Giustizia: Orlando; gli "Stati generali"? per superare luoghi comuni e approcci ideologici di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 15 luglio 2015 Signor ministro, il tassista che mi ha accompagnato al ministero mi ha chiesto: "Mi spiega perché mai il processo a Berlusconi sulla corruzione dei senatori deve finire con la prescrizione se c'è stata una sentenza di condanna in primo grado? Che sistema è mai questo?". Risponda lei al tassista. "Perché la sentenza di primo grado non è definitiva e, se è giusto che si tenga conto che c'è stato un primo accertamento della responsabilità e quindi un rafforzamento della pretesa punitiva dello Stato, è altrettanto giusto che l'imputato non resti appeso all'incertezza, per chi sa quanto tempo, fino alla sentenza definitiva. Il meccanismo ipotizzato dal governo con la riforma della prescrizione all'esame del Senato parte proprio dall'esigenza di contemperare queste due esigenze. Chi vorrebbe interrompere la prescrizione dopo la condanna di primo grado non tiene conto che fino all'appello, così com'è organizzato oggi, passa molto tempo e lo Stato non ha il diritto di tenere l'imputato sospeso all'infinito. Questo obiettivo si potrà porre quando avremo reso il processo penale più funzionale nel suo insieme". Mi scusi, lei è del Pd che aveva presentato proprio una riforma per interrompere la prescrizione dopo la condanna di primo grado. Evidentemente non la riteneva una proposta così poco garantista per l'imputato… "No, ma anche altre forze politiche hanno presentato proposte, diverse. E anche magistrati e avvocati penalisti hanno idee divergenti. Era giusto tenerne conto. Abbiamo trovato un equilibrio che considero buono". La corruzione - con la sua pervasività nella Pa - è una minaccia terribile per l'economia. L'efficacia della repressione penale dipende dalla capacità del sistema di arrivare a una sentenza definitiva, tallone d'Achille dell'Italia. Perciò gli organismi internazionali hanno sempre considerato prioritaria la riforma strutturale della prescrizione. Eppure, il governo è partito con un profilo basso, salvo recuperare terreno sull'onda di vicende giudiziarie eclatanti, inserirsi nell'iter parlamentare già avviato, ma scartando proposte strutturali più efficaci sul modello di altri Paesi europei. Si è puntato un'altra volta sull'aumento delle pene, come con la legge Severino, per "raddoppiare" la prescrizione di alcuni reati di corruzione. Lei è davvero soddisfatto di questa soluzione o la considera un "vorrei ma non posso" frutto dell'infinita transizione politica italiana? "Il problema della prescrizione per i reati contro la Pa lo considero stra-risolto. È difficile guardare ad altri Paesi senza tener conto delle rispettive specificità. La mediazione raggiunta tiene conto del rafforzamento della pretesa punitiva dello Stato senza scaricare addosso all'imputato l'inefficienza del sistema. Per i reati di corruzione abbiamo costruito un sistema in cui è improbabile che scatti la prescrizione grazie al combinato disposto della sospensione per tre anni, degli aumenti di pena e del riconoscimento della specificità di alcuni di questi reati. Se non si riesce a fare un processo in 18 o 22 anni. Dopodiché, anche questa norma andrà sottoposta al vaglio dei fatti. Io credo che con questa riforma non ci saranno più prescrizioni per i reati contro la Pa. Verificheremo e valuteremo". Avete tenuto conto della specificità "solo" di alcuni reati, tra cui non rientra, ad esempio, la pur grave "induzione indebita", figlia dello spacchettamento della concussione. "È un punto ancora aperto. Abbiamo riconosciuto la specificità di reati che hanno una struttura pattizia. L'induzione è un ibrido. Ne stiamo discutendo, anche se è stata aumentata la pena e quindi la prescrizione". Al congresso di Md lei disse che non avrebbe mai voluto fare una riforma organica del diritto penale con una maggioranza così eterogenea come quella che governa, eppure, con il ddl sul processo penale, state mettendo mano a materie delicatissime, dal processo, al carcere, alle intercettazioni. C'è da preoccuparsi dei risultati? "Ho detto che non avrei mai voluto fare una riforma del Codice penale perché lo considero la tavola del grado di riprovazione che una società esprime verso certe condotte, in un certo momento storico. Perciò si scontrerebbero visioni diverse: per esempio tra chi ritiene più gravi i reati di corruzione e chi quelli di strada… Sulle intercettazioni il discorso è diverso: credo si possa essere d'accordo che sono uno strumento per accertare la verità processuale. Quindi, non bisogna pregiudicare le intercettazioni come mezzo di indagine, ma bisogna che le intercettazioni siano quanto più possibile strumento di indagine. Su questo è più facile trovare un accordo che su altri temi". Però, l'Ncd, pur facendo parte del governo e avendo approvato il ddl di riforma del processo penale, ora chiede modifiche che scardinano l'impianto del governo… "Le distanze di partenza non sono necessariamente un male, la ricerca di un compromesso sta sempre nell'azione del buon legislatore. Basta ricordarsi che le proposte sono di tutto il governo". I compromessi, però, spesso producono norme qualitativamente non buone. Pensi alla confusione che hanno creato nelle aule di giustizia lo spacchettamento della concussione e il reato di traffico di influenze. Le riapproverebbe quelle norme? "Non esiste la verità assoluta. Affrontiamo i problemi con più laicità. Non esiste l'archetipo della norma perfetta. L'altro giorno, un famoso processual-penalista mi ha elogiato proprio per la frase che dissi al congresso di Md. L'idea della norma pura si scontra con l'attuale forma di governo parlamentare. Le norme più chiare erano frutto di correnti di pensiero più strutturate, di forze politiche più omogenee e di un'opinione pubblica meno frammentata nelle istanze fondamentali. Tant'è che ci si poteva permettere anche il lusso del bicameralismo perfetto. Oggi, l'idea di tornare a una stagione in cui non è necessaria la ricerca estenuante del compromesso, è un'illusione. Questo mondo è più complicato e fare le leggi è più complicato. Oggi c'è frammentazione tra e nelle forze politiche e questo mette di più l'accento sulla mediazione e produce, purtroppo spesso, una qualità normativa peggiore. Per migliorarla, nelle condizioni date, l'intervento più efficace è superare il bicameralismo". La pubblicazione delle conversazioni Renzi-Adinolfi incideranno sui tempi e sui contenuti della riforma delle intercettazioni? "No, confermo che non ci sarà alcuno stralcio dal ddl sul processo penale, che prima delle vacanze estive potrebbe essere approvato in prima lettura. Sui contenuti non faccio anticipazioni. Mi riservo di esplicitare l'idea che ho in testa dopo l'approvazione della Camera". Dopo un anno di governo della giustizia, la spinta maggiore c'è stata sul civile e - anche se la riforma del processo è ancora alle prime battute - si vedono i primi risultati, per esempio sul fronte Tribunale delle imprese. Nel suo tour europeo ha percepito maggiore fiducia nell'efficienza del sistema italiano? "Sì. In fondo abbiamo scoperto l'acqua calda. Le misure approvate e in corso di approvazione sono le stesse di altri ordinamenti: strumenti stragiudiziali, specializzazione dei magistrati, innovazione tecnologica, disincentivi a liti temerarie. Così ci allineiamo alle buone prassi europee. E possiamo già produrre qualche numero significativo. Quanto alla riforma del processo, con il decreto sulla degiurisdizionalizzazione abbiamo già inciso su alcuni passaggi fondamentali". Possiamo parlare di una giustizia meno respingente? "Abbiamo cominciato a scollinare. Saremo totalmente fuori dal rischio regressione quando avremo risolto i problemi della carenza di personale amministrativo e della sua riqualificazione". Da Catania chiedono rinforzi speciali per far fronte all'emergenza migranti; a Milano lanciano l'allarme sul rischio di "paralisi" dell'attività giudiziaria, compresi i servizi minimi: in Corte d'appello, su un organico di 228 unità, sono in servizio 167 persone, con una scopertura del 27%, che a fine 2015 salirà al 37%. Lei continua a parlare di mobilità e di assunzioni, ma il personale continua a diminuire. Realisticamente, che cosa può impegnarsi a fare e in che tempi? "1.031 persone entreranno nei ruoli del personale amministrativo a settembre, per gli altri 2.000, considerati i tempi tecnici, credo sia realistico che tra la fine di quest'anno e l'inizio del 2016 possano entrare in ruolo. È comunque il più grande intervento degli ultimi 25 anni. Poi ci sarà la riqualificazione del personale che in questi anni ha tirato la carretta. In sede di conversione del decreto sulle sofferenze bancarie presenteremo misure che vanno in questa direzione". Sul sovraffollamento carcerario siamo usciti dall'emergenza ma molto resta da fare. Pensa davvero che gli Stati generali sull'esecuzione penale serviranno a costruire una cultura diversa da quella imperante e una riforma della pena condivisa? "Non faccio l'ingenuo. Non immagino certo di rovesciare un senso comune radicato da anni ma spero che con gli Stati generali si faccia giustizia di tanti luoghi comuni e approcci ideologici. Sono ottimista sulla base di alcuni dati: grazie allo stimolo di Strasburgo c'è già stata una produzione di interventi riformisti, che ora vanno sistematizzati; ci sono grossi margini di miglioramento sul fronte organizzativo; sta emergendo la contraddizione, tutta italiana, di spendere 3 miliardi di euro l'anno per il carcere continuando ad avere il più alto tasso di recidiva. Il nostro sistema non solo è lontano dal dettato costituzionale ma, a fronte di questo sacrificio, non ha neanche garantito la sicurezza". Un'altra riforma "pesante" ancora da fare è quella del Csm. Ha già in mente un possibile impianto? "Sì. Io credo sia necessaria una legge elettorale che limiti i criteri di appartenenza alle correnti ma non agevoli la creazione di feudi elettorali. Inoltre, riterrei opportuna una Sezione disciplinare separata, i cui componenti siano distinti da quelli che si occupano delle funzioni amministrative. È probabile che sia necessario un più alto numero di consiglieri ma a parità di costi. Infine, la legge dovrà garantire anche le pari opportunità. Questa consiliatura ha solo due donne". A proposito di parità di genere, Il Csm, d'intesa con il ministero, sta mettendo a punto la riforma della dirigenza, cruciale per la scelta dei capi degli uffici, centinaia dei quali dovranno essere nominati entro l'autunno. Il testo messo a punto penalizza fortemente le donne magistrato, sebbene siano la metà dell'organico e siano destinate a crescere. È vero che lei ha scritto al Csm segnalando questo aspetto? "Sì e sono contento che questo nostro rilievo sia stato valorizzato dall'Associazione donne magistrato. Anche questo deve diventare un punto caratterizzante la riforma della giustizia". I casi Ilva e Fincantieri hanno fatto riesplodere il conflitto giudici-imprese e riproposto il tema delle "compatibilità economiche" delle decisioni giudiziarie. Lei ritiene che i giudici debbano farsi carico dell'impatto delle loro decisioni, anche quando sono in ballo diritti fondamentali, come quello alla salute? "Non generalizzerei: Monfalcone non è Taranto. Taranto è il frutto della difficoltà di riportare una struttura industriale all'interno della normativa ambientale attuale, Monfalcone è un intervento su un singolo segmento di attività industriale. Detto questo, non è un'opinione che il giudice si deve far carico dell'impatto delle sue decisioni, perché la legge prevede la proporzionalità dell'intervento cautelare. La legge dice che deve tener conto di come impatta la sua decisione. Ma la domanda è: il magistrato ha tutti gli strumenti? Non sempre la risposta è sì. Quindi, credo che le strade da percorrere siano due: formazione e specializzazione". Nei due casi citati c'è stata questa proporzionalità, secondo lei? "Ogni vicenda va vista caso per caso. Io dico solo che per garantire maggiore congruità, gli antidoti sono quelli. La riforma della geografia giudiziaria, che può sembrare meramente organizzativa, è il presupposto fondamentale per realizzare questa condizione perché piccoli uffici che si devono occupare di tutto rischiano di farlo superficialmente. Non è il caso, naturalmente, di Taranto e di Monfalcone dove c'è una consapevolezza dei temi industriali e ambientali di lunga data". Giustizia: Franco Corleone "a 100 giorni da legge ancora nessun Opg ha davvero chiuso" Ansa, 15 luglio 2015 "Nessun ospedale psichiatrico giudiziario ha ancora di fatto chiuso e molte regioni non hanno strutture alternative. In Toscana stiamo aspettando la realizzazione della Rems nell'ex manicomio di Volterra. Il problema è che tutte le regioni italiane hanno giocato al rinvio, così sono arrivate impreparate al 31 marzo, quando gli Opg avrebbero dovuto chiudere. Oggi è illegittimo tenere aperta una struttura che avrebbe dovuto essere chiusa già da 100 giorni ed è altrettanto illegittimo l'internamento in quella struttura". Lo ha detto il garante dei detenuti della Toscana Franco Corleone in occasione di un convegno dal titolo "La chiusura dell'Opg di Montelupo alla prova dei cento giorni", che si svolge oggi in Consiglio regionale. Secondo il garante l'unico Opg ad aver chiuso "è quello di Castiglione delle Stiviere che però è stato trasformato in 6 Rems. Ora accoglie 250 persone ed è un piccolo manicomio". Il rischio, ha detto ancora Corleone, "è che si sia pervasi da una forma di assuefazione e che la legge di chiusura degli Opg non sia un termine perentorio ma indicativo e che possa essere violato senza conseguenze". Unico dato positivo rilevato dal garante regionale è che "rispetto ai 1300 internati di due anni fa oggi sono 500 in tutta Italia". Corleone ha anche reso noto che domani, sempre in Consiglio regionale, si terrà una riunione dei garanti regionali e territoriali dei detenuti, provenienti da tutta Italia. Giustizia: Opg Montelupo, 58 internati fanno ricorso al magistrato per sequestro di persona di Jacopo Storni Redattore Sociale, 15 luglio 2015 Istanze presentate dai detenuti insieme all'associazione L'altro diritto e al garante dei detenuti Corleone al magistrato di sorveglianza affinché si pronunci sull'illegittimità della detenzione dei pazienti oltre il 31 marzo del 2015. L'internamento negli Opg oltre il 31 marzo 2015 è illegittima. È quanto dicono 58 detenuti dell'Opg di Montelupo nell'ambito del convegno "La chiusura degli Opg alla prova dei cento giorni" in corso a Firenze. I reclusi hanno presentato istanza, insieme al garante dei detenuti toscano Franco Corleone e all'associazione L'altro diritto, alla magistratura di sorveglianza affinché si pronunci su "una gravissima violazione dell'articolo 13 della Costituzione che garantisce la libertà personale dei cittadini". È proprio l'associazione L'altro diritto che sta investendo della questione la magistratura di sorveglianza fiorentina, a seguito delle richieste di numerose internati dell'Opg di Montelupo Fiorentino, che denunciano l'illegittimità della propria detenzione. Oggi l'associazione sta aiutando gli internati a scrivere le istanze al fine di ricorrere al giudice per far valere la violazione dei loro diritti a seguito di inosservanza di norme da parte dell'amministrazione penitenziaria. Il garante Corleone ritiene che continuare a trattenere gli internati negli Opg potrebbe configurare un'ipotesi di sequestro di persona e chiede che la magistratura si esprima in tempi brevi e la Regione Toscana, relativamente all'Opg di Montelupo, fornisca risposte coerenti e metta fine a questa "gravissima situazione". Giustizia: il caso dei pazienti dell'Opg, ancora internati nonostante la nuova legge di Elena Marmugi La Nazione, 15 luglio 2015 Il Garante regionale dei detenuti pone l'accento sul problema dell'ospedale psichiatrico giudiziario. Che doveva essere chiuso l'1 aprile. "Ultimi e senza diritti". Non è un tentativo di suscitare pietà, quella del dott. Franco Corleone, garante regionale dei diritti dei detenuti, è piuttosto e soprattutto, una questione di diritti e di diritto, in senso stretto. Una constatazione della violazione della libertà personale, perpetrata ai danni dei pazienti internati nell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo. La struttura, infatti, dal 1 aprile 2015, per legge, non è più il luogo deputato ad accogliere le persone che hanno commesso un reato e sono state considerate incapaci di intendere e volere. Gli 85 pazienti, però, sono ancora internati nell'Opg, invece di essere affidati, sempre secondo la legge, alle Residenze per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza (Rems), dove personale sanitario specializzato dovrà occuparsi della cura e non della custodia degli ospiti, senza polizia penitenziaria all'interno e senza un direttore appartenente all'amministrazione penitenziaria. Ieri mattina, a margine della presentazione del libro "L'abolizione del manicomio criminale tra utopia e realtà", a cura della Fondazione Giovanni Michelucci garante dei diritti dei detenuti della Toscana, l'associazione L'altro Diritto Onlus, presieduta dal professor Emilio Santoro, che segue la vicenda dell'Opg, ha manifestato seria preoccupazione in merito all'illegittimo internamento dei pazienti: "La discussione riguarda la libertà personale: ci troviamo davanti alla violazione dell'articolo 13 della Costituzione - spiega Santoro - per questo come associazione abbiamo incontrato, all'interno dell'Opg, gli 85 internati, 58 dei quali hanno firmato il ricorso ex art. 35 bis dell'Ordinamento penitenziario per chiedere di porre fine a questa violazione che non deve essere trascurata perché altrimenti verrebbero messi in discussione i fondamenti della civiltà occidentale e le garanzie dei nostri diritti". A seguito delle richieste dei pazienti, l'Altro diritto sta investendo della questione la magistratura di sorveglianza fiorentina anche al fine di sollecitare la Regione a fornire risposte coerenti in tempi brevi. "La Rems, individuata nell'ex manicomio di Volterra, di fatto non è pronta per il trasferimento dei pazienti - ha aggiunto Corleone - e non lo sarà fino ad agosto, secondo quanto stabilito dalla Regione Toscana, perché è necessario costruire una rete di recinzione. Fino ad allora rischiamo il protrarsi di questa grave situazione di illegalità". Giustizia: Raffaele Cantone "il Piano Nazionale Anticorruzione pronto entro fine ottobre" di Roberta Giuliani Il Sole 24 Ore, 15 luglio 2015 Pronto a fine ottobre un nuovo piano nazionale anticorruzione "più snello, meno burocratico" per le amministrazioni che dovranno aggiornare i propri piani entro gennaio 2016. Ad annunciarlo è il presidente dell'Anac Raffaele Cantone, in occasione del primo incontro nazionale con i responsabili della prevenzione della corruzione al quale hanno partecipato il direttore di Bankitalia Ignazio Visco e il presidente dell'Anci Piero Fassino. "In questo primo anno - ha affermato Cantone - abbiamo deciso di non aggiornare il piano di prevenzione, ma dalla riunione di oggi ci aspettiamo contributi per arrivare entro la fine di ottobre all'approvazione del nuovo piano, in modo che tutti gli enti potranno averlo come riferimento per i propri piani di prevenzione che devono esser presentati entro gennaio 2016". Il presidente dell'Autorità ieri ha voluto ricordare il primo anniversario dell'Anac. "Il 14 luglio del 2014 si è costituita l'Autorità nazionale anticorruzione: per noi oggi è un giorno particolare. È un piccolo momento di presa della Bastiglia, perché crediamo che è con la prevenzione che si possono raggiungere risultati. Va rafforzato il ruolo dei responsabili della prevenzione, anche attraverso modifiche normative". Fari puntati dunque sulla prevenzione e sui piani che gli enti devono predisporre: "bisogna creare una rete italiana della prevenzione della corruzione" nella quale i responsabili che operano nei singoli enti sono un tassello fondamentale. Per questo "serve un rafforzamento del loro ruolo. Il responsabile anticorruzione deve essere autonomo rispetto all'organo di indirizzo politico. Non può essere un soggetto assunto a termine. Deve avere la schiena dritta. E deve essere un interno, competente rispetto alle dinamiche della Pa, non un soggetto calato dall'esterno", ha detto Cantone. Riguardo ai piani anticorruzione che gli enti devono adottare, per ora "non sono risultati entusiasmanti", ha detto Cantone, ribadendo che spesso "vengono fatti con una logica burocratica e con la tendenza a sminuire i rischi". E anche in ritardo. Il comunicato pubblicato il 13 luglio scorso è proprio rivolto agli enti, soprattutto società e organismi partecipati in controllo pubblico, inadempienti con gli obblighi di aggiornamento annuale dei Ptpc (si veda l'articolo pubblicato sopra). Ma arrivano anche piccoli segnali incoraggianti, in particolare, sostiene Cantone, "vengono da un maggior contributo dei Comuni in materia di trasparenza". In questo ultimo anno, sottolinea ancora Cantone, "non ho mai trovato ostacoli ma anzi un grande ascolto non solo da parte del Governo ma anche dal Parlamento e concreti aiuti". Per Cantone, nella prevenzione alla corruzione, "sono necessarie le sinergie istituzionali" e "riteniamo che l'Anci è un interlocutore privilegiato" (si veda l'articolo pubblicato sotto). L'obiettivo del nuovo piano nazionale anti corruzione "sarà veramente un piano di discontinuità". Gli effetti veri della corruzione, osserva il presidente dell'Anac, "sono quelli indiretti. Il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, ha ragione quando dice che la corruzione è uno strumento che mette in discussione l'attività economica. Mette in discussione la concorrenza, favorisce la fuga di cervelli...". Nessuno nega, rileva il presidente dell'Anac, che "la corruzione è dilagante anzi si può dire che è sistematica" ma "ci sono stati piccoli risultati, alcuni anche non visibili, che ci fanno pensare che le cose si muovono". Qualche tempo fa, osserva Cantone, "nessuno avrebbe scommesso che l'Expo sarebbe partita davvero il primo maggio". Dopo gli interventi "non ci sono stati alcuni rilievi dal punto di vista giudiziario" il che "è un segnale che quando ci sono le condizioni le cose vanno in modo diverso". Giustizia: Visco (Banca d'Italia) "la legalità problema enorme, il ruolo dell'Anac cruciale" di Marco Ludovico Il Sole 24 Ore, 15 luglio 2015 In Italia "c'è un problema enorme, con un impatto economico finanziario oltre che civile molto significativo": è senza dubbio alcuno la "corruzione" e lo "stato della legalità". Lo ha affermato ieri il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, ma ha aggiunto una speranza: l'Anac, autorità nazionale anticorruzione, è stata in grado di "assumere in breve tempo un ruolo cruciale". Osserva il governatore: "Spesso all'estero mi chiedono delle riforme fatte in Italia e io dico che l'Autorità anticorruzione è una delle nostre riforme". Visco ha osservato che "l'esperienza positiva fatta in altri Paesi con autorità con poteri adeguati si è dimostrata essenziale per combattere con efficacia la corruzione che ha effetti diretti e indiretti sui comportamenti". A suo giudizio "la lotta alla corruzione in Italia è fondamentale anche per aspetti macroeconomici: il benessere collettivo di un Paese e la stabilità finanziaria ne sono influenzati". Il governatore di Bankitalia ha aggiunto che "la qualità della legislazione, le regole preposte all'attività di impresa, la legalità sono determinanti per la potenzialità di crescita delle imprese". La Banca d'Italia, ha ricordato Visco, da tempo sta misurando la rilevanza e l'impatto economico della criminalità organizzata. Dall'analisi emerge che "l'impatto più significativo non è tanto nel valore di quanto è prodotto attraverso di essa ma quanto non viene prodotto a causa di essa". La mafia, insomma, non solo crea disvalore ma anche assenza o carenza di valore produttivo. "Il prodotto è diminuito da comportamenti che impediscono la crescita della produttività" in molte regioni del Paese. Dal canto suo il presidente dell'Anac, Raffaele Cantone, ha annunciato: "Puntiamo ad avere entro fine ottobre l'approvazione del piano nazionale anticorruzione: ci aspettiamo collaborazione". Il termine è stato indicato dal presidente Cantone al primo incontro nazionale con i responsabili prevenzione della corruzione degli enti. "Sulla base del piano nazionale gli enti potranno presentare i propri piani anticorruzione entro gennaio 2016" ha aggiunto. Sarà un piano nazionale di prevenzione della corruzione "più snello, meno burocratico. In questo primo anno - ha sottolineato il numero uno dell'Anac - abbiamo deciso di non aggiornare il piano di prevenzione, ma dalla riunione di oggi (ieri per chi legge, ndr) ci aspettiamo contributi per arrivare entro la fine di ottobre all'approvazione del nuovo piano, in modo che tutti gli enti potranno averlo come riferimento per i propri piani di prevenzione". Spunta così, a margine della riunione, il tema delle Olimpiadi 2024 e la candidatura di Roma. Secondo Cantone, rinunciare "per il rischio corruzione sarebbe una sconfitta per il Paese". Certo, Roma ha visto l'inchiesta Mafia capitale e in teoria - ma è solo un'ipotesi finora del tutto virtuale - c'è il rischio che il Campidoglio possa essere sciolto per infiltrazione mafiosa. Ma, sostiene il presidente dell'Anticorruzione, "uno stato serio mette in funzione gli anticorpi. Si può rinunciare alle Olimpiadi per motivi economici ma rinunciare per il rischio di corruzione sarebbe una sconfitta". Poi aggiunge: "Ovviamente non possiamo sottostimare i rischi e mettere prima i meccanismi di tutela anche perché oggi non ci sono più scuse". Il caso Expo del resto è ancora sotto gli occhi di tutti. All'incontro è intervenuto anche il presidente dell'Anci, Piero Fassino. "L'abuso d'ufficio per un sindaco è come una contravvenzione per un camionista: può capitare ogni giorno" ha sostenuto. Poi Fassino fa notare che "alcune norme della Severino vanno riviste, rischiano di essere penalizzanti" e "vanno modificate" a suo avviso anche le disposizioni su "inconferibilità e incompatibilità degli incarichi". Più in generale, sulle norme che regolano la Pa e la riforma in atto, Fassino si è espresso a favore del "freezing", che vieta di assumere un incarico quando se ne è appena concluso un altro. "Ma trovo invece che sia priva di senso - ha aggiunto - la norma che non permette a chi è andato in pensione di essere utilizzato nella Pa: è una dispersione di competenze e conoscenze. Semmai bisognerebbe prevedere che questi incarichi siano a titolo gratuito. Sono misure prive di senso e il legislatore dovrebbe usare invece buon senso". Giustizia: nel ddl su riforma del processo penale ascolti più facili per i reati di corruzione di Liana Milella La Repubblica, 15 luglio 2015 Intercettazioni "semplificate" per scoprire con più facilità chi commette un reato di corruzione. Grande sponsor, anche in una forma più drastica e decisa di quella che il Parlamento potrebbe adottare, il presidente dell' Authority anticorruzione Raffaele Cantone. Montecitorio. Commissione Giustizia. Si sta per stringere sul ddl monstre del Guardasigilli Andrea Orlando, quello sulla riforma del processo penale. Relatrice la Pd, presidente della commissione, Donatella Ferranti. Nell'auletta, per il governo, il vice ministro della Giustizia Enrico Costa. Sul tavolo il nodo delle intercettazioni che restano sempre l'incubo della politica. Destinate a dividere i partner della maggioranza, mai a vederli schierati assieme. Stavolta la partita è doppia. Anche se stiamo parlando di una delega, cioè di affidare al governo la decisione finale su come dovrà essere il futuro delle intercettazioni, e in particolare di quelle che potrebbero riguardare tutti i reati di corruzione. La battaglia va avanti sin da quando, ormai un anno fa (era il 29 agosto), Orlando presentò il corposo ddl. E già allora Cantone non mancava, in tutte le interviste, di sottolineare come uno strumento necessario per combattere corrotti e corruttori fosse proprio quello di prevedere per quei reati le stesse regole che valgono per la mafia, possibilità di ottenere l'autorizzazione a mettere microspie più rapide, proroghe con tempi molto più lunghi Questo sulla base di un semplice presupposto, e cioè che se la corruzione è il "male" dell'economia italiana, al punto da costruire una potente Authority, allora bisogna adeguare gli strumenti. Ma in Parlamento è montata la protesta. Via la rigida previsione chiesta da Cantone e dai magistrati che indagano sulle mazzette. Passa una versione soft, quella di "semplificare" le procedure. Toccherà al governo dettagliare meglio. Ma adesso che siamo alla stretta finale, visto che il testo del ddl - dove ci sono anche la stretta su scippi, furti e rapine, la delega sulle intercettazioni, le nuove regole sui ricorsi in Appello e in Cassazione - dovrà essere approvato la prossima settimana, per andare in aula il 27 luglio, sale il mugugno di chi, come Ncd, ma anche dei settori più garantisti del Pd, ritiene che questa "semplificazione" sia un passo eccessivo. Impossibile dire alla fine chi la spunterà. Certo il parere di Cantone conta, soprattutto per un governo che, a ogni occasione, non fa che citare la sua nomina come massimo segnale della lotta contro la corruzione. Ma se è così, allora bisogna anche seguire le sue richieste. Giustizia: due onorevoli arrestati, tre in attesa… a metà legislatura è già un record di Marco Bresolin La Stampa, 15 luglio 2015 Prima le richieste venivano respinte, ora la tendenza è opposta. Avanti di questo passo, con questa media, tra qualche settimana il Parlamento potrebbe trovarsi con cinque membri in meno. Tre della maggioranza e due dell'opposizione. Siamo a meno di metà legislatura e la Camera ha già dato il via libera a due richieste di arresto. Due su due, in totale controtendenza con quanto succedeva fino a un paio di anni fa. Vittime di questo cambio di marcia i deputati Giancarlo Galan (Forza Italia) e Francantonio Genovese (Pd). Sono ai domiciliari o in carcere, ma ovviamente mantengono il loro scranno in Parlamento, l'indennità, ed eventuali cariche. Galan, per esempio, è ancora presidente della Commissione Cultura. E poi ci sono le richieste ancora da esaminare. Come il caso del senatore di Ncd Antonio Azzollini, che dovrà essere giudicato dall'Aula, ma per il quale la Giunta per le autorizzazioni ha già dato il via libera all'arresto. La stessa Giunta che oggi esaminerà il caso del suo collega di partito Giovanni Bilardi. Presto a Montecitorio dovranno invece esprimersi sull'arresto del deputato Carlo Sarro (Fi). Volendo potremmo pure aggiungere Silvio Berlusconi, decaduto per effetto della legge Severino, ma sempre dopo un voto dell'Aula. Nel suo caso, però, non è stato sostituito perché ha perso lo status di senatore. E pensare che fino alla scorsa legislatura il Parlamento faceva scudo ai suoi membri grazie al sistema che regola l'immunità parlamentare, riformato nel 1994 dopo Tangentopoli. Da allora, e fino al 2013, sono arrivate in Parlamento 30 richieste di arresto, ma soltanto due sono state accolte. Per il primo "sì" si è dovuto attendere fino al 2011: l'arresto di Alfonso Papa (Pdl), poi è toccato a Luigi Lusi (Pd) nel 2012. Ma è stata una legislatura particolare, con ben 12 richieste d'arresto. Tra i "salvati" Alberto Tedesco (Pd), Nicola Cosentino (Pdl), Marco Milanese (Pdl) e Sergio De Gregorio (Pdl). I segnali che arrivano dal Parlamento lasciano intendere che a questo giro sarà difficile salvarsi, anche nel segreto dell'urna (così si vota in Aula per le richieste d'arresto). "I parlamentari sono spaventati dalle reazioni dell'opinione pubblica, e allora accettano qualsiasi richiesta". L'analisi è di Aldo Giannuli, docente all'Università di Milano, ma soprattutto politologo di riferimento del M5S (Beppe Grillo ospita spesso i suoi interventi sul blog). Giannuli mette in guardia proprio i parlamentari grillini e il loro approccio iper-giustizialista. "C'è un oltranzismo eccessivo che rischia di produrre danni peggiori. Arrestando deputati e senatori le procure hanno il potere di incidere sui numeri della maggioranza, dell'opposizione e dei singoli gruppi. Sia chiaro: il numero di onorevoli inquisiti è inaccettabile e sarebbe meglio sciogliere le Camere. Ma deputati e senatori dovrebbero difendere di più l'istituzione. E invece, per lavarsi la coscienza, accettano qualsiasi richiesta per non perdere il seggio". Giustizia: "condivido le loro battaglie sulle carceri", Scajola si iscrive al Partito Radicale di Marco Menduni Secolo XIX, 15 luglio 2015 Claudio Scajola si iscrive al Partito Radicale. Una svolta? L'ex ministro spiega: "Per le battaglie sulle carceri, per le battaglie sulla giustizia, io mi sento di fare questo passo". Com'è nata la decisione di Scajola? "Domenica - racconta - sono stato intervistato da Radio Radicale, un bel colloquio sui temi della giustizia e sui temi carcerari italiani. Io ho vissuto questa realtà, dopo l'arresto per la vicenda Matacena, sono stato a Regina Coeli". Dal penitenziario nella Capitale l'ex ministro dell'Interno e delle Attività produttive è uscito dopo 35 giorni per raggiungere la sua residenza imperiese, Villa Ninina, dove ha trascorso ancora un periodo ai domiciliari. Dopo l'intervista, che è stata trasmessa più volte durante la giornata, Scajola ha ricevuto una telefonata. Dall'altro capo del filo Marco Pannella. "L'ho salutato con cordialità - spiega Scajola - perché al di là della differenza di vedute su molte questioni, gli riconosco una granitica coerenza e una grande capacità di far politica e di suscitare dibattito sui temi più rilevanti del Paese". Qual è stato il contenuto del colloquio? "Pannella mi ha spiegato la difficile situazione economica in cui versa il suo partito: due settimane fa è stato costretto a licenziare gli ultimi otto dipendenti. Marco mi ha spiegato ancora che stanno cercando di rilanciare la loro azione riformatrice attraverso una campagna per nuovi tesseramenti". È parso un invito, al quale Scajola ha aderito: "Sì, per quelle grandi battaglie, quella sulla giustizia e sulle condizioni elle carceri in Italia, io mi sono sentito di dire di sì, un sì convinto: mi iscrivo al Partito Radicale". L'ex ministro, in palese rotta di riavvicinamento con Forza Italia, non vede una contraddizione: d'altronde, il Partito Radicale ha sempre consentito il doppio tesseramento. Proprio sulla giustizia, dopo la lunga serie di disavventure che l'hanno coinvolto, l'ex ministro ha rotto gli indugi. La settimana scorsa ha incassato l'assoluzione numero undici su tredici procedimenti che l'hanno riguardato. Ne rimangono aperti due e il più importante è proprio quello relativo al caso di Amedeo Matacena, con l'accusa di aver favorito la latitanza a Dubai dell'ex parlamentare di Forza Italia condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Il processo avanza con ritmi lentissimi (fino a oggi è stato ascoltato un solo testimone) mentre l'ex ministro respinge l'accusa: "Ho solo chiesto informazioni se a questa persona spettasse un diritto costituzionalmente garantito, e null'altro". Scajola perseguitato? Sulle sue vicende, su quel che gli è accaduto in questi anni, l'ex titolare dell'Interno insiste: "Le undici assoluzioni incassate su 13 procedimenti parlano chiaro. E delle due prescrizioni, una è arrivata dopo un'altra assoluzione in primo grado (la casa di Roma, ndr), l'altra su un procedimento già prescritto prima ancora di iniziare (il caso Marco Biagi, ndr). Tutto questo qualcosa dovrà pur significare". Dopo esser stato scagionato dall'accusa di essersi procurato carte compromettenti su un ex avversario politico, Scajola ha già annunciato per settembre il suo ritorno in campo, "in una formazione che aggreghi i moderati, si chiami Forza Italia o abbia un altro nome". L'accusa di un "non reato" non integra la fattispecie della calunnia di Giuseppe Amato Il Sole 24 Ore, 15 luglio 2015 Corte di Cassazione - Sezione VI penale - sentenza 16 -24 giugno 2015 n. 26524. La Cassazione, con la sentenza della Sezione VI penale n. 26542/2015, esclude la sussistenza dell'elemento materiale del reato di calunnia (articolo 368 del Cp) nel comportamento di colui il quale, qualunque sia stato il suo proposito nell'accusare falsamente un innocente, attribuisce a questo una condotta che non corrisponde a una determinata fattispecie legale di reato. Infatti, sostiene la Corte, la calunnia è incolpazione di reati effettivi, e non di reati putativi, con la conseguenza che, se il fatto attribuito, così come descritto, non costituisce reato e integra, al massimo, un illecito deontologico o disciplinare, la configurabilità della calunnia resta esclusa. Né ha rilievo che il denunziante abbia o no indicato un preciso nomen iuris e si sia apertamente proposto di provocare l'apertura di un procedimento penale in pregiudizio dell'incolpato, avendo ravvisato, in forza di distorte ma convinte opinioni giuridiche, nell'altrui operato azioni od omissioni costitutive di reato. Respinto il ricorso - Da queste premesse, è stato respinto il ricorso avverso la sentenza che aveva mandato assolto dal reato di calunnia l'imputato, il quale si era limitato a denunziare alla Procura della Repubblica il comportamento del suo difensore che non aveva partecipato ad una camera di consiglio, senza aggiungere che tale comportamento gli aveva cagionato un qualsiasi nocumento, come il rigetto di un'istanza o il mancato conseguimento di un beneficio: cosicché, secondo la Corte, esattamente era stata esclusa la calunnia perché la accusa non corrispondeva concettualmente al paradigma normativo del reato di patrocinio infedele. L'affermazione è convincente giacché, va ricordato, ai fini della configurabilità del reato di calunnia, l'incolpazione deve riguardare un fatto che, alla stregua del contenuto narrativo della denuncia, corrisponda in ogni suo estremo ad una determinata fattispecie legale di reato. Conclusioni - Logica conseguenza è che l'assenza di un simile presupposto rende irrilevante il nomen iuris di un reato eventualmente assegnato dal denunciante al fatto addebitato all'incolpato (Sezione VI, 8 aprile 2010, Procura generale d'Appello di Perugia in processo Spezi e altro; Sezione VI, 10 marzo 2008, Esposito ed altro). Ciò che implica l'irrilevanza di un fatto che mai avrebbe potuto e potrebbe avere rilevanza penale in ragione delle soglie di punibilità che ricorrono per poter attribuire valenza penale all'omissione. Guida in stato di ebbrezza: revoca della patente con la recidiva nel biennio Il Sole 24 Ore, 15 luglio 2015 Circolazione stradale - Guida in stato di ebbrezza - Revoca della patente di guida - Recidiva nel biennio - Incidenza sul trattamento sanzionatorio penale dell'imputato - Esclusione. In tema di guida in stato di ebbrezza, la "recidiva nel biennio", prevista dall'art. 186, comma secondo, lett. c.) cod. strada, integra il presupposto per l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, in ragione del mero rilievo storico della ripetizione di una condotta illecita, senza incidere negativamente sul trattamento sanzionatorio penale dell'imputato. • Corte di cassazione, sezione IV civile, sentenza 29 aprile 2015 n. 18081. Circolazione stradale - Guida in stato di ebbrezza - Revoca della patente di guida - Recidiva nel biennio - Entità del tasso alcolemico - Rilevanza - Esclusione. In tema di guida in stato di ebbrezza, ai fini della revoca della patente di guida, prevista dall'art. 186, comma secondo, lett. c.) cod. strad., è necessario che si realizzi la condizione di "recidiva nel biennio", senza che assuma alcuna rilevanza l'entità o il grado del tasso alcolemico riscontrato nell'imputato. • Corte di cassazione, sezione IV civile, sentenza 26 gennaio 2015 n. 3467. Circolazione stradale - Guida in stato di ebbrezza - Revoca della patente di guida - Recidiva nel biennio - Commissione del medesimo reato - Necessità. In tema di revoca della patente per guida in stato di ebbrezza, per la realizzazione della condizione di "recidiva nel biennio", prevista dall'art. 186, comma secondo, lett. c.) cod. strad., è necessario che la essa abbia luogo con riferimento al medesimo reato di guida in stato di ebbrezza. • Corte di cassazione, sezione IV civile, sentenza 1 settembre 2014 n. 36456. Circolazione stradale - Guida senza patente - Recidiva nel biennio - Termini di riferimento. In tema di guida senza patente, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della "recidiva nel biennio", rileva la data del passaggio in giudicato della sentenza relativa al fatto-reato precedente rispetto a quello per il quale si procede e non la data di commissione dello stesso. • Corte di cassazione, sezione IV civile, sentenza 1 ottobre 2014 n. 40617. Circolazione stradale -Guida in stato di alterazione da stupefacenti - Revoca della patente di guida - Recidiva nel biennio - Termini di riferimento. In tema di revoca della patente per il reato di guida in stato di alterazione da stupefacenti, ai fini della realizzazione della condizione di "recidiva nel biennio", rileva non la data del passaggio in giudicato della sentenza relativa al fatto-reato precedente a quello per cui si procede, bensì la data di commissione dello stesso. • Corte di cassazione, sezione VI civile, sentenza 8 luglio 2009 n. 27985. Rafforzata l'incompatibilità tra avvocato e mediatore di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 15 luglio 2015 Incompatibilità rafforzate tra l'incarico di avvocato e la funzione di mediatore. A irrigidire la risposta del ministero della Giustizia sui conflitti d'interesse è la circolare 14 luglio 2015 della Direzione della giustizia civile. Il provvedimento prende atto delle richieste di chiarimenti arrivate al ministero e dei maggiori profili di incertezza applicativa venutisi a creare con la nuova versione del decreto ministeriale n. 180 del 2010, nella quale è stato inserito un nuovo articolo (14 bis) sulle incompatibilità, nella consapevolezza di dovere rendere ancora più evidente non solo la sostanza ma anche l'apparenza di indipendenza e terzietà del mediatore. Il primo dubbio interpretativo riguarda l'efficacia del divieto anche per l'avvocato di fiducia della parte chiamata in mediazione, iscritto come mediatore presso l'organismo scelto dalla parte che ha presentato l'istanza. Per la circolare "appare evidente che la previsione normativa trovi applicazione nel caso in cui il difensore del chiamato in mediazione sia mediatore presso quell'organismo perché, diversamente, le parti si troverebbero in posizioni ingiustificatamente differenziate e non si darebbe la giusta garanzia alla parte istante, circa lo svolgimento imparziale del procedimento di mediazione". Di conseguenza, il divieto di cui all'articolo 14 bis opera anche nei confronti del difensore di fiducia della parte chiamata in mediazione, che riveste nello stesso tempo la qualifica di mediatore presso l'organismo di conciliazione chiamato in causa. Incertezza poi era stata espressa sull'operatività del divieto, anche quando l'organismo si avvale delle strutture, del personale e dei mediatori di altri organismi con i quali ha raggiunto un accordo, anche per singoli affari di mediazione. Appare evidente che in tali casi l'organismo ha in coabitazione, tra l'altro, i mediatori di un altro organismo di mediazione che si trovano, pertanto, nella medesima posizione formale dei mediatori iscritti presso l'organismo "delegante". "Di conseguenza - sottolinea la circolare, anche al fine di evitare una facile elusione della norma, l'incompatibilità non può che estendersi anche ai mediatori dell'organismo con cui si è concluso un accordo". Un'altra questione controversa riguarda la possibilità rimessa alle parti chiamate in mediazione di derogare consensualmente all'incompatibilità. Il ministero chiarisce invece che la materia è sottratta alla libera disponibilità delle parti. Di conseguenza, non è possibile sottoscrivere tra le parti in mediazione accordi derogatori del divieto di cui all'articolo 14 bis. Infine, l'ultimo dubbio preso in considerazione riguarda il potere dell'organismo di rifiutare eventuali istanze di mediazione, quando gli avvocati delle parti sono iscritti, come mediatori, presso l'organismo medesimo. Considerata la funzione di vigilanza e controllo che la normativa attribuisce all'organismo, la circolare ritiene che, trattandosi di una domanda proposta in evidente violazione di norma, all'organismo va riconosciuto il potere-dovere di rifiutare tali istanze. Di conseguenza, l'organismo di mediazione deve rifiutare di ricevere le istanze di mediazioni nelle quali si profilano ipotesi di incompatibilità. Lettere: Csm, il pericolo del giudice "nuovo" di Mario Serio (Professore di Diritto comparato nell'Università di Palermo) Il Fatto Quotidiano, 15 luglio 2015 Lo scritto del Vicepresidente del Csm (Corriere della Sera 5 luglio) commentato da Bruno Tinti sul Fatto si segnala per un doppio profilo di interesse. In primo luogo per l'importanza del tema, il rapporto tra giustizia e vita delle imprese, contenente il caldo invito ai magistrati a valutare "gli effetti delle scelte". Lo spunto deriva da specifici provvedimenti giurisdizionali (Ilva di Taranto e Fincantieri di Monfalcone). L'articolo si occupa di vicende processuali in corso e ciò è ulteriore motivo di interesse, dal momento che un simile comportamento da parte del vicepresidente del Csm è tutt'altro che usuale. Conviene forse iniziare da qui per comprendere gli effetti che l'autorevole intervento può produrre. Si potrebbe così parafrasare il titolo dell'articolo: "I magistrati italiani (e il Csm) valutino gli effetti delle parole del vicepresidente". È indubbio, infatti, che quelle parole rechino la precisa traccia del giudizio che il loro autore nutre sui casi in questione. Un pensiero che si condensa in due interrogativi retorici (per i quali, nelle intenzioni dell'autore, esiste una sola risposta) che esprimono il dubbio che il sequestro dei cantieri potesse non essere necessario a proteggere il diritto alla salute, della cui messa a repentaglio non vi sarebbe stata prova sufficiente, e che il provvedimento potesse non avere tenuto in conto la giurisprudenza della Corte Costituzionale a proposito di "integrazione reciproca di tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione". Sul piano dell'opportunità non può non rilevarsi che parole provenienti da così titolata fonte sono destinate a produrre conseguenze pratiche e psicologiche della massima importanza. Da un canto determinano una insidiosa possibilità di interferenza. Dall'altro, gli accenti critici sicuramente giovano alla posizione delle parti in causa ed a quelle di altri settori della vita politica ed economica, rafforzandone il potere negoziale verso altri poteri pubblici. E qui risiede l'altro aspetto da considerare. In sostanza, la tesi sostenuta è: se manca nei provvedimenti la giusta ponderazione degli effetti di natura sociale, economica, imprenditoriale, ben può darsi che debbano essere Governo e Parlamento a rimediare sostituendosi di fatto alla magistratura. Il risultato ultimo cui il ragionamento del Vicepresidente del Csm ineluttabilmente conduce è la supplenza politica all'attività della magistratura. L'esatto contrario di quel che nello stesso scritto si critica, parlando della speculare ipotesi della supplenza giudiziale di fronte all'inerzia di altri organi pubblici che rappresenterebbe "invasione del campo riservato ad altri poteri dello stato". Ci si trova, in sostanza, di fronte ad un'inedita versione dei rapporti tra potere giudiziario ed altri poteri dello Stato. Un simile modo di concepire i rapporti in questione tende a trasferire l'area di controllo sui provvedimenti giurisdizionali alla politica. È come dire che la parte insoddisfatta di un provvedimento dovrebbe rinunciare all'impugnazione ed esercitare pressioni individuali o di gruppo, palese o occulto, affinché il provvedimento venga cancellato. Naturalmente, secondo l'analisi che qui si commenta, esiste un antidoto per prevenire questa forma di supplenza invertita (nel senso di contraria a quella tradizionale), e cioè che i giudici ben sappiano valutare "gli effetti delle scelte". Il che potrebbe equivalere a dire che essi debbano prefigurarsi il gradimento delle loro decisioni da parte dei destinatari, prevedendo, in caso di malcontento, la forza dei relativi sostegni economico-politici. Perché un conto è l'ovvio appello al senso di ponderazione circa le concrete conseguenze dell'attività giurisdizionale, altro, inaccettabile, è la pretesa che i magistrati debbano, per autodifesa preventiva, adattare i propri provvedimenti alle possibili future reazioni delle parti. Un pericolo simile a quello della recente legge sulla responsabilità civile dei magistrati, invogliati a non scontentare le parti in grado di far affidamento su gruppi di pressione. Né tranquillizza l'accenno finale secondo cui il Csm "intende muoversi in tale direzione", ossia verso lo sviluppo di una "cultura della giurisdizione sempre più moderna", grazie a riforme su carriere, incarichi direttivi, valutazioni di professionalità. Il fine cui tendere dovrebbe essere, secondo il vicepresidente del Csm, quello di coniare una nuova figura di giudice autonomo ed indipendente "dota - to di una sensibilità capace di porlo in sintonia con le aspettative del Paese e dei cittadini". In altri termini, un giudice preda di speranze e di timori, che prudentemente chieda consiglio sulle ripercussioni sulla carriera dei propri atti, soprattutto in materia economica ed industriale. Questo spiega il giusto titolo scelto per l'articolo: "Giustizia e imprese. Le toghe valutino gli effetti delle scelte". Lazio: vacante da mesi figura Garante dei detenuti mentre si continua a morire di carcere di Valeria Centorame radicali.it, 15 luglio 2015 "Qualche tempo dopo che un errore è scomparso, gli uomini non sanno più capacitarsi di come abbia potuto essere preso sul serio". Claude-Adrien Helvétius, Dell'uomo, 1772 (postumo). In un paese dove la politica si fa nei talk show, con proclami e populismo becero, dove l'attenzione di molti italiani è rapita dai vari reality più o meno fantasiosi, in un paese dove è meglio non sapere, continua da anni nel silenzio criminale più assordante, quello della politica, una mattanza di uomini, donne e bambini in carceri che lo stesso Napolitano definì lager. Continua una violazione atroce, nonostante i richiami della Cedu, dell'Onu, nonostante le condanne che il nostro stato ha subito in violazione all'art.3, continua nonostante i buoni propositi del politico di turno, continua nonostante siano scesi i numeri del sovraffollamento, continua nonostante le denunce poche e sempre spesso radicali, continua purtroppo una violazione atroce comminata dallo stesso Stato, ai più elementari diritti umani, quello alla salute ed alla vita delle persone sottoposte a privazione della libertà, sia innocenti che colpevoli. Mentre da una parte ci si scaglia contro il pensiero di chi, giustamente a mio avviso, vorrebbe vedere approvata una legge sul fine vita, e ci si è scagliati contro il doveroso diritto all'aborto, dall'altro si "permette" senza scandali, che grazie all'assenza di tutele si possa morire una volta varcata la soglia dei nostri istituti di pena. Tutto ciò come rilevato da un indagine degli esperti Società italiana di Medicina e sanità penitenziaria, che rileva che nelle nostre carceri 2 su 3 sono malati e che l'epatite colpisce 1 detenuto su tre grazie alle precarie, per usare un eufemismo, condizioni sanitarie delle carceri. La popolazione detenuta in Italia è cresciuta negli ultimi dieci anni dell'80% - ricordano i medici penitenziari - La maggior parte delle carceri ha dei tratti comuni: bagno e cucina nello stesso locale, cambio di lenzuola ogni 15 giorni, bagno alla turca o water separati e non sempre, gli uni dagli altri da un muretto alto appena un metro, strutture fatiscenti. Il personale insufficiente, gli assistenti sociali sempre meno del necessario e l'assistenza sanitaria, come si può facilmente intuire da questo quadro, può risultare spesso di pessima qualità. Nel frattempo, in un quadro del genere, da mesi è vacante la figura del nuovo Garante dei detenuti della Regione Lazio (figura istituita con Legge Regionale 31 del 6 ottobre del 2003), addirittura sul sito della stessa Regione, oggi è ancora riportato il nome di Angiolo Marroni, garante in carica da 11 anni e decaduto dal suo incarico ben cinque mesi fa. Un avviso pubblicato sul Bollettino ufficiale infatti lo scorso 28 febbraio, vedeva arrivare 15 candidature per ricoprire la carica, entro il termine fissato. Dopodiché… il nulla! Stessa sorte per l'istituzione del Garante dei detenuti della cittadina di Rieti, figura approvata con delibera comunale sul regolamento, addirittura nel maggio 2013, (anche grazie all'interessamento della sottoscritta)proclamato con comunicati stampa…e poi, mai nominato ed inserito nel cassetto del dimenticatoio. Viene da chiedersi, se in un paese come il nostro, per trovare queste figure "fantasma", sortisca più effetto una denuncia mediatica a "Chi l'ha visto" ottima trasmissione di reale servizio pubblico, piuttosto che le continue denunce inascoltate ed appelli disperati, mentre in carcere si continua a morire di carcere. Sardegna: stop agli Opg, firmato Protocollo d'intesa della Regione con gli Uffici giudiziari sardegnaoggi.it, 15 luglio 2015 La Regione firma il Protocollo d'intesa con gli Uffici giudiziari e gli Ordini professionali forensi, stop agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Nei metri quadri di Capoterra "una struttura residenziale psichiatrica". La Regione adotta un protocollo d'intesa con gli Uffici giudiziari della Sardegna e gli Ordini professionali forensi, per il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). Al loro posto nasce la struttura residenziale psichiatrica per l'esecuzione delle misure di sicurezza: la sede è l'Rsa di Capoterra, destinata all'assistenza ai pazienti psichiatrici autori di reati, per i quali persiste la pericolosità sociale. Su proposta di delibera dell'assessore regionale della Sanità Luigi Arru, la Giunta dice sì al protocollo d'intesa, che deve essere sottoscritto nei prossimi giorni, dal titolare della Sanità con gli uffici e gli ordini giudiziari dell'isola. Per definire le competenze delle istituzioni coinvolte nell'assistenza dei pazienti psichiatrici che hanno commesso reati, è stato deciso nella Conferenza unificata del 26 febbraio 2015 tra Governo, Regioni e Province che, alla data di chiusura degli Opg, le Regioni e le Province autonome, il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria e la Magistratura definiscano per ciascuna struttura residenziale psichiatrica - attraverso specifici accordi - le modalità di collaborazione per l'applicazione delle misure detentive e di sicurezza. Per la definizione e l'attuazione dell'accordo è stato costituito un gruppo inter-istituzionale di lavoro, che impegna le parti ad adottare interventi organizzativi e ulteriori intese con le diverse istituzioni coinvolte, sanitarie, amministrative e giudiziarie, nell'assistenza dei pazienti. Cagliari: Caligaris (Sdr); detenuto extracomunitario in rianimazione dopo tentato suicidio Ristretti Orizzonti, 15 luglio 2015 "Ha tentato di togliersi la vita impiccandosi. La tempestiva azione degli Agenti della Polizia Penitenziaria, che hanno effettuato immediatamente le manovre di rianimazione, e dei Medici prontamente intervenuti, ha scongiurato il peggio. L'uomo, un extracomunitario, è ricoverato in Rianimazione nell'Ospedale "SS. Trinità". Un gesto estremo di disperazione che richiama l'attenzione sulla necessità di rafforzare non solo il numero degli Agenti in servizio ma anche e soprattutto le iniziative volte al sostegno psicologico di quanti scontano la pena detentiva con profondo disagio". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme", sottolineando "le condizioni spesso di solitudine che vive chi è privato della libertà". "Il Villaggio Penitenziario di Uta, accoglie attualmente oltre 560 detenuti distribuiti in 15 sezioni, si tratta - osserva Caligaris - di una struttura complessa, dispersiva, articolata in più plessi, in cui operano 360 Agenti sui 420 previsti in organico. La dislocazione nell'area industriale di Cagliari, a 23 chilometri dal capoluogo, in una landa desolata e spesso maleodorante, impegna notevolmente anche gli educatori e i medici. È indispensabile un coinvolgimento del Ministero e del Dipartimento per favorire l'operosità dei cittadini privati della libertà". "È evidente - rileva la presidente di Sdr - che le condizioni fisiche della struttura, aperta nello scorso mese di novembre ma non ancora a regime, sono migliorate rispetto a quelle del vecchio carcere di Buoncammino. Le stanze detentive sono più pulite e accoglienti anche se il continuo arrivo di ristretti dalla Penisola impone l'inserimento del terzo letto in celle costruite per due. Ciò che tuttavia purtroppo non è ancora cambiato è la possibilità reale di dare alla giornata un autentico senso di recupero e reinserimento sociale. Ciò a maggior ragione per quanti lontani dalle famiglie non effettuano costanti colloqui". "Nonostante gli sforzi dell'Area Trattamentale per promuovere iniziative culturali e ricreative, la struttura, costata 100 milioni di euro, non è ancora del tutto agibile. La Palestra, per esempio, non è attrezzata. Il Teatro attende il collaudo dei Vigili del Fuoco per poter essere pienamente utilizzato. Gli unici spazi sono le salette per la socialità, il Campetto di Calcio e i passeggi, limitati da mura di cemento, dove però la permanenza in certe ore è difficile per le condizioni climatiche. Il caldo di questi giorni inoltre, non solo sta mettendo a dura prova il lavoro degli Agenti per l'assenza in alcune postazioni di tende e area condizionata, ma anche la resistenza dei detenuti soprattutto nei piani alti. La copertura catramata sopra i soffitti accentua il calore e costringe a continue abluzioni per mitigare la sensazione di trovarsi dentro un forno. In condizioni non dissimili lavorano anche gli Educatori i cui uffici sono ubicati nella sezione detentiva". "Il Villaggio Penitenziario di Uta insomma - conclude Caligaris - anche in seguito al fallimento dell'impresa ‘Opere Pubbliche" avrebbe necessità di urgenti interventi di completamento. Resta non completato non solo il Padiglione del "41bis" ma anche l'automazione di alcuni cancelli interni. Senza contare che i familiari attendono i colloqui fuori dalla struttura senza alcun riparo. Ieri sotto la pioggia, oggi sotto il sole a picco". Bari: mediazione penale nel carcere; faccia a faccia con il killer "così l'ho abbracciato…" di Angela Balenzano Corriere del Mezzogiorno, 15 luglio 2015 L'incontro di Lella e Pino con Francesco Annoscia: era nel commando che uccise Michele. "Quel giorno ho visto un uomo cambiato. Quasi sentivo il suo cuore battere". Una stanza piccola. Arredata solo con lo stretto indispensabile. E poi loro. Lella e Pino Fazio faccia a faccia con uno dei responsabili dell'omicidio del figlio Michele. Ucciso per errore in una spietata guerra di mafia nei vicoli di Bari Vecchia. In via Amendola nell'ufficio di mediazione penale del carcere di Bari, l'anno scorso, i tre si sono incontrati. Fino a quel momento avevano comunicato solo con alcune lettere: era stato Francesco Annoscia (ha scontato la sua pena, ora è un uomo libero che vive onestamente lontano da ambienti criminali) a trovare il coraggio di scrivere e invocare il perdono della famiglia Fazio. Alle sue lettere era seguita la risposta di Lella e Pino: "Le chiediamo di cambiare vita e di scegliere da che parte stare". Ma il "vis à vis" è stato molto diverso e trovarsi lì a poco più di un metro l'uno dagli altri ha scosso le loro anime. C'è voluto tanto coraggio. Soprattutto quello di mamma Lella che guardando negli occhi quell'uomo che 14 anni prima aveva fatto parte del commando che aveva ucciso il suo ragazzo, è andata oltre tutto e lo ha abbracciato. Senza odio, senza più livore. Quasi con tenerezza. "Più volte l'avevamo incontrato nelle aule di tribunale durante il processo - racconta papà Pino - era sempre ammanettato e i suoi occhi erano bassi. Quel giorno in via Amendola ho visto un uomo cambiato, i suoi occhi erano diversi e poi tremava. Tanto. Quasi sentivo il suo cuore battere. Io e mia moglie eravamo sereni. Certo è stato difficile, ma abbiamo affrontato questo incontro senza rancore. Subito Francesco ha implorato il perdono: vorrei tornare indietro nel tempo - ci ha detto tutto d'un fiato - e cancellare ciò che ho fatto, cancellare tutto il dolore che vi ho provocato, ma come faccio? Perdonatemi, vi prego". È stata mamma Lella ad accorciare le distanze in quella stanza, ad andare incontro ad Annoscia e abbracciarlo. Prima di dire qualsiasi cosa. "Ho visto mia moglie tendere la mano a quel ragazzo e l'ho fatto pure io. È in quel momento che abbiamo capito di averlo perdonato. Sinceramente. "Dovrai diventare un esempio per i tuoi figli - ha detto Lella - e quando cresceranno e saranno in grado di capire dovrai dire loro la verità. Dovrai raccontare tutto quello che è successo e di come poi sei riuscito ad allontanarti dalla malavita e seguire un onesto percorso di vita. Noi ti perdoniamo, ma tu vai avanti onestamente. Solo così i tuoi figli cresceranno sani". Poi mamma Lella lo ha abbracciato ancora. Durante l'incontro Annoscia ha manifestato l'idea di andar via dalla città, di allontanarsi da Bari Vecchia, dal quartiere che fino a qualche anno prima gli aveva portato solo guai. "Non dovresti andar via - ma restare, non abbandonare il luogo dove sei cresciuto - gli ha detto papà Pino - se possiamo offrirti un aiuto per cercare un lavoro, lo faremo con il cuore. Siamo sulla strada del perdono". Si è concluso così il primo incontro tra i genitori di Michele Fazio e Francesco Annoscia, ma probabilmente ce ne sarà un altro. "Il prossimo vorrei che si svolgesse nella nostra casa a Bari Vecchia - aggiunge Pino Fazio - perché deve essere un esempio per tutti nel quartiere: chi vuole cambiare, può farlo, può cambiare. La nostra casa è aperta per Francesco, può venire a trovarci in qualsiasi momento". L'incontro tra l'ex detenuto Francesco Annoscia e i genitori di Michele Fazio è stata possibile grazie allo sportello di mediazione penale del carcere di Bari (coloro che ne fanno parte sono quasi tutti volontari) che ha proprio il compito di mediare le situazioni più complesse. Ma solo se le parti sono d'accordo tra loro. E la mediazione per la vicenda Fazio è stata lunga e al momento quella più importante. Perché ha raggiunto l'obiettivo. Quello del perdono. Bari: le lettere del killer di Michele prima incontro "chiedo perdono per ciò che ho fatto" di Angela Balenzano Corriere del Mezzogiorno, 15 luglio 2015 Lo scambio di messaggi con la famiglia Fazio che ha portato al perdono di uno dei componenti del commando che uccise il 16enne nel luglio 2001. Michele Fazio, vittima innocente di mafia, fu ucciso a 16 anni. Il 12 luglio 2001. Quattordici anni dopo i genitori Lella e Pino, impegnati da anni nella lotta alla mafia, hanno perdonato gli assassini del figlio. Con uno di loro in particolare, Francesco Annoscia (aveva fatto parte del commando, ma ora dopo aver scontato la pena detentiva conduce una vita tranquilla lontano da ambienti criminali), c'è stato un lungo percorso fatto di lettere, incontri e di mediazione da parte dei responsabili dell'area educativa e dello sportello di mediazione penale del carcere di Bari. Un percorso che ha portato al perdono. Ad un perdono autentico. Sincero. "Le chiediamo, come abbiamo sempre fatto in questi anni, di cambiare vita, di scegliere da che parte stare". È lo stralcio di una lettera che la famiglia Fazio ha inviato ad Annoscia quando era ancora detenuto. A implorare il perdono e a chiedere aiuto è stato proprio Annoscia. Un ragazzo pentito delle sue azioni, divorato dal rimorso e allo stesso tempo ansioso di iniziare un nuovo cammino di vita. Trova il coraggio e scrive la sua prima lettera a Lella e Pino Fazio. "Per me non è stato facile trovare il coraggio per inviarvi queste due righe, ma da tanti anni ho sullo stomaco un macigno che probabilmente non andrà mai via". Inizia così il primo messaggio che il detenuto scrive nella sua cella nell'aprile 2011. "Ci sono eventi che ti cambiano la vita e a me è capitato il peggio che la vita può riservare a un ragazzo di 18 anni. Purtroppo non si può tornare indietro nel tempo per cambiare gli eventi, quindi l'unica cosa che posso fare, per quello che vale, è scusarmi con voi che in tutta questa vicenda siete coloro che avete sofferto più di tutti. La mia mente ipotizza migliaia di frasi o pensieri da scrivere - conclude Annoscia - ma alla fine non ci riesco a concepire uno, quindi concludo, sperando che un giorno voi possiate perdonarmi". Semplici parole e frasi di un uomo che ricorda con dolore e pentimento le scene strazianti che dieci anni prima si consumarono sotto i suoi occhi nei vicoli di Bari Vecchia. Dove Michele Fazio fu assassinato. Parole e frasi che non hanno lasciato indifferenti i genitori di Michele. Così due mesi più tardi in carcere arriva la risposta. Poche righe che emozionano Annoscia. "Abbiamo letto più volte la lettera che ci ha inviato qualche tempo fa, con la quale ha espresso il suo rammarico e la speranza di poter essere perdonato per l'omicidio di nostro figlio. Abbiamo apprezzato il suo gesto e ci auguriamo che sia il frutto di un ripensamento autentico, profondo e irreversibile. Tuttavia il cordoglio non basta. Noi le chiediamo come abbiamo sempre fatto, in tutti questi anni di scegliere da che parte stare - scrivono mamma Lella e papà Pino - è vero, come lei stesso ha scritto "non si può tornare indietro", nostro figlio non ci verrà mai restituito. Ma una sua parola di verità e giustizia aiuterà lei, noi e molti altri ad andare avanti e liberarci dalla violenza e dalla paura. Ci scriva ancora". È a questo punto che i responsabili dell'ufficio penale del carcere hanno pensato che i tempi fossero maturi per "un incontro tra le parti". E nel frattempo Annoscia incoraggiato dalle parole dei Fazio scrive una seconda lettera: "È difficile per me rispondere alla vostra lettera perché capisco il vostro dolore, anzi forse lo immagino solamente. Io volevo solo dirvi che il mio non è un ripensamento avuto dopo 10 anni. Ho sempre pensato ciò che vi ho scritto solo che non avevo il coraggio di scrivere. A quei tempi io ero un ragazzo di 18 anni imbarcato su una nave e mi sono trovato in una situazione che non avrei mai creduto di vivere in prima persona. Io ora ho 30 anni, una moglie e una bambina e la voglia di recuperare il tempo perduto con loro. Con questo non voglio mettere una pietra su quello che è successo. Porterò il rimorso per tutta la mia vita, ma in questo momento sto cercando di rimediare ai miei errori rientrando nella società civile. Quando mi daranno l'opportunità". Il perdono per lui è infine arrivato. Quando mamma Lella lo ha incontrato in un momento carico di emozioni forti e contrastanti, è stata lei per prima ad andargli incontro per abbracciarlo. Roma: Piazza Cairoli e la "messa alla prova", così il verde rinasce in modo alternativo di Ginevra Nozzoli romatoday.it, 15 luglio 2015 A curare il verde dell'area compresa tra Largo Argentina e via dei Giubbonari saranno cittadini soggetti a pene per reati non gravi che decideranno di commutarle in servizi di pubblica utilità. Quattro cittadini detenuti, o con procedimenti penali in corso, si occuperanno di innaffiare il verde, di sfalciare l'erba e di garantire un presidio fisso all'interno dell'area, sette giorni su sette. Così piazza Cairoli, tra Largo Argentina e via dei Giubbonari, tornerà ai residenti, messi all'angolo da un degrado che ha preso possesso dell'area, grazie a un protocollo di intesa tra il Dipartimento Politiche Sociali del Campidoglio e il Tribunale. L'istituto giuridico della messa alla prova consente dal 2014, in casi di reati non gravi, la commutazione della pena in lavori sociali di pubblica utilità. "Il protocollo durerà due anni - spiega la presidente del I municipio, Sabrina Alfonsi - garantire una continuità al servizio è fondamentale per il territorio. Si tratta di un esperimento molto importante, sia sul piano della manutenzione del verde sia su quello del sociale". E se oggi la squadra (quattro gli operatori coinvolti) serve "a coprire un'emergenza" (gli appalti bloccati del Servizio Giardini per Mafia Capitale e i giardini di Roma diventati giungle), domani servirà comunque al territorio. Detto ciò, si tenta di evitare le polemiche già seguite ad altre iniziative messe in campo dall'assessorato per far fronte all'emergenza verde, vedi la ricerca di volontari tra le associazioni di cittadini con apposito bando e il ricorso ai Carabinieri in congedo per la vigilanza. "Non vuole essere un servizio sostitutivo a quello che le municipalizzate torneranno presto a svolgere regolarmente". E che anche nel caso di piazza Cairoli continueranno comunque a essere presenti. "I dipendenti dell'azienda passeranno la sera a raccogliere i rifiuti accumulati" spiega l'assessore all'Ambiente del Comune, Estella Marino, presente sul posto per la presentazione del protocollo. "Da anni stiamo combattendo il degrado di questa piazza senza grandi risultati, per questa la scelta è andata su quest'area, avremo una copertura settimanale, con turni giornaliera compresi il sabato e la domenica". Il tutto a costo zero. La sperimentazione è diversa da quella già avviata dall'assessore Sabella nel municipio di Ostia. Nel caso specifico non si tratta di dare lavoro (regolarmente retribuito) a condannati che già scontano pene detentive. Per piazza Cairoli, lo spiega il minisindaco Alfonsi, "è semplicemente una commutazione della pena". Un risarcimento alla società, armati di ramazza, guanti e pettorine. Roma: ragazza in scooter travolta e uccisa da un furgone della Polizia penitenziaria Corriere della Sera, 15 luglio 2015 La giovane aveva 27 anni. Deceduta poco dopo l'arrivo in elicottero all'ospedale San Camillo. Secondo i vigili urbani era caduta prima del sopraggiungere del veicolo. Travolta e uccisa da un furgone della polizia penitenziaria dopo essere caduta con lo scooter. È morta così martedì pomeriggio, alle 17, una ragazza di 27 anni trasportata al San Camillo da via di Brava, all'angolo con via del Pescaccio, alla Pisana, da un elicottero del 118. Per la giovane non c'era più niente da fare. I vigili urbani stanno cercando di ricostruire la dinamica dell'incidente. Ascoltato l'agente che si trovava al volante del furgone. Secondo una prima ricostruzione la ventenne sarebbe caduta da sola con il motorino mentre percorreva via di Brava. Il conducente del furgone di servizio non sarebbe riuscito a evitare l'ostacolo improvviso che gli si è parato davanti né a frenare e ha investito la ragazza. Nel gennaio 2011 un altro furgone della Penitenziaria investì alcuni motociclisti fermi al semaforo di circonvallazione Gianicolense, a Trastevere. Uno dei centauri morì dopo alcuni mesi per le ferite riportate. Firenze: Sappe; sventata evasione di due detenuti stranieri dal carcere di Sollicciano Adnkronos, 15 luglio 2015 Hanno tentato di evadere dal carcere di Sollicciano a Firenze ma sono stati fermati in tempo dai poliziotti penitenziari. È accaduto intono alle 10.30 di questa mattina a Firenze Sollicciano, protagonisti due detenuti stranieri. A dare la notizia è il Sappe, Sindacato autonomo di polizia penitenziaria. "Verso le 10.30 entrambi i detenuti stranieri erano nel campo di calcio interno del carcere. Si sono arrampicati sulla rete che delimita l'area e hanno raggiunto in un lampo i tetti, cercando di arrivare all'altezza della portineria per poi fuggire - riferisce il segretario del Sappe, Donato Capece - Solo grazie alla professionalità del personale di Polizia penitenziaria di vigilanza sul campo sportivo e sul muro di cinta del carcere i due sono però stati fermati". "Quelli di questa mattina a Sollicciano sono stati momenti di grande tensione e la possibile evasione è stata sventata dall'ottimo intervento delle agenti di Polizia penitenziaria - commenta il segretario regionale del Sappe Toscana, Pasquale Salemme - Avevamo denunciato nelle scorse settimane che il numero degli eventi critici accaduti nei penitenziari toscani, e in quelli di Firenze in particolare, è costante. E la clamorosa tentata evasione sventata in tempo dalla Polizia Penitenziaria ne è la conferma più evidente". Venezia: detenuto rifiuta il trasferimento di cella e si scatena, allaga e poi incendia tutto veneziatoday.it, 15 luglio 2015 Un detenuto marocchino ha provocato fuoco e fiamme al carcere di Santa Maria Maggiore: ustionati i tre agenti penitenziari intervenuti. Quel trasferimento di reparto proprio non gli andava giù. Ha protestato, ha alzato la voce, ha ribadito di non volerne proprio sapere. Poi, al culmine della rabbia, ha dato in escandescenza e ha incendiato la cella. Come riporta La Nuova Venezia, il fatto è capitato nei giorni scorsi al carcere di Santa Maria Maggiore e il rogo ha provocato l'intossicazione di tre agenti della Polizia Penitenziaria. Protagonista un detenuto di origine marocchina, ora trasferito al carcere di Belluno dopo esser stato medicato per le ferite riportate. Tutto è nato perché all'uomo è stato comunicato lo spostamento dal piano in cui le celle restano aperte per tutta la giornata a quello in cui la porta delle celle viene aperta solo in determinati orari. La decisione era nata proprio perché lo stesso soggetto aveva avuto qualche screzio con altri detenuti. Quando ha iniziato a protestare rifiutandosi di cambiare cella, è stato rinchiuso in una cella d'isolamento e lì si è scatenato: prima ha aperto il rubinetto tappando lo scarico per provocare un allagamento, poi ha incendiato materasso, vestiti e tutto ciò che poteva essere coinvolto nel rogo. Se non intervenivano tempestivamente gli agenti, anche lui si sarebbe ustionato gravemente. Inevitabilmente la magistratura aprirà un nuovo fascicolo per danneggiamento. Catanzaro: Premio Merini 2015, consegnati attestati di merito a due detenuti strill.it, 15 luglio 2015 Nella Biblioteca della Casa Circondariale di Catanzaro-Siano, la Giuria del "Premio Merini 2015", guidata dall'editore Vincenzo Ursini, e composta da Mario Donato Cosco, G. Battista Scalise, Antonio Montuoro e Mauro Rechichi, ha proceduto alla consegna dell'Attestato di merito, della Targa e dell'antologia "Alda nel cuore" ai due poeti, ospiti dell'Istituto, che hanno ricevuto una segnalazione di merito. La Direttrice del carcere, dottoressa Angela Paravati, ha riservato ai rappresentanti dell'Accademia dei Bronzi un'accoglienza cordiale coniugata ad un'ospitalità calorosa. Nel saluto introduttivo della cerimonia ha sottolineato l'importanza della reciprocità relazionale tra carcere e società improntata alla consapevolezza socio-civico-politica. L'editore Ursini, nel suo intervento di risposta, ha assicurato l'impegno dell'Accademia dei Bronzi a progettare, programmare e realizzare un serie di attività finalizzate, appunto, alla valorizzazione delle risorse umane e culturali della realtà carceraria. Il professor Mario Donato Cosco non ha trascurato di evidenziare la ricchezza implicita contenuta nelle storie personali e nelle sensibilità individuali, che deve fungere da substrato prolifico e creativo per ogni tipo di progettualità pensata e/o immaginata. I premiati sono stati Francesco Annunziata, per la poesia "Incontri", e Pasquale De Feo, per la lirica "Arsura". Annunziata ha ritirato personalmente il riconoscimento, mentre a De Feo, trasferito in altra struttura della Sardegna, sarà fatto recapitare dalla direzione dell'Istituto di pena attraverso i canali istituzionali. In "Incontri" il poeta rimarca l'impaziente e quasi spasmodica attesa del superamento di un "limite" che frena la sintonia di due cuori: "È troppo l'attimo che separa/la notte dal giorno/la luna dal suo sole"; ma non si lascia vincere da sentimenti di sconfitta, anzi esprime la certezza che "Quando sarà quel tempo/ ogni buio apparterrà alla luce/ come ogni notte al suo giorno. E allora "l'alba senza tramonto" colorerà i giorni del vivere e le memorie ristoreranno le occasioni negate. Ad "Arsura", invece, De Feo affida il suo "languore perenne", nutrito di ricordi, di sentimenti e di desideri racchiusi in immagini, ormai lontane e sempre più sfuocate, che accelerano i suoi moti di nostalgia. È un sapore intenso quello che rimane, nella bocca del passato, a Pasquale. Non è sufficiente per lui tornare al cuore con la memoria: il suo ricordo si è "asciugato" di nostalgia, di ritorni così carichi di sofferenza, da alterare il gusto del senso della vita. Ma non demorde il nostro poeta: continua a riempire oltremodo la sua cisterna d'affetti con la speranza di chi ha conosciuto l'ebbrezza della vita a dismisura. Il premio Alda Merini, realizzato dall'Accademia dei Bronzi, con l'adesione della Camera di Commercio di Catanzaro presieduta da Paolo Abramo, continua quindi il suo percorso di promozione della poesia dei nostri giorni e si conferma come uno dei più interessanti e seguiti appuntamenti culturali nazionali. Libri: "Partire dalla pena. Pene severe diverse dal carcere", di S. Cecchi e G. Di Rosa Italia Oggi, 15 luglio 2015 Nel paese in cui da vent'anni, per sembrare più belli, i gazzettieri illuminati e i leader antipolitici ritornellano in coro l'allegro jingle dei demagoghi, "in galera, in galera", tre magistrati spiegano in Partire dalle pena che la galera è un rimedio estremo. Non è solo un rimedio crudele, benché sia senz'altro un rimedio crudele, ma è anche un rimedio poco pratico, che non "rieduca" e nemmeno rende la pariglia, come si pretende. Così come non c'è bisogno di ricorrere alla laparatomia per curare le emicranie, né alla chemioterapia (o ai consigli medici di quell'autorità in materia d'Aids e di vaccini che ha fondato il Movimento 5 Stelle) per ogni dolor di panza, allo stesso modo la galera non è la punizione per ogni genere di reato, dal furto con scasso alla frequentazione di prostitute, dal cambio di casacca parlamentare all'essere Silvio Berlusconi. "Partire dalla pena. Pene severe diverse dal carcere", di Silvia Cecchi, Giovanna Di Rosa, pp. 298, 17,00 euro. Libri: "Quattro anni a Palazzo dei Marescialli", se la lottizzazione diventa magistratura recensione di Antonio Bevere Il Manifesto, 15 luglio 2015 Aniello Nappi racconta in un libro i suoi quattro anni all'interno di Palazzo dei Marescialli. E si misura con i 200 "fuori ruolo", ma anche con alcune pratiche di valutazione da parte del Csm. "Soprattutto a Roma c'è contiguità fra amministrazione della giustizia e politica". Per fronteggiare la crescente espropriazione di potere giuridico ed economico, attuata da organizzazioni mafiose e da ceti finanziari e imprenditoriali, gli attuali vertici dello Stato sono ricorsi al rimedio costituito da un'anomala collocazione di pubblici ministeri in torri di controllo (Autorità Nazionale Anticorruzione, assessorato comunale delle legalità e simili ) nel territorio dell'illegalità dominante. Questi avamposti delle guardie togate nelle terre dei ladri creano perplessità sotto due aspetti: da un lato, aggravano il fenomeno di magistrati distolti dal lavoro giudiziario ed inseriti nella gestione di incarichi dell'amministrazione centrale e periferica, con palese violazione del principio della separazione dei poteri prevista dalla Costituzione; dall'altro, i singoli magistrati si espongono al rischio di essere coinvolti, quanto meno per scarsa capacità di vigilanza e di prevenzione, nelle inevitabili indagini dei colleghi togati, con paradossali risvolti negativi nell'accertamento delle responsabilità penali e contabili. È di tutta evidenza che la presenza delle avanguardie giudiziarie non potrà non costituire un argomento difensivo di ottimo spessore per dimostrare la buona fede del politico e dell'imprenditore che hanno trasgredito le regole, ma sotto il vigile occhio del fuori ruolo giudiziario in missione per conto dello Stato. Né va sottovalutato che il fenomeno delle carriere parallele di alcuni magistrati, che si sviluppa frequentemente con la decisione del Consiglio superiore della magistratura di concedere collocamenti "fuori ruolo" con la destinazione a funzioni non giudiziarie presso pubbliche amministrazioni, è stato fortemente criticato dal consigliere di Cassazione Aniello Nappi, reduce dall'esperienza di componente dell'organo di autogoverno. Questa anomalia riguarda circa duecento posti, ma coinvolge una popolazione di postulanti ben più numerosa. "E questo crea le basi per un rapporto inquinante della magistratura, soprattutto a Roma, dove c'è la contiguità tra amministrazione della giustizia e politica. Qui la questione dei fuori ruolo si pone come questione morale fondamentale" (Quattro anni a Palazzo dei Marescialli, Aracne, 2014, p. 45). La lettura di questo libro - ricco di un'impressionate casistica di deroghe alla legge e alle regole interne - fa sorgere il quesito se la magistratura-impegnata in maniera generalmente encomiabile nella tutela della legalità tra i comuni cittadini e tra i cittadini eccellenti - sia capace di autogovernarsi correttamente attraverso l'organo assembleare previsto dall'art. 104 della Costituzione. È noto che il Csm è un'istituzione democratica nel senso che i suoi componenti vengono eletti da tutti i magistrati e dal Parlamento in seduta comune e nel senso che nei dibattiti in commissione e nel plenum è garantita la piena libertà di espressione, con conseguente immunità, al pari dei parlamentari. I singoli consiglieri non hanno vincolo di mandato nei confronti degli elettori e dei gruppi che ne hanno proposto la candidatura. Nel quotidiano svolgimento della valutazione della capacità professionale dei singoli, della assegnazione dei ruoli dirigenziali, il consigliere Nappi ha dovuto fare i conti con la consolidata regola pragmatica, secondo cui le determinazioni e le scelte espresse con il voto devono essere soggette al principio di maggioranza, nel senso devono essere assunte non secondo coscienza, ma secondo l'indicazione della maggioranza del gruppo di appartenenza. È stato facile rilevare che il voto per vincolo di maggioranza, alias per disciplina di gruppo, risponde alla logica, alla teorizzazione, alla pratica del voto di scambio: io voto uno dei tuoi se tu voti uno dei miei, come la riconosciuta esigenza di risarcire il contraente nei confronti del quale si è rimasti inadempienti… È vero che all'interno dei gruppi il principio di maggioranza viene applicato con qualche elasticità. Ma è proprio questa elasticità a farne lo strumento fondamentale dei baratti, che sono di per sé occasionali. È appunto l'accettazione del principio di maggioranza a rendere possibili occasionali accordi, ora con l'uno ora con l'altro gruppo, tanto più vantaggiosi quanto maggiori sono i pacchetti di voti disponibili. In questo contesto è nato un goffo e spiacevole episodio che ha avuto inopinata diffusione, nella totale indifferenza delle istituzioni: da una corrispondenza riservata di un componente dell'organo di autogoverno inavvertitamente è volata in rete, il 23.11.2012, una missiva in cui il mittente - pur riconoscendo "più opportuno politicamente piazzare una giovane collega napoletana di Area ad un posto direttivo, sia pure di rilievo minore", auspicava che non si facesse "tuttavia una ingiustizia troppo grossa". Nappi osserva che, pur essendo l'opportunità politica collegata a più criteri (età, territorio, appartenenza ad una corrente), è documentabile che "il criterio dell' appartenenza è accettato e riconosciuto all'interno dei gruppi consiliari". Che non si sia trattato di un caso eccezionale è dimostrato dal silenzio e dall'indifferenza della corporazione: mercoledì 8 maggio 2014 il medesimo consigliere, in qualità di Presidente della Quarta Commissione del Csm (competente per materia nelle progressioni in carriera), ha partecipato, nella sessione della Scuola superiore della magistratura dedicata all'ordinamento giudiziario, a un confronto a due voci sul tema Standard di rendimento e carichi esigibili). Talvolta gli scambi falliscono per una sopravvenuta modifica tattica delle alleanze e più raramente per l'imprevista dissociazione dal gruppo di appartenenza, con reazioni sanzionatorie, come è accaduto proprio a Nappi, la cui espulsione "venne giustificata anche con la dissociazione nel voto per un incarico semi direttivo". La lottizzazione guidata dai vertici delle tre correnti - osserva l'autore - è giustificata con l'esigenza di garantire il pluralismo culturale negli uffici e nell'organo di autogoverno, ostentando di ignorare una realtà ben visibile in magistratura e in tutte le istituzioni: "La pratica della lottizzazione, spacciata per pluralismo, ha impoverito il nostro Paese, privandolo di una classe dirigente adeguata". In conclusione, poiché è impossibile presumere che la bussola del criterio di appartenenza, impiegato per selezionare e premiare con pratiche spartitorie e preordinate, conduca infallibilmente a beneficiare i migliori, è indubbio il danno degli "indipendenti n.n." e il pregiudizio dei cittadini cui è sottratta la possibilità di avvalersi adeguatamente della capacità professionale di questi ultimi. Guinea Equatoriale: Roberto Berardi torna libero "nel carcere di Bata 2 anni di torture" di Andrea Spinelli Barrile Il Manifesto, 15 luglio 2015 La sua figura è apparsa dalle porte dell'Aeroporto di Fiumicino più magra che mai: è il corpo di Roberto Berardi a testimoniare, prima ancora che lui apra bocca, il dolore e la sofferenza patiti per due anni e quattro mesi nel lager di Bata Central, carcere durissimo nella piccola, ma ricchissima, Guinea Equatoriale. In Africa Berardi ha temprato il suo carattere per 20 anni, come imprenditore, ma è nei quasi due anni e mezzo di detenzione che ha trovato la vera Africa, quella che soffre ogni giorno e che patisce le angherie delle peggiori dittature del pianeta. Ad attenderlo a Fiumicino c'era la sua famiglia, l'ex moglie Rossella Palumbo, eroica e stoica donna che ha fatto molto di più di quando, razionalmente, si sarebbe potuto fare. Berardi oggi è la metà di quell'omone grande arrestato il 19 gennaio 2013 a Bata, diventato da frodato a frodatore dell'ex socio Teodorin Nguema, rampollo della dinastia Obiang al potere dal 1979. Un potere di machete e bastone, che Berardi ha provato sulle sue vive carni. È con un filo di voce che Roberto torna al mondo: "Se non ci foste stati voi (giornalisti, ndr) la mia storia sarebbe rimasta nel silenzio: grazie". I suoi occhi, il suo viso, si bloccano solo quando gli si chiede se ha subito torture: "Si" dice laconico e addolorato "ho sofferto moltissimo". La voce è flebile, il fisico provato ma è il morale ad essere altissimo: un carattere che lo ha tenuto in vita e, a vederlo, è quasi facile immaginare il perché. È Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti umani del Senato, a sostenere fisicamente Berardi, ascoltato dalla magistratura italiana prima di essere riconsegnato alla vera libertà. Nella sua Latina invece Berardi è accolto da eroe cittadino: amici e parenti sono anche sotto casa della madre Silviana, che di questa brutta vicenda è vittima come lo è stato il figlio: "Non riesco ancora a crederci, grazie a tutti", dice. La sua famiglia è quando di più gioioso si possa immaginare: la ex moglie Rossella raggiante e i figli, Giulia e Marco, che ritrovano un sorriso quasi dimenticato, la compagna attuale, Chantal, della Costa d'Avorio, e il piccolo Claudio che non si stacca dal padre. "La mia storia - dice Berardi - deve essere raccontata: come me ogni giorno in quel paese le persone subiscono di tutto". Stati Uniti: pena di morte; esecuzione in Missouri la prima dopo l'ok della Corte Suprema Agi, 15 luglio 2015 In Missouri è stato giustiziato un 55enne con l'iniezione letale, la prima esecuzione negli Stati Uniti da quando a giugno la Corte Suprema ha dichiarato costituzionale il controverso mix di droghe usato da molti Stati per la sedazione dei condannati. Nel carcere di Bonne Terre è stato messo a morte David Zink, accusato dello stupro e dell'omicidio di una donna dopo un incidente d'auto, nel 2001. Zink aveva chiesto invano una sospensione dell'esecuzione. L'impiego del sedativo ‘midazolam', avallato dalla Corte suprema con una sofferta sentenza (5 sì e 4 no) il 29 giugno scorso, era stato criticato dalle organizzazioni per i diritti umani perché in molti casi lascia i condannati coscienti infliggendogli un'agonia che a volte è durata anche 40 minuti. Cina: arrestati 11 cittadini britannici per autorità sarebbero legati a "gruppo terroristico" Ansa, 15 luglio 2015 Le autorità cinesi hanno arrestato venerdì scorso nel nord del Paese un gruppo di 20 stranieri, tra i quali 11 britannici, sei dei quali verranno presto rimpatriati. Lo riporta la Bbc online. Oltre ai britannici, il gruppo include sudafricani e un indiano. Non si conoscono i motivi degli arresti, secondo l'associazione di beneficienza "Gift of the Givers" si tratta di turisti, mentre la Cina ritiene che alcuni di loro siano legati a un gruppo terroristico. Funzionari britannici hanno detto che stanno cercando "ulteriori chiarimenti" sui motivi degli arresti e che il personale del consolato ha visitato il gruppo per fornire assistenza. Due giorni fa, più di cento avvocati sono stati arrestati o fermati e interrogati dalla polizia in diverse città della Cina in un'azione che i gruppi umanitari internazionali hanno definito "senza precedenti". Secondo il China Human Rights Lawyer Concern Group (Chrlcg) di Hong Kong di questi almeno 23 sono stati arrestati e sei, tutti appartenenti allo stesso studio di Pechino, accusati di "attività criminali". William Nee, un esperto di Cina di Amnesty International, ha affermato che c'è stato un attacco simile nel 2011 in occasione della protesta "dei gelsomini". "Ma questa volta è più ampio in termine del numero di persone detenute o interrogate e sembra che ci saranno conseguenze più serie per alcuni degli avvocati", ha aggiunto. I sei che sicuramente verranno formalmente accusati sono tutti esponenti dello studio Fengrui di Pechino. Uno di loro, Zhou Shifeng, ha difeso Zhang Miao, l' assistente di una rivista tedesca che ha trascorso nove mesi in prigione dopo essere rientrata da Hong Kong, dove aveva aiutato i giornalisti tedeschi a coprire le manifestazioni anti-cinesi note come "Occupy Central". Zhang è stata rilasciata senza accuse poche ore prima dell' arresto di Zhou. La stampa cinese ha pubblicato pesanti attacchi contro gli avvocati di Fengrui, accusandoli di attività "sovversive". Due impiegati dello studio hanno confessato davanti alle telecamere della tv di Stato di essere stati pagati per occuparsi di casi delicati, come quello dell'uccisione di un passante da parte di un poliziotto avvenuta recentemente nella provincia dell' Heilongjiang, nel nordest della Cina. Messico: Vescovi su fuga El Chapo "sradicare la corruzione, popolazione ha perso fiducia" Ansa, 15 luglio 2015 "La seconda fuga di Joaquin "El Chapo" Guzman, leader del "Cartel de Sinaloa" attraverso un tunnel dal carcere di massima sicurezza, indebolisce ulteriormente la poca fiducia della popolazione nelle autorità federali". È il commento, riportato dall'agenzia vaticana Fides, del Vescovo della diocesi di Irapuato, mons. José de Jesus Martinez Zepeda. Il presule ha poi osservato che "questo caso è una tragedia in più per il Messico, perché tutto ciò che si dice riguardo alla sicurezza e alla serenità del paese svanisce quando uno spacciatore fugge per la seconda volta da un carcere di massima sicurezza, e rappresenta una presa in giro dei cittadini. Dobbiamo lavorare tutti per superare questa crisi di credibilità, di giustizia, di legalità e quindi provare a ricostruire il paese su una solida base di verità, di giustizia e trasparenza". Per mons. Martinez Zepeda le autorità dovrebbero avere senso etico e di responsabilità, quindi evitare categoricamente i casi di corruzione. La nota pervenuta a Fides segnala anche le dichiarazioni di altri pastori della Chiesa cattolica in Messico riguardo a questo caso eclatante di cui ha parlando tutto il mondo. Mons. Francisco Moreno Barron, vescovo di Tlaxcala, segnala la "fragilità" di questi centri di "massima sicurezza" e richiamo a non cadere nella trappola mediatica che questo caso comporta, in quanto ci sono altri gravi problemi in Messico e non solo la fuga di un narcotrafficante. Mons. Eduardo Porfirio Patino Leal, vescovo di Cordoba, Veracruz, chiede alle autorità di non trattare da "ingenua" la popolazione affermando che nessuno si era accorto di un tunnel di un km e mezzo da dove, si dice, è fuggito El Chapo. Piuttosto occorre prendere in esame il limite fin dove arriva la complicità di molti elementi dentro e fuori il carcere, e rivedere la velocità dei processi, che a volte durano anni.