati. Giustizia: "non vedrai più tuo figlio, anche se sei innocente" di Vincenzo Vitale Il Garantista, 2 luglio 2015 È stato accusato di avere abusato della figlia adottiva. Non era vero. Assoluzione piena per tre volte, 14 anni di inferno, e ora anche la beffa. Nella vita ovviamente succede di tutto e il contrario di tutto. A volte però accadono cose assai singolari che debbono farci riflettere perché si pongono come paradigma di riferimento per intendere meglio il funzionamento o, meglio, il non-funzionamento di interi settori della vita sociale: in questo caso il modo in cui viene amministrata in Italia la giustizia dal Tribunale dei Minori. I fatti in sintesi. Il sig. Giuseppe Lanzafame, soggetto certo non di nessun rilievo, visto che lavora all'osservatorio astrofisico dell'Università di Catania, un bel giorno sposa una signora proveniente da un Paese dell'Europa dell'Est, peraltro già madre di una bambina, nata da un precedente matrimonio. Tale è il trasporto di lui per lei, tale la disponibilità, che egli adotta la bambina, facendone così una figlia giuridicamente anche sua. Inoltre, e direi come ci si poteva aspettare, Lanzafame e signora generano un bambino, che suggella la loro unione. La luna di miele tuttavia dura poco perché dopo pochi mesi da tale nascita, la signora, interpretando a modo suo e in modo gravemente errato alcune espressioni della figlia di appena quattro anni, denuncia il marito perché sospettato di aver abusato proprio di quella bambina che aveva adottato. Ma denuncia anche, come correa e favoreggiatrice, la suocera - madre del Lanzafame - che all'epoca dei fatti (il 2002) contava già la rispettabile età di 76anni. È appena il caso di dire che ciò che accade a questo punto è scontato, perché in Italia, tanto più grave e spregevole è il delitto di cui si è accusati, tanto più facile è essere arrestati in via preventiva, mentre ovviamente dovrebbe darsi proprio il contrario: per un grave delitto, occorrerebbe usare molta più cautela ad arrestare in via preventiva che per uno meno grave. Ecco allora che Lanzafame viene posto in stato di custodia cautelare prima in carcere e poi agli arresti domiciliari complessivamente per circa due anni. Ma prima ancora di arrestarlo, gli viene ordinato di stare lontano dalla moglie e da entrambi i bambini: e così vien dai giudici fatto carico al Comune di alloggiare i tre presso un ricovero protetto a spese dell'ente pubblico, cosa che avviene e che poi genererà la beffa finale perché Lanzafame sarà costretto a pagare di tasca sua circa 30.000,00 euro al Comune quale rimborso per il mantenimento della sua accusatrice, il che suona beffardamente sinistro. Com'è ancora ovvio, inesorabile, si mette anche in moto la macchina della giustizia minorile, aprendo un procedimento a carico del Lanzafame allo scopo di farlo dichiarare decaduto dalla patria potestà (termine che preferisco rispetto a quello anodino di "responsabilità genitoriale"), visto che chi insidia sessualmente una bambina non sua non è degno di far da padre ad un bambino suo. Poco importa che nulla si sapesse ancora della fondatezza delle accuse, che Lanzafame dovesse ancora difendersi in modo compiuto, che le uniche accuse fossero le parole contraddittorie di una bambina di pochi anni, che ad essere accusata fosse anche - in modo del tutto non credibile - una signora quasi ottantenne: tutto inutile. Lanzafame era ormai nel tritacarne. Dopo ben sei anni dalle accuse Lanzafame viene assolto con formula piena in primo grado e dopo altri due anni la Corte d'appello conferma la sentenza pienamente assolutoria per lui e per l'anziana madre, ormai di 84 anni, ravvisando contraddizioni insanabili nelle dichiarazioni accusatorie sia della bambina che della moglie, che vengono dai giudici valutate " non serene e non veritiere", vale a dire prive di oggettiva fondatezza e false. In un Paese normale, tanto sarebbe bastato per bloccare definitivamente il procedimento diretto a privare Lanzafame della patria potestà, ma non funziona così in Italia. Da un lato, infatti, due sentenze dei giudici penali dichiarano definitivamente Lanzafame del tutto innocente delle infamanti accuse; dall'altro, i giudici minorili che insistono inspiegabilmente, totalmente irretiti da una perversa girandola di relazioni e controrelazioni di assistenti sociali e di psicologi, con la procedura già avviata. Sicché, la domanda che una persona dotata di semplice buon senso non può fare a meno di porsi suona: ma perché, nonostante la comprovata e definitiva innocenza del Lanzafame, il procedimento che mira a privarlo della patria potestà non si è subito fermato? Si noti che nel 2008, all'epoca cioè della prima sentenza assolutoria, il bambino, figlio di entrambi, aveva ancora appena sei anni, età in cui sarebbe stato ancora relativamente facile ricostituire un normale rapporto col padre, sia pure dopo anni di interruzione di ogni relazione. Invece, a dispetto dell'interesse del piccolo, la procedura si dilata oltre ogni limite, mentre assistenti sociali e psicologi si esercitano a discettare sui tempi "maturativi" (sic!) del piccolo: sta di fatto che solo nel 2012, cioè dopo due anni dalla assoluzione definitiva, il divieto di incontri con il figlio, già posto a carico di Lanzafame dal Tribunale dei minori, viene finalmente revocato. Cosa hanno fatto i giudici minorili in questi due anni? Si sono fissati che il padre - cioè Lanzafame - non fosse in grado comunque di far da padre, nonostante la doppia e pienissima assoluzione, e che perciò occorresse indagare la praticabilità di un rapporto padre-figlio. Da qui, una marea di pareri e di contro pareri che per anni affollano le scrivanie di giudici e avvocati, zeppi di frasi fatte e di improbabili teoremi surrettiziamente elevati a chissà quale oggettività e dignità scientifica: tutti sembrano preoccuparsi di garantire i rapporti, che il Tribunale dispone siano ora "protetti", fra Lanzafame ed il figlio (ma perché? ), ma nessuno si preoccupa di ciò che davvero dovrebbe essere al centro dell'attenzione: e cioè che è bene che il bambino abbia rapporti col padre invece di non averne. Sicché, nel passare degli anni - che assommano ormai a circa 14 dall'inizio della triste vicenda - l'esito scontato è che il figlio, ormai adolescente, non avendo mai visto il padre, più cresce e meno vuole incontrarlo e pensa poterne tranquillamente (sbagliando) fare a meno. Nessuno, del Tribunale, pensa che è proprio questo il problema non solo per il padre, ma soprattutto per il figlio: che cioè questi intenda rinunciare alla presenza di chi non conosce. Come si può rinunciare a ciò che non si conosce? Ma il Tribunale non se ne cura, limitandosi a sentenziare ovviamente "che non si può non tener conto della volontà del minore il quale al momento mostra forti resistenze ad incontrare il padre": che non si può cioè non tenere conto della volontà di chi lo stesso Tribunale aveva contribuito in modo determinante ad allontanare dal padre. In sostanza, prima Lanzafame viene ingiustamente e calunniosamente accusato di un delitto rivoltante; poi, una volta assolto, viene ingiustamente perseguito dal Tribunale dei minori che alla fine si arrende e lo lascia titolare della patria potestà; ma siccome il tempo ha reso difficile instaurare rapporti normali fra il padre ed il figlio, se ne lava le mani, attribuendo al figlio una volontà invincibile e definitiva: non vedrà il padre se non lo vorrà. Come dire ad un adolescente: fà pure ciò che ti pare. Dimenticavo. Per tutti questi 14 anni, Lanzafame ha potuto vedere in faccia un solo giudice - fra quelli del Tribunale dei minori -soltanto una volta e per pochi minuti : per discutere, pensate un po', niente meno che di importantissime questioni di competenza territoriale. In compenso, è stato costretto a sorbirsi eroicamente decine di colloqui, inutili e alla fine dannosi, per il tempo prezioso che han fatto dilapidare, con assistenti sociali e psicologi. Normale, no? Lettere: introduzione del reato di tortura, alcune istruzioni per l'uso di Renato Balduzzi Avvenire, 2 luglio 2015 Deve essere ben forte la tentazione tutta italiana di rinviare le decisioni se riusciamo a farne applicazione anche su temi delicati e importanti. Lo si è visto in questi giorni a proposito dell'introduzione del reato di tortura. Una Convenzione Onu del 1984, ratificata dall'Italia nel 1989, attende di essere resa effettiva attraverso una legge che introduca il reato di tortura nel nostro ordinamento. La questione è stata rinfocolata da una, peraltro non sorprendente, decisione della Corte di Strasburgo a proposito dei fatti accaduti nel luglio 2001 nella scuola genovese Diaz-Pertini, dove si consumarono, secondo la sentenza della Cassazione del 2012, "violenze di una gravità inusitata e assoluta". Stando alla Corte di Strasburgo, l'assenza di una specifica previsione di tale reato rende possibile che prescrizioni o indulti impediscano la punizione non solo dei responsabili degli atti di tortura, ma anche degli autori di trattamenti inumani. I vertici delle forze dell'ordine hanno manifestato una, peraltro comprensibile, preoccupazione che u-na certa formulazione della nuova fattispecie di reato possa rendere meno efficace il già difficile compito della polizia: in sostanza, che non si riesca poi a distinguere tra i comportamenti dei violenti in divisa e quelli di chi usa la forza per necessità imposta dalla divisa. Nella proposta in discussione alla Camera commette reato di tortura chiunque, con violenza o minaccia, intenzionalmente cagioni a una persona comunque sottoposta alla sua autorità acute sofferenze fisiche o psichiche al fine, tra l'altro, di vincere una resistenza. Lo scoglio più grosso mi pare stia nelle parole "al fine di vincere una resistenza": la loro espunzione dal testo non metterebbe in pericolo nessuno dei beni protetti ed eviterebbe interpretazioni o applicazioni distorte. Un accordo sembra possibile, dunque è doveroso. Purché si condivida una base comune: che lo Stato di diritto non è un optional; che la fiducia verso le forze di polizia non può essere incrinata; che le forze dell'ordine cui va la stima dei cittadini sono quelle che conoscono e fanno proprio il codice etico europeo per la polizia. Abbiamo tante leggi, troppe leggi. Di questa, invece, ce n'è bisogno per rinnovare e rinsaldare il patto tra cittadini e istituzioni. Lettere: "non è Mafia Capitale, ma Corruzione Capitale" di Salvatore Buzzi (detenuto a Nuoro) Il Garantista, 2 luglio 2015 L'ex presidente della Cooperativa "29 Giugno" respinge le accuse e chiarisce i punti della vicenda che lo vede coinvolto. In merito alle continue e inverosimili accuse che mi vengono rivolte da giorni, intendo precisare quanto segue: 1) Non mi sono mai interessato di un Centro per bambini handicappati sito a Ostia e gestito da Anfass, la cui chiusura, mi pare di aver capito, è stata determinata da carenze strutturali e firmata dal Direttore del XIV Dipartimento del Comune di Roma, con la quale non aveva rapporti, al di là della semplice conoscenza. Quindi è una notizia priva di ogni fondamento e per la quale mi riservo di adire le vie legali. 2) Non mi stanno sequestrando beni per 16 milioni, ma tale sequestro è stato operato il 2 dicembre e riguarda il commissariamento della Cooperativa 29 Giugno, pertanto è il patrimonio della cooperativa. Delle tante accuse che mi sono state rivolte non c'è l'appropriazione indebita né l'elusione fiscale. Nessuno del gruppo dirigente la 29 Giugno si è mai appropriato di nulla e tutte le risorse sono rimaste in cooperativa. 3) Continuo a ripetere che non ho corrotto nessuno, posso solo dire che non ho avuto il coraggio di denunciare la corruzione. Ho riflettuto e compreso gli errori che ho fatto e soprattutto che il fine non giustifica mezzi impropri. 4) Non abbiamo mai fatto parte di un'associazione mafiosa e nessuno di noi della Cooperativa 29 giugno si è mai interfacciato con i nostri interlocutori con intimidazioni o minacce, anzi in tanti ci chiedevano in continuazione donazioni, sovvenzioni a assunzioni, da cui l'uso della metafora della mucca, metafora volgare ma che può rendere lo stato delle cose in cui eravamo costretti ad operare. Altro che Mafia Capitale, io parlerei di Corruzione Capitale. 5) I rilievi del Mef sono esaustivi delle problematiche amministrative del Comune di Roma e solo due pagine due sono dedicate al gruppo 29 Giugno su altre cinquecento pagine di rapporto. 6) Non riesco a stare dietro e quindi a smentire tutte le accuse, anche le più inverosimili, posso solo dire che mi dichiaro estraneo sia al Sacco di Roma dei Lanzichenecchi, sia a quello operato da Alarico. Credo sia molto comodo scaricare ogni nefandezza sulle mie spalle, un modo molto utile per nascondere i tanti problemi del Comune di Roma. 7) Aderisco all'appello del Papa per la lotta contro la corruzione, contenuto nella Bolla, con la quale viene indetto il Giubileo straordinario della Misericordia. Mi auguro di non essere il solo. Lettere: "anche il carcere è un luogo consacrato… dal dolore e dalla misericordia" di Totò Cuffaro (detenuto a Rebibbia) Tempi, 2 luglio 2015 Nelle carceri si vive nella miseria che impone la legge dell'uomo, ma l'uomo e la legge non hanno la forza di far disconoscere la Misericordia di Dio. La speranza e la fede, per chi l'ha, sorreggono l'uomo detenuto. Grida l'uomo, grida il suo silenzio, gridano la fame e la miseria, grida, si sciupa e si dissecca la vita, e grida il tempo e grida l'anima, e in tutti noi si spezzano i cuori… ma Cristo è in ascolto. Arriva Cristo, la Sua Misericordia porta con sé i petali della vita e fa del carcere un luogo consacrato. "Dove dimora il dolore il suolo è sacro". Arriva e porta pace alla disperazione degli uomini che sono al varco del confine, nelle urne del pianto. Arriva e libera gli spiriti legati alle catene. È uno dei nostri, fatica con noi per riscattare il nostro passato e per ripristinare i nostri giorni. Lo sentiamo camminare accanto a noi, consola la nostra libertà crocifissa, e a ogni passo sentiamo che il giogo diventa più sopportabile. Gesù non è nelle nostre giornate di detenuti solo un pensiero, qui riusciamo a dargli del Tu. Allora ci imponiamo di ricominciare. La vita è un ricominciare sempre, ogni giorno, ogni istante. La realtà provoca e noi non possiamo non prenderla sul serio e ciò vuol dire accettare la sfida che essa ci pone. La chiave di volta sta nel rapporto con noi stessi, tra noi e ciò che ci sta attorno. Da ciò non dobbiamo rifuggire perché è il culmine e la misura della sfida. Pregheremo più intensamente perché la Misericordia sia sempre presente nei nostri cuori e nella nostra vita di detenuti e accarezzi la nostra sofferenza. Il Papa ha annunciato il Giubileo speciale della Misericordia e ha voluto per il 6 novembre 2016 il giorno del Giubileo del detenuto, riaffermando e ribadendo la sua attenzione per chi è privato della libertà. Sarebbe bellissimo che la Giustizia dello Stato desse una giusta risposta a una così forte scelta di attenzione del Papa per il mondo delle carceri consentendo ai detenuti di poter essere presenti per quel giorno in piazza San Pietro. Ma se anche la Giustizia dello Stato non ci consentirà di esserci e di passare sotto la "Porta Sacra", noi varcheremo la porta delle nostra cella: la Misericordia di Dio e papa Francesco hanno fatto sì che è "parimenti sacra" la porta di sbarre del luogo che custodisce il dolore e priva della libertà. Il carcere non è storie di corpi ma di anime. Modena: la Garante Bruno "Casa lavoro di Castelfranco Emilia, interviene anche il Dap" Ristretti Orizzonti, 2 luglio 2015 Il Dipartimento di amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia "condivide la necessità di un intervento" sull'istituto di Castelfranco Emilia, la casa-lavoro in provincia di Modena, e pertanto "investirà le competenti articolazioni dipartimentali e territoriali affinché la problematica segnalata venga affrontata costruttivamente in sinergia con la comunità locale". A renderlo noto è la Garante regionale delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, che riprende una lettera inviatale da Santi Consolo, capo del Dap, in risposta agli atti del convengo "Poveri o pericolosi? La crisi delle misure di sicurezza personali detentive per autori di reato imputabili e pericolosi", che la figura di garanzia dell'Assemblea legislativa si era preoccupata di far conoscere a tutti i portatori di interesse della vicenda in modo che "la questione della Casa Lavoro di Castelfranco trovi finalmente la giusta attenzione nelle sedi competenti". "Sono molto soddisfatta per l'interessamento del Dap nella persona del suo capo, spero sia l'inizio di un nuovo e decisivo percorso - spiega Bruno - e auspico anche che venga avviata quanto prima la riforma della normativa in tema di misure di sicurezza detentive per imputabili, anche in ragione delle modifiche apportate in tema di misure di sicurezza per non imputabili". La Garante, inviando gli atti del convegno, aveva scelto di segnalare "la anomalia della situazione dell'istituto di Castelfranco Emilia", sollecitando un intervento. Infatti, aveva rimarcato Bruno, "anche se la struttura presenta notevoli potenzialità, a Castelfranco Emilia manca il lavoro, ovvero il presupposto stesso di esistenza dell'Istituto, nonostante il ricco patrimonio agrario e laboratoriale a disposizione che è da anni del tutto inutilizzato, e che sta nel tempo deteriorandosi. Ci sono due officine che non hanno attività in essere e un'area pedagogica provvista di sale riunioni, aule didattiche, in cui nulla si fa". Secondo Bruno sarebbe poi opportuno "verificare la possibilità di attuare forme di riorganizzazione tese alla territorializzazione delle misure di sicurezza, consentendo il rientro o l'avvicinamento, ove possibile, degli internati ai luoghi di residenza o comunque di frequentazione abituale, e agevolando così la presa in carico da parte dei servizi territoriali": infatti, concludeva Bruno nel suo appello, "è evidente anche il disagio degli enti locali, Castelfranco Emilia e Modena, e dei relativi servizi che si devono occupare degli internati". Napoli: "no alla chiusura della Comunità di Nisida", appello di magistrati e politica Roma, 2 luglio 2015 Magistrati, operatori del terzo settore, assistenti sociali, rappresentanti delle istituzioni regionali comunali si sono incontrati al Centro congressi "Tiempo" al Centro direzionale di Napoli, per discutere del futuro della comunità pubblica di Nisida, una struttura residenziale per minori sottoposti a misura cautelare cogestione pubblico e privato (Cooperativa Il Quadrifoglio). Dal primo giugno sono state sospese a tempo indeterminato le attività della Comunità pubblica con il più alto numero di ingressi in Italia e dove sono presenti 15 tra educatori e operatori di assistenza e vigilanza, rimasti così senza lavoro. Presenti all'incontro Lidia Ronghi, presidente della Cooperativa "Il Quadrifoglio", Samuele Ciambriello, presidente dell'Associazione "La Mansarda", Padre Carlo De Angelis, presidente dell'Associazione "La Sorgente" e Don Franco Esposito, presidente Consulta regionale volontariato "Carcere e giustizia". Hanno preso parte al confronto anche Enza Amato, consigliere regionale del Pd e Valeria Ciarambino, consigliere regionale del M5S, una presenza che dimostra la vicinanza delle istituzioni regionali al tema della salvaguardia dei minori a rischio. Sono intervenuti anche Luca Sorrentino, responsabile del settore sociale della Lega Coop e Mario Carnevale, dirigente regionale Ugl. I presenti oltre a esprimere solidarietà alla cooperativa "Il Quadrifoglio" hanno sottolineato che occorre liberarsi della necessità del carcere per gli adolescenti che vivono il disagio e la devianza. Nuoro: carcere "poco dignitoso", trasferito a Sassari il boss della mafia Leoluca Bagarella La Nuova Sardegna, 2 luglio 2015 Il cognato di Totò Riina protestava per il controllo 24 ore su 24 dei suoi movimenti nella cella di Badu ‘e Carros. Il tribunale di sorveglianza di Sassari ha accolto la sua richiesta e disposto il trasferimento a Bancali. Il boss Leoluca Bagarella è stato trasferito qualche giorno fa in gran segreto dal carcere di Badu ‘e Carros a quello sassarese di Bancali. Il mafioso di Corleone, cognato del boss dei boss Totò Riina, aveva presentato - attraverso i suoi difensori, le avvocatesse Antonella Cuccureddu e Fabiana Gubitoso - un articolato esposto sostenendo che la sua detenzione era ai limiti della sopportazione umana per quanto riguarda i controlli 24 ore su 24 dei suoi movimenti nella cella con le telecamere e l'assenza di protezione per la "turca", il water sistemato al centro della cella proprio accanto al letto. Il tribunale di sorveglianza di Sassari, con il parere favorevole della Procura di Nuoro, ha disposto il trasferimento, respingendo il ricorso presentato dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) contro la decisione del tribunale di sorveglianza di Nuoro che aveva imposto il trasferimento poiché non venivano rispettati i requisiti minimi per una carcerazione dignitosa. Treviso: Festa della Polizia penitenziaria e bilanci "massimo impegno nel reinserimento" di Valentina Calzavara La Tribuna di Treviso, 2 luglio 2015 "Portate avanti il vostro compito con serietà, professionalità e umanità. Non dimenticate di dare sostegno a chi vive la detenzione, perché si tratta di persone che hanno un passato colpevole e un futuro che va garantito". Ieri, durante la messa in Duomo per commemorare il patrono del corpo della Polizia Penitenziaria, monsignor Adriano Cevolotto ha ribadito il ruolo chiave del personale del Santa Bona nella rieducazione dei condannati. Un impegno che trova già riscontro nelle attività proposte all'interno della Casa Circondariale, diretta da Francesco Massimo. Tra le più innovative: il "progetto delle dimissioni" per preparare il detenuto all'uscita, cercando di evitare la recidiva. Un training all'avanguardia che spazia dagli aspetti più banali, come il saluto e il modo di rapportarsi con un possibile datore di lavoro, alla ricerca vera e propria di un'occupazione con dei suggerimenti pratici per affrontare un colloquio o presentare un curriculum. "Siamo partiti quest'anno coinvolgendo una quarantina di persone e la metà ha già concluso il percorso di otto incontri. L'obiettivo è dare una chance in più, per evitare che una volta fuori si ricada nell'illegalità", spiega Maria Letizia Troianelli, responsabile dell'area educativa e trattamentale del penitenziario. "Gli incontri all'interno del Santa Bona avvengono con uno psicologo del lavoro dell'Usl 9 e fanno conoscere ai detenuti l'esistenza del Centro per l'Impiego". Una parte del progetto coinvolge anche i reclusi stranieri che rappresentano il 50% della popolazione carceraria. "Abbiamo un accordo con la Questura per aiutarli nella parte burocratica come la richiesta del ricongiungimento familiare, le espulsioni e le regolarizzazioni e anche per loro seguiamo l'aspetto occupazionale", continua Troianelli. Tra i progetti per insegnare un mestiere ai detenuti anche i permessi di lavoro all'esterno con 15 persone coinvolte in attività di pubblica utilità, 21 in lavori agricoli con la cooperativa Alternativa e 8 nella pulizia del Sile e piccola manutenzione di strade e attrezzi del comune di Villorba. Mentre dentro all'istituto proseguono i laboratori di "Fai da te" dove si producono oggettistica in legno e borse. Firenze: Garante regionale dei detenuti "un seminario per fare il punto sull'Opg" gonews.it, 2 luglio 2015 Per discutere di Opg, e della situazione della Toscana e della struttura di Montelupo in particolare, il Garante dei detenuti della Toscana, Franco Corleone, organizzerà un seminario per il prossimo martedì 14 luglio. Corleone lo ha deciso dopo avere, nei giorni scorsi, incontrato il sottosegretario del ministero della Salute Vito De Filippo e dopo una visita a Volterra. Rimangono infatti alcuni dubbi e alcuni nodi da sciogliere sulla collocazione dei pazienti in uscita dalla struttura di Montelupo Fiorentino, che nel frattempo continua a rimanere aperta. Lo ha spiegato lo stesso Corleone, il quale a Volterra ha effettuato un sopralluogo a un reparto del vecchio manicomio civile, chiuso dopo la legge Basaglia. Su questa struttura è infatti caduta la scelta per costruire una Rems, una residenza di esecuzione delle misure di sicurezza detentiva, in cui ricoverare gli internati dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo. Nel reparto da aprile è in funzione una struttura intermedia e da agosto dovrebbe essere attivata la Rems, in grado di ospitare circa venti persone. Manca da costruire una recinzione per evitare eventuali evasioni. Nel frattempo Montelupo continua a rimanere in funzione. Questa però, ha spiegato ancora Corleone, dovrebbe essere solo una soluzione temporanea, perché il progetto prevede la costruzione, in un altro reparto dell'ex manicomio di Volterra, di due nuove Rems definitive che possano ospitare in totale 40 persone. Il reparto dovrebbe tuttavia essere demolito e ricostruito ex novo. "A questo punto non si capisce perché la struttura in apertura ad agosto non possa diventare una soluzione definitiva - dice il garante. E non si capisce perché concentrare 40 persone in un solito luogo, quando una Rems non dovrebbe ospitare più di 20 persone. Se comunque bisogna realizzare due strutture completamente ex novo, non si capisce perché non prevederne una in un'altra ubicazione, come ad esempio in un padiglione di San Salvi, a Firenze oppure in un'altra città della Toscana anche per mettere a confronto pratiche terapeutiche di scuole psichiatriche diverse". "A questo punto - ha concluso Corleone - c'è la necessità di una discussione pubblica sulla questione". Padova: corruzione in carcere; sentenza di I grado per 13 imputati, condanne per 50 anni di Cristina Genesin Il Mattino di Padova, 2 luglio 2015 Sentenza a tempo di record per gli agenti penitenziari coinvolti nello scandalo del Due Palazzi, dove entrava di tutto, dai cellulari alla droga. Giustizia a tempo di record. Anzi, nel giusto tempo, meno di un anno per chiudere, con sentenza di primo grado per almeno 13 imputati, la delicata inchiesta sul carcere colabrodo, la casa di reclusione Due Palazzi dove è entrato di tutto, dai cellulari alle schede sim, alla droga. Tra giudizi abbreviati e patteggiamenti ben 51 anni, 3 mesi e 10 giorni di carcere sono stati inflitti complessivamente dal gup padovano Domenica Gambardella a 13 imputati, tra loro cinque (ex) agenti di polizia penitenziaria e l'avvocato rodigino Michela Marangon, 51enne residente a Porto Viro che, alla lettura della sentenza, ha avuto una crisi di urla e pianto ed è stata accompagnata fuori dall'aula. Il giudice ha condannato il legale (con rito abbreviato) per concorso in corruzione a due anni, sia pure con la sospensione condizionale della pena. La sanzione più pesante all'agente responsabile del quinto piano, Pietro Rega, 48 anni originario di Mariglianella (Napoli) e residente a Mirano nel Veneziano, considerato il boss del gruppo di secondini, punito con 10 anni e 10 mesi di reclusione oltre al pagamento di una multa di 60.340 euro con l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e l'interdizione legale per la durata della pena. Sempre con il giudizio abbreviato (rito che prevede, per legge, lo sconto di una terzo) sono state condannate le guardie penitenziarie Roberto Di Profio, 46enne originario di Chieti con residenza ad Abano Terme (5 anni, 10 mesi, 30 mila euro di multa e l'interdizione perpetua dai pubblici uffici) e Giandonato Laterza, 32enne di Matera (5 anni, 10 mesi, 36.700 euro di multa e l'interdizione perpetua dai pubblici uffici); mentre ha patteggiato 4 anni, 6 mesi, 14 mila euro di multa e l'interdizione per 5 anni dai pubblici uffici il collega Angelo Telesca, 36 anni, originario della provincia di Potenza, con residenza ad Albignasego. Rinviati a giudizio gli agenti Francesco Corso, 39enne palermitano con residenza a Padova e il collega Giuseppe Crispino, il criminale di guerra Goran Jesilic, ora trasferito nel carcere di Vigevano, alle spalle una condanna a 40 anni poi ridotti a 30 dal tribunale Internazionale dell'Aja, noto come l'"Adolf serbo bosniaco" e il "boia del lager di Brcko". Per questi ultimi tre con altri 20 imputati (tutti detenuti, compreso il boss della nuova camorra Domenico Morelli e il "collega" della sacra corona unita Sigismondo Strisciuglio) il processo comincerà il prossimo 6 ottobre davanti al tribunale di Padova. Tra i reati contestati corruzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Larino (Cb): "Oltre il carcere", tavola rotonda con Vaccaro, De Michele e Ferrari termolionline.it, 2 luglio 2015 Promossa dal Centro Sociale "il Melograno", è prevista per venerdì prossimo - 3 luglio 2015, alle ore 17,30 nella Sala della Comunità di Larino, in Largo Pretorio - la Tavola Rotonda "oltre il carcere", a margine della quale sarà presentato il libro "No prison" di Livio Ferrari. Un incontro dibattito sul problema "carceri", tra i più gravi che affliggono da tempo il nostro Paese, al quale parteciperanno il fondatore della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia Livio Ferrari, da decenni impegnato nella realtà carceraria italiana, affiancato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Larino Ludovico Vaccaro e dall'avvocato Antonio De Michele, rappresentate del Molise nel Consiglio Nazionale Forense. Come scritto nella premessa di "No prison", sono trascorsi 40 anni dall'approvazione della Legge 354, circa 55 dall'inizio della sua gestazione, portando l'autore ad affermare "senza possibilità di smentita, che è fallita su tutti i fronti. I dati di questo fallimento sono davanti gli occhi di tutti coloro che, a vario titolo, hanno a che vedere con il mondo penitenziario. E lo sono sia sotto l'aspetto punitivo, che rieducativo, nonché di sicurezza. È necessario ripensare completamente le modalità di esecuzione delle condanne, eliminando innanzitutto dal nostro lessico il termine "pena", che tanto ricorda la gogna e il suo retaggio culturale e corporale nell'afflizione e sofferenza, ridando dignità agli esseri umani coinvolti, sia ai condannati che agli operatori pubblici e privati. Insomma - conclude Livio Ferrari - l'impianto e le convenzioni che ruotano intorno al mondo della giustizia e della conseguente esecuzione sono da resettare e ricostruire alla radice". Dichiarazioni forti, intorno alle quali si svilupperà il dibattito, anche grazie al contributo del Procuratore della Repubblica Ludovico Vaccaro e del rappresentante molisano presso il Consiglio Nazionale Forense, l'avvocato Antonio De Michele. Genova: Sappe; no a detenuti con gravi problemi psichiatrici nel carcere di Marassi genova24.it, 2 luglio 2015 È improponibile la presenza, nei penitenziari, dei detenuti con gravi problemi psichiatrici. È il Sappe della Liguria a riproporre le problematiche connesse dalla loro gestione. La Polizia Penitenziaria che opera all'interno della Casa Circondariale di Genova Marassi - dichiara Michele Lorenzo segretario regionale - riscontra quotidianamente gravi criticità, che mettono a rischio la sicurezza non solo propria ma, anche, dei detenuti ospitati nella struttura, per questo - continua il Sappe - chiediamo un intervento ed interessamento dell'Amministrazione penitenziaria volto a risolvere la situazione attuale. È aberrante se non disumano constatare che a distanza di pochi giorni dal ricovero del detenuto che, dopo aver superato la soglia dei 90 eventi critici causati, mettendo letteralmente a ferro e fuoco l'istituto e che ha costretto alcuni poliziotti penitenziari a ricorrere alle cure mediche, si paventa la possibilità di un suo prossimo rientro nella struttura. Si precisa, infatti ed a tal proposito, che dopo l'ultimo incendio appiccato e la devastazione della camera detentiva, si rese necessario il ricovero ospedaliero dello stesso detenuto. Questi ha creato scompiglio anche nel reparto ospedaliero riuscendo ad ingoiare un moschettone di ferro adoperato per contenzionarlo. Immediato l'intervento chirurgico per rimuovere l'oggetto. L'intervento avrebbe rilevato, all'interno dello stomaco, altri oggetti "estranei" come un bullone. Il Sappe dichiara che la condizione lavorativa negli istituti liguri appare tristemente drammatica e desta preoccupazione per la gestione di individui che denotano problemi psichiatrici e che, quindi, non dovrebbero essere trattati in strutture detentive ordinarie, ma, bensì, in reparti psichiatrici attrezzati. In conclusione il Sappe si appella al rispetto della norma chiedendo, tra l'altro, l'applicazione della Legge n. 354/1975 al suo articolo 11 nella parte in cui recita che "nel caso di sospetto di malattia psichica sono adottati senza indugio i provvedimenti del caso col rispetto delle norme concernenti l'assistenza psichiatrica e la sanità mentale". E non comprendiamo il silenzio di Enti o associazioni a sostegno dei detenuti, così come non è chiara la posizione dei politici sul sistema sicurezza ed incolumità del poliziotto penitenziario. Firenze: Sappe; nel carcere di Sollicciano poliziotto aggredito con da un detenuto La Nazione, 2 luglio 2015 Il sindacato chiede un'ispezione nel carcere fiorentino e l'avvicendamento del direttore e del comandante del reparto. Un poliziotto penitenziario in servizio al carcere di Sollicciano (Firenze) è stato aggredito violentemente da un detenuto, mentre un altro detenuto è rimasto fuori dalla cella per protesta oltre gli orari consentiti. Lo segnala, protestando, il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) che proprio ieri mattina aveva incontrato gli agenti in servizio a Sollicciano. Il Sappe chiede l'avvicendamento del direttore e del comandante del reparto e un'ispezione nel carcere fiorentino. Nel caso dell'aggressione, il segretario generale del Sappe Donato Capece denuncia che "ieri un detenuto ha colpito e ferito, senza alcun ragionevole motivo, l'agente di servizio nella sezione detentiva. È solo grazie all'ausilio di altri colleghi che si è riusciti a contenere il detenuto e a evitare ulteriori complicazioni per la sicurezza e l'ordine interni. Al poliziotto colpito va la nostra vicinanza e solidarietà, ma mi chiedo cosa si aspetta ancora a fare per intervenire sui vertici amministrativi e di polizia del carcere fiorentino di Sollicciano, primi responsabili di una organizzazione del lavoro fallimentare e di livelli di sicurezza al di sotto del minimo". "Sempre ieri, ma nella serata" aggiunge Pasquale Salemme, segretario regionale Sappe della Toscana "un altro detenuto non è voluto rientrare in cella per molte ore, fino a notte inoltrata, perché pretendeva di parlare solamente con il Comandante di Reparto, che si è ben guardato dall'accontentarlo. Risultato? Tensione altissima per molte ore, con i poliziotti penitenziari in servizio messi a dura prova ma che hanno ben gestito la criticità nonostante tutto. Solo a notte inoltrata, quasi alle 2, il detenuto è rientrato in cella: ma vi sembra normale che accada questo in un carcere come Sollicciano?". Il Sappe rinnova al ministro della Giustizia Andrea Orlando e ai vertici dell'Amministrazione centrale la richiesta "di disporre una ispezione nel carcere di Sollicciano". Napoli: "Voci di stanze", a Secondigliano nascono attori dietro le sbarre di Stefano Prestisimone Il Mattino, 2 luglio 2015 Tra Eduardo e Totò si recitano le lettere spedite dai detenuti ai familiari. La storia di Faried, rimasto più a lungo in carcere per poter debuttare. Ha 72 anni, un sorriso con pochi denti e una voce celestiale. Quando comincia a cantare nel la sua cella, tutti si fermano e cala il silenzio. Poi si scatena l'applauso generale, fragoroso. Lo chiamano zio Alfonso, ed è uno dei detenuti-attori del carcere di Secondigliano. Di storie legate al teatro che entra negli istituti di pena ce ne sono di importanti. C'è quella consolidata di Armando Punzo con la Compagnia della Fortezza del carcere di Volterra che ha partorito il talento cristallino di Aniello Arena, l'ergastolano protagonista di "Reality" di Garrone che ha vinto un David. Ci sono i detenuti di Rebibbia, protagonisti di "Cesare non deve morire" dei fratelli Taviani. Ma ora anche a Secondigliano è scattata la scintilla del palcoscenico, grazie al lavoro di Enzo Liguori del teatro Totò, che ha tenuto un corso di formazione finanziato dalla Regione e che dopo la sua conclusione con tanto di saggio finale, ha continuato a lavorare al progetto gratuitamente per non abbandonare i suoi attori. "Diventa come una missione", spiega Liguori, "entri che sei una persona e dopo alcuni mesi ti riscopri diverso, è un'immersione totale in una realtà cruda che può emozionare fino alle lacrime. Esperienza imparagonabile con altre, soprattutto se i risultati sono stupendi come quelli ottenuti da noi". Accompagnato da Tommaso Scarpato e Luca Bruno, Enzo Liguori ha messo assieme una vera e propria compagnia di dieci elementi, tutti detenuti di alta sicurezza, con pene molto pesanti da scontare. "Gruppo complesso, ostico, almeno ali ‘inizio", continua il direttore organizzativo e insegnante di teatro del Totò, nipote del fondatore della sala di via Foria, Gaetano Liguori. "C'era scetticismo, disinteresse, anche sarcasmo nei miei confronti. Ma ho tenuto duro e pian piano gli spigoli si sono smussati, hanno cominciato ad appassionarsi e il percorso da quel momento è stato esaltante", conclude. Ci sono storie che sembrano favole, come quella dell'algerino Faried che pur avendo maturato la buona condotta per uscire in anticipo, ha tergiversato, non ha presentato i documenti e si è fatto un periodo di galera in più per poter andare sul palco, o quella di Paolo che ha voluto a tutti i costi rimandare una delicata operazione al cuore così da poter concludere l'esperienza. Alcuni come il siciliano Nino, come Angelo o come zio Alfonso, hanno mostrato qualità speciali, un talento che andrebbe coltivato. Ma tutti hanno fatto la loro parte, Alessandro, Ditto, Antonio, Mimmo, Domenico, Castrese, comprese le guardie carcerarie come il brigadiere Postiglione che ci ha fatto da cicerone per un giro nell'enorme complesso, assistendo poi all'incontro con i detenuti. "Noi vorremmo proseguire, preparare un nuovo spettacolo e anzi ringraziamo per l'impegno il gruppo del teatro Totò che stanno lavorando gratis per noi da 6 mesi", dicono i detenuti-attori, incontrati nell'area ricreativa, "all'inizio pensavamo ad un passatempo, ma poi ci siamo resi conto che il teatro poteva regalarci momenti di felicità. Le nostre famiglie erano entusiaste e quando abbiamo fatto lo spettacolo nel teatro del carcere, gli applausi non finivano più. Ci siamo commossi, è stato bellissimo. Il sogno è poter continuare e portare questo o un altro spettacolo fuori da qui". Una possibilità che avrebbe bisogno di un corso bis finanziato dalla Regione per poi sperare che il Tribunale di sorveglianza possa concedere il beneficio. Il titolo andato in scena è "Voci di stanze" ed è stato scritto da Liguori e Scarpato in collaborazione con i detenuti, composto da stralci di lettere spedite ai familiari, scene di vita di detenzione, con Nino nel ruolo del direttore del carcere, e inserti di "Pericolosamente" di Eduardo e di "‘A livella" di Totò. "Grazie a queste esperienze capiscono che c'è altro nel mondo", osservai! direttore dell'istituto di detenzione, Liberato Guerriero, "vedono che si può vivere diversamente e cosi trasferiscono all'esterno, ai figli e alle ferraglie, messaggi positivi e un tesoro di emozioni". Spoleto (Pg): allenatori e sport a Maiano, nel carcere lezioni di pesi, scacchi e volley umbria24.it, 2 luglio 2015 Un centinaio i detenuti coinvolti, lezioni da potenziare per accogliere tutte le richieste. Sardella: "Attività scelte dai reclusi" e Ignozza: "Pronti a proseguire anche nel 2016". Pesi, scacchi e pallavolo. Queste le attività introdotte all'interno del carcere di Maiano (Spoleto) col progetto del Coni Umbria Sport in carcere già avviato a Sabbione (Terni) e Capanne (Perugia) col supporto delle federazioni sportive. Inutile dire che l'ampliamento dei penitenziari coinvolti è frutto del notevole successo già riscontrato tra i detenuti delle altre due strutture. Le attività sono già iniziate nei giorni scorsi e anche a Maiano la risposta dei reclusi è stata massiccia, tanto che si sta ragionando sulla possibilità di potenziare i corsi di una o due sedute settimanali per accogliere tutti quelli che si sono fatti avanti in un secondo momento: "Le attività individuate nell'ambito del protocollo di intesa recentemente sottoscritto col Coni - ha commentato il direttore del carcere Luca Sardella - sono state scelte anche in base alle richieste della popolazione detenuta che hanno manifestato ampio gradimento per pesistica, scacchi e pallavolo". Seppur molto diversi gli sport in questione si sono rivelati, come prevedibile, un fattore di aggregazione all'interno dell'istituto. In questo senso, il presidente del Coni Umbria, Domenico Ignozza, ha evidenziato: "Il nostro impegno a favore della popolazione carceraria proseguirà fino a fine anno con la possibilità, vista anche la vicinanza di enti come la Fondazione Carispo, di proseguirla anche per il prossimo anno, perché - ha detto - i benefici non solo fisici che lo sport assicura a questa parte della popolazione è riconosciuta da tutti". Pesi, scacchi e pallavolo In particolare, la Federazione italiana pesistica (Fipe) svolgerà la sua attività per due volte a settimana per un totale di quattro ore settimanali ad oltre 60 detenuti che hanno aderito alle lezioni di questa disciplina sportiva che sarà portava aventi fino a dicembre dal tecnico federale Claudio Rocci. Grande successo tra la popolazione detenuta anche per la disciplina degli scacchi le cui lezioni vengono svolte dal tecnico e istruttore federale internazionale Mirko Trasciatti per due ore a settimana, mentre A giorni partirà anche l'attività pallavolistica grazie alla collaborazione dell'associazione dilettantistica Volley Spoleto e dei tecnici Stefano Bernardini e Claudio Storri. Lecce: arriva il caldo afoso, l'Associazione "Nessuno tocchi Caino" pensa ai detenuti leccenews24.it, 2 luglio 2015 Ormai è accertato, Flegetonte ha già messo piede nel Salento, portando le prime "vere" temperature estive. Sarà caldo, quindi, caldissimo e alcuni giurano che il termometro segnerà livelli che non si vedevano in Italia dall'estate 2003, ben conosciuta come un'estate di fuoco. Le associazioni di volontariato, così, si stanno preparando a fronteggiare l'emergenza, a cercare di offrire una mano a chi può averne più bisogno. A scendere in campo al fianco, come sempre, dei detenuti è l'associazione nazionale "Nessuno Tocchi Caino" impegnata nell'affermazione dei diritti umani di coloro che si trovano dietro le sbarre ad espiare la propria pena. In occasione dell'ondata di caldo africano che sta per abbattersi anche sul Tacco d'Italia, l'associazione comunica che partirà a breve la campagna "Un gelato per ogni detenuto". Occorrerà superare la normale burocrazia e ricevere le necessarie autorizzazioni dell'istituto penitenziario di Borgo San Nicola, per distribuire anche nella casa circondariale leccese gelati e bottiglie di acqua ai circa 9oo carcerati della struttura. L'intento è quello di offrire ai detenuti un piccolo sollievo dalle alte temperature in una cella dove, si sa, non c'è aria condizionata o ventilatori, dove non si può fare una doccia quando se ne sente l'esigenza, dove spesso si sta in troppi in troppo pochi centimetri quadrati. Le lacune da cui le carceri italiane sono attanagliate ormai da anni si conoscono bene e quindi, soprattutto d'estate, il pensiero va a coloro che devono espiare una pena - più o meno lunga - nel tentativo di renderla se possibile - meno grave con un gesto di solidarietà che può sembrare poco, ma in alcune circostanze può essere davvero tanto. L'ascesa delle droghe acquistate in rete. Dalla Cina a Milano, lo spaccio è via Web di Carola Frediani La Stampa, 2 luglio 2015 Mutanti, non regolamentate, pericolose: sono le nuove sostanze psicoattive, sempre di più online. Importate dalla Cina, lavorate in Europa, vendute su siti Web in pacchetti colorati. Così funziona lo slalom tra molecole, packaging, leggi e domini internet. Paula White non aveva solo il cognome in comune col protagonista di Breaking Bad. Come il professore di chimica della nota serie televisiva, era a capo di un'impresa criminale di produzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Diversamente dal Walter White della pellicola, però, lo faceva alla luce del sole. Perché, almeno apparentemente, vendeva "droghe legali". Malgrado ciò all'inizio di giugno la 46enne White è stata condannata dal tribunale di Bolton, zona di Manchester, Gran Bretagna, a nove anni di carcere nella più grande inchiesta inglese contro il mercato delle legal highs. Si tratta di sostanze che per composizione chimica tendono a sfuggire alle leggi sugli stupefacenti, salvo procurare simili effetti ed essere spesso più pericolose. Una zona grigia tra legalità e illegalità che negli ultimi anni ha proliferato in UK e non solo, e su cui ora Londra intende dare un giro di vite. L'inchiesta inglese nasce nel 2013, quando la polizia delle isole del Canale della Manica, in particolare di Jersey, nota un'improvvisa impennata di intossicazioni e malori fra i giovani del luogo, attribuendoli a prodotti non ben identificati. Inizia dunque a intercettare dei pacchi postali che nascondono diversi tipi di legal highs, sostanze che non sono "tabellate", non rientrano nei divieti della legislazione sulle droghe. Alcune di queste sono vendute come prodotti per la ricerca. Alcune possono essere commercializzate ma non per il consumo umano. Alcune mescolano componenti diversi, confezionati in pacchetti colorati e curati, ma vai a sapere cosa c'è dentro. Le autorità fanno delle analisi, scoprendo che il 77 per cento di questi prodotti, spacciati per legal highs, in realtà contengono sostanze illegali. E che arrivano dagli uffici postali di Bolton, zona di Manchester, un tempo protagonista della rivoluzione industriale e della classe operaia, poi della sua crisi rappresentata nei film di Ken Loach, e infine, a quanto pare, di una nuova e ambigua imprenditorialità che gioca con le opportunità della Rete da un lato, e le contraddizioni della guerra alla droga dall'altro. Viene dunque individuato e seguito lo spedizioniere che va negli uffici di Bolton a inviare i pacchi. É un collaboratore di Paula White, una imprenditrice fantasiosa che dopo varie attività commerciali nel 2009 aveva lanciato un sito online, Wide Mouth Frogs, dedicato alla vendita di droghe legali. L'anno dopo alcune di queste diventano illecite, ma il sito fa finta di niente e continua a venderle, dissimulandole come "stimolanti legali" e via dicendo, e ricamandoci sopra con nomi come Blue pearls o Magic crystals. Quando nel maggio 2013 arriva il raid delle forze dell'ordine, viene scoperchiata una vera fabbrica di sostanze. Fra le mura di mattoni rossi dello stabilimento Drake Mill di Farnworth a Bolton, un tempo adibito, come molti altri della zona, alla produzione tessile, gli agenti trovano una fabbrica di stupefacenti piena di macchinari e divisa per aree: stoccaggio, conservazione, confezionamento, spedizione. La materia prima, in un percorso che vedremo usuale, arriva dalla Cina. Nei capannoni di Bolton - che i gestori avevano soprannominato Area51, dalla base militare americana leggendaria per segretezza e mistero - viene lavorata, mescolata, impacchettata e brandizzata. In due anni sono stati venduti così 200 chili di sostanze, per 4 milioni di sterline di incasso, sostengono gli inquirenti. Paula White e i suoi soci vivevano vite agiate: lei in particolare aveva una magione con piscina in Gran Bretagna, una grande villa in Spagna, auto di lusso, abiti firmati, conti in Tanzania e a Cipro. Uno dei membri del gruppo, Rudie Chiu, web designer di 26 anni addetto al sito, faceva arrivare le materie prime a casa di sua nonna e di alcuni amici, per dare meno nell'occhio. Il sito - raggiungibile da chiunque sulla Rete normale - si presentava come un negozio legale e a norma. Aveva oltre 18mila clienti. I pacchi con i suoi prodotti, spediti in tutto il mondo, garantivano un'aria anonima e al loro interno contenevano anche magliette o libri. Oltre che droghe sintetiche proibite, insieme a miscele di erbe, e in generale nuove sostanze psicoattive (questo è il termine più tecnico e onnicomprensivo) non catalogate dallo Stato e altre invece appena messe al bando. Un calderone legale, chimico e commerciale da far girare la testa. Legali, illegali, non pervenute: la girandola delle legal highs Le legal highs - ma il termine più corretto è appunto nuove sostanze psicoattive (NPS), non disciplinate dalle convenzioni Onu e dalle leggi nazionali - spesso hanno una composizione chimica lievemente diversa rispetto alle droghe illegali; in questo modo restano tecnicamente lecite, anche se sono realizzate in modo da suscitare effetti simili, a volte anche più potenti, di cocaina, cannabis, ecstasy, psichedelici vari. Naturalmente, proprio per l'assenza di ricerche sulle stesse, i rischi sono anche più elevati. In una continua rincorsa, mentre alcune di queste sostanze diventano illegali anno dopo anno, ne arrivano di nuove e non classificate a centinaia. Alcune sono vendute in negozi fisici, smartshop che mescolano gadget per la cannabis, erbe africane, asiatiche e sudamericane, e legal highs. La maggior parte si trova invece online, in siti accessibili da chiunque, e non nel famigerato Dark We b. La ragione è che in alcuni Paesi, come la Gran Bretagna o l'Olanda, queste attività sono formalmente lecite. Ma il business sta spesso nel forzare i limiti legali, navigando nella zona grigia delle chimica e della denominazione di utilizzo delle sostanze, e giocando con le legislazioni di Paesi diversi. Ad esempio il mefedrone (noto anche come mcat o meow meow) è un sostituto dell'ecstasy che circola da anni, oggi illegale in vari Paesi per il consumo umano; può tuttavia essere presentato come fertilizzante o sali da bagno. Siti come Buy-mephedrone-online, localizzati in UK, spediscono in tutto il mondo questa sostanza, dopo essersi approvvigionati da India e Cina. Abbiamo mandato una mail al sito in questione, specificando di vivere in Italia, e chiedendo come potevamo comprare del meph. La risposta ricevuta, via mail, è che possiamo pagare via Western Union. Una semplice ricerca su Google per Research Chemicals porterà a una serie di siti dai domini simili. Qui si trovano sostanze dai nomi impronunciabili come 5F-AKB-48: ingrediente usato in miscele di cannabinoidi sintetici - dice la scheda prodotto - "al bando in Nuova Zelanda e Giappone ma del tutto legale in UK". Venduto solo per ricerca, ovviamente. Vietato il consumo umano, è la frase conclusiva ricorrente. Siti come Official Benzo Fury spediscono in molti Paesi (inclusa l'Italia) sostanze come la Nitrocaina, una molecola analoga alla dimetocaina, anestetico locale con attività simile a quella della cocaina, ma di cui - fino a due anni fa - i documenti del nostro Dipartimento per le Politiche Anti-Droga riconoscevano di non sapere pressoché nulla. Hsl head shop è uno smartshop inglese, sia fisico che digitale, che vende prodotti come Go Gaine, sostanza per la ricerca molto popolare fra i consumatori quale sostitutivo di cocaina, ecstasy e speed, confezionata in bustine luccicanti e colorate; oppure Etizolam, una benzodiazepina segnalata dal nostro Sistema nazionale di allerta precoce. Molecole, sigle, nomi, pacchetti cambiano in continuazione in un'offerta snervante. Poi ci sono alcuni sempreverdi, prodotti naturali in circolazione da anni ma niente affatto innocui, come la Salvia divinorum. No, non va confusa con quella che si usa per condire i ravioli insieme al burro. Si tratta di un'erba originaria del Messico con potenti effetti allucinogeni, illegale nel nostro Paese. Ci sono negozi online intitolati solo a questa pianta: siti registrati in UK, ma che hanno versioni in italiano. Gli effetti? "L'ho fumata una volta", racconta alla Stampa sotto anonimato un suo consumatore occasionale. "Mi sono sentito una botta in testa, la sensazione di muovere le braccia come due ali, poi come se mi tirassero i capelli e avessi un tubo in gola. È durato pochi minuti, dopo mi è venuto mal di testa. E non, non lo rifarei, troppo impatto". Un'altra pianta che va per la maggiore ultimamente è il Kratom, originaria della Thailandia e Malesia, con effetti stimolanti ed euforici. Questa, insieme alla Salvia, ai kit per la coltivazione di funghetti, ai semi di LSA (amide dell'acido lisergico), di cannabis e di una liana hawaiana (Hawaiian baby woodrose) sono i prodotti più venduti del negozio online Azarius, registrato in Olanda e localizzato anche in (perfetto) italiano. Qui però se si prova a comprare Salvia divinorum dall'Italia non si riesce. "Verifichiamo se i prodotti sono legali nei vari Paesi e, se non lo sono, non facciamo spedizioni in quei posti", spiega alla Stampa Jakobien van der Weijden, responsabile del marketing del negozio. "Tuttavia le restrizioni cambiano spesso e non abbiamo sempre chiaro come dobbiamo comportarci (anche in Olanda), dunque la responsabilità finale ricade sul consumatore". Azarius vende soprattutto nei Paesi Bassi, Germania e Francia, "ma l'Italia è in crescita", almeno per prodotti non ancora vietati. Altro sito registrato in Olanda con una versione in lingua italiana è Zamnesia, i cui prodotti si possono comprare anche inviando per posta una busta coi soldi. Garantiti spedizione e imballaggio anonimi. Entrambi i siti erano stati oscurati per gli utenti italiani nel 2013 con un decreto di inibizione. Azarius sembra aver risolto limitando le spedizioni. La versione italiana di Zamnesia è raggiungibile solo con un proxy, ma resta attiva. Se si fa un ordine, ad esempio di Salvia divinorum, non ci sono ostacoli all'acquisto ed è possibile pagare anche inviando "contanti in una busta resistente", ci comunica la mail. Un mercato su di giri Il mercato delle nuove sostanze psicoattive è in netta crescita negli ultimi anni nel Vecchio continente, come mostra questo grafico del Centro europeo di monitoraggio sulle droghe e le nuove dipendenze (Emcdda). Attualmente in Europa sono monitorate più di 450 nuove sostanze; nel solo 2014 ne sono state individuate 101 nuove. Dal 2005 al 2013 ne sono state sequestrate 3,1 tonnellate: il numero di sequestri è aumentato di 7 volte tra il 2008 e il 2013. Sono vendute sia in negozi fisici, soprattutto in Paesi che ne consentono più facilmente la commercializzazione, sia in Rete. Online nel 2013 c'erano 651 siti che vendevano legal highs a europei. E a volte la repressione sul piano fisico porta solo a un incremento della distribuzione digitale. "Nel 2010 il governo polacco ha proibito gli smart shop, chiudendo quelli sul territorio. Se ne sono sviluppati molti online, con il server in altri Paesi", spiega alla Stampa Daniel Dudek, esperto di droghe sintetiche dell'Europol. Anche in Italia c'è stato uno spostamento delle droghe sintetiche dai negozi fisici a quelli online. Il Dipartimento per le Politiche Anti-Droga ha una specifica unità di monitoraggio web per l'individuazione dei siti che commercializzano le nuove droghe e anche, forse questo è meno noto, per l'individuazione di rave party. Fra il 2010 e il 2014 ne sono stati impediti 43, circa il 40 per cento di quelli individuati. Nello stesso periodo, "sono stati individuati 106 siti web in lingua italiana con server localizzato all'interno dei confini nazionali, e sono state segnalate 543 pagine web. Le segnalazioni (…) hanno avuto come esito nel 67,03% dei casi la rimozione dell'annuncio", scrive la relazione annuale al Parlamento del Dipartimento nel 2014. Droghe di superficie Sono quattro i segmenti principali del mercato online delle nuove sostanze psicoattive: negozi che le vendono come prodotti per la ricerca, con il loro nome chimico; negozi più commerciali, che le vendono con nomi brandizzati e ammiccanti; inserzioni su siti e bacheche pubbliche; e infine il settore, ancora emergente, del Deep o Dark Web, le reti anonime raggiungibili solo con particolari software. Nel mondo sommerso della Rete però ad andare per la maggiore sono le droghe tradizionali, cannabis in primis, e dai singoli venditori le nuove droghe sono viste come un ripiego, oltre che roba di bassa qualità. "Legal highs? Ci interessano poco", mi dice un venditore italiano di droghe tradizionali del Deep Web. Tuttavia una semplice query sul motore di ricerca Grams, specializzato nel cercare sostanze nelle darknet, mostra come sui mercati neri (e illegali) del Deep, siti specializzati come Agora e Abraxas, si trovino ovviamente anche alcune smart drug. Gli ultimi sviluppi del mercato delle nuove sostanze psicoattive - nota il rapporto 2015 del Centro europeo di monitoraggio sulle droghe e le nuove dipendenze (EMCDDA) - mostrano infatti una ibridizzazione tra il segmento più commerciale e quello di "chimica per la ricerca", così come fra vendite fatte sul Web in superficie e quello più profondo. Ma resta un fatto: il Deep Web, additato spesso come luogo online di approvvigionamento di droghe, conta su una cinquantina di siti (credibili e funzionanti anche meno) su cui circolano soprattutto droghe tradizionali e conosciute, e dove, secondo alcuni studi, il sistema di feedback dei compratori e l'ambiente chiuso manterrebbero un discreto livello di purezza delle sostanze. Nel mentre, sulla Rete in chiaro, in superficie, accessibile da chiunque senza particolari software e conoscenze, ci sono oltre 600 siti che vendono centinaia di sostanze psicotrope, alcune delle quali sconosciute e i cui effetti sono imprevedibili e non studiati da nessuno. Del resto anche il rapporto del Centro europeo di monitoraggio sulle droghe non ha dubbi: si registra molta più attività sui siti di nuove sostanze psicoattive, rispetto al Deep, anche perché si trae vantaggio dalle scorciatoie e i buchi fra le diverse legislazioni. "Ma non c'è garanzia di sapere cosa c'è in quei prodotti, che spesso sono usati dal mercato clandestino come test: se ad esempio fanno morti vuol dire che non sono abbastanza validi e sono ritirati dal mercato", spiega alla Stampa Sandro Libianchi, medico esperto di tossicodipendenze e Presidente del Coordinamento Nazionale degli Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane. "Prima di essere messe al bando queste nuove sostanze devono essere sequestrate, analizzate a livello chimico e legale e infine inserite nelle tabelle attraverso un decreto. Il percorso dalla produzione clandestina all'immissione nelle tabelle può essere lungo". Il senso del Dragone per le droghe Anche per Dudek, l'esperto dell'Europol, le nuove sostanze sono "una roulette russa", più pericolose delle droghe tradizionali. "Non ci sono controlli, non si sa come interagiscono con altre sostanze, appaiono e spariscono in continuazione, quando qualcuna è messa in una tabella e viene regolamentata ne appare un'altra simile: il 90 per cento delle stesse scompaiono o vengono sostituite dopo un certo lasso di tempo". E, conferma Dudek, la materia prima arriva in larghissima parte dalla Cina. "Per loro è un business legale", ci dice. Un affare che ultimamente sta creando tensioni con alcuni Stati occidentali. Secondo la Dea, l'agenzia antidroga statunitense, gran parte degli ingredienti alla base della meth o metanfetamina (una sostanza simile all'anfetamina) che è smerciata negli Stati Uniti arrivano dalla Repubblica popolare cinese, salvo essere poi rielaborati dai cartelli messicani. Nel 2013 il governo di Pechino ha smantellato 390 laboratori illegali di meth, ma molte di queste attività svicolano da una legislazione nazionale non particolarmente restrittiva lavorando sulle molecole delle sostanze o sulla loro destinazione d'uso - vendendole cioè come fertilizzanti, pesticidi, prodotti per la ricerca ecc. Come ha verificato La Stampa, trovare aziende cinesi da cui comprare in quantità ingredienti per le nuove sostanze psicoattive non è affatto difficile. Siti come il cinese ITN -Trade Market o il sudcoreano EcPlaza mettono in contatto fornitori e compratori di tutto il mondo di merci di ogni genere, inclusi vari tipi di droghe sintetiche. Un'altra nuova sostanza in crescita sul mercato, come ci conferma Dudek e si può notare anche dalle ricerche degli utenti su Google è la alpha-PVP, una sorta di mefedrone di seconda generazione e nota fra i consumatori come flakka. Chimicamente simile ai cosiddetti "sali da bagno", ovvero ai catinoni sintetici, sostanze con effetti analoghi a cocaina ed ecstasy, può causare paranoia, allucinazioni e delirio. Venduta sotto forma di cristalli bianchi o rosa che sono mangiati, inalati, iniettati o fumati, è stata associata a vari decessi e induce forte dipendenza. Anche l'alpha-PVP si trova facilmente online attraverso compagnie cinesi. Ma, ha notato la Stampa, anche da imprese ucraine. Ad esempio la Rannion Energy, sede a Odessa, che si presenta come azienda di energy drinks, bevande energizzanti, ma che vende anche prodotti come questi. "Spedizioni in tutto il mondo e discrezione garantita", si dice sul sito. Un'azienda turca, la GlobalReserachChem, vende sia sul sito che su EcPlaza i "sali da bagno", nome con cui in genere si indicano i catinoni sintetici, come il mefedrone: per 15 euro si acquistano 500 mg di Black Diamond Novelty, una "miscela di sostanze chimiche psicoattive per la ricerca che sono inalate, ingerite, iniettate o fumate per il loro effetto simile all'anfetamina e alla cocaina", dice la scheda prodotto. Nel grande bazaar delle piattaforme orientali che mettono in contatto fornitori e compratori di prodotti parafarmaceutici, per la ricerca o simili, c'è spazio anche per venditori italiani, o apparentemente italiani, come la Med Pharmacy srl (ubicata a Milano ma a un indirizzo non esistente), che tra le varie sostanze vende una certa Cocainee (sic!), ma anche alpha-PVP ecc Tra l'altro, le aziende cinesi forniscono anche il packaging. Ad esempio la Shenzhen Source Pack Limited è una compagnia del Guangdong che vende buste e confezioni di vario tipo per prodotti alimentari e non. Sul sito di ecommerce Alibaba smercia tra le altre cose le bustine colorate e brandizzate per la Go Gaine - come abbiamo già visto, prodotto di spicco dei negozi di legal highs occidentali. Quindi dalla Cina (e in misura minore altri Paesi: il mefedrone ad esempio è venduto anche da aziende del Camerun; butilone e metanfetamina da società polacche) arriva la materia prima, che viene rilavorata e confezionata in "cucine" e fabbriche occidentali, talvolta ex-fabbriche e capannoni industriali come quello di Bolton, impacchettata in buste colorate e laminate (a prova di odore, specificano tra le caratteristiche) realizzate sempre in Oriente, e venduta attraverso negozi fisici e online in Europa e altrove, facendo lo slalom tra leggi, tabelle e regolamenti. In alcuni casi questi negozi affiancano sostanze dagli effetti molto pesanti a mix erboristici apparentemente innocui, inducendo nei consumatori l'impressione di stare ordinando qualcosa di legale, sicuro, esotico e "grazioso". Cosa spinge le nuove sostanze Se è vero che le nuove sostanze psicoattive sono in crescita, le ragioni di questo boom tuttavia sono diverse e complesse. Da un lato ci può essere, a livello psicologico e sociologico, il desiderio di sperimentare. "Persone che cercano novità nell'ambito delle sostanze, che vogliono provare nuove soluzioni", commenta Liberti. Poi certamente contribuisce il packaging e l'aspetto con cui vengono presentate: nomi seducenti, estetica curata, pasticche a forma di cuore ecc. Ma non è da sottovalutare il fatto che molte di queste sostanze appaiano o siano presentate come legali o quasi. Non a caso i siti che le vendono puntano su concetti come: "non rimane traccia nelle analisi antidroga", o un opinabile: "non provoca effetti collaterali". Il sito spagnolo Subido legal presenta così White China, ufficialmente una sostanza in polvere per la ricerca, di fatto un prodotto da sballo molto diffuso nei negozi online: "Polvere di buonissima qualità, con gli effetti più simili alla cocaina. Questa polvere legale provoca: stimolazione mentale e motivazionale, euforia, creatività, produttività, sentimento di empatia, incremento dello stato di allerta; in alcuni caso eccitazione sessuale". Ma, avvisa Libianchi, comprare queste sostanze, oltre che pericoloso per la salute lo è anche dal punto di vista legale: si può rischiare traffico internazionale di stupefacenti. Ad alimentare il mercato delle nuove sostanze psicoattive, secondo vari esperti, è stato però proprio il fallimento delle politiche statali di guerra alla droga. In Uk è in corso un dibattito acceso su cosa fare del mercato delle legal highs, con il governo che ora vorrebbe correre ai ripari e mettere al bando le nuove sostanze. Che tuttavia - nota David Nutt, neuropsicofarmacologo all'Imperial College di Londra, presidente di DrugScience.org.uk e autore di libri critici delle politiche britanniche sulle sostanze - sono state spinte proprio dalle precedenti politiche repressive. Insomma: limitando la disponibilità di droghe dagli effetti noti - argomenta Nutt - si è spalancata la porta ad altre, più pericolose. Un caso esemplare è quello del PMA che ha sostituito il Mdma. Il Pma è una sostanza di sintesi (non nuova in realtà, ma riemersa recentemente) che ha iniziato a circolare come rimpiazzo dell'ecstasy, sotto forma di pillole rosa col logo di Superman, ma che rispetto alla prima è molto più pericolosa. Secondo Nutt, il riemergere della tossica PMA in Gran Bretagna avrebbe a che fare con il contrasto e la riduzione del Mdma e sarebbe un esempio di come il mero proibizionismo di determinate sostanze possa alimentare alternative peggiori. Che si concordi o meno con Nutt, bisogna prendere atto di due elementi di novità del mercato degli ultimi anni: nuove sostanze psicoattive a non finire e siti online che riparano in diverse giurisdizioni. Una fuga continua di molecola in molecola e di dominio in dominio che sembra difficile imbrigliare con una legge. In questi giorni la Gran Bretagna ha temporaneamente vietato l'importazione e la produzione di due nuove sostanze, il 4-MeTMP, uno stimolante analogo al Ritalin, il discusso psicofarmaco usato per il trattamento dei disturbi di deficit dell'attenzione; e l'HDEP-28, legato al Benzo Fury, un altro stimolante con effetti simili all'anfetamina. Non sono le prime: dal 2010 a oggi il governo di Londra ha messo al bando o sotto controllo oltre 500 nuove sostanze. Eppure "non c'è alcun segno che il tasso di creazione delle stesse sia in diminuzione", ha scritto il Guardian in un editoriale. E mentre le legal highs ormai si trovano in 95 Paesi al mondo, "iniziamo ad avere indicazioni sul fatto che in questo mercato emergente si sta muovendo anche il crimine organizzato", spiega Dudek. "Ci sono diversi livelli di intervento ma il primo è sicuramente la prevenzione", conclude Libianchi. Il che vuol dire andare da un lato nelle scuole e informare i ragazzi; dall'altro nei luoghi della movida, "con banchetti che testano anche le sostanze sul posto, spiegando alle persone i rischi che corrono". Sembrano lontani i tempi delle prime inserzioni online. Già, perché dalla Rete la droga non è mai mancata, come si vede dagli annunci di singoli utenti nei newsgroup su Usenet a metà degli anni ‘90. Oggi però i navigatori si trovano davanti a siti che pullulano di bustine sgargianti, campioni omaggio, miscele misteriose ma confezionate come le vitamine dell'erborista sotto casa, schede prodotto che parlano di incoraggiare la creatività e sollevare lo spirito. E a una crescente industria globalizzata che le commercia online - insieme a partite di pollo congelato, pannolini, fertilizzanti veri e falsi - per poi spedirle in tutto il mondo. Ah, naturalmente molte delle confezioni citate non sono per il consumo umano. Lo chiamano collezionismo. Pagabile comodamente anche con le più note carte di credito. E alla fine del processo: Condividi su Facebook. Medio Oriente: numero prigionieri palestinesi in crescita del 26 per cento dal 2011 Nova, 2 luglio 2015 Il numero di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane è cresciuto del 26 per cento dal 2011: è quanto riferiscono i nuovi dati del governo. I numeri sono stati rivelati, ieri, durante una riunione della commissione sulla legge e giustizia del parlamento israeliano. Ehud Halevy, consulente legale del servizio carcerario israeliano ha presentato al comitato informazioni più aggiornate sui prigionieri palestinesi nel corso della riunione. "A partire da questa mattina, il sistema contiene 5.686 detenuti, di cui 1.610 sono carcerati circa 4.500 prigionieri palestinesi", ha detto Halevy. Afghanistan: linciaggio donna falsamente accusata di blasfemia, revocate condanne morte Ansa, 2 luglio 2015 In un processo a porte chiuse una Corte d'appello ha revocato la condanna a morte per quattro degli imputati nel linciaggio il 19 marzo a Kabul della giovane Farkhunda, falsamente accusata di aver bruciato una copia del Corano. Lo riferisce oggi Tolo Tv. Il 6 maggio scorso un tribunale di primo grado aveva processato 50 persone e stabilito che i quattro (Zain-ul-Abedin, Mohammad Yaqoob, Mohammad Sharif e Abdul Bashir) erano stati i principali istigatori della folla che linciò la donna di 27 anni vicino alla moschea Shah Do Shamshera nella capitale afghana. Secondo quanto ha appreso l'emittente afghana da una fonte che non ha voluto essere identificata, i giudici hanno commutato ieri la condanna alla pena capitale per i quattro in 20 anni di carcere. Inoltre il tribunale ha anche assolto il custode della moschea, Omran, che era stato condannato insieme ad altri otto imputati a 16 anni di prigione per rafforzato le accuse di blasfemia nei confronti di Farkhunda. Il linciaggio della giovane, il cui cadavere è poi stato bruciato dalla folla sulle rive del fiume Kabul, ha suscitato sdegno e proteste in Afghanistan e all'estero dando vita anche a campagne sui social network. Medio Oriente: Freedom Flotilla; ancora detenuti i passeggeri della Marianne di Michele Giorgio Il Manifesto, 2 luglio 2015 Israele dopo aver abbordato la nave diretta a Gaza, ha liberato solo quattro delle 18 persone a bordo. Un filmato mostra violenze e uso dei taser da parte dei commando israeliani saliti sull'imbarcazione domenica notte. Restano ancora detenuti 14 dei 18 passeggeri e membri dell'equipaggio del peschereccio "Marianne", parte della Freedom Flotilla per Gaza, abbordato in acque internazionali domenica notte dalla Marina israeliana e costretto a dirigersi al porto di Ashdod. Le autorità israeliane avevano indicato che sarebbero state espulse nel giro di poche ore. Ma a quattro giorni dall'arrembaggio solo l'ex presidente tunisino Moncef Marzouki, l'europarlamentare spagnola Ana Miranda, il deputato palestinese alla Knesset Basel Ghattas e un reporter della tv israeliana Channel 2, sono stati rilasciati. La Coalizione della Freedom Flotilla ieri ha lanciato l'allarme sul disinteresse diffuso verso la detenzione di queste 14 persone, alcune delle quali in età avanzata, e denunciato, con la diffusione di un filmato, che i commando israeliani saliti a bordo della "Marianne" hanno fatto uso della forza e dei taser ferendo alcuni passeggeri e membri dell'equipaggio.