La società tutta si deve interrogare sui reati e su pene che abbiano un senso Il Mattino di Padova, 27 luglio 2015 Le persone che arrivano in carcere molto spesso hanno vissuto una vita rabbiosa, e se la pena ha un senso, dovrebbe essere esattamente quello di far riflettere e far capire i motivi di questa rabbia per indirizzarla in modo diverso, invece molto spesso non succede così. Nella nostra infanzia in tanti abbiamo giocato a un gioco che si chiamava "Non t’arrabbiare" e che faceva esattamente il contrario, cioè ti faceva arrabbiare tantissimo. Tante volte il carcere è la stessa cosa, il carcere invece di farti capire e riflettere ti fa diventare ancora più rabbioso. Noi vorremmo invece una pena riflessiva, non una pena rabbiosa. In questi giorni si parla molto degli Stati Generali dell’esecuzione penale, e di un possibile dialogo tra le persone detenute, le istituzioni, la società, un dialogo fra chi vive sulla propria pelle la pena e chi la deve ripensare, persone competenti ed esperte con le quali dobbiamo imparare un ascolto reciproco. Ed è particolarmente importante ascoltare soprattutto chi porta la sua testimonianza di come si può arrivare a commettere un reato. Se leggiamo la testimonianza che segue, di un detenuto straniero responsabile di un omicidio in una rissa, ci verrebbe da pensare che queste storie hanno spesso per protagonisti ragazzi immigrati, ma non è così, pochi giorni fa un poliziotto ha usato l’arma di ordinanza per sterminare l’intera famiglia di suoi vicini di casa, colpevoli di aver parcheggiato in un luogo sbagliato. La rabbia e la violenza sono dentro di noi, imparare a parlarne senza immaginare che queste cose capitino solo agli altri è il primo passo per ragionare in modo più sensato delle pene e del carcere. Ho tolto la vita ad un essere umano per futili motivi Io sono cresciuto con la rabbia fin da bambino, sono nato e cresciuto in un quartiere della periferia di Tunisi, un quartiere malfamato e degradato dove la delinquenza era il pane quotidiano, era difficile trovare una famiglia senza un delinquente dentro. Avevo un brutto carattere, ero arrabbiato verso il mio destino, non accettavo la povertà, avevo sempre voglia di fare a pugni con i miei coetanei, da piccolo cercavo sempre lo scontro fisico. Questo mio carattere è nato dall’esigenza di farmi valere in una piccola comunità di un quartiere pieno di prepotenza, una prepotenza che o la fai o la subisci, io non accettavo di subirla e allora cercavo sempre di diventare anch’io prepotente. Col tempo, mi sono portato questo vizio fino ai primi anni di liceo e litigavo per qualsiasi cosa, un giorno ho litigato con un ragazzo ma lui è andato a chiamare suo fratello più grande e insieme mi hanno picchiato, mi hanno fatto tanto male, ma era più che un dolore fisico un male psicologico, perché in quel momento mi sono sentito ferito nell’orgoglio, mi sono sentito umiliato davanti ai miei amici: non riuscivo più a guardarli in faccia, mi sono tirato indietro da solo ma la rabbia ha cominciato a logorarmi dentro, facevo unicamente dei pensieri cattivi. Secondo me la rabbia è il nostro tallone di Achille, perché per la maggior parte le persone o fanno del male agli altri o lo fanno a se stesse tenendosi tutto dentro. Io in quel momento l’unico pensiero che avevo era di andare a casa, prendere un coltellino e cercare quel ragazzo. Quando sono tornato a scuola, l’ho trovato e sono andato verso di lui con quel coltellino, non sapevo cosa facevo in quel momento ma volevo a tutti i costi riprendermi il mio orgoglio, fargli del male e basta. Mi sono scagliato contro di lui e lui, quando ha visto il coltello, subito è scappato via. In quel momento io ho sentito che il mio orgoglio era guarito da quella ferita, mi sono guardato intorno e vicino a me vedevo le facce dei miei amici soddisfatte del mio gesto. E da quel giorno ho cambiato il mio destino, perché io penso che il destino ognuno se lo costruisce da sé, io quel giorno l’ho cambiato perché quel gesto mi ha fatto venire un brivido nella schiena di potenza e di forza, che mi ha provocato un gran piacere, e da quel giorno quel coltellino è diventato il mio angelo custode, sempre con me, lo tiravo fuori in qualsiasi discussione. Finché pian piano sono diventato il bullo del liceo, il teppista, e lì c’è un problema perché non c’è nessuno che ti dice che quello che stai facendo è sbagliato, al contrario cominci ad avere tanti amici, tante ragazze, tutti sono con te non per rispetto ma solo per paura, e a me piaceva quella cosa e sono andato avanti con quell’atteggiamento. Poi sono iniziate le piccole trasgressioni, ho cominciato a prendere qualsiasi cosa che mi piaceva con la prepotenza: denaro, vestiti, gioielli e qualsiasi cosa che volevo da un ragazzo ricco io la prendevo, non accettavo di essere povero, non accettavo la mia situazione sociale, volevo vestirmi bene e lo facevo con quel metodo. Con questo atteggiamento, dopo i 18 anni volevo cambiare aria e ho deciso di venire qui in Europa, sono arrivato clandestinamente a Marsiglia dove ho vissuto per qualche mese, sempre con quel carattere, ormai avevo superato la soglia della legalità ed ero finito nell’illegalità perché mi piaceva avere tutto facile. Ho vissuto lì facendo anche piccolo spaccio di sostanze, piccole estorsioni, di tutto. Finché un giorno mi hanno convinto a venire qui in Italia, a Firenze ho trovato i miei amici, la città mi è piaciuta e sono rimasto lì facendo sempre quello che facevo prima, spacciare soprattutto. Un giorno eravamo in un bar, io e due miei amici, a chiacchierare e scherzare fra di noi, e arriva un nostro compagno a lamentarsi che c’era un ragazzo che usava la prepotenza su di lui. Così abbiamo deciso di andare a parlare con questo ragazzo per dirgli di lasciare in pace il nostro amico e fargli fare la sua vita senza disturbarlo. Siamo arrivati lì e abbiamo cominciato a parlare tranquillamente, ma la discussione è degenerata, si sono alzati i toni, parolacce, siamo arrivati alle mani, pugni, e la rabbia ha preso il sopravvento su di me, ho tirato fuori quel coltellino che sempre avevo in tasca e l’ho ferito, siamo scappati via ma in quel momento io non sapevo cosa avevo fatto, pensavo di avergli fatto solo una piccola ferita, dopo tre giorni guardando il telegiornale vengo a sapere che quel ragazzo era morto, in quel momento tutto è diventato buio davanti a me, pensavo: "Ma cosa ho fatto? Ho ucciso un ragazzo, alla mia età, ho rovinato la sua famiglia e anche la mia famiglia…" Non riuscivo più a pensare a niente, non vedevo più un futuro davanti a me, sono rimasto bloccato e l’unica cosa che mi è venuta in mente era di scappare via. Sono scappato e tornato in Francia dove ho vissuto per tanti anni, ho fatto una vita da latitante, in quella vita non mi fidavo più di nessuno, appena vedevo qualcuno che mi conosceva dovevo cambiare posto perché avevo paura che mi denunciassero, avevo paura di essere arrestato, ho girato quasi mezza Europa così. Alla fine mi sono stancato della latitanza, che non è proprio vita, e ho deciso di tornare in Italia dove ben presto sono stato arrestato. Mi hanno dato 18 anni di galera e oggi sono qui e devo fare 18 anni che possono sembrare tanti per me ma sono pochi lo stesso, perché ho tolto la vita ad un essere umano per futili motivi. Questa è la sintesi della mia storia sin da quando ero bambino, la mia scelta di non accettare di essere nato in una famiglia povera e di cercare scorciatoie per far soldi, e alla fine ho rovinato la mia vita e altre vite. Sofiane Madsiss Giustizia: da oggi l’Aula della Camera esamina il ddl di riforma del processo penale Adnkronos, 27 luglio 2015 Tempi certi di indagine, limiti ai poteri di Gup e Gip, ampliamento dei diritti della parte offesa, sanzioni più severe per furti e rapine e per il voto di scambio politico-mafioso. Sono alcune delle novità contenute nel ddl di riforma del processo penale che domani approderà in Aula alla Camera. Il provvedimento contiene numerose deleghe al governo. Fra queste, anche le intercettazioni che hanno visto montare la polemica sull’emendamento di Ap che prevede fino a quattro anni di carcere per le intercettazioni "carpite in modo fraudolento". Il Movimento 5 Stelle, aveva attaccato la norma parlando di "legge bavaglio", ma l’emendamento, nei confronti del quale anche il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha manifestato perplessità, potrebbe essere riscritto dalla relatrice del Pd Donatella Ferranti che ha assicurato come non vi sia alcuna volontà di ostacolare l’informazione. Ecco cosa prevede la riforma del processo penale che ha ottenuto il via libera dalla commissione Giustizia della Camera. Estinzione reato per condotte riparatorie. Nei reati procedibili a querela il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ripara interamente il danno mediante restituzione o risarcimento ed elimina le conseguenze del reato. La regola è che il danno sia riparato prima che abbia inizio il dibattimento. Una delega affida al governo il compito di estendere la procedibilità a querela anche ai reati che arrecano offese di modesta entità salvo che la persona offesa sia incapace (per età o infermità). Colloqui con difensore. Nel corso delle indagini preliminari per i reati di mafia e terrorismo il giudice può differire il colloquio dell’arrestato con il proprio avvocato per un massimo di 5 giorni. Limiti a poteri di Gup e Gip. Nell’udienza preliminare è soppresso il potere del giudice di esercitare la supplenza dei poteri-doveri di indagine del Pm. Rimane invece salva la facoltà del giudice di disporre l’acquisizione di prove decisive per il proscioglimento dell’imputato. Se dopo le ulteriori indagini ordinate dal Gip, il Pm richiede nuovamente l’archiviazione e non vi è opposizione della persona offesa, il Gip non può ordinare l’imputazione coatta. Ampliamento diritti parte offesa. A 6 mesi dalla denuncia la persona offesa ha diritto a conoscere lo stato del procedimento, attribuendole così un potere di controllo e stimolo all’attività del Pm. Alla persona offesa inoltre si dà anche più tempo per opporsi alla richiesta d’archiviazione, che nel caso di furto in abitazione dovrà in ogni caso esserle comunicata. Tempi certi indagine. Il rinvio a giudizio o la richiesta di archiviazione dovranno essere presentati entro 3 mesi dalla scadenza del termine o dalla conclusione delle indagini. È poi previsto uno specifico potere di vigilanza del Pg sulla tempestiva e regolare iscrizione nel registro degli indagati. -Inammissibilità impugnazioni decisa da giudice a quo. In presenza di specifici vizi formali, come ad esempio il difetto di legittimazione o la violazione dei termini, spetterà allo stesso giudice che ha emanato l’atto dichiarare anche l’inammissibilità dell’impugnazione. Superato questo primo filtro, il giudice dell’impugnazione può comunque dichiarare inammissibile il gravame. Concordato sui motivi d’appello. Le parti potranno accordarsi su alcuni motivi d’appello condivisi, sempre con il vaglio del giudice. Appello contro proscioglimento. Nel caso di appello del Pm contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione di una prova dichiarativa, ad esempio una testimonianza, il giudice di appello dovrà rinnovare l’istruttoria. Motivi appello più rigorosi. Si rendono più rigorosi e specifici a pena di inammissibilità i motivi di appello, così come sono scanditi con maggiore puntualità i requisiti della sentenza in modo da rendere più agevole e al tempo stesso semplificare le impugnazioni. Deflazione ricorsi cassazione. Il ricorso per cassazione subisce un incisivo restyling. Da un lato aumentano le sanzioni pecuniarie in caso di inammissibilità dei ricorsi, dall’altro si introduce una disciplina semplificata per l’inammissibilità per vizi formali nei casi in cui non sia già stata dichiarata dallo stesso giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. È poi previsto che in caso di doppia conforme di assoluzione il ricorso per cassazione possa essere proposto solo per violazione di legge. Si allargano inoltre le ipotesi di annullamento senza rinvio. Il ricorso per cassazione, richiedendo una particolare capacità tecnica, non può mai essere presentato personalmente dall’imputato. Stretta su ricorsi Cassazione dopo patteggiamento. Il ricorso per Cassazione contro le sentenze di patteggiamento è limitato ai motivi che attengono all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza o all’illegalità della pena o delle misure di sicurezza. Il potere di correggere l’errore materiale è attribuito allo stesso giudice che ha emesso la sentenza. Anche in sede di delega vi sono numerose innovazioni. Il governo infatti, secondo i principi e criteri direttivi, dovrà varare norme per il ricorso in Cassazione soltanto per violazione di legge delle sentenze emesse in grado di appello nei procedimenti di competenza del giudice di pace. Dovrà inoltre prevedere che il Procuratore generale presso la Corte di appello possa appellare soltanto nei casi di avocazione e di acquiescenza del Pubblico ministero presso il giudice di primo grado. E si dovrà consentire al Pubblico ministero di presentare appello contro la sentenza di condanna solo quando abbia modificato il titolo del reato o abbia escluso la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o che stabilisca una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato. Occorrerà anche una norma per consentire all’imputato di presentare appello contro le sentenze di proscioglimento emesse al termine del dibattimento, salvo che siano pronunciate con le formule il fatto non sussisté o l’imputato non lo ha commesso. Bisognerà infine prevedere la titolarità dell’appello incidentale in capo all’imputato e limiti di proponibilità. Furti e rapine. Aumenta la pena minima per furto in abitazione (ora sarà da 3 a 6 anni), per furto aggravato (da 2 a 6 anni) e rapina semplice (da 4 a 10 anni) e aggravata. Voto scambio politico-mafioso. Pene in aumento anche per il voto di scambio politico-mafioso, che dagli attuali 4-10 anni passerà a 6-12. Intercettazioni. Il governo dovrà predisporre norme per evitare la pubblicazione di conversazioni irrilevanti ai fini dell’indagine e comunque riguardanti persone completamente estranee attraverso una selezione (udienza filtro) del materiale relativo alle intercettazioni. Nessuna restrizione dunque quanto ai reati intercettabili, ma anzi si semplifica il ricorso alle intercettazioni per i reati contro la Pubblica amministrazione. Nella delega non c’è alcuna previsione di pene carcerarie per i giornalisti. -Registrazioni fraudolente. È la parte che ha scatenato la bagarre in commissione Giustizia di Montecitorio con la dura protesta del M5S verso l’emendamento presentato dal deputato di Ap Alessandro Pagano. È prevista (ma il Pd ha già annunciato che interverrà per sanare la situazione) la delega per punire (fino a 4 anni) le captazioni fraudolente di conversazioni tra privati "diffuse al solo fine di recare a taluno danno alla reputazione e all’immagine". La punibilità è esclusa quando le riprese costituiscono prova di un processo o sono utilizzate per l’esercizio del diritto di difesa. È ovvio, è stato sottolineato, che la captazione e l’utilizzo fraudolento non possono riguardare l’esercizio legittimo di un’attività professionale quale quella ad esempio del giornalista. Processi a distanza. Viene ampliato il ricorso ai collegamenti in video nei processi di mafia e terrorismo precisando che la partecipazione al dibattimento a distanza diviene la regola per chi si trova in carcere (anche in caso di udienze civili) e per i pentiti sotto protezione. L’eccezione (ossia la presenza fisica in aula) può essere prevista dal giudice con decreto motivato ma non vale mai per i detenuti sottoposti al 41 bis. La partecipazione a distanza, peraltro, può essere disposta dal giudice anche quando, fuori dalle ipotesi obbligatorie, ravvisi ragioni specifiche di sicurezza ovvero quando il dibattimento sia particolarmente complesso o debba essere assunta la testimonianza di un recluso. Rito abbreviato. L’imputato raggiunto da un decreto di giudizio immediato, ove voglia fare un abbreviato, avrà la possibilità di ottenere un’udienza, cosiddetta camerale, per la valutazione della sua richiesta e in quella sede far valere tutte le proprie ragioni anche con eccezioni di nullità e incompetenza. Una volta però che il giudizio abbreviato è stato accettato dal giudice non potranno più essere riproposte questioni di competenza territoriale e le nullità, se non assolute, saranno sanate. Vi è quindi una maggiore garanzia di ascolto delle ragioni dell’imputato ma al tempo stesso si evitano istanze, relative a riti speciali che comportano sconti di pena, con finalità meramente dilatorie. Quando l’imputato fa richiesta di giudizio abbreviato condizionato a una integrazione probatoria contestualmente può fare domande subordinate di abbreviato secco o patteggiamento. Ciò risponde all’esigenza di favorire quanto più possibile l’applicazione di un rito speciale, attraverso un ventaglio di soluzioni alternative che saranno vagliate dal giudice. Nell’abbreviato lo sconto di pena in caso di contravvenzioni è stato individuato nella metà del massimo, rimane un terzo se si procede per un delitto. Decreto penale di condanna. Per favorire l’applicazione di questo rito speciale si consente al giudice nel determinare la pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva di tener conto anche della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare e si modifica il ragguaglio del valore giornaliero da 250 a 75 euro di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva. Riforma ordinamento penitenziario. Il governo è delegato a risistemare l’ordinamento penitenziario secondo precise linee guida: semplificazione delle procedure; valorizzazione degli uffici dell’esecuzione penale esterna e potenziamento del sistema dei controlli da condurre sui soggetti in stato di libertà; revisione dei presupposti di accesso alle misure alternative (limite di pena 4 anni); revisione del sistema delle preclusioni all’accesso ai benefici penitenziari; previsione di attività di giustizia riparativa; valorizzazione del lavoro, in ogni sua forma e del volontariato; revisione delle disposizioni dell’ordinamento penitenziario relative alla medicina penitenziaria, all’utilizzo dei collegamenti audiovisivi, al riconoscimento del diritto all’affettività; interventi specifici relativi ai detenuti stranieri. Infine, le norme dell’ordinamento penitenziario andranno adeguate alle esigenze rieducative dei detenuti minori di età, con riferimento tanto alle autorità giurisdizionali coinvolte, quanto all’organizzazione degli istituti per i minorenni, passando per la revisione delle misure alternative alla detenzione e dei benefici penitenziari, con particolare attenzione all’istruzione e ai contatti con la società esterna, in funzione di reinserimento sociale. Giustizia: Direzione Nazionale Antimafia "il Dap deve attivare istituti per detenuti 41bis" www.senato.it, 27 luglio 2015 Dalla "Relazione annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale antimafia e dalla Direzione nazionale antimafia nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo 1 luglio 2013 - 30 giugno 2014". Premessa essenziale in materia è riconoscere l’indispensabilità di un regime carcerario che operi, nella sua qualità giuridica di misura di prevenzione, impedendo ai capi delle organizzazioni criminali di continuare ad impartire ordini e direttive sebbene detenuti. Sul punto basti ricordare che l’intera commissione provinciale di Cosa nostra palermitana è detenuta, e non avendo fornito alcuna manifestazione di dismissione del ruolo assunto all’esterno, ciascuno dei suoi componenti detenuti rappresenta ancora oggi parte attiva e riconosciuta del vertice di tale pericolosissima organizzazione. È compito dello Stato, allora, nel pieno rispetto dei diritti che l’Ordinamento riconosce a ciascuno, porre in essere quei necessari rimedi volti ad impedire che capi detenuti continuino ad esercitare il loro potere. Attualmente continua ad essere molto elevato il numero di soggetti detenuti sottoposti al regime in argomento; tale dato dipende dalla qualità delle investigazioni più recenti e dai successi che lo stato ha realizzato nel contrasto alle mafie; tali successi hanno comportato la cattura di un maggior numero di capi delle organizzazioni criminali ed un conseguente aumento dei detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41bis. È evidente pertanto che il numero dei detenuti sottoposti al regime speciale non può andare a scapito della qualità del servizio. In passato il problema è stato risolto anche grazie all’impiego di istituti penitenziari particolarmente idonei allo scopo di isolare i detenuti dall’esterno, come le carceri dell’Asinara e di Pianosa, anche se deve ricordarsi quali reazioni fortemente contrarie siano state suscitate da più parti in ordine alla paventata possibilità di una loro riapertura. Del resto le strutture che ospitano i detenuti sottoposti al 41 bis sono nate spesso come strutture carcerarie femminili - nate dunque con lo scopo, ben diverso ed addirittura opposto a quello che deve realizzare il regime di cui all’art. 41 bis o.p. di promuovere la socialità tra le detenute - e con le conseguenti difficoltà strutturali che tali istituti hanno nell’impedire le comunicazioni interne alle carceri, nel senso che le celle spesso si trovano sullo stesso corridoio e che tale situazione rende, appunto, molto difficile impedire comunicazioni tra i detenuti, che poi possono essere veicolate in via indiretta all’esterno (ad es. attraverso familiari di altri detenuti). In sostanza se l’azione dello Stato sul territorio è vincente essa non può subire rallentamenti per carenze di struttura e proprio nel mondo delle carceri. Anzi, tali strutture devono essere potenziate con maggiori investimenti e la creazione di nuove aree riservate ai detenuti sottoposti al regime in argomento. Il regime deve essere potenziato e mai attenuato, atteso che sul fronte della lotta alla mafia si può solo avanzare e non arretrare e che, in tale contesto, il ruolo dell’istituto previsto dall’art. 41 bis O.P. è imprescindibile. Si tratta pertanto di un ruolo che va potenziato con nuovi investimenti per la creazione di strutture adatte allo scopo e non certo depotenziato o rispetto al quale si possa addivenire ad una limitazione dei soggetti sottoposti per ragioni diverse dal venir meno della loro capacità di comunicare in maniera efficace con l’organizzazione criminale nella quale continuano ad avere un ruolo di vertice. In questo senso diviene sempre più necessario individuare nel piano carceri nuove strutture idonee, nate esclusivamente per l’assolvimento della funzione di prevenzione prevista dall’art. 41 bis O.P., e da destinare in via esclusiva a tale scopo. Giustizia: scontro sulle intercettazioni, rinvio a settembre di Liana Milella La Repubblica, 27 luglio 2015 Il Guardasigilli Andrea Orlando, nella sua La Spezia, ha passato una domenica tranquilla. Quando, a tarda sera, gli si chiede che fine farà l’emendamento blocca Jene lui giura di non avere ancora la soluzione pronta in tasca. Annuncia due alternative: "O lo ritocchiamo per escludere i giornalisti oppure ne facciamo un punto della delega sulle intercettazioni più generico, comunque a tutela della privacy dei cittadini". Ma chi gli ha parlato in questi giorni sa bene che il ministro della Giustizia preferirebbe la seconda soluzione, un’indicazione più generica che lasci poi al governo margini di manovra per trovare, nel futuro decreto legislativo sulle intercettazioni, una strada che accontenti anche Ncd. Gli alfaniani ormai ne fanno una questione di principio, al punto da dire: "Non siamo disponibili a prendere a scatola chiusa la proposta del Pd. Se i principi restano intatti va bene, ma non accettiamo una marcia indietro". Sanno che il responsabile Giustizia del Pd David Ermini e anche la presidente della commissione Donatella Ferranti stanno lavorando a una nuova versione che riduce la pena "nel massimo" a 4 anni e introduce una clausola di salvaguardia per il giornalisti. Ma adesso il problema è un altro, quello dei tempi. Alla domanda "ma riuscirete ad approvare il ddl sul processo penale, con dentro la delega sulle intercettazioni, in questa settimana" Orlando risponde con un "io penso di sì…". Sa bene anche lui, come lo sa tutta la maggioranza, che il gruppo degli esperti di giustizia di M5S ha trascorso il fine settimana a preparare centinaia di emendamenti sul ddl per bloccare l’approvazione, che non gode dei tempi contingentati, e farla rinviare a settembre. Uno slittamento "strategico" che potrebbe anche far comodo alla maggioranza in evidente difficoltà per via della norma voluta da Ncd. Non solo: dopo la denuncia del presidente dell’Anm Rodolfo Maria Sabelli a Repubblica sul rischio che saltino le indagini di mafia, terrorismo e corruzione per via della norma che impone ai pm di chiudere le inchieste 3 mesi dopo la scadenza delle indagini preliminari pena l’avocazione del procuratore generale, il mondo delle toghe è in allarme. Dice all’ Ansa il procuratore di Torino Armando Spataro: "È una norma pericolosa per il sistema processuale. Si rischia di dar spazio a prassi burocratiche e amputare il corretto esercizio del principio di obbligatorietà dell’azione penale". Spataro critica anche la norma sulle intercettazioni fraudolente e la definisce "un serio attacco al giornalismo d’inchiesta". Una norma peraltro inutile perché "già adesso è possibile punire chi diffama e chi interferisce nella vita altrui". I grillini non daranno tregua, e potrebbero avere gioco facile in un calendario stretto. Oggi la discussione generale. Martedì pomeriggio l’inizio del voto sugli emendamenti. Mercoledì pomeriggio alle 16 un informativa, con dibattito, di Padoan sulla Grecia e già giovedì il decreto sulle missioni all’estero. Dice Ermini: "Ma noi possiamo star qui anche venerdì e sabato, siamo pagati per questo". Ma potrebbe non bastare, perché il ddl è composto di 34 articoli. Dice il grillino Alfonso Bonafede: "Non faremo sconti, ma faremo di tutto per fermare questa legge vergogna. È stato solo grazie a noi se è scoppiato lo scandalo della norma blocca Jene approvata dalla maggioranza nottetempo quasi fossero dei ladri. La maggioranza continua nella sua assurda strategia, anziché lottare contro la corruzione, lotta contro le intercettazioni che hanno fatto scoppiare e conoscere i casi di corruzione, tipo il Rolex regalato al figlio di Lupi". Dunque raffica di emendamenti che, senza tempi contingentati, potrebbero allungare la discussione a dismisura. Inevitabile, a questo punto, il rinvio a settembre. Giustizia: registrazioni, compromesso Pd, niente carcere per i giornalisti di Francesca Schianchi La Stampa, 27 luglio 2015 Diritto di cronaca e esercizio della professione: un emendamento per mediare. Rabbia Ncd: "Noi non cediamo". Il M5S attacca ancora: cancellare tutta la norma. Un riferimento esplicito al diritto di cronaca e una parolina in più aggiunta per circoscrivere il rischio di "danni collaterali" della norma. Quando, oggi alle 13, scadrà il termine per presentare gli emendamenti alla riforma del processo penale, saranno soprattutto due di origine Pd a catalizzare l’attenzione: quelli messi a punto per cambiare l’ormai celebre norma anti-registrazioni, che prevede pene da 6 mesi a 4 anni per chi diffonda video o audio "fraudolentemente" effettuati. Gli uffici del Pd ieri ci stavano ancora lavorando, ma la direzione da prendere per sterilizzare il dibattito che ha infuocato il weekend (al coro di chi ha lanciato allarmi sulla norma si è aggiunto ieri il procuratore di Torino, Armando Spataro, definendola "un serio attacco al giornalismo d’inchiesta") è riassunta in due modifiche da apportare al testo. Prima di tutto, aggiungere alle due scriminanti che evitano la punibilità (quando le registrazioni sono prova in un procedimento giudiziario o servano al diritto di difesa) due altri casi: quando viene esercitato il diritto di cronaca, e quando viene esercitata un’attività professionale legalmente riconosciuta. In questo modo, ragionano nel Pd, dovrebbero venire esclusi dal rischio galera i giornalisti: come per circoscrivere il reato di diffamazione, quando la notizia è vera, di interesse pubblico e raccontata con "continenza", il diritto di cronaca è legittimo. E poi, verrà introdotta un’altra modifica. Là dove nell’emendamento Pagano si legge che è punibile chi diffonde le registrazioni "al fine di recare danno alla reputazione o all’immagine altrui", saranno aggiunte quattro lettere, "solo": "Al solo fine di recare danno". Mentre sull’entità della pena, l’indicazione al governo (si tratta di una legge delega, il Parlamento fornisce i parametri ma sarà l’esecutivo a scendere nei dettagli) rimarrà quella di non superare i quattro anni di pena massima. Modifiche che mirano a rasserenare il clima con l’opinione pubblica, ma che hanno mandato in ebollizione gli alleati di Ncd. Infastiditi dal fatto che la norma sia stata votata dal Pd in Commissione giustizia, salvo rinnegarla qualche ora dopo. L’autore dell’emendamento, Alessandro Pagano, ieri alla "Stampa" ha detto chiaro di essere rimasto "molto sorpreso" dal ministro Orlando, tra i primi a prendere le distanze dal testo. "Siamo disponibili a migliorare la norma, ma non a cedere sui principi", ricorda il viceministro Ncd Enrico Costa: "Il Pd presenterà proposte di correzioni che valuteremo in maggioranza", mette in chiaro. La discussione generale comincerà stamane. Quando si capirà anche la mole degli emendamenti: il M5S ne presenterà circa 500, di cui un centinaio di merito e gli altri ai fini ostruzionistici se ce ne sarà bisogno, cioè "se tenteranno il colpo di mano di chiudere la legge entro la settimana prossima", spiega il deputato Vittorio Ferraresi. Loro sono stati i primi a denunciare la norma bavaglio: "Pericolosissima e da sopprimere", giudica il parlamentare, che ha presentato una proposta di modifica per eliminarla. Così come tra la cinquantina di emendamenti della Lega, ce ne sarà uno che punta a eliminare dalla legge tutta la parte che riguarda le intercettazioni: "Non si riformano per delega - giudica Nicola Molteni - anche perché, così, il bavaglio se vuole può metterlo il governo nella legge delega". Giustizia: antiterrorismo, sarà istituita una banca dati presso il ministero dell’Interno di Marzia Paolucci Italia Oggi, 27 luglio 2015 L’Italia ratifica il trattato di Prum sulla cooperazione transfrontaliera nella lotta ai fenomeni del terrorismo, dell’immigrazione clandestina, della criminalità internazionale e transnazionale. Saranno istituite una banca dati presso il ministero dell’interno e in affiancamento un laboratorio centrale del Dna presso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della giustizia. La fonte è il regolamento previsto dalla legge 30 giugno 2009, n. 85 approvato nel mese di luglio dal Consiglio dei ministri che rappresenta un completamento degli accordi di Schengen e formalizza l’impegno fra le parti contraenti a creare schedari nazionali di analisi del Dna e a scambiare le relative informazioni sui dati l’accesso ai dati inseriti negli archivi informatizzati. Attraverso un Banca dati e un laboratorio centrale del Dna, si prova a migliorare i risultati di ricerca prove e prevenzione contro i crimini violenti. Ci saranno due luoghi distinti: quello della banca dati nazionale che funzionerà da bacino di raccolta e confronto dei profili e un laboratorio centrale dell’amministrazione penitenziaria o i laboratori delle forze di polizia o specializzati come i Ris di Parma che estrarranno e conserveranno i campioni biologici. Si tratta, infatti, ha sottolineato il ministro della giustizia Orlando, illustrando il provvedimento in Consiglio dei ministri, di "strumenti con cui l’Italia sarà all’avanguardia nell’uso di tecnologie chiave, sempre più sicure e affidabili, nella lotta delle forze dell’ordine contro i crimini violenti. In questo periodo", ha continuato, "sono infatti aumentate le preoccupazioni e l’allarme sociale su numerosi aspetti: la minaccia terroristica, con le necessità di rendere la collaborazione transfrontaliera sempre più efficace e immediata, i problemi derivanti dalle ondate migratorie, la cresciuta mobilità internazionale, ma anche l’impatto della criminalità comune e in particolare dei crimini violenti contro le donne. Offrire alla magistratura e alle forze dell’ordine strumenti avanzati, funzionanti e rispettosi della tutela delle persone", ha concluso il Guardasigilli, "consentirà non solo di assicurare alla giustizia chi si rende responsabile di reati, ma funzionerà anche da deterrente per i recidivi che rappresentano larga parte degli autori di reati, determinando così un’opera fondamentale di prevenzione. Il tutto nel pieno rispetto delle norme della privacy". Ovunque nel mondo l’adozione di nuove tecniche di indagine e di strumenti avanzati ha portato a risultati di successo, anche nella soluzione dei cosiddetti cold case, i casi irrisolti da lungo tempo. In Germania, dove la Banca è operativa dal 1998 e sono custodite le tracce genetiche di oltre 500 mila autori di crimini, durante i primi sei anni sono stati risolti circa 18 mila casi. In questo caso e nel pieno rispetto della privacy, si tratta di avere maggiore certezza dei riscontri, tempestività delle verifiche e coordinamento di questi aspetti delle attività investigative per individuare i responsabili di azioni criminali e fermarli escludendo al tempo stesso chi non è coinvolto. Si potrà raccogliere il Dna di autori o presunti autori di reati non colposi, condannati in via definitiva, arrestati in flagranza di reato o sottoposti a fermo, sottoposti a custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari. Ma sarà possibile anche catalogare materiale genetico di persone scomparse, decedute non identificate o non identificabili. La conservazione del dna non potrà supere i 40 anni e quella dei campioni biologici i venti. Per la privacy, i profili e i relativi campioni non contengono le informazioni che consentono la diretta identificazione del soggetto cui sono riferiti tanto che per accedere alla banca dati la polizia giudiziaria e la stessa autorità giudiziaria dovranno prima richiedere di effettuare il confronto e, solo se positivo, potranno essere autorizzate a conoscere il nominativo del soggetto cui appartiene il profilo. Nella polizia penitenziaria saranno istituiti ruoli tecnici in cui inquadrare il personale da impiegare nelle attività del laboratorio centrale. Ventinove nuovi tecnici in più tra operatori, periti e biologi informatici da integrare ex novo nell’organico del Laboratorio della Banca dati. Giustizia: Giovanni Maria Flick "inutile punire chi registra, vogliono colpire la stampa" di Liana Millella La Repubblica, 27 luglio 2015 Punire le intercettazioni fraudolente? "Reato inutile perché già esiste". La riforma degli ascolti? "Andatevi a rileggere il mio ddl di 19 anni fa". L’ex Guardasigilli ed ex presidente della Consulta, nonché famoso avvocato, Giovanni Maria Flick stronca la norma Pagano. Carcere fino a 4 anni per intercettazioni abusive. È un reato che ha senso mettere nel codice? "Ho molte perplessità. Il testo sembra voler punire chi diffonde le intercettazioni, non chi le fa. E questo mi pare un po’ freudiano". È lecito registrare il contenuto di una conversazione privata? E magari divulgarlo? "Sì perché, come la Cassazione ha ripetuto ancora di recente, quando io parlo con una persona accetto il rischio che registri e diffonda ciò che ci siamo detti. L’articolo 15 della Costituzione considera inviolabili la libertà e segretezza della conversazione che, quindi, va difesa solo contro le intercettazioni di terzi, non contro l’uso che uno degli interlocutori faccia di quanto gli è stato detto". Qui non stiamo parlando di giornalisti ma di comuni cittadini che parlano e uno dei due registra l’altro. Se ciò è lecito, che senso ha fare il nuovo reato? "Non io, ma la Cassazione lo ripete. Non c’è differenza sostanziale tra il memorizzare nel cervello o il memorizzare su un taccuino o farlo su un registratore. Quando una notizia che il mio interlocutore mi ha dato spontaneamente nella nostra conversazione è entrata nel mio patrimonio cognitivo, posso farne quello che mi pare, proprio come posso farlo con una lettera a me indirizzata". E il reato allora? "I reati ci sono già, con dei limiti precisi: quando si invade la vita privata di una persona inserendosi nel suo domicilio, articolo 615 bis, o quando si prende cognizione illecitamente di una comunicazione o di una conversazione tra altre persone, articolo 617, che fa pendant col 616 che punisce chi prende cognizione o rivela il contenuto di una comunicazione a distanza non diretta a lui". Se la maggioranza insiste che succede ai giornalisti? "Quello che succede ai cittadini. Se l’intercettazione avviene in modo illecito in una conversazione di terze persone, il reato c’è già. Se partecipo alla conversazione posso registrare, che lo sappia o meno il mio interlocutore. Se offendo il suo diritto all’immagine, riprendendola contro il suo consenso, potrà reagire tutelando la propria immagine in sede civile. L’aggiunta di una sanzione penale ulteriore non riesco proprio a capirlo". La politica vuole meno intercettazioni, nelle carte dei giudici e sui giornali. Se ne può uscire senza danneggiare stampa e indagini? "Penso proprio di sì a tre condizioni: equilibrio e buon senso da parte di tutti; una riforma chiara ed applicabile che non persegua secondi fini nell’uno o nell’altro senso (ridurre drasticamente o al contrario allargare a dismisura le intercettazioni); riflettere su quello che 19 anni fa era stato proposto perché ame sembra ancora valido. Senza dimenticarsi mai che le intercettazioni servono al processo solo quando sono indispensabili; tutte le altre non sono giustificate e non devono andare in circolazione neppure per il controllo democratico". Giustizia: incidenti stradali; le scuole guida "basta indugi, serve l’ergastolo della patente" di Gerardo Ausiello Il Mattino, 27 luglio 2015 Pene più severe, meno attenuanti e l’introduzione dell’ergastolo della patente, ovvero la revoca definitiva della patente per chi provoca incidenti stradali mortali. La linea dura viene invocata da enti ed associazioni a poche ore dall’ennesima tragedia dell’asfalto, quella che si è consumata sulla Tangenziale di Napoli, dove venerdì notte un 30enne di Pozzuoli ha ucciso due persone percorrendo contromano la carreggiata. Possibile che accadano ancora, e troppo spesso, episodi del genere? E come intervenire per arginarli? Il primo passo è l’approvazione definitiva della legge che introduce due nuovi reati: omicidio stradale e lesioni personali stradali. Per chi si mette alla guida in stato di ebbrezza o dopo aver assunto stupefacenti e causa la morte di qualcuno la pena della reclusione va da 5 a 12 anni. Se l’investitore si dimostra lucido e sobrio, ma la sua velocità di guida è il doppio del consentito, la pena va da 4 a 8 anni. In caso di omicidio multiplo, la pena può essere triplicata ma non superiore a 18 anni. E invece punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni chi, guidando non sobrio o non lucido, procura lesioni permanenti. Nel caso di lesioni gravissime la pena aumenta da un terzo alla metà. Il provvedimento, approvato a metà giugno al Senato, è ora alla Camera per il via libera definitivo (salvo modifiche). Ma per il presidente dell’Aci Napoli, Antonio Coppola, non basta: "Il legislatore non è ancora convinto della necessità di introdurre l’ergastolo della patente. A nostro avviso, invece, è inaccettabile che chi provochi incidenti stradali mortali, specie sotto l’effetto di alcol o sostanze stupefacenti, ottenga nuovamente la patente dopo uno o due anni di sospensione. In certi casi la patente va revocata definitivamente, come peraltro avviene in molti Paesi europei". Diverso il discorso dell’omicidio stradale: "In un convegno promosso dall’Aci - a cui hanno partecipato, tra gli altri, autorevoli magistrati della Cassazione e della Corte Costituzionale - sono emerse perplessità circa la fattispecie dell’omicidio volontario perché secondo una certa giurisprudenza chi provoca incidenti stradali non lo fa con l’intenzione di uccidere se stesso o altre persone. Un ragionamento certamente valido in linea di principio, eppure - chiarisce Coppola - esistono casi in cui appare evidente la volontà di uccidere. Un esempio emblematico è quello del conducente ubriaco che ha causato la morte di due persone sulla Tangenziale. Si rifletta, allora, sulla possibilità di eliminare le attenuanti in modo che la pena da infliggere non sia ridotta drasticamente. E poi occorre puntare sulla prevenzione con massicce campagne di prevenzione, come quella che metteremo in campo a settembre d’intesa con il Comune di Napoli". A favore del pugno di ferro si esprime anche Paolo Colangelo, presidente di Confarca (Confederazione autoscuole riunite e consulenti automobilistici): "Chi sbaglia deve pagare, in Italia ancora non abbiamo una legge con pene certe e carcere lungo per scongiurare altre tragedie come quella di venerdì notte sulla Tangenziale. Nel nostro Paese vi è una diffusa percezione di impunità per quanto riguarda la violazione del codice della strada. Il carcere certo e lungo per chi si macchia di questi delitti è certamente un deterrente, oltre che un segnale di giustizia per tutti i familiari delle vittime della strada che continuano a piangere i loro cari". Appelli, questi, che vengono raccolti dai parlamentari campani. Leonardo Impegno, deputato del Pd, sottolinea: "Bisogna accelerare al massimo per arrivare all’ approvazione definitiva del testo. Solo così si metterà fine a questa sorta di impunità nei confronti di coloro che uccidono persone anche sotto effetto di alcol e droga. Siamo consapevoli che queste misure da sole non sono sufficienti e infatti nel testo è previsto che il 15 per cento dei proventi delle contravvenzioni venga investito per intensificare i controlli nelle strade". E Paolo Russo, deputato di Forza Italia, rilancia: "Il Daspo del volante va adottato ma occorre trovare misure compensative che consentano, dopo un certo numero di anni di condotta irreprensibile, di poter riacquistare il diritto alla guida". Giustizia: il ritorno del falso in bilancio non convince del tutto i legali di Federico Unnia Italia Oggi, 27 luglio 2015 Il ritorno del falso in bilancio non convince del tutto gli avvocati. "Gli scopi perseguiti con la riforma sono sicuramente meritevoli: il ripristino della punibilità del falso in bilancio era un atto necessario. Condivisibili le scelte di ripristinare l’ipotesi delittuosa dell’art. 2621 codice civile, di limitare la procedibilità a querela alle società di minore rilevanza (quelle non soggette al fallimento), di prevedere una specifica ipotesi di reato per le false comunicazioni delle società quotate", commenta Giacomo Gualtieri, socio dello Studio Legale Bana. "Le perplessità maggiori riguardano invece la definizione del fatto tipico". Ancora più critico Alberto Alessandri, dello Studio legale associato Alberto Alessandri. "Colpisce anzitutto il ritorno acritico alla vecchia formula dei "fatti materiali non rispondenti al vero", riprendendo la dizione del 1942 e eliminando la pur brutta espressione "ancorché oggetto di valutazioni". Se la modifica incorpora il pensiero di espungere le valutazioni, allora la soluzione è sbagliata e maldestra. Già sotto il vecchio codice con quella formula rientravano pacificamente le valutazioni; né vi è praticamente posta del bilancio che non sia soggetta a stima o valutazione. Sottrarre le valutazioni al falso in bilancio significherebbe sterilizzarlo di nuovo. Positiva l’eliminazione delle soglie, alla cui esigenza di colpire solo fatti significativi risponde ora la sovrabbondante previsione della rilevanza e dell’idoneità all’inganno". Negativo per Alessandri anche il giudizio sull’entità delle pene e risibile la previsione per le società che non possono fallire; eccessiva la pena per le società quotate. "Il nostro legislatore non riesce a fare a meno di esasperazioni punitive. Un’occasione persa è quella di conferire determinatezza alle "comunicazioni sociali". Il problema maggiore è però che questo ritorno all’antico, insensibile alle critiche alla vecchia figura, avvenga isolatamente, squilibrando ulteriormente il già dissestato diritto penale societario, sempre più lontano da una prospettiva sistematica" conclude. Secondo Fabrizio Ventimiglia, fondatore dello studio legale Ventimiglia, "ad una prima analisi della norma, che segna una inversione di rotta significativa rispetto al 2002, mi pare condivisibile l’anticipazione della soglia di tutela, attuata attraverso il mutamento della natura dell’illecito, che da reato "di danno" si trasforma in reato di pericolo, con l’eliminazione del requisito del danno rilevante ai risparmiatori per le società quotate. Analogamente condivisibile il mutamento del regime della procedibilità (d’ufficio, anche per i falsi commessi nell’ambito di società non quotate, salvo i fatti meno rilevanti e le società che non possono fallire) e la punizione limitata ai soli "fatti materiali" (con esclusione della rilevanza per le semplici "valutazioni"). Altrettanto comprensibile, atteso lo spirito della riforma, la decisione di eliminare le soglie di punibilità, che creavano una sorta di "zona franca" all’interno della quale era possibile offrire dati di bilancio non veritieri". L’aumento delle pene previste (da 3 ad 8 anni di reclusione per le società quotate, da 1 a 5 per le non quotate) consente l’applicabilità di misura cautelari personali, nonché degli strumenti di indagine considerati più efficaci (intercettazioni telefoniche ed ambientali). "In concreto", prosegue Ventimiglia, "temo che si andrà incontro a difficoltà interpretative e decisioni, almeno all’inizio, discordanti relativamente al riconoscimento dei limiti degli stessi fatti materiali, delle comunicazioni, delle fattispecie di lieve entità, dei requisiti della "natura e dimensioni della impresa", nonché di quelle ipotesi di reato meno rilevanti per le quali dovrebbe trovare applicazione il nuovo istituto dell’archiviazione per tenuità del fatto. Le nuove fattispecie non si distinguono infatti per chiarezza e tassatività: mancano confini certi, la cui individuazione, come spesso accade, è stata quindi integralmente affidata alla discrezionalità del Giudice". Più prudente Marcello Elia, fondatore dello Studio Elia, secondo il quale un’attenta analisi della disciplina e della terminologia utilizzata, non può non suscitare alcuni importanti interrogativi sulla reale portata applicativa della nuova fattispecie di reato e sulle modalità con cui il legislatore ha scelto di rivitalizzare la fattispecie di falso in bilancio. Il legislatore ha espressamente attribuito rilevanza penale alla condotta di chi, al fine di conseguire un ingiusto profitto, consapevolmente espone fatti materiali (nelle società quotate) o "fatti materiali rilevanti" (nelle non quotate) "non rispondenti al vero" e a quella di chi omette "fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero", eliminando l’inciso "ancorché oggetto di valutazioni" previsto dalla legge del 2002. "La formulazione normativa adottata lo scorso 21 maggio è evidentemente diretta a tipizzare solo le condotte di falso aventi ad oggetto "fatti materiali", con sostanziale irrilevanza penale di qualsiasi procedimento valutativo. Tuttavia, se si guardano le norme del codice civile (artt. 2423 c.c. e ss.) in materia di redazione del bilancio, non si può non constatare che la maggior parte delle postazioni contabili ivi indicate sono il frutto di processi valutativi che, peraltro, sono espressamente disciplinati dall’art. 2426 c.c." commenta Elia. Non solo. La maggior parte degli episodi di false comunicazioni sociali - sinora prevalentemente associate ai più gravi delitti di corruzione o di bancarotta - sono spesso il prodotto di sottovalutazioni o sopravvalutazioni delle poste indicate nel bilancio, ovvero di false fatturazioni dirette alla formazione di fondi neri. "L’esclusione delle "valutazioni" dalla sfera applicativa degli artt. 2621 e 2622 del codice civile comporta, dunque, una sostanziale disapplicazione del nuovo delitto di falso in bilancio che, in concreto, risulta quasi abrogato. Non bisogna dimenticare l’impatto che l’eliminazione delle valutazioni dalla fattispecie incriminatrice ha sui processi penali in corso" conclude Elia. Per Francesco Arata, fondatore dello Studio Legale Arata e Associati, "reintroducendo questo reato, sopprimendo la perseguibilità a querela e aumentando le pene soprattutto per le società quotate, l’investitore può sentirsi più garantito rispetto la veridicità delle comunicazioni sociali. Diamo un’immagine di maggiore serietà del paese, con qualche garanzia in più per gli investitori, anche internazionali. Per le non quotate invece, in termini garantistici, va considerato che appare rafforzato il tema dell’elemento soggettivo, il dolo, attraverso addirittura l’inserimento del termine consapevolmente". Sembrerebbe eliminato il tema delle valutazioni, togliendo un potere discrezionale al giudice per decidere, ad esempio, se la merce di un magazzino o dei derivati di una banca valgono davvero 100 come iscritto nei bilanci oppure 10. Il tema delle valutazioni si presta in sede giudiziaria - come si può immaginare - ad interpretazioni e a controversie tra consulenti che spesso, effettivamente, non portano a soluzioni. "Nel complesso la valutazione dell’intera normativa è comunque nel segno di una ri-penalizzazione, sia pure concretamente attenuata per quanto riguarda le società non quotate. Sempre a tali ultimi effetti va considerata poi l’ipotesi della lieve entità, che mi pare rivolta soprattutto a vicende collegate alle piccole imprese" conclude. Per Gabriele Casartelli, senior partner dello studio Amodio Bassi Lago-Casartelli, "c’era la necessità di mettere mano al testo normativo previgente modellato dalla novella del 2005, atteso che in considerazione dell’articolatissima struttura delle norma sanzionatorie del falso in bilancio e delle relative difficoltà applicative, di fatto questo reato era stato abolito, con la sostanziale mancanza di un efficace deterrente nei confronti di una larga fascia di criminalità economica. Si tratterà, ora, di vedere quale potrà essere l’applicazione in concreto delle norme riformate che lasciano un’ampia discrezionalità al giudice nell’accertamento della concreta idoneità ingannatoria della condotta di falso. In ogni caso, sembra innegabile, che le nuove fattispecie, nel mentre consentono una più significativa risposta in sede penale nei confronti dei falsi in bilancio che possono anche assumere particolare rilievo per dimensioni e valori in gioco, nel contempo non hanno riproposto un testo normativo eccessivamente ampio e generico quale era quello antecedente alla riforma del 2005, rispetto al quale avevamo assistito ad una autentica inflazione di procedimenti penali per falso in bilancio, oggettivamente sproporzionati rispetto alle effettive necessità di tutela dei consociati". Qualche perplessità è sollevata anche da Luca Basilio, of counsel, responsabile del dipartimento di diritto penale dell’economia dello studio Simmons & Simmons, secondo il quale "meno positive sono le nuove norme sul falso in bilancio. È noto che si è trattato di una soluzione di compromesso, ma si può a mio avviso parlare dell’ennesima occasione perduta. Ottima cosa che il reato sia di nuovo un delitto di mera condotta, che le pene siano state aumentate, che siano sparite le soglie di punibilità e la procedibilità a querela che rimane solo per le piccole entità non fallibili. Rimangono tutta una serie di limiti surrettizi che rischiano di comprimere l’ambito di applicazione della norma. Mi riferisco innanzitutto al fatto che il comportamento è oggi espressamente limitato ai soli fatti materiali: il che potrebbe, o finanche dovrebbe, escludere dall’ambito del punibile le valutazioni dolosamente fasulle. I fatti materiali, poi, devono essere "rilevanti": su questo aggettivo si accapiglieranno pubblici ministeri e difensori, ma appunto l’aggettivo introduce un limite importante alla punibilità del fatto. Limite che poi ritorna sia come attenuante se il fatto è di lieve entità, sia come non punibilità vera e propria se il fatto è di particolare tenuità". Per Renato Palmieri, Ordinario di diritto commerciale alla facoltà di economia dell’Università di Bologna, ed avvocato, "qualcuno potrebbe pensare che si sia tornati alla situazione ante 2002. Ma non è così, perché il Legislatore ora non si è limitato a incriminare generici fatti esprimendosi invece, e con molta chiarezza, nel senso che deve trattarsi di atti materiali. È evidente che i fatti psichici restano ora del tutto al di fuori del perimetro della fattispecie penale. Non c’è dubbio che il giudice sarà indotto ad ampliare il più possibile la nozione di fatti materiali per poter inserire nell’ area di questi fatti tutti quei parametri fattuali su cui ogni valutazione si regge, allargando altresì l’area dei fatti "la cui comunicazione è imposta dalla legge". E l’operazione rappresenterebbe anche una certa sfida culturale: ogni valutazione - rappresentando in ogni caso una previsione del realizzo economico di un cespite in un determinato momento - consiste in un giudizio probabilistico sul futuro economico di un bene; giudizio probabilistico che, come tale, contiene un calcolo frequentistico fondato su riconoscibili parametri di fatto. Il riconoscimento dei quali non sarà ovviamente legislativo, ma essenzialmente giurisprudenziale. E sarà dura". Giustizia: incompatibilità e conflitti di interesse tra il mediatore e l’avvocato di Angelo Costa Italia Oggi, 27 luglio 2015 Ci sono incompatibilità e conflitti di interesse tra la figura del mediatore e quella dell’avvocato. Lo ha chiarito il ministero della giustizia con circolare dello scorso 14 luglio tesa a fare luce sull’art. 14-bis dm n. 180/2010 introdotto dal dm n. 139/2014. Il ministero ha evidenziato come sia ravvisabile nella norma l’esigenza di garantire la sussistenza dei requisiti di terzietà e imparzialità dell’organismo di mediazione e dei suoi mediatori, poiché "viene svolta una attività delicata e significativa in quanto, prospettando un percorso alternativo alla giurisdizione, tende a definire una controversia mediante l’intervento di un terzo che, pertanto, deve porsi, anche in via di fatto, in una posizione di assoluta equidistanza rispetto alle parti in lite". Pertanto, secondo l’interpretazione fornita dal ministero, l’art. 14-bis ha la finalità di assicurare che l’attività di mediazione sia svolta da un soggetto che offra garanzie, anche sul piano dell’apparenza, di indipendenza e terzietà. Tenendo presente anche il fatto che, le norme sull’incompatibilità esprimono lo standard minimo indispensabile per garantire l’imparzialità del mediatore. Difensore del chiamato in mediazione. Secondo il ministero il divieto di cui all’art. 14-bis si manifesta anche nei confronti del difensore di fiducia della parte chiamata in mediazione, che rivesta al contempo la qualifica di mediatore presso l’organismo adito. Pertanto, la condizione di incompatibilità vale anche per l’avvocato di fiducia della parte chiamata in mediazione, iscritto come mediatore presso l’organismo scelto dalla parte istante. Estensione alle sedi in convenzione. Un altro aspetto preso in considerazione dal ministero ha a oggetto il caso in cui l’elenco dei mediatori da prendere in considerazione per valutare le incompatibilità sia solo quello dell’organismo "principale" oppure anche gli elenchi di altri organismi con i quali il primo organismo abbia stipulato convenzioni ex art. 7, comma 2, lett. c), dm n. 180/2010. Secondo il ministero "appare evidente che in tali casi l’organismo "condivide", tra l’altro, i mediatori di un altro organismo di mediazione che si trovano, pertanto, nella medesima posizione formale dei mediatori iscritti presso l’organismo "delegante", [ ] anche al fine di evitare una facile elusione della norma, l’incompatibilità non può che estendersi anche ai mediatori dell’organismo con cui si è concluso un accordo ai sensi dell’art. 7, comma 2, lett. c), dm n. 180/2010". Se gli avvocati delle parti sono iscritti, quali mediatori, presso l’organismo medesimo. E infine, nella medesima circolare in commento si è preso in considerazione il potere dell’organismo di rifiutare eventuali istanze di mediazione, nel caso in cui gli avvocati delle parti fossero iscritti, quali mediatori, presso l’organismo medesimo. Secondo il ministero all’organismo va riconosciuto il potere-dovere di rifiutare tali istanze. "Di conseguenza, l’organismo di mediazione deve rifiutare di ricevere le istanze di mediazioni nelle quali si profilano ipotesi di incompatibilità di cui all’art. 14-bis". Guida in stato di ebbrezza: appartenenza del veicolo a persona estranea al reato Il Sole 24 Ore, 27 luglio 2015 Guida in stato di ebbrezza - Rifiuto di sottoporsi agli accertamenti sanitari - Sanzioni amministrative accessorie applicabili - Individuazione - Appartenenza del veicolo a persona estranea al reato - Sospensione della patente di guida - Raddoppio della durata della sanzione - Legittimità. Per la contravvenzione di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti necessari alla verifica della condizione di alterazione psicofisica derivante dall’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, disciplinata dall’art. 187, comma ottavo, cod. strada, sono previste le medesime sanzioni amministrative accessorie dettate per la corrispondente fattispecie contravvenzionale del rifiuto di sottoporsi all’alcoltest, di cui all’art. 186, comma settimo, cod. strada, di talché, nel caso in cui il veicolo condotto dall’imputato appartenga a terzi, la durata della sospensione della patente di guida è raddoppiata. • Corte di cassazione, sezione IV, sentenza 8 aprile 2015 n. 14169. Guida in stato di ebbrezza - Rifiuto di sottoporsi all’accertamento dello stato di ebbrezza mediante etilometro - Sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida - Appartenenza del veicolo a persona estranea al reato - Raddoppio della durata della sospensione - Legittimità. Al reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento per le verifica dello stato di ebbrezza, disciplinato dal comma settimo dell’art. 186 cod. strada, si applicano le sanzioni amministrative accessorie dettate dal medesimo articolo e, pertanto, anche il raddoppio della durata della sospensione della patente di guida allorquando il veicolo condotto dall’imputato appartenga a persona estranea al reato. • Corte di cassazione, sezione IV, sentenza 10 novembre 2014 n. 46390. Guida in stato di ebbrezza - Rifiuto di sottoporsi all’accertamento dello stato di ebbrezza mediante etilometro - Sospensione della patente di guida - Durata della sospensione - Raddoppio della durata in caso di appartenenza del veicolo a persona estranea al reato - Disposizione prevista per il reato di guida in stato di ebbrezza - Applicabilità al reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento - Esclusione - Ragioni. Non è applicabile al reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento per la verifica dello stato di ebbrezza, di cui all’art. 186, comma settimo, codice della strada, il raddoppio della durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida qualora il veicolo appartenga a persona estranea al reato, previsto per la contravvenzione di guida in stato di ebbrezza dall’art. 186, comma 2, lett. C), cod. strada. • Corte di cassazione, sezione VI, sentenza 28 agosto 2014 n. 36396. Guida in stato di ebbrezza - Confisca del veicolo - Veicolo appartenente a persona estranea al reato - Nozione di "appartenenza". Ai fini della confisca prevista dall’art. 186, comma II, lett. c), cod. strada, la nozione di "appartenenza" del veicolo a persona estranea al reato non deve essere intesa come proprietà o intestazione nei pubblici registri, ma come effettivo e concreto dominio sulla cosa, che può assumere la forma del possesso o della detenzione, purché non con carattere occasionale. • Corte di cassazione, sezione IV, sentenza 5 settembre 2013 n. 36425. Responsabilità da sinistri stradali: quid iuris in caso di malore del conducente? Il Sole 24 Ore Circolazione stradale - Responsabilità da sinistri stradali - Malore improvviso del conducente - Infermità inabilitante - Prospettazione - Valutazione del giudice - Termini. In tema di omicidio colposo determinato dalla perdita di controllo di un autoveicolo, nel caso in cui venga prospettata dalla difesa dell’imputato la tesi del malore, il giudice di merito può correttamente disattenderla qualora manchino elementi concreti capaci di renderla plausibile e siano presenti elementi idonei a far ritenere che la perdita di controllo del veicolo sia stata determinata da un altro fattore non imprevedibile, che avrebbe dovuto indurre il conducente a desistere dalla guida. • Corte di cassazione, sezione IV, sentenza 16 marzo 2015 n. 11142. Circolazione stradale - Responsabilità da sinistri stradali - Malore improvviso del conducente - Infermità inabilitante - Prospettazione - Valutazione del giudice - Termini. In tema di omicidio colposo determinato dalla perdita di controllo di un autoveicolo, qualora venga prospettata dall’imputato la tesi difensiva del malore improvviso - da inquadrarsi nella nozione di infermità incidente sulla capacità intellettiva e volitiva del soggetto come prevista dall’art. 88 cod. pen. e non all’ipotesi di caso fortuito di cui all’art. 45 stesso codice - il giudice di merito può correttamente disattenderla in assenza di elementi concreti capaci di renderla plausibile (ad esempio l’età o le condizioni psico-fisiche dell’imputato) ed in presenza, peraltro, di elementi idonei a far ritenere che la perdita di controllo del veicolo sia stata determinata da un altro fattore non imprevedibile, quale un improvviso colpo di sonno dovuto ad uno stato di spossatezza per lunga veglia, che avrebbe dovuto indurre il conducente a desistere dalla guida. • Corte di cassazione, sezione IV, sentenza 29 luglio 2004 n. 32931. Circolazione stradale - Responsabilità da sinistri stradali - Malore improvviso del conducente - Prova. Se è vero che l’onere della prova dell’improvviso malore del conducente non è posto a carico di colui che invoca la causa di esclusione della punibilità onde spetta al giudice stabilire se l`imputato al momento del fatto fosse libero di determinare le proprie azioni, tuttavia il giudice stesso non deve compiere indagini per l`accertamento delle condizioni di salute dell`imputato al momento del fatto, poiché, in mancanza di qualsiasi allegazione di elementi specifici, si presume che la condotta del soggetto, normalmente capace, sia riferibile ad una attività volontaria e cosciente e quindi liberamente determina. • Corte di cassazione, sezione IV, sentenza 2 novembre 1990 n. 14357. Circolazione stradale - Responsabilità da sinistri stradali - Caso fortuito - Improvviso malore - Implicanza sull’imputabilità. Il malore improvviso incide sulla capacità d’intendere e di volere, come coscienza e volontarietà della condotta, e, pertanto, non rientra nella categoria giuridica del fortuito. Ne consegue che spetta all’accusa fornire la prova della capacità del prevenuto, dovendosi stabilire se esso, al momento del fatto, fosse libero di determinare le proprie azioni, e non all’imputato dar prova del verificarsi di un caso fortuito. Tuttavia non basta, in fatti colposi da circolazione stradale, che l’imputato assuma, in un determinato momento del procedimento, di avere perduto il controllo del veicolo per un improvviso malore, perché il giudice sia tenuto a svolgere accertamenti per stabilire le effettive condizioni di salute del conducente al momento del fatto, dovendosi presumere, invece, in mancanza di allegazione di elementi determinati e specifici, che la condotta del soggetto, normalmente idoneo alla guida e capace di autodeterminarsi, sia riferibile a un’azione cosciente e volontaria e, quindi, liberamente determinata. • Corte di cassazione, sezione IV, sentenza 13 giugno 1989 n. 8357. Inammissibile l’atto d’impugnazione proposto dal pubblico ministero mediante Pec di Giuseppe Amato Il Sole 24 Ore, 27 luglio 2015 Corte di cassazione - Sezione V penale - Sentenza 5 giugno 2015 n. 24332 Allo stato, le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’articolo 583 del Cpp e applicabili anche al pubblico ministero, sono tassative e non ammettono equipollenti, sicché è inammissibile l’atto d’impugnazione proposto dal pubblico ministero (nella specie, nei confronti di un provvedimento in materia di misure cautelari personali) mediante spedizione tramite posta elettronica certificata (Pec). Secondo i supremi giudici (sentenza n. 24332 del 2015) tale mezzo, non consentendo la trasmissione dell’atto scritto in originale e non garantendo la sicura riferibilità dell’atto alla persona fisica legittimata ad adottarlo, non soddisfa i requisiti di forma prescritti, a pena di inammissibilità, per la proposizione e la spedizione dell’atto di impugnazione. Si tratta, infatti, di strumento che, come il fax, garantisce solo la riferibilità della provenienza dal servizio amministrativo che lo spedisce. Le motivazioni della Corte - La Corte ha precisato che la normativa in vigore consente l’uso della posta elettronica certificata (Pec), anche nel processo penale, ma solo con riferimento alle sole notificazioni e comunicazioni, a cura della cancelleria, alle persone diverse dall’imputato (decreto legge 18 ottobre 2012 n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012 n. 221), né, a favore dell’ammissibilità della notificazione a mezzo Pec, poteva utilmente invocarsi il disposto dell’articolo 48 del decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82, che sancisce l’equiparazione della trasmissione di un documento informatico con la posta elettronica certificata alla notificazione a mezzo posta, giacché tale norma fa salva comunque la specialità delle normative di settore e, quindi, nella specie, dell’articolo 583 del Cpp, che prevede, quali modalità alternative, ma tassative, di spedizione dell’atto di impugnazione, la presentazione personale e la spedizione con telegramma o con raccomandata, con, in quest’ultimo caso, l’autentica della sottoscrizione della parte privata. A queste premesse, la Corte ha rigettato il ricorso del pubblico ministero avverso l’ordinanza del tribunale del riesame che aveva dichiarato inammissibile il proprio appello, a sua volta proposto contro l’ordinanza del Gip di rigetto della richiesta di applicazione di una misura cautelare personale, sul rilievo che si trattava di impugnazione non presentata nelle forme di legge, perché spedita per posta elettronica certificata dal dirigente amministrativo dell’ufficio della procura. Giro di vite sui trust che sottraggono beni ai creditori per le esigenze dei familiari di Giovanbattista Tona Il Sole 24 Ore, 27 luglio 2015 Tribunale di Siena - Sentenza del 22 maggio 2015, n. 416. Tribunale di Monza - Sezione III civile -sentenza 13 maggio 2015, n. 1425. Doppio giro di vite sui trust che sottraggono beni ai creditori per garantire le esigenze dei familiari. Prima la giurisprudenza e ora il Dl 83/2015, in attesa di conversione, hanno limitato gli effetti degli atti di segregazione dei beni e aperto spazi ai titolari di un diritto di credito anteriore al trust per aggredire i beni conferiti dal loro debitore in un patrimonio separato. La sentenza di Siena - Con una sentenza del 22 maggio 2015 il Tribunale di Siena sottolinea come, alla luce delle numerose pronunce della giurisprudenza, deve considerarsi pacifica la natura gratuita del conferimento dei beni in trust con lo scopo di proteggere e soddisfare le esigenze dei familiari, in analogia con l’istituto del fondo patrimoniale previsto dagli articoli 167 e seguenti del Codice civile. I giudici senesi hanno ribadito che lo scopo di far mantenere a sé e ai propri familiari lo stesso tenore di vita non è assimilabile al preciso obbligo giuridico di natura alimentare, che è imposto - in forza degli articoli 433 e seguenti del Codice civile - come vera e propria obbligazione (idonea a prefigurare quindi un atto a titolo oneroso) solo nei confronti degli ascendenti e dei membri della famiglia di fatto negli specifici casi di incapienza patrimoniale e di incapacità di incremento reddituale del familiare. Si tratta quindi di atto di liberalità o comunque gratuito, e per questo il trust poteva essere oggetto di azione revocatoria senza che fosse necessario accertare la conoscenza o la partecipazione, da parte del terzo al danno che ne derivava alla garanzia dei creditori. L’articolo introdotto dal Dl 83 - Ora che il Dl 83/2015 ha introdotto il nuovo articolo 2929 bis del Codice civile, se un trust simile dovesse risultare istituito dopo l’insorgere del credito, anche se il creditore non aveva iscritto pegno o ipoteca sui beni immobili conferiti nel fondo separato, ugualmente questi potrà pignorarli. La novità è che dalla gratuità dell’atto si fa derivare che non è necessaria la previa sentenza irrevocabile che accoglie l’azione revocatoria. La sentenza del tribunale di Monza - A maggior ragione questo varrà nei caso in cui il trust debba considerarsi del tutto nullo e in origine improduttivo dell’effetto segregativo del patrimonio, tipico dell’istituto. È l’ipotesi esaminata dal Tribunale di Monza con la sentenza del 13 maggio 2015 con riguardo a un trust auto-dichiarato in cui il conferente ha destinato a patrimonio separato una serie di beni con lo scopo di vincolarli al soddisfacimento dei bisogni della famiglia e poi ha assunto la posizione di soggetto incaricato della gestione. In tal caso, secondo i giudici lombardi, il conferente ha mantenuto la disponibilità effettiva del patrimonio e il trust deve considerarsi un negozio apparente; di fatto il debitore aveva voluto imprimere un vincolo di destinazione a dei beni che manteneva come propri, quindi senza sottrarli a se stesso e senza alcun altro scopo se non quello di sottrarli all’aggressione dei creditori. "Impiego abusivo dello strumento negoziale rispetto alla funzione astratta sua propria", secondo i giudici. Trust nullo, quindi, e pretese dei creditori interamente salve. Lettre: la Cina, così lontana così vicina camerepenali.it, 27 luglio 2015 La notizia della repressione contro gli avvocati di Pechino porta inevitabilmente alla mente quanto avvenuto nel 2013 in Turchia contro gli avvocati che difendevano i diritti civili. L’inviolabilità del diritto di difesa è patrimonio di tutti e deve essere preservato come irrinunciabile fondamento di ogni stato di diritto. Leggere che i legali vengano definiti "bande di criminali colpevoli di interferire nei processi e di fomentare disordini" provoca indignazione e mette tristezza. Per i media vicini al Governo, gli avvocati "operavano contro il sistema costruendo casi finalizzati a infangare la giustizia cinese". Questo ha giustificato perquisizioni, arresti e confessioni estorte con la violenza. La solidarietà è fuori discussione, ed è poca cosa. Ci sentiamo colpiti nel profondo per essere impotenti di fronte a prepotenza, sopruso, violazione delle regole civili, dolore di chi subisce violenza fisica e psicologica per aver fatto rispettare i diritti e la dignità delle persone. Riscontriamo che tutti i regimi autoritari disprezzano la funzione difensiva e il ruolo dell’avvocato che vengono ritenuti espressamente un ostacolo al perseguimento degli obiettivi del sistema. Naturalmente ogni paragone sarebbe improprio e irrispettoso per chi soffre condizioni inaccettabili e non ha la fortuna di vivere in un Paese liberale e democratico. Qualche considerazione, però, sulla insofferenza che spesso si registra, anche nel nostro Paese per la funzione difensiva, con la conseguente difficoltà di proteggerne gli ambiti nell’interesse dei cittadini, può essere fatta. L’insofferenza è determinata dall’idea piuttosto rudimentale dell’autosufficienza di una giurisdizione affidata a chi accusa e a chi giudica, all’idea di dover sconfiggere ora l’uno o l’altro fenomeno criminale ottenendo facile consenso nell’opinione pubblica. La difficoltà di garantire l’effettività della difesa e di affermare la sacralità della funzione difensiva sono originate da una diffidenza di fondo e da una visione manichea del diritto, secondo cui chi accusa rappresenta il bene e chi difende rappresenta invece un ostacolo a raggiungere obiettivi di lotta alla criminalità. Nel processo, lo spostamento dell’attenzione dall’accertamento di un reato e della sua attribuibilità ad una persona, al perseguimento dei fenomeni criminali e alla spiegazione degli stessi con giudizi di natura etica, accresce il rischio di aumentare l’intolleranza nei confronti di chi rappresenta una visione diversa delle cose. La Cina è stata chiara: gli avvocati sono "bande di criminali colpevoli di interferire nei processi". Non serve altro per comprendere quale sia l’importanza di difendere la difesa che deve poter sempre "interferire nei processi" con la forza della libertà, della autonomia e della indipendenza. La questione degli avvocati cinesi non può essere archiviata come è avvenuto per gli avvocati turchi. La comunità internazionale democratica dovrebbe far sentire la propria voce e manifestare il totale dissenso nei confronti di una barbarie motivata dalla necessità di preservare la Cina da chi voleva "cancellare l’identità cinese e infettare la nazione con i valori occidentali". Tra i valori occidentali c’è anche quello dell’inviolabilità del diritto di difesa che è patrimonio di tutti e che deve essere preservato come irrinunciabile fondamento di ogni stato di diritto. Abruzzo: elezione del Garante dei detenuti, la Radicale Bernardini concorre per nomina emmelle.it, 27 luglio 2015 Elezione del "Garante dei detenuti" in Abruzzo: deve essere Rita Bernardini (segretario nazionale dei Radicali e da sempre impegnata a più livelli in una continua battaglia per i diritti civili). Marco Pannella e Vincenzo Di Nanna (rispettivamente presidente e segretario di Amnistia Giustizia e Libertà Abruzzi), in una nota ribadiscono che la segretaria dei Radicali Italiani "è la nostra unica ed esclusiva candidata" e, come annunciato, ha presentato formale domanda per concorrere all’elezione del "garante dei detenuti" e spedito il suo straordinario "curriculum" presso i competenti uffici regionali. La candidatura di Rita Bernardini a Garante dei detenuti della Regione Abruzzo, per il non comune valore e prestigio, derivanti da un’esperienza unica e irripetibile, non ha bisogno di quella, presentata peraltro come di mero "supporto", dal radicale Ariberto Grifoni, al quale rivolgiamo un sentito ringraziamento". Sassari: l’On Pili (Unidos); ora il carcere di Bancali è una polveriera di mafia e camorra Ansa, 27 luglio 2015 "Alla conta di ieri notte i detenuti in regime di 41 bis nel carcere di Bancali erano 67. Ne arriveranno una decina ancora, alla spicciolata. Poi il grande sfregio alla Sardegna sarà compiuto. In meno di 15 giorni, con voli di stato, segreti e criptati, hanno trasformato il carcere di Bancali in una vera e propria polveriera di mafia e camorra", lo ha ribadito il deputato Mauro Pili (Unidos) dopo aver concluso ieri in tarda serata la visita ispettiva nel carcere di Bancali dove sono stati sistemati capimafia in regime di 41 bis. "Ci sono tutti, dal braccio destro del capo dei capi al numero uno dei Santapaola, dal Padrino alla mente delle stragi che hanno funestato Campania e non solo. Trasportati a due a due, svuotando le celle dei 41 bis di mezza Italia e trasferiti i vertici di mafia e camorra in Sardegna. Un atto vigliacco e gravissimo dello Stato - ha detto Pili - che mette l’intera isola a rischio infiltrazioni. Da anni lo denuncio, ed ora anche i magistrati di primo piano lanciano l’allarme. Concentrare su unico carcere questo tipo di personaggio non solo è una follia politica ma è un errore madornale sul piano della lotta alla mafia. Si è trasformato il carcere di Bancali in un grande centro di coordinamento della mafia, della camorra e della ‘ndrangheta. Agenti ridotti all’osso, sia nell’ordinario che nel braccio dei capimafia. Sui 425 agenti previsti nella pianta organica ce ne sono in servizio appena 309. Un buco di 116 agenti che pesa nella già complessa gestione della sicurezza di un carcere di quella portata. Niente vigilanza esterna, passeggi sui muri praticamente inesistenti. E lo stesso corpo speciale che si occupa dei 41 bis è ridotto ai minimi termini. In servizio ce ne sono appena 40 ma dovrebbero essere più del doppio. Per non parlare del servizio sanitario. Totalmente inesistente. Un modestissimo lettino per le visite. Poi per il resto solo tubi a mezz’aria per collegare acqua e corrente per attrezzature che non ci sono e non arriveranno. Una gestione sanitaria che rischia di mandare in tilt la stessa struttura del Pronto intervento della Asl che dovrà sottrarre mezzi e uomini al territorio per soddisfare le esigenze del carcere". Santa Maria C.V.: carcere senz’acqua, si corre ai ripari con autobotti e bottiglie di Biagio Salvati Il Mattino, 27 luglio 2015 La svolta dopo la riunione, ma la direttrice chiarisce: "Siamo ancora in emergenza". Trentamila litri di acqua al giorno forniti da apposite autobotti per sei cucine (detenuti e personale ); una bottiglia al giorno di acqua naturale confezionata, da due litri, per ogni recluso per evitare le conseguenze negative della razionalizzazione della fornitura idrica (sull’impianto è comunque in corso una manutenzione) e la gestione di comprensibili proteste, fortunatamente rientrate, da parte della popolazione carceraria. Sono state queste le soluzioni possibili, adottate nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, per fronteggiare l’emergenza idrica del grande caldo di luglio che - in un penitenziario come quello sammaritano che ospita oltre mille detenuti - diventa più critico amplificando i disagi. Ciò soprattutto ai piani alti dell’istituto con le reazioni che si possono immaginare. "Abbiamo avuto davvero momenti critici - spiega la direttrice, Carlotta Giaquinto - tant’è che ho dovuto chiedere un’ulteriore sforzo al Provveditorato per consentire l’ingresso di autobotti nelle cucine in modo da separare l’utilizzo dell’approvvigionamento destinato all’igiene da quello per l’alimentazione. Ci troviamo sempre in emergenza, situazione perla quale occorre trovare una soluzione". Già, perché l’unica risorsa di acqua - non essendo il mastodontico e complesso impianto del carcere collegato alla rete comunale - è un pozzo che diventa in sufficiente con l’aumento dei detenuti e del caldo, soprattutto d’estate: circostanza che ha costretto la direzione a razionalizzare l’erogazione dell’acqua per un certo periodo di tempo. Il mondo carcerario, quasi sempre invisibile alla società, nei giorni scorsi ha avuto un’attenzione mediatica per la mobilitazione di alcuni rappresentanti politici, delle sigle sindacali della polizia penitenziaria, dell’avvocatura della Camera Penale che venerdì scorso ha convocato una conferenza con il presidente della commissione peri diritti dei detenuti, Nicola Garofalo e persino dall’ex sindaco di Caserta, Del Gaudio, che trascritto una memoria di 100 pagine sull’argomento, reduce da una breve detenzione. Un primo segnale è arrivato proprio a margine dell’incontro, con un documento del consiglio regionale che impegna il presidente e la Giunta "a porre in atto tutte le iniziative urgenti e necessarie tese a risolvere in tempi brevissimi l’allaccio della rete idrica comunale all’impianto del carcere constato che il Ministero di Giustizia ha stipulato un Protocollo di intesa con la Regione" sotto la presidenza Caldoro, "per risolvere i problemi più urgenti di tutte le case circondariali". Allo stato, come ricorda anche la direttrice Giaquinto, si è già in ritardo coni fondi europei che scadono a dicembre (solo per la preparazione del bando, si ipotizzano più di cinque mesi) mentre è da valutare la possibilità di trasferire i fondi stanziati al ministero di Giustizia a quello delle Infrastrutture in quanto quelli individuati dal Dap (un milione di euro) non possono essere utilizzati dall’ente comunale. Velletri (Rm): Sippe; aggressione tra detenuti, uno infilzato con un arma rudimentale ilcaffe.tv, 27 luglio 2015 Ancora una aggressione nel carcere di Velletri. La mattina di domenica 26 luglio due detenuti, uno di origine straniera e l’ altro Italiano, hanno avuto fra di loro una colluttazione con calci e pugni. Ad avere la peggio è stato il detenuto Italiano che durante è stato infilzato alla pancia con un arma rudimentale costruita con oggetti di uso comune. Grazie al tempestivo intervento dell’Agente addetto alla sezione, il detenuto è stato immediatamente accompagnato presso l’infermeria del carcere e successivamente presso l’Ospedale di Velletri per le cure e ulteriori accertamenti, fortunatamente nulla di grave. Il Segretario Generale del Si.P.Pe. (Sindacato Polizia Penitenziaria) Carmine Olanda, chiede al Governo e a tutte le Autorità competenti di mettere in campo atti urgenti e concreti per il completamento dell’opera riguardante l’inserimento e la rieducazione del condannato nella società. "Occorre potenziarlo con tutte le figure necessarie e di competenza professionale a tutt’oggi carenti - spiega. Tanto si richiede per evitare che il carcere diventi una vera e propria scuola del crimine". Genova: Uil-Pa; detenuto di origine albanese aggredisce un agente a schiaffi e pugni Agi, 27 luglio 2015 "Ieri un detenuto di origine albanese ha proditoriamente aggredito a schiaffi e pugni, senza alcuna ragione, un agente della Polizia penitenziaria che ha dovuto ricorrere alle cure ospedaliere riportando una prognosi di 7 giorni. È accaduto nel carcere genovese di Marassi dove il detenuto era allocato nella sesta sezione". A denunciare l’accaduto è Eugenio Sarno, segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, che aggiunge "con quello di ieri a Marassi, dal primo gennaio 2015 ad oggi, il numero di agenti penitenziari aggrediti da detenuti, che hanno riportato ferite guaribili in non meno di 5 giorni, sale a 204. Un dato terrificante che incredibilmente passa sottotraccia. Ogni giorno nelle carceri italiane si registrano fatti di inaudita violenza". "A parte la propaganda del Governo il sistema penitenziario italiano è tutt’ora oberato da quelle stesse criticità che portarono la Cedu ad esprimere un giudizio molto negativo sullo stato delle nostre carceri. Giudizio mitigato solo grazie ad alcuni espedienti che di fatto, però, nulla hanno mutato in termini reali in fatto di vivibilità e dignità. Lo stesso sovraffollamento - sottolinea Sarno - delle celle che da Via Arenula si vuole per superato è, invece, tutt’ora presente. Basti pensare che a Marassi ieri erano presenti 680 detenuti a fronte di una capienza massima di 450. In Italia sono presenti circa 54mila detenuti a fronte di una capienza di circa 45mila posti". E sono i numeri degli eventi critici su cui fonda l’allarme della Uil-Pa Penitenziari. "Quantunque si sia davvero riusciti a garantire il minimo di tre mq a detenuto, ma ho i miei dubbi, resta il fatto che la civiltà della detenzione è tutt’ora indecente. Così come le condizioni di lavoro della polizia penitenziaria sono infamanti e persino offensive per la dignità umana. Ogni giorno le donne e gli uomini dei baschi blu sono impegnati, in splendida solitudine, a garantire la tenuta del sistema e a salvare vite umane. Dal 1 gennaio 2015 ad oggi - elenca il Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari - nelle nostre celle si sono verificati 26 suicidi ; 521 tentati suicidi con 186 detenuti salvati in extremis dal personale di polizia; 3.715 atti di autolesionismo; 764 episodi di danneggiamento dei beni dell’Amministrazione (incendi alle celle, devastazione suppellettili); 38 risse tra detenuti; 786 atti di aggressione, minaccia o resistenza a personale di polizia penitenziaria. Crediamo che ci sia poco da aggiungere. Questi numeri sono la realtà del nostro sistema penitenziario. Vogliamo credere e sperare che la società possa essere debitamente informata e non drogata da notizie inattendibili. Abbiamo più volte sottolineato l’impegno del ministro Orlando a voler cercare di risolvere alcune situazioni critiche. Ma al netto della buona volontà il disastro dell’Amministrazione Penitenziaria è sotto gli occhi di tutti. Mi pare evidente - chiosa Eugenio Sarno - che al di là degli slogan, il mondo delle carceri non riscuote alcun interesse tra i politici e nel Governo. Altrimenti non saremmo qui a parlare di un’Amministrazione abbandonata al proprio destino. Desertificata e prosciugata. Senza fondi e senza dirigenti. Ad oggi, dopo il dimissionamento di Luigi Pagano, ancora priva di un vice capo e di almeno tre dirigenti generali e con un Corpo di polizia penitenziaria sotto organico di circa 8mila unità. Qualcuno avvisi il ministro Orlando". Mamone (Nu): cane antidroga della Polizia penitenziaria fiuta detenuto con hascisc Ansa, 27 luglio 2015 L’aver nascosto la droga in un pacchetto di sigarette, nelle scarpe e in altri oggetti non gli è servito a evitare la denuncia. Il cane antidroga della Polizia penitenziaria lo ha smascherato. Un detenuto extracomunitario, attualmente recluso nella diramazione Santissima Annunziata della casa di reclusione di Mamone è stato indagato dalla Penitenziaria. Durante un controllo degli agenti e dell’unità cinofila con il cane Jesson, pastore belga Malinois, l’animale ha "puntato" il detenuto che usciva dalla stanza in cui dormiva. Perquisendola gli agenti hanno trovato hascisc nascosto in un pacchetto di sigarette, scarpe e altri oggetti. "Il reparto cinofili della Polizia penitenziaria della Sardegna, da quando è stato trasferito dall’ex carcere di Macomer a Badu e Carros nel carcere nuorese, ha perso delle unità e oggi opera con una carenza di uomini superiore al 50% - sottolinea Giovanni Villa, segretario generale regionale dalla Federazione nazionale sicurezza-Cisl - nonostante questo continua nella sua attività di prevenzione e repressione dei reati per possesso e spaccio di sostanze stupefacenti all’interno e all’esterno degli istituti penitenziari isolani. Dall’Amministrazione centrale ci è stato assicurato un intervento mirato per il rinforzo di uomini e mezzi e questo entro l’autunno". Immigrazione: ricerca della Fondazione Moressa "quando il lavoro integra" di Rossella Cadeo Il Sole 24 Ore, 27 luglio 2015 Sui migranti il dibattito è sempre aperto: è della settimana scorsa la notizia dell’accordo faticosamente raggiunto in sede Ue per la redistribuzione di 32mila profughi così come quella dei disordini a Treviso e a Roma con il relativo strascico di polemiche. Ma se l’accoglienza dei richiedenti protezione resterà a lungo un problema di ardua soluzione, la presenza di immigrati nel mondo è da anni una realtà alla quale ciascun Paese ha dato risposte diverse. In un ideale confronto in tema di integrazione - effettuato fra 38 Paesi dalla recente indagine Mipex (Migrant Integration Policy Index) che ha preso in esame oltre 100 indicatori suddivisi in otto aree - l’Italia, con i suoi cinque milioni di stranieri residenti a fine 2014, si colloca al 13° posto, sopra la media generale della Ue28. Ma, come non è omogenea la distribuzione degli immigrati sul territorio italiano(si va dalla Lombardia che ne assorbe il 23% al Molise o alla Valle d’Aosta ferme allo 0,2%) così il livello di inserimento cambia da regione a regione. Sul grado di integrazione della componente straniera in Italia, ha indagato la Fondazione Leone Moressa che ha selezionato circa 40 indicatori suddivisi in sei aree tematiche (mercato del lavoro, istruzione, sanità, criminalità, contributo economico e radicamento sul territorio) al fine di elaborare un "indice regionale di integrazione". L’indice sintetico finale è stato calcolato tramite una media pesata e per una maggior chiarezza tutti i valori delle regioni sono stati riproporzionati in base al valore Italia posto pari a 100. "Siamo partiti dall’assunto che le regioni in cui gli indicatori socio-economici presentano valori positivi sono quelle in grado di garantire maggiori opportunità di integrazione - spiega il direttore scientifico di Fondazione Moressa, Stefano Solari. Perciò abbiamo scelto indicatori come i tassi di occupazione, i contratti a tempo indeterminato, il voto medio degli studenti stranieri, la percentuale di delitti commessi da stranieri, il numero e la ricchezza prodotta dalle imprese straniere, la spesa per l’immigrazione sul totale delle spese sociali. Nell’indice finale, ci sono quattro regioni che si collocano sopra la media: Lazio, Lombardia, Veneto e Piemonte. E sono le stesse regioni dove risiede il maggior numero di stranieri, oltre la metà del totale. Al contrario, i valori più bassi dell’indice di integrazione si riscontrano in regioni che contano meno del 3% della popolazione straniera complessiva: Sardegna, Calabria e Puglia". In pratica le regioni con il punteggio migliore - tra cui Lazio e Veneto, protagoniste dei fatti di cronaca delle ultime settimane - sono quelle verso le quali si concentrano i flussi degli stranieri. Si tratta di territori ad alto grado di attrattività, in particolare per le opportunità occupazionali. Infatti se si guardano le classifiche "di tappa", ai primi posti nel settore lavoro troviamo Lazio e Lombardia che ad esempio hanno tassi di occupazione superiori alla media (60% contro 58,5%) in compagnia del Molise. Lazio e Lombardia (insieme alla Toscana) spiccano anche nel capitolo che comprende parametri riguardanti il contributo della componente straniera al sistema socio-economico regionale (come la quota degli imprenditori stranieri, pari a oltre il 10% contro una media nazionale dell’8%). Il Lazio entra poi nel terzetto di punta nella graduatoria sull’istruzione. Qui c’è la sorpresa di due regioni con un basso assorbimento di stranieri e che nell’indice finale non brillano: Valle d’Aosta e Sardegna, ma la prima, ad esempio, ha una buona percentale di immigrati con alti titoli di studio. La Lombardia - che nell’istruzione esce penalizzata per la bassa performance sulla quota di iscritti ai licei - è prima nella sanità, forte del proprio sistema ma anche dall’alto tasso di natalità tra gli immigrati, segno della presenza di una popolazione mediamente più giovane. Sugli altri due capitoli ecco un’Italia più divisa in due. Nel radicamento sul territorio spiccano tre regioni montane (Piemonte, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta) grazie alle buone performance in parametri quali alunni nati in Italia, acquisizione di cittadinanza, promossi al test di italiano; in fondo invece ecco Basilicata, Sardegna e Calabria, penalizzate da una migrazione più recente che limita, di conseguenza, le acquisizioni di cittadinanza e la presenza a scuola di seconde generazioni. Infine nel settore criminalità (che include parametri quali tasso di delittuosità degli stranieri o il trend) il Mezzogiorno si prende una rivincita (con Molise, Calabria e Campania in testa) grazie soprattutto al basso numero di detenuti stranieri sul totale della popolazione penitenziaria (tra il 10 e il 15% contro il 50% rilevato al Nord) o il calo del tasso di delittuosità dal 2007 al 2011. Ma è probabile che anche in questo ambito (la criminalità) siano ancora i fattori economici, l’appealing di un territorio o l’efficienza della giustizia a "calamitare" o scoraggiare fenomeni delittuosi. Droghe: Della Vedova "guerra alle droghe sintetiche", l’altro fronte di mr. legalizzazione di Alessia Gozzi Il Giorno, 27 luglio 2015 "Un nemico assoluto e letale, da combattere con ogni mezzo". Benedetto Della Vedova, sottosegretario agli Esteri e promotore della legge per la legalizzazione della cannabis, dichiara guerra a ecstasy e droghe sintetiche. "Rafforzare il contrasto e la prevenzione, dirottando risorse risparmiate dalla repressione alle droghe leggere" è secondo lui la strategia più razionale. Al netto dell’emotività e della demagogia che, da sempre, minano il dibattito italiano sul tema. Il manager del locale di Riccione dove un 16enne è morto per colpa di una pasticca si è dimesso, lanciando un grido d’allarme: non ci sono abbastanza strumenti legislativi. È così? "Gli strumenti repressivi e di contrasto ci sono, ma vanno rafforzati. Partendo, ad esempio, dal potenziamento della classificazione delle nuove sostanze. E cioè dal sistema d’allerta rapido europeo che individua le nuove molecole sintetizzate, le quali vengono poi inserite nella tabella delle sostanze proibite secondo la legge 309 sulla droga. Solo nel 2014 sono state censite 101 nuove sostanze, erano 80 nel 2013, fino al 2009 non superavano le 20 all’anno. Numeri che evidenziano un mercato complicato e in continua evoluzione". E poi c’è il web, dove vengono vendute indiscriminatamente sostanze difficili da controllare... "Bisogna aumentare l’attività repressiva su Internet, che è un mercato in espansione. Ma anche andando alla fonte: ad esempio, stringendo accordi con i Paesi asiatici come Cina e India, per bloccare all’origine il traffico di sostanze. E, poi, sono fondamentali le campagne di sensibilizzazione e dissuasione: bisogna far capire bene ai giovani che si tratta di veleni che possono essere letali al primo uso, anche perché si tratta di sostanze non controllate". Si invocano più controlli anche nei locali, ma le forze dell’ordine non abbondano certo di risorse... "Uno degli obiettivi del disegno di legge sulla cannabis è proprio quello di regolamentarne il consumo per liberare risorse da concentrare sul contrasto delle droghe pesanti. Inoltre, una parte dei proventi della tassazione sarebbe destinato a un fondo per le campagne di prevenzione". Non si rischia di incentivare in generale il consumo di droghe? "La cannabis va regolata ma, comunque, disincentivata. Renderla legale significa anche isolare il consumo delle droghe pesanti, un male assoluto che va combattuto senza nessun tipo di attenuante. Se tutto è illegale, passa il concetto che tutte le droghe sono uguali. Ma non è così. Dunque, bisogna separare nettamente i mercati". Il dibattito si riaccende, sempre, sull’onda dell’emotività dopo qualche evento tragico. "Il tema va affrontato dal punto di vista tecnico-scientifico. Penso che nell’opinione pubblica e in Parlamento ci sia un ampia convergenza su questo". Il disegno di legge sulla cannabis a che punto è? "È già stato presentato alla Camera con 220 firme di deputati. Contiamo di far partire l’esame in Commissione dopo l’estate". Nuovo braccio di ferro tra Italia e India sui marò di Luigi Fantoni Il Messaggero, 27 luglio 2015 New Delhi ha deciso di dare battaglia nell’udienza del 10 agosto al Tribunale internazionale del diritto del mare (Itlos) di Amburgo, quando sarà esaminata la richiesta italiana di misure cautelari a favore dei marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati di aver ucciso due pescatori keralesi nel febbraio 2012 mentre erano in servizio antipirateria a bordo della petroliera Enrica Lexie. Secondo la stampa indiana, nella seduta che durerà due giorni l’India contesterà la competenza del tribunale ad occuparsi del caso, si opporrà alle misure cautelari (il rientro di Girone in Italia, la permanenza di Latorre in patria) e rivendicherà la sua giurisdizione sulla vicenda. In serata è arrivata la reazione da Roma. "L’Italia farà valere con determinazione le sue ragioni nell’intento di addivenire ad una soluzione positiva della vicenda", hanno fatto sapere fonti della Farnesina, dove si ricorda che la procedura arbitrale avviata dall’ Italia ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare è vincolante per l’India, che ha già comunicato la nomina del proprio arbitro nei termini e nei tempi previsti. In una dichiarazione al quotidiano The Hindu, l’Additional Solicitor General indiano P.S. Narshima ha rivelato la strategia del suo governo. "Davanti all’Itlos - ha spiegato il magistrato - noi sottolineeremo che solo l’India ha la giurisdizione per processare i reati commessi nel Paese e che il Tribunale non può interferire in questo". "L’India - ha aggiunto - sosterrà anche che l’Italia non ha esaurito tutte le procedure locali a disposizione, un requisito necessario prima di presentare istanze all’organismo di Amburgo". Infine New Delhi obietterà che "non vi sono circostanze stringenti tali da richiedere qualsiasi adozione di misure provvisorie" nel caso che coinvolge Latorre e Girone. Tuttavia, al di là delle precisazioni della Farnesina, anche altre fonti interpellate a New Delhi tendono ad escludere l’ipotesi che l’India possa contestare "a priori" il diritto del Tribunale di Amburgo di esaminare l’istanza italiana. Aderendo alla Convenzione Unclos infatti, entrambi i Paesi accettano come vincolante l’azione sia della Corte permanente di arbitrato (Cpa), derivante dalla sezione VII, sia dell’Itlos. La stessa sentenza che il Tribunale di Amburgo emetterà dopo le udienze del 10 e 11 agosto avrà una prima parte in cui i giudici ribadiranno (o no) la loro competenza a trattare la questione, e poi una seconda di verdetto sulle richieste italiane. È molto probabile quindi che l’India ripeterà tutte le osservazioni anticipate dall’Additional Solicitor General nell’intervista a The Hindu. Anche se non sono da escludersi sorprese da parte indiana, perché in generale non è prassi comune che una parte espliciti in anticipo la strategia difensiva, perdendo così l’effetto sorpresa. Nel complesso insomma la sensazione degli analisti a New Delhi è che l’India non stia facendo resistenza all’iniziativa presa dall’Italia presso la Corte permanente di arbitrato dell’Aja, per cui i tempi usualmente previsti per questo tipo di procedure dovrebbero essere rispettati. Nella storia dei contenziosi internazionali, peraltro, solo Cina e Russia, per ragioni diverse, hanno manifestato resistenze agli organi giudiziari internazionali, non l’India. Sconcerto e stupore per la decisione della giustizia indiana sono stati espressi dal presidente della commissione Difesa della Camera, Francesco Saverio Garofani. "Massimo sostegno all’azione del governo del nostro Paese e condivisione per la decisione della Farnesina di far valere le sue ragioni per giungere ad una soluzione positiva della vicenda dei due fucilieri. Sono certo che questa azione troverà pieno sostegno in parlamento", conclude Garofani. Siria: appello del Papa per la liberazione Padre Dall’Oglio, rapito 2 anni fa Agi, 27 luglio 2015 "Tra qualche giorno ricorrerà il secondo anniversario da quando, in Siria, è stato rapito padre Paolo Dall’Oglio". Lo ha ricordato Papa Francesco dopo l’Angelus. "Rivolgo - ha detto - un accorato e pressante appello per la liberazione di questo stimato religioso. Non posso dimenticare anche i Vescovi Ortodossi rapiti in Siria e tutte le altre persone che, nelle zone di conflitto, sono state sequestrate". "Auspico - ha poi concluso il Pontefice - il rinnovato impegno delle competenti Autorità locali e internazionali, affinché a questi nostri fratelli venga presto restituita la libertà. Con affetto e partecipazione alle loro sofferenze, vogliamo ricordarli nella preghiera". Pakistan: riprese impiccagioni dopo la fine del Ramadan, sono 181 da dicembre Ansa, 27 luglio 2015 Dopo la sospensione decretata per rispetto del mese santo del Ramadan, le esecuzioni delle condanne a morte sono riprese oggi in Pakistan con l’impiccagione di due detenuti nel carcere di Multan (provincia del Punjab). Lo hanno reso noto fonti carcerarie pachistane. Una moratoria sulle esecuzioni di detenuti nel braccio della morte era in vigore dal 2008, ma il premier Nawaz Sharif ha deciso di revocarla dopo il cruento attentato ad una scuola militare del dicembre 2014 che ha causato oltre 140 vittime, quasi tutti studenti. Così dal 15 dicembre 2014 al 15 giugno 2015 179 detenuti sono stati messi a morte per impiccagione, a cui vanno aggiunti i due giustiziati oggi. Stati Uniti: chiusura Guantánamo; 64 prigionieri in altre carceri, Repubblicani contrari Agi, 27 luglio 2015 L’annunciato piano di chiudere Guantánamo, entrato finalmente nelle "fasi finali" dopo solo 6 anni e 6 mesi dalla solenne promessa di chiudere il campo di detenzione ribadita da Barack Obama il giorno del suo insediamento a gennaio del 2009, presenta, nonostante l’ottimismo ostentato dalla Casa Bianca, gli stessi ostacoli che finora hanno bloccato l’operazione. Alcuni dei detenuti, 64, troppo pericolosi per essere rilasciati, dovrebbero essere trasferiti in carceri sul suolo statunitense. Proprio ciò che l’allora minoranza e attuale maggioranza repubblicana al Congresso non vuole. Lo ha annunciato il consigliere presidenziale per l’antiterrorismo, Lisa Monaco. Delineando il testo della proposta di Obama che presto sarà inviata al Congresso, Monaco ha chiarito che dei 116 detenuti ancora a Guantánamo, 52 saranno trasferiti in altri Paesi. I 64 rimanenti saranno trasferiti in prigioni di massima sicurezza (Supermax) o in carceri militari.